Capitolo 2 Sistemi meccanici 2.1 I sistemi di punti materiali Dopo avere definito l’ambiente spazio-temporale ed i sistemi di riferimento ad esso associati, nel presente capitolo introdurremo in forma assiomatica le leggi che governano il moto dei sistemi di corpi materiali. Lo schema più semplice di corpo materiale è quello in cui si prescinde dalla sua estensione e lo si identifica con un suo punto cui si associa la massa dell’intero corpo. Definizione 2.1.1 Un sistema di particelle materiali è un insieme finito X = {p1 , . . . , pN } a ciascun elemento del quale è associato un numero positivo mi (i 2 {1, . . . , N }) che prende il nome di massa della particella pi . Si chiama configurazione del sistema di particelle materiali X ogni N -pla ordinata (P1 , . . . , PN ) di punti di E; l’insieme EN di tutte le possibili configurazioni prende il nome di spazio delle configurazioni. Di fatto la configurazione di un sistema di particelle si assegna, concretamente, per mezzo degli N vettori posizione xi (i 2 {1, . . . , N }) rispetto a un’origine O, ovvero tramite le 3N componenti di tali vettori in un assegnato sistema di riferimento, cosicché lo spazio delle configurazioni può in definitiva identificarsi con R3N . Definizione 2.1.2 (baricentro di un sistema di particelle) Sia X un sistema di N particelle materiali di masse mi (i 2 {1, . . . , N }) e si consideri una configurazione di tale sistema individuata dai vettori xi (i 2 {1, . . . , N }). Definiamo baricentro (o centro delle masse) di X in tale configurazione il punto 33 34 G dello spazio individuato dal vettore posizione M xG = N X mi xi , (2.1.1) i=1 con M = N P mi massa totale di X. i=1 Consideriamo adesso un sistema X in moto rispetto a un certo sistema di riferimento. Tale moto si rappresenta per mezzo di n funzioni xi = xi (t), i 2 {1, . . . , N }, (2.1.2) che esprimono le equazioni finite del moto delle diverse particelle. Definizione 2.1.3 (quantità di moto di un punto materiale) Si definisce quantità di moto della i-sima particella del sistema X la grandezza vettoriale pi = mi v i , (2.1.3) dove v i = ẋi è la velocità di quella particella nel moto considerato. La definizione di quantità di moto si estende a un qualunque insieme di particelle per additività, nel senso che chiameremo quantità di moto di un insieme di particelle la somma delle quantità di moto delle singole particelle che lo compongono. In particolare, la quantità di moto totale di X è p= N X mi v i . (2.1.4) i=1 Teorema 2.1.1 (di Kelvin e Tait per i sistemi di particelle) La quantità di moto di un sistema di particelle coincide con la quantità di moto di un’unica particella che abbia massa pari alla massa totale del sistema e che si muova con il baricentro del sistema. Dimostrazione - Derivando la (2.1.1) rispetto al tempo e tenendo conto della (2.1.4), si ricava immediatamente l’identità p = M ẋG che prova il teorema. (2.1.5) ⇤ Al fine di illustrare una semplice conseguenza del Teorema di Kelvin e Tait, diamo la 35 Definizione 2.1.4 (sistema baricentrale) Siano R = {O, (e1 , e2 , e3 )} un riferimento e X un sistema di particelle materiali in moto. Si chiama riferimento baricentrale associato a R il riferimento RG = {G, (e1 , e2 , e3 )} con origine nel baricentro e base coincidente con quella di R. Per definizione, il moto del sistema baricentrale rispetto a R è traslatorio e la velocità di traslazione coincide con quella del baricentro; in particolare, il baricentro è evidentemente in quiete nel riferimento baricentrale cosicché il Teorema di Kelvin e Tait comporta, quale immediato corollario, il seguente Teorema 2.1.2 La quantità di moto di un sistema di particelle nel riferimento baricentrale è nulla. Definizione 2.1.5 (momemto della quantità di moto di un punto materiale) Si definisce momento della quantità di moto della i-sima particella del sistema X rispetto ad un certo polo A individuato dal vettore posizione xA (eventualmente in moto) la grandezza vettoriale hAi = (xi xA ) ⇥ mi v i . Come per la quantità di moto, anche la definizione del momento della quantità di moto si estende per additività a qualunque insieme di particelle. La quantità di moto totale rispetto al polo A vale hA = N X (xi i=1 xA ) ⇥ mi v i . (2.1.6) Il momento della quantità di moto di un sistema di particelle materiali dipende esplicitamente dal polo scelto e dunque si pone il problema di determinare la legge di trasformazione al suo variare. A questo scopo, denotato con B un secondo polo, si ha evidentemente N X hB = (xi xB ) ⇥ mi v i . i=1 Tenendo conto dell’evidente identità xi si ha hB = N X i=1 e dunque xB = (xi (xi xA ) + (xA xA ) ⇥ mi v i + (xA hB = hA + (xA xB ), xB ) ⇥ xB ) ⇥ p. N X mi v i i=1 (2.1.7) Dalla legge di trasformazione (2.1.7), tenuto conto del Teorema 2.1.2, segue immediatamente il 36 Teorema 2.1.3 Il momento della quantità di moto h0 di un sistema di particelle materiali in un sistema baricentrale è indipendente dal polo. Una ulteriore notevole proprietà del momento della quantità di moto è espressa dal Teorema 2.1.4 Il momento della quantità di moto rispetto al baricentro di un sistema di particelle materiali in un riferimento R coincide con il momento della quantità di moto nel riferimento baricentrale. Dimostrazione - Denotiamo con xi (t) e con x0i (t) (i 2 {1, . . . , N }) le equazioni finite del moto delle particelle in R e RG , rispettivamente. Si ha xi (t) = xG (t) + x0i (t), ẋi (t) = ẋG (t) + ẋ0i (t) (2.1.8) Tenuto conto di tali formule di trasformazione, dalla definizione di momento della quantità di moto rispetto al polo G segue hG = = N X i=1 N X i=1 = N X i=1 Il termine N P i=1 (xi xG ) ⇥ mi ẋi x0i ⇥ mi (ẋG + ẋ0i ) mi x0i ⇥ ẋG + N X i=1 x0i ⇥ mi ẋ0i . mi x0i si annulla, poiché esso individua la posizione del baricentro nel sistema baricentrale; il termine N P i=1 x0i ⇥ mi ẋ0i rappresenta invece il momento della quantità di moto h0 , indipendente dal polo, nel riferimento baricentrale. Si ha dunque hG = h0 (2.1.9) ed il teorema risulta cosı̀ provato. ⇤ Definizione 2.1.6 (energia cinetica di un punto materiale) Si definisce energia cinetica della i-sima particella del sistema X la grandezza scalare 1 (2.1.10) Ti = mi |v i |2 . 2 37 L’energia cinetica totale del sistema X è T = N X 1 i=1 2 mi |v i |2 . (2.1.11) Teorema 2.1.5 (di König per i sistemi di punti materiali) Siano T e T 0 le energie cinetiche di un sistema di particelle materiali X in un riferimento R e nel riferimento baricentrale RG ad esso associato. Si ha allora 1 T = T 0 + M |ẋG |2 . 2 (2.1.12) Dimostrazione - Dalla definizione di energia cinetica, e ricordando la formula di trasformazione (2.1.8)2 , segue T = N X 1 i=1 = N X 1 i=1 = La quantità N P i=1 2 2 mi |ẋi |2 mi |ẋG |2 + N X 1 i=1 2 mi |ẋ0i |2 + N X 1 M |ẋG |2 + T 0 + ẋG · mi ẋ0i . 2 i=1 N X i=1 mi ẋG · ẋ0i mi ẋ0i rappresenta la quantità di moto p0 totale del sistema nel riferimento baricentrale. L’enunciato segue allora dal Teorema 2.1.2. ⇤ Il Teorema di König si enuncia, in parole, dicendo che l’energia cinetica di un sistema è la somma di quella nel riferimento baricentrale e di quella che competerebbe a una particella la cui massa fosse pari a quella totale del sistema e che si muovesse come il suo baricentro. Questo secondo termine non è mai negativo e si annulla in tutti i riferimenti solidali al baricentro. Pertanto l’energia T 0 nel sistema baricentrale è la minima energia cinetica di un sistema di particelle materiali nella classe dei riferimenti in moto traslatorio. 2.2 I corpi rigidi Sovente nello studio dei fenomeni meccanici non è possibile prescindere dalle dimensioni degli oggetti ma si deve, al contrario, tenere conto del fatto che essi occupano regioni estese dello spazio che, a seconda della natura del corpo, possono essere tridimensionali (un pallone, una trottola), bidimensionali (un disco, la pelle vibrante di un tamburo, una bolla di acqua saponata), unidimensionali (una barra di metallo, una corda). In tali circostanze dobbiamo sostituire al modello del punto materiale quello del corpo continuo e, più in particolare, del corpo rigido, inteso 38 come una distribuzione continua di massa che mantiene la propria forma inalterata durante il moto. Iniziamo con il dare le necessarie definizioni e a studiare le prime proprietà connesse a tale modello. Definizione 2.2.1 (corpo continuo) Un corpo C si dice continuo di dimensione 1, 2 o 3 se è omeomorfo, rispettivamente, ad una curva regolare, ad una superficie regolare o a un dominio (aperto connesso) dello spazio E. Ogni omeomorfismo del corpo in una curva, una superficie, un dominio di E, secondo la dimensione dello stesso, prende il nome di configurazione del corpo. Scelta un’origine O per i vettori posizione, una configurazione si esprime in formule attraverso un’applicazione biunivoca e bicontinua : C ! E. L’equazione x = (p) (2.2.1) è la rappresentazione materiale della configurazione . L’immagine di un generico punto p di C è la posizione di p nella configurazione mentre l’immagine C = (C) dell’intero corpo è la regione occupata da C. L’attributo materiale con il quale si designa l’equazione (2.2.1) si giustifica in virtù della considerazione che in essa la particella materiale p figura come variabile indipendente. D’altra parte ogni configurazione istituisce, per definizione, un omeomorfismo tra il corpo C e la regione C che esso occupa e consente di identificare le particelle per mezzo dei loro vettori posizione. Cosı̀, ad ogni corpo continuo si suole associare una sua arbitraria configurazione ? , detta configurazione di riferimento, per poi esprimere tutte le altre in funzione di quella. Per ottenere tale risultato, denotato con ⇠ il generico elemento di C? = ? (C), è sufficiente invertire l’equazione ⇠ = ? (p) e comporre la relazione p= 1 ? (⇠) che in tal modo si determina con la (2.2.1), ottenendo x = (⇠) = 1 ? (⇠). La (2.2.2) è detta la rappresentazione lagrangiana della configurazione alla configurazione di riferimento ? . (2.2.2) rispetto Definizione 2.2.2 (corpo rigido) Un sistema continuo si definisce corpo rigido se esso può assumere solo quelle configurazioni in cui la distanza fra due qualsiasi particelle assume sempre il medesimo valore. 39 In formule, se (p) e ? (p) sono le equazioni di due configurazioni di un corpo rigido C, allora, comunque si fissino due punti p e q di C, deve aversi | (p) (q)| = | ? (p) ? (q)|. In particolare, ove si interpreti la ? come configurazione di riferimento, la precedente relazione equivale alla seguente altra |(⇠) (⌘)| = |⇠ ⌘| (2.2.3) la quale deve essere soddisfatta, qualunque sia la configurazione , per ogni coppia di punti ⇠ e ⌘ appartenenti alla regione C? occupata dal corpo nella configurazione di riferimento. La (2.2.3) esprime l’a↵ermazione che l’applicazione è la restrizione a C? di un’isometria dell’intero spazio E in sé; essa si rappresenta dunque nella forma x = (⇠) = (⇠ 0 ) + Q(⇠ ⇠ 0 ), ⇠ 2 C? , (2.2.4) nella quale ⇠ 0 è un qualsiasi elemento di E e Q è una rotazione di E. Poiché il vettore ⇠ 0 che figura in (2.2.4) è completamente arbitrario, è lecito assumere ⇠ 0 = 0 quando non vi siano motivi specifici a suggerire una diversa scelta. Posto allora xO0 = (0), la (2.2.4) assume la più semplice forma x = (⇠) = xO0 + Q⇠. (2.2.5) La (2.2.4), ovvero la sua forma particolare (2.2.5), esprime la rappresentazione della generica configurazione di un corpo rigido. Da essa si evince che una configurazione è completamente determinata quando si assegnino un vettore xO0 di E e una rotazione Q di E. Tale proprietà si esprime a↵ermando che lo spazio delle configurazioni di un corpo rigido C è E ⇥ Orth+ (E). Il numero di parametri scalari atto ad individuare la configurazione di un corpo rigido è sei: le tre componenti di un vettore posizione, che sono necessarie per stabilire la posizione di un prefissato punto del corpo, e i tre parametri (ad esempio gli angoli di Eulero) che occorrono per determinare la matrice rappresentativa di una rotazione. Possiamo pertanto a↵ermare che un corpo rigido possiede 6 gradi di libertà. Definizione 2.2.3 (moto di un corpo continuo) Un moto di un corpo continuo è un’applicazione che ad ogni istante t 2 I associa una configurazione del corpo. In formule, assegnata una configurazione di riferimento, un moto si rappresenta in forma lagrangiana mediante un’applicazione x = (t, ⇠), (t, ⇠) 2 I ⇥ C? . (2.2.6) 40 Ad ogni istante t 2 I l’immagine Ct = (t, C? ) dell’intero corpo rappresenta la regione che il corpo occupa all’istante t e ad essa ci si riferisce usualmente chiamandola regione occupata dal corpo nella configurazione attuale. In particolare, nel caso di un corpo continuo rigido la (2.2.6) deve essere ad ogni istante un’isometria di C? in Ct e deve quindi rappresentarsi nella forma x = (t, ⇠) = xO0 (t) + Q(t)⇠. (2.2.7) Le considerazioni che seguono sono volte a mostrare che a ogni corpo rigido è sempre possibile associare un particolare sistema di riferimento nel quale esso risulta essere in quiete. Teorema 2.2.1 Si considerino un corpo rigido C ed un suo generico moto di equazione (2.2.7) in un riferimento R = {O, (e1 , e2 , e3 )}. Allora C è in quiete nel riferimento R0 = {O0 , (e01 , e02 , e03 )} con origine nel punto O0 = O + xO0 e con vettori di base espressi dalle relazioni e0j = Qej = 3 X j 2 {1, 2, 3} Qij ei , i=1 dove le Qij (i, j 2 {1, 2, 3}) denotano le componenti di Q nella base {e1 , e2 , e3 }. Dimostrazione - Osserviamo innanzi tutto che, in virtù della formula di trasformazione (1.12.4), l’equazione del moto il moto (2.2.7) nel riferimento R0 è x0 = 0 (t, ⇠) = Q(t)⇠. Esprimendo tale relazione in componenti si ha 0 (t, ⇠) = 3 X Qih ⇠h ei = 3 X 3 X Qih Qij ⇠h e0j j,h=1 i=1 i,h=1 e dunque, in virtù delle condizioni di ortogonalità della matrice Q, 0 (t, ⇠) = 3 X j=1 ⇠j e0j . 41 Quest’ultima identità mostra che nel riferimento R0 ogni punto del corpo occupa una posizione fissa ed il teorema è cosı̀ provato. ⇤ In virtù del teorema appena mostrato a ogni corpo rigido C si associa un riferimento R0 = {O0 , (e01 , e02 , e0 3 )} nel quale C è in quiete e che, per tale ragione, chiameremo riferimento solidale al corpo. Nel riferimento solidale il corpo occupa una configurazione di equazione x0 = Q(t)⇠ (2.2.8) la quale può naturalmente assumersi quale nuova configurazione di riferimento. Ciò equivale a sostituire nell’equazione del moto la variabile ⇠, che rapresenta un vettore costante nel riferimento fisso, con la variabile x0 , che rappresenta invece un vettore costante nel riferimento solidale al corpo. Sostituendo dunque la (2.2.8) nella (2.2.7) questa assume la forma x = (t, x0 ) = xO0 (t) + x0 (t) (2.2.9) 0 in cui x (t) è la funzione che descrive il moto nel riferimento fisso della particella individuata dal vettore x0 solidale al corpo. L’equazione (2.2.9) coincide con la (1.9.2) in accordo con la considerazione che, sulla scorta del Teorema 2.2.1, la determinazione del moto di un corpo rigido C è ricondotta a quella del moto relativo del sistema di riferimento ad esso solidale rispetto a quello fisso. In particolare, i campi di velocità e di accelerazione @ (t, x0 ), @t @2 a(t, x0 ) = ̈(t, x0 ) = 2 (t, x0 ), @t v(t, x0 ) = ̇(t, x0 ) = (2.2.10) si riducono ai campi di velocità e accelerazione di trascinamento nel moto relativo di R0 rispetto a R ed hanno pertanto le espressioni lagrangiane (1.9.3) e (1.9.6). Entrambi i campi possono pure rappresentarsi nelle forme euleriane (1.9.5) e (1.9.7). Nell’ambito dello schema del punto materiale le proprietà inerziali di un corpo sono espresse da uno scalare positivo, la massa. Quando invece si considerano corpi estesi è necessario considerare che una stessa massa può distribuirsi in una stessa regione dello spazio in di↵erenti maniere occupandone parti diverse; per tale ragione risulta necessario esprimere non solo la massa complessiva di un corpo ma anche quella contenuta in ciascuna sua parte. In particolare, se la massa è distribuita con continuità nel corpo, è sufficiente l’assegnazione di una funzione, la densità di massa, per poter determinare la massa di ogni parte del corpo. Definizione 2.2.4 (corpo rigido materiale) Si definisce corpo rigido materiale la coppia (C, %) costituita da un copro rigido C e da un’applicazione % : C ! R+ , 42 che si denomina densità di massa di C. Associando al corpo C la configurazione di riferimento nel sistema solidale e componendo la densità di massa % con l’inversa della configurazione di riferimento si determina una nuova funzione ⇢0 : C 0 ! R + , con C 0 regione occupata da C nella configurazione di riferimento, che fornisce la rappresentazione lagrangiana della densità dei massa. Essa consente la determinazione della massa totale del corpo e di ogni sua parte; supposto per fissare le idee che il corpo rigido sia tridimensionale, chiamiamo massa di C l’integrale Z M= ⇢0 dv. C0 Più in generale, assegnata una qualunque parte A0 ✓ C 0 la massa contenuta in A0 è l’integrale Z m(A0 ) = ⇢0 dv. A0 Le considerazioni appena svolte si generalizzano ai continui bidimensionali e unidimensionale semplicemente sostituendo i precedenti integrali di volume con analoghi integrali di superficie e di linea. Si assegni ora una nuova configurazione del corpo C di equazione x = (x0 ). (2.2.11) Anche a questa nuova configurazione è possibile associare una densità di massa che consente la determinazione della massa contenuta in ogni parte del corpo. A questo scopo assumiamo che la massa m(A0 ) contenuta in una qualunque parte del corpo nella configurazione di riferimento sia la stessa contenuta nella sua immagine A = (A0 ) (principio di conservazione della massa); ciò comporta che la densità di massa ⇢ : (C 0 ) ! R+ da associare alla configurazione (2.2.11) deve verificare, per ogni parte A0 di C 0 , la condizione Z Z ⇢ dv = ⇢0 dv. A A0 D’altra parte, applicando la formula di trasformazione degli integrali nella trasformazione di coordinate (2.2.11) e tenendo conto che il determinante jacobiano di questa trasformazione vale 1, si ottiene la relazione Z Z ⇢ dv = ⇢ dv. A A0 43 Confrontando le due ultime relazioni, che devono entrambe essere verificate in corrispondenza ad ogni sottoinsieme di A0 di C 0 , si perviene all’identità ⇢0 = ⇢ (2.2.12) la quale mostra che la densità di massa di un corpo rigido in due diverse configurazioni coincide a meno del cambiamento di variabili che esprime la trasformazione tra le configurazioni stesse. Durante un moto del corpo rigido C le precedenti considerazioni si possono applicare ad ogni istante alla configurazione che, in quell’istante, il corpo occupa. Si definisce in tal modo un’applicazione [ ⇢: ({t} ⇥ (t, C 0 )) ! R+ t2I esplicitamente definita da ⇢0 (x0 ) = ⇢(t, xO0 (t) + x0 (t)) (2.2.13) la quale esprime ad ogni t la densità di massa nella configurazione attuale. Le proprietà inerziali di un corpo rigido non dipendono dalla esatta distribuzione della massa al suo interno ma solo da alcune quantità medie che sono descritte dal cosiddetto tensore d’inerzia del corpo; le considerazioni che seguono sono volte a introdurre tale concetto e a descriverne le principali proprietà. Iniziamo con l’estendere ai corpi continui — in particolare rigidi — il concetto di centro di massa. Definizione 2.2.5 (baricentro di un corpo rigido) Siano C un corpo materiale rigido, C la regione che esso occupa in una assegnata configurazione e ⇢ la densità di massa in quella configurazione. Si definisce baricentro (o centro delle masse) di C nella configurazione il punto G individuato dal vettore posizione xG definito da Z M xG = ⇢(x)x dv. C In particolare, nella configurazione di riferimento il baricentro è individuato dal punto Z M x0G = ⇢0 (x0 )x0 dv. C0 Se un corpo rigido è in moto, ad ogni istante è naturalmente possibile individuare il suo baricentro attraverso la relazione Z M xG (t) = ⇢(t, x)x dv; (2.2.14) Ct 44 l’applicazione xG (t) che in tal modo si determina costituisce la legge oraria del moto del baricentro. Il sistema di riferimento {G(t), (e1 , e2 , e3 )}, con origine nel baricentro e assi coincidenti con quelli del sistema fisso, si definisce sistema di riferimento baricentrale del corpo C. Definizione 2.2.6 (momento d’inerzia di un corpo rigido) Siano C un corpo materiale rigido e C 0 la regione che esso occupa nel sistema solidale. Siano ancora A, r, ⇡ rispettivamente un punto, una retta, un piano dello spazio solidali al corpo e si denoti con d(x) la distanza del generico punto di C da A, r, ⇡. Si chiama momento d’inerzia di C (rispetto al punto A, alla retta r, al piano ⇡) l’integrale Z ⇢0 (x0 )d2 (x0 ) dv. I= (2.2.15) C0 Il calcolo di tutti i momenti di un corpo rigido si riconduce alla valutazione dei valori di un opportuno endomorfismo dello spazio vettoriale E. Al fine di introdurre tale endomorfismo, iniziamo con il definire il prodotto tensoriale tra due vettori. Definizione 2.2.7 (prodotto tensoriale) Siano a e b due vettori di E. Si chiama prodotto tensoriale di a e b e si denota a⌦b l’endomorfismo lineare di E definito come (a ⌦ b)x = (b · x)a 8x 2 E. Ciò premesso, passiamo a definire il tensore d’inerzia di un copro rigido. Definizione 2.2.8 (tensore d’inerzia di un corpo rigido) Siano C un corpo materiale rigido e C 0 la regione che esso occupa in una configurazione di riferimento. Sia ancora A un punto dello spazio solidale al corpo. Si chiama tensore d’inerzia di C rispetto al polo A, l’applicazione lineare definita dall’integrale Z IA = ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 1 (x0 x0A ) ⌦ (x0 x0A )] dv (2.2.16) C0 nel quale 1 è l’endomorfismo identico e x0A il vettore posizione di A rispetto all’origine O0 del riferimento solidale al corpo. Il tensore d’inerzia I G rispetto al baricentro del corpo si denomina tensore centrale d’inerzia. Quando il tensore centrale d’inerzia è noto è possibile valutare il tensore d’inerzia rispetto a qualunque altro polo; è semplice infatti verificare l’identità I A = M [|x0G x0A |2 1 (x0G x0A ) ⌦ (x0G x0A )] + I G (2.2.17) 45 che si esprime dicendo che il tensore d’inerzia rispetto ad un polo A si ottiene sommando a quello centrale il tensore d’inerzia di un punto materiale avente la massa totale del corpo e posto nel suo baricentro. Il teorema che segue mostra la relazione tra il momemto d’inerzia rispetto a un punto e il tensore d’inerzia. Teorema 2.2.2 Il momento d’inerzia di un corpo rigido C rispetto al polo A vale IA = 1 tr I A , 2 (2.2.18) essendo I A il tensore d’inerzia di C rispetto ad A. Dimostrazione - Per definizione, è Z IA = ⇢(x0 )|x0 C0 D’altra parte, si ha Z tr I A = ⇢(x0 )[|x0 C0 x0A |2 tr 1 x0A |2 dv. tr((x0 x0A ) ⌦ (x0 x0A ))] dv. Per concludere la dimostrazione del teorema non resta che osservare che si ha tr 1 = 3 e ancora tr((x0 x0A ) ⌦ (x0 x0A )) = |x0 x0A |2 . ⇤ La (2.2.16) e la (2.2.17) comportano banalmente l’identità IA = IG + M d2 , con d = |x0A x0G | distanza di A da G. Da essa si evince che il momento d’inerzia di un corpo rispetto a un punto prende il suo valore minimo quando ai assume il baricentro quale polo. Proviamo ora come l’assegnazione del tensore d’inerzia rispetto a un punto consente la valutazione dei momenti d’inerzia relativi a tutte le rette che passano per quel punto. Teorema 2.2.3 Siano r una retta, A un qualsiasi punto di r e n un versore unitario avente la direzione di r; allora, il momento d’inerzia di un corpo rigido materiale C vale Ir = n · I A n. (2.2.19) Dimostrazione - Iniziamo con l’osservare che il vettore (x0 x0A ) è decomponibile in un componente (x0 x0A )? perpendicolare alla retta r ed in uno ad essa parallelo: x0 x0A = (x0 x0A )? + [(x0 x0A ) · n]n. 46 n x0 x0A A Figura 2.2.1: la decomposizione del vettore x0 x0A . Il modulo del vettore (x0 x0A )? rappresenta, per definizione, la distanza del punto x0 dalla retta r (figura 2.2.1) e pertanto dalla precedente relazione discende d2 (x0 ) = |x0 x0A |2 [(x0 x0A ) · n]2 . Ciò premesso, si ha ✓Z n · I An = n · ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 1 0 C Z = ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 [(x0 0 C Z = ⇢(x0 )d2 (x0 ) (x0 x0A ) ⌦ (x0 ◆ x0A )]dv n x0A ) · n]2 ]dv C0 = Ir ⇤ e il teorema è provato. Siano r una retta, r0 la sua parallela passante per il baricentro di C e d la distanza di r da r0 ; la (2.2.17) e la (2.2.19) comportano l’identità Ir = Ir0 + M d2 (2.2.20) (Teorema di Huyghens). In particolare, il momento d’inerzia rispetto a tutte le rette di un fascio di parallele assume il suo minimo valore nella retta passante per il baricentro. Le proprietà fondamentali del tensore d’inerzia sono espresse dal seguente teorema. 47 Teorema 2.2.4 Il tensore d’inerzia di un corpo materiale rigido C rispetto a un qualsiasi polo A è simmetrico e definito positivo. Dimostrazione - In primo luogo si ha Z v · I Au = v · ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 1 (x0 0 C Z =v· ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 u ((x0 0 C Z = ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 v · u ((x0 0 CZ =u· ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 v ((x0 0 C Z =u· ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 1 (x0 C0 x0A ) ⌦ (x0 x0A )] dv u x0A ) · u)(x0 x0A )] dv x0A ) · u)((x0 x0A ) · v)] dv x0A ) · v)(x0 x0A )] dv x0A ) ⌦ (x0 x0A )] dv v = u · I Av e la simmetria è dunque provata. Si ha poi Z u · I Au = ⇢(x0 )[|x0 x0A |2 |u|2 ((x0 C0 x0A ) · u)2 ] dv. La funzione integranda è non negativa, in virtù della disuguaglianza di Schwarz, e pertanto si ha u · I A u 0. D’altra parte, se il corpo non è lineare, la funzione integranda non può annullarsi identicamente se u 6= 0. Ciò prova che I A è definito positivo. ⇤ Il tensore d’inerzia si rappresenta in una generica base ortonormale (e1 , e2 , e3 ) attraverso una matrice 3 ⇥ 3 le cui componenti sono Iij = ei · I A ej . Tali componenti sono costanti nel riferimento solidale al corpo. Fissata per semplicità l’origine O0 coincidente con il polo A, è elementare verificare che esse si esplicitano nella forma seguente: Z Z 0Z 1 0 02 02 0 0 0 0 0 0 ⇢ (x + x ) dv ⇢ x x dv ⇢ x x dv 2 3 1 2 1 3 B C0 C C0 B C Z Z ZC 0 B C 0 0 0 0 02 02 0 0 0 B ⇢ x1 x2 dv ⇢ (x1 + x3 ) dv ⇢ x2 x3 dv C B C . (2.2.21) C0 C0 Z C0 B C Z Z @ A 0 0 0 0 0 0 0 02 02 ⇢ x1 x3 dv ⇢ x2 x3 dv ⇢ (x1 + x2 ) dv C0 C0 C0 48 In particolare, le tre componenti della diagonale principale di questa matrice si identificano con i momenti I1 , I2 , I3 rispetto agli assi solidali al corpo. Le componenti miste si denominano prodotti di inerzia. In virtù della simmetria del tensore d’inerzia, i tre vettori (e01 , e02 , e03 ) della base ortonormale solidale al corpo possono farsi coincidere con tre suoi autovettori, nel qual caso la base è detta terna principale d’inerzia di C e le rette per O0 aventi le direzioni di e01 , e02 e e03 si dicono assi principali d’inerzia. In una terna principale d’inerzia la matrice rappresentativa del tensore d’inerzia assume la forma diagonale 0 1 A 0 0 @0 B 0A . (2.2.22) 0 0 C I tre autovalori A, B e C sono strettamente positivi, per la definita positività del tensore d’inerzia, e coincidono con i momenti d’inerzia relativi a tre autodirezioni mutuamente ortogonali di I O0 ; ad essi si dà il nome di momenti principali d’inerzia del corpo. Se O0 coincide con il baricentro G di C, si definiscono terna centrale d’inerzia, assi centrali d’inerzia e momenti centrali d’inerzia rispettivamente ogni terna in cui si diagonalizza I G , i relativi assi coordinati e i corrispondenti autovalori. Osserviamo esplicitamente che i tre momenti d’inerzia A, B e C non sono necessariamente distinti; quando questo accade, gli assi principali d’inerzia sono univocamente determinati e si intenderanno ordinati in modo che sia A < B < C. (2.2.23) Se il tensore d’inerzia possiede un autovalore doppio e uno singolo, allora quest’ultimo, diciamo C, possiede un autospazio di dimensione uno mentre all’altro corrisponde un autospazio bidimensionale; in tal caso, il terzo asse principale è univocamente determinato, mentre gli altri due possono scegliersi arbitrariamente nel piano per O0 ortogonale al primo. Se, infine, il tensore d’inerzia possiede un autovalore triplo, allora ogni terna ortonormale è principale d’inerzia. Se il volume che un corpo C occupa in una sua generica configurazione coincide con la regione di spazio delimitata da una superficie di rotazione, allora si dice che il corpo possiede un asse di simmetria dato dalla direttrice della superficie. In tale ipotesi, si assuma un riferimento con il terzo asse coincidente con quello di simmetria e i primi due a esso ortogonali; la regione C 0 occupata nella configurazione di riferimento può allora senz’altro caratterizzarsi, in coordinate cilindriche (r, ✓, ⇣), attraverso le delimitazioni ⇣ 2 [a, b], ✓ 2 [0, 2⇡], r 2 [0, f (⇣)]. Si dice che C è un giroscopio se possiede un asse di simmetria e se, inoltre, con la scelta del riferimento suggerita la sua densità di massa dipende dalle coordinate lineari r e z ma non da quella angolare ✓; l’asse di simmetria di un giroscopio si denomina asse giroscopico (figura 2.2.2). 49 Figura 2.2.2: un giroscopio. Il baricentro di un giroscopio appartiene al suo asse di simmetria; infatti, denotate con (x0G1 , x0G2 , x0G3 ) le sue coordinate nel riferimento solidale, si ha Z 1 = ⇢0 x01 dv = M C0 Z 1 0 xG2 = ⇢0 x02 dv = M C0 x0G1 Z b Z f (⇣) Z 2⇡ 1 ⇢0 (r, ⇣)r2 cos ✓ d✓ dr d⇣ = 0, M a 0 0 Z b Z f (⇣) Z 2⇡ 1 ⇢0 (r, ⇣)r2 sin ✓ d✓ dr d⇣ = 0. M a 0 0 Sia ora O0 un punto dell’asse giroscopico; mostriamo che ogni terna ortonormale con origine in O0 e terzo asse coincidente con quello giroscopico è principale d’inerzia per C. Infatti, si ha 0 I13 = 0 I23 = 0 = I12 Z ZC 0 ZC 0 C0 ⇢0 x01 x03 dv = ⇢0 x02 x03 dv = ⇢0 x01 x02 dv = Z b Za Za a b b Z f (⇣) Z0 Z0 0 f (⇣) f (⇣) Z 2⇡ Z0 Z0 2⇡ 2⇡ ⇢0 (r, ⇣)⇣r2 cos ✓ d✓ dr d⇣ = 0, ⇢0 (r, ⇣)⇣r2 sin ✓ d✓ dr d⇣ = 0, ⇢0 (r, ⇣)r3 sin ✓ cos ✓ d✓ dr d⇣ = 0. 0 Le componenti miste del tensore d’inerzia sono cosı̀ tutte nulle, ciò che basta a 50 provare che la terna considerata è principale d’inerzia. Inoltre, si ha Z 0 I11 = ⇢0 (x02 2 + x03 2 ) dv C0 Z b Z f (⇣) Z 2⇡ = ⇢0 (r, ⇣)r(r2 sin2 ✓ + ⇣ 2 ) d✓ dr d⇣ a 0 0 Z b Z f (⇣) =⇡ ⇢0 (r, ⇣)r(r2 + ⇣ 2 ) dr d⇣, a 0 Z 0 I22 = ⇢0 (x01 2 + x03 2 ) dv 0 C Z b Z f (⇣) Z 2⇡ = ⇢0 (r, ⇣)r(r2 cos2 ✓ + ⇣ 2 ) d✓ dr d⇣ a 0 0 Z b Z f (⇣) =⇡ ⇢0 (r, ⇣)r(r2 + ⇣ 2 ) dr d⇣, a 0 0 0 cosicché risulta I11 = I22 ; pertanto il tensore d’inerzia di un giroscopio rispetto a un punto dell’asse giroscopico possiede un autovalore semplice, la cui direzione è l’asse stesso, e uno doppio le cui autodirezioni sono tutte le rette perpendicolari all’asse di simmetria. Ricorrendo alla (2.2.19) si verifica che che se A e C sono, rispettivamente, il momento centrale d’inerzia doppio e quello semplice di un giroscopio, allora i momenti principali d’inerzia relativi a un punto O0 dell’asse giroscopico valgono A + M d2 e C, essendo d la distanza tra O0 e G. Occupiamoci adesso di estendere ai corpi rigidi la definizione di alcune grandezze meccaniche già associate ai sistemi di particelle e ne studiamo le proprietà. Definizione 2.2.9 (quantità di moto di un corpo rigido) Si definisce quantità di moto del corpo rigido C nel moto di equazione (2.2.9) l’integrale Z p(t) = ⇢(t, x)v(t, x) dv, (2.2.24) Ct nel quale v(t, x) è la rappresentazione euleriana (1.9.5) del campo di velocità relativo a quel moto. Teorema 2.2.5 (di Kelvin e Tait per i corpi rigidi) La quantità di moto di un corpo rigido coincide con la quantità di moto di un’unica particella avente massa pari a quella totale del corpo e che si muove con il suo baricentro. 51 Dimostrazione - Derivando la (2.2.14) rispetto al tempo si ha Z d M ẋG (t) = ⇢(t, x)x dv dt ZCt d = ⇢0 (x0 )(t, x0 ) dv dt 0 C Z @ = ⇢0 (x0 ) (t, x0 ) dv @t 0 ZC = ⇢0 (x0 )v(t, x0 ) dv 0 C Z = ⇢(t, x)v(t, x) dv Ct = p(t). ⇤ Il Teorema di Kelvin e Tait implica, in particolare, che la quantità di moto di un corpo rigido nel suo sistema baricentrale è nulla. Definizione 2.2.10 (momento della quantità di moto di un corpo rigido) Si definisce momento quantità di moto del corpo rigido C nel moto di equazione (2.2.9) rispetto al polo A l’integrale Z hA (t) = ⇢(t, x)(x xA (t)) ⇥ v(t, x) dv, (2.2.25) Ct nel quale v è la rappresentazione euleriana (1.9.5) del campo di velocità relativo a quel moto. È semplice verificare che il momento della quantità di moto di un corpo rigido varia rispetto al polo in accordo con la (2.1.7) e che il Teorema 2.1.4 continua a valere. Definizione 2.2.11 (energia cinetica di un corpo rigido) Si definisce energia cinetica del corpo rigido C nel moto di equazione (2.2.9) l’integrale Z 1 T (t) = ⇢(t, x)|v(t, x)|2 dv, (2.2.26) 2 Ct nel quale v è la rappresentazione euleriana (1.9.5) del campo di velocità relativo a quel moto. Il momento della quantità di moto e l’energia cinetica di un copro rigido si rappresentano in una forma assai utile quando nelle loro definizioni si espliciti l’espressione del campo di velocità. Allo scopo di determinare tali rappresentazioni iniziamo con il trasformare l’integrale (2.2.25) nella configurazione di riferimento 52 esplicitando il campo di velocità per mezzo della sua rappresentazione lagrangiana (1.9.3); si ha in tal modo Z hA = ⇢0 (x0 )(x0 x0A ) ⇥ [v A + ! ⇥ (x0 x0A )] dv C0 Z = M (x0G x0A ) ⇥ v A + ⇢0 (x0 )(x0 x0A ) ⇥ [! ⇥ (x0 x0A )] dv 0 ZC 0 0 = M (xG xA ) ⇥ v A + ⇢0 (x0 )[|x0 x0A |2 1 (x0 x0A )⌦(x0 x0A )]dv ! C0 Per la definizione stessa del tensore d’inerzia si ha dunque hA = M (xG xA ) ⇥ v A + I A !. (2.2.27) Del tutto analogamente, per l’energia cinetica di un corpo rigido si ha Z 1 T = ⇢(x0 )|v A + ! ⇥ (x0 x0A )|2 dv 2 ZC 0 Z 1 0 2 = ⇢(x )|v A | dv + ⇢(x0 )v A · [! ⇥ (x0 x0A )] dv 2 C0 0 C Z 1 + ⇢(x0 )|! ⇥ (x0 x0A )|2 dv 2 C0 In conclusione T assume la seguente espressione: T = 1 M |v A |2 + M v A · ! ⇥ (xG 2 1 xA ) + ! · I A !. 2 (2.2.28) La (2.2.27) e la (2.2.28) possono opportunamente specializzarsi in alcuni casi particolari. Cosı̀, se si fa coincidere il polo A con il baricentro G, il momento della quantità di moto assume la forma hG = I G !. (2.2.29) e l’energia cinetica si scrive T = 1 1 M |v G |2 + ! · I G !. 2 2 (2.2.30) Quest’ultima relazione esprime il Teorema di König per i corpi rigidi; in virtù della (2.2.29) essa può porsi nella forma equivalente T = 1 1 M |v G |2 + ! · hG . 2 2 (2.2.31) Se il moto del corpo rigido C è sferico le espressioni del momento della quantità di moto e dell’energia cinetica si semplificano quando si fa coincidere il polo A con 53 il punto fisso O; in tal caso infatti, ponendo in (2.2.27) e (2.2.28) A = O e tenendo conto che risulta v O = 0, si determina l’espressione hO = I O !. (2.2.32) per il momento della quantità di moto mentre l’energia cinetica si scrive T = 1 ! · IO! 2 (2.2.33) o anche 1 ! · hO . (2.2.34) 2 La (2.2.32) e la (2.2.33) possono scriversi in termini di componenti in una terna principale d’inerzia; si ottengono in tal modo le semplici relazioni T = hO = A!10 e01 + B!20 e02 + C!30 e03 , 1 T = (A!10 2 + B!20 2 + C!30 2 ). 2 (2.2.35) Le espressioni (2.2.32) e (2.2.33) valgono pure nel caso più particolare di un moto rotatorio a condizione di scegliere come polo un qualsiasi punto dell’asse di rotazione. In tal caso, inoltre, la velocità angolare vale 'n, ˙ con n versore dell’asse di rotazione. Proiettando allora le (2.2.32) e (2.2.33) in un riferimento fisso avente il terzo versore e3 coincidente con n, si ottengono le formule hO = '(I ˙ 13 e1 + I23 e2 + Ie3 ), 1 T = I'˙ 2 , 2 (2.2.36) in cui I = I33 è il momento d’inerzia rispetto all’asse di rotazione. Esso vale, esplicitamente, Z Z 2 2 02 I= ⇢(x1 + x2 ) dv = ⇢0 (x02 1 + x2 ) dv C0 Ct e non dipende dal tempo in quanto l’asse e3 è solidale al corpo. Un’ultima eventualità che è opportuno prendere in esame è quella di un corpo in moto traslatorio. In tale caso tutti i punti hanno stessa velocità ⌧ e la velocità angolare si annulla. La (2.2.27) si particolarizza allora nella forma hA = M (xG xA ) ⇥ ⌧ (2.2.37) mentre l’energia cinetica ha la stessa espressione T = 1 M |⌧ |2 2 (2.2.38) che competerebbe a un punto di massa pari a quella di C e in moto con la medesima velocità dei suoi punti. 54 2.3 Assiomi della Dinamica dei sistemi di particelle Nello studio dei sistemi di particelle materiale ci si propone fondamentalmente l’obiettivo di prevederne l’evoluzione, a partire da una certa condizione iniziale assegnata, sulla base delle interazioni che si esplicano tra le particelle stesse e, eventualmente, tra le particelle e un ambiente esterno, caratterizzato dalla circostanza che il suo moto non risulta influenzato da quello delle particelle. L’idea alla base dei ragionamenti che svilupperemo è che le interazioni tra oggetti materiali intervengono a deviare gli stessi da una condizione naturale di moto che competerebbe loro in assenza di tali interazioni. Per caratterizzare quella che abbiamo definito condizione naturale dobbiamo necessariamente riferirci a un’astrazione quale quella di punto materiale isolato, intendendo riferirci, con tale locuzione a un sistema costituito da un solo punto materiale, in assenza dell’influenza di qualunque altro agente. In accordo con il principio di inerzia, che si fonda sui famosi studi di Galileo, noi attribuiamo la condizione di naturalità ai moti rettilinei uniformi di un punto isolato. Peraltro, poiché uno stesso moto è suscettibile di rappresentazioni completamente diverse in dipendenza dall’osservatore che lo descrive, è necessario selezionare una classe di osservatori privilegiati. Siamo cosı̀ condotti alla seguente Definizione 2.3.1 (riferimento inerziale) Si definisce sistema di riferimento inerziale un sistema di riferimento in cui il moto di un qualunque punto isolato appaia rettilineo uniforme. Formuliamo dunque il primo degli assiomi della meccanica dei sistemi di particelle: Assioma 2.3.1 Esiste un sistema di riferimento inerziale. A partire dalla legge di composizione delle velocità si realizza immediatamente che se un punto ha velocità costante in un rifermento, ha ancora velocità costante in ogni altro riferimento che si muova rispetto al primo di moto traslatorio uniforme. In virtù di tale considerazione possiamo enunciare il Teorema 2.3.1 Esistono infiniti sistemi di riferimento inerziali. Una volta caratterizzato il comportamento dei punti isolati nei sistemi inerziali, è necessario esprimere una definizione formale del concetto di forza, attraverso il quale descriviamo le interazioni tra particelle e con l’ambiente. Si consideri dunque un sistema X di N particelle materiali. Ad ogni coppia di particelle (pi , pj ) (i, j 2 {1, . . . , N }, i 6= j) associamo il vettore f ij che chiameremo forza che la j-sima particella esercita sulla i-sima. Il complesso delle n(n 1) forze 55 che in tal modo si determinano prende il nome di sistema delle forze interne a X. La somma N X f Ii = f ij j=1 j6=i delle forze esercitate sulla i-sima particella da tutte le restanti prende il nome di risultante delle forze interne agenti su pi . Assioma 2.3.2 Per ogni coppia (pi , pj ) di particella materiali di un sistema X e per ogni polo A il sistema di forze verifica le condizioni f ij + f ji = 0, (xi xA ) ⇥ f ij + (xj xA ) ⇥ f ji = 0, (2.3.1) che traducono il principio di azione e reazione per le forze interne e per i rispettivi momenti. • Osservazione 2.3.1 Tenendo conto della (2.3.1)1 , la (2.3.1)2 si scrive nella forma (xi xj ) ⇥ f ij = 0 dalla quale si desume che, con esclusione degli istanti in cui le particelle occupano la stessa posizione, la forza f ij quando non è nulla ha la medesima direzione del vettore congiungente le particelle. In formula f ij = fij xi |xi xj . xj | ⇤ In generale l’evoluzione di un sistema è influenzata non solo dalle interazioni tra le sue particelle ma anche dalle interazioni tra le singole particelle e uno o più corpi esterni ad esso, la cui evoluzione nel tempo è nota a priori e non subisce influenze dalle particelle di X; chiameremo il complesso A di tali corpi esterni con il termine generico di ambiente. L’azione dell’ambiente A sulle particelle di X è descritta da una N -pla di vettori f E i (i 2 {1, . . . , N }) che chiamaremo risultanti delle forze esterne agenti sulle particelle. Il vettore f i = f Ii + f E (2.3.2) i , somma di tutte le forze sia interne che esterne agenti su pi , si denomina risultante delle forze agenti sulla i-sima particella. Un sistema materiale X si dirà aperto se il suo moto è influenzato da un ambiente A, si dirà chiuso se è completamente determinato dalle sole forze interne. 56 Assioma 2.3.3 Siano X un sistema di N particelle materiali di masse mi (i 2 {1, . . . , N }) e f i (i 2 {1, . . . , N }) le forze risultanti agenti sulle sue particelle. In ogni sistema inerziale R durante il moto sono soddisfatte, ad ogni istante, le N equazioni vettoriali i 2 {1, . . . , N } mi ẍi = f i , (2.3.3) che prendono il nome di equazioni di Newton. Dalle equazioni di Newton scaturiscono alcune conseguenze di carattere del tutto generale riguardanti proprietà globali del sistema e dalle quali, in taluni casi, discendono importanti leggi di conservazione. Per cominciare, osserviamo che, scomponendo le forze agenti sulla i-sima particella in quelle interne ed esterne, secondo la (2.3.2), le (2.3.3) si scrivono mi ẍi = f Ii + f E i , i 2 {1, . . . , N }. (2.3.4) Sommando tali equazioni su tutte le particelle, si ottiene N X mi ẍi = i=1 N X f Ii + i=1 N X fE i . (2.3.5) i=1 Il primo membro di questa uguaglianza rappresenta la derivata temporale ṗ della quantità di moto del sistema. La sommatoria delle forze interne, che figura quale primo addendo al secondo membro, si esplicita nella forma N X i=1 f Ii = N X f ij i,j=1 i6=j dalla quale si deduce facilmente che essa si annulla, in quanto può decomporsi in una somma di coppie di forze che si bilanciano per il principio di azione e reazione. La (2.3.5) si riduce pertanto alla prima equazione cardinale della dinamica (o equazione di bilancio della quantità di moto) ṗ = f E , (2.3.6) nella quale si è denotata con f E la risultante di tutte le forze esterne agenti sul sistema, definita come N X fE = fE i . i=1 Ricordando poi la (2.1.5), la prima equazione cardinale può anche scriversi nella forma M ẍG = f E , (2.3.7) 57 Moltiplichiamo adesso vettorialmente ciascuna equazione (2.3.4) per il vettore posizione (xi xA ) della corrispondente particella rispetto ad un polo A e sommiamo poi su tutte le particelle: N X (xi i=1 xA ) ⇥ mi ẍi = N X xA ) ⇥ f Ii + (xi i=1 N X (xi i=1 xA ) ⇥ f E i . Derivando rispetto al tempo la (2.1.6), si ha ḣA = = = ẋA ⇥ N X i=1 ẋA ⇥ p + mi ẋi + N X N X (xi i=1 xA ) ⇥ mi ẍi (xi i=1 ẋA ⇥ M ẋG + N X xA ) ⇥ mi ẍi (xi i=1 xA ) ⇥ mi ẍi In particolare, se il polo A è fisso (ẋA = 0) o se esso coincide con il baricentro (xA = xG ), risulta N X ḣA = (xi xA ) ⇥ mi ẍi i=1 e dunque la precedente relazione assume la forma ḣA = N X i=1 (xi xA ) ⇥ f Ii + N X i=1 (xi xA ) ⇥ f E i . Ragionando come per la prima equazione cardinale, concludiamo senz’altro che il momemto risultante delle forze interne si annulla come conseguenza del principio di azione e reazione. Introdotto allora il momento risultante delle forze esterne rispetto al polo A con la posizione mE A = N X i=1 (xi xA ) ⇥ f E i , si perviene alla seconda equazione cardinale della dinamica (o equazione di bilancio del momento della quantità di moto) ḣA = mE A. (2.3.8) In particolare, in un sistema chiuso non sono presenti forze esterne e le equazioni cardinali diventano ṗ = 0, (2.3.9) ḣA = 0. Ciò prova il 58 Teorema 2.3.2 La quantità di moto ed il momento della quantità di moto di un sistema di particelle chiuso restano costanti nel tempo in un riferimento inerziale. L’equazione (2.3.9)1 può anche scriversi nella forma M ẍG = 0 dalla quale si deduce che, in un riferimento inerziale R, il baricentro di un sistema chiuso si muove con velocità costante. Conseguentemente, il riferimento baricentrale RG associato a R è esso stesso inerziale. Accanto alle equazioni di bilancio della quantità di moto e del momento della quantità di moto, una ulteriore importante conseguenza delle equazioni di Newton è costituita dal Teorema dell’energia cinetica. Chiamiamo potenza di una forza f i agente sulla particella pi in un moto del sistema la quantità Wi = f i · ẋi . Definiamo poi la potenza totale W di tutte le forze agenti sul sistema con la posizione N N X X W = Wi = f i · ẋi . (2.3.10) i=1 i=1 Teorema 2.3.3 (dell’energia cinetica) In un sistema di riferimento inerziale, la derivata temporale dell’energia cinetica di un sistema è uguale alla potenza di tutte le forze, interne ed esterne, agenti sulle particelle del sistema stesso. Dimostrazione - Moltiplichiamo ciascuna delle equazione di Newton (2.3.3) scalarmente per la velocità della corrispondente particella e sommiamo su tutte le particelle del sistema: N N X X mi ẍi · ẋi = f i · ẋi . (2.3.11) i=1 i=1 Derivando rispetto al tempo l’equazione (2.1.10), che definisce l’energia cinetica di una particella, si ottiene ✓ ◆ d 1 2 Ṫi = mi |ẋi | = mi ẍi · ẋi dt 2 e quindi il primo membro della (2.3.11) rappresenta la derivata temporale Ṫ dell’energia cinetica totale del sistema. Il secondo membro rappresenta, in virtù della definizione (2.3.10), la potenza totale delle forze agenti sul sistema e pertanto la (2.3.11) diventa Ṫ = W. (2.3.12) 59 ⇤ Il Teorema è cosı̀ dimostrato. Il Teorema dell’energia cinetica può porsi in una forma equivalente integrando la (2.3.15) rispetto al tempo tra due istanti generici tA e tB : Z tB Ṫ dt = tA Z tB W dt = tA Z N tB X tA i=1 f i · ẋi dt. (2.3.13) L’integrale al primo membro si riduce alla variazione T = T (tB ) T (tA ) dell’energia cinetica totale del sistema nell’intervallo temporale considerato. Se allora si definisce il lavoro che una forza f i , agente sulla particella pi , compie in un assegnato moto nell’intervallo di tempo [tA , tB ] ponendo Li = Z tB tA f i · ẋi dt, (2.3.14) l’ultimo membro nella (2.3.13) si interpreta come il lavoro totale L compiuto da tutte le forze agenti sul sistema nell’intervallo considerato e quella relazione assume la forma T (tB ) T (tA ) = L (2.3.15) la quale esprime la formulazione integrale del Teorema dell’energia cinetica che può cosı̀ enunciarsi: in un sistema di riferimento inerziale, la variazione dell’energia cinetica di un sistema in un intervallo temporale è uguale al lavoro totale compiuto in quell’intervallo da tutte le forze, interne ed esterne, agenti sulle particelle del sistema stesso. 2.4 Le equazioni cardinali per i corpi rigidi La descrizione delle forze che agiscono sui corpi estesi è più articolata di quella che abbiamo riservato ai punti materiali. Come in quel caso è opportuno distinguere tra forze interne, che si esplicano tra le diverse parti del corpo, e forze esterne, che l’ambiente esercita sul corpo. Nello studio della dinamica dei corpi rigidi, in particolare, possiamo prescindere dall’analisi delle prime e rivolgere la nostra attenzione esclusivamente alle seconde. Queste possono essere distribuite sull’intero volume occupato dal corpo o concentrare su superfici, linee, punti dello stesso. Senza pretese di generalità, per i nostri scopi sarà sufficiente considerare la possibilità della presenza di forze di volume, distribuite sul corpo con un’assegnata densità l, di forze di superficie, distribuite sulla frontiera del corpo con densità t e eventualmente di un determinato numero di forze f i agenti su altrettanti punti 60 xi del corpo. Il risultante delle forze agenti su C è allora f= p X fi + i=1 Z l(x) dv + C Z t(x) da (2.4.1) @C dove C è la regione occupata dal corpo in una data configurazione, @C è la frontiera di C; le due funzioni l e t si chiamano densità di forza per unità di volume e di superficie, rispettivamente. Il momento risultante delle forze (2.4.1) rispetto a un polo A vale mA = p X (xi i=1 xA ) ⇥ f i + Z xA ) ⇥ l dv + (x C Z (x @C xA ) ⇥ t da. (2.4.2) • Osservazione 2.4.1 È assai semplice verificare che i momenti risultanti di uno stesso sistema di forze rispetto a due distinti poli A e B sono legati dalla formula mB = mA + (xA xB ) ⇥ f . ⇤ • Esempio 2.4.1 Il peso di un corpo rigido si intende distribuito con continuità su tutto il suo volume con densità pari al prodotto della densità di massa per l’accelerazione di gravità: Z p= ⇢g dv. C La costanza del vettore g comporta naturalmente p = M g, (2.4.3) essendo M la massa totale di C. È poi un facile esercizio controllare che il momento della forza peso rispetto a un polo A vale mA = (xG xA ) ⇥ p. In particolare, il momento rispetto al baricentro è nullo. • Esempio 2.4.2 Un sistema costituito da due forze opposte f 1 = f n e f 2 = (2.4.4) ⇤ f n applicate in 61 due punti distinti A1 e A2 si denomina coppia. Il risultante di una coppia è nullo mentre il momento risultante rispetto a un polo A vale m = f (x1 x2 ) ⇥ n, essendo x1 e x2 i vettori posizione di A1 e A2 . Il momento non dipende dunque dal polo e ha direzione perpendicolare al piano contenente i punti di applicazione delle forze e la loro direzione. Inoltre, il modulo m del momento vale m = |x1 x2 |f sin ↵ essendo ↵ l’angolo formato dai vettori x1 d = |x1 x2 e n. Il prodotto x2 | sin ↵ si denomina braccio della coppia (f 1 , f 2 ) e coincide con la distanza delle due rette parallele di direzione n passanti per A1 e A2 rispettivamente (figura 2.4.1). Con m fn ↵ d ↵ fn Figura 2.4.1: coppia di forze. tale posizione, il modulo del momento si scrive m = df come prodotto del braccio della coppia per l’intensità delle forze che la compongono. ⇤ Due sistemi di forze che abbiano stesso risultante e stesso momento risultante rispetto a un polo A si dicono equivalenti; le proprietà di trasformazione del momento al variare del polo consentono di a↵ermare che due sistemi equivalenti hanno lo stesso momento rispetto a qualsiasi polo. In particolare, ogni sistema di forze che abbia risultante e momento risultante entrambi nulli si dice equivalente a zero o, anche, equilibrato e può sostituirsi con il vettore nullo. Ad esempio, il peso di un corpo rigido è equivalente a una sola forza pari al peso totale del corpo e applicata nel baricentro. 62 • Osservazione 2.4.2 È immediato rendersi conto che qualsiasi sistema di forze è equivalente a un sistema di tre forze la prima delle quali coincide col risultante del sistema ed è applicata in un qualsiasi punto A mentre le altre due formano una coppia di momento pari a quello del sistema rispetto ad A. ⇤ Si suppongano ora assegnati un sistema di forze agenti su un corpo rigido C e un atto di moto di C; la potenza delle forze in quell’atto di moto è la grandezza scalare definita da Z Z p X W = f i · vi + l(x) · v(x) dv + t(x) · v(x) da. i=1 C @C Esplicitando in questa relazione l’espressione di un atto di moto rigido si ha Z p X W = f i · [v A + ! ⇥ (xi xA )] + l · [v A + ! ⇥ (x xA )] dv C i=1 Z + t · [v A + ! ⇥ (x xA )] da @C ! Z Z p X = fi + l dv + t dv · v A C @C i=1" # Z Z p X + (xi xA ) ⇥ f i + (x xA ) ⇥ l dv + (x xA ) ⇥ t da · ! i=1 C @C ovvero W = f · v A + mA · !. (2.4.5) Questa relazione esprime la potenza di un sistema di forze agenti su un corpo rigido in termini del risultante e del momento risultante del sistema e dei due vettori caratteristici dell’atto di moto. Nella Sezione 2.3 si è mostrato come durante il moto di un sistema di particelle materiali siano soddisfatte, ad ogni istante, le due equazioni cardinali (2.3.6) e (2.3.8). Queste stesse equazioni vengono poste a fondamento della meccanica dei corpi rigidi. Assioma 2.4.1 Siano C un corpo rigido, R un riferimento inerziale e A il baricentro di C oppure un punto solidale C e fisso in R. Siano ancora f il risultante delle forze agenti su C e mA il momento risultante rispetto ad A. Durante il moto di C sono verificate ad ogni istante le due equazioni vettoriali ṗ = f , ḣA = mA (2.4.6) che si denominano equazioni di bilancio della quantità di moto e del momento della quantità di moto, rispettivamente. 63 Come vedremo, le equazioni (2.4.6) svolgono, nel contesto della meccanica dei corpi rigidi, il ruole che nella meccanica dei sistemi di particelle compete alle equazioni di Newton, nel senso che l’esplicitazione delle forze e dei momenti attraverso le leggi di forza consente di tradurle in sistemi di equazioni di↵erenziali per la determinazione dei moti. Per tale motivo esse vengono anche denominate equazioni cardinali della meccanica dei corpi rigidi. A conclusione di questa sezione proviamo una proposizione che costituisce la generalizzazione ai corpi rigidi di quella analoga provata nel caso dei sistemi di particelle. Teorema 2.4.1 (dell’energia cinetica) In un sistema di riferimento inerziale la derivata temporale dell’energia cinetica di un corpo rigido C coincide a ogni istante con la potenza delle forze esterne agenti sul corpo. Dimostrazione - Derivando la (2.2.30) rispetto al tempo lungo un moto di C si ha 1 1 Ṫ = M ẍG · ẋG + !˙ · hG + ! · ḣG . 2 2 Applicando la formula (1.8.3) al vettore hG e ricordando la (2.2.29) si ha ! · ḣG = ! · (h̊G + ! ⇥ hG ) per la (1.8.3) = ! · [(I G !) + ! ⇥ hG ] per la (2.2.29) ˚ = ! · I G! per la costanza di I G = ! · I G !˙ per la (1.8.5) = !˙ · I G ! per la simmetria di I G = !˙ · hG per la (2.2.29). Grazie a questa identità, e ricordando il Teorema di Kelvin e Tait, la precedente espressione di Ṫ diventa Ṫ = ṗ · ẋG + ḣG · ! da cui ricordando le equazioni cardinali segue Ṫ = f · ẋG + mG · ! (2.4.7) Il Teorema segue dalla (2.4.5) identificandovi il polo A con il baricentro G. ⇤ L’equazione (2.4.7) si denomina equazione di bilancio dell’energia cinetica. In un moto rotatorio attorno a un punto fisso O, partendo dalla (2.2.33) e riferendo i momenti ad O, si verifica facilmente che essa si pone nella forma Ṫ = mO · !. (2.4.8) 64 2.5 Sistemi di particelle libere Stabiliti i princı̀pi della meccanica, compendiati nel sistema di equazioni di Newton (2.3.3), il problema fondamentale che si pone consiste nella determinazione del moto del sistema di particelle note le forze. Per comprendere la sostanza di tale problema occorre precisare in che senso le forze debbano intendersi note. È evidente che, qualora con tale a↵ermazione si intendesse dire che si conoscono le forze come funzioni del tempo, allora il moto delle particelle si determinerebbe integrando due volte le equazioni di Newton rispetto al tempo. In realtà il problema risulta assai più complesso, poiché quel che di fatto si conosce è un legame funzionale che esprime la dipendenza delle forze dal moto dei corpi di cui quelle forze esprimono le interazioni. Più precisamente, diciamo che una forza è assegnata attraverso legge di forza quando essa è nota come funzione della configurazione e dell’atto di moto degli oggetti interagenti. In particolare, nel caso dell’interazione tra due particelle materiali pi e pj , la legge di forze si riduce a una funzione del tipo f ij = f ij (xi , xj , ẋi , ẋj ) e dunque, sommando su tutti gli indici j diversi da i, si esprime il risultante delle forze interne agenti sulla i-sima particella per mezzo di una funzione f Ii = f Ii (x1 , . . . , xN , ẋ1 , . . . , ẋN ). Quando invece si considera la forza esercitata su una particella pi da parte dell’ambiente, poiché il moto di quest’ultimo deve ritenersi noto, la legge di forza può contenere una dipendenza esplicita dal tempo e si esprime pertanto attraverso una funzione della forma E fE i = f i (t, xi , ẋi ) In definitiva, la risultante di tutte le forze agenti su pi si esprime attraverso una legge di forza del tipo f i = f i (t, x1 , . . . , xN , ẋ1 , . . . , ẋN ) che, introdotta nel sistema delle equazioni di Newton (2.3.3), dà loro la forma mi ẍi = f i (t, x1 , . . . , xN , ẋ1 , . . . , ẋN ), i 2 {1, . . . , N } (2.5.1) Proiettando le equazioni (2.5.1) in una base qualsiasi di E si ottiene un sistema di 3N equazioni di↵erenziali del secondo ordine nelle 3N funzioni incognite date dalle componenti delle xi (t) (i 2 {1, . . . , N }). Il sistema si pone immediatamente in forma normale dividendo ciascuna delle equazioni di Newton per la massa della corrispondente particella. Inoltre, a partire da questo momento e salvo esplicito avviso contrario, assumeremo senz’altro che le leggi di forza, che identificano i secondi membri del sistema, siano di classe C 1 nel loro insieme di definizione. 65 Richiamandoci allora ai risultati esposti nel Capitolo 3 — in particolare, nella Sezione 3.1 — possiamo a↵ermare che il sistema (2.5.1) possiede un’unica soluzione massimale quando si assegnino, ad un dato istante t0 , le posizioni e le velocità di tutte le particelle che compongono il sistema materiale. In altre parole, considerato un sistema di particelle materiali X, la conoscenza delle forze che esprimono le interazioni tra le particelle che lo costituiscono e tra queste e l’ambiente circostante, unitamente all’assegnazione della configurazione e dell’atto di moto iniziali del sistema stesso, consentono di prevedere, in forma strettamente deterministica, la sua evoluzione. In ciò consiste il contenuto di quello che viene usualmente chiamato principio del determinismo. Se nei secondi membri delle equazioni (2.5.1) non figura esplicitamente il tempo, come accade ad esempio nei sistemi isolati, il sistema X si dice autonomo. Diremo poi che X è soggetto a forze posizionali quando le leggi di forza fanno intervenire esclusivamente le posizioni delle particelle. Un problema di particolare rilevanza in Meccanica è quello della determinazione dell’evoluzione di un sistema di N particelle materiali le quali si muovono in virtù delle sole mutue interazioni che si assumono essere posizionali. È questo il problema degli N corpi, che si sintetizza nel sistema di equazioni mi ẍi = N X f ij (xi , xj ), j=1 j6=i i 2 {1, . . . , N } (2.5.2) Nel Capitolo 6 a↵ronteremo lo studio di questo problema relativamente al caso N = 2, provandone la risolubilità con sole operazioni di quadratura. Al contrario, per N 3 il problema degli N corpi non è risolubile per quadrature. Un altro problema notevole è quello che si a↵ronta quando si considera un sistema composto da un’unica particella materiale interagente cion un ambiente esterno. In tal caso, il sistema di equazioni (2.5.1) si riduce alla sola equazione vettoriale mẍ = f (t, x, ẋ), (2.5.3) nella quale la funzione f esprime il risultante delle forze esterne, esercitate sulla particella dall’ambiente. Il problema dello studio del moto di un tale sistema viene usualmente denominato problema ristretto della Meccanica. Una classe di sistemi meccanici particolarmente rilevante si caratterizza per la possibilità di determinare una funzione scalare che rimane invariata durante il moto. Esaminiamo in primo luogo il caso di un unico punto materiale e consideriamo il lavoro Z tB L= f · ẋ dt tA compiuto dalla forza risultante agente su di esso in un certo intervallo di tempo. È chiaro che il calcolo esplicito di L richiede che la forza sia assegnata come funzione del tempo e che sia nota l’equazione finita del moto. 66 Se la forza è assegnata attraverso la sua legge, allora è sufficiente conoscere solamente l’equazione del moto per calcolare il lavoro per mezzo della relazione L= Z tB f (t, x(t), ẋ(t)) · ẋ(t) dt. tA In particolare, se la forza è posizionale, la precedete equazione assume la forma L= Z tB tA f (x(t)) · ẋ(t) dt. (2.5.4) Indicando con l’arco di curva descritto dalla particella tra gli istanti tA e tB , possiamo senz’altro interpretare la (2.5.4) come una rappresentazione parametrica dell’integrale lungo il cammino di una forma di↵erenziale i cui coefficienti coincidano con le componenti della legge di forza: Z L= f (x) · dx. (2.5.5) In questo caso, dunque, il lavoro può calcolarsi senza conoscere l’equazione finita del moto ma solamente conoscendo la traiettoria percorsa dalla particella. È noto dalla teoria delle forme di↵erenziali che l’integrale (2.5.5) possa assumere lo stesso valore per tutte le curve aventi in comune con le posizioni estreme xA e xB occupate dalla particella nei due istanti tA e tB . Assumendo senz’altro che il dominio di definizione della forza sia connesso, ciò accade se e solamente se la forma di↵erenziale integranda possiede una primitiva. In formule, denotando con U l’opposta di una qualsiasi primitiva, tale condizione si esprime attraverso l’identità f (x) · dx = dU (x). (2.5.6) In una base ortonormale (e1 , e2 , e3 ), quest’ultima relazione equivale all’a↵ermazione che le tre derivate parziali della funzione U rispetto alle componenti di x coincidono con le componenti della legge di forza. Se allora definiamo il gradiente della funzione scalare U attraverso la posizione rU = @U @U @U e1 + e2 + e3 , @x1 @x2 @x3 possiamo esprimere la condizione necessaria e sufficiente per l’indipendenza dell’integrale (2.5.5) dal percorso nella forma f= rU. (2.5.7) Quando una forza posizionale f può rappresentarsi nella forma (2.5.7) in corrsipondenza ad una qualche funzione scalare U , chiameremo tale funzione energia potenziale e diremo che la forza deriva da un’energia potenziale. L’interesse delle 67 forze derivanti da un’energia potenziale risiede nel fatto che, durante il moto della particella, si conserva la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale, ovvero l’energia meccanica totale. Infatti, in virtù della (2.5.6), la (2.5.5) dà Z L= dU (x) = (U (xB ) U (xA )); inserendo tale identità nella (2.3.15), che esprime il Teorema dell’energica cinetica, questa assume la forma T (tA ) + U (tA ) = T (tB ) + U (tB ). Poiché gli istanti tA e tB sono del tutto arbitrari possiamo senz’altro prendere tA = t0 e far coincidere tB con un generico istante t. La precedente relazione diventa allora T (t) + U (t) = T (t0 ) + U (t0 ). (2.5.8) Se si definisce l’energia meccanica della particella con la posizione E =T +U (2.5.9) la (2.5.8) esprime allora la conservazione dell’energia meccanica totale durante il moto della particella. Le precedenti considerzioni si generalizzano senza difficoltà al caso dei sistemi di più particelle. Definizione 2.5.1 (energia potenziale) Sia X un sistema di N particelle materiali soggette a forze posizionali. Si dice che le forze f i derivano da un’energia potenziale se è possibile determinare una funzione scalare U (x1 , . . . , xN ) tale che si abbia fi = ri U, i 2 {1, . . . , N }, (2.5.10) dove ri denota l’operatore gradiente rispetto alle componenti del vettore xi . Il moto di un sistema soggetto a forze derivanti da un’energia potenziale si determina integrando il sistema di equazioni di↵erenziali mi ẍi = ri U (x1 , . . . , xN ), i 2 {1, . . . , N }. (2.5.11) Per tali sistemi possiamo riprendere la definizione (2.5.9) di energia meccanica totale di un sistema di particelle come somma dell’energia cinetica del sistema e della sua energia potenziale. 68 Teorema 2.5.1 (di conservazione dell’energia) Sia X un sistema di N particelle materiali soggette a forze derivanti da un’energia potenziale. Allora l’energia meccanica totale del sistema è costante durante i moti del sistema. Dimostrazione - Si moltiplichi ciascun membro dell’equazione (2.5.11) per la corrispondente velocità ẋi e si sommi su tutte le particelle: N X i=1 mi ẍi · ẋi = N X i=1 ri U (x1 , . . . , xN ) · ẋi . (2.5.12) Lungo una soluzione delle equazioni (2.5.11) la derivata temporale dell’energia cinetica vale ! N N X d X1 Ṫ = mi ẋi · ẋi = mi ẍi · ẋi . dt i=1 2 i=1 Applicando la regola di derivazione delle funzioni composte, per la derivata dell’energia potenziale si determina poi l’espressione U̇ = N X i=1 ri U (x1 , . . . , xN ) · ẋi e dunque, per la (2.5.12), si ha Ė = Ṫ + U̇ = 0. ⇤ Il Teorema appena dimostrato giustifica la denominazione di forze conservative con cui sono designate le forze derivanti da un’energia potenziale. Di fatto, in molti casi sulle particelle di un sistema agiscono al tempo stesso forze conservative e altre forze non classificabili in tale categoria. In questo caso le equazioni del moto prendono la forma mi ẍi = ri U (x1 , . . . , xN ) + f i (t, x1 , . . . , xN , ẋ1 , . . . , ẋN ), (2.5.13) i 2 {1, . . . , N }. Ripetendo i ragionamenti esposti nella dimostrazione del Teorema di conservazione dell’energia, si prova che durante il moto di un tale sistema l’energia meccanica totale non si conserva, in generale, ma cambia nel tempo secondo la legge N X Ė = f i (t, x1 , . . . , xN , ẋ1 , . . . , ẋN ) · ẋi . (2.5.14) i=1 Una forza f i agente sulla particella pi si dice dissipativa se, lungo ogni soluzione del moto, verifica la condizione f i (t, x1 , . . . , xN , ẋ1 , . . . , ẋN ) · ẋi 0. Dalla definizione di forza dissipativa, tenuto conto della (2.5.14), segue il 69 Teorema 2.5.2 (di dissipazione dell’energia) Sia X un sistema di N particelle materiali soggette a forze derivanti da un’energia potenziale e a forze dissipative. Allora l’energia meccanica totale del sistema è non crescente durante i moti del sistema. 2.6 Punto vincolato a una curva o a una superficie fisse Nel one 2.5 abbiamo mostrato come sia possibile determinare l’evoluzione di un sistema di particelle, a partire dalle loro posizioni e dalle loro velocità ad un assegnato istante, posto che sia conosciuta la maniera in cui le forze dipendono dalle posizioni e dalle velocità delle particelle. Peraltro tale condizione non è sempre verificata; esiste infatti un’ampia classe di sistemi meccanici nei quali hanno luogo interazioni per le quali non è possibile assegnare le leggi di forza se non pagando un elevato prezzo in termini di complessità tanto del modello fisico matematico in cui inquadrare tali sistemi quanto del problema analitico cui quel modello conduce. I sistemi cui ci stiamo riferendo, comunemente denominati sistemi vincolati, sono quelli costituiti da più corpi tra loro collegati mediante dispositivi di varia natura che ne determinano il contatto durante il moto. In virtù delle sollecitazioni che si esercitano tra le varie parti del sistema per e↵etto di tale contatto, si producono nei corpi delle deformazioni che generano delle forze che ad esse si oppongono e che impediscono ai corpi di compenetrarsi. Queste rapide considerazioni mostrano come una descrizione di tali sistemiimplichi un’analisi di fenomeni che costituiscono il riflesso macroscopico diinterazioni che hanno luogo a livello molecolare e che scaturiscono dalla costituzione fisica degli oggetti. Peraltro, accade sovente che nei sistemi vincolati gli oggetti che fungono daconnessione tra le parti principali del sistema presentino una elevata rigiditàdi modo che le deformazioni che si manifestano sono trascurabili rispetto alleloro dimensioni; l’e↵etto delle forze che scaturiscono da tali piccole deformazioni è allora quello di impedire la piena mobilità delle parti checostituiscono il sistema. Un tipico esempio di quanto stiamo dicendo è rappresentato da un sistema costituito da due particelle materiali collegate alle estremità di un manubrio. Se questo è molto rigido e se la sua massa è trascurabile rispetto a quelle delle particelle, lo studio dell’evoluzione del sistema si riduce alla determinazione del moto delle due particelle e l’e↵etto del manubrio è semplicemente quello di costringere queste ultime a conservare la loro distanza inalterata. Questo appena descritto è un primo esempio di vincolo agente su un sistema di particelle. Con tale termine intendiamo designare ogni limitazione alla mobilità del sistema e, più in generale, alle velocità che un sistema può assumere. È, ad esempio, un vincolo quello che agisce su un punto che, per e↵etto di qualche dispositivo, sia costretto a muoversi su una circonferenza, come accade nel caso di un pendolo, o, più in generale, su una curva o una superficie predeterminata. 70 Prima di a↵rontare in maniera sistematica lo studio dei sistemi vincolati desideriamo preliminarmente trattare questi due semplici casi particolari allo scopo di illustrare, nella sua espressione più intuitiva, il procedimento che applicheremo successivamente al caso generale. Occupiamoci dunque di un sistema costituito da un unico punto p sul quale agiscano delle forze attive espresse dalla legge di forza f (t, x, ẋ). Supponiamo poi che, per e↵etto di opportuni dispositivi, sulla particella agisca una forza vincolare il cui e↵etto sia quello di mantenere la stessa su una superficie o su una curva . Nel primo caso il vincolo si esprime con la relazione g(x) = 0 (2.6.1) che è l’equazione implicita di ; nel secondo invece il vincolo si esprime per mezzo di una coppia di equazioni g1 (x) = 0 (2.6.2) g2 (x) = 0 che individuano come intersezione di due superfici 1 e 2 . Iniziamo con l’occuparci di questo secondo caso. In accordo con quanto esposto nella precedente sezione, il problema da risolvere è quello della determinazione di un moto x(t) e di una reazione vincolare (t) in modo che ad ogni istante siano soddisfatta l’equazione newtoniana mẍ = f (t, x, ẋ) + (2.6.3) e le equazioni di vincolo (2.6.2). Tale problema va corredato dei dati iniziali relativi alla posizione occupata dalla particella all’istante iniziale e dalla sua velocità in quel medesimo istante. Naturalmente, la posizione iniziale deve essere scelta fra quei punti che soddisfano le equazioni (2.6.2). Neppure la velocità iniziale può assegnarsi ad arbitrio; infatti, se il punto deve muoversi su una curva, la sua velocità deve essere in ogni istante tangente alla curva nella posizione occupata in quell’istante. È immediato riconoscere che il problema (2.6.2)–(2.6.3), corredato dei dati iniziali compatibili con i vincoli, non è ben posto, nel senso che esso non possiede un’unica soluzione. Per convincersi di tale a↵ermazione basta osservare che, comunque si assegni un’equazione finita x(t) che soddisfi ai dati iniziali e che verifichi ad ogni istante le equazioni dei vincoli, si può determinare attraverso la (2.6.3) una reazione che renda soddisfatta anche questa equazione. L’indeterminazione che abbiamo appena manifestato è da mettere in relazione al fatto che non abbiamo, fino ad ora, fatto alcuna richiesta alla reazione vincolare che può dunque essere completamente arbitraria. Ora, se è vero che non siamo in condizione di esprimere la legge di forza della reazione, è ugualmente vero che essa deve soddisfare ad alcuni requisiti che la rendano fisicamente ammissibili. 71 Al fine di esplicitare tali requisiti, osserviamo innanzi tutto che la curva , che assumeremo senz’altro essere regolare, si rappresenta, almeno localmente, nella forma parametrica x = ⇠(s), essendo s un’ascissa curvilinea variabile in un certo intervallo I. In corrispondenza ad ogni legge oraria s(t), l’equazione finita x(t) = ⇠(s(t)), verifica automaticamente le equazioni di vincolo (2.6.2) ad ogni istante e pertanto il problema che stiamo analizzando è ricondotto alla determinazione di una funzione s(t) e di una reazione vincolare (t) tali che la coppia (⇠(s(t)), (t)) sia soluzione dell’equazione (2.6.3). In definitiva, le incognite e↵ettive del problema si riducono a quattro funzioni scalari, la legge oraria s(t) e le tre compnenti della reazione vincolare; per determinare queste incognite disponiamo delle tre equazioni che si ottengono proiettando l’equazione di Newton in un riferimento ortonormale. In particolare, facciamo coincidere la base con il triedro di Frenet (t, n, b) relativo al punto di per cui transita istantaneamente la particella e proiettiamo la (2.6.3) in tale base. Poniamo ft (t, s, ṡ) = f (t, ⇠(s), ṡt(s)) · t(s), fn (t, s, ṡ) = f (t, ⇠(s), ṡt(s)) · n(s), fb (t, s, ṡ) = f (t, ⇠(s), ṡt(s)) · b(s) ed ancora t = · t, n = · n, b = · b. Moltiplicando allora scalarmente la (2.6.3) per t, n e b rispettivamente e ricordando l’espressione (1.3.6) dell’accelerazione nel triedro di Frenet, si perviene infine al sistema di equazioni ms̈ = ft (t, s, ṡ) + t , m ṡ2 = fn (t, s, ṡ) + R 0 = fb (t, s, ṡ) + n, (2.6.4) b, nelle quali R = R(s) è il raggio di curvatura di . Le componenti normali della reazione vincolare non possono essere soggette ad alcuna restrizione a priori, dovendo svolgere il ruolo di opporsi alle analoghe componenti della forza attiva nonché alle sollecitazioni cinematiche legate all’accelerazione centripeta al fine di impedire alla particella di distaccarsi dalla curva. La componente tangenziale della reazione vincolare esprime invece quello che comunemente è chiamato attrito tra la particella e la curva su cui avviene il moto. Questa forza non è arbitraria e, benché lo schema semplificato che abbiamo 72 adottato ci impedisca risalire alla sua natura fisica, possiamo determinarne le caratteristiche sulla base dell’osservazione fenomenologica. Una tale analisi mostra come l’intensità dell’attrito sia fortemente dipendente dai materiali che costituiscono la curva e la particella. In particolare, è possibile renderlo piccolo quanto si vuole con opportuni accorgimenti che vanno dalla levigatura delle superfici che entrano in contatto all’uso di sostanze lubrificanti, al punto che diviene sensato analizzare il caso limite in cui si assume la completa assenza di attrito. • Moto di un punto su traiettoria assegnata in assenza di attrito L’ipotesi di totale assenza di attrito si esprime nella condizione t =0 (2.6.5) che fornisce la quarta equazione da associare al sistema (2.6.4) onde realizzare il pareggiamento tra le incognite e le equazioni. Il sistema costituito dalle (2.6.4) e dalla (2.6.5) consente e↵ettivamente la risoluzione del problema, separando la determinazione del moto dal calcolo della reazione vincolare. Infatti, sostituendo la (2.6.5) in (2.6.4), si perviene alla scrittura del sistema ms̈ = ft (t, s, ṡ), m ṡ2 = fn (t, s, ṡ) + R 0 = fb (t, s, ṡ) + n, (2.6.6) b. La (2.6.6)1 , che omettendo l’uso del pedice riscriviamo esplicitamente nella forma ms̈ = f (t, s, ṡ), (2.6.7) è un’equazione di↵erenziale del secondo ordine nella funzione incognita s(t) e ne consente l’individuazione univoca quando siano assegnate la posizione iniziale, attraverso l’ascissa s0 , e la velocità iniziale, tramite la sua componente v0 . La soluzione s(t) cosı̀ determinata, può sostituirsi nelle (2.6.6)2,3 consentendo la valutazione delle componenti non nulle n e b della reazione vincolare in forma finita. È utile osservare che la condizione di assenza di attrito, espressa dalla (2.6.5), può anche formularsi con la richiesta che si abbia ·v =0 qualunque sia il vettore v tangente alla curva; tali vettori individuano tutte e sole le velocità che sono consentite al punto vincolato sulla curva e si denominano, pertanto, velocità virtuali del punto. Il prodotto scalare · v rappresenta la potenza che la reazione vincolare eserciterebbe qualora la particella avesse velocità virtuale v e prende il nome di potenza virtuale della reazione vincolare in corrispondenza 73 della velocità virtuale v. La condizione di assenza di attrito equivale allora alla richiesta che la potenza virtuale della reazione vincolare si annulli in coorispondenza a ogni velocità virtuale. • Moto di un punto su traiettoria assegnata in presenza di attrito Quando l’e↵etto dell’attrito non sia trascurabile è allora necessario utilizzare, in luogo della (2.6.5), un’equazione che esprima la modalità di esplicazione di tale forza. L’indagine empirica mostra che l’attrito si oppone sempre al moto della particella e dunque il suo verso è opposto a quello della velocità. La sua intensità risulta proporzionale a quella del componente normale della reazione stessa attraverso una costante µ che dipende dalla costituzione dei materiali di cui si compongono gli oggetti che entrano e↵ettivamente in contatto durante il moto. Le precedenti considerazioni si sintetizzano nella relazione q 2 + 2 = ±µ (2.6.8) t n b che esprime la legge di Coulomb sull’attrito dinamico. Introducendo in questa equazione i valori di n e b che si ricavano dalle (2.6.4)2,3 e sostituendo l’espressione cosı̀ ottenuta nella (2.6.4)1 si perviene alla seguente equazione di↵erenziale per la determinazione della legge oraria: s✓ ◆2 ṡ2 ms̈ = ft (t, s, ṡ) ± µ m fn (t, s, ṡ) + fb2 (t, s, ṡ). (2.6.9) R(s) La valutazione delle componenti delle reazione vincolare si e↵ettua poi, nota la legge oraria, attraverso le (2.6.4)2,3 e (2.6.8). • Moto di un punto su una superficie in assenza di attrito Un punto si muove sotto l’azione di una forza attiva f e di una reazione vincolare il cui e↵etto è quello di vincolarlo a una superficie di equazione g(x) = 0. Assumiamo che la funzione g sia di classe C 2 e che il suo gradiente non si annulli su . Allora in ogni punto della superficie sono definiti un piano tangente e una retta normale a ; la direzione di tale retta, in particolare, coincide con quella del gradiente di g e pertanto il versore unitario normale a è dato in ogni punto da n= rg . |rg| Sia adesso x = x(q1 , q2 ) una rappresentazione parametrica di . Di↵erenziando l’identità g(x(q1 , q2 )) = 0 si ottiene @x @x rg · = rg · =0 @q1 @q2 74 e pertanto i due vettori a1 = @x , @q1 a2 = @x @q2 sono entrambi tangenti a ; assunto che siano pure indipendenti, essi formano una base del sottospazio vettoriale tangente a e dunque, in ogni punto, la terna di vettori {a1 , a2 , n} costituisce una base dello spazio E. Durante il moto è soddisfatta a ogni istante l’equazione mẍ = f (t, x, ẋ) + . Se i vincoli sono realizzati in modo che l’attrito sia trascurabile, possiamo assumere per la reazione vincolare l’espressione = n. Moltiplicando scalarmente l’equazione newtoniana per i tre vettori della base (a1 , a2 , n) si determina il sistema di equazioni mẍ · a1 = f (t, x, ẋ) · a1 mẍ · a2 = f (t, x, ẋ) · a2 mẍ · n = f (t, x, ẋ) · n + Derivando una prima e una seconda volta l’equazione parametrica di si ha ẋ = q̇1 a1 + q̇2 a2 e poi ẍ = q̈1 a1 + q̈2 a2 + q̇1 ȧ1 + q̇2 ȧ2 . Le due componenti tangenti dell’equazione di Newton assumono allora la forma m|a1 |2 q̈1 + m(a1 · a2 )q̈2 = [f (t, q1 , q2 , q̇1 , q̇2 ) m(a1 · a2 )q̈1 + m|a2 |2 q̈2 = [f (t, q1 , q2 , q̇1 , q̇2 ) mq̇1 ȧ1 mq̇2 ȧ2 ] · a1 , mq̇1 ȧ1 mq̇2 ȧ2 ] · a2 . Il determinante della matrice dei coefficienti delle derivate seconde vale m2 [|a1 |2 |a2 |2 (a1 · a2 )2 ] ed è strettamente positivo in virtù dell’indipendenza lineare dei vettori a1 e a2 . Pertanto le due equazioni precedenti consentono la determinazione delle funzioni q1 (t) e q2 (t) e, con esse, del moto della particella. La componente normale dell’equazione del moto permette poi la completa determinazione dell’unica componente della reazione vincolare. Ancora una volta dunque, come nel caso del punto vincolato a una curva, l’ipotesi di assenza di attrito fornisce le equazioni che, assieme a quella di Newton 75 e a quella del vincolo, consentono la determinazione delle incognite del problema, il moto e la reazione vincolare. D’altra parte, la richiesta di assenza di attrito può esprimersi nuovamente attraverso la condizione ·v =0 per ogni vettore v tangente alla superficie che equivale alla richiesta che la potenza della reazione vicolare si annulli per ogni velocità virtuale. 2.7 Sistemi di particelle vincolati Un sistema X di N particelle materiali si dice vincolato quando su di esso agiscono delle forze di cui non è nota la legge ed il cui e↵etto è quello di imporre delle limitazioni a priori alle posizioni e alle velocità che il sistema assumere a un istante t. I vincoli imposti al sistema si esprimono, nella loro forma più generale, mediante un certo numero di disuguaglianze del tipo g(t, x1 , . . . , xN , v 1 , . . . , v N ) 0, (vincoli unilaterali) ovvero sotto forma di un’equazione g(t, x1 , . . . , xN , v 1 , . . . , v N ) = 0 (vincoli bilaterali). Per gli scopi di queste lezioni considereremo esclusivamente vincoli olonomi, e cioè vincoli bilaterali e indipendenti dalle velocità. Definizione 2.7.1 (sistema olonomo) Un sistema X di N particelle materiali si definisce sistema olonomo se sulle particelle che lo costituiscono agiscono delle forze i (i 2 {1, . . . , N }), per e↵etto delle quali esso può assumere solo le configurazioni soddisfacenti il sistema di equazioni gl (t, x1 , . . . , xN ) = 0, l 2 {1, . . . , H}, (2.7.1) dove le gl sono H funzioni (con 1 H < 3N ) di classe C 2 nel loro insieme di definizione i cui gradienti rgl = (r1 gl , . . . , rN gl ), l 2 {1, . . . , H}, costituiscono un sistema di H vettori linearmente indipendenti di E N . Le equazioni (2.7.1) individuano, ad ogni istante t, un luogo geometrico V in E N che si denomina spazio delle configurazioni di X all’istante t. L’assunzione che i gradienti delle funzioni gl siano linearmente indipendenti equivale alla richiesta che la matrice jacobiana di una qualsiasi rappresentazione coordinata delle (2.7.1) abbia rango massimo H; in virtù di tale ipotesi V si si può rappresentare, intorno 76 ad ogni suo punto, in termini di un numero di parametri pari alla di↵erenza n = 3N H. In altre parole lo spazio delle configurazioni risulta essere ad ogni istante una varietà n–dimensionale in E N ; evidenzieremo tale circostanza denotando con Vn lo spazio delle configurazioni e chiameremo n il grado di libertà del sistema vincolato X. I vincoli espressi dalle equazioni (2.7.1) si dicono vincoli mobili se in almeno uno di essi figura esplicitamente la variabile temporale, altrimenti si dicono vincoli fissi. In virtù dei limiti che i vincoli impongono alle configurazioni di un sistema di particelle, anche gli atti di moto non possono assegnarsi ad arbitrio. Siamo pertanto condotti a dare la seguente Definizione 2.7.2 (atto di moto possibile) Sia X un sistema olonomo di N particelle materiali; si dice che (v 1 , . . . , v N ) è un atto di moto possibile per X se soddisfa il sistema di equazioni N @gl X + ri gl · v i = 0, @t i=1 l 2 {1, . . . , H}. (2.7.2) Accanto al concetto di atto di moto possibile, inteso come complesso di velocità compatibili con i vincoli imposti al sistema, è utile considerare quegli atti di moto che si caratterizzano per la proprietà geometrica di essere tangenti, in E N , allo spazio delle configurazioni Vn nell’istante e nella configurazione considerati. Poiché ciascun vettore rgl risulta normale alla varietà di equazione gl = 0, lo spazio generato dai vettori {rg1 , . . . , rgH } si identifica con lo spazio normale allo spazio delle configurazioni Vn . Definizione 2.7.3 (atto di moto virtuale) Sia X un sistema olonomo di N particelle materiali; si dice che (v 1 , . . . , v N ) è un atto di moto virtuale per X se soddisfa il sistema di equazioni N X i=1 ri gl · v i = 0, l 2 {1, . . . , H}. (2.7.3) Gli elementi che compongono un atto di moto possibile e un atto di moto virtuale si denominano semplicemente velocità possibili e velocità virtuali. Osserviamo esplicitamente che quando i vincoli sono fissi le (2.7.2) si riducono alle (2.7.3) e quindi le velocità possibili e quelle virtuali coincidono. È immediato verificare che gli atti di moto virtuali individuano un sottospazio di E N ; tale sottospazio coincide con il complemento ortogonale dello spazio normale a Vn e prende dunque il nome di spazio tangente a Vn a un dato istante e in un dato punto. 77 Una rappresentazione parametrica (in generale, locale) dello spazio delle configurazioni Vn è una N –pla di applicazioni xi = ⇠ i (t, q1 , . . . , qn ) (2.7.4) (i 2 {1, . . . , n}) definita in un aperto D di Rn tale che si abbia gl (t, ⇠ 1 (t, q1 , . . . , qn ), . . . , ⇠ N (t, q1 , . . . , qn )) = 0 (2.7.5) identicamente in D per ogni l 2 {1, . . . , H}. I parametri (q1 , . . . , qn ) si denominano coordinate lagrangiane e rappresentano una scelta di coordinate minimale attraverso cui rappresentare le configurazioni di Vn . Le n funzioni qh = qh (t), h 2 {1, . . . , n} (2.7.6) definiscano un’applicazione di un intervallo I di R in D; componendo tali applicazioni con le (2.7.4) si determina un moto di X xi (t) = ⇠ i (t, q1 (t), . . . , qn (t)) (2.7.7) che, in virtù della (2.7.5), verifica automaticamente le equazioni dei vincoli. Di↵erenziando le identità (2.7.5) rispetto al tempo e alle coordinate lagrangiane e dividendo per il di↵erenziale della variabile temporale si ottiene ! N n @gl X @⇠ i X @⇠ i + ri g l · + uh = 0, l 2 {1, . . . , H}; @t @t @qh i=1 h=1 confrontando queste relazioni con le (2.7.3) si conclude che le N velocità n vi = @⇠ i X @⇠ i + uh , @t @qh h=1 i 2 {1, . . . , N } (2.7.8) individuano un atto di moto possibile per ogni scelta della n–pla di numeri reali u = (u1 , . . . , un ) i quali, per tale motivo, si denominano componenti lagrangiane delle velocità possibili. In particolare, derivando rispetto al tempo le identità (2.7.7) si ottengono le relazioni n ẋi = @⇠ i X @⇠ i + q̇h @t @qh h=1 i 2 {1, . . . , N } (2.7.9) le quali mostrano che le componenti lagrangiane delle velocità reali durante un moto coincidono con le derivate prime delle equazioni lagrangiane del moto qh (t). Di↵erenziando ancora (2.7.5) rispetto alle coordinate lagrangiane ma ad un tempo fissato si ricavano le identità ! N n X X @⇠ i ri g l · uh = 0 l 2 {1, . . . , H}; @qh i=1 h=1 78 che, confrontate con le (2.7.3), ci consentono di concludere che le N velocità vi = n X @⇠ i uh , @qh h=1 i 2 {1, . . . , N } (2.7.10) individuano un atto di moto virtuale per ogni scelta della n–pla di numeri reali u = (u1 , . . . , un ) che pertanto si denominano componenti ✓ lagrangiane◆delle velocità @⇠ 1 @⇠ virtuali. Da un punto di vista geometrico i vettori , . . . , N , al variare di @qh @qh h, costituiscono una base nello spazio tangente a Vn e i numeri (u1 , . . . , un ) sono le componenti del generico vettore tangente in tale base. Se, in particolare, i vincoli imposti al sistema dinamico X sono fissi allora una loro rappresentazione parametrica si riduce a xi = ⇠ i (q1 , . . . , qn ) (2.7.11) (i 2 {1, . . . , n}). I moti di X risultano dalla composizione di tali equazioni con le (2.7.6): xi (t) = ⇠ i (q1 (t), . . . , qn (t)). (2.7.12) Gli atti di moto possibili e virtuali coincidono e si esprimono attraverso le (2.7.10) come combinazioni lineari delle componenti lagrangiane; a di↵erenza di quanto accade nel caso dei vincoli mobili, in questo caso i coefficienti delle combinazioni non dipendono dal tempo ma esclusivamente dalle coordinate lagrangiane. 2.8 L’equazione simbolica della dinamica Sia X un sistema di N particelle materiali e supponiamo che su di esso agiscano delle forze, interne ed esterne, la cui risultante su ciascuna particella sia espressa attraverso una legge di forza f i (t, x1 , . . . , xN , ẋ1 , . . . , ẋN ) e che chiameremo forze attive. Consideriamo poi che, oltre alle forze attive, sul sistema operino delle altre forze, il cui risultante sulla i–sima particella indicheremo con i , di cui non si conosce la legge di forza ma il cui e↵etto sia quello di determinare dei vincoli olonomi che penseremo espressi dalle equazioni (2.7.1). Chiameremo i la reazione vincolare agente sulla particella pi . Durante il moto di X devono essere soddisfatte le equazioni di Newton le quali, nel contesto che abbiamo descritto, vanno scritte nella forma mi ẍi = f i (t, x1 , . . . , xN , ẋ1 , . . . , ẋN ) + i, i 2 {1, . . . , N }. (2.8.1) Il sistema (2.8.1) contiene 2N funzioni vettoriali incognite — le N equazioni finite del moto delle particelle xi (t) e le N reazioni vincolari i (t) — per un totale di 79 6N incognite scalari. Per determinare tali incognite si dispone delle 3N equazioni (2.8.1) e delle H(< 3N ) equazioni (2.7.1). Le equazioni sono dunque in numero inferiore a quello delle incognite e risultano pertanto insufficienti a determinare univocamente una soluzione. Tale conclusione è confermata dall’osservazione che, comunque si assegni un moto soddisfacente i vincoli (2.7.1), esiste sempre una scelta delle reazioni vincolari che renda le equazioni di Newton identicamente verificate. Se il complesso delle equazioni (2.7.1)–(2.8.1) è insufficiente alla determinazione del moto di X e delle reazioni vincolari che agiscono su di esso, è necessario completarlo con un opportuno numero di ulteriori equazioni che esprimano le modalità di esplicazione delle reazioni vincolari. Consideriamo un generico atto di moto (v 1 , . . . , v N ) e definiamo potenza delle reazioni vincolare in corrispondenza di tale atto di moto la quantità W (v) = N X i=1 i · vi . (2.8.2) Lasciandoci guidare dagli esempi del punto vincolato a una curva o a una superficie nel caso particolare di assenza di attrito, diamo la Definizione 2.8.1 (vincolo ideale per un sistema di particelle) Sia X un sistema olonomo. Si dice che X è soggetto a vincoli ideali quando le reazioni vincolari esplicabili su di esso in una sua generica configurazione sono tutte e sole per le quali W (v) = 0 (2.8.3) per ogni atto di moto virtuale. La richiesta (2.8.3) che la potenza delle reazioni vincolari si annulli per tutti gli atti di moto virtuali viene spesso denominata, in letteratura, postulato delle reazioni vincolari. Esso esprime, in forma sintetica, la richiesta che il vettore di R3N costruito con le componenti delle reazioni vincolari sia tangente allo spazio delle configurazioni Vn e generalizza, in qualche modo, la condizione di assenza di attrito tra le particelle e i vincoli. Siamo ora in grado di formulare il Problema fondamentale della dinamica dei sistemi olonomi Sia X un sistema olonomo di N particelle materiali in moto sotto l’azione delle forze attive f i e delle reazioni vincolari ideali i . Determinare, in un intervallo temporale I, il moto (x1 (t), . . . , xN (t)) del sistema e le reazioni vincolari risultanti, in modo che ad ogni istante t 2 I siano rispettate le equazioni dei vincoli (2.7.1), il postulato delle reazioni vincolari (2.8.3) per ogni atto di moto virtuale nonché le equazioni del moto (2.8.1). È nostro scopo provare che il problema fondamentale della dinamica dei sistemi olonomi a vincoli ideali possiede una ed una sola soluzione quando si assegnino, ad 80 un istante t0 , una configurazione in Vn e un atto di moto possibile all’istante t0 nella configurazione assegnata. In vista del raggiungimento di questo obiettivo, iniziamo con il riformulare il problema in una forma equivalente moltiplicando scalarmente ciascuna equazione del sistema (2.8.1) per una velocità v i del tutto arbitraria e sommando tra di loro le identità cosı̀ ottenute. Tralasciando di esplicitare le dipendenze nelle leggi di forza, si determina in tal modo la relazione N X i=1 mi ẍi · v i + N X i=1 f i · vi + N X i i=1 · vi = 0 (2.8.4) che deve essere soddisfatta in corrispondenza di ogni atto di moto (v 1 , . . . , v N ) e che prende il nome di equazione di D’Alembert e Lagrange. Ciascuna delle tre sommatorie che figurano nell’equazione di D’Alembert e Lagrange può interpretarsi come la potenza di un sistema di forze. In particolare, la terza sommatoria coincide con la potenza delle reazioni vincolari definita in (2.8.2); la seconda sommatoria definisce la potenza W (a) delle forze attive; infine la prima sommatoria è interpretabile come la potenza W (m) di un sistema di forze (m) fi = mi ẍi , (2.8.5) dette forze d’inerzia. In virtù delle notazioni introdotte, l’equazione di D’Alembert e Lagrange prende la forma W (m) + W (a) + W (v) = 0 (2.8.6) per ogni atto di moto (v 1 , . . . , v N ). L’equazione di d’Alembert e Lagrange non solo è, come abbiamo mostrato, una immediata conseguenza del sistema (2.8.1) ma, addirittura, è ad esso equivalente. Infatti, se la (2.8.6) è verificata per ogni atto di moto, allora, in particolare, per ogni i 2 {1, . . . , N }, possiamo scriverla per un atto di moto i cui vettori sono tutti nulli ad eccezione di v i , ottenendo cosı̀ ( mi ẍi + f i + i) · v i = 0. Questa relazione, per l’arbitrarietà di v i , comporta la (2.8.1). Dunque, il problema fondamentale della dinamica dei sistemi olonomi equivale alla ricerca di un moto e di un sistema di reazioni vincolari che soddisfino l’equazione di D’Alembert e Lagrange, le equazioni dei vincoli ed il postulato delle reazioni vincolari. Dall’equazione di D’Alembert e Lagrange e dal postulato delle reazioni vincolare segue facilmente il Teorema 2.8.1 (equazione simbolica della dinamica) Sia (x1 (t), . . . , xN (t)) un moto di un sistema olonomo a vincoli ideali. Allora risulta W (m) + W (a) = 0 (2.8.7) ad ogni istante e per ogni atto di moto virtuale. 81 Dimostrazione - È sufficiente osservare che, ad ogni istante t e per ogni atto di moto virtuale, devono essere soddisfatte, allo stesso tempo, la relazione di D’Alembert e Lagrange (2.8.7), ed il postulato delle reazioni vincolari (2.8.6). ⇤ L’equazione simbolica della dinamica costituisce un esempio di equazione pura, convenendosi di assegnare tale attributo a quelle equazioni in cui non figurano le reazioni vincolari incognite. Essa riveste un ruolo centrale nella risoluzione del problema fondamentale della stereodinamica, in quanto consente di separare la determinazione del moto del sistema dal calcolo delle reazioni vincolari, come mostra il seguente Teorema 2.8.2 Il moto (x1 (t), . . . , xN (t)) soddisfi, in ogni istante, le equazioni dei vincoli e l’equazione simbolica della dinamica. Una soluzione completa del problema fondamentale della dinamica dei sistemi olonomi si determina associando a tale moto le reazioni vincolari che si ottengono dalle equazioni di Newton. Dimostrazione - Siano ( 1 (t), . . . , N (t)) le reazioni vincolari che si determinano sostituendo il moto assegnato nelle equazioni (2.8.1). Le 2N funzioni vettoriali cosı̀ determinate verificano le equazioni dei vincoli, l’equazione simbolica della dinamica per ogni atto di moto virtuale e le equazioni di Newton; per tale motivo esse soddisfano anche l’equazione di D’Alembert e Lagrange per ogni atto di moto. Resta da provare che esse verificano il postulato delle reazioni vincolari. A tal fine è sufficiente osservare che in ogni atto di moto virtuali sono soddisfatte allo stesso tempo l’equazione (2.8.6) e la (2.8.7) e dunque, per di↵erenza, la (2.8.3). ⇤ 2.9 Forma lagrangiana delle equazioni del moto Grazie al Teorema 2.8.2 il problema fondamentale della dinamica dei sistemi olonomi si riduce alla determinazione di un moto che verifichi le equazioni dei vincoli e l’equazione simbolica della dinamica. In questa sezione ci poniamo l’obiettivo di mostrare come tale problema equivalga alla risoluzione di un sistema di equazioni di↵erenziali del secondo ordine che si presenta, in generale, in forma quasi–lagrangiana e che, in taluni casi, diviene lagrangiano in senso stretto. Sostituendo nelle espressioni della potenza delle forze d’inerzia e in quella delle sollecitazioni attive quelle (2.7.10) delle velocità virtuali, si ottiene W (m) = N X i=1 W (a) = N X i=1 mi ẍi · v i = f i · vi = N X n X N X n X i=1 h=1 i=1 h=1 fi · mi ẍi · @⇠ i uh ; @qh @⇠ i uh , @qh 82 introducendo le notazioni ✓h = N X i=1 si ha, allora, W (m) = mi ẍi · n X @⇠ i , @qh `h = K X i=1 W (a) = ✓h uh , h=1 fi · n X @⇠ i @qh ` h uh (2.9.1) (2.9.2) h=1 cosicché la relazione simbolica della dinamica assume la forma W (m) + W (a) = n X (✓h + `h )uh = 0 h=1 la quale, dovendo essere verificata per ogni velocità virtuale, e dunque per ogni vettore numerico (u1 , . . . , un ) 2 Rn , comporta che debbano risultare soddisfatte le identità ✓h + `h = 0, 8h 2 {1, . . . , n} (2.9.3) che prendono il nome di equazioni di Lagrange. I due vettori numerici (✓1 , . . . , ✓n ) e (`1 , . . . , `n ) forniscono le rappresentazioni lagrangiane delle forze d’inerzia e delle sollecitazioni attive, rispettivamente; in particolare, i numeri ✓h si denominano componenti lagrangiane delle forze d’inerzia, quelli `h componenti lagrangiane delle sollecitazioni attive. Introducendo nella (2.9.1)2 le leggi di forza, si osserva immediatamente che le grandezze `h risultano essere funzioni note del tempo, delle coordinate lagrangiane e delle componenti delle velocità: `h = `h (t, q1 , . . . , qn , u1 , . . . , un ). Analogamente, ove si ricordino le espressioni (2.8.5) delle forze d’inerzia, si perviene alla conclusione che le quantità ✓h dipendono a loro volta dalle medesime variabili che figurano nelle `h , ma anche dalle componenti delle accelerazioni. In definitiva, le equazioni di Lagrange si esplicitano lungo un moto nella forma ✓h (t, q1 , . . . , qn , q̇1 , . . . , q̇n , q̈1 , . . . , q̈n ) + `h (t, q1 , . . . , qn , q̇1 , . . . , q̇n ) = 0, (2.9.4) che ne rende manifesta l’interpretazione quale sistema di n equazioni di↵erenziali del secondo ordine nelle n funzioni incognite qh (t), sebbene non in forma normale. La buona posizione del problema fondamentale della dinamica dei sistemi olonomi è ricondotta alla dimostrazione che il sistema di equazioni di↵erenziali (2.9.4) può porsi in forma normale. Allo scopo di provare tale a↵ermazione, mostriamo preliminarmente che le componenti lagrangiane delle forze d’inerzia sono esprimibili in termini dell’energia cinetica T = N X 1 i=1 2 mi |ẋ2i |. 83 Introducendo in tale espressione la rappresentazione lagrangiana (2.7.8) della velocità, si ottiene N X 1 2 n @⇠ i X @⇠ i + uh 2 @t @qh i=1 h=1 ! n N ! ! N n N 2 X X @⇠ @⇠ 1 X @⇠ i 1 X X @⇠ i @⇠ i i i = mi + mi · uh + mi · uh uk . 2 i=1 @t @t @qh 2 @qh @qk i=1 i=1 T = mi h=1 h,k=1 Posto allora ↵(t, q) = N X i=1 mi N N 2 X X @⇠ i @⇠ @⇠ @⇠ @⇠ , ah (t, q) = mi i · i , Ahk (t, q) = mi i · i , @t @t @q @q h h @qk i=1 i=1 si ottiene in definitiva n n X 1 1 X T = T (t, q, u) = ↵(t, q) + ah (t, q)uh + Ahk (t, q)uh uk 2 2 h=1 (2.9.5) h,k=1 che esprime l’energia cinetica in funzione del tempo, delle coordinate lagrangiane e delle componenti lagrangiane della velocità. È opportuno osservare qui che quando i vincoli sono fissi le derivate delle funzioni ⇠ i rispetto al tempo valgono identicamente zero cosicché il coefficiente ↵ e quelli ah si annullano mentre le funzioni Ahk non dipendono dal tempo; l’espressione dell’energia cinetica T si riduce a T = T (q, u) = n 1 X Ahk (q)uh uk 2 (2.9.6) h,k=1 ed è a sua volta indipendente da t. Si consideri ora, ad ogni istante, un generico atto di moto virtuale (2.7.10). La potenza delle forze d’inerzia ad esso relativa vale W (m) = = N X i=1 N X i=1 = = N X mi ẍi · v i mi dẋi · vi dt d mi dt i=1 N X d mi dt i=1 n " @⇠ i X @⇠ i + q̇k @t @qk k=1 n X @⇠ i + @t ! @⇠ i q̇k @qk · ! n X @⇠ i uh @qh h=1 n X ! @⇠ i · uh @qh k=1 h=1 ! N n X @⇠ i X @⇠ i d + mi + q̇k · @t @qk dt i=1 k=1 !# n X @⇠ i uh @qh h=1 ! 84 dove, nel passaggio tra il secondo ed il terzo rigo, si è tenuto conto dell’espressione (2.7.9) della velocità durante il moto. La prima sommatoria all’ultimo membro può riscriversi come segue: " ! !# N n n X X d @⇠ i X @⇠ i @⇠ i mi + q̇k · uh dt @t @qk @qh i=1 k=1 h=1 0 1 n N n X N X d @X X @⇠ i @⇠ i @⇠ i @⇠ i = mi · uh + mi · q̇k uh A dt @t @qh @qk @qh i=1 i=1 h=1 h,k=1 ! n n X d X = ah + Ahk q̇k uh dt h=1 k=1 n d X @T = uh dt @uh h=1 Riguardo la seconda sommatoria, si ha poi ! ! N n n X @⇠ i X @⇠ i d X @⇠ i mi + q̇k · uh @t @qk dt @qh i=1 k=1 h=1 !" n ! # N n n X X @ @⇠ i X @⇠ i @⇠ i X @⇠ i = mi + q̇k · + q̇k uh @t @qk @qh @t @qk i=1 k=1 h=1 k=1 0 1 2 n N n X @ @1 X @⇠ i X @⇠ i = mi + q̇k A uh @qh 2 i=1 @t @qk h=1 ! k=1 n N X X @ 1 2 = mi |ẋi | uh @qh 2 i=1 = h=1 n X h=1 @T uh . @qh In conclusione, raccogliendo i precedenti risultati, si ottiene ✓ ◆ n X d @T @T W (m) = uh dt @uh @qh h=1 e dunque, confrontando quest’ultima espressione con quella (2.9.2)1 , ✓ ◆ d @T @T ✓h = dt @uh @qh cosicché le equazioni di Lagrange prendono la forma d @T dt @uh @T = `h . @qh (2.9.7) 85 La determinazione delle soluzioni del problema fondamentale della dinamica dei sistemi olonomi si riduce a quella di questo sistema: infatti, le equazioni di Lagrange equivalgono all’equazione simbolica della dinamica e pertanto, in corrispondenza a una loro soluzione, il moto (2.7.7) verifica l’equazione simbolica della dinamica e le equazioni dei vincoli; essa determina dunque, in virtù del Teorema 2.8.2, una soluzione del problema fondamentale insieme alle reazioni vincolari che si calcolano dalle equazioni di Newton. Per provare la buona posizione del problema fondamentale della dinamica dobbiamo dunque mostrare che al sistema di equazioni di Lagrange può darsi forma normale. A tale scopo osserviamo che derivando la (2.9.5) si ha n X @T = ah (t, q) + Ahk (t, q)uk ; @uh k=1 ponendo in tale espressione q = q(t) e u = q̇(t) e derivando rispetto al tempo otteniamo n n n n X X X d @T @ah X @ah @Ahk @Ahk = + q̇k + q̇k + q̇l q̇k + Ahk q̈k ; dt @uh @t @qk @t @ql k=1 similmente k=1 l,k=1 k=1 n n X @T 1 @↵ @ak 1 X @Alk = + q̇k + q̇l q̇k . @qh 2 @qh @qh 2 @qh k=1 l,k=1 Sostituendo le espressioni appena determinate nelle equazioni di Lagrange (2.9.7) queste prendono la forma n X k=1 Ahk q̈k = `h ◆ n ✓ X @ah 1 @↵ @ak @ah @Ahk + + q̇k @t 2 @qh @qh @qk @t k=1 ✓ ◆ n 1 X @Alk @Alh @Ahk + q̇l q̇k . 2 @qh @qk @ql l,k=1 Affinché questo sistema sia riconducibile a forma normale è occorre e basta che la matrice Ahk sia non singolare; tale proprietà discende immediatamente dal Teorema 2.9.1 La forma quadratica di coefficienti Ahk è definita positiva. Dimostrazione - Il valore che la forma quadratica assume nel generico vettore numerico (u1 , . . . , un ) 2 Rn n X Ahk uh uk h,k=1 86 si interpreta come il doppio dell’energia cinetica in corrispondenza dell’atto di moto di componenti lagrangiane (u1 , . . . , un ). Per tale motivo tale quantità non è mai negativa e si annulla solo in corrispondenza dell’atto di moto nullo. ⇤ In virtù del Teorema 2.9.1, il problema fondamentale della dinamica dei sistemi olonomi a vincoli ideali, fissi o mobili, può considerarsi concettualmente risolto. Supponiamo infatti di assegnare una configurazione iniziale del sistema, tra quelle appartenenti allo spazio delle configurazioni Vn , e un atto di moto iniziale, tra quelli possibili nella configurazione iniziale. Restano allora determinati una n–pla di coordinate lagrangiane e una n–pla di componenti lagrangiane delle velocità in corrispondenza delle quali le equazioni di Lagrange posseggono una sola soluzione (q1 (t), . . . , qn (t)). Il moto (2.7.7), generato da questa soluzione, obbedisce ai vincoli agenti sul sistema e verifica l’equazione simbolica della dinamica, equivalente alle equazioni di Lagrange; esso fornisce dunque l’evoluzione del sistema. Le reazioni vincolari si determinano poi attraverso le equazioni di Newton. Se, in generale, la risoluzione del problema fondamentale della meccanica dei sistemi vincolati si riconduce allo studio di un sistema quasi–lagrangiano, è possibile individuare una serie di casi particolari in cui tale sistema è lagrangiano in senso stretto. Il primo caso che prendiamo in considerazione è quello di un sistema a vincoli fissi e soggetto a sollecitazioni attive posizionali e derivanti da un’energia potenziale U (x1 , . . . , xN ): f i = ri U, i 2 {1, . . . , N }; le loro componenti lagrangiane sono allora N X @⇠ i `h = fi · = @q h i=1 N X i=1 ri U · @⇠ i . @qh Se continuiamo a denotare con U la funzione U (q) = U (⇠ 1 (q), . . . , ⇠ N (q)) ottenuta componendo l’energia potenziale con le equazioni parametriche dei vincoli, la precedente relazione diviene semplicemente ovvero `h = @U . @qh (2.9.8) Le equazioni di Lagrange diventano d @T dt @uh @T = @qh @U @qh di modo che, introdotta la funzione di Lagrange di X attraverso la posizione L(q, u) = T (q, u) U (q) = n 1 X Ahk (q)uh uk 2 h,k=1 U (q) (2.9.9) 87 esse assumono la forma lagrangiana d @L dt @uh @L = 0. @qh (2.9.10) I precedenti argomenti possono ripetersi anche quando, fermo restando il carattere potenziale delle sollecitazioni attive, i vincoli siano mobili; in tal caso l’energia cinetica si esprime nella forma (2.9.5) e l’espressione lagrangiana dell’energia potenziale coinvolge anche la variabile temporale, avendosi U (t, q) = U (⇠ 1 (t, q), . . . , ⇠ N (t, q)). Conseguentemente la funzione di Lagrange è L(t, q, u) = T (t, q, u) = U (t, q) n n X 1 1 X ↵(t, q) + ah (t, q)uh + Ahk (t, q)uh uk 2 2 h=1 U (t, q). (2.9.11) h,k=1 La situazione più generale in cui le equazioni quasi–lagrangiane (2.9.7) assumono forma completamente lagrangiana (2.9.10) si presenta quando è possibile determinare una funzione V (t, q, u), l’energia potenziale generalizzata, tale che le componenti lagrangiane della sollecitazione attiva si esprimono nella forma `h (t, q, u) = @V d @V (t, q, u) + (t, q, u); @qh dt @uh (2.9.12) la funzione di Lagrange è in tal caso L(t, q, u) = T (t, q, u) = V (t, q, u) n n X 1 X 1 Ahk (t, q)uh uk + ah (t, q)uh + ↵(t, q) 2 2 h,k=1 V (t, q, u). h,k=1 Esplicitando le derivate dell’energia potenziale generalizzata in (2.9.12), si ottiene n n X X @2V @2V @2V @V `h = q̈k + q̇k + . @uk @uh @qk @uh @t@uh @qh k=1 k=1 Poiché le forze non possono dipendere dalle accelerazioni, devono necessariamente annullarsi le derivate seconde di V rispetto alle velocità. Pertanto, l’energia potenziale generalizzata dipende dalle velocità al più linearmente: V (t, q, u) = n X h=1 bh (t, q)uh + U (t, q). 88 L’espressione della funzione di Lagrange è dunque, in definitiva, L(t, q, u) = T (t, q, u) = V (t, q, u) n n X 1X 1 Ahk (t, q)uh uk + (ah (t, q) bh (t, q))uh + ↵(t, q) U (t, q). 2 2 h,k=1 (2.9.13) h=1 Un esempio fisico della situazione che abbiamo appena descritto è quella che si realizza nel caso di una particella materiale libera di massa m e carica elettrica q si muove sotto l’azione della forza di Lorentz f = q(E + v ⇥ B) dove il campo elettrico E e quello magnetico B soddisfano le equazioni di Maxwell @B =0 @t le quali comportano l’esistenza di un campo scalare U (potenziale scalare) e di un campo vettoriale A (potenziale vettore) che consentono di esprimere il campo elettrico E e quello magnetico B nella forma div B = 0, B = rot A, rot E + E= grad U @A . @t La forza di Lorentz agente sulla particella si può dunque scrivere come segue: ✓ ◆ @A f =q grad U + v ⇥ rot A @t ✓ ◆ @A =q grad U (grad A)v + (grad A)T v @t ✓ ◆ dA =q grad( A · v + U ) . dt Si introduca la funzione V = q( A · v + U ); si ha, evidentemente, @V = qA @v e dunque la forza di Lorentz può, in definitiva, scriversi f= d @V dt @v grad V. La funzione V rappresenta dunque il potenziale generalizzato per una particella carica in un campo elettromagnetico e le equazioni del moto si esprimono in forma lagrangiana in termini della funzione di Lagrange L=T V = 1 m|v|2 + qA · v 2 qU. 89 2.10 Moti di un corpo rigido libero Le equazioni cardinali costituiscono la base su cui si fonda lo studio dei moti dei corpi rigidi. In questa sezione, in particolare, rivolgiamo la nostra attenzione al caso di un corpo che non sia soggetto ad alcuna forza vincolare e che sia dunque completamente libero di assumere qualsiasi configurazione nello spazio. In tal caso la seconda equazione cardinale va riferita al baricentro, in quanto non vi è a priori alcun punto di C che rimane in quiete durante il moto. Esse si esprimono dunque nella forma ṗ = f , (2.10.1) ḣG = mG . Sulla base dei risultati stabiliti nella Sezione 2.2 le equazioni cardinali possono porsi in una forma che meglio ne esplicita la dipendenza dalle variabili che caratterizzano la configurazione e l’atto di moto del corpo, che sono posizione e velocità del baricentro (o di un altro qualsiasi punto del corpo), angoli di Eulero e velocità angolare. Intanto, in virtù del Teorema di Kelvin e Tait la prima equazione cardinale può scriversi M ẍG = f . (2.10.2) Al fine di ottenere una conveniente rappresentazione della (2.10.1)2 , osserviamo innanzi tutto che, stante la formula (1.8.3), la derivata del momento della quantità di moto può scriversi nella forma ḣA = h̊A + ! ⇥ hA , (2.10.3) dove h̊G denota la derivata relativa di hA . D’altra parte, in virtù delle (2.2.29) e (2.2.32), il momento della quantità di moto si esprime nella forma hA = I A ! (2.10.4) sia se il polo coincide con il baricentro, sia se è fisso rispetto all’osservatore. Sostituendo questa espressione nella (2.10.3) si ottiene l’identità ḣA = (I A !)˚+ ! ⇥ I A ! che, tenendo presente che I A è costante nel riferimento solidale e che le derivate assoluta e relativa della velocità angolare coincidono, diventa ḣA = I A !˙ + ! ⇥ I A !. (2.10.5) Grazie a questa espressione della derivata del momento della quantità di moto, la seconda equazione cardinale prende la forma I A !˙ + ! ⇥ I A ! = mA . (2.10.6) Per i nostri prossimi scopi è opportuno proiettare quest’ultima equazione vettoriale nella terna principale d’inerzia (e01 , e02 , e03 ) solidale al corpo C. Osserviamo 90 per cominciare che le componenti del vettore I A ! in tale terna si determinano eseguendo il prodotto riga per colonna della matrice (2.2.22) rappresentativa del tensore d’inerzia per il vettore colonna delle componenti della velocità angolare; si ha cosı̀ hA = A!10 e01 + B!20 e02 + C!30 e03 . (2.10.7) Del tutto analogamente si ha I A !˙ = A!˙ 10 e01 + B !˙ 20 e02 + C !˙ 30 e03 . In definitiva, la (2.10.5) si esprime in componenti nella forma ḣA = [A!˙ 10 (B C)!20 !30 ] e01 + [B !˙ 20 (C A)!10 !30 ] e02 + [C !˙ 30 (A B)!10 !20 ] e03 e la seconda equazione cardinale si proietta nel sistema di equazioni A!˙ 10 (B C)!20 !30 = m0A1 , B !˙ 20 (C A)!10 !30 = m0A2 , (A B)!10 !20 C !˙ 30 = (2.10.8) m0A3 che si chiamano equazioni di Eulero per un corpo rigido. I secondi membri delle equazioni (2.10.1) vanno espressi mediante le leggi di forza in funzione el tempo dei parametri che individuano la configurazione di C — la posizione del baricentro e gli angoli di Eulero — e di quelle che ne caratterizzano l’atto di moto — la velocità del baricentro e la velocità angolare. Proiettando allora la prima equazione cardinale nel riferimento fisso e la seconda nella terna centrale d’inerzia si perviene al seguente sistema di equazioni: M ẍG1 = f1 (t, xG1 , xG2 , xG3 , ẋG1 , ẋG2 , ẋG3 , , ✓, , !10 , !20 , !30 ) M ẍG2 = f2 (t, xG1 , xG2 , xG3 , ẋG1 , ẋG2 , ẋG3 , , ✓, , !10 , !20 , !30 ), M ẍG3 = f3 (t, xG1 , xG2 , xG3 , ẋG1 , ẋG2 , ẋG3 , , ✓, , !10 , !20 , !30 ), A!˙ 10 B C)!20 !30 = m01 (t, xG1 , xG2 , xG3 , ẋG1 , ẋG2 , ẋG3 , , ✓, , !10 , !20 , !30 ), B !˙ 20 (C A)!10 !30 = m02 (t, xG1 , xG2 , xG3 , ẋG1 , ẋG2 , ẋG3 , , ✓, , !10 , !20 , !30 ), C !˙ 30 (A B)!10 !20 = m03 (t, xG1 , xG2 , xG3 , ẋG1 , ẋG2 , ẋG3 , , ✓, , !10 , !20 , !30 ). (2.10.9) Questo sistema non consente la determinazione del moto di C poiché in esso figurano tra le incognite anche i tre angoli di Eulero; per ottenere il pareggiamento tra il numero delle incognite e quello delle equazioni è necessario associare ad esso le tre relazioni cinematiche (1.11.11) che esprimono il legame tra le derivate temporali degli angoli di Eulero e le componenti della velocità angolare nel sistema soidale al corpo. Si ottiene cosı̀ un sistema di nove equazioni di↵erenziali in nelle nove funzioni incognite (xG1 (t), xG2 (t), xG3 (t), (t), ✓(t), (t), !10 (t), !20 (t), !30 (t)) — del secondo ordine rispetto alle prime tre e del primo rispetto alle rimanenti — che è immediatamente riducibile a forma normale e che consente, in linea di principio, 91 la determinazione del moto di C purché le funzioni che esprimono le leggi di forza siano sufficientemente regolari. A conclusione di questa sezione proviamo una proposizione che costituisce la generalizzazione ai corpi rigidi di quella analoga provata nel caso dei sistemi di particelle. Teorema 2.10.1 (dell’energia cinetica) In un sistema di riferimento inerziale la derivata temporale dell’energia cinetica di un corpo rigido C coincide a ogni istante con la potenza delle forze esterne agenti sul corpo. Dimostrazione - Derivando la (2.2.30) rispetto al tempo lungo un moto di C si ha 1 1 Ṫ = M ẍG · ẋG + !˙ · hG + ! · ḣG 2 2 Per la (2.10.3) si ha ! · ḣG = ! · (I G !˙ + ! ⇥ hG ) = ! · I G !˙ e dunque, per la simmetria del tensore d’inerzia, ! · ḣG = !˙ · hG . Grazie a questa identità, e ricordando il Teorema di Kelvin e Tait, la precedente espressione di Ṫ diventa Ṫ = ṗ · ẋG + ḣG · ! da cui ricordando le equazioni cardinali segue Ṫ = f · ẋG + mG · ! (2.10.10) Il Teorema segue dalla (2.4.5) identificandovi il polo A con il baricentro G. ⇤ L’equazione (2.10.10) si denomina equazione di bilancio dell’energia cinetica. In un moto rotatorio attorno a un punto fisso O, partendo dalla (2.2.33) e riferendo i momenti ad O, si verifica facilmente che essa si pone nella forma Ṫ = mO · !. 2.11 (2.10.11) Moti di un corpo soggetto a vincoli Sovente il moto di un corpo rigido è condizionato dalla presenza di uno o più ostacoli che ne limitano la mobilità esercitando su di esso delle reazioni vincolari incognite. Decomponendo il risultante delle forze esterne e quello del momento 92 delle forze esterne in un componente attivo e in quello dovuto alle reazioni vincolari le equazioni cardinali prendono la forma ṗ = f (a) + f (v) , (a) (v) ḣA = mA + mA . (2.11.1) Le equazioni che esprimono i vincoli di mobilità, e che per semplicità assumeremo indipendenti dal tempo, sono riconducibili alla forma gh (xA , , ✓, ) = 0, h 2 {1, . . . , m}, (2.11.2) nelle quali A è un arbitrario punto di C e m è un intero compreso tra 1 e 5. Il numero n = 6 m definisce il grado di libertà di C. Cosı̀ come nel caso dei sistemi di punti, le equazioni cardinali e le equazioni dei vincoli vanno corredate da una condizione che limiti le reazioni vincolari ammissibili. Definizione 2.11.1 (vincolo ideale per un corpo rigido) Sia C un corpo rigido. Si dice che C è soggetto a vincoli ideali quando le reazioni vincolari esplicabili su di esso in una sua generica configurazione sono tutte e sole quelle per le quali la potenza delle reazioni vincolari (v) W (v) = f (v) · v A + mA · ! (2.11.3) si annulla in corrispondenza a ogni atto di moto compatibile con i vincoli. Noi rinunciamo ad a↵rontare in tutta la sua generalità lo studio del problema definito dalle equazioni cardinali, dalle equazioni dei vincoli e dalla condizione di idealità e ci limitiamo a illustrare due significativi casi particolari. Il primo è quello che si presenta quando, per e↵etto dei vincoli, tutti i punti di una retta del corpo devono rimanere fissi durante il moto che, pertanto, deve ridursi a una rotazione attorno a questo asse. In questa situazione è opportuno riferire la seconda equazione cardinale a un punto O della retta fissa e scegliere i versori e3 e e03 dei riferimenti solidali all’osservatore e al corpo entrambi coincidenti con quello n che identifica la direzione della retta fissa. Il sistema in tal modo definito ha un sol grado di libertà e la sua configurazione è determinata dall’angolo ' che un versore solidale al corpo, diciamo e01 , forma con uno fisso, ad esempio e1 . Gli atti di moto compatibili con il vincolo imposto a C sono quelli per cui risulta v O = 0 e ! = ! e3 , con ! completamente arbitrario. Il momento risultante delle forze esterne si rappresenta allora attraverso una legge di forza della forma (a) mO (t, ', ') ˙ mentre la condizione di idealità della reazione vincolare si esprime allora con la richiesta che sia (v) W (v) = !mO · e3 = 0 93 per ogni ! 2 R; essa è soddisfatta se e solo se (v) (v) m3 = mO · e3 = 0. (2.11.4) Moltiplichiamo allora scalarmente l’equazione (2.11.1)2 , riferita al polo O, per e3 ; tenendo conto della (2.11.4) otteniamo (a) ḣO3 = m3 (t, ', '). ˙ D’altra parte, il momento della quantità di moto in un moto rotatorio è espresso dalla (2.2.36) cosicchè, ricordando che il momento I rispetto all’asse di rotazione è costante, si determina l’identità ḣO3 = I'¨ e l’ultima equazione diventa (a) I'¨ = m3 (t, ', '). ˙ (2.11.5) La (2.11.5) è un’equazione di↵erenziale del secondo ordine nella variabile '(t) la cui soluzione consente la completa determinazione del moto di C. La prima equazione cardinale e le prime due componenti della seconda consentono, poi, di determinare le reazioni vincolari una volta che il moto sia conosciuto. Un secondo caso di rilievo è quello di un corpo C un cui punto O sia tenuto fisso dai vincoli, di modo che i suoi moti debbano risultare necessariamente sferici attorno a O. Tale punto si assumerà come polo per la seconda equazione cardinale nonché come origine comune dei due riferimenti, quello solidale all’osservatore e quello solidale al corpo. In tale situazione conviene assumere il punto O quale origine comune della terna fissa e di quella solidale al corpo; le configurazioni di C sono allora caratterizzate dai tre angoli di Eulero mentre le velocità consentite dai vincoli sono quelle per cui si ha v O = 0 con ! completamente arbitraria. Il risultante e il momento risultante delle forze esterne si esprimono in funzione del tempo, dei tre angoli di Eulero e della velocità angolare mentre la condizione di idealità dei vincoli si traduce nella condizione (v) W (v) = mO · ! = 0 che deve essere soddisfatta per ogni vettore ! e da cui si trae (v) mO = 0. (2.11.6) Dunque, se i vincoli sono ideali, il loro momento risultante rispetto al punto fisso è nullo; la seconda equazione cardinale diventa allora semplicemente (a) ḣO = mO (t, , ✓, , !10 , !20 , !30 ) ed equivale alle tre equazioni di Eulero A!˙ 10 (B C)!20 !30 = m0O1 (t, , ✓, , !10 , !20 , !30 ), B !˙ 20 (C A)!10 !30 = m0O2 (t, , ✓, , !10 , !20 , !30 ), (A B)!10 !20 C !˙ 30 = m0O3 (t, , ✓, , !10 , !20 , !30 ). (2.11.7) 94 Il sistema costituito a queste tre equazioni e dalle condizioni cinematiche (1.11.10) permette la determinazione del moto di C. La prima equazione cardinale consente poi il calcolo delle reazioni vincolari.