PSR J1719-1438
Era cominciato con una nota aziendale degli americani: tagliare i costi del venti per
cento, tutti a fare la propria parte. Quella di Luisa, tra le altre cose, era di ridurre i
costi delle fotocopie.
Stampò la lista degli ordini mandati alla vecchia Xerox nell’ultimo trimestre:
la lista, piuttosto lunga, includeva il nome del documento e chi lo aveva stampato.
Per prima cosa, cancellò dalla lista dei possibili sospetti quadri e dirigenti: Luisa era
una donna prudente, non voleva che il venti per cento di tagli del personale
cominciasse con il suo nome; poi tolse le Risorse Umane, che indipendentemente da
quello che stampavano, erano quelli con il tuo contratto in mano; poi tolse il suo
nome. Stampava sempre bolle per i corrieri, ricevute e circolari interne e se in mezzo
capitava che stampasse i volantini per la raccolta cibo per la colonia felina non
pensava dovesse importare a nessuno. Ma rimanevano ancora un bel po’ di stampe,
in effetti: facendo due conti, tra carta e toner, si potevano risparmiare forse qualche
decina di euro all’anno; più o meno il costo lordo orario del suo straordinario per
chiudere il progetto entro la scadenza arrivata dall’America. Si mise con dedizione
certosina a spulciare nomi e documenti restanti, per vedere chi approfittasse degli
asset aziendali.
Ripulì facilmente la lista dai documenti lavorativi, email, circolari interne che
poi trovava regolarmente nel raccoglitore della differenziata: quello che rimaneva
erano prenotazioni di vacanze, articoli di riviste, biglietti aerei per weekend in
qualche capitale europea low-cost, email di amanti, mogli e figli, calendari di tornei
di calcetto, menù di feste per bambini e ricette di piatti esotici. Solo, un documento,
stampato almeno una volta alla settimana, sfuggiva a una immediata identificazione:
quello chiamato PSR J1719-1438. Era stampato da un dipendente di medio livello,
arrivato in azienda da un paio di anni: occhiali spessi, schivo. Tommaso era un
revisore di conti che faceva veloci pause caffè, pranzava da solo non si sapeva bene
dove (di certo non alla mensa, né con i colleghi che mangiavano alla tavola calda
della Tamara) e poi se ne andava salutando a mezza voce. Luisa si mise a cercare nel
database aziendale se la sigla PSR J1719-1438 facesse riferimento a qualche codice o
progetto interno, senza fortuna. A fine giornata chiuse in un cassetto nomi e
stampate incriminate (lasciando in stand-by quelle di Tommaso) segnò lo
straordinario e tornò a casa.
Il giorno dopo, continuò il lavoro di controllo della lista dei documenti, con
un occhio in tempo reale al server degli ordini mandati a stampare. Quando vide
partire il documento PSR J1719-1438, si lanciò di scatto per intercettare Tommaso
alla Xerox.
“Scusa” gli disse, urtandolo gentilmente al fianco, poi infilò la mano sotto la
stampante: Tommaso fece un salto indietro, spaventato. Purtroppo per Luisa, lui
aveva già i fogli tra le mani e lei afferrò solo il vuoto. Gli sorrise comunque e tornò al
suo cubicolo.
A casa, la sera, Luisa tirò fuori velocemente l’insalata greca che aveva
preparato per cena e si buttò subito sul divano, portatile in mano: per prima cosa
spedì la newsletter agli iscritti alla colonia felina – di cui era presidente e segretaria –
e poi, gatta da un lato e insalata dall’altro, si mise a cercare informazioni su PSR
J1719-1438. Aveva paura che fosse qualcosa di volgare o illegale, ma ben presto si
tranquillizzò; poi si incuriosì; poi prese la gatta e se la mise sulle ginocchia per farla
smettere di miagolare anche se aveva ancora addosso il tailleur nero che poi sarebbe
rimasto coperto di peli e continuò a leggere e prendere appunti. PSR J1719-1438 era
una stella.
Le chiacchiere alla macchina del caffè persero interesse per Luisa; sbrigava
rapidamente posta e corrieri, rispondeva a monosillabi al telefono, gli occhi fissi alla
stampante, a quante volte Tommaso si alzava, quanto stava via. Tommaso era
sempre tra gli ultimi a uscire (normale, a fine trimestre) e anche lei cominciò a uscire
sempre un po’ più tardi. PSR J1719-1438 aveva ora un raccoglitore dedicato, sulla
scrivania di Luisa. Cominciò a notare ordini e fatture che prima aveva ignorato
pensando che fossero relative a progetti lavorativi, ma che ad un controllo più
attento non erano associabili ad alcuna commessa aziendale: ordini di materiali
elettrici, cavi, schede madri, computer di ultimissima generazione, antenne e
ricevitori. La curiosità era insotenibile: Luisa si fece coraggio e una sera si trattenne
in ufficio fino a che non rimasero lei e Tommaso. Quando anche lui se ne andò, Luisa
poté sgattaiolare indisturbata verso la sua scrivania: si sentiva un po’ sciocca, ma si
fece coraggio e iniziò a frugare tra le cose di Tommaso. Non che ci fosse molto sulla
scrivania: un’agenda con i numeri degli interni dell’ufficio e alcuni fornitori;
cancelleria ordinata in piccole scatole numerate; un calendario senza alcuna data
segnata per tutto l’anno. La nitida bianchezza della scrivania mancava di
qualuncque segno di vita: niente briciole, capelli, o altre tracce che l’occupante di
quel cubicolo fosse vivo. Ancora più confusa, Luisa si stava alzando quando notò nel
cestino un post-it con solo una parola: Lem.
Questa volta, arrivata a casa, non mandò nemmeno la newsletter alla colonia
felina e si mise a cercare “Lem” e dopo alcuni vicoli ciechi trovò finalmente quello
che cercava: uno scrittore di fantascienza polacco. Luisa non era una lettrice forte,
quindi cercò film tratti dai romanzi di Lem, sperando di arrivare al cuore del mistero
di Tommaso in un paio di ore. Si svegliò sul divano, con la gatta che insisteva per la
colazione, con un fermo-immagine dello straming di Solaris ancora sullo schermo del
portatile.
Era veramente troppo per Luisa, così chiamò la colonia felina e spostò la
riunione settimanale. Come presidentessa e segretaria poteva prendersi delle libertà:
anche liberarsi una sera alla settimana, il martedì, per seguire un corso di astronomia
di base al Circolo cittadino della Scienza e della Tecnologia.
Al primo appuntamento, Luisa trovò uno sparuto numero di uomini, qualche
ragazzino accompagnato dai genitori e inaspettatamente anche due anziane gattare
del quartiere. Il corso si teneva in cima ad una vecchia casa-torre, ora museo delle
scienze e circolo astronomico. In cima alla stretta scala di pietra, il gruppo trovò un
uomo magro, alto, con una targhetta appuntata alla giacca con su scritto Gianni,
quattro telescopi amatoriali e una lavagna. Luisa prese diligentemente appunti per le
prime lezioni, mentre sbirciava sempre più curiosa i telescopi, aspettando il
momento in cui li avrebbero usati. Quando finalmente iniziarono a guardare le stelle
sul serio, per Luisa fu come riscoprire un meraviglioso gioco di bambina
dimenticato: unire i puntini tra le stelle e farne bestie mitologiche, eroi o gattini, un
gioco che non si sarebbe mai stancata di giocare. Non le dispiaceva neanche che
Gianni passasse sempre un po’ più di tempo a regolare le lenti del suo telescopio di
quanto non facesse con gli altri. Non ci volle molto prima che si scambiassero i
numeri di telefono.
Luisa sorrideva ai goffi e innocui commenti di Gianni sulla sua collezione di
telescopi, uno veramente professionale, che teneva nella casa di campagna, dove le
luci della città non offuscavano la nitidezza di quelle delle stelle. Accettò sorpresa
ma di buon grado un invito a cena per la settimana seguente.
La relazione per gli americani era quasi pronta: mancava solo la parte di
Tommaso, che stampava ormai sempre di più e sempre più spesso, con grande
disappunto di Luisa, che non era ancora mai riuscita a mettere le mani su una copia
dei suoi documenti.
Trovò Gianni che la stava già aspettando al ristorante, la giacca buona,
pettinato. Quando la vide, rimase immobile qualche secondo, folgorato dal tubino
nero di Luisa che suggeriva curve, ellissi e forze gravitazionali non mappate nei suoi
libri. Però si riprese subito, alzandosi e aiutando Luisa a sedersi davanti a lui.
Gianni lasciò presto il suo tono da insegnante e cominciarono a chiacchierare.
Ai secondi sembrò a Luisa il momento giusto per fare la domanda che aveva dentro.
“La conosci una stella, che si chiama PSR J1719-1438?”
“Oh, no”, la mano già al palmare, a cercare quella stella per lei. Gianni, gli
occhi fissi sullo schermo, continuò da lì: “Ah, ok, certo. È una stella, una pulsar,
come mai?”.
“Curiosità. E ci possono mica essere extraterrestri su PSR J1719-1438?”
“No” rispose Gianni, ora più sicuro di sé “è una Pulsar, una stella di neutroni,
estremamente densa; la tua è un sistema stella-pianeta, in effetti.”.
“E che tu sappia, ci sono pianeti abitabili, lì?”
“Dici potenzialmente abitabili o proprio con, tipo, extraterrestri?”
“Sì. Alieni. Che possono venire sulla Terra, che possono già essere qui? Se c’è
un pianeta, magari ci sono...”
“No, il pianeta che orbita intorno alla tua stella, che poi era pure lui una stella,
poi l’attrazione dei PSR J1719-1438 l’ha spogliata della sua massa finché non è
rimasto il cuore, un cuore di carbonio, non è abitabile.”
“E non ci può essere vita, lì sopra.”
“Eh, no, ma la cosa curiosa è che il cuore di carbonio è molto denso,
probabilmente sarà un diamante. Il diamante più grande della galassia. Lontano da
qui, quattro mila anni-luce da noi, nella costellazione del Serpente. Se sei interessata
alle Pulsar posso girarti delle dispense…”
Luisa si sarebbe aspettata una costellazione più romantica, Chioma di
Berenice, Pesce Volante, Cigno, o anche semplicemente i Gemelli, il suo segno. Ma
Gianni aveva già spiegato che quella cosa dei segni era tutta sbagliata, anche solo
perché la posizione della Terra rispetto agli astri era cambiata nei millenni, mentre le
case zodiacali no. Era delusa e in qualche modo sollevata allo stesso tempo; Gianni,
che non aveva capito ma gli sembrava di andare bene, giocò la sua ultima carta della
sera: “Quando ho detto che era la tua stella, lo intendevo.”
Luisa lo guardò, confusa.
“Un diamante. Per te”, balbettò Gianni.
Allora lei sorrise: “e si può vedere? Con il tuo telescopio professionale?”.
Prima del dolce, Luisa sfiorò la mano del ragazzo nel prendere il pane, ma non si
fece baciare sulla porta di casa.
La raccolta di informazioni su PSR J1719-1438 prendeva ora un intero faldone;
Luisa decise di aggiornare il report sulle stampate e consumo di toner togliendo ogni
riferimento a Tommaso e se stessa.
La casa di campagna di Gianni era un semplice casolare con un camino, una
sala rustica e una camera su un piccolo giardino, con acri e acri di cielo sopra. Lui
buttò la frase, così, ma Luisa rimase tanto colpita che lui si trovò ad ammettere che
era una citazione da una canzone.
“Allora, si può vedere la PSR J1719-1438?”
Gianni sospirò e dovette ammettere che no, ci sarebbe voluto un
radiotelescopio.
“Posso farti vedere in che direzione si trova, però.”
E con piglio professoresco che fece sorridere Luisa, tirò fuori il suo telescopio
professionale. La notte era chiara e Luisa capì davvero perché l’agglomerato di stelle
sopra la sua testa si chiamava nebulosa e perché quel braccio si chiamava Via Lattea.
Baciò Gianni sulle note di Into White; se sospettò che la cosa degli acri di cielo e il cd
già nello stereo non fosse del tutto casuale, non lo diede a vedere.
Il telescopio era davvero professionale, poteva anche fare foto ad alta
risoluzione, foto che presto cominciarono a occupare il posto dei gattini sul pannello
di sughero nel cubicolo di Luisa. Una mattina che arrivò in leggero ritardo al lavoro,
trovò Tommaso a fissarle. “Che belle”, le disse solo. Lei era sinceramente d’accordo e
con insospettata facilità si accordarono per andare a pranzo insieme.
Luisa tirò fuori il piccolo Tupperware con la sua insalata e si fece trovare alla
macchina delle timbrature alle dodici esatte. In strada Tommaso era imbarazzato:
parlarono solo di lavoro finché lui non comprò il suo panino al bar e guidò Luisa
verso un parco condominiale lì vicino, dove si accomodarono su una panchina a
mangiare.
“Ti piacciono le stelle”, le disse, all’improvviso. Un’affermazione.
“Ah, sì” rispose, sincera. “Da poco, però. A te?”
Tommaso ci pensò su. “Piacciono non è la parola. Non saprei, è più un
bisogno, credo. Come qualcosa che ti manca ma che non sai cos’è; e non sai come
ritrovare.”
Luisa non capiva e rimase zitta. Tommaso continuò: “Non credi che esistano
pianeti abitabili, altra vita, da qualche parte?”
Su questo Luisa era preparata: “bè, il pianeta abitabile più vicino al sistema
solare è a sedici anni-luce”, ma Tommaso no sembrava interessato ai dettagli
astronomici, lo sguardo fisso davanti a sé.
“E lo sai qual’è il più lontano?” chiese ancora. Luisa balbettò una risposta, ma
dopo rimasero in silenzio e tornando al lavoro parlarono solo dell’ufficio.
A volte, Tommaso si fermava ancora a guardare le foto delle stelle, quando si
trovava a passare alle parti della scrivania di Luisa, se lei era in pausa caffè; ma
quando la ragazza tornava al suo posto, Tommaso scivolava via, senza una parola.
Poi le foto delle stelle si trovarono a dover lasciare posto a foto di Luisa e Gianni in
gita ai laghi, all’aperitivo, a Parigi, raggiungendo quelle dei gattini in un cassetto.
Anche il faldone di PSR J1719-1438 passò dalla scrivania all’armadio nel ripostiglio
con le fatture degli anni passati.
Era un venerdì pomeriggio di fine estate, Luisa aspettava ansiosa la chiamata
di Gianni per uscire, andare insieme ad un concerto di musica rinascimentale,
appropriatamente chiamato “La Musica delle Sfere”. Quando Starman, la suoneria
che aveva scelto per lui, si alzò dal telefono, Luisa lasciò il computer aperto
sull’ultima email ancora non letta e si precipitò fuori, dimenticandosi anche di
timbrare il cartellino:
HR_DEPT – 18.43 – 09-09-2015
To: All departments
Organizational Announcements
L’Ufficio delle Risorse Umane informa che Tommaso Minieri lascia l'azienda con effetto
immediato per perseguire altre opportunità di carriera. Lo ringraziamo per il suo servizio e
gli auguriamo ogni bene nelle sue attività future.