2. Il Sistema solare Nel gennaio del 2004, il piccolo laboratorio mobile robotizzato Opportunity ha raggiunto il cratere Victoria, nell’emisfero nord di Marte, iniziando una serie di indagini geologiche sul suolo del pianeta. Fotografando da vicino le rocce che formano il bordo del cratere, Opportunity – appena visibile (indicato dalla freccia) nell’immagine ripresa dalla sonda Mars Reconnaissance Orbiter che orbitava intorno al pianeta – ha rilevato numerose forme di erosione che possono essere giustificate soltanto dall’azione prolungata dell’acqua. Quando poi è sceso sul fondo del cratere, il modulo ha prelevato e analizzato rocce, scoprendo che possono essersi formate soltanto in presenza d’acqua. (NASA / JPL) I corpi del Sistema solare 1.Il Sistema solare La porzione di spazio entro cui si muovono i corpi celesti che costituiscono il Sistema solare, ha le dimensioni di una sfera con un diametro di circa 200.000 U.A. (circa 30.000 mld di Km) (circa 3 a.l.) Nel Sistema solare, sono presenti 8 pianeti, (agosto 2006) almeno 63 satelliti naturali, migliaia di asteroidi (masse di modesta entità che circondano il Sole) oppure (di maggiore entità) ad esempio Plutone e Cerere, che descrivono orbite che vanno oltre i pianeti. Altri componenti sono, meteore e meteoriti, e comete. Posta la massa del Sole pari a 100, nel Sole è presente il 99,85% della massa dell’intero sistema Solare. Lo spazio tra i vari corpi celesti, non è vuoto. In esso si trova, in forma estremamente rarefatta, la materia interstellare, costituita da pulviscolo, gas, particelle atomiche libere (protoni ed elettroni). La stella Sole Struttura del Sole. I dati raccolti da numerosi osservatori, hanno permesso di acquisire conoscenze sulla struttura esterna del Sole. Le leggi della fisica applicate ai dati, hanno permesso di formulare un modello per la struttura interna del Sole. Troviamo idrogeno ed elio allo stato di plasma. Dall’analisi spettrografica risulta che in quanto a composizione degli strati più esterni del Sole: Circa 74 % da idrogeno Circa il 25% da elio. La presenza di elementi più pesanti dell’elio, conferma che il Sole è una stella fatta con materia riciclata. Dall’interno verso l’esterno, troviamo: Il nucleo (r= 150.000Km); la zona radiativa (r= 450.000Km); la zona convettiva (r= 100.000 Km). Segue la fotosfera e l’atmosfera solare. Nel nucleo, avviene la produzione di energia. La temperatura è prossima a 15.000.000 di K, si verificano le reazioni di fusione termonucleare. Queste si verificano da almeno 5 mld di anni. Sono necessari altri 5 mld di anni affinché il Sole si possa trasformare in una gigante rossa. L’energia prodotta nel nucleo ( E= mc2 ) viene spinta verso l’esterno, passando attraverso la zona radiativa, gli atomi dei gas presenti nella zona radiativa, assorbono ed emettono energia, ma a causa della temperatura più bassa, mancano reazioni di fusione termonucleare. Nella zona convettiva (r= 100.000 Km) l’energia viene trasportata per convenzione. (Movimenti della materia innescati da differenze di temperatura). La stella Sole La granulazione della superficie del Sole. (SPL / Grazia Neri) Dopo un viaggio di centinaia di milioni di anni, le particelle prodotte dal nucleo raggiungono la superficie del Sole, divenendo visibili come fotosfera. La fotosfera, rappresenta la superficie visibile del Sole. La temperatura media della fotosfera è di 5785 K. La superficie della fotosfera non è liscia, infatti all’osservazione appare costituita da granuli brillanti; tali granuli sono l’evidenza dei movimenti in atto nella sottostante zona convettiva. Inoltre la superficie del Sole appare caratterizzata anche dalle macchie solari La stella Sole La superficie del Sole, su cui spiccano alcune macchie solari. (NASA) Le macchie solari, per contrasto appaiono come zone di forma irregolare, si nota una zona centrale più scura circondata da una fascia più chiara detta penombra. La temperatura nella parte centrale varia da circa 4000 K a circa 5000 K, nella penombra si possono raggiungere intorno ai 5500 K. Hanno una particolare evoluzione: appaiono, aumentano di dimensioni e di numero, si riducono poi scompaiono. Singoli gruppi di macchie hanno una vita di una settimana. L’osservazione sistematica della superficie solare ha evidenziato che il numero delle macchie non è costante. Passa da un minimo a un massimo, con una periodicità media di 11 anni circa. Per convenzione è stabilito che un ciclo di attività solare cominci con un numero minimo di macchie e finisca con l’inizio del minimo successivo. I valori sull’andamento delle macchie solari hanno dimostrato che Il periodo più lungo (registrazioni dal 1715) è stato di 17,1 anni (1788 1805), il più breve di 7,3 anni (1829 1837) Maunder si accorse che tra il 1645 e il 1715 le macchie solari erano praticamente scomparse. In questo periodo le aurore boreali furono rarissime e nel periodo tra il 1450 e il 1850 si è notata una piccola età glaciale, con un clima insolitamente freddo (non tutti gli scienziati concordano per tali collegamenti). Si narra che nel 1716 la notizia della apparizione della prima aurora boreale, dopo tanto tempo suscitò curiosità e sorpresa anche in Hedmund Halley, il quale ammise di non averne mai osservata una. Halley era vissuto a cavallo del minimo di Maunder. Al contrario il «massimo Medievale» un periodo insolitamente caldo che va dal 1110 al 1250, coincide con un periodo di forte attività solare. La stella Sole Un’immagine della cromosfera. (S. Bruniére, Ciel & Espace) Un metro quadrato della superficie terrestre riceve dal Sole, quando è allo zenit, una quantità di energia pari a circa 1000 watt. La stella Sole La corona solare ripresa nel corso di una eclissi totale di Sole. (S. Bruniére, Ciel & Espace) I brillamenti o flares: sono violentissime esplosioni di energia, sono lampi di luce associati a potenti scariche elettriche. Compaiono in prossimità delle macchie solari, si propagano (in un tempo da pochi minuti a qualche ora) su un’area di milioni di Km quadrati. Durante tali esplosioni vengono liberate enormi quantità di energia, con radiazioni dai raggi X alle onde radio. L’attività solare Una grande protuberanza. (NASA) Altre manifestazione della attività solare sono rappresentate dalle protuberanze: nubi di idrogeno che dalla cromosfera penetrano nella corona solare Fino a quote di 20.000 40.000 Km, possono essere eruttive o quiescenti, la temperatura è intorno a 20.000 K. L’attività solare Alcuni brillamenti solari. (NASA) Oltre alle radiazioni di carattere ondulatorio, i brillamenti lanciano materia gassosa fino a 20.000 Km di altezza, emettono anche un flusso di particelle atomiche (protoni ed elettroni) che viaggiano nello spazio alla velocità di 1500 Km/s. In alcuni casi si osserva l’emissione di particelle ad altissima energia. Queste ultime particelle possono viaggiare ad una velocità prossima a quella della luce. Se il flares esplode presso il centro del disco solare, il flusso di particelle nel giro di 26 ore raggiunge la Terra L’attività solare Un’aurora polare nel cielo di una foresta alle alte latitudini boreali. (SPL / Grazia Neri) I velocissimi corpuscoli, colpiscono violentemente le particelle ionizzate dell’alta atmosfera, spingendole verso il basso, dove a quote tra 70 e 1000 Km danno origine alle aurore polari. Associato al fenomeno delle aurore polari, si verificano forti perturbazioni nel campo magnetico terrestre, (tempeste magnetiche) Che cos’è un pianeta? Secondo la recente definizione dell’International Astronomical Union (IAU), un pianeta è un oggetto che orbita intorno a una stella, è abbastanza grande da presentare forma sferica e ha allontanato altri oggetti dalla zona circostante la propria orbita. Ovvero un pianeta deve possedere una massa sufficiente a eliminare dalla propria zona orbitale i corpi più piccoli, confinandoli in orbite stabili con l’azione gravitazionale. I pianeti del Sistema solare Prima legge di Keplero A occhio nudo, i pianeti visibili sono: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Copernico, con il suo sistema eliocentrico, rivoluzionò in modo definitivo la concezione di Tolomeo. Secondo Copernico, i pianeti seguivano orbite circolari. Fu Keplero a stabilire che i pianeti percorrono orbite a forma di ellisse, di cui il Sole occupa uno dei fuochi. La prima legge di Keplero I pianeti descrivono orbite ellittiche, quasi complanari, aventi tutte un fuoco comune in cui si trova il Sole. Il movimento di rivoluzione avviene di solito in modo antiorario, per un osservatore posto al Polo nord celeste. I pianeti del Sistema solare La seconda legge di Keplero. La seconda legge di Keplero afferma che: il raggio che unisce il centro del Sole al centro di un pianeta descrive superfici con aree uguali in intervalli di tempo uguali. Quindi le aree sono proporzionali ai tempi impiegati a percorrerle, un pianeta si muove più velocemente quando è più vicino al Sole (perielio) e più lentamente quando è più lontano (all’afelio). I pianeti del Sistema solare La terza legge di Keplero. La terza legge di Keplero afferma che: i quadrati dei tempi che i pianeti impiegano a percorrere le loro orbite sono proporzionali ai cubi delle distanze medie dal Sole. (distanze in U.A. periodi in anni). Ovvero la velocità media di un pianeta è tanto minore quanto più esso è lontano dal Sole. Mercurio, ha una velocità media di 48 Km/s, Nettuno, di 5,4 Km/s. Newton e la legge della gravitazione universale Newton intuì l’esistenza di una forza di attrazione tra i corpi e a descriverne gli effetti attraverso la legge della gravitazione universale, in base alla quale «due corpi si attirano in modo direttamente proporzionale alla loro massa e in ragione inversa al quadrato della distanza». G = alla costante di gravitazione universale (6,67 x 10-11 N m2 Kg-2 ) M e m sono le masse dei corpi. d = la distanza tra i loro centri. F= G M m/d2 Un pianeta, subisce perciò una forte attrazione da parte del Sole, in quanto vicino e dotato di grande massa, mentre è debolmente attratto dagli altri pianeti (piccola massa) e dalle stelle (molto lontane). Tali azioni impediscono al pianeta di muoversi con velocità costante e in linea retta, e lo costringono a una sorta di continua «caduta» verso il Sole, in un gioco di equilibrio il cui risultato è, appunto, l’orbita ellittica. Velocità di fuga ed effetto fionda Un velivolo una volta raggiunta o superata la velocità di fuga può proseguire indefinitivamente nello spazio per inerzia. In tali condizioni la traiettoria del velivolo spaziale può venire modificata solo dall’avvicinarsi di un altro corpo celeste. La forza di attrazione di quest’ultimo, in aumento al diminuire della distanza, farebbe accelerare gradualmente la navicella e ne modificherebbe il percorso: a seconda della traiettoria di avvicinamento, la navicella potrebbe venir attirata fino cadere sulla superficie del pianeta o fino a rimanere in orbita attorno ad esso, oppure fino ad arrivare ad una minima distanza dal pianeta con velocità superiore a quella di fuga: in tal caso, dopo averlo sorvolato si allontanerebbe da esso, «lanciata» lungo una nuova traiettoria da una specie di fionda planetaria, che sfrutta l’energia gravitazionale. I pianeti del Sistema solare I pianeti del Sistema solare sono diversi tutti tra di loro, come natura, come grandezza, come distanza dal Sole. A partire dal Sole si passa dalla superficie di Mercurio con una temperatura di circa 400°C a quella della superficie di Nettuno con una temperatura di circa -200°C Grandezze dei pianeti rispetto al Sole. I pianeti del Sistema solare Schema delle orbite dei pianeti che consente di avere un’idea delle distanze di tali corpi dal Sole. Nonostante le loro differenze, i pianeti vengono suddivisi, in una prima classificazione, in pianeti di tipo terrestre (Mercurio, Venere, Terra e Marte) e pianeti di tipo gioviano (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) Le dimensioni: il diametro del pianeta terrestre più grande (Terra) è circa ¼ del pianeta gioviano più piccolo (Nettuno) La densità: nei pianeti di tipo terrestre, la densità è in media 5 volte superiore a quella dell’acqua, mentre nei pianeti di tipo gioviano è circa 1,5 volte e anche meno. La natura dei materiali che li costituiscono. I pianeti di tipo terrtestre sono piccole sfere di rocce e metalli, con un nucleo di materiali ad alta densità, avvolto da un mantello di minore densità (ossidi e silicati di ferro e magnesio) con una crosta di materiali ancora meno densi, le rocce della parte superficiale. L‟atmosfera. I pianeti di tipo terrestre, o sono privi di atmosfera oppure è sottile e tenue, rispetto all’atmosfera dei pianeti di tipo gioviano. Questa è una conseguenza della massa dei singoli pianeti e della loro distanza dal Sole. La grande massa dei pianeti gioviani trattiene i gas più facilmente, le basse temperature determinate dalla distanza dal Sole, non permettono ai gas di raggiungere le velocità di fuga. Venere, Terra e Marte, riescono a trattenere solo le molecole dei gas più pesanti. Le loro atmosfere sono una frazione piccolissima della massa totale. Infine, i pianeti terrestri non hanno satelliti naturali, o ne hanno pochissimi, quelli gioviani ne hanno molti. Mercurio E‟ il pianeta più interno, poco più grande della Luna: la sua vicinanza al Sole ne rende difficile l‟osservazione, limitandola al massimo a un'ora prima dell‟alba o dopo il tramonto, a seconda della posizione del pianeta nell‟orbita. Gli antichi Greci attribuirono la comparsa di quel corpo celeste alternativamente prima del sorgere e dopo il calare del Sole a due oggetti diversi: Ermes (la stella del mattino) e Apollo (la stella della sera). Mercurio, il pianeta più vicino al Sole. (NASA) Mercurio In questo schema , si considera la posizione di un punto „A‟ su Mercurio rispetto al Sole . Evidenziando contemporaneamente il periodo di rivoluzione (88 giorni) e quello di rotazione ( circa 59 giorni ) , seguendo lo spostamento del punto „a‟ per ogni mezza rotazione , si evince che lo stesso punto si troverà per circa 88 giorni in ombra e per circa 88 giorni al Sole .Il punto „A‟ per ritornare nella posizione di partenza impiega circa 176 giorni , quindi un tempo pari a due rivoluzione , ruotando tre volte su se stesso . Mercurio Mercurio ruota attorno al Sole in 88 giorni, mentre compie una lenta rotazione sul proprio asse in circa 59 giorni, per cui ogni punto sulla sua superficie rimane illuminato per circa 88 giorni e per un ugual periodo è in ombra. A causa della vicinanza al Sole e della durata del periodo di illuminazione, la temperatura sul lato esposto al Sole sale a 425 °C, quanto basta a far fondere metalli come stagno e piombo, mentre sul lato opposto scende fino a -175 °C. E’ il pianeta con la più forte escursione termica tra il dì e la notte ed è praticamente privo di atmosfera. Mercurio Una veduta ravvicinata della superficie di Mercurio. (NASA) L'aspetto della superficie, è stato rivelato con molti dettagli dalle immagini inviate a Terra dalla sonda automatica Mariner 10, che tra il 1974 e il 1975 ha sorvolato per tre volte il pianeta passando a soli 800 km dalla superficie. Il mosaico di foto ottenute copre un'area pari a circa il 40% della superficie totale del pianeta . Nel 2004, dopo 30 anni, una nuova sonda è partita per Mercurio, dove giungerà nel 2011, per completare la ricognizione della superficie ancora sconosciuta. Le strutture più diffuse sono - i crateri da impatto, alcuni accompagnati da una specie di aureola di raggi chiari (lunghi centinaia di km), - le pianure lisce. Mercurio crateri da impatto sono dovuti alla caduta di meteoriti, che raggiungono la superficie ad altissime velocità (anche 150 000 km/h). Il corpo che precipita si disintegra e nell'area di collisione si scava una depressione, con diametri da pochi metri a migliaia di km; il «contraccolpo» per l'urto violentissimo scaglia verso l'alto e tutto intorno una grande quantità di frammenti, che, ricadendo, formano un orlo che circonda l'ampia cavità centrale, il cratere. Negli impatti più violenti una certa quantità di materiale viene lanciata radialmente e disegna sulla superficie i caratteristici raggi chiari. Mercurio Crateri da impatto sono stati osservati, oltre che sulla Luna e su Mercurio, anche su Marte, su molti satelliti di Giove e di Saturno e perfino sulla Terra. Su Mercurio - come sulla Luna e su altri corpi - la perfetta conservazione di quelle forme è dovuta all'assenza di un'atmosfera e alla mancanza di qualunque successiva attività nella crosta (vulcanismo, movimenti ecc.). La forte craterizzazione delle superfici planetarie risale a un preciso periodo all'inizio dell'evoluzione del Sistema solare, esauritosi circa 3 miliardi di anni fa; su Mercurio l'impatto di maggiori proporzioni ha portato alla formazione, poco meno di 4 miliardi di anni fa, di un bacino di ben 1300 km di diametro. Mercurio Le pianure lisce sono vaste colate di lave risalite dall'interno del pianeta quando il materiale ivi presente è fuso per l'energia liberata dai tremendi impatti. Le tracce di quegli eventi lontanissimi nel tempo non sono state minimamente cancellate da eventi successivi (in pratica, altri rari crateri da impatto), per cui Mercurio è un corpo ormai «tranquillo» da 2 o 3 miliardi di anni. L'alta densità media del piccolo pianeta (simile a quella della Terra) ha portato a concludere che il suo interno sia occupato in gran parte da un nucleo di materiale ad alta densità (metallico), mentre l'involucro di materiali meno densi è molto ridotto di spessore, nei confronti dell'analoga struttura degli altri pianeti. Forse, un violento impatto con un grosso meteorite, avvenuto in una fase molto antica della sua evoluzione, ha strappato al pianeta gran parte del suo involucro esterno, facendolo disperdere in frammenti nello spazio. La struttura di Mercurio. Venere L’atmosfera a vortici e la superficie di Venere. (NASA) Venere è l'oggetto più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna. Ha dimensioni e densità simili a quelle della Terra e si trova all'incirca alla stessa distanza dal Sole. Al contrario della Terra, però, Venere è un pianeta caldo con temperature superficiali che arrivano, sia di giorno (dì) che di notte, a 460 °C, quanto basta a trasformare l'acqua in vapore: su Venere non esistono mari. Effetto serra E Il pianeta è avvolto da un'atmosfera formata per il 97% di CO, (al contrario di quella terrestre, che ne contiene solo lo 0,03 %), con piccole quantità di vapore acqueo, azoto e vapori di acido solforico. Le alte temperature osservate su Venere sarebbero dovute a un effetto serra come quello che si può sperimentare facilmente entrando in un'automobile rimasta a lungo ferma al Sole con i finestrini chiusi. La densa atmosfera venusiana, infatti, lascia passare la radiazione proveniente direttamente dal Sole, ma ferma la radiazione riemessa dalla superficie con una diversa lunghezza d'onda, in modo che, anche se il calore intrappolato viene gradualmente disperso dai movimenti vorticosi dell'alta atmosfera, la temperatura rimane molto alta su tutto il pianeta. Venere Vulcani su Venere. (NASA) L'anidride carbonica presente nell''atmosfera dei pianeti viene liberata dall'attività vulcanica: ma perché su Venere tale gas è così abbondante, mentre sulla Terra, che pure ha avuto ed ha una notevole attività vulcanica, è così scarsa? Il fatto è che sulla Terra l'acqua allo stato liquido (pioggia, mari) discioglie l'anidride carbonica, che successivamente viene sottratta all'acqua da miriadi di organismi che la fissano nei loro gusci (come carbonato di calcio, CaCO3) o la utilizzano nella fotosintesi: grandi quantità di CO2 vengono in tal modo continuamente sottratte all'atmosfera e bloccate nella materia organica e, soprattutto, nelle rocce carbonatíche. Su Venere, invece, l'alta temperatura per la maggior vicinanza del Sole deve aver favorito fin dall'inizio una forte evaporazione e deve aver innescato ben presto l'effetto serra, facendo sparire l'acqua allo stato liquido e favorendo, di conseguenza,una crescente concentrazione dell'anidride carbonica: si è giunti così a condizioni di temperatura, pressione e concentrazione di gas proibitive per la vita quale noi la conosciamo. Ma anche sulla Terra alcuni interventi incauti dell'uomo potrebbero far aumentare l'effetto serra, con conseguenze simili a quelle osservate su Venere, drammatiche per gli esseri viventi: lo studio del pianeta gemello, che ha permesso di esaminare il fenomeno su scala globale, si è rivelato quindi qualcosa di più importante di un allargamento delle nostre conoscenze sul Sistema solare. In superficie la pressione di questa densa atmosfera è 90 volte superiore alla nostra. La parte più alta dell'atmosfera comprende una coltre opaca di nuvole con uno spessore di circa 25 km, la cui base non è vicina alla superficie, ma a 30 km di altezza. Le nubi sono trascinate da forti venti con velocità di oltre 300 km/h e seguono percorsi definiti . Le immagini ravvicinate inviatete a Terra dalla sonda Mariner 10 (che nel 1974 sorvolò Venere durante il suo volo verso Mercurio) mostrarono lunghe fasce di nubi che partendo dai due poli avvolgono l'intero pianeta in ampie spirali ruotando in senso opposto saldandosi lungo la fascia equatoriale. Su Venere sono presenti strutture geologiche molto complesse: - il 60% circa della superficie si presenta debolmente ondulata - il 15 % circa della superficie è occupato da ampie depressioní - il 25 % circa è costituito da altopiani. Le pianure ondulate sono tagliate da valli lunghe anche migliaia di km e presentano numerosi crateri da impatto. Infine, sono state individuate due enormi strutture alte 5000 m a forma di ampio cono, interpretate come grandi vulcani a scudo (vulcani formati da lave molto fluide, che scorrono a lungo prima di solidificarsi). Date le analogie con la Terra, si pensa che dall'interno di Venere fluisca una notevole quantità di calore (come avviene sul nostro pianeta), sufficiente a far fondere localmente in profondità le rocce, trasformandole in magma, capace di alimentare un notevole vulcanismo. Venere Struttura interna di Venere. Le sonde Venera 9 e 10, lanciate dall'URSS nel 1975, hanno indicato, per le aree su cui sono discese, rocce di composizione simile al basalto, la roccia di origine magmatica povera in silice e ricca in ferro e magnesio che è anche la roccia più comune sulla superficie della Terra. Gli altopiani si elevano di un migliaio di metri rispetto alla pianura presa come riferimento. Su questi altopiani si innalzano catene di rilievi anche imponenti, come i Monti Maxwell, le cui vette toccano gli 11000 m. La struttura globale interna del pianeta è simile a quella della Terra. I processi geologici più attivi sono però il vulcanismo e i movimenti di deformazione della crosta, come sollevamenti, sprofondamenti e lacerazioni; tali deformazioni sono rese più vistose rispetto a quanto avviene, per esempio, sulla Terra, a causa delle alte temperature superficiali che rendono più «plastiche» le rocce, cioè meno resistenti agli sforzi, come la forza di gravità. Terra La Terra vista da una navicella che sta orbitando attorno alla Luna. (NASA) Attraverso l’oblò di una navicella spaziale la Terra appare come una sfera quasi perfetta, di un colore blu, avvolta da sottili strie discontinue e vortici bianchi. Nascosti in parte sotto i grandi sistemi di nuvole, i continenti appaiono come aree di colore bruno-arancio con sfumature rossastre nelle fasce desertiche. La Terra ha un nucleo di materiale molto denso (essenzialmente ferro e nichel) che occupa la metà del raggio, avvolto da un mantello di rocce ricche di ferro e magnesio, a sua volta ricoperto da una sottile crosta di rocce molto eterogenee e meno dense di quelle sottostanti. La struttura della Terra. Terra La crosta presenta una netta distinzione tra vastissimi bacini depressi (occupati dagli oceani) e ampie zone rilevate (le aree continentali, in gran parte emerse); queste ultime sono formate da complessi mosaici di strutture diverse, tra cui estese catene montuose e lunghissime fosse di sprofondamento. Numerosi vulcani attivi producono continuamente grandi quantità di nuove rocce e immettono nell'atmosfera giganteschi volumi di gas e vapori. Queste strutture caratteristiche sono il risultato di una continua evoluzione, dovuta a processi endogeni, che si svolgono, cioè, all'interno del pianeta, dove esiste una notevole fonte di energia. L'interno della Terra è molto caldo, tanto che il nucleo è almeno in parte fuso: a tale situazione e ai movimenti in atto all'interno del pianeta è legata la presenza del forte campo magnetico terrestre. Nel complesso la Terra è un pianeta decisamente írrequieto, caratterizzato dalla vita, un fenomeno che, almeno nelle forme a noi note, non compare in alcun altro corpo del Sistema solare. (???) La Terra possiede un'atmosfera molto meno densa di quella di Venere, costituita da azoto e, in minor grado, da ossigeno, mentre altri gas (come anidride carbonica e vapore acqueo) sono presenti solo in quantità minime. La temperatura media in superficie è tale da consentire all'acqua di persistere ampiamente allo stato liquido: circa 3/4 della superficie terrestre sono coperti dalle acque (oceani, laghi, fiumi, oltre alle riserve potenziali dei ghiacciai), che formano l'idrosfera. Atmosfera e idrosfera hanno trasformato e continuano a trasformare l'aspetto superficiale della crosta terrestre. Inoltre, l'attivìtà dell'atmosfera e l’evoluzione della crosta hanno cancellato sulla Terra le tracce del grande bombardamento meteoritico che caratterizzò il primo miliardo di anni di evoluzione del Sistema solare: tali tracce sono invece perfettamente conservate sulla superficie della Luna, il nostro satellite naturale, di cui parleremo in seguito. Marte Una serie di circostanze sembrano rendere Marte il pianeta più simile al nostro. La durata del suo giorno è, casualmente, quasi la stessa del giorno sulla Terra e anche l‟inclinazione dell‟asse di rotazione è simile, per cui su Marte si ha un'alternanza di stagioni come Le nostre. Tuttavia, per la maggiore distanza dal Sole e la maggior durata di un'intera rivoluzione (pari a 687 giorni terrestri), te stagioni sono più fresche e durano quasi il doppio. Infine, anche intorno a Marte ruotano dei satelliti: Phobos, che ha un diametro massimo di 27 km, e Deimos, il cui diametro è 10 Km. Si pensa che siano corpi strappati dal pianeta alla vicina fascia degli asteroidi Tra i due pianeti però, ci sono anche notevoli differenze, a partire dall‟atmosfera, che su Marte è molto rarefatta (la pressione in superficie è circa 1/50 di quella terrestre) ed è formata per il 95 % da anidride carbonica, con piccole quantità di azoto, vapore acqueo e ossigeno. La temperatura superficiale di Marte è in media di -55 'C. Numerose missioni hanno tentato di chiarire la sostanza di queste analogie o differenze. I dati inviati ci hanno mostrato un pianeta quasi morto, con una debole attività atmosferica, senza traccia dei «canali» rettilinei che Schiaparelli ritenne di aver individuato al telescopio nel 1877 e sui quali per un secolo si è discusso. Ma via via sono emerse le tracce di una lunga storia geologica, che oggi inizia a delinearsi. Marte Il Mons Olympus di Marte. (NASA) Le immagini inviate dai robot Spirit e Opportunity, atterrati sul pianeta nel gennaio 2004, mostrano un paesaggio del tutto simile a un nostro deserto roccioso, dominato dal tipico colore rosso-ruggine. La superficie di Marte è stata modellata da numerosi processi: bombardamento meteoritico, attività vulcanica, movimentí crostali, erosione, deposizione. Alcune regioni sono craterizzate, mentre in altre si innalzano giganteschi vulcani o corrono enormi canyon. L'attività vulcanica è stata molto intensa ed è testimoniata da imponenti vulcani. Il maggiore tra questi è il Mons Olympus, largo alla base 700 km e alto 25 000 m. sulle pianure circostanti: è il più grande vulcano del Sistema solare . Lungo l'Equatore si stende un sistema di canyon, le Valles Marineris: lungo 5000 km, largo 500 km e profondo 5 -6000 m. Il vulcanismo è da tempo estinto. La struttura del pianeta è simile a quella della Terra, ma non sembra presente un nucleo interno. Anche i movimenti della crosta (grandi fratture o spostamenti di settori di essa) sono cessati, come dimostra l'assenza di attività sismica. Dopo una vivace evoluzione, durata qualche miliardo di anni, Marte si è arrestato, quando la sua energia interna non è stata più sufficiente a «far muovere» la crosta. Sulla sua superficie sono rimasti attivi da allora solo processi di modellamento, prima di tutto quello legato a erosione e deposizione eoliche, cioè operate dai venti. Marte Tempeste di sabbia su Marte. (NASA) Marte Le variazioni termiche indotte dall'energia solare provocano infatti forti correnti che, anche se con un'atmosfera molto rarefatta, sollevano tempeste di polvere su tutto il pianeta. L'atmosfera rarefatta e le basse temperature superficiali impediscono la presenza di un'idrosfera con acqua libera: eppure, la superficie di Marte conserva tracce vistose e diffuse di una lunga permanenza dell'acqua, come dimostrano numerosi canali con molte valli tributarie, che formano reticoli del tutto simili a quelli fluviali, ramificati, presenti sulla Terra, ma completamente asciutti. Struttura interna di Marte. Marte Tracce di acqua su Marte. (NASA) Dove è finita quell'acqua e come si possono spiegare questi profondi cambiamenti? Si pensa che in origine Marte avesse un'atmosfera densa, ricca di anidride carbonica (CO2) da emissioni vulcaniche, come su Venere e sulla Terra, tale da far innescare gradualmente un effetto serra in grado di portare la temperatura globale a qualche grado sopra lo zero. Come conseguenza, l'acqua cominciò a formare specchi lacustri e reticoli fluviali. Ai reticoli si aggiunsero anche canali, probabilmente generati da impatti meteoritici che provocarono improvvisi rilasci di centinaia di km3 di acqua per fusione del permafrost (terreno permanentemente gelato, come quello della tundra siberiana), che aveva accolto l'iniziale condensazione del vapore acqueo vulcanico. La rete di corsi d'acqua drenava verso l'emisfero nord, dove si trova tuttora una vasta area depressa, e formò cosi una distesa marina - l'Oceano Boreale - nel quale si deposero sedimenti, soprattutto sabbie. Marte La disponibilità di vapore acqueo e di CO2 di origine vulcanica rafforzarono l'effetto serra e si stabili un nuovo equilibrio idrologico. La presenza di acqua liquida e i processi di alterazione delle rocce superficiali finirono, però, per diventare una «trappola chimica» per la CO2. Come è ben noto sul nostro pianeta, l'alterazione dei silícati di calcio (tra i minerali più comuni e abbondanti nelle rocce superficiali) sottrae due molecole di CO2 all'atmosfera e le porta in soluzione come bicarbonato di calcio; una volta in mare, dal bicarbonato può precipitare il carbonato (che forma le rocce calcaree), con restituzione di una sola molecola di CO2, che può tornare nell'atmosfera. Senza riciclaggio delle rocce della crosta (come avviene sulla Terra, ma non su Marte) Acqua su Marte: oggi e nel passato. Solchi organizzati in sistemi del tutto simili a quelli dei reticoli fluviali terrestri. (NASA) CO2 + H2O = H2CO3 = 2H+ + HCO3- Interagiscono gli ioni bicarbonato con gli ioni calcio e la silice HCO3- Ca2+ SiO2 Questi soluti vengono trasportati dai fiumi fino agli oceani (ciclo dell'acqua), dove organismi viventi incorporano in gusci e scheletri gli ioni calcio e bicarbonato, formando nuovamente carbonato di calcio e liberando anidride carbonica. CaCO3 + CO2 Si forma il carbonato di calcio restituendo all’atmosfera anidride carbonica ciclo geochimico del carbonio “approfondimento” Il ciclo geochimico regola il trasferimento del carbonio fra litosfera, idrosfera e atmosfera (capacità dei comparti e turnover del carbonio). L'anidride carbonica presente nell'atmosfera si solubilizza nell'acqua piovana con formazione_dell‟acido_carbonico. L'acido carbonico modifica chimicamente i minerali carbonatici e silicatici (alterazione delle rocce carbonatiche e silicatiche) liberando ioni bicarbonato, ioni calcio e silice che passano in soluzione. Questi soluti vengono trasportati dai fiumi fino agli oceani (ciclo dell'acqua), dove organismi viventi incorporano in gusci e scheletri gli ioni calcio e bicarbonato, formando nuovamente carbonato di calcio e liberando anidride carbonica. In tale processo torna all'atmosfera circa la metà dell'anidride carbonica. Gusci e scheletri, alla morte degli organismi, si depositano (deposizione_dei_carbonati) sui fondali e vengono sepolti da altri sedimenti. Altri carbonati si depositano per precipitazione diretta dall'acqua. L'accumulo di questi carbonati produce circa l'80% del carbonio depositato sul fondo oceanico; il rimanente 20% è fornito dalla materia organica morta (seppellimento_di_materia_organica). I fondali oceanici si espandono e scorrono sotto i continenti trasportando i sedimenti in profondità. Esposti ad alte temperature e pressioni (metamorfismo_dei_carbonati) i sedimenti liberano, molti milioni di anni più tardi, anidride carbonica, che rientra nell'atmosfera, soprattutto attraverso le eruzioni vulcaniche. Marte la CO2 viene progressivamente sottratta all'atmosfera: l'effetto serra diminuisce e la temperatura scende. Secondo tale processo, i canali si estinsero e l'Oceano Boreale si restrinse e si colmò di sedimenti. Da allora, l'acqua rimasta si trova sotto forma di ghiaccio nel permafrost. La presenza del ghiaccio è stata confermata dalla sonda Phoenix Mars, scesa nei pressi del Polo nord. E Fino all'esplorazione compiuta da Spirit e Opportunity nel 2004, la possibilità di trovare forme di vita sul pianeta era considerata altamente improbabile, essenzialmente per le temperature inospitali che nelle regioni polari scendono a - 120 'C. Acqua su Marte: oggi e nel passato. Una possibile ricostruzione dell’Oceano Boreale. Tuttavia, il ritrovamento di materiali che indicano la probabile persistenza dell'acqua su Marte per míliardi di anni, insieme alla scoperta fatta dalla European Space Agency's Mars Express della presenza di metano nell'atmosfera marziana hanno dato nuovo impulso al dibattito scientifico. L'acqua infatti è un prerequisito per la vita, mentre il metano (almeno sulla Terra) è prodotto perlo più dagli organismi. A oggi tuttavia non è ancora emersa nessuna indicazione della presenza passata su Marte di organismi viventi come noi li conosciamo. E Abbiamo esaminato i corpi celesti più interni del Sistema solare: sfere rocciose con un nucleo metallico, che hanno avuto storie evolutíve parallele, ma ognuna con caratteristiche proprie, legate alla massa di ciascun corpo e alla distanza dal Sole. Per due di essi, Luna e Mercurio, l'evoluzione si è arrestata in una fase precoce; nel caso di Marte, invece, si è spinta più avanti, prima di lasciare il campo ai soli processi di modellamento esterni, che ne stanno lentamente levigando la superficie; negli altri, invece, l'evoluzione è ancora attiva: forse con minor energia su Venere, ma con gran vivacità sulla Terra. Nel corso della loro evoluzione alcuni corpi sono riusciti a trattenere un involucro di gas e vapori. Anche in tal caso le atmosfere hanno avuto storie diverse, con importanti conseguenze; dalla densissima coltre di Venere che, con il suo effetto serra, ha prodotto un ambiente proibitivo per la vita, alla tenue atmosfera della Terra, in equilibrio con grandi quantità d'acqua, che hanno invece favorito e protetto lo sviluppo della vita, fino all'atmosfera estremamente rarefatta di Marte, troppo esigua per riscaldare a sufficienza la fredda superficie del pianeta ormai inerte Giove Un’immagine a colori reali di Giove. (NASA) Giove è un pianeta gigantesco, la cui massa è pari al doppio di quella di tutti gli altri pianeti del Sistema solare messi insieme e il volume è 1316 volte quello detta Terra. Il pianeta appare piuttosto schiacciato ai poli, a causa dell'elevata velocità di rotazione intorno al proprio asse (all'Equatore essa raggiunge i 40 000 km/h). Al telescopio l'atmosfera di Giove appare solcata da bande chiare e scure che si alternano, disposte parallelamente all'Equatore, interrotte qua e là da alcune macchie rosse o biancastre. Una di queste, chiamata Grande macchia rossa, è stata sempre presente da quando è stata osservata per la prima volta più di tre secoli fa. Giove A che cosa corrispondono le bande e le macchie? Il calore solare e quello che si libera dall'interno di Giove innescano nella spessa atmosfera del pianeta grandi movimenti convettivi (si ricordi che la temperatura media sulla superficie visibile è di - 153°C, con formazione di nubi dovute alla condensazione dell'ammoniaca (uno dei componenti dell'atmosfera gíoviana). L'alta velocità di rotazione del pianeta costringe le nubi a formare le lunghe bande, denominate zone e fasce: le zone chiare sono quelle in cui i gas risalgono; le fasce scure contigue sono quelle verso cui i gas ridiscendono. L’atmosfera di Giove. (NASA) Le macchie chiare e scure che interrompono le bande corrispondono a perturbazioni cicloniche. La Grande macchia rossa è un gigantesco vortice di nubi, a forma di ellisse (con un asse maggiore variabile tra i 25 000 e i 50 000 km), che ruota in senso antiorario e si muove con l'atmosfera circostante, ma rimanendo da secoli sempre nella stessa posizione rispetto all'Equatore. La porzione visibile dell’atmosfera di Giove è ridotta: per conoscerne qualcosa di più è stata lanciata nel 1989 la sonda automatica Galileo, entrata in orbita intorno a Giove nel 1995, dopo aver seguito una lunga e complessa rotta che ha sfruttato l'effetto «fionda planetaria» di Venere e della Terra. Dalla sua orbita la sonda ha sganciato un modulo che, frenato da paracadute, ha attraversato 300 km di atmosfera in circa 1 ora, prima di essere messo fuori uso in quell'ambiente di gas vorticanti. I segnali trasmessi, di grande interesse, hanno messo in evidenza, tra l'altro, che la composizione chimica dell'atmosfera di Giove è simile a quella del Sole. Giove Lo spessore totale dell'atmosfera di Giove è di circa 1000 km: a quella profondità dal tetto di nubi la pressione è tale che l'idrogeno deve passare allo stato liquido. La superficie di Giove è quindi quella di un oceano di idrogeno liquido esteso a tutto il pianeta. A circa 24 000 km di profondità la pressione provoca un'altra trasformazione: l'idrogeno liquido passa a idrogeno metallico liquido, uno stato della materia mai osservato, ma previsto teoricamente. A profondità ancora maggiori (almeno 60 000 km, su un raggio di 70 000 km) dovrebbe esistere, infine, un nucleo di rocce e metalli pesanti, in quantità simile a quella dei pianeti di tipo terrestre. La struttura interna di Giove. In complesso, il gigante tra i pianeti è una sfera liquida, con un involucro gassoso e un piccolo nucleo solido, costituito da materiali più densi. La sua composizione media (85 % di idrogeno e 15% di elio) è del tutto analoga a quella del Sole, e se la sua massa fosse stata solo 10 volte maggiore, nel suo nucleo la temperatura sarebbe salita abbastanza da innescare una reazione termonucleare, trasformandolo in una piccola stella. Il suo nucleo, invece, arriva a «solo» 30000°C, e il pianeta sta lentamente disperdendo, attraverso i moti convettivi della parte fluida e dell'atmosfera, l'energia accumulata come calore nelle fasi iniziali della sua evoluzione. Giove La superficie di Io. (NASA) Attorno a Giove ruotano almeno 16 satelliti (63). I quattro più grandi (scoperti da Galíleo e detti perciò galileiani) sono, dal più vicino al più lontano, Io, Europa, Ganimede e Callisto. Gli altri satelliti di Giove sono meno noti, ma anche molto più piccoli. I quattro satelliti più lontani (tutti con diametro di circa 20 km), ruotano in senso opposto rispetto agli altri, su orbite molto inclinate: sono forse degli asteroidi catturati dal gigante gassoso. Approfondimento Io, presenta un‟intensa attività vulcanica, maggiore di quella nota in qualunque altro corpo del Sistema solare. Il Voyager 1 ha individuato una decina di vulcani in eruzione, i cui pennacchi, a forma di ombrello, salivano fino a 300 km di altezza, con velocità di espulsione prossime a 3600 km/h (figura 1). Dalle bocche vulcaniche, insieme a colate di lava (la cui composizione è sconosciuta: forse silicati?), vengono eruttati zolfo, anidride solforosa e altri composti dello zolfo, che hanno ricoperto tutta la superficie con brillanti colori: giallo, arancione, rosso, oro, bianco, nero. La continua emissione di materiale vulcanico ha cancellato ogni traccia degli antichi crateri di impatto, e la stessa superficie attuale è in perpetua trasformazione, come è risultato ben evidente anche dal confronto tra le immagini più recenti inviate dalla Galileo e quelle dei Voyager. Approfondimento Nel corso di migliaia di anni di evoluzione, questo satellite ha perso ogni sostanza volatile (acqua, anidride carbonica), mentre i materiali più densi sono stati e sono continuamente riciclati dal suo continuo «ribollire » interno. L’energia per l’attività di Io proviene dal gigantesco pianeta intorno a cui ruota a soli 400 000 km di distanza. Poiché l’orbita non è circolare, al periodico variare della distanza la crosta della minuscola luna viene più o meno deformata dalla tremenda forza di attrazione di Giove: la continua deformazione libera, all’interno del satellite, grandi quantità di calore (è un po’ quello che succede quando si piega e si raddrizza di seguito più volte un fermaglio di metallo, che si riscalda nel punto di piegatura). I dati raccolti dalla missione Galileo sembrano anche indicare la possibile presenza di un nucleo metallico, che sarebbe responsabile del forte campo magnetico generato dal satellite. Giove La crosta ghiacciata di Europa. (NASA) Approfondimento Poco più lontano da Giove, la piccola Europa mostra un contrasto impressionante: una superficie bluastra di ghiaccio d’acqua percorsa da una fitta rete di strie, con una temperatura di –150 °C. I dati rilevati dalla Galileo hanno permesso di stabilire che Europa ha un nucleo metallico avvolto da un mantello roccioso, ricoperto da un oceano di acqua profondo 100-200 km, con una crosta ghiacciata decisamente sottile: 2 km al massimo. Le striature della superficie si sono rivelate profonde e lunghissime fessure, fiancheggiate sui due lati da increspature parallele e simmetriche. Le increspature sono attribuite al congelamento in superficie di acqua o acqua e fanghiglia risalita lungo le fessure, in quanto la superficie di Europa risulta decisamente attiva . Gruppi di increspature con fessura centrale risultano tagliati bruscamente da increspature più giovani, con direzione diversa. Approfondimento In certi casi gli intrecci di fessure scompaiono sotto laghi di ghiaccio con superfici levigate e prive di ogni traccia di alterazione, quindi originate da effusioni di acqua molto recenti. In altri casi si osservano lembi di crosta ghiacciata del tutto simili ad iceberg galleggianti in un oceano, emersi per circa 200 m, separati da canali ghiacciati. Questa intensa attività della crosta in cui si aprono fratture o che si frantuma in blocchi «galleggianti» e mobili, è provocata da poderosi movimenti nell’oceano sottostante: ma a spese di quale energia? Il problema è aperto: forse responsabile è il calore dissipato dal nucleo e dal mantello, o quello dovuto allo stesso effetto di marea (anche se meno forte) che riscalda Io. In ogni caso, acqua liquida e possibilità che si raggiungano determinate temperature, come pure la possibilità di avere strutture idrotermali sul fondo dell’oceano a contatto con un mantello roccioso che libera calore, (come avviene sulla Terra lungo le dorsali oceaniche, hanno suggerito che Europa potrebbe essere un buon candidato per ospitare qualche forma di vita. Infine, è stata scoperta una sottile atmosfera di ossigeno. Giove Ganimede. (NASA) Ancora più lontano da Giove, Ganimede, il più grande satellite dell’intero Sistema solare, appare sempre di più un mondo di ghiacci, con una composizione che comprende il 40% di acqua. Sulla superficie del satellite sono visibili: – alcune zone di colore più scuro, dovute probabilmente all’accumulo di polveri, costellate di crateri da impatto; – fasce e zone più chiare che circondano le precedenti, con un numero di crateri da impatto molto inferiore; proprio quest’ultima osservazione fa ritenere che le zone più chiare siano più giovani di quelle di colore scuro. Le zone chiare sono striate da solchi paralleli, simili a quelli di Europa. Un nucleo metallico e un mantello roccioso sono avvolti da una «crosta» di acqua spessa ben 800 km, di cui i 200 più esterni sotto forma di ghiaccio. Approfondimento Approfondimento Ganimede conserva perciò ampie tracce di un’attività molto antica (le aree scure), ma anche vistose testimonianze di attività successiva, che, a più riprese, ha portato alla fuoriuscita di acqua e colate di ghiaccio (forse con meccanismi come quelli di Europa) e al parziale «riciclaggio» della crosta più antica. Il riscaldamento che periodicamente ha fatto assottigliare localmente la crosta e ha provocato eruzioni in superficie di acqua e ghiaccio è stato ogni volta innescato, probabilmente, da complesse interazioni mareali con Giove e gli altri satelliti. Le misure spettroscopiche effettuate dalla sonda Galileo ai poli hanno confermato la presenza di ozono sulla superficie di Ganimede. Probabilmente, il processo di trasformazione chimica che determina la formazione dell’ozono comporta la presenza di una sottile atmosfera di ossigeno, simile a quella individuata su Europa. Giove Callisto. (NASA) Approfondimento Callisto, il più lontano, presenta una superficie scura intensamente craterizzata, come quelle di Mercurio o della Luna. Gli impatti si sono verificati sulla superficie di una crosta di ghiaccio «sporco», misto a detriti rocciosi. I numerosi crateri, il cui interno rivela ghiaccio «più pulito», spiccano come tante macchie bianche luminose. Lontano da Giove, anche l’interno di Callisto si è da tempo completamente congelato e non c’è stata energia sufficiente per qualche attività in grado di lasciare tracce in superficie. Saturno Una splendida immagine di Saturno ripresa dal Voyager 1. (NASA) Posto ad una distanza dal Sole doppia rispetto a quella di Giove, Saturno appartiene anch'esso al gruppo dei pianeti giganti, anche se ha un diametro un po' minore e una massa pari a un terzo di quella del «vicino». Il pianeta ruota su se stesso con grande velocità, la qual cosa determina un sensibile schiacciamento polare. L'atmosfera di Saturno ha una struttura abbastanza simile a quella di Giove, con un'alternanza di fasce più chiare e fasce più scure, disposte parallelamente all'Equatore. Si riconoscono aree con perturbazioni a carattere rotatorio e vortici; i venti spirano con velocità che all'Equatore raggiungono i 1800 km/h (cinque volte superiori alle velocità più alte registrate su Giove), mentre diminuiscono di intensità spostandosi verso le zone polari per scomparire del tutto ai poli. Complessivamente Saturno è formato da un grosso ínvolucro di gas (con temperature medie in superficie che arrivano a -185 °C il quale avvolge un nucleo di idrogeno liquido. La struttura più affascinante, anche se non unica tra i pianeti del Sistema solare, sono gli anelli che circondano Saturno. Gli anelli furono visti già da Galileo, ma riconosciuti come tali dall'astronomo olandese C. Huygens . Saturno Struttura interna di Saturno. Le immagini e i dati dei Voyager 1 e 2 che hanno sorvolato Saturno (rispettivamente nel 1980 e 1981) e della sonda Cassinis (2004) hanno dimostrato che il sistema di anelli è formato da un migliaio di sottili anelli distinti, presenti anche nelle zone di divisione che, viste al telescopio, sembrano separare gli anelli principali. Lo spessore del sistema di anelli è soltanto di qualche decina di metri, mentre la larghezza supera i 200 000 km. Saturno Gli anelli di Saturno ripresi da vicino dalla sonda Cassini. (NASA) Il materiale che forma gli anelli di Saturno è costituito da frammenti di ghiaccio (forse ammoniaca solida) e polvere con diametri che variano da pochi micrometri al metro ognuno in rotazione attorno al pianeta su una propria orbita. Gli anelli non sono, quindi, un sistema né rigido né compatto: sono un insieme di corpi su orbite concentriche. L'origine del sistema di anelli sembra dovuta all'enorme forza di gravità di Saturno: questa avrebbe disintegrato un satellite finito troppo in prossimità del pianeta, oppure avrebbe impedito a una parte della stessa materia da cui si è formato Saturno di «coagularsi» in un unico corpo. Tra i 18 satelliti che compongono il corteo di Saturno, (Ad agosto 2007 si conoscono 60 satelliti di Saturno) Titano è l'unico a possedere una vera atmosfera. Nel 2005, atterrando su Titano, la sonda Huygens si è appoggiata su una sostanza morbida che ha rilasciato uno sbuffo di gas metano: il metano, probabilmente presente in forma liquida nel terreno sottostante, è evaporato per effetto del calore della sonda. Saturno Vulcano su Titano. (NASA) Viste le bassissime temperature superficiali (-178 °C) nei fiumi e nei laghi di Titano però non scorre acqua, come sulla Terra, ma metano liquido. L'atmosfera di Titano - come quella terrestre - è costituita perlopiù da azoto, ma con una densità quattro volte superiore rispetto alla nostra. Al suo interno è suddivisa in una troposfera, una stratosfera e numerose stratificazioni ulteriori. Inoltre nell'atmosfera si trovano numerosi elementi di quella che si ritiene sia stata l'atmosfera terrestre primitiva, fra cui vari composti organici complessi che hanno fatto pensare alla possibilità di forme di vita, sebbene le basse temperature sembrino escludere tale eventualità. Saturno Laghi di metano su Titano. (NASA) Nell'uso comune, il termine «vulcanismo» implica materiale roccioso fuso (il «magma», di natura silicatica), ad alte temperature, in grado di trasferirsi dall'interno del nostro pianeta fino alla sua superficie. Qui esso dà origine alle rocce effusive, organizzate in numerose tipiche forme. Ma dopo le immagini inviate a terra dalle sonde Voyager 1 e Voyager2, che hanno sorvolato i satelliti di Giove, Saturno, Urano e Nettuno, il significato del termine è stato ampliato fino a comprendere l'attività di composti come l'acqua, il metano, l'ammoniaca e l'azoto, i quali, alle basse e bassissime temperature cui si trovano su quei corpi, appaiono nelle fasi solide (ghiacci) e liquide, con passaggi dalle une alle altre attraverso fenomeni di fusione Saturno Strati nell’atmosfera di Titano. (NASA) Quando si formano a una certa profondità, questi fusi freddissimi possono risalire fino a traboccare in superficie, dando origine a vere e proprie effusioni. A tali processi è stato dato il nome di criovulcanismo, ovvero «vulcanismo di ghiaccio». Nelle parti esterne dei Sistema solare il ghiaccio non è in genere di acqua pura, ma è «contaminato» da composti come NH3 (ammoniaca) e CH4 (metano), la cui presenza fa abbassare il punto di fusione del ghiaccio. Per esempio, la presenza di ammoniaca nel ghiaccio di acqua fa scendere il punto di fusione di una miscela eutettica (che contiene circa il 35% di NH3 in massa) a circa 175 K: sono valori di temperature abbastanza bassi da poter essere raggiunti dal solo calore liberato dai processi di decadimento radioattivo che si svolgono all'interno di satelliti con diametro di almeno 500 km. Questo tipo di processo può portare al rimaneggiamento delle superfici ghiacciate dei satelliti più grandi. Infatti, una soluzione di NH3 + 2H20, formata per fusione parziale di acqua contaminata con ammoniaca, è poco meno densa del ghiaccio da cui proviene e decisamente meno densa di un ghiaccio contenente materiale roccioso (polveri e detriti fini). Un simile fuso tenderebbe a muoversi verso l'alto: inoltre, avrebbe proprietà fisiche (come la viscosità) tali che, con la bassa gravità esistente alla superficie di un satellite di ghiaccio, si comporterebbe in modo simile a una colata di lava basaltica sulla Terra. Al contrario, se nel fuso, durante la risalita, iniziasse un processo di cristallizzazione (come avviene nella formazione di fenocristalli nelle rocce effusive), la viscosità potrebbe aumentare fino ai valori tipici di molte lave terrestri ricche in silice (tipo andesiti o rioliti). Di conseguenza, un fuso ammoniaca-acqua può produrre una varietà di forme«criovulcaniche» che hanno tutte la loro controparte nel vulcanismo terrestre. Urano Urano fu scoperto casualmente, nel 1781, nel corso di osservazioni telescopiche su alcune stelle, ma solo due secoli dopo la sonda Voyoger 2 ha fatto conoscere il sistema, che comprende anche anelli e molti satelliti. Quel lontanissimo pianeta ha una caratteristica unica nel Sistema solare: il suo asse di rotazione giace quasi sul piano dell'orbita, invece di essere presso la verticale di tale piano, come è negli altri pianeti. Di conseguenza Urano volge alternativamente verso il Sole i suoi poli, per cui, essendo la durata della rivoluzione di Urano di circa 84 anni, le sue zone polari passano ogni 40 anni circa da un lunghissimo «giorno» ad una lunga notte. Urano è avvolto da un'atmosfera spessa 7600 km di idrogeno, elio e metano (a quest'ultimo è dovuta la colorazione azzurra) ed è freddissimo: la temperatura, che varia di poco, scende da -208 °C, al polo che punta verso il Sole, fino a -215 °C all'Equatore. Immagine di Urano e del suo sistema di anelli e di satelliti, ripresa dal Telescopio Spaziale Hubble, nel 1997. (NASA) Urano Negli strati più alti dell'atmosfera, al di sopra delle zone circumpolari, si sono osservate estese formazioni di brine, forse dovute a reazioni causate dalla radiazione solare negli idrocarburi. Nelle zone verso l'Equatore si sono osservati invece sistemi di nubi in veloce movimento intorno al pianeta, trascinate da forti venti. Dal tempo impiegato da tali nubi a effettuare un giro completo è stato possibile risalire al periodo di rotazione del pianeta, che è di circa 17 ore. Urano La struttura interna del pianeta è formata da un nucleo centrale roccioso, avvolto da un oceano (profondo 10500 km) formato dagli stessi costituenti dell'atmosfera, ma allo stato liquido Intorno ad Urano ruotano numerosi corpi: un sistema di 10 sottili anelli e almeno 17 satelliti. Le immagini dei satelliti maggiori inviate dalla sonda Voyager 2 hanno rivelato mondi diversi: dalle vaste pianure costellate da crateri da impatto di Oberon e Titania, le lune più lontane, Struttura interna di Urano. Urano L’aspetto caotico di Miranda. Il satellite sarebbe stato frantumato dalla collisione con un asteroide in blocchi, che si sarebbero in seguito riaggregati, mescolando ghiacci e rocce. (NASA) alle regioni craterizzate e intersecate da profonde valli rettilinee, delimitate da fratture lunghe centinaia di km, di Ariel e Umbriel; fino alla superficie di Miranda, la luna più vicina a Urano, che mostra un mosaico di zone intensamente craterizzate e zone profondamente solcate da lunghe scarpate. Nettuno Struttura interna di Nettuno. Il pianeta venne cercato e trovato, nel 1846, in seguito a calcoli effettuati a tavolino per spiegare alcune perturbazioni osservate degli astronomi nell'orbita del «vicino» Urano. A oltre 4 miliardi di kilometri dal Sole, ruota su se stesso in circa 16 ore (a livello dell'alta atmosfera) e una sua rivoluzione attorno al Sole dura 164,8 anni. La temperatura varia da circa -232 °C a -211 °C. Nettuno è costituito da un profondo oceano di gas liquidi - soprattutto metano - coperto da un'atmosfera verde-azzurra - idrogeno e metano sede di complessi moti circolari. Vi si distingue infatti una struttura a bande e fasce parallele all'Equatore, simile a quella di Giove e Saturno, interrotta da alcune macchie più scure, che corrispondono a zone in cui i gas discendono, ampie fino a 10000 km, e da formazioni nuvolose chiare, estese lungo i paralleli ad alta quota. A causa della sua grandissima distanza dal Sole, la forte attività dell'atmosfera di Nettuno non può essere dovuta all'energia solare, ma è di origine interna: probabilmente è legata al calore liberato da un nucleo interno ancora in parte liquido. Nettuno Immagine ravvicinata di Nettuno, trasmessa dal Voyager 2. (NASA) Nettuno Tritone ripreso dalla sonda Voyager 2. (NASA) Intorno a Nettuno ruotano 3 anelli e almeno 8 satelliti, il maggiore dei quali, Tritone, ha un movimento retrogrado ed è stato sorvolato da vicino dal Voyager 2. Avvolto da un velo di azoto e metano e con una crosta di ghiaccio spessa 400 km, Tritone ha una temperatura di -225 °C ed è uno dei mondi più freddi finora scoperti nel Sistema solare. La sua superficie è tormentata da crateri e altre strutture che la fanno assomigliare alla buccia di un melone, con segni di attività recente. Sono stati addirittura visti in atto giganteschi «pennacchi» scuri che salgono dalla superficie per migliaia di metri. Forse sono dovuti ad attività vulcanica o sono geyser prodotti da vapori di azoto che si liberano periodicamente al di sotto della superficie di ghiacci trasparenti, a causa di una specie di effetto serra, trascinando con sé sottili polveri scure. I corpi minori del Sistema solare I corpi minori Pianeti e satelliti non sono gli unici componenti del Sistema solare: intorno al Sole ruotano innumerevoli altri corpi, con dimensioni dal cm ad alcune decine di km, su orbite prossime a quelle dei pianeti o a distanze di oltre 1,5 a.l. (cioè 15 000 miliardi di km). Si possono suddividere, per l'aspetto con cui ci si rivelano, in tre gruppi, che sono comunque strettamente collegati tra toro per l'origine e l'evoluzione: asteroidi (o pianetini): corpi formati dallo stesso materiale da cui si è formato il Sistema solare, di cui hanno conservato la composizione originale; meteore e meteoriti: corpi la cui orbita interseca quella terrestre, per cui vengono attratti e cadono sul nostro pianeta, consumandosi nell'atmosfera (meteore o stelle cadenti) o arrivando fino al suolo (meteoriti); comete: corpi di polveri e ghiacci che stazionano in orbite a grandissime distanze dal Sole ma che possono immettersi su orbite lunghissime, fino a giungere in vicinanza del Sole, perdendo nello spazio Lunghe scie di materiali finissimi («code»). I corpi minori L’asteroide Ida e la sua minuscola luna Dattilo. (NASA) Gli asteroidi finora catalogati sono circa 20 000, ma il loro numero totale è almeno il doppio. Questi corpi, che hanno dimensioni medie di decine di km, sono cosi distribuiti: in gran parte si trovano tra le orbite di Marte e Giove, dove formano la fascia degli asteroidi (larga circa 2 U.A.), ma alcuni hanno orbite che si avvicinano a quelle dei pianeti (anche della Terra) o le intersecano; hanno dimensioni medie di decine di km, ma alcuni arrivano a centinaia di km (il più grande, Cerere, raggiunge i 935 km); la loro superficie, almeno nei maggiori, è segnata da numerosi crateri da impatto. I corpi minori un migliaio circa ruota con stabilità nell'orbita di Giove; altri, infine, ruotano su orbite molto allungate, che giungono fino oltre quelle di Nettuno. Il primo di questi corpi «trans-nettuniani» è stato scoperto nel 1992 e ha un diametro di 130 km; da allora ricerche specifiche ne hanno individuati circa 800, la maggior parte con un diametro eh circa 100 km, mentre uno di essi, Eris (battezzato in origine Sedna e ritenuto, all'inizio, un possibile nuovo pianeta), con un diametro di quasi 2400 km, si trova quasi tre volte più lontano di Nettuno. I corpi minori Plutone (a sinistra) e il suo satellite Caronte. Anche Plutone, classificato fino al 2006 come pianeta, è ora considerato tra i corpi trans-nettuniani: si tratta di un corpo più piccolo della Luna, formato da polveri e gas congelati (metano e ammoniaca: la temperatura è di -236 °C, che percorre la sua orbita intorno al Sole in 248 anni accompagnato da un satellite, Caronte. Nel 2006 è stata lanciata la sonda New Horizons, che raggiungerà Plutone nel 2015. Il grande interesse con cui si studiano gli asteroidi è legato alla loro origine. L'ipotesi attuale è che essi si siano formati per aggregazione graduale di corpi più piccoli. Nell'attuale fascia degli asteroidi, però, tale aggregazione sarebbe stata interrotta da qualche meccanismo non ancora ben chiaro, ma legato a perturbazioni gravitazionali provocate dalla vicina enorme massa di Giove. In tale prospettiva, il materiale degli asteroidi è quanto di più simile ci sia al materiale originario del Sistema solare. (NASA) I corpi minori Il Meteor Crater. (SPL / Grazia Neri) Meteore e meteoriti Entrambi questi termini indicano frammenti di materiale in orbita intorno al Sole troppo piccoli per essere chiamati asteroidi o comete. Quando uno di questi frammenti si avvicina all'orbita della Terra, può essere attratto dal nostro pianeta e attraversarne l'atmosfera (lo stesso accade, ovviamente, per gli altri pianeti e satelliti). A seconda delle dimensioni dell'oggetto, possono verificarsi due casi: -se il corpo è molto piccolo (da 0,1a qualche kg), l'attrito con l'atmosfera lo rende incandescente e lo fa evaporare. Il fenomeno dà origine a una scia luminosa che viene chiamata meteora o stella cadente; -se il corpo è abbastanza grande da non essere tutto consumato dall'attrito, il materiale raggiungere la superficie e costituisce una meteorite. Diap 94 I corpi minori le meteore Le meteore viaggiano con velocità di decine di km/s e si «accendono» tra 80 e 120 km di altezza, per spegnersi intorno ai 50 km, disintegrandosi completamente. Mentre meteore isolate si osservano tutto l'anno, a intervalli precisi compaiono sciami di meteore, le spettacolari “piogge di stelle” con centinaia di meteore all'ora. Essi si formano quando la Terra attraversa il pulviscolo disseminato da una cometa lungo la sua orbita. Le ben note “lacrime di San Lorenzo” per esempio, sono meteore che compaiono ogni anno intorno al 12 agosto, quando la Terra attraversa le polveri disseminate lungo l'orbita della cometa Swift-Tuttle. I corpi minori Le meteoriti note vanno da 1 g a oltre 10 tonnellate; particelle più piccole possono venire rallentate senza bruciare e depositarsi sulla superficie come polvere: sono chiamate micrometeoriti. In totale, ogni giorno cadono sulla Terra migliaia di tonnellate di materiale extraterrestre, ma in media solo da 5 a 10 meteoriti vengono rintracciate. Le meteoriti maggiori raggiungono la superficie con impatti violentissimi; a volte esplodono rompendosi in numerosi frammenti o vaporizzandosi. Nell'urto producono nel suolo un cratere da impatto, che può arrivare a molti kilometri di diametro. Vedi diapositiva 92 Meteor Crater in Arizona Sezione sottile di una condrite. Crateri da impatto prodotti da grossi corpi sono rari sulla Terra, ma solo perché l'attività geologica ne cancella le tracce. Su molti altri corpi del Sistema solare, come abbiamo visto, i segni del «bombardamento meteoritico» sono invece vistosi e abbondantissimi. La natura delle meteoriti è di grande importanza: si ritiene, infatti, che la maggior parte di esse provenga dalla fascia degli asteroidi, dove violente collisioni scagliano numerosi frammenti in ogni direzione, e quindi anche lungo traiettorie che passano vicino alla Terra. In base alla composizione mineralogica, le meteoriti si dividono in tre gruppi: • lititi, simili a rocce; • sideriti, metalliche (essenzialmente ferro in lega con nichel); •e sideroliti, miscuglio, in varie proporzíoni, di materiale roccioso e metallico. Alle lititi appartengono le cosiddette condriti (l'80% delle meteoriti raccolte), contenenti tipiche sferette di aspetto vetroso, di dimensioni millimetriche, chiamate còndrule, e derivate dal rapido raffreddamento di gocce fuse della «polvere» della nebulosa da cui è nato il Sistema solare. Le condriti hanno in maggior parte un'età di circa 4560 milioni di anni (l'età attribuita al Sistema solare) e non mostrano tracce di trasformazioni, per cui sono il miglior «campione» della composizione media del materiale da cui si è originato il Sistema solare. I corpi minori Una delle tre nakhliti finora identificate. Origine marziana Altri tipi di lititi sono invece meno antiche e simili a certe rocce magmatiche terrestri e si sono formate per raffreddamento di materiale che in precedenza aveva subito una totale fusione sono in gran parte frammenti della parte esterna di qualche asteroide o, in alcuni casi, di un corpo maggiore, come la Luna e Marte (vedi approfondimento, Un messaggio da Marte, a pagina 42). Le sideriti, infine, sono probabilmente frammenti del nucleo metallico di piccoli asteroidi completamente frantumati da qualche collisione. I corpi minori La cometa Hale-Bopp, nel suo transito all’inizio del 1997. (G. Vanin) Le comete, sono state definite «palle di neve sporca», perché sono costituite da gas e da vapori congelati (acqua, metano, ammoniaca, anidride carbonica), misti a piccoli frammenti di rocce e metalli. Esse si muovono lungo orbite molto allungate, molte delle quali arrivano ben oltre Nettuno. Quando si avvicinano al Sole, le radiazioni fanno sublimare i gas congelati, che trascinano con sé le polveri imprigionate nei ghiacci. Attorno ad un nucleo, del diametro di alcuni kilometri, si forma un alone rarefatto e luminoso, la chioma. Successivamente, in quasi tutte le comete si sviluppa la coda, un velo brillante che si allunga per milioni di kilometri in senso opposto alla direzione del Sole, provocato dal pulviscolo spinto dalla luce solare in direzione radiale. Ad ogni passaggio intorno al Sole, quindi, una cometa perde una parte di massa (anche molte tonnellate al secondo) e col tempo diviene meno luminosa, fino ad estinguersi dopo un certo numero di passaggi intorno al Sole. I corpi minori La più famosa tra le comete con breve periodo di ritorno è la cometa di Halley, le cui apparizioni periodiche (ogni 76 anni), hanno avuto ormai innumerevoli testimoni, tra i quali anche Giotto: alla cometa di Halley il pittore si ispirò quando dipinse la stella nell'affresco L'adorazione dei Magi (a Padova). Sono definite comete di corto periodo quelle che hanno un periodo orbitale inferiore a 200 anni Le comete di lungo periodo percorrono orbite con elevate eccentricità e con periodi compresi tra 200 e migliaia o anche milioni di anni. La cometa di Halley vista da vicino. Nel corso del passaggio più recente della cometa di Halley (1986) l'evento è stato seguito anche con cinque sonde spaziali automatiche, che hanno intercettato l'orbita della cometa. Una di queste, battezzata Giotto e lanciata dall'ESA (European Space Agency), ha attraversato la chioma di Halley, passando a soli 600 km circa dal nucleo, e ha trasmesso a terra un 'enorme quantità di dati e di immagini. Il nucleo della cometa ruota lentamente su se stesso, mentre da più punti della parte di superficie rivolta verso il Sole partono getti luminosi che si perdono nello spazio I corpi minori Esame dei campioni della cometa Wild 2. (NASA / JSC) La composizione sembra riferibile a un miscuglio di polveri che intrappolano sostanze in grado di sublimare rapidamente quando il Sole riscalda la superficie del nucleo formando così i getti luminosi. Ma oggi sappiamo di più. La sonda spaziale Stardust, lanciata nel 1999, ha attraversato la chioma della cometa Wild 2, raccogliendo campioni dei granuli di polvere, che in seguito ha paracadutato sulla Terra. I corpi minori La sonda Rosetta all’inizio del suo lungo viaggio. (ESA) Le comete provengono da zone a temperature bassissime, eppure in alcuni dei granuli sono stati trovati minerali cristallizzati, il che vuol dire che quei granuli sono passati allo stato fuso (almeno 1500 °C) prima di raffreddarsi e cristallizzarsi. Parte del materiale delle comete si sarebbe formato, quindi, in prossimità del Sole, per essere poi scaraventato ai confini del Sistema solare, dove si sarebbe mescolato ai più abbondanti granuli freddi. La sonda Rosetta, lanciata nel 2004, scenderà tra 10 anni su una cometa, per analizzarne la composizione e trasmetterla a terra. I corpi minori Il Sistema solare avvolto dalla nube di Oort. La fascia di Kuiper e la nube di Oort Da dove provengono le comete? La ricostruzione delle orbite delle comete a lungo periodo, con tempi di percorrenza dell'orbita di oltre 200 anni, portò l'astronomo olandese J. Oort a ipotizzare che tali corpi siano distribuiti nello spazio a formare una specie di alone sferico intorno al Sole e ai pianeti. La nube di Oort, come oggi viene chiamata, inizia all'esterno del sistema di pianeti e si estende per oltre 100.000 U.A. (pari a 15000 miliardi di km o 1,5 a.l.), circa un terzo della distanza del Sole dalle stelle più vicine. In quello spazio, almeno 600 miliardi di nuclei ghiacciati si muovono lentamente su orbite lontanissime dal Sole. Quei nuclei sono così debolmente legati al Sole che il passaggio ravvicinato di una stella provoca delle perturbazioni nel loro moto, in grado di scagliarli verso lo spazio interstellare o di farli deviare su orbite che li portano in prossimità del Sole e dei pianeti, dove si manifestano con la tipica attività delle comete. Ma esistono altre comete, quelle a breve periodo (meno di 200 anni) che provengono invece dalla parte più interna della nube, nota come fascia di Kuiper (dal nome dell'astronomo che ne ipotizzò la presenza). E una specie di ciambella schiacciata «disegnata» da almeno un miliardo di corpi che orbitano ben al di là dei pianeti, fino a 150 miliardi di km, e che costituiscono un'estensione del sistema planetario. Essi ruotano, cioè, in prossimità del medesimo piano ideale su cui si muovono le orbite dei pianeti, mentre gli altri corpi della nube ruotano con piani variamente orientati. Ma da dove viene il materiale della nube di Oort? A quelle distanze dal Sole la materia originale era troppo rarefatta per condensarsi; si ritiene invece che i nuclei si siano formati nella regione dei pianeti giganti, tra Giove e Nettuno (dove dominano i ghiacci), che li avrebbero scagliati verso la periferia del Sistema solare (meccanismo di fionda planetaria), facendoli accumulare nel gigantesco «congelatore» della nube di Oort. La nube non è stata osservata direttamente, ma ne deduciamo l'esistenza dagli effetti: il continuo stillicidio di comete a lungo periodo che penetrano nel sistema planetario. Il ritorno delle comete in prossimità del Sole è qualcosa di più di un evento spettacolare. Esse possono entrare in collisione con un pianeta ed è per tale via che la Terra, all'inizio della sua evoluzione, ha ricevuto gran parte delle sue riserve di acqua superficiale; non solo, ma le polveri cometarie sono ricche di composti organici, che potrebbero avere svolto un ruolo importante nel dare origine ad ambienti adatti allo sviluppo della vita su corpi con acqua in superficie. Origine ed evoluzione del Sistema solare Origine del Sistema solare, secondo l’ipotesi del testo. A B C D E F Origine ed evoluzione del Sistema solare Un’immagine che ricostruisce le prime fasi del Sistema solare. (Da Brown B. e Morgan L., Il grande pianeta, De Agostini) Tutti i frammenti cosmici che sono arrivati in nostro possesso (dalle meteoriti cadute sulla superficie terrestre o prelevati dalle esplorazioni spaziali) hanno sempre fornito una stima dell'età massima del Sistema solare di circa 4,6 mi-liardi di anni. Questo valore dovrebbe collocare nel tempo la formazione del Sistema solare, che iniziò, quindi, almeno 10 miliardi di anni dopo il big bang. Il Sistema solare si sviluppò in uno dei bracci a spirale del-la Galassia, che a quell'epoca aveva già assunto la struttura attuale. Origine ed evoluzione del Sistema solare Sulla base dei dati raccolti sia dalla Terra sia nelle missioni di esplorazione spaziale, è stata elaborata una teoria scientifica che spiega in modo soddisfacente l'origine del Sistema solare nonché le varie fasi della sua evoluzione. Vediamo in sintesi quali sono le tappe principali di questi processi. Dalla nebulosa originaria ai “planetesimali” Il Sistema solare, come si ricorderà, occupa un piccolo settore dei bracci a spirale della Galassia. In base a quanto oggi sappiamo sull'origine delle stelle, fino a poco prima di 4,6 miliardi di anni fa in quel settore della Galassia doveva estendersi una grande nebulosa, cioè una fredda e rarefatta nube di gas e polveri finissime . La composizione chimica della nebulosa doveva comprendere idrogeno ed elio (diffusissimi in tutto l'universo), oltre a una certa quantità di tutti gli altri elementi, che oggi ritroviamo nella composizione di tutti i corpi del Sistema solare. Gli elementi pesanti si sarebbero originati attraverso reazioni termonucleari in stelle più antiche del Sole e si sarebbero successivamente aggiunti alla composizione originaria della nebulosa, quando quelle stelle esplosero come supernove. La nebulosa continuò ad arricchirsi di elementi pesanti finché una causa sconosciuta (forse l'onda d'urto di una supernova vicina) ne perturbò la struttura. A questo punto una vasta porzione della nube collassò su se stessa, in un vortice gigantesco. Nella progressiva contrazione e con il crescere della velocità di rotazione, la nube assunse la forma di un disco appiattito, nel cui centro si andò accrescendo un nucleo sempre più denso e caldo, detto proto-Sole . All'interno del disco, ripetute collisioni tra granuli di ghiacci e di polveri portarono all'aggregazione di corpi via via maggiori, che, a loro volta, si frantumarono ripetutamente per riaggregarsi poi in corpi di dimensioni sempre più grandi: i planetesimali. Si accrebbe così, tra gli altri, anche la massa del futuro pianeta Terra. Il Sole si accende La temperatura, causata dal riscaldamento progressivo del proto-Sole, svolse un ruolo fondamentale nella successiva evoluzione dei pianeti in formazione. Il calore proveniente dal proto-Sole impedì l'accumulo di ghiacci nei corpi più vicini. I più interni, i futuri Mercurio, Venere, Terra e Marte, si accrebbero soprattutto per l'aggregazione di rocce e metalli. A distanze maggiori, invece, quantità sempre maggiori di ghiacci si aggiunsero ai materiali rocciosi. Con il tempo, i protopianeti destinati a diventare Giove e Saturno raggiunsero una massa sufficiente a catturare e attrarre giganteschi involucri di gas (idrogeno, elio, ammoniaca e metano). Con l'aumento della massa e del proprio campo gravitazionale, i singoli pianeti ripulirono ognuno un ampio corridoio di spazio lungo la propria orbita. La maggior parte delle polveri e dei gas, tuttavia, finì però per andare ad accrescere la massa del proto-Sole. All'interno della stella in formazione, la continua contrazione fece aumentare la temperatura fino al punto di innescare le prime reazioni nucleari. Alla sua accensione, il Sole emise una gigantesca esplosione di energia che investì l'intero sistema (un fenomeno osservato in una giovane stella della Costellazione del Toro). Un vento stellare spazzò nello spazio interstellare i gas e le polveri residue, insieme a buona parte della massa del Sole. I pianeti si erano ormai formati. Il gigantesco Giove, con il suo campo gravitazionale, aveva impedito l'aggregazione di un altro corpo nello spazio che lo separava da Marte: la fascia degli asteroidi rappresenterebbe quindi un «pianeta mancato». In quella lontana fase di evoluzione del Sistema solare, molti corpi isolati, anche di notevoli dimensioni, vagavano nello spazio del sistema lungo orbite irregolari. Lentamente, attraverso collisioni con i pianeti, lo spazio fu ripulito anche da questi oggetti. Molti asteroidi, attratti dall'immenso Giove, furono costretti a seguire orbite che li portarono all'interno del Sistema, dove si verificò una lunga fase di bombardamento cosmico. Tracce di questa fase si conservano ancora oggi sotto forma di crateri da impatto sulle superfici di molti pianeti e satelliti da lungo tempo inattivi, come la Luna; corpi geologicamente attivi, come la Terra, hanno invece cancellato queste antiche tracce. Al bombardamento parteciparono anche numerose comete, i cui impatti riportarono sui pianeti interni l'acqua, che, con altri composti volatili, era stata «soffiata via» dal vento stellare e «parcheggiata» nella nube di Oort come nuclei ghiacciati. L'evoluzione dei pianeti di tipo terrestre Nello stesso periodo iniziò l'evoluzione dei singoli pianeti. I pianeti più interni - da Mercurio a Marte - per il calore generato dai numerosi impatti con gli asteroidi che cadevano sulla loro superficie e per quello liberato nel loro interno dal decadimento di materiali radioattivi arrivarono ad una fusione quasi totale. Nella massa fluida gli elementi più pesanti, soprattutto ferro e nichel, sprofondarono verso il centro dei pianeti, dove formarono nuclei metallici ad alta densità, mentre gli elementi più leggeri (come silicio, ossigeno, calcio, sodio, potassio) migrarono per «galleggiamento» verso la parte esterna dei pianeti, dando origine a mantelli di ossidi e silicati. Nella fase di fusione e surriscaldamento, cui seguirono un progressivo raffreddamento e una graduale solidificazione (tuttora in atto), si liberarono anche grandi quantità di materiali gassosi, che si unirono a quelli liberati dagli impatti di comete: - Mercurio, il più caldo e di massa minore, non riuscì a trattenere nessuna traccia di gas o vapori. Marte, più freddo e di massa un po' più grande, si ricoprì di un sottile involucro di anidride carbonica. Venere e Terra, in posizione intermedia e di massa maggiore, riuscirono a conservare un involucro atmosferico formato dai gas più pesanti (anidride carbonica, azoto) e di acqua allo stato di vapore. Queste atmosfere non saranno, però, quelle definitive, cioè quelle che osserviamo oggi, in quanto nella successiva evoluzione di quei pianeti le loro condizioni subiranno altre modifiche, sia per l'apporto di gas e vapori da parte dell'attività vulcanica, sia per l'intervento - nel caso della Terra dei processi biologici. L'evoluzione dei pianeti giovani e dei corpi minori Giove e Saturno, con il loro corteo di satelliti, ebbero una lunga evoluzione, ma con notevoli differenze. Come si ricorderà, a causa delle maggiori distanze dal Sole le masse di Giove e Saturno raccolsero quantità assai maggiori di frammenti di ghiacci, e aumentarono fino a essere in grado di trattenere gli elementi più leggeri. I loro nuclei di rocce e di ghiacci si rivestirono così di enormi involucri ricchi di idrogeno ed elio, dense atmosfere alla cui base, per l'enorme pressione, lo stesso idrogeno si è raccolto a formare anche oceani liquidi. Evoluzione analoga ebbero anche Urano e Nettuno. Anche la schiera dei satelliti sembra aver seguito, nelle linee generali, l'evoluzione dei pianeti cui sono legati e attorno ai quali quasi tutti si sono formati già nelle fasi più antiche. Tale processo deve essersi verificato con un meccanismo analogo a quello che ha portato alla formazione dell'intero sistema planetario, cioè per aggregazione di materiali costretti a ruotare, dalla forza di attrazione, intorno ai corpi cresciuti più rapidamente. Lontano dal Sole, dove il vento solare aveva spinto i materiali meno densi (soprattutto acqua), insieme ai pianeti giganti si andavano aggregando nello spazio miliardi di nuclei ghiacciati. La forza dei pianeti giganti influenzava le orbite di quei nuclei, attirandone alcuni sulla propria superficie e scagliandone altri verso l'esterno, dove si accrebbe via via la fascia di Kuiper e dove cominciò a formarsi la nube di Oort. Da oltre 4 miliardi di anni i pianeti sono in evoluzione. Le loro superfici, insieme alle tracce degli impatti meteoritici, mostrano i segni di grandi movimenti delle loro croste, prodotti dall'attività di mantelli rocciosi e di nuclei metallici che si liberano di grandi quantità di energia. E se i corpi più piccoli, come Mercurio e Luna, sembrano ormai inerti, gli altri mostrano una grande vitalità, tra vulcani di fuoco e vulcani di ghiaccio. Su uno di questi, la vita è giunta a riflettere su se stessa. Origine ed evoluzione del Sistema solare Una formazione di telescopi in orbita: ricostruzione del progetto Terrestrial Planet Finder. (NASA)