Liceo classico psicopedagogico “G. Cesare – M. Valgimigli”
Scienze della Formazione
STORIA – DIRITTO
Codocenza 2009/10
SPQR, acronimo del latino Senatus Populusque
Romanus, in italiano "Il Senato e il popolo romano",
racchiude in sé le figure che rappresentano il potere
della Repubblica Romana: il Senato e il popolo che
erano a fondamento dello Stato romano.
Appunti codocenza storia-diritto
classi seconde
1
PERIODIZZAZIONE DEL DIRITTO ROMANO
Tra gli ordinamenti giuridici che hanno trovato applicazione in passato, il diritto romano è sicuramente
quello che ha influenzato in maggior misura i sistemi giuridici contemporanei.
In un arco temporale di circa 1000 anni (dalle origini 753 a.C. a Giustiniano 565 d.C.) il diritto romano ha
avuto diverse rotture e rinnovamenti anche nei suoi aspetti fondamentali.
Infatti cambiano più volte i gruppi sociali come composizione etnica, come base economica, come
concezioni religiose (p. es. dalla religione politeistica tradizionale al Cristianesimo come vera e propria
«religione di Stato»), come forme politiche (dalla monarchia delle origini, alla Repubblica, al Principato,
infine al cosiddetto Dominato).
Noi suddividiamo questo arco temporale in sottoperiodi (periodizzazione ) per poter isolare i punti di svolta
fondamentali della vicenda storica.
L’arco temporale, che ci interessa, può essere suddiviso in quattro diversi periodi:
1) Il periodo arcaico che si può fare coincidere con la Monarchia;
2) Il periodo preclassico: la Repubblica, dal 509 a 27 a.C.;
3) Il periodo classico: il Principato: 27 a.C. - 235 d.C., suddivisibile in due sottoperiodi fondamentali: l’Alto
Principato, da Augusto a Traiano; il Medio Principato, da Adriano (117 d.C.) alla fine della dinastia
severiana (235 d.C.);
4) Il periodo post classico: l’Imperium assoluto (Anarchia militare 235-283; e Impero Tardoantico (il
Dominato), da Diocleziano (284 d.C.) fino a Giustiniano (565 d.C.; impero d’oriente).
E’ una suddivisione basata essenzialmente sul diritto pubblico ovvero sul modo di organizzare lo Stato che
influenza di conseguenza anche l’assetto dei rapporti sociali
Alcuni siti web
http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:Antica_Roma
http://it.wikibooks.org/wiki/Wikibooks:Biblioteca
http://www.geocities.com/francesco.chirico/country/ita.htm nomi di persone e istituzioni da roma a oggi
http://www.parodos.it/blogle_istituzioni_di_roma.htm
http://storiaepolitica.forumfree.net/?t=13415280
Appunti codocenza storia-diritto
classi seconde
2
LE ISTITUZIONI DI ROMA DURANTE LA MONARCHIA
Tra il VII e il VI secolo ci furono delle forti trasformazioni sociali a Roma dovute all'aumento continuo della
popolazione, alla suddivisione sociale fra patrizi e plebei e l’emergere di nuove figure professionali come
artigiani e marcanti.
L’economia agricolo pastorale venne integrata con il commercio e l’economia di guerra. Aumentarono e si
complicarono i compiti di governo.
In corrispondenza di queste trasformazioni sociali, economiche e politiche, anche l'ordinamento
costituzionale dello stato si era venuto modificando, fino ad assumere un assetto abbastanza preciso. Gli
organi politici fondamentali erano il Re, il Senato, i Comizi Curiati.
2.1
Re
II regnum è la forma di governo del periodo delle origini di
Roma, in cui domina la figura del rex , che detiene
l’imperium (potere) e l’auspicium (interpretazione della
volontà degli dei)
Cicerone afferma che "quando tutto il potere è nelle mani di
un uomo solo, noi chiamiamo re colui che governa, e regno
tale forma di costituzione politica".
Analogo è il significato del termine "monarchia" che
etimologicamente indica "la concentrazione del potere
(arche) in una sola (monos) persona", il re che, a differenza
del tiranno, governa legittimamente a vita ed è designato in
via elettiva o ereditaria.
Il re accentrava su di sè il potere religioso, come sommo sacerdote, il potere militare, come comandante
dell'esercito (il potere che derivava dal comando dell’esercito si chiamava IMPERIUM), il potere
giudiziario, come giudice esercitava la giustizia nel processo cosiddetto per legis actiones. Contro le
condanne a morte da lui pronunciate, il cittadino romano poteva appellarsi al popolo riunito in assemblea
(provocatio ad popolum) e ottenere l'assoluzione.
Il re, inoltre, emanava le leggi chiamate legis regiae (potere legislativo) e ne garantiva l'applicazione (potere
esecutivo). Esercitava le sue funzioni di governo giovandosi dell'assistenza di due assemblee: il senato e i
comizi curiati.
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classi seconde
A Roma il periodo regio vede il suo inizio con la leggendaria fondazione della città da parte di Romolo, nel
753 a.C. e il suo sviluppo è scandito, insieme alle figure dei mitici sette re, da eventi importanti e
dall'introduzione di nuovi organismi di governo.
Al primo re si deve infatti il consiglio dei cento anziani (il futuro Senato); a Servio Tullio la nozione di
cittadinanza e la suddivisione dei cittadini in classi basate sul census; a Tarquinio Prisco la rappresentazione
dell'imperium con i fasci littori; infine a Tarquinio il Superbo l'idea negativa di
tirannide.
Il Re, come in tante altre civiltà antiche, era il fondamentale elemento di
mediazione fra gli dèi e la città, il principale garante della pax deorum, la pace
con gli dèi.
La facoltà di interrogare gli dèi su tutte le decisioni riguardanti la vita della città –
prendere gli auspicia – costituiva probabilmente, per la mentalità arcaica, il
compito fondamentale del suo potere. Con il suo sommo imperium il rex traeva
gli auspicia, cioè consultava gli dei. L’assenso degli dèi, interrogati attraverso gli
auspicia, regolava ogni azione di rilievo pubblico.
2.2
Senato
Il Senato romano era la più autorevole
assemblea dello stato nell'antica Roma,
un'istituzione rimasta invariata nel corso
delle trasformazioni politiche della storia
dell'impero romano, il cui significato era
assemblea degli anziani, ed i cui membri
erano chiamati Patres
Secondo la tradizione, il senato fu
costituito da Romolo, il fondatore di
Roma. Romolo decise che il Senato fosse
composto da 100 patrizii (patres), in
seguito ampliato a 300 membri, tutti
nominati dal rex (Tarquinio Prisco). Si
trattava dei capofamiglia delle cento
gentes. Il loro ruolo principale era quello
di assistere, consigliare il re nelle
decisioni da prendere.
Il termine Senato deriva da senex, che significa vecchio, perché i membri del Senato erano gli anziani.
Il Senato romano divenne molto importante con l'instaurazione della Repubblica nel
509 a.C. Il senato repubblicano era composto da patrizi e plebei. Si era senatori a vita.
I senatori erano scelti in eta’ regia dal Re, poi dai consoli e in seguito 312 aC dai
censori che sceglievano i nuovi senatori e confermavano quelli vecchi, avendo facolta’
di escludere i senatori che ritenevano indegni. Diventavano senatori i cittadini che
avevano ricoperto le cariche del cursus honorum.
Il senato repubblicano dava pareri al magistrato prima che questi prendesse una
qualunque decisione importante: un organo consultivo i cui pareri non erano
vincolanti. Di fatto i pareri del senato erano seguiti sia per il prestigio e l’autorevolezza dei senatori, sia
perche’ tutti i magistrati aspiravano, una volta cessata la carica, a diventare senatori. Silla (ca. 80 aC) porto’
il numero dei senatori a 600 e Giulio cesare a 900 e poi a 1000. Con Augusto il numero fu riportato a 600
Il senato stringeva patti e alleanze in politica estera, concedeva la cittadinanza o l’autonomia a citta’ e
popolazioni, preparava le dichiarazioni di guerrada sottoporre al voto dell-assemblea popolare.
Il senato era il tutore della sicurezza dello Stato e dell’ordine pubblico ed in circostanze di particolare
pericolo invitava i Consoli a nominare il Diattatore.
Le deliberazioni del Senato erano chiamate Senatus Consulta.
Un tipo particolare di senatoconsulto era il senatus consultum ultimum, col quale in situazioni di pericolo
per la res publica il senato affidava ai supremi magistrati la difesa dello Stato e sospendeva le garanzie
repubblicane della provocatio ad populum e della intercessio tribunicia.
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Nell’età del Principato il senato perse la sua originaria importanza, divenendo
strumento del Princeps. Nell’epoca del Dominato si trasformò in un organo
esclusivamente formale; da Costantino il rango senatorio si tradusse in titolo
onorifico, cui erano connessi alcuni privilegi fiscali e giurisdizionali. Da Giustiniano
saranno insigniti senatori gli illustres (di cui si entrava a far parte per aver ricoperto
importanti cariche amministrative o per concessione imperiale).
Il Senato romano si poteva riunire solo in luoghi consacrati, solitamente nella Curia;
le cerimonie per il nuovo anno avvenivano nel tempio di Giove Ottimo Massimo
mentre gli incontri di argomento bellico avvenivano nel tempio di Bellona.
Le sedute del Senato si distinguevano in ordinarie (che si tenevano alle Calende alle
None e alle Idi di ogni mese) e straordinarie (erano convocate dai consoli e in loro
assenza dai pretori e dai tribuni della plebe)
Le decisioni erano considerate valide e il decreto del senato diventava esecutivo se si verificano queste
condizioni:
− i senatori si riunivano in uno dei luoghi deputati alle riunioni
− le sedute dovevano terminare prima del tramonto e non potevano cominciare prima dell’alba
− era richiesta la presenza di un numero minimo di senatori
− nessun tribuno della plebe doveva opporre il veto
Prima di procedere alla votazione di una legge si apriva una lunga discussione in cui parlavano per primi i
senatori di rango più elevato; per esprimere infine la preferenza i senatori si spostavano dalla parte di coloro
di cui condividevano l'opinione. Le decisioni venivano prese a maggioranza dei voti espressi.
Al termine della seduta una commissione di senatori (da 2 a 8) redigeva il rendiconto della seduta
I senatori si distinguevano, nell'abbigliamento, per una fascia di color rosso porpora ( latus clavus) intessuta
verticalmente nella tunica, per un anello d'oro e per calzari rossi.
2.3
Comizi Curiati
Curiae – da co-viriae – significava luogo di
riunione di viri, ovvero di uomini.
Le curie svolgevano un ruolo importante nella
vita pubblica. Il numero delle curie era fissato a
trenta, 10 per ognuna delle tre tribù dei Ramnes,
dei Tities e dei Luceres e ciascuna curia era
composta da 10 gruppi gentilizi.
Ci si riferisce ai COMIZI CURIATI come ad
assemblee del popolo, in realtà non riunivano
tutta la popolazione ma solamente i gentiles,
(membri delle gentes). Il resto del popolo
escluso dal governo della città era detto plebe.
La prima funzione delle curie era quindi quella di contribuire all’esercito: ogni curia forniva all’esercito 100
fanti e 10 cavalieri. L’esercito era quindi composto da una legione di trecento cavalieri (30 curie x 10
cavalieri ciascuna) e 3000 fanti (30 curie x 100 fanti ciascuna).
La seconda funzione era quella di eleggere i senatori: ogni curia eleggeva 10 senatori (uno per ogni gentes)
per un totale di 300 senatori.
I comizi curiati avevano il compito di deliberare definitivamente sulle decisioni assunte dal Re e dal Senato
come ad esempio dichiarare guerra; una volta che il re era stato eletto riconoscevano il suo potere
vincolandosi all’obbedienza con la lex curiata de imperio
La riunione dell’assemblea curiata, già nell’ultimo quarto del VII s. a.C., avveniva in uno spiazzo – nel Foro
– detto Comitium dove erano predisposti 30 settori rettangolari, delimitati da funi e da pali, riservati ciascuno
ad una curia. Annunciata la questione proposta dal re o dal senato, ogni membro di una curia andava a destra
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per indicare la sua risposta affermativa e a sinistra per la negativa; ogni curia esprimeva così la sua opinione,
che valeva un voto. La proposta era approvata se almeno 16 cure davano voto favorevole.
Questa assemblea perse di importanza con l’avvento della Repubblica
2.4
Istituzioni religiose
La tradizione vuole che le prime istituzioni religiose siano state istituite da Numa Pompilio, in realtà a Roma
non ci fu mai una vera e propria casata sacerdotale indipendente. A sottolineare l'assenza di autonomia sta il
fatto che la carica sacerdotale non era incompatibile con la magistratura civile, infatti, come il pater familias
era il sacerdote della sua casa, così ogni magistrato poteva celebrare cerimonie di culto anche importanti,
come, ad esempio, la cerimonia diretta ad ottenere il favore degli dèi prima di iniziare una guerra.
Esistevano, comunque, speciali collegi
sacerdotali, cui erano assegnati i culti delle
singole divinità dello stato. Il più importante
era il collegio dei pontefici, presieduto da un
pontefice massimo. Durante l'età monarchica
e in quella imperiale la carica di pontefice
massimo veniva presa dallo stesso re o
imperatore, mentre in età repubblicana veniva
designato dagli altri pontefici, che a loro volta
erano eletti dai comizi tributi.
I compiti del pontefice massimo erano di
custodire il regolamento delle cerimonie
religiose (in cui erano indicate le vittime da
immolare), le date delle feste, i templi in cui
dovevano essere celebrate, doveva compilare
gli elenchi dei magistrati (Fasti) e redigere le
cronache dei fatti storici (Annales).
Vi erano quindici flamini, oltre al pontefice massimo, ognuno dei quali si occupava della venerazione di una
singola divinità dello stato. Tre dei quindici flamini erano di rango superiore perchè preposti all'adorazione
di Juppiter (Giove), Marte e Quirino.
Vi era, poi, il collegio dei salii (da salire = danzare, perchè praticavano una danza guerriera), cioè quello
formato dai sacerdoti di Marte che si occupavano di vigilare sugli scudi del dio della guerra che si credeva
fossero caduti dal cielo.
Il terzo collegio di ordine religioso era quello delle vestali: sei sacerdotesse che attendevano al focolare di
Vesta, simbolo della perennità di Roma.
C'erano, inoltre, il collegio degli auguri ed il collegio dei feziali. Il compito degli auguri era politicamente
delicato e ambiguo: l'augure poteva minimizzare i segni sfavorevoli di un presagio, desunti dall'osservazione
del volo e dal canto degli uccelli, dall'appetito e dalle contrazioni viscerali dei polli sacri, oppure poteva dare
al magistrato che si apprestava a compiere una spedizione militare o a convocare i comizi la risposta che
questi si attendeva, nel senso cioè che il cielo approvava quanto aveva in animo di fare. I feziali erano,
invece, i depositari del diritto sacro relativamente ai trattati di alleanza e alle dichiarazioni di guerra per le
quali si servivano di un particolare formulario.
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3
DAL REGNUM ALLA RES PUBLICA
Le testimonianze di questo periodo sono fornite principalmente da due storici: Eutropio e Tito Livio. Il
primo, vissuto nella seconda metà del IV sec. d.C, scrive, su incarico dell'imperatore Valente di cui era
segretario, il Breviarium ab urbe condita, un compendio in dieci libri dell'intera storia romana dalla
fondazione alla morte di Gioviano (364 d.C), con intenti divulgativi e stile schematico. A Tito Livio (59
a.C.-17 d.C), lo storico per eccellenza della romanità, si deve una colossale opera, in cui si ricostruiscono le
vicende di Roma dalla mitica fondazione fino alla morte di Druso, figliastro dell'imperatore Augusto,
avvenuta nel 9 a.C.
Il cambiamento costituzionale (dalla monarchia alla Repubblica) sarebbe avvenuto in seguito alla rivolta
guidata da Lucio Giunio Bruto (storia di Lucrezia e dell’oltraggio da lei subito da parte del figlio del re
Tarquinio il Superbo).
Al rex subentrano i consules ("consoli"), due cittadini che si dividono il potere per un anno dando avvio ad
una prassi che stabilisce la durata e il principio della collegialità, caratteristiche proprie di tutte le
magistrature dell'età repubblicana. Tale cambiamento istituzionale, determinato dalla consapevolezza dei
limiti della passata esperienza tirannica, segna l'inizio della libertà del popolo romano. Ma il potere, essendo
ancora gestito da una aristocrazia formata dalle gentes patriciae, che escludeva la partecipazione dei plebei,
di fatto mantiene una natura oligarchica e privilegiata.
Ciò acuisce il contrasto fra le due classi, che culminerà nella secessione della plebe sul Monte Sacro o
sull'Aventino nel 494 a.C. e, quindi, nell'istituzione del tribunato della plebe. Tale magistratura fu la prima
tappa di una lunga serie di conquiste, che portarono a riconoscere il ruolo di questa classe all'interno dello
Stato romano e, dopo circa un secolo, alla piena acquisizione dei diritti civili e politici. (da: “Valori e società
di Roma antica”, di M.P. Masi, M. Massi, Alice ed. 2006)
3.1
Le classi sociali
I patrizi
Come già detto i patrizi erano i membri delle gentes. I patrizi fondavano la loro posizione di preminenza
sulla discendenza da eroi mitici o dei (ad esempio la gens Julia si considerava discendente di Ascanio, figlio
di Enea, figlio di Venere). In verità il potere derivava da motivi economici: il possesso delle terre. Grazie a
questa superiorità godevano di tutti i privilegi: diventare magistrati, partecipare ai comizi, diventare
sacerdoti, ecc). Il potere veniva tramandato: i riti magico-religiosi , la conoscenza delle norme non scritte, le
tecniche della guerra e della produzione, ecc
I plebei (da plebs, moltitudine)
Venivano praticamente considerati stranieri che non dovevano mescolarsi con i cittadini. Si sono fatte
diverse ipotesi sulla loro origine. La più accreditata ora è quella economica; alla nascita di roma i patrizi si
appropriarono delle terre i plebei non possedendo terra propria furono costretti a coltivare quella altrui, a
pascolare greggi di altri ad esercitare l’artigianato ed il commercio
I clienti
I clienti erano per la maggioranza stranieri che avevano ottenuto protezione dal capo di una gens (divenuto
così loro PATRONO). In cambio essi dovevano prestare servizio militare agli ordini del proprio patrono,
contribuire a pagare il suo riscatto, se veniva fatto prigioniero, appoggiarlo nelle lotte politiche.
I rapporti tra patroni e clienti erano basati sulla fides, cioè sulla reciproca fiducia testimoniata dalla dea Fides
e da Giove Fidius (custode dei patti). Alcuni autori sostengono che questo rapporto somiglia molto ad una
relazione che oggi chiameremmo mafiosa per l’estrema dipendenza del cliente verso il patrono
3.2
Il conflitto tra patrizi e plebei
Durante il periodo monarchico e nel corso del primo secolo della repubblica, i patrizi rappresentavano la
classe sociale superiore e, quindi, depositaria di numerosi privilegi.
Esponenti delle famigli gentilizie, i patrizi si ritenevano discendenti degli originari fondatori della città;
l'aristocrazia patrizia, nella Roma arcaica era quindi un ordine chiuso, basato sul diritto di nascita e sui
privilegi di cui beneficiava ampiamente nella vita sociale, economica, politica e religiosa.
L'altro ordine chiuso della società romana arcaica era costituito dalla plebe (da plebs, massa, moltitudine).
L'origine della plebe risale al periodo monarchico, ma assume una fisionomia di classe solo dopo l'inizio
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della lotta contro l'aristocrazia patrizia, intorno al 500 a.C, quando diventa una comunità identificata da
proprie istituzioni.
La plebe del periodo arcaico presenta i caratteri di uno strato sociale essenzialmente contadino; all'interno di
questa massa eterogenea, gruppi di contadini costretti a vivere in condizioni di estrema povertà
rappresentavano la parte preponderante. Il loro stato di indigenza era causato soprattutto dalla necessità di
dover dividere il fondo familiare tra un numero elevato di eredi. Alla formazione della plebe come classe
chiusa contribuì un altro strato urbano inferiore, rappresentato da artigiani e commercianti.
Di generazione in generazione, la consistenza numerica di questi ceti crebbe vertiginosamente; si trattava di
una moltitudine eterogenea che poteva sperare di ottenere il miglioramento delle proprie condizioni soltanto
aderendo ad una lotta comune. La contrapposizione tra gli appartenenti ali'aristocrazia e la plebe durò più di
due secoli e assunse un'importanza tale da condizionare il futuro della società romana.
Le cause del conflitto affondavano le proprie radici nello sviluppo economico, sociale ed anche militare della
Roma arcaica. La plebe, col passare del tempo, aveva assunto al suo interno una duplice fisionomia. Mentre
da una parte era presente un numero limitato di artigiani e commercianti che, in virtù di un debole legame di
dipendenza dalle famiglie patrizie, aveva approfittato dello sviluppo economico della città e realizzato un
patrimonio considerevole, rappresentato soprattutto dall'equipaggiamento militare, dall'altra, una moltitudine
di contadini, schiacciati dall'indebitamento, viveva una condizione economica e sociale misera.
Queste due categorie di plebei avevano, naturalmente, obiettivi diversi: i plebei benestanti aspiravano alla
partecipazione politica, cioè all'ammissione alle magistrature e alle cariche sacerdotali, alla parità dei diritti
con i patrizi in senato e all'integrazione sociale, che poteva essere garantita loro dall'autorizzazione a
contrarre matrimonio tra nobili e non nobili.
Ai plebei poveri, invece, interessava il miglioramento della condizione economica e della posizione sociale,
mete raggiungibili attraverso una adeguata ripartizione dei poderi ricavati dalla terra di proprietà statale.
Avversario comune, per entrambi i gruppi, era l'aristocrazia patrizia e quindi, per sostenere la lotta e ottenere
delle riforme, era necessario coalizzarsi e creare istituzioni proprie. I plebei riuscirono a sfruttare questa
possibilità solo dopo la caduta della monarchia, quando i cambiamenti verificatisi nella politica estera e nella
tattica bellica offrirono i presupposti per l'inizio della lotta ai privilegi patrizi. (da: Esploriamo il diritto nella
storia)
3.3
La res publica
La contrapposizione tra res publica e regnum è chiarita sempre da Cicerone nel De re publica: "diremo che
uno Stato è governato dai migliori, quando sono al potere gli uomini più autorevoli e illustri, e infine che una
costituzione è democratica quando il potere è esercitato dal popolo".
Il De re publica è un dialogo in sei libri scritto tra il 54 e il 51 a.C. ed è l'unico esempio di trattato politico
della letteratura latina, importante anche perché crea il linguaggio specifico della politica, caratterizzato da
termini riferiti alle istituzioni pubbliche.
Scipione Emiliano, principale interlocutore di questo dialogo svoltosi per tre giornate consecutive nella sua
villa nell'inverno del 129 a.C, è il portavoce delle idee di Cicerone, che gli affida il compito di definire il
concetto di res publica, in cui è un'intera comunità (populus), e non una sola persona (rex), che con un
accordo basato sulla giustizia e sulla comune utilità, legifera nell'assemblea mediante i suoi rappresentanti,"i
magistrati", con l'avallo (auctoritas) del senato (patres). Da qui la rituale formula SPQR (Senatus
PopulusQue Romanus), presente in tante opere pubbliche.
3.4
Le istituzioni politiche nella Roma repubblicana
Dopo l'abolizione della monarchia nel 509 a.C, venne creata la res publica, nella quale era concesso di
ricoprire i vertici della vita politica solo ai membri delle famiglie più antiche e aristocratiche (nonostante il
termine, infatti, la res publica non prevedeva in origine la partecipazione popolare alla gestione dello Stato).
Soltanto dopo il III sec. a.C. e solo dopo lunghe lotte politiche combattute con l'arma della secessio i plebei
riuscirono a equiparare parte dei loro diritti, politici oltre che civili, a quelli dei patrizi.
La costituzione romana viene così descritta da Polibio (lo storico greco che giunse a Roma come ostaggio nel
II sec. a.C) :
«Tre erano gli organi dello Stato che si spartivano l'autorità; il loro potere era così ben diviso e distribuito,
che neppure i Romani avrebbero potuto dire con sicurezza se il loro governo fosse nel complesso
aristocratico, democratico o monarchico. Né è il caso di meravigliarsene, perché considerando il potere dei
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consoli, si sarebbe detto lo Stato romano di forma monarchica, valutando quello del senato lo si sarebbe
detto aristocratico; se qualcuno infine avesse considerato l'autorità del popolo, senz'altro avrebbe definito
lo Stato romano democratico». (Polibio, Storie, VI, 12).
L'amministrazione dello stato a Roma non prevedeva una netta divisione dei poteri (legislativo, esecutivo,
giudiziario), come avviene per noi oggi, e non esisteva una "costituzione" che definisse i princìpi dell'assetto
politico-istituzionale: c'era tuttavia una sorta di costituzione "di fatto", frutto di leggi ordinarie emanate dopo
aspre lotte politiche oppure di rivoluzionari cambiamenti di regime succedutisi nel tempo (monarchia,
repubblica, principato).
Le cariche pubbliche, erano chiamate magistratus, termine che indicava anche il loro titolare, con un
significato generico e non specificamente connotato, diverso da quello assunto dalla parola italiana
"magistratura", relativa solo all'ordine giudiziario.
3.5
Le magistrature ordinarie.
Le caratteristiche fondamentali delle magistrature ordinarie erano la collegialità, l'annualità e l'elettività:
per cautelarsi dall'eventualità di un ritorno al potere monarchico o dal dispotismo dei singoli politici, i
Romani stabilirono che ciascuna carica fosse collegiale, cioè ricoperta da più membri dotati di pari poteri,
che avesse la durata di un anno e che i magistrati fossero eletti dai comizi. Inoltre, ogni magistrato era
responsabile delle sue azioni e di esse doveva rendere conto alla fine del mandato, scaduto il quale poteva
essere perseguito nel caso avesse commesso irregolarità o atti illegali.
3.5.1 Il cursus honorum.
Il cittadino che aspirava alla vita pubblica doveva
percorrere una serie di tappe preordinate, il cursus
honorum (lett. «la carriera delle cariche»), ricoprendo
magistrature di crescente responsabilità e a
determinati intervalli di tempo. Dopo aver prestato
il servizio militare nel rango di cavalieri, gli aspiranti
alla vita politica potevano proseguire la carriera
diventando:
quaestores (verso i 30 anni): presiedevano
all'amministrazione delle finanze dello stato e
all'erario;
aediles (tra i 30 e i 40 anni) : sovrintendevano agli
approvvigionamenti, al controllo dei prezzi e dei
mercati, ai lavori e alle attività pubbliche, come la
manutenzione di strade, mercati, edifici e
all'organizzazione di giochi e cerimonie;
tribuni plebis (tra i 30 e i 40 anni): questi magistrati
furono istituiti nel 494 a.C. a seguito di una lunga ed
estenuante lotta tra patrizi e plebei e allo scopo di
tutelare i diritti di questi. Essi, a garanzia della loro
incolumità, erano sacri ed inviolabili e avevano il
diritto di veto nei confronti di tutti i magistrati, ad
eccezione del dictator. Il tribunato costituì per molti
uomini politici una vera occasione per intraprendere
la carriera politica con l'appoggio del popolo, finché
nell'82 a.C. Silla, per rendere la carica meno
allettante, stabilì che da essa non si potesse accedere
ad altre magistrature;
praetores, dal verbo prae ire, «andare innanzi», perché in origine erano alla testa dell'esercito (verso i 40
anni): erano preposti all'amministrazione della giustizia;
consules, dal verbo consulere a sottolineare che essi dovevano provvedere al bene dello stato in pace e in
guerra (dopo i 40 anni) : essi, in numero di due, rappresentavano la suprema magistratura dello stato e
detenevano il potere esecutivo e militare: convocavano e presiedevano il senato e i comizi centuriati,
proponevano le leggi e ne imponevano l'applicazione dopo l'approvazione del senato e in caso di guerra
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comandavano l'esercito. Inoltre ciascuno di essi deteneva il diritto di veto sia nei confronti dell'altro collega
sia nei confronti di tutti gli altri magistrati. Il consolato rimase in vigore anche in epoca imperiale, quando
l'imperatore, oltre alle altre cariche, assunse anche quella di console unico, senza collega.
Le magistrature che costituivano le tappe del cursus honorum non prevedevano alcuna retribuzione; erano
invece retribuite le funzioni a cui esse davano adito, in qualità di governatori delle province, prefetti o
funzionari con varie mansioni. In particolare, i consoli e i pretori alla fine del loro mandato potevano
diventare proconsules e propraetores e assumere il governo di una provincia, incarico particolarmente
ambito, perché oltre a conferire poteri militari, giuridici ed esecutivi, prevedeva anche la riscossione delle
tasse, che costituiva una grande occasione di arricchimento personale.
3.5.2 Le magistrature non annuali.
L'ordinamento dello stato romano prevedeva anche altre figure politiche di rilievo, la cui carica non aveva
durata annuale:
censores (da censere, «stimare, valutare»), che erano preposti al censimento dei cittadini e all'accertamento
dei loro beni, oltre che alla sorveglianza sulla moralità e sul rispetto del mos maiorum e duravano in carica
per diciotto mesi. Essi potevano esercitare un notevole controllo sul senato, perché designavano gli ex
magistrati meritevoli di entrarne a far parte e avevano la facoltà di espellerne i senatori ritenuti indegni e
immorali. Grazie a questo notevole potere, gli imperatori assunsero poi la censura, per controllare il senato
ed eliminare elementi a loro ostili, con l'accusa di indegnità morale;
dictator, che veniva eletto solo in caso di gravissimo pericolo; in questa situazione i consoli deponevano
provvisoriamente i loro poteri e il dictator reggeva lo stato da solo e con poteri illimitati,.che deteneva per il
periodo di tempo necessario a superare la crisi dello stato e comunque per non più di sei mesi. Si trattava
quindi di una magistratura straordinaria che poteva essere assunta da un ex console o pretore, noto per le sue
doti di comandante militare e stratega.
3.6
Le assemblee del popolo
L'assemblea (comitium) era costituita dal popolo, che si riuniva nel dies comitialis, dopo aver ottenuto il
responso favorevole degli auspicia ("segni divini"), per eleggere i propri rappresentanti, cioè i magistrati con
il compito di presentare una proposta di legge (rogatici).
Le assemblee popolari, a cui partecipavano solo i cittadini romani con diritto di elettorato attivo e passivo,
con esclusione delle donne, dei liberti e degli schiavi, avevano la funzione di bilanciare il potere del senato e
dei magistrati e costituivano, secondo Polibio, l'elemento «democratico» della costituzione romana. Esse
erano suddivise in:
- comitia curiata: espressione dell'antica struttura gentilizia, furono la prima forma di assemblea, ma persero
col tempo importanza fino a mantenere solo funzioni religiose;
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classi seconde
- comitia centuriata: -I comitia centuriata erano l'assemblea più importante, formati da tutti i cittadini in
armi con più di 17 anni, divisi in sei classi a seconda del census ( riforma di Servio Tullio ) e poi suddivisi in
193 centuriae, unità militari di 100 uomini destinati all'esercito.
Delle 193 centurie, 18 centurie erano di cavalieri, 170 di fanti e 5 di non militari (inermes, ovvero
nullatenenti, carpentieri, fabbri, suonatori di corno e suonatori di tromba).
Le riunioni avvenivano nel Campus Martius ("Campo Marzio"), fuori dal pomerium (spazio di terreno sacro
lungo le mura della città), ed erano indette per eleggere i magistrati maggiori o cum imperio (consules,
praetores, dictatores) e per approvare le leggi.
I comizi centuriati avevano anche un potere decisionale in tutte le cause penali che comportavano la perdita
dei diritti civili per il cittadino servivano a ratificare gli accordi internazionali, le dichiarazioni di guerra e i
trattati di pace .
La votazione avveniva per centurie, ma le centurie della prima classe ( i più ricchi) da sole disponevano di un
numero di voti (98) maggiore delle altre cinque classi sommate che disponevano in totale di 95 voti. Così
nonostante le 5 classi successive alla prima fossero costituite da un numero di cittadini notevolmente
superiore alla prima classe , i cittadini più abbienti contavano di più nel prendere le decisioni che venivano
assunte nei comizi centuriati assemblee in cui i cittadini erano divisi in classi sulla base del censo e delle
centurie che fornivano all'esercito.
Avevano il compito di eleggere i magistrati superiori, come i consoli, i pretori e i censori, e di decidere sulle
questioni di pace e di guerra;
- comitia tributa: espressione della divisione della cittadinanza romana in tribù, costituivano l'assemblea
popolare con il compito di eleggere i magistrati minori, cioè gli edili e i questori; erano l'assemblea più
completa, formati da tutti i cives suddivisi in tribus ("tribù") in base al luogo in cui abitavano; erano in
numero di 35; 4 urbane e 31 rustiche. Si radunavano nel Foro, eleggevano i magistrati minori o sine imperio
(quaestores, aediles, tribuni plebis) ed emanavano le leggi.
Inizialmente vi partecipavano solo i cittadini di condizione plebea per cui erano chiamati concilia plebis e le
loro deliberazioni plebiscita (plebis scita) avevano valore di legge. Solo successivamente, quando tali
assemblee acquistarono maggiore importanza, vi parteciparono anche i patrizi e le loro deliberazioni
assunsero valore di legge in base alla lex Hortensia (287 a.C).
- concilia plebis: l'assemblea della plebe, che, grazie alle lotte politiche combattute dal VI al III sec. a.C,
ottenne sempre più potere e il compito di eleggere i tribuni della plebe.
Per approfondimenti http://www.maat.it/livello2/roma-leggi-elettorali.htm
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