Didasfera - Ambiente didattico digitale «L’uomo che spesso ti senti promettere». Ideologia e propaganda ai tempi di Augusto – II parte L'ideologia augustea: le idee cardine Augusto non si accontentò di rievocare in prima persona le proprie imprese, anche perché era consapevole che il farsi storico di se stesso lo esponeva all'accusa di fornire una interpretazione soggettiva dei fatti, rileggendoli e manipolandoli a proprio vantaggio. Egli ebbe, invece, la felice intuizione di circondarsi, grazie alla collaborazione del fidato Mecenate, di scrittori e artisti, cui chiese non tanto di celebrare le sue imprese, sebbene molte opere architettoniche e scultoree rispondano a questo intento, quanto piuttosto di codificare in un sistema coerente e di diffondere a un ampio pubblico i suoi programmi, la sua visione della politica e del destino di Roma, in una parola: la sua ideologia, che era poi l'ideologia del principato. Quale obiettivo si proponevano gli artefici della propaganda augustea? Essi si trovavano davanti a un compito esaltante: creare i miti fondatori di una nuova era, quella del principato. Un'epoca, quella repubblicana, si era chiusa per sempre e gli uomini che avevano vissuto sulla propria pelle quel burrascoso periodo di transizione ne erano ben consapevoli, al di là delle formali dichiarazioni, da parte di Augusto e del suo entourage, di aver preservato l'autorità del senato e dei tribuni della plebe. A parole, nulla era cambiato; nei fatti, tutto era cambiato. Occorrevano nuovi punti di riferimento ideologici, che conservassero però dei punti di contatto con il passato, per non suscitare l'impressione di una traumatica frattura. Pertanto gli scrittori del circolo di Mecenate, primo fra tutti Virgilio, che fu il principale artefice dell'ideologia augustea, si attennero a una geniale operazione di restyling: recuperarono i miti fondatori della storia romana, come il patriottismo, il senso del dovere, il sentimento del sacro, la sobrietà dei costumi contadini, e li reinterpretarono in chiave attuale. Come tutte le idee semplici ma efficaci, fu un successo. Esaminiamo ora nel dettaglio gli elementi più significativi dell'ideologia augustea, così come sono presentati nelle pagine degli scrittori dell'epoca e in alcuni monumenti particolarmente significativi. La pace ritrovata Tu, Romano, ricorda di esercitare il tuo dominio sui popoli - queste saranno le tue arti - e di stabilire le norme per la pace: risparmiare i sottomessi; debellare i superbi. Con queste parole, pronunciate da Anchise nei Campi Elisi con tutta la solennità di una profezia post eventum, Virgilio riepiloga, nel VI libro dell'Eneide (vv. 851-853), la missione civilizzatrice e pacificatrice che, a suo modo di vedere, caratterizzava l'espansione territoriale di Roma e, sotto il profilo etico, la giustificava, in quanto "provvidenziale", voluta dagli dei per il bene dell'umanità. Se la lapidaria e celeberrima formula del «risparmiare i sottomessi, debellare i superbi» oggi a noi sembra una emblematica definizione dell'ideologia imperialista, scritta a giustificazione della spietata repressione destinata alle popolazioni che rifiutarono di arrendersi a Roma (si veda la scheda Nemici di Roma o difensori della libertà? Una riflessione sull'imperialismo romano - I parte), i lettori dell'epoca non si soffermavano sulla violenta ingiustizia insita in essa, ritenendola un logico corollario delle responsabilità che competono a chi detiene il potere; a emozionarli, piuttosto, era l'annuncio del ritorno della pace sulla Terra; a coinvolgerli, il compito di custodire e diffondere la fragile conquista, frutto di un secolo di conflitti armati tra concittadini. Il tema della pace, infatti, è centrale nella ideologia augustea poiché indubbiamente la prosperità economica e il rigoglio culturale dell'epoca non sarebbero stati possibili se non fosse cessata la guerra civile che per tutto il I secolo a.C., a partire dallo scontro tra Mario e Silla, aveva dilaniato la repubblica romana. Se a posteriori lo storico Tacito, vissuto a cavallo tra I e II secolo d.C., esprimerà un forte rimpianto per la libertas repubblicana, dando del principato augusteo questa pessimistica valutazione «Non vi era stato altro rimedio alle discordie della patria se non che fosse governata Pagina 1/6 Didasfera - Ambiente didattico digitale da uno solo» (Annali, I, 9, 4), gli scrittori del circolo di Mecenate sono sinceramente entusiasti per la conclusione delle guerre civili, tanto è vero che, pur non mancando le celebrazioni delle vittorie militari di Augusto, l'accento più forte è posto proprio sul tema della pace ritrovata, questo valore positivo e condiviso da tutti i cittadini, intorno a cui coagulare le migliori energie. Ancora in pieno clima di guerre civili, alla pacificazione di Roma Ottaviano era già invitato da Virgilio nelle Georgiche (I, 500-514), composte tra il 38 e il 30 a.C. La gioia per la pace restituita è così espressa da Orazio nelle Odi (IV, 15; v. anche IV, 5, 4-32): O Cesare, la tua epoca ha riportato messi feconde nei campi ed ha restituito le insegne abbattute dalle superbe porte dei templi dei Parti; ha chiuso le porte del tempio di Giano Quirino, aperte per le guerre, ed ha stabilito un freno alla anarchia che si allontanava dal giusto ordine; ha scacciato le colpe ed richiamato le antiche virtù, grazie alle quali sono prosperate il popolo latino e la potenza dell'Italia, la gloria e la maestà dell'impero, estesa dal letto del Sole, ad Occidente, sino al luogo del suo sorgere, ad Oriente. Finché lo Stato sarà sotto la custodia di Cesare, né la follia della guerra civile né la violenza né l'ira, che forgia sull'incudine le spade e suscita ostilità tra città sventurate, scacceranno la pace. I popoli che bevono l'acqua del profondo Danubio non infrangeranno gli editti della Casa Giulia né i Geti, i Seri, gli infidi Parti né coloro che sono nati presso il fiume Tanai. E noi, nei giorni di lavoro come in quelli festivi, grazie ai doni del giocoso Libero, in compagnia di mogli e figli, assolte le invocazioni di rito agli dei, secondo il costume dei nostri antenati, canteremo, accompagnati dai flauti lidii, i condottieri che diedero prova di valore, Troia, Anchise e la stirpe di Venere datrice di vita. In questi versi a colpirci è, in primo luogo, la celebrazione di Ottaviano, designato con l'appellativo onorifico di Cesare, in termini che non appartengono più all'ideologia repubblicana ma si avvicinano piuttosto alla concezione egizia e persiana di monarchia assoluta, in cui al sovrano viene attribuita una natura più che umana, divina (e, come vedremo, «divino» sarà definito Cesare - e quindi, per estensione, anche il di lui figlio adottivo Augusto - da Virgilio nel VI libro dell'Eneide). Inoltre Orazio, come Virgilio (si veda il paragrafo Il mos maiorum: religione, patria e famiglia), istituisce un collegamento tra la gens Iulia, cui appartiene il princeps, e il mitico fondatore di Roma, Enea. Di qui l'annuncio di voler comporre un'opera, forse un poema, incentrata sulla figura dell'eroe troiano, il quale, non dimentichiamolo era di origine semidivina, il che autorizzava anche i suoi discendenti a considerarsi più che semplici mortali. Le parole di Orazio ci fanno intuire che Augusto, probabilmente per tramite di Mecenate, doveva aver esercitato delle pressioni sugli scrittori del suo entourage perché componessero un'opera encomiastica che celebrasse la sua casata collegandola a uno dei miti fondativi di Roma; tale compito sarà portato a termine non da Orazio, la cui arte, fondata sulla concisione e la perfezione formale, dava il meglio di sé in brevi componimenti, bensì da Virgilio e l'opera sarà, appunto, l'Eneide. Venendo al tema della pace ritrovata, nei versi di Orazio esso risulta centrale nell'esaltazione del principato augusteo; il poeta prende spunto da un fatto storico, la chiusura del tempio di Giano, le cui porte restavano aperte finché nei territori romani era in atto una guerra, affinché il dio potesse accorrere in soccorso dei cittadini. La cerimonia di chiusura delle porte fu officiata ben tre volte sotto il regno di Augusto, ma la prima e la più significativa, perché poneva termine alle guerre civili, fu quella avvenuta nel 29 d.C., dopo la battaglia di Azio. Partendo da questo dato storico Orazio svolge considerazioni più generali sulla prosperità e serenità che il ritorno della pace garantirà ai cittadini di Roma, simboleggiate dai doni di Libero, epiteto riservato a Dioniso, dio della vite ma più in generale divinità che presiede al ciclo vegetativo stagionale e dunque al propagarsi della vita. Le benefiche conseguenze della pace - così almeno egli si augura - si estenderanno anche alle popolazioni tradizionalmente nemiche come i Germani, i Parti e gli Sciti (nati sul fiume Tanai, l'odierno Don), creando il suggestivo, seppur utopico, panorama di un mondo interamente pacificato. Che la pace ritrovata fosse un'ottima carta da giocare nella costruzione del consenso al principato, Augusto ne era ben consapevole; perché questo messaggio raggiungesse non soltanto i ceti dirigenti, ma anche la popolazione, egli ebbe la geniale intuizione di associare la pace a un monumento grandioso, che, collocato in una posizione strategica, si imponesse allo sguardo di tutti e, costruito nel marmo, fosse destinato a durare nella memoria delle generazioni future. Venne così edificata per decreto del Senato l'Ara Pacis Augustae, l'altare dedicato alla dea Pace, situato nell'area del Campo Marzio destinata alla celebrazione dei trionfi militari. Completato nel 9 a.C., fu presentato alla popolazione nel Pagina 2/6 Didasfera - Ambiente didattico digitale corso di una solenne cerimonia di "inaugurazione", che costituiva anche il momento della consacrazione ufficiale. L'altare vero e proprio era custodito all'interno di un recinto rettangolare di marmo, decorato da pannelli a rilievo di raffinatissima fattura, che raffigurano simboli fondamentali della identità romana, come il Lupercale - la grotta in cui la Lupa avrebbe allattato Romolo e Remo -, la cerimonia con cui Enea aveva trasferito i penati troiani a Roma, la dea Roma; a essi si affianca, istituendo un parallelismo tipico della propaganda augustea tra la fondazione di Roma e la rifondazione attuata da Augusto, la rappresentazione della processione di consacrazione dell'Ara stessa. In quest'ultima scena compare Augusto in persona, seguito da personaggi della famiglia imperiale come Tiberio, il futuro imperatore, Giulia, figlia di Augusto, e il di lei marito Agrippa, il generale trionfatore nella battaglia di Azio. Accusa, peraltro, fondata: se esaminiamo, per esempio, i passi delle Res gestae citati nel paragrafo Augusto celebra se stesso, ci troviamo subito di fronte a una - geniale - mistificazione ideologica. Augusto si presenta, infatti, come un fedele prosecutore della Repubblica, sottolineando il fatto di aver rivestito le cariche tradizionali del cursus honorum romano, come il consolato e la potestà tribunizia; la continuità, almeno apparente, con le istituzioni repubblicane sarà una costante della propaganda augustea, onde mitigare l'ostilità del Senato che era stata fatale a Cesare, ma si tratta, appunto, di una mistificazione, dal momento che assumere in contemporanea e per molteplici anni più magistrature, come fece Ottaviano, significava annullare il sistema di reciproci controlli e di rotazione annuale previsto dal sistema repubblicano proprio per evitare l'instaurarsi di un potere personale e assoluto. Per l'importanza nella ideologia augustea di Venere, madre di Enea, come divinità promotrice di vita, sulla scia del De rerum natura di Lucrezio, si veda: <http://www.engramma.it/engramma_revolution/58/058_saggi_centanniciani.html> (11/14) È interessante ricordare che dell'Ara Pacis, come di molti altri monumenti romani, si era persa memoria nell'Alto Medioevo; alcuni blocchi scolpiti, appartenuti all'altare, furono ritrovati nel Cinquecento; a metà dell'Ottocento furono recuperati altri fregi raffiguranti la scena del Lupercale, ma una sistematica campagna di scavi per portare alla luce l'intero monumento fu fatta soltanto durante il fascismo e venne completata nel 1938; fu allora che il monumento, nuovamente assemblato, venne collocato vicino al Mausoleo d'Augusto. Questo spostamento, frutto di una sensibilità archeologica diversa da quella attuale, che rispetta invece la collocazione originale delle opere, ritenendola essenziale per una comprensione storicamente corretta del loro significato, rispondeva anche a ragioni di propaganda politica del regime, che intendeva riunire in un unico luogo alcuni monumenti simbolici della grandezza di Roma antica, per celebrare la potenza del nuovo impero che il fascismo si proponeva di edificare. Tale intervento non è stata l'unica iniziativa di restauro dell'altare che abbia suscitato polemiche; anche la struttura protettiva in vetro e acciaio realizzata dall'architetto Richard Meier in tempi recentissimi - è stata completata nel 2006 - ha suscitato, forse a torto, perplessità in molti esperti. RIQUADRO 1 Il circolo di Mecenate e l'esilio di Ovidio: il rapporto tra letteratura e potere nell'età di Augusto Fra le varie iniziative culturali dell'epoca di Augusto, il circolo di Mecenate fu quella più significativa, poiché il suo patrono fu il più fedele interprete degli orientamenti politici e culturali del principato augusteo, svolgendo la funzione di intermediario tra letteratura e potere. Mecenate seppe coinvolgere i più grandi poeti del suo tempo nelle trasformazioni politiche e culturali dell'epoca, stimolando la rinascita di una letteratura impegnata e attenta alla realtà circostante. Gaio Cilnio Mecenate, proveniente da un'antica famiglia etrusca, apparteneva al ceto equestre, tra le cui file Augusto aveva scelto di reclutare la maggior parte dei suoi funzionari e uomini di fiducia; le doti politiche e diplomatiche lo resero uno dei più fidati consiglieri del sovrano. Mecenate si dedicò in prima persona alla letteratura: dei suoi scritti ci restano alcuni frammenti, a testimonianza di un'arte scherzosa e disimpegnata. Il suo nome, però, resta legato soprattutto al circolo letterario che creò e che si proponeva l'obiettivo di incentivare le arti fornendo una sede per le discussioni letterarie, suggerendo spunti per orientare il dibattito letterario e sostenendo economicamente gli scrittori che si trovassero in difficoltà finanziarie. Del circolo fecero parte Virgilio, Orazio, Properzio e altri autori minori. In questa scheda gli autori dei quali ci occuperemo saranno Virgilio e Orazio. Pagina 3/6 Didasfera - Ambiente didattico digitale Di Publio Virgilio Marone è presto detto: il più celebre scrittore romano, l'Omero latino, era di origine mantovana; in giovinezza studiò filosofia a Napoli e fece parte del circolo culturale di Asinio Pollione. L'ingresso nel circolo di Mecenate gli consentì di far conoscere le proprie opere a un vasto pubblico. Di salute cagionevole e di temperamento riservato, visse lontano dalla mondanità della capitale. Ammalatosi nel corso di un viaggio in Grecia, morì a Brindisi nel 19 a.C., senza aver potuto revisionare l'Eneide, che egli avrebbe anzi voluto bruciare. L'Eneide, la più celebre opera della letteratura latina, narra, riallacciandosi all'illustre antecedente dei poemi omerici, le peripezie di Enea, fuggito da Troia dopo l'incendio della città a opera dei Greci. Attraverso una perigliosa navigazione nel Mediterraneo, Enea raggiungerà, secondo la volontà del Fato, le coste del Lazio, per stabilirvisi; il figlio Iulo fonderà la città di Alba Longa, dalla quale si svilupperà la civiltà latina che creerà Roma. Altre opere fondamentali di Virgilio sono i dieci componimenti di ambiente pastorale, le Bucoliche, composte tra il 42 e il 39 a.C., e il poema didascalico in quattro libri, le Georgiche, sull'arte di coltivare i campi, composte tra il 37 e il 30 a.C.. Autore di Satire, Odi ed Epistole in versi, che ci tracciano un affresco della società romana dell'età di Augusto, Quinto Orazio Flacco, il poeta che invitava al carpe diem, a cogliere l'attimo, proveniva dall'Italia del Sud ed era di umili origini, in quanto figlio di un liberto divenuto esattore delle tasse, ma godeva di una buona posizione economica che gli consentì di compiere studi di indirizzo umanistico. La sua partecipazione alla battaglia di Filippi dalla parte dei Cesaricidi implicò, dopo la sconfitta di questi ultimi, la confisca dei beni del poeta, ma grazie alla notorietà ormai acquisita dalle sue opere, nel 38 a.C. fu ammesso al circolo di Mecenate, del quale divenne anche amico personale, così come di Virgilio. L'iter politico e letterario di Orazio ci conferma l'efficacia della politica culturale augustea, che seppe attrarre nella propria orbita anche chi in giovinezza aveva parteggiato per la repubblica. Per Orazio, infatti, come per Virgilio, l'adesione all'ideologia del principato non fu di facciata, ma autentica, riconoscendo gli indubbi vantaggi, in termini di pace e di prosperità economica, che Augusto aveva saputo garantire. Non apparteneva al circolo di Mecenate, invece, e con tutta probabilità si trattava di una deliberata esclusione, Publio Ovidio Nasone, noto poeta di elegie d'amore e del celeberrimo trattato Ars amatoria, L'arte d'amare, che, rifacendosi scherzosamente al genere del poema didascalico, insegnava a uomini e donne le tecniche di seduzione nei confronti dell'altro sesso. Di temperamento brillante, mondano e spregiudicato, Ovidio era assai lontano dalla austerità morale che permeava l'ideologia augustea; tuttavia, dopo l'ascesa al potere di Ottaviano, tentò di elevare il tono dei propri componimenti, nella speranza di divenire, come Virgilio, poeta ufficiale del principato. Nacquero così il poema mitologico le Metamorfosi, considerato il suo capolavoro, e i Fasti, una raccolta di elegie che illustrano le leggende o gli episodi storici che hanno dato origine alle ricorrenze e festività del calendario romano, in ossequio alla politica augustea di recupero del mos maiorum. Ovidio, tuttavia, non riuscì a inserirsi a pieno titolo nella nuova temperie culturale che si andava delineando sotto il principato augusteo: nell'8 d.C fu relegato, ossia esiliato ma senza subire la confisca dei propri beni, da Augusto nella città di Tomi, l'odierna Costanza, sul Mar Nero. Il poeta non fu mai richiamato a Roma, nonostante le reiterate suppliche da lui rivolte ad Augusto e poi al successore Tiberio. RIQUADRO 2 La propaganda augustea Il principato augusteo fu un momento di intensa fioritura culturale, tanto è vero che gli scrittori di quel periodo - i poeti Virgilio, Orazio, Ovidio; lo storico Tito Livio - assunsero subito lo statuto di classici, di modelli che le epoche successive avrebbero ripreso e imitato. Tale fioritura non fu casuale ma venne alimentata da Augusto attraverso un'ampia campagna di promozione della cultura, che si avvalse di svariati strumenti, dalla creazione di circoli culturali come quello di Mecenate, alla apertura delle prime biblioteche pubbliche, alla diffusione di sale di recitationes, ove si svolgevano pubbliche letture di poemi, come l'Eneide. Augusto aveva intuito, infatti, che gli intellettuali potevano costituire dei formidabili alleati nel divulgare l'ideologia del principato, diffondendone le idee ma anche semplificandole in efficaci slogan. Augusto stesso, del resto, era stato un letterato, sia pur dilettante: oltre alle Res gestae, aveva composto poesie, lettere e orazioni; l'esiguità dei frammenti pervenutici rende difficile esprimere un giudizio sulla qualità artistica ma essi testimoniano una sincera passione per la letteratura. La politica culturale di Augusto rappresenta d'altronde un elemento Pagina 4/6 Didasfera - Ambiente didattico digitale di continuità, seppur connotato da una consapevolezza politica assai maggiore, con la consuetudine del ceto dirigente romano d'Età repubblicana - si pensi a Cicerone - di affiancare alle attività pratiche (il negotium) momenti di riflessione artistica e filosofica (l'otium). Gli intellettuali risposero numerosi all'appello del princeps, in parte per ragioni di interesse economico, in parte perché sinceramente convinti della validità del programma augusteo. L'età di Augusto fu quindi attraversata da un grande fermento culturale e anche da un grande slancio intellettuale, che potremmo definire utopico (si pensi al mito del ritorno dell'Età dell'oro). Delle strategie utilizzate da Augusto per diffondere l'ideologia del principato merita di essere sottolineata la sorprendente attualità: Ottaviano, infatti, aveva ben compreso il ruolo fondamentale giocato dalla propaganda e dalla "pubblicità" nel consolidamento del potere. Un tema, questo, estremamente attuale, in quanto è stato soprattutto a partire dal Novecento, ossia dalla nascita di una società di massa in cui anche la comunicazione è diventata di massa, che la storiografia ha incominciato a dedicare grande attenzione al ruolo giocato dalla propaganda nella gestione del potere. La propaganda, infatti, contribuisce in maniera determinante alla costruzione del consenso dell'opinione pubblica rispetto alle scelte governative, anche quando esse rischiano di risultare poco coinvolgenti per la popolazione o decisamente impopolari. Augusto non possedeva di certo il formidabile arsenale di mezzi di comunicazione di massa di cui dispongono gli stati moderni, ma aveva molto denaro da investire in pubbliche elargizioni alla plebe e poteva contare su intellettuali di prima grandezza. Egli fu anzi un comunicatore tanto accorto e consapevole da giocare su due diversi livelli di comunicazione: più diretto e immediato per la popolazione, attraverso i monumenti, ma anche i grandi spettacoli pubblici, dalle esibizioni dei gladiatori negli anfiteatri ai cortei di trionfo, nonché le distribuzioni gratuite di grano; più raffinato e complesso, attraverso la letteratura, per i ceti dirigenti. È indubbio, infatti, che il principato realizzato da Augusto sia stata una creazione politica geniale, frutto di audaci, difficili equilibri tra le richieste dei diversi ceti sociali, primo fra tutti il Senato che solo pochi anni prima aveva armato la mano dei Cesaridi, e la concentrazione del potere nelle mani di un unico princeps. Equilibri difficili, appunto, che, come dimostrava proprio l'esempio di Giulio Cesare, non la minaccia delle armi poteva realizzare, bensì la costruzione di un ampio e solido consenso, raggiunto anche attraverso l'utilizzo della propaganda culturale. Naturalmente, vi era anche il rovescio della medaglia. Come in tutte le operazioni ideologiche, infatti, la propaganda culturale augustea prevedeva la censura delle idee in contrasto con le direttive del sovrano, sebbene, come abbiamo detto, Ottaviano cercasse il più possibile di avvicinare a sé e all'ideologia del principato gli intellettuali della propria epoca, di creare, insomma, un vasto consenso rispetto al proprio operato. La censura si concretizzava, per lo più, nell'esclusione dai circoli culturali degli intellettuali "non allineati", ma vi furono anche roghi di libri nel Foro romano; inoltre, per gli scrittori più compromessi fu addirittura decretato l'allontanamento da Roma, come ci testimonia la dolorosa sorte toccata al poeta Ovidio, esiliato a vita sul Mar Nero per aver scritto un'opera licenziosa come L'arte di amare, ma soprattutto per essere stato coinvolto in un qualche scandalo riguardante le donne della famiglia imperiale. L'inflessibilità dell'imperatore nei suoi confronti ci dimostra chiaramente che, al di là di tutte le pretese di continuità con l'Età repubblicana, era iniziata una nuova era dove la volontà del sovrano era l'unica legge che contasse. Pagina 5/6 Didasfera - Ambiente didattico digitale In questa unità Testo: Civiltà in rete Autore: Evelise Aimonetto Curatore: Maurizio Châtel Metaredazione: Donatella Piacentino Redazione: Francesca Cattina Revisione: Patricia Badji Editore: BBN Pagina 6/6