La sequenza acquisizionale della morfologia verbale in italiano L2

Estratto dalla tesi di laurea “Dall’italiano L2 all’educazione linguistica nelle classi plurilingue” di Silvia Cattani
La sequenza acquisizionale della morfologia verbale in
italiano L2
Passato prossimo e imperfetto in italiano L2: significati temporali e
aspettuali
Le varietà pre-basiche: mezzi discorsivi e lessicali
Nelle prime varietà di interlingua, le categorie di tempo, aspetto e modo non vengono codificate
come nella lingua d’arrivo attraverso la morfologia verbale, bensì mediante mezzi di natura
discorsiva (ad esempio, seguendo in una narrazione il principio isomorfico dell’ordine naturale,
ossia raccontando gli eventi nell’ordine in cui si sono susseguiti) o lessicale (ad esempio,
utilizzando elementi con valore locativo o avverbiali di tempo): gli apprendenti tentano cioè di
colmare i propri deficit morfologici ricorrendo a strategie che eludano e compensino l’assenza di
grammatica.
Tuttavia, se è vero che l’italiano ha un apparato morfologico complesso, è anche vero che, rispetto a
lingue come il francese o l’inglese, e analogamente allo spagnolo, è una lingua morfologicamente
trasparente, sia perché “mantiene la pienezza fonica di tutte le sillabe e in particolare di quelle dei
suffissi flessivi […] e questo favorisce fin da subito il confronto tra forme con base uguale e con
desinenza diversa e la loro segmentazione e quindi il costituirsi di opposizioni” (Bernini 1990, pp.
81-82), sia perché “tende […] verso una codificazione più trasparente del rapporto forma funzione”,
laddove “il principio dell’isomorfismo o one form-one meaning principle […] permette di
prevedere che una forma quanto più è polisemica, tanto meno è favorita” (Giacalone Ramat 1990, p.
32). Considerazioni, queste, che suggeriscono, tra l’altro, come siano le caratteristiche della lingua
d’arrivo (piuttosto che le caratteristiche della lingua materna, come sostenevano i comportamentisti)
a influenzare in modo importante l’interlingua: “apprendenti con retroterra linguistici diversi
seguono tutti lo stesso percorso nell’acquisizione di certe strutture, un percorso che pare essere
quindi determinato dall’interazione di due fattori principali: la struttura della lingua da apprendere e
l’organizzazione della mente umana” (Pallotti 1998, p. 59).
Le varietà basiche: la forma base
La ricostruzione vera e propria del sistema verbale da parte degli apprendenti di italiano L2 prende
avvio nella varietà basica, quando si impone una forma base del verbo. In genere, essa corrisponde
a una forma del presente indicativo, tipicamente la 3^ persona singolare (ad esempio, mangia,
scrive) - talvolta la seconda persona singolare - la quale, coincidendo con la radice verbale,
funziona nella mente dell’apprendente come una sorta di minimo comune denominatore delle
diverse voci del verbo; può apparire precocemente anche l’infinito, generalmente in apprendenti
con L1 isolante (ad esempio, il cinese) o in apprendenti esposti a input ridotto o distorto dal
foreigner talk1.
Caratteristica fondamentale della forma base è il suo trattamento solo lessicale. A differenza della
lingua d’arrivo, dove in ogni forma verbale si distinguono un morfema lessicale e un morfema
grammaticale, a questo stadio dell’interlingua l’apprendente non è consapevole del valore
morfologico della forma base: la sua flessione è dunque solo apparente, come dimostrano anche i
frequenti usi sovraestesi.
1
Il foreigner talk è una varietà di lingua semplificata che certe persone tendono a utilizzare quando parlano con gli
stranieri.
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Le varietà post-basiche: la sequenza acquisizionale della morfologia verbale in italiano L2
La ricostruzione del sistema verbale italiano prosegue quindi secondo una precisa sequenza
acquisizionale2 messa in luce dagli studiosi del Progetto di Pavia (Banfi & Bernini 2003, p. 90).
Essa ha valore implicazionale e permette quindi di riconoscere il livello dell’interlingua
dell’apprendente nell’ambito del verbo3:
•
•
•
•
•
•
PRESENTE (e INFINITO) >
(AUSILIARE) + PARTICIPIO PASSATO >
IMPERFETTO >
FUTURO >
CONDIZIONALE >
CONGIUNTIVO
Lo sviluppo del sistema verbale, nelle sue dimensioni nozionali e nella loro codificazione
morfologica, si attua cioè aggredendo e dettagliando, categoria dopo categoria, lo spazio funzionale
indifferenziato che nella varietà basica è occupato dalla forma base. In particolare, l’emersione delle
opposizioni verbali di forme e funzioni, e dunque l’avvicinamento del sistema verbale
dell’interlingua al sistema verbale della lingua target, è scandito da quattro macro-fasi (Banfi &
Bernini 2003, p. 93), ciascuna della quali attiva una specifica nozione temporale (presente, passato,
futuro), aspettuale (perfettivo, imperfettivo) e modale (non-fattuale).
fasi PRESENTE (PASSATO)
1
2
3
4
Pres./Inf.
Presente
Presente
Presente
PASSATO
FUTURO
IMPERFETTIVO
NON-FATTUALE
PERFETTIVO
Pres./Inf.
Participio passato
(Aus.) Part. passato
(Aus.) Part. passato
Pres./Inf.
Presente
Imperfetto
Imperfetto
Pres./Inf.
Presente
Presente
Futuro
Pres./Inf.
Presente
Presente
Futuro
La graduale complessificazione del sistema verbale nelle quattro fasi di organizzazione
dell’interlingua permette anche di individuare la sequenza implicazionale di sviluppo delle tre
categorie nozionali di cui esso è costituito4:
•
•
•
ASPETTO >
TEMPO >
MODO
A livello aspettuale, la prima categoria ad affermarsi è quella di aspetto perfettivo, che presto
diventa anche di tempo passato perfettivo, espressa con forme di participio passato, con o senza
ausiliare. In questo primo stadio, caratterizzato dall’opposizione funzionale forma basica/forma
perfettiva, il presente continua a ricoprire tutto lo spazio funzionale della varietà basica, eccetto lo
2
Collateralmente alla sequenza si sviluppa il gerundio, che compare innanzitutto nella perifrasi progressiva stare +
gerundio e che, generalmente, emerge dopo l’imperfetto e prima del futuro. Rimane estraneo alla sequenza l’imperativo,
che risulta di tarda acquisizione sia per fattori morfologici, legati all’irregolarità delle forme della 2^ pers. sing., che
sociopragmatici.
3
Ad esempio, l’uso autonomo da parte di un apprendente dell’imperfetto implica l’uso autonomo del passato prossimo
e del presente, ma non dà informazioni circa l’uso del futuro, del condizionale o del congiuntivo.
4
Sull’ordine di emersione delle categorie di tempo e aspetto non c’è accordo unanime. Qui si riporta la posizione del
Progetto di Pavia.
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spazio corrispondente al perfettivo: la forma del passato prossimo è dunque l’unica marcata5 e “la
forma non marcata può comparire al posto di quella marcata, come ci si può aspettare, ma non
viceversa” (Giacalone Ramat 1990, p. 30).
A livello temporale, invece, la prima distinzione a emergere è quella di passato e la prima forma
verbale con significato temporale è l’imperfetto, che entra nell’interlingua tramite il verbo essere
utilizzato per esprimere gli enunciati di sfondo. “Con l’imperfetto fa il suo ingresso nelle varietà
d’apprendimento anche la categoria dell’aspetto imperfettivo, […] instaurando l’opposizione di
aspetto che nella lingua d’arrivo è veicolata nel passato dall’opposizione tra passato prossimo o
passato remoto e imperfetto” (Banfi & Bernini 2003, p. 98). Si pongono così le basi perché
l’interlingua si ristrutturi e perché il participio passato, con o senza ausiliare, diventi una forma di
tempo passato.
In sintesi, “la prima opposizione morfologica a comparire è quella tra azioni passate o concluse e
azioni presenti o continuate. […] A un certo punto gli apprendenti sentono la necessità di esprimere
morfologicamente la distinzione tra eventi passati a carattere ‘puntuale’ ed eventi (o stati) a
carattere durativo” (Pallotti 1998, p. 51). La marca –to del participio passato e la marca –va
dell’imperfetto vengono a svolgere precisamente queste funzioni.
Passato prossimo e imperfetto in italiano L2: significati azionali
Oltre alle categorie di tempo e aspetto, nell’acquisizione del contrasto tra passato prossimo e
imperfetto in italiano, un ruolo importante è giocato dalla categoria dell’azione verbale.
Le ricerche svolte nell’ambito del Progetto di Pavia hanno dimostrato l’esistenza di una forte
correlazione tra le proprietà semantiche intrinseche di un predicato e l’apprendimento di differenze
aspettuali. Ossia,
sembrerebbe […] che gli apprendenti, mentre da un lato imparano a legare […] i
valori aspettuali dei predicati a quelli temporali e a estendere le varie combinazioni
all’intero lessico verbale italiano, poco alla volta si rendono anche conto che nella L2
alcuni verbi lessicalizzano determinati tratti semantici, mentre altri li acquisiscono non
per ‘natura’ ma solo in virtù della loro combinazione con altri elementi frasali (Rastelli
2007, p. 168).
Per quanto riguarda il passato prossimo, è stato notato come “l’introduzione del participio passato
nelle varietà di apprendimento sia sensibile al carattere azionale del lessema verbale, in particolare
alla sua telicità e puntualità” (Banfi & Bernini 2003, p. 97): quindi, verbi come spegnere la luce,
che implicano il raggiungimento di una meta e la concettualizzazione degli eventi come punti nel
tempo, favoriscono l’apprendimento della perfettività. Questo fenomeno trova una spiegazione nel
“principle of selective association” (Giacalone Ramat 2007, p. 24), che identifica il prototipo
dell’aspetto perfettivo nella combinazione di tre tratti congruenti: telicità del verbo, aspetto
perfettivo e tempo passato. Analogamente, “le prime forme di imperfetto compaiono […] con
predicati durativi, come nel caso degli stativi costruiti in italiano con essere + aggettivo” (Banfi &
Bernini 2003, p. 98), ad esempio, essere arrabbiato.
Andersen e Shiray, cercando di ricondurre tali considerazioni all’interno di una cornice teorica,
hanno elaborato la Aspect Hypothesis (Andresen & Shirai 1994, cit. in Giacalone Ramat 2007 p.
25; Rastelli 2007 p. 176; Rosi 2007 p. 237), secondo cui “le forme di passato sono inizialmente
associate ai predicati verbali che ne condividono i tratti semantici” e, solo in seguito e
5
Infatti, come si è detto, il presente è una forma base indifferenziata, da considerare come un unico morfema lessicale,
non segmentabile.
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gradualmente, attraverso l’esposizione alla lingua d’arrivo, si assiste alla “diffusione della marca
aspettuale dalle combinazioni con i valori azionali che le sono più prototipicamente associati,
ovvero marca perfettiva e predicati telici, marca imperfettiva e predicati atelici, alle interazioni
meno congruenti, in cui l’aspetto non è guidato dalle proprietà azionali del predicato, ma è
selezionato dal contesto, come avviene nell’uso nativo” (Rosi 2007, pp. 237-238).
L’ipotesi dell’aspetto conferma il ruolo giocato dai principi di prototipicità e marcatezza
nell’acquisizione della lingua seconda, la quale, infatti, progredisce sempre dai tratti più neutri e
prototipici della lingua d’arrivo a quelli più marcati e periferici: una gradualità che conferma anche
la bontà della Teoria della Processabilità di Pienemann, nella misura in cui sostiene che, per poter
processare e apprendere una struttura complessa, occorre avere preliminarmente acquisito le
strutture più semplici. L’emergenza del passato prossimo prima dell’imperfetto ha cioè una
spiegazione di natura cognitiva: se nel passato prossimo le categorie di tempo e aspetto convergono
nel caratterizzare un’azione come trascorsa e compiuta, nell’imperfetto, invece, divergono,
delineando l’azione come trascorsa ma indeterminata, cioè temporalmente passata ma
aspettualmente presente. Adattando alla L2 una considerazione elaborata negli studi sull’italiano
L1, si può sostenere che la precocità del passato prossimo risponde alla possibilità di una sua
elaborazione da parte dell’apprendente: “una relazione effettiva col presente (avente cioè risultati
visibili) rende il passato più accessibile al bambino, in quanto lo fa diventare, in un certo modo,
concreto, ed evita perciò la difficoltà cognitiva che gli eventi astratti rappresentano per i bambini”
(Zenti 1993, cit. in De Marco 2007, pp. 456-457). Ne deriva che, rispetto alle proprietà semantiche
dei lessemi verbali, le sequenze implicazionali relative all’acquisizione della perfettività e
dell’imperfettività in italiano L2 saranno diametralmente opposte tra loro (Rosi 2007, p. 238):
Aspetto perfettivo:
• VERBI TRASFORMATIVI >
• VERBI RISULTATIVI >
• VERBI CONTINUATIVI >
• VERBI STATIVI
Aspetto imperfettivo:
• VERBI STATIVI >
• VERBI CONTINUATIVI >
• VERBI RISULTATIVI >
• VERBI TRASFORMATIVI
Strategie d’acquisizione della morfologia verbale in italiano L2
Come si è spiegato, l’acquisizione del sistema verbale in italiano L2 può essere vista come un
percorso che evolve dal lessico alla morfologia. Nel corso di questo processo, le strategie attuate
dagli apprendenti nella ricostruzione della morfologia del verbo sono fondamentalmente tre: la
sovraestensione, l’elaborazione autonoma di forme e la strategia analitica.
La sovraestensione
Inizialmente, l’interlingua consiste di materiale essenzialmente lessicale: le forme base dei verbi
vengono trattate come un unico morfema lessicale, sono cioè solo apparentemente flesse. A questa
fase risale una prima strategia di ricostruzione dei paradigmi verbali, la sovraestensione, che
consiste nell’impiego di una forma verbale anche in contesti nei quali non è richiesta dalla lingua
d’arrivo: in questo modo, le forme base, inanalizzate, diventano polifunzionali.
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La sovraestensione può essere interparadigmatica o intraparadigmatica, “a seconda che la forma in
questione venga generalizzata a diversi paradigmi di tempo e modo del sistema verbale italiano o
solo alle altre persone del paradigma cui pertiene” (Banfi & Bernini 2003, p. 101).
es. studiare italiano ( = io studio italiano): sovraestensione interparadigmatica
es. fa cameriere ( = io faccio la cameriera): sovraestensione intraparadigmatica
L’elaborazione autonoma di forme
In uno stadio più avanzato, l’apprendente comincia ad analizzare le forme di cui dispone e a
riutilizzarne autonomamente i morfemi legati. Si comporta cioè in maniera analoga al bambino in
L1, il quale a partire dalla “fase protomorfologica […] individua e ricostruisce in modo creativo
patterns morfologici sulla base di analogie o di prime regole: un sistema primitivo della morfologia
si dissocia dai sistemi fonologico, sintattico e lessicale per far fronte alla crescente complessità
morfologica” (De Marco 2007, p. 459). Questa seconda strategia, di cui si è già parlato nel primo
capitolo, è definita elaborazione autonoma di forme, o anche regolarizzazione analogica, perché
l’apprendente, sulla base di ipotesi ricavate dalla lingua bersaglio e dal materiale morfologico
dell’interlingua - e, nello specifico, tramite la generalizzazione degli allomorfi più ricorrenti o
basici, il livellamento delle alternanze del tema e del morfema flessivo o derivativo, la ricerca della
massima trasparenza nel confine tra morfemi - ricostruisce gli elementi dei paradigmi verbali.
es. presato, prenduto ( = preso)
Come si è già visto, i risultati di questa strategia sono sempre preziosi, indipendentemente dal fatto
che si confacciano o meno alla norma della lingua d’arrivo, perché attestano lo sviluppo
nell’apprendente della competenza linguistica.
Le formazioni analitiche
Una terza strategia, a cui in questa sede si vuole solo accennare, è quella analitica. Essa “consiste
nel dare espressione separata al significato lessicale e a quello grammaticale” (Banfi & Bernini
2003, p. 106), costruendo serie verbali di forme flesse giustapposte, di cui una codifica il significato
grammaticale (generalmente attraverso una forma del verbo essere) e una il significato lessicale.
es. era si chiama ( = si chiamava)
Sovraestensione e elaborazione autonoma di forme: un’ipotesi di continuità
La letteratura tradizionale di settore sottolinea la differenza qualitativa tra la strategia della
sovraestensione e la strategia dell’elaborazione autonoma di forme, perché “distinte e diverse
sarebbero le due forze che innescano la costruzione dei paradigmi dell’interlingua: quella della
memorizzazione non analitica di grappoli di materiale lessicale (chunks) e quella dello sviluppo di
regole che percorrono ed organizzano il materiale lessicale (rules)” (Mammoli 2004, p. 34).
Un’originale prospettiva di ricerca, basata sul network model (Bybee 1985, cit. in Mammoli 2004,
p. 34), cerca oggi di superare quest’impostazione discreta per ricondurre le due strategie a una
spiegazione unitaria, “in un modello morfologico dinamico che non distingua un lessico fisso ed
una grammatica che lo compone, ma che, assumendo la parola come unità basica, faccia emergere
la grammatica dal lessico stesso” (Mammoli 2004, p. 67). Secondo questo modello, tra la parola
memorizzata e la regola non ci sarebbe una cesura netta, ma continuità; l’anello di congiunzione tra
chunks e rules sarebbe costituito dallo schema, il quale può essere definito come il prodotto di
un’astrazione compiuta su elementi lessicali imparentati nella forma, poiché “costituisce la
descrizione delle proprietà fonologiche di una classe morfologica senza far derivare una forma dalla
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modificazione della rispettiva base” (Mammoli 2004, p. 50). Si tratta di un’impostazione
interessante, che spiega, ad esempio, il fenomeno dell’addensamento di sovraestensioni
intraparadigmatiche delle 3^ persone plurali sui verbi con struttura morfo-fonemica in -anno (come
vanno, hanno, fanno, danno, ecc.): “pur essendo morfo-fonemicamente irregolari, e quindi dotate
già di un’autonomia propria, queste forme costituiscono, infatti, una classe al suo interno regolare
perché passibile di una generalizzazione” (Mammoli 2004, p. 50).
Questa prospettiva, sottolineando il ruolo della capacità di astrarre somiglianze e
categorizzare, mette ancora una volta in luce la ricorsività tra le dimensioni linguistica e cognitiva,
la cui consapevolezza è cruciale nell’insegnamento/apprendimento della lingua.
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