I pianeti del Sistema solare

2. Il Sistema solare
Nel gennaio del 2004, il piccolo laboratorio
mobile robotizzato Opportunity ha raggiunto
il cratere Victoria, nell’emisfero nord di
Marte, iniziando una serie di indagini
geologiche sul suolo del pianeta.
Fotografando da vicino le rocce che
formano il bordo del cratere, Opportunity –
appena visibile (indicato dalla freccia)
nell’immagine ripresa dalla sonda Mars
Reconnaissance Orbiter che orbitava
intorno al pianeta – ha rilevato numerose
forme di erosione che possono essere
giustificate soltanto dall’azione
prolungata dell’acqua. Quando poi è sceso
sul fondo del cratere, il modulo ha prelevato
e analizzato rocce, scoprendo che possono
essersi formate soltanto in presenza
d’acqua. (NASA / JPL)
I corpi del Sistema solare
1.Il Sistema solare
La porzione di spazio entro cui si muovono i corpi celesti
che costituiscono il Sistema solare, ha le dimensioni di una
sfera con un diametro di circa 200.000 U.A. (circa 30.000
mld di Km) (circa 3 a.l.)
Nel Sistema solare, sono presenti 8 pianeti, (agosto 2006) almeno 63 satelliti
naturali, migliaia di asteroidi (masse di modesta entità che circondano il Sole)
oppure (di maggiore entità) ad esempio Plutone e Cerere, che descrivono
orbite che vanno oltre i pianeti. Altri componenti sono, meteore e meteoriti, e
comete. Posta la massa del Sole pari a 100, nel Sole è presente il 99,85%
della massa dell’intero sistema Solare.
Lo spazio tra i vari corpi celesti, non è vuoto. In esso si trova, in forma
estremamente rarefatta, la materia interstellare, costituita da pulviscolo, gas,
particelle atomiche libere (protoni ed elettroni).
La stella Sole
Struttura del Sole.
I dati raccolti da numerosi
osservatori, hanno
permesso di acquisire
conoscenze sulla struttura
esterna del Sole.
Le leggi della fisica
applicate ai dati, hanno
permesso di formulare un
modello per la struttura
interna del Sole.
Troviamo idrogeno ed
elio allo stato di plasma.
Dall’analisi spettrografica risulta
che in quanto a composizione
degli strati più esterni del Sole:
Circa 74 % da idrogeno
Circa il 25% da elio.
La presenza di elementi più
pesanti dell’elio, conferma che il
Sole è una stella fatta con materia
riciclata.
Dall’interno verso l’esterno,
troviamo:
Il nucleo (r= 150.000Km); la zona radiativa (r= 450.000Km); la
zona convettiva (r= 100.000 Km). Segue la fotosfera e
l’atmosfera solare.
Nel nucleo, avviene la
produzione di energia. La
temperatura è prossima a
15.000.000 di K, si verificano le
reazioni di fusione
termonucleare. Queste si
verificano da almeno 5 mld di
anni. Sono necessari altri 5 mld
di anni affinché il Sole si possa
trasformare in una gigante
rossa.
L’energia prodotta nel nucleo ( E= mc2 ) viene spinta verso l’esterno,
passando attraverso la zona radiativa, gli atomi dei gas presenti nella zona
radiativa, assorbono ed emettono energia, ma a causa della temperatura più
bassa, mancano reazioni di fusione termonucleare. Nella zona convettiva
(r= 100.000 Km) l’energia viene trasportata per convenzione. (Movimenti
della materia innescati da differenze di temperatura).
La stella Sole
La granulazione della superficie del
Sole. (SPL / Grazia Neri)
Dopo un viaggio di centinaia di
milioni di anni, le particelle prodotte
dal nucleo raggiungono la
superficie del Sole, divenendo
visibili come fotosfera.
La fotosfera, rappresenta la
superficie visibile del Sole. La
temperatura media della fotosfera è
di 5785 K. La superficie della
fotosfera non è liscia, infatti
all’osservazione appare costituita
da granuli brillanti; tali granuli sono
l’evidenza dei movimenti in atto
nella sottostante zona convettiva.
Inoltre la superficie del Sole appare caratterizzata anche dalle
macchie solari
La stella Sole
La superficie del Sole, su cui spiccano
alcune macchie solari. (NASA)
Le macchie solari, per contrasto
appaiono come zone di forma
irregolare, si nota una zona centrale
più scura circondata da una fascia più
chiara detta penombra. La temperatura
nella parte centrale varia da circa 4000
K a circa 5000 K, nella penombra si
possono raggiungere intorno ai 5500
K.
Hanno una particolare evoluzione:
appaiono, aumentano di dimensioni e
di numero, si riducono poi
scompaiono. Singoli gruppi di
macchie hanno una vita di una
settimana.
L’osservazione sistematica della
superficie solare ha evidenziato
che il numero delle macchie non è
costante. Passa da un minimo a
un massimo, con una periodicità
media di 11 anni circa.
Per convenzione è stabilito che un
ciclo di attività solare cominci con
un numero minimo di macchie e
finisca con l’inizio del minimo
successivo. I valori
sull’andamento delle macchie
solari hanno dimostrato che
Il periodo più lungo (registrazioni dal 1715) è stato di 17,1 anni
(1788 1805), il più breve di 7,3 anni (1829 1837)
Maunder si accorse che tra il 1645 e
il 1715 le macchie solari erano
praticamente scomparse. In questo
periodo le aurore boreali furono
rarissime e nel periodo tra il 1450 e il
1850 si è notata una piccola età
glaciale, con un clima insolitamente
freddo (non tutti gli scienziati
concordano per tali collegamenti). Si
narra che nel 1716 la notizia della
apparizione della prima aurora
boreale, dopo tanto tempo suscitò
curiosità e sorpresa anche in
Hedmund Halley, il quale ammise di non averne mai osservata una.
Halley era vissuto a cavallo del minimo di Maunder. Al contrario il
«massimo Medievale» un periodo insolitamente caldo che va dal 1110
al 1250, coincide con un periodo di forte attività solare.
La stella Sole
Un’immagine della cromosfera. (S.
Bruniére, Ciel & Espace)
Un metro quadrato della
superficie terrestre riceve dal
Sole, quando è allo zenit, una
quantità di energia pari a circa
1000 watt.
La stella Sole
La corona solare ripresa nel corso di
una eclissi totale di Sole. (S. Bruniére, Ciel &
Espace)
I brillamenti o flares: sono
violentissime esplosioni di
energia, sono lampi di luce
associati a potenti scariche
elettriche. Compaiono in
prossimità delle macchie
solari, si propagano (in un
tempo da pochi minuti a
qualche ora) su un’area di
milioni di Km quadrati.
Durante tali esplosioni vengono liberate enormi quantità di
energia, con radiazioni dai raggi X alle onde radio.
L’attività solare
Una grande protuberanza. (NASA)
Altre manifestazione della
attività solare sono
rappresentate dalle
protuberanze: nubi di
idrogeno che dalla
cromosfera penetrano
nella corona solare
Fino a quote di 20.000
40.000 Km, possono
essere eruttive o
quiescenti, la temperatura
è intorno a 20.000 K.
L’attività solare
Alcuni brillamenti solari. (NASA)
Oltre alle radiazioni di carattere
ondulatorio, i brillamenti lanciano
materia gassosa fino a 20.000 Km
di altezza, emettono anche un
flusso di particelle atomiche
(protoni ed elettroni) che viaggiano
nello spazio alla velocità di 1500
Km/s. In alcuni casi si osserva
l’emissione di particelle ad
altissima energia. Queste ultime
particelle possono viaggiare ad una
velocità prossima a quella della
luce. Se il flares esplode presso il
centro del disco solare, il flusso di
particelle nel giro di 26 ore
raggiunge la Terra
L’attività solare
Un’aurora polare nel cielo di una foresta alle alte latitudini boreali. (SPL / Grazia Neri)
I velocissimi corpuscoli,
colpiscono
violentemente le
particelle ionizzate
dell’alta atmosfera,
spingendole verso il
basso, dove a quote tra
70 e 1000 Km danno
origine alle aurore polari.
Associato al fenomeno delle aurore polari, si verificano forti
perturbazioni nel campo magnetico terrestre, (tempeste
magnetiche)
Che cos’è un pianeta?
Secondo la recente definizione
dell’International Astronomical
Union (IAU), un pianeta è un
oggetto che orbita intorno a una
stella, è abbastanza grande da
presentare forma sferica e ha
allontanato altri oggetti dalla zona
circostante la propria orbita.
Ovvero un pianeta deve
possedere una massa sufficiente a
eliminare dalla propria zona
orbitale i corpi più piccoli,
confinandoli in orbite stabili con
l’azione gravitazionale.
I pianeti del Sistema solare
Prima legge di Keplero
A occhio nudo, i pianeti visibili sono: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.
Copernico, con il suo sistema eliocentrico, rivoluzionò in modo definitivo la concezione
di Tolomeo. Secondo Copernico, i pianeti seguivano orbite circolari. Fu Keplero a
stabilire che i pianeti percorrono orbite a forma di ellisse, di cui il Sole occupa uno dei
fuochi.
La prima legge di Keplero
I pianeti descrivono orbite ellittiche, quasi complanari, aventi tutte un fuoco comune in
cui si trova il Sole. Il movimento di rivoluzione avviene di solito in modo antiorario,
per un osservatore posto al Polo nord celeste.
I pianeti del Sistema solare
La seconda legge di Keplero.
La seconda legge di Keplero afferma che: il raggio che unisce il
centro del Sole al centro di un pianeta descrive superfici con
aree uguali in intervalli di tempo uguali. Quindi le aree sono
proporzionali ai tempi impiegati a percorrerle, un pianeta si
muove più velocemente quando è più vicino al Sole (perielio) e
più lentamente quando è più lontano (all’afelio).
I pianeti del Sistema solare
La terza legge di Keplero.
La terza legge di Keplero afferma che: i quadrati dei tempi che i
pianeti impiegano a percorrere le loro orbite sono proporzionali ai
cubi delle distanze medie dal Sole. (distanze in U.A. periodi in
anni). Ovvero la velocità media di un pianeta è tanto minore
quanto più esso è lontano dal Sole. Mercurio, ha una velocità
media di 48 Km/s, Nettuno, di 5,4 Km/s.
Newton e la legge della gravitazione universale
Newton intuì l’esistenza di una forza di
attrazione tra i corpi e a descriverne gli effetti
attraverso la legge della gravitazione
universale, in base alla quale «due corpi si
attirano in modo direttamente proporzionale
alla loro massa e in ragione inversa al
quadrato della distanza».
G = alla costante di gravitazione universale
(6,67 x 10-11 N m2 Kg-2 )
M e m sono le masse dei corpi.
d = la distanza tra i loro centri.
F= G M m/d2
Un pianeta, subisce perciò una forte attrazione da parte del Sole, in
quanto vicino e dotato di grande massa, mentre è debolmente attratto
dagli altri pianeti (piccola massa) e dalle stelle (molto lontane). Tali
azioni impediscono al pianeta di muoversi con velocità costante e in
linea retta, e lo costringono a una sorta di continua «caduta» verso il
Sole, in un gioco di equilibrio il cui risultato è, appunto, l’orbita ellittica.
Velocità di fuga ed effetto fionda
Un velivolo una volta raggiunta o superata la velocità di fuga
può proseguire indefinitivamente nello spazio per inerzia. In tali
condizioni la traiettoria del velivolo spaziale può venire
modificata solo dall’avvicinarsi di un altro corpo celeste. La
forza di attrazione di quest’ultimo, in aumento al diminuire della
distanza, farebbe accelerare gradualmente la navicella e ne
modificherebbe il percorso: a seconda della traiettoria di
avvicinamento, la navicella potrebbe venir attirata fino
cadere sulla superficie del pianeta o fino a rimanere in orbita
attorno ad esso, oppure fino ad arrivare ad una minima
distanza dal pianeta con velocità superiore a quella di fuga: in
tal caso, dopo averlo sorvolato si allontanerebbe da esso,
«lanciata» lungo una nuova traiettoria da una specie di fionda
planetaria, che sfrutta l’energia gravitazionale.
I pianeti del Sistema solare
I pianeti del Sistema solare sono diversi tutti tra di loro, come
natura, come grandezza, come distanza dal Sole. A partire dal
Sole si passa dalla superficie di Mercurio con una temperatura
di circa 400°C a quella della superficie di Nettuno con una
temperatura di circa -200°C
Grandezze dei pianeti rispetto al Sole.
I pianeti del Sistema solare
Schema delle orbite dei pianeti che consente di avere un’idea
delle distanze di tali corpi dal Sole.
Nonostante le loro differenze, i pianeti vengono suddivisi, in una
prima classificazione, in pianeti di tipo terrestre (Mercurio,
Venere, Terra e Marte) e pianeti di tipo gioviano (Giove, Saturno,
Urano e Nettuno)
Le dimensioni: il
diametro del pianeta
terrestre più grande
(Terra) è circa ¼ del
pianeta gioviano più
piccolo (Nettuno)
La densità: nei pianeti di tipo terrestre, la densità è in media 5
volte superiore a quella dell’acqua, mentre nei pianeti di tipo
gioviano è circa 1,5 volte e anche meno.
La natura dei materiali che li costituiscono. I pianeti di tipo
terrtestre sono piccole sfere di rocce e metalli, con un nucleo di
materiali ad alta densità, avvolto da un mantello di minore densità
(ossidi e silicati di ferro e magnesio) con una crosta di materiali
ancora meno densi, le rocce della parte superficiale.
L‟atmosfera. I pianeti
di tipo terrestre, o sono
privi di atmosfera
oppure è sottile e
tenue, rispetto
all’atmosfera dei
pianeti di tipo gioviano.
Questa è una conseguenza della massa dei singoli pianeti e della
loro distanza dal Sole. La grande massa dei pianeti gioviani
trattiene i gas più facilmente, le basse temperature determinate
dalla distanza dal Sole, non permettono ai gas di raggiungere le
velocità di fuga. Venere, Terra e Marte, riescono a trattenere solo le
molecole dei gas più pesanti. Le loro atmosfere sono una frazione
piccolissima della massa totale. Infine, i pianeti terrestri non hanno
satelliti naturali, o ne hanno pochissimi, quelli gioviani ne hanno
molti.
Mercurio
E‟ il pianeta più interno, poco
più grande della Luna: la sua
vicinanza al Sole ne rende
difficile l‟osservazione,
limitandola al massimo a
un'ora prima dell‟alba o dopo
il tramonto, a seconda della
posizione del pianeta
nell‟orbita. Gli antichi Greci
attribuirono la comparsa di
quel corpo celeste
alternativamente prima del
sorgere e dopo il calare del
Sole a due oggetti diversi:
Ermes (la stella del mattino) e
Apollo (la stella della sera).
Mercurio, il pianeta più vicino al Sole.
(NASA)
Mercurio
In questo schema , si considera la posizione di un punto „A‟ su
Mercurio rispetto al Sole . Evidenziando contemporaneamente il
periodo di rivoluzione (88 giorni) e quello di rotazione ( circa 59
giorni ) , seguendo lo spostamento del punto „a‟ per ogni mezza
rotazione , si evince che lo stesso punto si troverà per circa 88
giorni in ombra e per circa 88 giorni al Sole .Il punto „A‟ per ritornare
nella posizione di partenza impiega circa 176 giorni , quindi un
tempo pari a due rivoluzione , ruotando tre volte su se stesso .
Mercurio
Mercurio ruota attorno al Sole in 88
giorni, mentre compie una lenta
rotazione sul proprio asse in circa 59
giorni, per cui ogni punto sulla sua
superficie rimane illuminato per circa
88 giorni e per un ugual periodo è in
ombra. A causa della vicinanza al Sole
e della durata del periodo di
illuminazione, la temperatura sul lato
esposto al Sole sale a 425 °C,
quanto basta a far fondere metalli
come stagno e piombo, mentre sul
lato opposto scende fino a -175 °C.
E’ il pianeta con la più forte
escursione termica tra il dì e la notte
ed è praticamente privo di atmosfera.
Mercurio
Una veduta ravvicinata della superficie di Mercurio. (NASA)
L'aspetto della superficie, è stato
rivelato con molti dettagli dalle
immagini inviate a Terra dalla sonda
automatica Mariner 10, che tra il 1974
e il 1975 ha sorvolato per tre volte il
pianeta passando a soli 800 km dalla
superficie. Il mosaico di foto ottenute
copre un'area pari a circa il 40% della
superficie totale del pianeta . Nel 2004,
dopo 30 anni, una nuova sonda è
partita per Mercurio, dove giungerà nel
2011, per completare la ricognizione
della superficie ancora sconosciuta.
Le strutture più diffuse sono
- i crateri da impatto, alcuni
accompagnati da una specie di aureola
di raggi chiari (lunghi centinaia di
km), - le pianure lisce.
Mercurio
crateri da impatto sono dovuti alla
caduta di meteoriti, che raggiungono la
superficie ad altissime velocità (anche
150 000 km/h). Il corpo che precipita si
disintegra e nell'area di collisione si
scava una depressione, con diametri
da pochi metri a migliaia di km; il
«contraccolpo» per l'urto
violentissimo scaglia verso l'alto e
tutto intorno una grande quantità di
frammenti, che, ricadendo, formano
un orlo che circonda l'ampia cavità
centrale, il cratere. Negli impatti più
violenti una certa quantità di
materiale viene lanciata radialmente e
disegna sulla superficie i caratteristici
raggi chiari.
Mercurio
Crateri da impatto sono stati osservati,
oltre che sulla Luna e su Mercurio, anche
su Marte, su molti satelliti di Giove e di
Saturno e perfino sulla Terra. Su
Mercurio - come sulla Luna e su altri
corpi - la perfetta conservazione di quelle
forme
è
dovuta
all'assenza
di
un'atmosfera e alla mancanza di
qualunque successiva attività nella crosta
(vulcanismo, movimenti ecc.). La forte
craterizzazione delle superfici planetarie
risale a un preciso periodo all'inizio
dell'evoluzione del Sistema solare,
esauritosi circa 3 miliardi di anni fa; su
Mercurio
l'impatto
di
maggiori
proporzioni ha portato alla formazione,
poco meno di 4 miliardi di anni fa, di un
bacino di ben 1300 km di diametro.
Mercurio
Le pianure lisce sono vaste colate di lave risalite
dall'interno del pianeta quando il materiale ivi
presente è fuso per l'energia liberata dai
tremendi impatti. Le tracce di quegli eventi
lontanissimi nel tempo non sono state
minimamente cancellate da eventi successivi (in
pratica, altri rari crateri da impatto), per cui
Mercurio è un corpo ormai «tranquillo» da 2 o 3
miliardi di anni.
L'alta densità media del piccolo pianeta (simile
a quella della Terra) ha portato a concludere che
il suo interno sia occupato in gran parte da un
nucleo di materiale ad alta densità (metallico),
mentre l'involucro di materiali meno densi è
molto ridotto di spessore, nei confronti
dell'analoga struttura degli altri pianeti. Forse, un
violento impatto con un grosso meteorite,
avvenuto in una fase molto antica della sua
evoluzione, ha strappato al pianeta gran parte
del suo involucro esterno, facendolo disperdere
in frammenti nello spazio.
La struttura di Mercurio.
Venere
L’atmosfera a vortici e la superficie di Venere. (NASA)
Venere è l'oggetto più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna. Ha
dimensioni e densità simili a quelle della Terra e si trova all'incirca alla
stessa distanza dal Sole. Al contrario della Terra, però, Venere è un
pianeta caldo con temperature superficiali che arrivano, sia di giorno (dì)
che di notte, a 460 °C, quanto basta a trasformare l'acqua in vapore:
su Venere non esistono mari.
Effetto serra
E Il pianeta è avvolto da
un'atmosfera formata per il 97% di
CO, (al contrario di quella terrestre,
che ne contiene solo lo 0,03 %), con
piccole quantità di vapore acqueo,
azoto e vapori di acido solforico. Le
alte temperature osservate su Venere
sarebbero dovute a un effetto serra
come quello che si può sperimentare
facilmente entrando in un'automobile
rimasta a lungo ferma al Sole con i
finestrini chiusi.
La densa atmosfera venusiana, infatti, lascia passare la radiazione
proveniente direttamente dal Sole, ma ferma la radiazione riemessa
dalla superficie con una diversa lunghezza d'onda, in modo che,
anche se il calore intrappolato viene gradualmente disperso dai
movimenti vorticosi dell'alta atmosfera, la temperatura rimane molto
alta su tutto il pianeta.
Venere
Vulcani su Venere. (NASA)
L'anidride carbonica presente
nell''atmosfera dei pianeti viene
liberata dall'attività vulcanica: ma
perché su Venere tale gas è così
abbondante, mentre sulla Terra,
che pure ha avuto ed ha una
notevole attività vulcanica, è così
scarsa? Il fatto è che sulla Terra
l'acqua allo stato liquido (pioggia,
mari) discioglie l'anidride
carbonica, che successivamente
viene sottratta all'acqua da miriadi
di organismi che la fissano nei
loro gusci (come carbonato di
calcio, CaCO3) o la utilizzano nella
fotosintesi: grandi quantità di CO2
vengono in tal modo
continuamente sottratte
all'atmosfera e bloccate nella
materia organica e, soprattutto,
nelle rocce carbonatíche.
Su Venere, invece, l'alta temperatura per la
maggior vicinanza del Sole deve aver favorito
fin dall'inizio una forte evaporazione e deve
aver innescato ben
presto l'effetto serra, facendo sparire l'acqua
allo
stato
liquido
e
favorendo,
di
conseguenza,una crescente concentrazione
dell'anidride carbonica: si è giunti così a
condizioni di temperatura, pressione e
concentrazione di gas proibitive per la vita
quale noi la conosciamo. Ma anche sulla Terra
alcuni interventi incauti dell'uomo potrebbero
far
aumentare
l'effetto
serra,
con
conseguenze simili a quelle osservate su
Venere, drammatiche per gli esseri viventi: lo
studio del pianeta gemello, che ha permesso
di esaminare il fenomeno su scala globale, si
è rivelato quindi qualcosa di più importante di
un allargamento delle nostre conoscenze sul
Sistema solare.
In superficie la pressione di
questa densa atmosfera è 90 volte
superiore alla nostra.
La parte più alta dell'atmosfera
comprende una coltre opaca di
nuvole con uno spessore di circa
25 km, la cui base non è vicina alla
superficie, ma a 30 km di altezza.
Le nubi sono trascinate da forti
venti con velocità di oltre 300 km/h
e seguono percorsi definiti . Le
immagini ravvicinate inviatete a
Terra dalla sonda Mariner 10 (che
nel 1974 sorvolò Venere durante il
suo volo verso Mercurio)
mostrarono lunghe fasce di nubi
che partendo dai due poli
avvolgono l'intero pianeta in ampie
spirali ruotando in senso opposto
saldandosi lungo la fascia
equatoriale.
Su Venere sono presenti strutture geologiche molto complesse:
- il 60% circa della superficie si presenta debolmente ondulata
- il 15 % circa della superficie è occupato da ampie depressioní
- il 25 % circa è costituito da altopiani. Le pianure ondulate sono tagliate da
valli lunghe anche migliaia di km e presentano numerosi crateri da impatto.
Infine, sono state individuate due enormi strutture alte 5000 m a forma di
ampio cono, interpretate come grandi vulcani a scudo (vulcani formati da
lave
molto fluide, che scorrono a lungo prima di solidificarsi). Date le analogie
con la Terra, si pensa che dall'interno di Venere fluisca una notevole
quantità di calore (come avviene sul nostro pianeta), sufficiente a far
fondere localmente in profondità le rocce, trasformandole in magma,
capace di alimentare un notevole vulcanismo.
Venere
Struttura interna di Venere.
Le sonde Venera 9 e 10, lanciate dall'URSS nel
1975, hanno indicato, per le aree su cui sono
discese, rocce di composizione simile al
basalto, la roccia di origine magmatica povera
in silice e ricca in ferro e magnesio che è
anche la roccia più comune sulla superficie
della Terra.
Gli altopiani si elevano di un migliaio di metri
rispetto alla pianura presa come riferimento.
Su questi altopiani si innalzano catene di rilievi
anche imponenti, come i Monti Maxwell, le cui
vette toccano gli 11000 m.
La struttura globale interna del pianeta è simile
a quella della Terra. I processi geologici più
attivi sono però il vulcanismo e i movimenti di
deformazione della crosta, come sollevamenti,
sprofondamenti e lacerazioni; tali deformazioni
sono rese più vistose rispetto a quanto
avviene, per esempio, sulla Terra, a causa delle
alte temperature superficiali che rendono più
«plastiche» le rocce, cioè meno resistenti agli
sforzi, come la forza di gravità.
Terra La Terra vista da una navicella che sta orbitando attorno alla Luna. (NASA) 
Attraverso l’oblò di una navicella
spaziale la Terra appare come una
sfera quasi perfetta, di un colore
blu, avvolta da sottili strie
discontinue e vortici bianchi.
Nascosti in parte sotto i grandi
sistemi di nuvole, i continenti
appaiono come aree di colore
bruno-arancio
con
sfumature
rossastre nelle fasce desertiche.
La Terra ha un nucleo di materiale
molto denso (essenzialmente ferro
e nichel) che occupa la metà del
raggio, avvolto da un mantello di
rocce ricche di ferro e magnesio, a
sua volta ricoperto da una sottile
crosta di rocce molto eterogenee e
meno dense di quelle sottostanti.
La struttura della Terra.
Terra
La crosta presenta una netta
distinzione tra vastissimi
bacini depressi (occupati
dagli oceani) e ampie zone
rilevate (le aree continentali,
in gran parte emerse);
queste ultime sono formate
da complessi mosaici di
strutture diverse, tra cui
estese catene montuose e
lunghissime fosse di
sprofondamento.
Numerosi vulcani attivi producono continuamente grandi quantità di
nuove rocce e immettono nell'atmosfera giganteschi volumi di gas e
vapori. Queste strutture caratteristiche sono il risultato di una continua
evoluzione, dovuta a processi endogeni, che si svolgono, cioè,
all'interno del pianeta, dove esiste una notevole fonte di energia.
L'interno della Terra è molto
caldo, tanto che il nucleo è
almeno in parte fuso: a tale
situazione e ai movimenti in
atto all'interno del pianeta è
legata la presenza del forte
campo magnetico terrestre.
Nel complesso la Terra è un
pianeta
decisamente
írrequieto,
caratterizzato
dalla vita, un fenomeno che,
almeno nelle forme a noi
note, non compare in alcun
altro corpo del Sistema
solare. (???)
La Terra possiede un'atmosfera molto meno
densa di quella di Venere, costituita da azoto e, in
minor grado, da ossigeno, mentre altri gas (come
anidride carbonica e vapore acqueo) sono
presenti solo in quantità minime.
La temperatura media in superficie è tale da
consentire all'acqua di persistere ampiamente
allo stato liquido: circa 3/4 della superficie
terrestre sono coperti dalle acque (oceani, laghi,
fiumi, oltre alle riserve potenziali dei ghiacciai),
che formano l'idrosfera. Atmosfera e idrosfera
hanno trasformato e continuano a trasformare
l'aspetto superficiale della crosta terrestre.
Inoltre, l'attivìtà dell'atmosfera e l’evoluzione della
crosta hanno cancellato sulla Terra le tracce del
grande
bombardamento
meteoritico
che
caratterizzò il primo miliardo di anni di
evoluzione del Sistema solare: tali tracce sono
invece perfettamente conservate sulla superficie
della Luna, il nostro satellite naturale, di cui
parleremo in seguito.
Marte
Una serie di circostanze sembrano
rendere Marte il pianeta più simile al
nostro. La durata del suo giorno è,
casualmente, quasi la stessa del giorno
sulla Terra e anche l‟inclinazione
dell‟asse di rotazione è simile, per cui su
Marte si ha un'alternanza di stagioni
come Le nostre. Tuttavia, per la
maggiore distanza dal Sole e la maggior
durata di un'intera rivoluzione (pari a 687
giorni terrestri), te stagioni sono più
fresche e durano quasi il doppio. Infine,
anche intorno a Marte ruotano dei
satelliti: Phobos, che ha un diametro
massimo di 27 km, e Deimos, il cui
diametro è 10 Km. Si pensa che siano
corpi strappati dal pianeta alla vicina
fascia degli asteroidi
Tra i due pianeti però, ci sono anche
notevoli differenze, a partire dall‟atmosfera,
che su Marte è molto rarefatta (la pressione
in superficie è circa 1/50 di quella terrestre)
ed è formata per il 95 % da anidride
carbonica, con piccole quantità di azoto,
vapore acqueo e ossigeno. La temperatura
superficiale di Marte è in media di -55 'C.
Numerose missioni hanno tentato di
chiarire la sostanza di queste analogie o
differenze. I dati inviati ci hanno mostrato
un pianeta quasi morto, con una debole
attività atmosferica, senza traccia dei
«canali» rettilinei che Schiaparelli ritenne
di aver individuato al telescopio nel 1877 e
sui quali per un secolo si è discusso. Ma
via via sono emerse le tracce di una lunga
storia geologica, che oggi inizia a
delinearsi.
Marte
Il Mons Olympus di Marte. (NASA)
Le immagini inviate dai robot Spirit e
Opportunity, atterrati sul pianeta nel
gennaio
2004,
mostrano
un
paesaggio del tutto simile a un nostro
deserto roccioso, dominato dal tipico
colore rosso-ruggine. La superficie di
Marte è stata modellata da numerosi
processi: bombardamento meteoritico,
attività vulcanica, movimentí crostali,
erosione, deposizione.
Alcune regioni sono craterizzate,
mentre
in
altre
si
innalzano
giganteschi vulcani o corrono enormi
canyon. L'attività vulcanica è stata
molto intensa ed è testimoniata da
imponenti vulcani. Il maggiore tra
questi è il Mons Olympus, largo alla
base 700 km e alto 25 000 m. sulle
pianure circostanti: è il più grande
vulcano del Sistema solare .
Lungo l'Equatore si stende un sistema
di canyon, le Valles Marineris: lungo
5000 km, largo 500 km e profondo
5 -6000 m. Il vulcanismo è da tempo
estinto. La struttura del pianeta è
simile a quella della Terra, ma non
sembra presente un nucleo interno.
Anche i movimenti della crosta (grandi
fratture o spostamenti di settori di
essa) sono cessati, come dimostra
l'assenza di attività sismica. Dopo una
vivace evoluzione, durata qualche
miliardo di anni, Marte si è arrestato,
quando la sua energia interna non è
stata più sufficiente a «far muovere» la
crosta. Sulla sua superficie sono
rimasti attivi da allora solo processi di
modellamento, prima di tutto quello
legato a erosione e deposizione
eoliche, cioè operate dai venti.
Marte
Tempeste di sabbia su Marte. (NASA)
Marte
Le variazioni termiche indotte
dall'energia solare provocano infatti
forti correnti che, anche se con
un'atmosfera
molto
rarefatta,
sollevano tempeste di polvere su
tutto il pianeta.
L'atmosfera rarefatta e le basse
temperature superficiali
impediscono la presenza di
un'idrosfera con acqua libera:
eppure, la superficie di Marte
conserva tracce vistose e diffuse di
una lunga permanenza dell'acqua,
come dimostrano numerosi canali
con molte valli tributarie, che
formano reticoli del tutto simili a
quelli fluviali, ramificati, presenti
sulla Terra, ma completamente
asciutti.
Struttura interna di Marte.
Marte
Tracce di acqua su Marte. (NASA)
Dove è finita quell'acqua e come si possono spiegare
questi profondi cambiamenti?
Si pensa che in origine Marte avesse un'atmosfera
densa, ricca di anidride carbonica (CO2) da emissioni
vulcaniche, come su Venere e sulla Terra, tale da far
innescare gradualmente un effetto serra in grado di
portare la temperatura globale a qualche grado sopra lo
zero. Come conseguenza, l'acqua cominciò a formare
specchi lacustri e reticoli fluviali.
Ai reticoli si aggiunsero anche canali, probabilmente
generati da impatti meteoritici che provocarono
improvvisi rilasci di centinaia di km3 di acqua per fusione
del permafrost (terreno permanentemente gelato, come
quello della tundra siberiana), che aveva accolto
l'iniziale condensazione del vapore acqueo vulcanico. La
rete di corsi d'acqua drenava verso l'emisfero nord, dove
si trova tuttora una vasta area depressa, e formò cosi
una distesa marina - l'Oceano Boreale - nel quale si
deposero sedimenti, soprattutto sabbie.
Marte
La disponibilità di vapore acqueo e di CO2
di origine vulcanica rafforzarono l'effetto
serra e si stabili un nuovo equilibrio
idrologico. La presenza di acqua liquida
e i processi di alterazione delle rocce
superficiali finirono, però, per diventare
una «trappola chimica» per la CO2.
Come è ben noto sul nostro pianeta,
l'alterazione dei silícati di calcio (tra i
minerali più comuni e abbondanti nelle
rocce superficiali) sottrae due molecole di
CO2 all'atmosfera e le porta in soluzione
come bicarbonato di calcio; una volta in
mare, dal bicarbonato può precipitare il
carbonato (che forma le rocce calcaree),
con restituzione di una sola molecola di
CO2, che può tornare nell'atmosfera.
Senza riciclaggio delle rocce della crosta
(come avviene sulla Terra, ma non su
Marte)
Acqua su Marte: oggi e nel passato.
Solchi organizzati in sistemi del tutto
simili a quelli dei reticoli fluviali
terrestri. (NASA)
CO2 + H2O = H2CO3
= 2H+ + HCO3-
Interagiscono gli ioni bicarbonato con gli ioni calcio e la silice
HCO3-
Ca2+
SiO2
Questi soluti vengono trasportati dai fiumi fino agli oceani (ciclo
dell'acqua), dove organismi viventi incorporano in gusci e scheletri gli
ioni calcio e bicarbonato, formando nuovamente carbonato di calcio e
liberando anidride carbonica.
CaCO3 +
CO2
Si forma il carbonato di calcio restituendo all’atmosfera
anidride carbonica
ciclo geochimico del carbonio “approfondimento”
Il ciclo geochimico regola il trasferimento del carbonio fra litosfera, idrosfera e
atmosfera (capacità dei comparti e turnover del carbonio).
L'anidride carbonica presente nell'atmosfera si solubilizza nell'acqua piovana con
formazione_dell‟acido_carbonico.
L'acido carbonico modifica chimicamente i minerali carbonatici e silicatici
(alterazione delle rocce carbonatiche e silicatiche) liberando ioni bicarbonato,
ioni calcio e silice che passano in soluzione.
Questi soluti vengono trasportati dai fiumi fino agli oceani (ciclo dell'acqua), dove
organismi viventi incorporano in gusci e scheletri gli ioni calcio e bicarbonato,
formando nuovamente carbonato di calcio e liberando anidride carbonica.
In tale processo torna all'atmosfera circa la metà dell'anidride carbonica.
Gusci e scheletri, alla morte degli organismi, si depositano
(deposizione_dei_carbonati) sui fondali e vengono sepolti da altri sedimenti.
Altri carbonati si depositano per precipitazione diretta dall'acqua.
L'accumulo di questi carbonati produce circa l'80% del carbonio depositato sul fondo
oceanico; il rimanente 20% è fornito dalla materia organica morta
(seppellimento_di_materia_organica).
I fondali oceanici si espandono e scorrono sotto i continenti trasportando i sedimenti in
profondità.
Esposti ad alte temperature e pressioni (metamorfismo_dei_carbonati) i sedimenti
liberano, molti milioni di anni più tardi, anidride carbonica, che rientra nell'atmosfera,
soprattutto attraverso le eruzioni vulcaniche.
Marte
la CO2 viene progressivamente
sottratta all'atmosfera: l'effetto serra
diminuisce e la temperatura scende.
Secondo tale processo, i canali si
estinsero e l'Oceano Boreale si
restrinse e si colmò di sedimenti. Da
allora, l'acqua rimasta si trova sotto
forma di ghiaccio nel permafrost. La
presenza del ghiaccio è stata
confermata dalla sonda Phoenix
Mars, scesa nei pressi del Polo nord.
E Fino all'esplorazione compiuta da
Spirit e Opportunity nel 2004, la
possibilità di trovare forme di vita sul
pianeta era considerata altamente
improbabile, essenzialmente per le
temperature inospitali che nelle
regioni polari scendono a - 120 'C.
Acqua su Marte: oggi e nel passato.
Una possibile ricostruzione
dell’Oceano Boreale.
Tuttavia, il ritrovamento di materiali che
indicano la probabile persistenza
dell'acqua su Marte per míliardi di anni,
insieme alla scoperta fatta dalla
European Space Agency's Mars Express
della presenza di metano nell'atmosfera
marziana hanno dato nuovo impulso al
dibattito scientifico. L'acqua infatti è un
prerequisito per la vita, mentre il metano
(almeno sulla Terra) è prodotto perlo più
dagli organismi.
A oggi tuttavia non è ancora emersa nessuna indicazione della presenza
passata su Marte di organismi viventi come noi li conosciamo.
E Abbiamo esaminato i corpi celesti più interni del Sistema solare: sfere
rocciose con un nucleo metallico, che hanno avuto storie evolutíve parallele,
ma ognuna con caratteristiche proprie, legate alla massa di ciascun corpo e alla
distanza dal Sole.
Per due di essi, Luna e Mercurio,
l'evoluzione si è arrestata in una fase
precoce; nel caso di Marte, invece, si è
spinta più avanti, prima di lasciare il campo
ai soli processi di modellamento esterni, che
ne stanno lentamente levigando la superficie;
negli altri, invece, l'evoluzione è ancora
attiva: forse con minor energia su Venere,
ma con gran vivacità sulla Terra.
Nel corso della loro evoluzione alcuni corpi sono riusciti a trattenere un
involucro di gas e vapori. Anche in tal caso le atmosfere hanno avuto storie
diverse, con importanti conseguenze; dalla densissima coltre di Venere che,
con il suo effetto serra, ha prodotto un ambiente proibitivo per la vita, alla
tenue atmosfera della Terra, in equilibrio con grandi quantità d'acqua, che
hanno invece favorito e protetto lo sviluppo della vita, fino all'atmosfera
estremamente rarefatta di Marte, troppo esigua per riscaldare a sufficienza
la fredda superficie del pianeta ormai inerte
Giove
Un’immagine a colori reali di Giove. (NASA)
Giove è un pianeta gigantesco, la cui
massa è pari al doppio di quella di
tutti gli altri pianeti del Sistema
solare messi insieme e il volume è
1316 volte quello detta Terra. Il
pianeta appare piuttosto schiacciato ai
poli, a causa dell'elevata velocità di
rotazione intorno al proprio asse
(all'Equatore essa raggiunge i 40 000
km/h).
Al telescopio l'atmosfera di Giove
appare solcata da bande chiare e
scure che si alternano, disposte
parallelamente all'Equatore, interrotte
qua e là da alcune macchie rosse o
biancastre. Una di queste, chiamata
Grande macchia rossa, è stata sempre
presente da quando è stata osservata
per la prima volta più di tre secoli fa.
Giove
A che cosa corrispondono le bande e
le macchie? Il calore solare e quello
che si libera dall'interno di Giove
innescano nella spessa atmosfera
del
pianeta
grandi
movimenti
convettivi
(si
ricordi
che
la
temperatura media sulla superficie
visibile è di - 153°C, con formazione
di nubi dovute alla condensazione
dell'ammoniaca (uno dei componenti
dell'atmosfera
gíoviana).
L'alta
velocità di rotazione del pianeta
costringe le nubi a formare le lunghe
bande, denominate zone e fasce: le
zone chiare sono quelle in cui i gas
risalgono; le fasce scure contigue
sono quelle verso cui i gas
ridiscendono.
L’atmosfera di Giove. (NASA)
Le macchie chiare e scure che interrompono le bande
corrispondono a perturbazioni cicloniche. La Grande macchia
rossa è un gigantesco vortice di nubi, a forma di ellisse (con un
asse maggiore variabile tra i 25 000 e i 50 000 km), che ruota in
senso antiorario e si muove con l'atmosfera circostante, ma
rimanendo da secoli sempre nella stessa posizione rispetto
all'Equatore.
La
porzione
visibile
dell’atmosfera di Giove è
ridotta:
per
conoscerne
qualcosa di più è stata
lanciata nel 1989 la sonda
automatica Galileo, entrata in
orbita intorno a Giove nel
1995, dopo aver seguito una
lunga e complessa rotta che
ha sfruttato l'effetto «fionda
planetaria» di Venere e della
Terra.
Dalla sua orbita la sonda ha sganciato un modulo che, frenato da paracadute,
ha attraversato 300 km di atmosfera in circa 1 ora, prima di essere messo fuori
uso in quell'ambiente di gas vorticanti. I segnali trasmessi, di grande interesse,
hanno messo in evidenza, tra l'altro, che la composizione chimica
dell'atmosfera di Giove è simile a quella del Sole.
Giove
Lo spessore totale dell'atmosfera di
Giove è di circa 1000 km: a quella
profondità dal tetto di nubi la
pressione è tale che l'idrogeno deve
passare allo stato liquido. La
superficie di Giove è quindi quella
di un oceano di idrogeno liquido
esteso a tutto il pianeta. A circa
24 000 km di profondità la
pressione
provoca
un'altra
trasformazione: l'idrogeno liquido
passa a idrogeno metallico liquido,
uno stato della materia mai
osservato,
ma
previsto
teoricamente. A profondità ancora
maggiori (almeno 60 000 km, su un
raggio di 70 000 km) dovrebbe
esistere, infine, un nucleo di rocce e
metalli pesanti, in quantità simile a
quella dei pianeti di tipo terrestre.
La struttura interna di Giove.
In complesso, il gigante tra i
pianeti è una sfera liquida, con
un involucro gassoso e un
piccolo nucleo solido, costituito
da materiali più densi.
La sua composizione media
(85 % di idrogeno e 15% di
elio) è del tutto analoga a
quella del Sole, e se la sua
massa fosse stata solo 10
volte maggiore, nel suo
nucleo la temperatura sarebbe
salita abbastanza da innescare
una reazione termonucleare,
trasformandolo in una piccola
stella.
Il suo nucleo, invece, arriva a «solo»
30000°C,
e
il
pianeta
sta
lentamente disperdendo, attraverso i
moti convettivi della parte fluida e
dell'atmosfera, l'energia accumulata
come calore nelle fasi iniziali della
sua evoluzione.
Giove
La superficie di Io. (NASA)
Attorno a Giove ruotano almeno
16 satelliti
(63). I quattro più
grandi (scoperti da Galíleo e detti
perciò galileiani) sono, dal più
vicino al più lontano, Io, Europa,
Ganimede e Callisto.
Gli altri satelliti di Giove sono
meno noti, ma anche molto più
piccoli. I quattro satelliti più lontani
(tutti con diametro di circa 20 km),
ruotano in senso opposto rispetto
agli altri, su orbite molto inclinate:
sono forse degli asteroidi catturati
dal gigante gassoso.
Approfondimento
Io, presenta un‟intensa attività vulcanica,
maggiore di quella nota in qualunque altro corpo
del Sistema solare. Il Voyager 1 ha individuato
una decina di vulcani in eruzione, i cui pennacchi,
a forma di ombrello, salivano fino a 300
km di altezza, con velocità di espulsione prossime
a 3600 km/h (figura 1). Dalle bocche vulcaniche,
insieme a colate di lava (la cui composizione
è sconosciuta: forse silicati?), vengono
eruttati zolfo, anidride solforosa e altri composti
dello zolfo, che hanno ricoperto tutta la superficie
con brillanti colori: giallo, arancione, rosso,
oro, bianco, nero. La continua emissione di
materiale
vulcanico ha cancellato ogni traccia degli
antichi crateri di impatto, e la stessa superficie
attuale è in perpetua trasformazione, come è risultato
ben evidente anche dal confronto tra le
immagini più recenti inviate dalla Galileo e quelle
dei Voyager.
Approfondimento
Nel corso di migliaia di anni di
evoluzione, questo satellite ha perso ogni sostanza
volatile (acqua, anidride carbonica),
mentre i materiali più densi sono stati e sono
continuamente riciclati dal suo continuo «ribollire
» interno. L’energia per l’attività di Io proviene
dal gigantesco pianeta intorno a cui ruota a soli
400 000 km di distanza. Poiché l’orbita non è
circolare, al periodico variare della distanza la
crosta della minuscola luna viene più o meno
deformata dalla tremenda forza di attrazione di
Giove: la continua deformazione libera, all’interno
del satellite, grandi quantità di calore (è un
po’ quello che succede quando si piega e si
raddrizza di seguito più volte un fermaglio di
metallo, che si riscalda nel punto di piegatura). I
dati raccolti dalla missione Galileo sembrano
anche indicare la possibile presenza di un nucleo
metallico, che sarebbe responsabile del
forte campo magnetico generato dal satellite.
Giove
La crosta ghiacciata di Europa. (NASA)
Approfondimento
Poco più lontano da Giove, la piccola Europa mostra un contrasto impressionante: una
superficie bluastra di ghiaccio d’acqua percorsa da una fitta rete di strie, con una
temperatura di –150 °C. I dati rilevati dalla Galileo hanno permesso di stabilire che
Europa ha un nucleo metallico avvolto da un mantello roccioso, ricoperto da un oceano
di acqua profondo 100-200 km, con una crosta ghiacciata decisamente
sottile: 2 km al massimo.
Le striature della superficie si sono rivelate profonde e lunghissime fessure,
fiancheggiate sui due lati da increspature parallele e simmetriche. Le increspature
sono attribuite al congelamento in superficie di acqua o acqua e fanghiglia risalita lungo
le fessure, in quanto la superficie di Europa risulta decisamente attiva .
Gruppi di increspature con fessura centrale risultano tagliati bruscamente da
increspature più giovani, con direzione diversa.
Approfondimento
In certi casi gli intrecci di fessure scompaiono sotto laghi di ghiaccio con superfici
levigate e prive di ogni traccia di alterazione, quindi originate da effusioni di acqua
molto recenti.
In altri casi si osservano lembi di crosta ghiacciata del tutto simili ad iceberg galleggianti
in un oceano, emersi per circa 200 m, separati
da canali ghiacciati. Questa intensa attività della crosta in cui si aprono fratture o che si
frantuma in blocchi «galleggianti» e mobili, è provocata da poderosi movimenti
nell’oceano sottostante: ma a spese di quale energia? Il problema è aperto: forse
responsabile è il calore dissipato dal nucleo e dal mantello, o quello dovuto allo stesso
effetto di marea (anche se meno forte) che riscalda Io. In ogni caso, acqua liquida e
possibilità che si raggiungano determinate temperature, come pure la possibilità di avere
strutture idrotermali sul fondo dell’oceano a contatto con un mantello roccioso che libera
calore, (come avviene sulla Terra lungo le dorsali oceaniche, hanno suggerito che
Europa potrebbe essere un buon candidato per ospitare qualche forma di vita. Infine, è
stata scoperta una sottile atmosfera di ossigeno.
Giove
Ganimede. (NASA)
Ancora più lontano da Giove, Ganimede, il più
grande satellite dell’intero Sistema solare, appare
sempre di più un mondo di ghiacci, con una
composizione che comprende il 40% di acqua. Sulla
superficie del satellite sono visibili:
– alcune zone di colore più scuro, dovute
probabilmente all’accumulo di polveri, costellate di
crateri da impatto;
– fasce e zone più chiare che circondano le
precedenti, con un numero di crateri da impatto
molto inferiore; proprio quest’ultima
osservazione fa ritenere che le zone più
chiare siano più giovani di quelle di colore
scuro. Le zone chiare sono striate da solchi paralleli,
simili a quelli di Europa.
Un nucleo metallico e un mantello roccioso
sono avvolti da una «crosta» di acqua spessa ben
800 km, di cui i 200 più esterni sotto forma di
ghiaccio.
Approfondimento
Approfondimento
Ganimede conserva perciò ampie tracce di
un’attività molto antica (le aree scure), ma anche
vistose testimonianze di attività successiva, che, a
più riprese, ha portato alla fuoriuscita di acqua e
colate di ghiaccio (forse con meccanismi come
quelli di Europa) e al parziale «riciclaggio» della
crosta più antica.
Il riscaldamento che periodicamente ha fatto
assottigliare localmente la crosta e ha provocato
eruzioni in superficie di acqua e ghiaccio è stato
ogni volta innescato, probabilmente, da
complesse interazioni mareali con Giove e gli altri
satelliti. Le misure spettroscopiche effettuate dalla
sonda Galileo ai poli hanno confermato la
presenza di ozono sulla superficie di Ganimede.
Probabilmente, il processo di trasformazione
chimica che determina la formazione dell’ozono
comporta la presenza di una
sottile atmosfera di ossigeno, simile a quella
individuata su Europa.
Giove
Callisto. (NASA)
Approfondimento
Callisto, il più lontano, presenta una
superficie scura intensamente
craterizzata, come quelle di Mercurio o
della Luna. Gli impatti si sono verificati
sulla superficie di una crosta di ghiaccio
«sporco», misto a detriti rocciosi. I
numerosi crateri, il cui interno rivela
ghiaccio «più pulito», spiccano come
tante macchie bianche luminose.
Lontano da Giove, anche l’interno di
Callisto
si è da tempo completamente congelato
e non c’è stata energia sufficiente per
qualche attività in grado di lasciare tracce
in superficie.
Saturno Una splendida immagine di Saturno ripresa dal Voyager 1. (NASA)
Posto ad una distanza dal Sole doppia rispetto a quella di Giove, Saturno
appartiene anch'esso al gruppo dei pianeti giganti, anche se ha un diametro un
po' minore e una massa pari a un terzo di quella del «vicino».
Il pianeta ruota su se stesso con grande velocità, la qual cosa determina un
sensibile schiacciamento polare.
L'atmosfera di Saturno ha una struttura
abbastanza simile a quella di Giove, con
un'alternanza di fasce più chiare e fasce più
scure, disposte parallelamente all'Equatore.
Si riconoscono aree con perturbazioni a
carattere rotatorio e vortici; i venti spirano
con velocità che all'Equatore raggiungono i
1800 km/h (cinque volte superiori alle
velocità più alte registrate su Giove), mentre
diminuiscono di intensità spostandosi verso
le zone polari per scomparire del tutto ai
poli.
Complessivamente Saturno è formato da un grosso ínvolucro di gas (con
temperature medie in superficie che arrivano a -185 °C il quale avvolge un
nucleo di idrogeno liquido. La struttura più affascinante, anche se non unica tra
i pianeti del Sistema solare, sono gli anelli che circondano Saturno.
Gli anelli furono visti già da Galileo, ma riconosciuti come tali dall'astronomo
olandese C. Huygens .
Saturno
Struttura interna di Saturno.
Le immagini e i dati dei Voyager 1 e 2 che hanno sorvolato Saturno
(rispettivamente nel 1980 e 1981) e della sonda Cassinis (2004) hanno
dimostrato che il sistema di anelli è formato da un migliaio di sottili anelli distinti,
presenti anche nelle zone di divisione che, viste al telescopio, sembrano
separare gli anelli principali. Lo spessore del sistema di anelli è soltanto di
qualche decina di metri, mentre la larghezza supera i 200 000 km.
Saturno
Gli anelli di Saturno ripresi da vicino dalla sonda Cassini. (NASA)
Il materiale che forma gli anelli di Saturno è
costituito da frammenti di ghiaccio (forse
ammoniaca solida) e polvere con diametri
che variano da pochi micrometri al metro
ognuno in rotazione attorno al pianeta su
una propria orbita. Gli anelli non sono,
quindi, un sistema né rigido né compatto:
sono un insieme di corpi su orbite
concentriche.
L'origine del sistema di anelli sembra dovuta all'enorme forza di gravità di
Saturno: questa avrebbe disintegrato un satellite finito troppo in prossimità del
pianeta, oppure avrebbe impedito a una parte della stessa materia da cui si è
formato Saturno di «coagularsi» in un unico corpo. Tra i 18 satelliti che
compongono il corteo di Saturno, (Ad agosto 2007 si conoscono 60 satelliti di
Saturno) Titano è l'unico a possedere una vera atmosfera. Nel 2005, atterrando
su Titano, la sonda Huygens si è appoggiata su una sostanza morbida che ha
rilasciato uno sbuffo di gas metano: il metano, probabilmente presente in forma
liquida nel terreno sottostante, è evaporato per effetto del calore della sonda.
Saturno
Vulcano su Titano. (NASA)
Viste
le
bassissime
temperature
superficiali (-178 °C) nei fiumi e nei
laghi di Titano però non scorre acqua,
come sulla Terra, ma metano liquido.
L'atmosfera di Titano - come quella
terrestre - è costituita perlopiù da azoto,
ma con una densità quattro volte
superiore rispetto alla nostra. Al suo
interno è suddivisa in una troposfera,
una
stratosfera
e
numerose
stratificazioni
ulteriori.
Inoltre
nell'atmosfera si trovano numerosi
elementi di quella che si ritiene sia stata
l'atmosfera terrestre primitiva, fra cui vari
composti organici complessi che hanno
fatto pensare alla possibilità di forme di
vita, sebbene le basse temperature
sembrino escludere tale eventualità.
Saturno
Laghi di metano su Titano. (NASA)
Nell'uso comune, il termine «vulcanismo»
implica materiale roccioso fuso (il
«magma», di natura silicatica), ad alte
temperature, in grado di trasferirsi
dall'interno del nostro pianeta fino alla sua
superficie. Qui esso dà origine alle rocce
effusive, organizzate in numerose tipiche
forme. Ma dopo le immagini inviate a terra
dalle sonde Voyager 1 e Voyager2, che
hanno sorvolato i satelliti di Giove, Saturno,
Urano e Nettuno, il significato del termine è
stato ampliato fino a comprendere l'attività
di composti come l'acqua, il metano,
l'ammoniaca e l'azoto, i quali, alle basse e
bassissime temperature cui si trovano su
quei corpi, appaiono nelle fasi solide
(ghiacci) e liquide, con passaggi dalle une
alle altre attraverso fenomeni di fusione
Saturno
Strati nell’atmosfera di Titano. (NASA)
Quando si formano a una certa profondità,
questi fusi freddissimi possono risalire fino a
traboccare in superficie, dando origine a vere
e proprie effusioni. A tali processi è stato dato
il
nome
di
criovulcanismo,
ovvero
«vulcanismo di ghiaccio».
Nelle parti esterne dei Sistema solare il
ghiaccio non è in genere di acqua pura, ma è
«contaminato» da composti come NH3
(ammoniaca) e CH4 (metano), la cui presenza
fa abbassare il punto di fusione del ghiaccio.
Per esempio, la presenza di ammoniaca nel
ghiaccio di acqua fa scendere il punto di
fusione di una miscela eutettica (che contiene
circa il 35% di NH3 in massa) a circa 175 K:
sono valori di temperature abbastanza bassi
da poter essere raggiunti dal solo calore
liberato dai processi di decadimento
radioattivo che si svolgono all'interno di satelliti
con diametro di almeno 500 km.
Questo tipo di processo può portare al rimaneggiamento delle superfici ghiacciate dei
satelliti più grandi. Infatti, una soluzione di NH3 + 2H20, formata per fusione parziale di
acqua contaminata con ammoniaca, è poco meno densa del ghiaccio da cui proviene e
decisamente meno densa di un ghiaccio contenente materiale roccioso (polveri e detriti
fini). Un simile fuso tenderebbe a muoversi verso l'alto: inoltre, avrebbe proprietà fisiche
(come la viscosità) tali che, con la bassa gravità esistente alla superficie di un satellite di
ghiaccio, si comporterebbe in modo simile a una colata di lava basaltica sulla Terra. Al
contrario, se nel fuso, durante la risalita, iniziasse un processo di cristallizzazione (come
avviene nella formazione di fenocristalli nelle rocce effusive), la viscosità potrebbe
aumentare fino ai valori tipici di molte lave terrestri ricche in silice (tipo andesiti o rioliti).
Di conseguenza, un fuso ammoniaca-acqua può produrre una varietà di
forme«criovulcaniche» che hanno tutte la loro controparte nel vulcanismo terrestre.
Urano
Urano fu scoperto casualmente, nel 1781, nel
corso di osservazioni telescopiche su alcune
stelle, ma solo due secoli dopo la sonda
Voyoger 2 ha fatto conoscere il sistema, che
comprende anche anelli e molti satelliti. Quel
lontanissimo pianeta ha una caratteristica unica
nel Sistema solare: il suo asse di rotazione giace
quasi sul piano dell'orbita, invece di essere
presso la verticale di tale piano, come è negli
altri pianeti. Di conseguenza Urano volge
alternativamente verso il Sole i suoi poli, per cui,
essendo la durata della rivoluzione di Urano di
circa 84 anni, le sue zone polari passano ogni
40 anni circa da un lunghissimo «giorno» ad una
lunga notte. Urano è avvolto da un'atmosfera
spessa 7600 km di idrogeno, elio e metano (a
quest'ultimo è dovuta la colorazione azzurra) ed
è freddissimo: la temperatura, che varia di poco,
scende da -208 °C, al polo che punta verso il
Sole, fino a -215 °C all'Equatore.
Immagine di Urano e del suo
sistema di anelli e di satelliti,
ripresa dal Telescopio Spaziale
Hubble, nel 1997. (NASA)
Urano
Negli strati più alti dell'atmosfera, al di sopra delle zone circumpolari, si sono
osservate estese formazioni di brine, forse dovute a reazioni causate dalla
radiazione solare negli idrocarburi.
Nelle zone verso l'Equatore si sono osservati invece sistemi di nubi in veloce
movimento intorno al pianeta, trascinate da forti venti. Dal tempo impiegato da
tali nubi a effettuare un giro completo è stato possibile risalire al periodo di
rotazione del pianeta, che è di circa 17 ore.
Urano
La struttura interna del pianeta è
formata da un nucleo centrale
roccioso, avvolto da un oceano
(profondo 10500 km) formato dagli
stessi costituenti dell'atmosfera, ma
allo stato liquido
Intorno ad Urano ruotano numerosi
corpi: un sistema di 10 sottili anelli e
almeno 17 satelliti.
Le immagini dei satelliti maggiori
inviate dalla sonda Voyager 2 hanno
rivelato mondi diversi: dalle vaste
pianure costellate da crateri da
impatto di Oberon e Titania, le lune
più lontane,
Struttura interna di Urano.
Urano
L’aspetto caotico di Miranda. Il
satellite sarebbe stato frantumato
dalla collisione con un asteroide in
blocchi, che si sarebbero in seguito
riaggregati, mescolando ghiacci e
rocce. (NASA)
alle regioni craterizzate e intersecate
da profonde valli rettilinee, delimitate
da fratture lunghe centinaia di km, di
Ariel e Umbriel; fino alla superficie di
Miranda, la luna più vicina a Urano,
che mostra un mosaico di zone
intensamente craterizzate e zone
profondamente solcate da lunghe
scarpate.
Nettuno
Struttura interna di Nettuno.
Il pianeta venne cercato e trovato, nel 1846,
in seguito a calcoli effettuati a tavolino per
spiegare alcune perturbazioni osservate degli
astronomi nell'orbita del «vicino» Urano. A
oltre 4 miliardi di kilometri dal Sole, ruota su
se stesso in circa 16 ore (a livello dell'alta
atmosfera) e una sua rivoluzione attorno al
Sole dura 164,8 anni. La temperatura varia
da circa -232 °C a -211 °C.
Nettuno è costituito da un profondo oceano di gas liquidi - soprattutto
metano - coperto da un'atmosfera verde-azzurra - idrogeno e metano sede di
complessi moti circolari. Vi si distingue infatti una struttura a bande e fasce
parallele all'Equatore, simile a quella di Giove e Saturno, interrotta da alcune
macchie più scure, che corrispondono a zone in cui i gas discendono, ampie fino a
10000 km, e da formazioni nuvolose chiare, estese lungo i paralleli ad alta quota. A
causa della sua grandissima distanza dal Sole, la forte attività dell'atmosfera di
Nettuno non può essere dovuta all'energia solare, ma è di origine interna:
probabilmente è legata al calore liberato da un nucleo interno ancora in parte
liquido.
Nettuno
Immagine ravvicinata di
Nettuno, trasmessa dal
Voyager 2. (NASA)
Nettuno
Tritone ripreso dalla sonda Voyager 2. (NASA)
Intorno a Nettuno ruotano 3 anelli e almeno 8
satelliti, il maggiore dei quali, Tritone, ha un
movimento retrogrado ed è stato sorvolato da
vicino dal Voyager 2. Avvolto da un velo di
azoto e metano e con una crosta di ghiaccio
spessa 400 km, Tritone ha una temperatura
di -225 °C ed è uno dei mondi più freddi
finora scoperti nel Sistema solare. La sua
superficie è tormentata da crateri e altre
strutture che la fanno assomigliare alla buccia
di un melone, con segni di attività recente.
Sono stati addirittura visti in atto giganteschi
«pennacchi» scuri che salgono dalla superficie
per migliaia di metri. Forse sono dovuti ad
attività vulcanica o sono geyser prodotti da
vapori di azoto che si liberano periodicamente
al di sotto della superficie di ghiacci
trasparenti, a causa di una specie di effetto
serra, trascinando con sé sottili polveri scure.
I corpi minori del Sistema solare
I corpi minori
Pianeti e satelliti non sono gli unici componenti del Sistema solare: intorno al
Sole ruotano innumerevoli altri corpi, con dimensioni dal cm ad alcune
decine di km, su orbite prossime a quelle dei pianeti o a distanze di oltre 1,5
a.l. (cioè 15 000 miliardi di km). Si possono suddividere, per l'aspetto con cui
ci si rivelano, in tre gruppi, che sono comunque strettamente collegati tra toro
per l'origine e l'evoluzione: asteroidi (o pianetini): corpi formati dallo stesso
materiale da cui si è formato il Sistema solare, di cui hanno conservato la
composizione originale;
meteore e meteoriti: corpi la cui orbita interseca quella terrestre, per cui
vengono attratti e cadono sul nostro pianeta, consumandosi nell'atmosfera
(meteore o stelle cadenti) o arrivando fino al suolo (meteoriti); comete: corpi
di polveri e ghiacci che stazionano in orbite a grandissime distanze dal Sole
ma che possono immettersi su orbite lunghissime, fino a giungere in vicinanza
del Sole, perdendo nello spazio Lunghe scie di materiali finissimi («code»).
I corpi minori
L’asteroide Ida e la sua minuscola luna Dattilo. (NASA)
Gli asteroidi finora catalogati sono circa 20 000, ma il loro numero totale è
almeno il doppio. Questi corpi, che hanno dimensioni medie di decine di km,
sono cosi distribuiti: in gran parte si trovano tra le orbite di Marte e Giove,
dove formano la fascia degli asteroidi (larga circa 2 U.A.), ma alcuni hanno
orbite che si avvicinano a quelle dei pianeti (anche della Terra) o le
intersecano; hanno dimensioni medie di decine di km, ma alcuni arrivano a
centinaia di km (il più grande, Cerere, raggiunge i 935 km); la loro superficie,
almeno nei maggiori, è segnata da numerosi crateri da impatto.
I corpi minori
un migliaio circa ruota con stabilità nell'orbita di Giove; altri, infine,
ruotano su orbite molto allungate, che giungono fino oltre quelle di
Nettuno. Il primo di questi corpi «trans-nettuniani» è stato scoperto nel
1992 e ha un diametro di 130 km; da allora ricerche specifiche ne hanno
individuati circa 800, la maggior parte con un diametro eh circa 100 km,
mentre uno di essi, Eris (battezzato in origine Sedna e ritenuto, all'inizio,
un possibile nuovo pianeta), con un diametro di quasi 2400 km, si trova
quasi tre volte più lontano di Nettuno.
I corpi minori
Plutone (a sinistra) e il suo satellite Caronte.
Anche Plutone, classificato fino al 2006 come
pianeta, è ora considerato tra i corpi
trans-nettuniani: si tratta di un corpo più piccolo
della Luna, formato da polveri e gas congelati
(metano e ammoniaca: la temperatura è di -236
°C, che percorre la sua orbita intorno al Sole in
248 anni accompagnato da un satellite, Caronte.
Nel 2006 è stata lanciata la sonda New Horizons,
che raggiungerà Plutone nel 2015.
Il grande interesse con cui si studiano gli
asteroidi è legato alla loro origine. L'ipotesi
attuale è che essi si siano formati per
aggregazione graduale di corpi più piccoli.
Nell'attuale fascia degli asteroidi, però, tale
aggregazione sarebbe stata interrotta da qualche
meccanismo non ancora ben chiaro, ma legato a
perturbazioni gravitazionali provocate dalla vicina
enorme massa di Giove. In tale prospettiva, il
materiale degli asteroidi è quanto di più simile ci
sia al materiale originario del Sistema solare.
(NASA)
I corpi minori
Il Meteor Crater. (SPL / Grazia Neri)
Meteore e meteoriti
Entrambi questi termini indicano frammenti di
materiale in orbita intorno al Sole troppo
piccoli per essere chiamati asteroidi o
comete. Quando uno di questi frammenti si
avvicina all'orbita della Terra, può essere
attratto dal nostro pianeta e attraversarne
l'atmosfera (lo stesso accade, ovviamente,
per gli altri pianeti e satelliti). A seconda delle
dimensioni dell'oggetto, possono verificarsi
due casi:
-se il corpo è molto piccolo (da 0,1a qualche
kg), l'attrito con l'atmosfera lo rende
incandescente e lo fa evaporare. Il fenomeno
dà origine a una scia luminosa che viene
chiamata meteora o stella cadente;
-se il corpo è abbastanza grande da non
essere tutto consumato dall'attrito, il materiale
raggiungere la superficie e costituisce una
meteorite.
Diap 94
I corpi minori le meteore
Le meteore viaggiano con velocità di decine di km/s e si «accendono» tra 80
e 120 km di altezza, per spegnersi intorno ai 50 km, disintegrandosi
completamente. Mentre meteore isolate si osservano tutto l'anno, a intervalli
precisi compaiono sciami di meteore, le spettacolari “piogge di stelle” con
centinaia di meteore all'ora. Essi si formano quando la Terra attraversa il
pulviscolo disseminato da una cometa lungo la sua orbita. Le ben note
“lacrime di San Lorenzo” per esempio, sono meteore che compaiono ogni
anno intorno al 12 agosto, quando la Terra attraversa le polveri disseminate
lungo l'orbita della cometa Swift-Tuttle.
I corpi minori
Le meteoriti note vanno da 1 g a oltre
10 tonnellate; particelle più piccole
possono venire rallentate senza
bruciare e depositarsi sulla superficie
come polvere: sono chiamate
micrometeoriti. In totale, ogni giorno
cadono sulla Terra migliaia di
tonnellate
di
materiale
extraterrestre, ma in media solo da
5
a
10
meteoriti
vengono
rintracciate. Le meteoriti maggiori
raggiungono la superficie con impatti
violentissimi; a volte esplodono
rompendosi in numerosi frammenti o
vaporizzandosi. Nell'urto producono
nel suolo un cratere da impatto, che
può arrivare a molti kilometri di
diametro.
Vedi diapositiva 92
Meteor Crater in Arizona
Sezione sottile di una condrite.
Crateri da impatto prodotti da grossi corpi sono rari sulla Terra, ma solo perché
l'attività geologica ne cancella le tracce. Su molti altri corpi del Sistema solare,
come abbiamo visto, i segni del «bombardamento meteoritico» sono invece
vistosi e abbondantissimi.
La natura delle meteoriti è di grande importanza: si ritiene, infatti, che la
maggior parte di esse provenga dalla fascia degli asteroidi, dove violente
collisioni scagliano numerosi frammenti in ogni direzione, e quindi anche lungo
traiettorie che passano vicino alla Terra. In base alla composizione
mineralogica, le meteoriti si dividono in tre gruppi:
• lititi, simili a rocce;
• sideriti, metalliche (essenzialmente ferro in lega con nichel);
•e sideroliti, miscuglio, in varie proporzíoni, di materiale roccioso e metallico.
Alle lititi appartengono le cosiddette condriti (l'80% delle meteoriti raccolte),
contenenti tipiche sferette di aspetto vetroso, di dimensioni millimetriche,
chiamate còndrule, e derivate dal rapido raffreddamento di gocce fuse della
«polvere» della nebulosa da cui è nato il Sistema solare. Le condriti hanno in
maggior parte un'età di circa 4560 milioni di anni (l'età attribuita al Sistema
solare) e non mostrano tracce di trasformazioni, per cui sono il miglior
«campione» della composizione media del materiale da cui si è originato il
Sistema solare.
I corpi minori
Una delle tre nakhliti finora identificate. Origine marziana
Altri tipi di lititi sono invece meno antiche e simili a certe rocce
magmatiche terrestri e si sono formate per raffreddamento di
materiale che in precedenza aveva subito una totale fusione
sono in gran parte frammenti della parte esterna di qualche
asteroide o, in alcuni casi, di un corpo maggiore, come la Luna e
Marte (vedi approfondimento, Un messaggio da Marte, a pagina
42).
Le sideriti, infine, sono probabilmente frammenti del nucleo
metallico di piccoli asteroidi completamente frantumati da
qualche collisione.
I corpi minori La cometa Hale-Bopp, nel suo transito all’inizio del 1997. (G. Vanin)
Le comete, sono state definite
«palle di neve sporca», perché
sono costituite da gas e da
vapori
congelati
(acqua,
metano, ammoniaca, anidride
carbonica), misti a piccoli
frammenti di rocce e metalli.
Esse si muovono lungo orbite
molto allungate, molte delle
quali arrivano ben oltre
Nettuno.
Quando si avvicinano al Sole, le radiazioni fanno sublimare i gas congelati,
che trascinano con sé le polveri imprigionate nei ghiacci. Attorno ad un
nucleo, del diametro di alcuni kilometri, si forma un alone rarefatto e
luminoso, la chioma. Successivamente, in quasi tutte le comete si sviluppa la
coda, un velo brillante che si allunga per milioni di kilometri in senso opposto
alla direzione del Sole, provocato dal pulviscolo spinto dalla luce solare in
direzione radiale. Ad ogni passaggio intorno al Sole, quindi, una cometa perde
una parte di massa (anche molte tonnellate al secondo) e col tempo diviene
meno luminosa, fino ad estinguersi dopo un certo numero di passaggi intorno
al Sole.
I corpi minori
La più famosa tra le comete
con breve periodo di ritorno è
la cometa di Halley, le cui
apparizioni periodiche (ogni 76
anni), hanno avuto ormai
innumerevoli testimoni, tra i
quali anche Giotto: alla cometa
di Halley il pittore si ispirò
quando dipinse la stella
nell'affresco L'adorazione dei
Magi (a Padova).
Sono definite comete di corto
periodo quelle che hanno un
periodo orbitale inferiore a 200
anni
Le comete di lungo periodo
percorrono orbite con elevate
eccentricità e con periodi
compresi tra 200 e migliaia o
anche milioni di anni.
La cometa di Halley vista da vicino.
Nel corso del passaggio più recente della cometa di Halley
(1986) l'evento è stato seguito anche con cinque sonde
spaziali automatiche, che hanno intercettato l'orbita della
cometa. Una di queste, battezzata Giotto e lanciata
dall'ESA (European Space Agency), ha attraversato la
chioma di Halley, passando a soli 600 km circa dal nucleo,
e ha trasmesso a terra un 'enorme quantità di dati e di
immagini. Il nucleo della cometa ruota lentamente su se
stesso, mentre da più punti della parte di superficie rivolta
verso il Sole partono getti luminosi che si perdono nello
spazio
I corpi minori
Esame dei campioni della cometa Wild 2. (NASA / JSC)
La composizione sembra riferibile a un miscuglio di polveri che intrappolano
sostanze in grado di sublimare rapidamente quando il Sole riscalda la
superficie del nucleo formando così i getti luminosi. Ma oggi sappiamo di più.
La sonda spaziale Stardust, lanciata nel 1999, ha
attraversato la chioma della cometa Wild 2, raccogliendo campioni dei
granuli di polvere, che in seguito ha paracadutato sulla Terra.
I corpi minori
La sonda Rosetta all’inizio del suo lungo viaggio. (ESA)
Le comete provengono da zone a
temperature bassissime, eppure in
alcuni dei granuli sono stati trovati
minerali cristallizzati, il che vuol
dire che quei granuli sono passati
allo stato fuso (almeno 1500 °C)
prima
di
raffreddarsi
e
cristallizzarsi. Parte del materiale
delle comete si sarebbe formato,
quindi, in prossimità del Sole, per
essere poi scaraventato ai confini
del Sistema solare, dove si
sarebbe
mescolato
ai
più
abbondanti granuli freddi. La
sonda Rosetta, lanciata nel 2004,
scenderà tra 10 anni su una
cometa,
per
analizzarne
la
composizione e trasmetterla a
terra.
I corpi minori
Il Sistema solare avvolto dalla nube di Oort.
La fascia di Kuiper e la nube di Oort
Da dove provengono le comete? La ricostruzione
delle orbite delle comete a lungo periodo, con tempi
di percorrenza dell'orbita di oltre 200 anni, portò
l'astronomo olandese J. Oort a ipotizzare che tali corpi
siano distribuiti nello spazio a formare una specie di
alone sferico intorno al Sole e ai pianeti. La nube di
Oort, come oggi viene chiamata, inizia all'esterno del
sistema di pianeti e si estende per oltre 100.000 U.A.
(pari a 15000 miliardi di km o 1,5 a.l.), circa un terzo
della distanza del Sole dalle stelle più vicine.
In quello spazio, almeno 600 miliardi di nuclei ghiacciati si muovono lentamente su orbite
lontanissime dal Sole. Quei nuclei sono così debolmente legati al Sole che il passaggio ravvicinato di
una stella provoca delle perturbazioni nel loro moto, in grado di scagliarli verso lo spazio interstellare
o di farli deviare su orbite che li portano in prossimità del Sole e dei pianeti, dove si manifestano con
la tipica attività delle comete.
Ma esistono altre comete, quelle a breve periodo (meno di 200 anni) che provengono invece dalla
parte più interna della nube, nota come fascia di Kuiper (dal nome dell'astronomo che ne ipotizzò
la presenza). E una specie di ciambella schiacciata «disegnata» da almeno un miliardo di corpi che
orbitano ben al di là dei pianeti, fino a 150 miliardi di km, e che costituiscono un'estensione del
sistema planetario. Essi ruotano, cioè, in prossimità del medesimo piano ideale su cui si muovono le
orbite dei pianeti, mentre gli altri corpi della nube ruotano con piani variamente orientati.
Ma da dove viene il materiale della nube di Oort? A quelle distanze dal
Sole la materia originale era troppo rarefatta per condensarsi; si ritiene
invece che i nuclei si siano formati nella regione dei pianeti giganti, tra
Giove e Nettuno (dove dominano i ghiacci), che li avrebbero scagliati
verso la periferia del Sistema solare (meccanismo di fionda planetaria),
facendoli accumulare nel gigantesco «congelatore» della nube di Oort.
La nube non è stata osservata direttamente, ma ne deduciamo l'esistenza
dagli effetti: il continuo stillicidio di comete a lungo periodo che penetrano
nel sistema planetario. Il ritorno delle comete in prossimità del Sole è
qualcosa di più di un evento spettacolare. Esse possono entrare in
collisione con un pianeta ed è per tale via che la Terra, all'inizio della sua
evoluzione, ha ricevuto gran parte delle sue riserve di acqua superficiale;
non solo, ma le polveri cometarie sono ricche di composti organici, che
potrebbero avere svolto un ruolo importante nel dare origine ad ambienti
adatti allo sviluppo della vita su corpi con acqua in superficie.
Origine ed evoluzione del Sistema solare
Origine del Sistema solare, secondo l’ipotesi del testo.
A
B
C
D
E
F
Origine ed evoluzione del Sistema solare
Un’immagine che
ricostruisce le prime fasi del
Sistema solare. (Da Brown B. e
Morgan L., Il grande pianeta, De Agostini)
Tutti i frammenti cosmici che sono
arrivati in nostro possesso (dalle
meteoriti cadute sulla superficie
terrestre o prelevati dalle esplorazioni
spaziali) hanno sempre fornito una
stima dell'età massima del Sistema
solare di circa 4,6 mi-liardi di anni.
Questo valore dovrebbe collocare nel
tempo la formazione del Sistema
solare, che iniziò, quindi, almeno 10
miliardi di anni dopo il big bang.
Il Sistema solare si sviluppò in uno dei
bracci a spirale del-la Galassia, che a
quell'epoca aveva già assunto la
struttura attuale.
Origine ed evoluzione del Sistema solare
Sulla base dei dati raccolti sia dalla Terra sia nelle missioni di esplorazione spaziale, è
stata elaborata una teoria scientifica che spiega in modo soddisfacente l'origine del
Sistema solare nonché le varie fasi della sua evoluzione. Vediamo in sintesi quali sono
le tappe principali di questi processi.
Dalla nebulosa originaria ai “planetesimali”
Il Sistema solare, come si ricorderà, occupa un piccolo settore dei bracci a spirale della
Galassia. In base a quanto oggi sappiamo sull'origine delle stelle, fino a poco prima di
4,6 miliardi di anni fa in quel settore della Galassia doveva estendersi una grande
nebulosa, cioè una fredda e rarefatta nube di gas e polveri finissime . La composizione
chimica della nebulosa doveva comprendere idrogeno ed elio (diffusissimi in tutto
l'universo), oltre a una certa quantità di tutti gli altri elementi, che oggi ritroviamo nella
composizione di tutti i corpi del Sistema solare. Gli elementi pesanti si sarebbero
originati attraverso reazioni termonucleari in stelle più antiche del Sole e si sarebbero
successivamente aggiunti alla composizione originaria della nebulosa, quando quelle
stelle esplosero come supernove.
La nebulosa continuò ad arricchirsi di elementi pesanti finché una
causa sconosciuta (forse l'onda d'urto di una supernova vicina) ne
perturbò la struttura. A questo punto una vasta porzione della nube
collassò su se stessa, in un vortice gigantesco.
Nella progressiva contrazione e con il crescere della velocità di
rotazione, la nube assunse la forma di un disco appiattito, nel cui
centro si andò accrescendo un nucleo sempre più denso e caldo,
detto proto-Sole .
All'interno del disco, ripetute collisioni tra granuli di ghiacci e di
polveri portarono all'aggregazione di corpi via via maggiori, che, a loro
volta, si frantumarono ripetutamente per riaggregarsi poi in corpi di
dimensioni sempre più grandi: i planetesimali. Si accrebbe così, tra gli
altri, anche la massa del futuro pianeta Terra.
Il Sole si accende
La temperatura, causata dal riscaldamento progressivo del proto-Sole, svolse un
ruolo fondamentale nella successiva evoluzione dei pianeti in formazione.
Il calore proveniente dal proto-Sole impedì l'accumulo di ghiacci nei corpi più
vicini. I più interni, i futuri Mercurio, Venere, Terra e Marte, si accrebbero
soprattutto per l'aggregazione di rocce e metalli. A distanze maggiori, invece,
quantità sempre maggiori di ghiacci si aggiunsero ai materiali rocciosi. Con il
tempo, i protopianeti destinati a diventare Giove e Saturno raggiunsero una massa
sufficiente a catturare e attrarre giganteschi involucri di gas (idrogeno, elio,
ammoniaca e metano).
Con l'aumento della massa e del proprio campo gravitazionale, i singoli pianeti
ripulirono ognuno un ampio corridoio di spazio lungo la propria orbita. La maggior
parte delle polveri e dei gas, tuttavia, finì però per andare ad accrescere la massa
del proto-Sole. All'interno della stella in formazione, la continua contrazione fece
aumentare la temperatura fino al punto di innescare le prime reazioni nucleari.
Alla sua accensione, il Sole emise una gigantesca esplosione di energia che investì
l'intero sistema (un fenomeno osservato in una giovane stella della Costellazione del Toro).
Un vento stellare spazzò nello spazio interstellare i gas e le polveri residue, insieme a
buona parte della massa del Sole. I pianeti si erano ormai formati. Il gigantesco Giove, con
il suo campo gravitazionale, aveva impedito l'aggregazione di un altro corpo nello spazio
che lo separava da Marte: la fascia degli asteroidi rappresenterebbe quindi un «pianeta
mancato».
In quella lontana fase di evoluzione del Sistema solare, molti corpi isolati, anche di notevoli
dimensioni, vagavano nello spazio del sistema lungo orbite irregolari. Lentamente,
attraverso collisioni con i pianeti, lo spazio fu ripulito anche da questi oggetti. Molti
asteroidi, attratti dall'immenso Giove, furono costretti a seguire orbite che li portarono
all'interno del Sistema, dove si verificò una lunga fase di bombardamento cosmico.
Tracce di questa fase si conservano ancora oggi sotto forma di crateri da impatto sulle
superfici di molti pianeti e satelliti da lungo tempo inattivi, come la Luna; corpi
geologicamente attivi, come la Terra, hanno invece cancellato queste antiche tracce. Al
bombardamento parteciparono anche numerose comete, i cui impatti riportarono sui
pianeti interni l'acqua, che, con altri composti volatili, era stata «soffiata via» dal vento
stellare e «parcheggiata» nella nube di Oort come nuclei ghiacciati.
L'evoluzione dei pianeti di tipo terrestre
Nello stesso periodo iniziò l'evoluzione dei singoli pianeti. I pianeti più interni - da Mercurio a Marte
- per il calore generato dai numerosi impatti con gli asteroidi che cadevano sulla loro superficie e
per quello liberato nel loro interno dal decadimento di materiali radioattivi arrivarono ad una fusione
quasi totale. Nella massa fluida gli elementi più pesanti, soprattutto ferro e nichel, sprofondarono
verso il centro dei pianeti, dove formarono nuclei metallici ad alta densità, mentre gli elementi più
leggeri (come silicio, ossigeno, calcio, sodio, potassio) migrarono per «galleggiamento» verso la
parte esterna dei pianeti, dando origine a mantelli di ossidi e silicati.
Nella fase di fusione e surriscaldamento, cui seguirono un progressivo raffreddamento e una
graduale solidificazione (tuttora in atto), si liberarono anche grandi quantità di materiali gassosi, che
si unirono a quelli liberati dagli impatti di comete:
- Mercurio, il più caldo e di massa minore, non riuscì a trattenere nessuna traccia di gas o vapori.
Marte, più freddo e di massa un po' più grande, si ricoprì di un sottile involucro di anidride
carbonica.
Venere e Terra, in posizione intermedia e di massa maggiore, riuscirono a conservare un involucro
atmosferico formato dai gas più pesanti (anidride carbonica, azoto) e di acqua allo stato di vapore.
Queste atmosfere non saranno, però, quelle definitive, cioè quelle che osserviamo oggi, in quanto
nella successiva evoluzione di quei pianeti le loro condizioni subiranno altre modifiche, sia per
l'apporto di gas e vapori da parte dell'attività vulcanica, sia per l'intervento - nel caso della Terra dei processi biologici.
L'evoluzione dei pianeti giovani e dei corpi minori
Giove e Saturno, con il loro corteo di satelliti, ebbero una lunga evoluzione, ma con notevoli differenze. Come
si ricorderà, a causa delle maggiori distanze dal Sole le masse di Giove e Saturno raccolsero quantità assai
maggiori di frammenti di ghiacci, e aumentarono fino a essere in grado di trattenere gli elementi più leggeri. I
loro nuclei di rocce e di ghiacci si rivestirono così di enormi involucri ricchi di idrogeno ed elio, dense atmosfere
alla cui base, per l'enorme pressione, lo stesso idrogeno si è raccolto a formare anche oceani liquidi.
Evoluzione analoga ebbero anche Urano e Nettuno.
Anche la schiera dei satelliti sembra aver seguito, nelle linee generali, l'evoluzione dei pianeti cui sono legati e
attorno ai quali quasi tutti si sono formati già nelle fasi più antiche. Tale processo deve essersi verificato con un
meccanismo analogo a quello che ha portato alla formazione dell'intero sistema planetario, cioè per
aggregazione di materiali costretti a ruotare, dalla forza di attrazione, intorno ai corpi cresciuti più rapidamente.
Lontano dal Sole, dove il vento solare aveva spinto i materiali meno densi (soprattutto acqua), insieme ai pianeti
giganti si andavano aggregando nello spazio miliardi di nuclei ghiacciati. La forza dei pianeti giganti influenzava
le orbite di quei nuclei, attirandone alcuni sulla propria superficie e scagliandone altri verso l'esterno, dove si
accrebbe via via la fascia di Kuiper e dove cominciò a formarsi la nube di Oort.
Da oltre 4 miliardi di anni i pianeti sono in evoluzione. Le loro superfici, insieme alle tracce degli impatti
meteoritici, mostrano i segni di grandi movimenti delle loro croste, prodotti dall'attività di mantelli rocciosi e di
nuclei metallici che si liberano di grandi quantità di energia. E se i corpi più piccoli, come Mercurio e Luna,
sembrano ormai inerti, gli altri mostrano una grande vitalità, tra vulcani di fuoco e vulcani di ghiaccio.
Su uno di questi, la vita è giunta a riflettere su se stessa.
Origine ed evoluzione del Sistema solare
Una formazione di telescopi in orbita: ricostruzione del progetto Terrestrial
Planet Finder. (NASA)