Il Travertino: "Lapis Tiburtinus" L`oro bianco di Roma

P.G.M. di Gianmario Proietti - Estrazione e Lavorazione Marmi
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Il Travertino:
"Lapis Tiburtinus"
L'oro bianco di Roma
LA PIETRA
Il travertino romano ha avuto una grande importanza nel corso della storia quale elemento basilare per ogni
tipo di costruzione, costituendo sempre un riferimento durante l’evoluzione sociale e tecnologica dell’uomo,
che contemporaneamente sviluppava il suo habitat: dalla singola abitazione allo sviluppo delle città,
dall’arredo urbano all’opera monumentale. Le sue tonalità e le diverse lavorazioni lo rendono un materiale
versatile e affascinante.
Il travertino è una roccia calcarea di origine chimica che si forma per precipitazione del carbonato di calcio in
prossimità di sorgenti, cascate o bacini lacustri. Durante la precipitazione del carbonato, nel sedimento
rimangono inglobati resti vegetali (per esempio, foglie o ramoscelli) e animali (per es. frammenti di piccole
ossa). La composizione paleontologica è molto ricca: si tratta di malacofauna terrestre e di acqua dolce
tipica di clima temperato freddo: da ricordare Aegopis italicus KOBELT e Helix (Pachyphallus) ligata
MULLER (gli ostracodi sono tipici di acque poco profonde).
La successiva decomposizione e dissoluzione dei resti organici conferisce al travertino l'aspetto poroso e
spugnoso.
Il colore va dal bianco al giallo, grigiastro e talvolta rossastro. Nonostante la sua notevole porosità, il
travertino non è una roccia particolarmente soggetta alla gelivazione (fenomeno di frammentazione di una
roccia a seguito della prolungata alternanza del gelo e del disgelo).
IL TERRITORIO
I travertini migliori provengono dalle zone ai margini del vulcano laziale, in particolare da Guidonia e Tivoli
ma esistono giacimenti anche in Toscana, in Umbria e nelle Marche, altri giacimenti cominciano ad essere
sfruttati in nord Africa (Tunisia) e nel sud America (Cile).
Questi rilievi, che sono caratterizzati da una pendenza che a volte supera il 50%, e il cui suolo è costituito
sostanzialmente da carbonato, sono soggetti ad una attività erosiva continua ed intensa che ha generato
numerosi fenomeni di Karst. Sono presenti anche terreni costituiti da creta e sabbia e terreni vulcanici, che
hanno prodotto nel tempo una morfologia di tipo collinoso, e lì dove sono entrati in contatto con le
inondazioni dell’Aniene, si sono ammorbiditi e stratificati.
Lo strato di travertino è visibile come un misto di toni caldi e luminosi, dando l’impressione di un materiale
pieno di energia vitale, sul punto di esplodere in forme e tonalità sempre nuove.
Quando l’aria è limpida, il travertino appare con chiarezza, con contorni precisi, diverso dai materiali come
tufo e breccia, con colori terrosi, o come marmo e granito, monocromatici e dai colori abbaglianti. Il travertino
è un materiale della grande varietà di colorazione e grana e tutto dipende dall'acqua: i vari toni caldi, rigati ed
ardenti sono conseguenza dalla qualità e quantità dell'acqua, che ha provocato la formazione di modelli
lineari od onde meravigliose.
Il fatto che in molte cave di Tivoli ancora sgorghi dalla pietra acqua sulfurea di colore azzurrino chiaro,
rinforza la sensazione che la pietra non è nulla altro che il liquido solidificato, il sedimento solido di quel
fiume latteo che la terra produce in abbondanza. Solamente quando viene estratto e tagliato in blocchi il
travertino indurisce ed assume quel colore cenerognolo, iridescente che è uno dei colori principale della
"Tavolozza romana".
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LA STORIA
Ai tempi dei Romani le proprietà del travertino erano apprezzate a tal punto da far sì che fosse la pietra
principale dell’antica Roma. Infatti il geografo greco Stradone, che visse a lungo a Roma, ricordava nel suo
Libro V che il trasporto del “Lapis Tiburtinus” (il travertino) a Roma era molto facile ‘per terra e per mare’.
A partire dal periodo tra il secondo e il terzo secolo avanti Cristo, il travertino divenne il materiale privilegiato
dell’antica architettura romana.
I romani estrassero milioni e milioni di metri cubi di questa pietra dalle cave dell’area tiburtina. La facciata
della cava del Barco era ampia più di due chilometri ed una strada larga il doppio della via Appia la collegava
alla vicinissima via Tiburtina. Certamente la qualità di questa pietra, la sua vicinanza a Roma, la sua facilità
di estrazione e lavorazione e le sue caratteristiche di resistenza e durata resero molto conveniente l’utilizzo
del travertino.
Sembra che all’inizio le possibilità di utilizzo del travertino fossero intense, ma spesso come alternativa al
tufo (meno resistente e meno lavorabile con precisione) in fondamenta, costruzioni, muri di sostegno spesso
paragonabili, facendo un raffronto, a lavori in cemento, ma anche nelle strutture portanti, nei punti delle
costruzioni più delicati e soggetti agli agenti atmosferici, e come base per finiture successive.
Ad esempio, nel Tempio della Fortuna Virile (verso la fine del secondo secolo a.C.), le architravi erano
costituite da archi piani in tufo, ma su componenti di travertino in corrispondenza delle colonne.
Comunque la rifinita eleganza ionica dei particolari è ottenuta, come nell’architettura greca, con degli stucchi
finemente modellati che ricoprivano sia il tufo, sia il travertino.
In altri casi sembrò conveniente utilizzare il travertino in parti modellate, nei cornicioni come nelle colonne,
lasciando lo stucco come mezzo per livellare le superfici, nascondendo la struttura e ammorbidendo e
caratterizzando i contorni. Il travertino è stato comunque sempre apprezzato, al di là di tutto, per la qualità
del suo utilizzo pratico come supporto, resistente e facilmente modellabile, pronto per una successiva finitura
con lo stucco.
Inoltre la possibilità di modellarlo e scolpirlo con l’ottenimento di vigorosi effetti plastici, le sue cromature
legate ad un bianco caldo, tendente talvolta al giallo, al rosa e al viola, e la sua varietà di superficie, vibrante
alla luce, contribuirono a renderlo sempre più apprezzato. D’altra parte, la sua natura calcarea garantiva nel
tempo una degradabilità considerevolmente ridotta agli agenti atmosferici e anche l’acquisizione di nuove
tonalità.
In quell’affascinante processo storico generale dal quale emerse l’espressione architettonica che ebbe
origine a Roma, anche il travertino ebbe una funzione attivamente propulsiva in questa inedita visione
formale.
Ogni architettura, infatti, è anche l’espressione dell’attività dell’uomo che vive in un determinato ambiente, si
alimenta sui suggerimenti della natura del materiale che utilizza ed ogni architetto sceglie i materiali che
sono più appropriati.
In ogni caso, dal primo secolo a.C., la compattezza volumetrica, l’esaltata energia teutonica, e la precisione
contrastata e sintetica dei dettagli che cominciano a caratterizzare l’espressione di Roma, sembrano essere
istintivamente associate alle qualità del travertino.
In seguito l’utilizzo del travertino si trasformo da puramente utilitaristico ad espressivo, pieno di contenuti e
significati specifici, tipicamente Romani.
Probabilmente non è un caso se il travertino compare nelle grandi ‘opere pubbliche’, con destinazione civile
e utilitaristico e al servizio della comunità; quell’architettura che ha espresso il potere e l’efficienza delle
istituzioni, che evocava il senso civico degli antichi Romani, che sposava le necessità della vita della
repubblica; le porte della città, gli acquedotti, i ponti, gli edifici destinati agli spettacoli…
Quegli edifici che, anche con le loro forme severe e strutture arcuate, pur provenendo dalla tradizione
ellenica e dal suo mondo formale, espressero il carattere e la maniera di quel nuovo, originale, modo di
vedere Romano.
Ma questa volta, nel periodo Augusteo, il travertino ha assunto una propria dignità come materiale ‘nobile’
privilegiato.
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Nel Teatro Marcello, mentre le parti meno visibili erano ancora in tufo o in mattone usato, la facciata curva
col passaggio a fu costruita in massicci blocchi di travertino. Da questo materiale proviene la magnifica forza
teutonica, la stretta continuità, il robusto dinamismo, la dura ma vibrante animazione del chiaro-scuro che
caratterizza la parte di questa facciata.
Il travertino suggerisce inoltre nuovi accenti nella definizione delle arcate e nella precisione dei dettagli,
sensibile alla diversa inclinazione della luce sulle superfici. Ad esempio, nel periodo Augusteo, la porta della
città sulla Collina Esquilina – impropriamente chiamata “L’Arco di Galliano” - nel taglio evidente della bugna
in pietra delle arcate e delle solite paraste, accentuavano la grezza teutonicità della struttura come disegnata
nell’unicità del materiale.
Comunque, al di sopra di tutto fu circa a metà del primo secolo, non molto dopo il periodo Augusteo (ancora
influenzato, specialmente nell’uso del marmo nei templi, dalle rifiniture ornamentali del mondo ellenico) che il
travertino ebbe il suo maggior momento di gloria, attraverso nuove forme di espressione.
Tra i periodi Vespasiano e Domiziano, nell’Anfiteatro Flavio, nel Colosseo, le possibilità espressive nell’uso
del travertino sono dominate da un maturo controllo formale. Da quel momento in poi si può identificare nel
Colosseo (inaugurato ancora incompleto da Tito nel Giugno dell’80 d.c.) la più tipica espressione
dell’architettura romana e nel travertino il più tipico materiale della città. Soltanto in pochi altri edifici nella
storia dell’architettura, e raramente in modo così naturale, un materiale – le sue caratteristiche, la sua
potenzialità e il suo valore – si è identificato con la sua forma; e raramente questo materiale e la sua forma
hanno espresso con grande chiarezza il carattere dell’Impero Romano forse nel suo momento di massimo
equilibrio, con tutti i suoi pregi e i suoi limiti.
E’ la gloria, il trionfo di questa pietra romana.
Dopo un lungo periodo di tempo, durante il quale le cave furono chiuse, a partire dalla metà del XV secolo, le
qualità dell’antica pietra tiburtina cominciarono ad essere di nuovo apprezzate. L’uso del travertino iniziò a
prendere nuove strade, probabilmente ideologiche e politiche connesse al sogno di rivivere, nei progetti
papali e nei nuovi monumenti di Roma, la gloria dell’antico Impero.
Ancora una volta, il travertino caratterizzò l’architettura e dominò per la prima volta lo scenario civico della
Roma del Quattrocento. Appena eletto Papa, nel 1464, Paolo il Barbo ordinò la costruzione di uno
straordinario “viridarium”, un “hortus conclusus” circondato da portici adesso ristrutturati e modificati
(corrisponde a Palazzetto Venezia). Un solo materiale, il travertino, costituisce il piano terra arcuato su
pilastri squadrati con angoli arrotondati, fino al piano superiore con colone ioniche sovrastate d una
trabeazione ispirate, alla maniera di Alberti, a quelle del Colosseo.
L’insistente e diretto riferimento all’antico – per la prima volta così esplicito nell’architettura del Quattrocento,
non soltanto romana, e così evidente specialmente nei dettagli, plasticamente e vigorosamente intagliati – è
naturalmente valorizzata dall’uso della pietra romana. Questi trionfi, che vollero riproporre direttamente le
antiche parti del Colosseo, lo tradussero in una versione umanistica solenne ed austera e ancora una volta
disegnarono la forza e la misura espressiva del materiale soprattutto nel piano più basso.
Il
travertino
stava
diventando
il
materiale
preferito
per
molti
edifici
prestigiosi.
Già Sisto IV, con i suoi architetti, sembra che avesse identificato nel travertino la pietra ideale per emulare a
Roma le glorie architettoniche dell’antichità. Infatti, il pontificato di Sisto IV, costituì il periodo dopo tanti secoli
in cui Roma iniziò a diventare “la città del travertino”.
Come ai tempi dei Romani il materiale, almeno in parte, condizionò il carattere della sua architettura e
suggerì, insieme al mattone, il colore prevalente della città. Anche l’interno e la parte frontale di Santa Maria
del Popolo, la più importante Chiesa costruita sotto questo pontificato, deve la sua specifica originalità al
travertino, che “illumina con una luce calda e dorata, questa prima Chiesa romana del Rinascimento” .
Le nuove ideologie culturali, le politiche umanistiche e una nuova visione artistica, orientata definitivamente
verso effetti plastici e volumetrici, resero il travertino lo strumento delle nuove espressioni architettoniche.
Questo divenne chiaro nel lavoro del Bramante. Già in alcuni dei suoi primi lavori romani egli associò l’uso di
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questa pietra a molti riferimenti diretti all’antichità.
Il travertino sembrava essere considerato il materiale più ambito a Roma per soddisfare costruttori e
architetti. Ogni edificio importante – religioso o civile, pubblico o privato – doveva esibire in proporzione
minore o maggiore, specialmente nelle facciate e nei cortili, elementi costruiti con questo materiale.
Esso divenne il simbolo della magnificenza economica e del prestigio culturale. Anche i palazzi e le case più
modeste dovevano essere decorati almeno con una porta, qualche finestra o altri elementi realizzati in
travertino. Tutti gli architetti della Roma barocca e del Rinascimento hanno imparato ad adattare il travertino
alle caratteristiche dei loro specifici modi di espressione adeguandosi contemporaneamente alla richiesta del
materiale.
Un testimone di questo rinnovato fiorire dell’architettura romana in travertino, Giorgio Vasari, descrisse con
sincero entusiasmo il suo più caldo encomio per questo materiale degno anche di essere usato dal divino
Michelangelo:
"…un altro tipo di pietra, chiamato travertino, che è molto utilizzato per la realizzazione di edifici e per le
incisioni di vario tipo, che può essere estratto in diversi posti in Italia, ma le pietre migliori e più dure sono
estratte nei pressi del fiume Aniene a Tivoli"
.Gli antichi realizzarono con questo tipo di pietra le strutture e gli edifici più belli… è eccellente per i muri,
essendo squadrato e senza bordo.
Michelangelo Buonarroti, più di ogni altro Maestro, ha dato dignità a questa pietra nell’ornamento del cortile
di Casa Farnese avendo realizzato da questa pietra, con grande maestria, finestre, maschere, corbelli e
molte altre curiosità simili, tutte lavorate in travertino. Non si può vedere niente di simile. E se queste cose
sono rare, l’ampia cornice dello stesso Palazzo è meravigliosa.
Sempre dalla stessa pietra Michelangelo realizzò, all’esterno della struttura di San Pietro, dei larghi sacrari e
all’interno, la cornice che circonda l’abside così ben realizzata che non se ne può vedere la congiunzione e
quello che ognuno può riconoscere facilmente è quanto si può usare questo tipo di pietra. Ma quello che
supera ogni meraviglia è che, dopo aver realizzato da questa pietra la facciata di una delle tre absidi della
stessa San Pietro, i pezzi sono congiunti insieme in tale modo che, guardando dal basso verso l’alto, sembra
che il tutto sia stato realizzato da un solo pezzo.
Nel frattempo il consumo del travertino era diventato enorme e non ce n’era abbastanza per soddisfare la
grande richiesta. Il cortilato della nuova Basilica di San Pietro, completamente realizzata in travertino
all’esterno e parzialmente all’interno, richiese quantità enormi di materiale.
Già dai tempi di Giulio II fu necessario ripristinare le antiche cave romane dopo secoli di inattività, soprattutto
le cave di Tivoli “Caprine” e “Le Fosse” dalle quali veniva estratta la pietra migliore. Neanche gli innovatori
del Barocco si poterono sottrarre all’obbligo di lavorare con questo materiale. La loro origine, l’educazione e
l’orientamento delle loro ricerche non ebbero importanza.
Al contrario, Portoghesi scrisse: ” Il travertino romano è una condizione alla quale il gusto barocco si adatta
facilmente per aver compreso in pieno il valore della forma che deriva da un processo, che rivela una vita
propria, espresso dalle riconoscibili stratificazioni e dalle variazioni di porosità che lo rendono una delle
maggiori risorse… Questa pietra grezza con orli vibranti disegnata con tratti irregolari risultò…il materiale
preferito”.
Bernini scoprì nel travertino il materiale ideale anche per le sue inedite invenzioni naturalistiche, nelle quali la
pietra artificiale rappresentava se stessa diventando una scultura: nel Palazzo di Montecitorio, in una fase
teatrale di natura e architettura, e specialmente nelle Fontane come a Piazza Navona.
Il matrimonio tra il travertino e l’acqua che aveva già dato grandi risultati alla fine del periodo dei grandi
spettacoli d’acqua del tardo Cinquecento, sarebbe stato celebrato, nel secolo successivo (1735) in tutta la
sua magnificenza e nella sua spettacolare pienezza barocca, nello scenario urbano della Fontana di Trevi.
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Infatti, gli architetti che lavorarono a Roma nel XVIII secolo non dimenticarono l’uso del travertino che aveva
rifornito con continuità il grande teatro del Barocco: come nella nuova facciata di Santa Maria Maggiore o gli
spazi urbani realizzati con destrezza del Porto di Ripetta o, all’apice delle possibilità espressive di
modellazione dello spazio urbano, nella Scalinata fra Piazza di Spagna e Trinità dei Monti.
Contemporaneamente, il travertino è utilizzato per creare un’atmosfera romana e per ammorbidire con le
calde dimensioni della sua superficie la classica rigidità delle facciate di San Giovanni dei Fiorentini e della
Cattedrale di San Giovanni in Laterano. Anche Piranesi, non nelle costruzioni ma nelle sue spettacolari
incisioni, con una nuova sensibilità e acutezza critica elevò il valore visuale di questo materiale romano
antico e moderno all’elemento essenziale nell’espressione dei monumenti della città.
Fonte sitografica: Roman Travertine http://www.romantravertine.it/