Relazioni tra le attività vulcaniche e sismiche nell’area vesuviana As
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1 Il Vesuvio Il vulcano è situato a circa 10 km ad est‐sud‐est di Napoli e si è costituito a seguito di varie eruzioni successive. In origine, nell’Eocene, era un vulcano insulare nell’insenatura marina che giungeva fino agli Appennini Campani. Nel Pliocene si formò la terraferma per effetto di un forte sollevamento e delle stesse eruzioni; a quell’epoca si presume che il cono raggiungesse la ragguardevole altezza di 2.300 m. e che in seguito ad una tremenda eruzione preistorica si ridusse ad una quota quasi uguale all’attuale. La sua evoluzione può essere ripartita in quattro grandi fasi caratterizzate dalle lave eruttate che possiedono un’acidità decrescente: la prima intorno al Quaternario, epoca in cui si formò il basamento del vulcano, la seconda tra il 6.000 e il 3.000 a.C., la terza fino all’inizio dell’Era Volgare e l’ultima che ha avuto inizio con la catastrofica eruzione del 79 d.C., che distrusse e seppellì Pompei ed Ercolano. Oggi il Vesuvio è formato da due coni sovrapposti e cioè dal Vulcano vero e proprio (1.279 m.) e dal preesistente monte Somma (1.132 m.), posti in posizione eccentrica e con l’asse eruttivo spostato di circa 250 m. a sud‐ovest rispetto al precedente cono del Somma. Si hanno notizie di eruzioni nel 63 d.C., della già citata del 79, quella avvenuta intorno al 106, del 202, del 472, del 685, del 993, del 1036 e del 1139; successivamente seguì un lungo periodo di quiete fino al 16 dicembre del 16311 (vds. Annesso 1) a cui seguirono le eruzioni del 1660, 1682, 1689, 1694, 1707, 1767, 1779, 1794, 1805, 1822, 1855, 1861, 1872, 1895, 1906, 1929 e l’ultima del 1944. 2 Sismicità storica dell’area vesuviana e sorgenti sismiche locali La prima testimonianza certa di un evento sismico nell’area vesuviana si ha in epoca romana con Svetonio e risale al 37 d.C., in concomitanza della morte dell’imperatore Tiberio. Nella circostanza si apprende che a Capri risulta seriamente compromesso il faro tanto caro all’imperatore. Cronache successive citano il disastroso terremoto che nel 62 d.C.2 colpì le città di Pompei ed Ercolano e, in misura minore, la vicina Nocera e la stessa Napoli. Due anni più tardi si registrò un nuovo evento sismico nel momento in cui è certa la presenza dell’imperatore Nerone a Napoli. Poi, attraverso ricerche epigrafiche, archeologiche e storiche, è stato possibile appurare che si verificarono altre scosse telluriche nei primi anni Settanta e poco prima dell’eruzione del 79 d.C. Da questo quadro storico si desumono due aspetti che legavano il Vesuvio all’immaginario collettivo romano: la percezione che i terremoti erano connessi quasi sempre a fatti di cronaca e che i pompeiani non misero mai in relazione l’azione sismica con la presenza del vulcano, di cui a memoria d’uomo non si ricordava un evento eruttivo. 1
In questa occasione è documentato per la prima volta il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro. 2
È Seneca che ne riporta la notizia nelle sue Naturales Quaestiones in cui si legge che abbiamo saputo che Pompei, celebre città della Campania, verso cui una parte converge il lido di Sorrento e di Stabia e dall’altra quello di Ercolano, mentre dinnanzi la cinge un ameno seno marino, è stata devastata, insieme ai paesi adiacenti, da un forte terremoto. E per di più tale terremoto è avvenuto nei giorni invernali, quando, secondo le esperienze dei nostri maggiori, tali tempi sono esenti da questo pericolo. È avvenuto infatti ai 5 di febbraio, e ha desolato la Campania, che, del resto, non è mai sicura da simili disastri. Una parte di Ercolano è caduta e le case rimaste in piedi sono pericolanti; anche Nocera, se non rovinata, non è neppure salva. A Napoli sono cadute case private ed edifici pubblici. Moltissimi altri paesi ebbero a soffrire. 1
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Certamente in età augustea era noto che il Vesuvio fosse un vulcano, come citato dal geografo Strabone,3 ma come si è già accennato, sia Seneca, nelle Naturales Quaestiones, sia Plinio il Vecchio, nel Naturalis Historia, non riportano alcun riferimento a un eventuale nesso tra l’azione sismica e quella vulcanica del Vesuvio. Negli ultimi anni dell’impero romano le cronache riportano notizie di un’eruzione nel quinto secolo, ma non vi sono testimonianze relative ad attività sismiche correlate. Anche nel Medioevo, durante il quale si registrano diverse eruzioni, le cronache non riportano descrizioni di eventi sismici rilevanti, eccetto che per qualche tremore avvertito nella città di Napoli. Ciò conferma ancora una volta che nell’antichità non venivano messe in relazione le scosse telluriche con l’attività vulcanica del Vesuvio. Solo dal 1631 si hanno i primi riferimenti di eventi sismici correlati all’eruzione attraverso gli archivi ecclesiastici, tra cui quello delle ore 22.00 del 15 dicembre del 1631, con una magnitudo stimata pari a 4. Sembra che in quella circostanza furono messi in diretta relazione per la prima volta le scosse sismiche con l’attività eruttiva del giorno successivo. Da quell’episodio a oggi l’attività sismica legata al vulcano non sembra essere stata di rilevante importanza fatta eccezione per l’eruzione del 15 giugno del 1794, in cui venne distrutta la città di Torre del Greco, si registrarono danni in tutta l’area vesuviana e a Napoli si denunciò la rottura di diversi vetri. Fino all’eruzione del 1944 l’attività sismica si è manifestata con qualche centinaio di terremoti l’anno, concentrati nella caldera del vulcano a circa 6 km sotto il livello del mare. Con l’installazione della rete di sismografi, avvenuta nel 1970, si è iniziato a monitorare costantemente il vulcano e da allora sono stati registrati dei periodi di forte attività sismica di origine vulcanica tra il 1989 e il 1990 e tra il 1995 e il 1996, in cui l’episodio più significativo si verificò il 25 aprile 1996 con magnitudo 3.4. Nel 1999 è stato catalogato un altro sciame sismico con terremoto di punta il 9 ottobre il quale ebbe una magnitudo pari a 3,6. Le altre sorgenti sismiche che possono influenzare l’area vesuviana sono quelle appenniniche, quelle dell’isola d’Ischia e dei Campi Flegrei. La prima fonte è sicuramente quella più pericolosa perché da quella area geografica sono prevedibili terremoti con magnitudine più alte (vedi quello dell’Irpinia del 23 novembre 1980). Un così grande rischio sismico è dovuto alla tipologia di rocce presenti nella regione, particolarmente rigide, in grado di immagazzinare grandi quantitativi di energia e di offrire una scarsa attenuazione. Al contrario, la sorgente vulcanica dell’area vesuviana, caratterizzata da rocce con minore elasticità, non è in grado di accumulare grandi quantitativi di energia e ciò è confermato dal verificarsi di eventi più o meno continui con una bassa magnitudo. Da accurate analisi sulla sismicità storica generata dalle faglie appenniniche, risulta che è l’VIII grado della scala MCS quello massimo atteso a Napoli e provincia. Tra i terremoti generati dalla fascia appenninica si ricordano quelli con magnitudine maggiore all’VIII grado della scala MCS del dicembre 1456, del 5 giugno del 1688, dell’8 settembre 1694, del 26 luglio 1805, del 23 luglio 1930, del 21 agosto 1962 e il già citato episodio del 23 novembre 1980. Altra sorgente sismica è l’isola d’Ischia; produce scosse telluriche anche di notevole intensità e le fonti la indicano attiva fin dal 1228. 3
A proposito del vulcano Strabone riferisce che Il Vesuvio è una montagna rivestita di terra fertile e alla quale sembra che abbiano tagliato orizzontalmente la cima; codesta cima forma una pianura quasi piatta, totalmente sterile, del colore della cenere, nella quale si incontrano di tratto in tratto caverne piene di fenditure, formate da pietre annerite come se avessero subito l’azione del fuoco; di modo che si può congetturare che là vi fosse stato un vulcano il quale si è spento dopo aver consumato tutta la materia infiammabile che gli serviva da alimento. Forse è questa la causa cui dobbiamo attribuire la mirabile fertilità delle pendici della montagna. 2
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Tranne che per il terremoto del 1301 tutti gli altri casi noti si sono verificati senza un’attività eruttiva associata; comunque, è lecito pensare che le attività sismiche siano strettamente correlate all’attività vulcanica dell’isola. Dalla Tabella 1 è evidente che l’intensità sismica attesa nell’isola è molto elevata, fino al X grado. ANNO LOCALITA’ INTENSITA’ MASSIMA 1228 CASAMICCIOLA IX – X 1301 SETTORE ORIENTALE DELL’ISOLA VIII 1557 CAMPAGNANO VII – VIII 1762 CASAMICCIOLA VII 1767 SETTORE ORIENTALE DELL’ISOLA VII – VIII 1796 CASAMICCIOLA VIII 1828 CASAMICCIOLA VIII – IX 1834 CASAMICCIOLA IV 1841 CASAMICCIOLA VII 1852 CASAMICCIOLA IV 1863 CASAMICCIOLA VII 1867 CASAMICCIOLA VI – VII 1875 CASAMICCIOLA IV 1881 CASAMICCIOLA IX 1883 CASAMICCIOLA X Tabella 1 As
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L’ultima sorgente sismo‐genetica presente nella regione è quella relativa ai Campi Flegrei, anch’essa dovuta all’attività magmatica del sottosuolo. L’analisi delle attività bradisismiche in sito hanno evidenziato che in fasi discendenti i terremoti sono praticamente assenti, mentre in quelle ascendenti aumentano d’intensità e in numero. La massima intensità sismica registrata è stata del VII grado della scala MSC per un evento di magnitudo 4 localizzato sotto il centro storico di Pozzuoli. La massima magnitudine attesa è pari al valore 4.5 della scala Richter, con effetti dell’VIII grado in corrispondenza dell’epicentro. 3 Aspetti sismici nell’area vulcanica prima del 79 d.C. L’apparente quiete del Vesuvio durante il periodo romano fece sottovalutare la pericolosità sismica e vulcanica dell’area, per questo motivo le fonti sono avare di informazioni circa gli eventi tellurici registratisi nell’area. Recenti studi hanno permesso di stilare un elenco di terremoti verificatisi tra il 37 d.C. ed il 79 d.C. basandosi sia sulla ricerca storica sia sulla ricerca archeologica. Il primo evento sismico storicamente riportato è quello del 37 d.C., di cui se ne ha notizia in relazione alla morte dell’imperatore Tiberio; il secondo, quello disastroso del 62, quindi quello del 64 e infine quelli precedenti l’eruzione del 79 d.C. È lecito pensare che in quel periodo la zona vulcanica del Vesuvio fosse in una fase sismica molto attiva e, infatti, lo stesso Plinio il Giovane riferisce che la popolazione di Pompei non sembrava particolarmente spaventata dallo sciame sismico che precedette l’eruzione per via della consolidata abitudine a convivere con i terremoti. Da ricerche di carattere archeologico sono stati accertati ulteriori eventi sismici nell’area, non ben inquadrabili nel tempo, riportati in Figura 1 con colori più chiari. 3
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Figura 1 ‐ Attività sismica tra il 37 ed il 79 d.C. nell’area vesuviana in nero sono riportati gli eventi sismici storicamente riscontrati, in grigio quelli individuati archeologicamente. (cfr. A. MARTURANO, Sources of ground movement at Vesuvius before the AD 79 eruption: Evidence from contemporary accounts and archaeological studies) As
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Per quanto attiene i periodi che vanno dal 36 al 62 e dal 72 al 78 sono stati accertati eventi sismici frequenti, ma di breve magnitudo. È possibile anche che il terremoto del 78, di cui se ne ha notizia su base archeologica, fosse un primo segno premonitore di ciò che sarebbe successo l’anno successivo. Siamo certi della diffusa sismicità che ha interessato l’area dai ritrovamenti fatti nelle città di Pompei ed Ercolano, in cui sono evidenti più fasi di restauro e consolidamento non ascrivibili ad un unico evento sismico quale quello del 62. Andando ad analizzare la magnitudine degli eventi sismici emerge una particolarità relativa al sisma del 62 d.C., secondo la quale si ipotizza che la magnitudo dell’evento sia stata compresa tra 5.1 e 5.4, cosa abbastanza insolita per la sorgente sismo genetica del Vesuvio. Infatti, la magnitudo caratterizzante la sorgente sismica locale è pari a 4.5, quindi questo evento può essere considerato come un passaggio tra due distinti livelli di energia sismica. D’altronde, l’evento non può essere attribuito ad altre sorgenti quali i Capi Flegrei o l’isola d’Ischia poiché le cronache riferiscono che le città più colpite risultarono Pompei ed Ercolano mentre Napoli e Nocera lamentano meno danni, la qual cosa esclude anche una genesi appenninica. Un’analisi relativa alla presenza o meno di attività sismica a Pompei, per i periodi non menzionati nelle cronache, può essere effettuata basandosi sull’acquedotto cittadino. Come tutti gli acquedotti romani quello di Pompei collegava la sorgente con la città attraverso una cisterna (il Castellum Aquae) che all’epoca dell’eruzione non risulta essere più in uso. È noto che nell’area in concomitanza di eruzioni vulcaniche o per dinamiche magmatiche si verificarono episodi di bradisismo spesso accompagnati da terremoti. L’analisi dei vari interventi operati sull’acquedotto è strettamente legata, per ovvi motivi, a questo aspetto sismico poiché, dovendo rispettare rigidamente inclinazioni particolarmente piccole, il bradisismo e i terremoti alteravano facilmente il suo corretto funzionamento. Da analisi effettuate sui calcari presenti nelle condotte si evidenziano due diverse fonti da cui l’acquedotto aveva attinto in passato; passaggio questo probabilmente legato ad esigenze di adeguamento di quote idriche differenti modificata da attività bradisismiche della area su cui passava la condotta. È probabile che questo problema si fosse ripresentato nei mesi precedenti all’eruzione a 4
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causa degli stessi fenomeni. Infatti, è noto che la rete di distribuzione idrica della città era in riparazione al momento dell’eruzione, come dimostrano le numerose trincee ritrovate aperte e con due differenti linee di tubazione, una consumata (poco sotto il livello della strada) e una ancora inutilizzata (a profondità maggiore). È probabile che l’opera di rifacimento delle tubazioni cittadine fosse contemporanea alla risistemazione dell’acquedotto in vista di un suo ripristino a breve tempo, essendo noto, come già detto, che il Castellum Aquae non era in servizio al momento dell’eruzione. 4 Stratigrafia del sottosuolo del monte Vesuvio Il Vesuvio ha un cono sommitale con diametro di 450 m. e una profondità di 330 m.; l’attività vulcanica è di tipo misto, poiché si sono succedute eruzioni di tipo pliniano ed effusive. Una stratigrafia dettagliata del sottosuolo del Somma – Vesuvio fino ad una profondità di 2 km è stata realizzata a mezzo di un pozzo dalla società AGIP – ENEL tra il 1980 e il 1981; in Figura 2 si riporta tale stratigrafia in forma semplificata. Figura 2 Stratigrafia sintetica del pozzo Trecase (40° 47’ 07’’ N; 14° 26’ 40’’ E; quota p.c.=220 s .l .m) realizzato dall’Agip – Enel 5
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Figura 3 ‐ Sezione con stratigrafia semplificata del Somma Vesuvio (cfr. A. MARTURANO, Sources of ground movement at Vesuvius before the AD 79 eruption: Evidence from contemporary accounts and archaeological studies) ci
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Studi più mirati hanno individuato, in corrispondenza del cono ad una profondità compresa tra 8 – 10 km., una zona verosimilmente occupata da magma, mentre altrove il sedimento di roccia carbonatica si sovrappone al basamento di roccia cristallina ad una profondità di circa 12 km. È, inoltre, interessante notare che nel condotto magmatico a 2 km di profondità vi è uno strato rigido di lave indurite. 5 Relazioni tra l’attività vulcanica e sismica nell’area di Pompei e dell’Agro nocerino‐sarnese La vicinanza al Vesuvio espone Pompei e l’Agro a due sorgenti sismiche molto importanti: quella del Monte Vesuvio e quella appenninica. La sorgente più pericolosa, senza considerare il periodo di ritorno dell’evento, è quella legata al vulcano; infatti, per un sisma come quello del 62 d.C., con magnitudo compresa tra 5.1 e 5.4, l’intensità sismica avvertibile a Pompei è superiore all’VIII grado, mentre per terremoti con genesi sull’Appennino l’intensità massima può essere al più dell’VIII grado. D’altro canto è anche vero che un terremoto come quello del 62 d.C. non si è più ripetuto fino ad oggi, per cui lo si può considerare con un periodo di ritorno di almeno 2000 anni; mentre per i terremoti con genesi nella faglia appenninica il periodo di ritorno è molto più breve. Alla luce di questa considerazione possiamo dire che i terremoti distruttivi più frequenti sono dovuti alla sorgente appenninica. Ciò nonostante è importante studiare i terremoti generati dall’attività vulcanica poiché da essa dipendono i fenomeni di più piccola intensità (con magnitudo compresa tra 4 e 5) e con frequenza maggiore di quella degli eventi con genesi appenninica. L’ultimo episodio, avvenuto il 9 ottobre del 1999 con magnitudine pari a 3.6, ha destato molta paura presso la popolazione residente nelle vicinanze del Vesuvio. Mediante un questionario distribuito attraverso le scuole è stato possibile valutare fin dove e con quale intensità era stato vissuto l’evento. In Figura 4 è riportato un grafico con linee di flusso che vanno dal 75% al 15% corrispondente alla percentuale di popolazione che ha avvertito il terremoto. Con tali informazioni è stato possibile individuare una legge di decadimento dell’intensità sismica con posizione nulla corrispondente al cono del vulcano. La curva risultante ha messo in luce il fatto che i terremoti inferiori a magnitudine 3 possono essere avvertiti solo in prossimità del cono, mentre nei casi di magnitudine pari a 4.5 l’intensità è tale da causare alcuni danni anche nel centro di Napoli, distante 12 km. 6
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La magnitudo di 4.5 è di importanza rilevante poiché sembra essere quella più accreditata per le eruzioni del 79 e del 1631, le massime associate ad un evento vulcanico, mentre la magnitudine normalmente associata ad un evento eruttivo del Vesuvio è pari a 4. Solo l’evento del 62 d.C. ha superato magnitudine 5, ma come già detto si è trattato di un caso eccezionale As
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Figura 4 ‐ Mappa di avvertimento del sisma del 9 ottobre 1999 da parte della popolazione (cfr. E. CUBELLIS, G. LUONGO, A. MARTURANO, Seismic hazard assessment at Mt. Vesuvius:Maximum expected magnitude) Figura 5 Curva di attenuazione al variare della magnitudine per un evento con epicentro in corrispondenza del cono, il cerchio rappresenta Pompei, il triangolo Napoli (cfr. E. CUBELLIS, G. LUONGO, A. MARTURANO, Seismic hazard assessment at Mt. Vesuvius: Maximum expected magnitude) 7
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Quindi è possibile congetturare che l’attività sismica relativa alla città di Pompei e all’Agro nocerino‐
sarnese è strettamente legata all’attività vulcanica per quanto riguarda terremoti di magnitudo compresa tra 3 e 4.5 aventi brevi periodi di ritorno. Per ciò che concerne i terremoti con magnitudine superiore a 5 e con medio‐lunghi periodi di ritorno si deve fare riferimento alla faglia appenninica, capace di generare fenomeni più disastrosi di quello massimo legato all’attività vulcanica. 6 Pericolosità sismica attuale in Campania La pericolosità sismica attuale prevista per la nostra piana non è eccessivamente elevata e l’intensità prevista è pari a 8. Dalla Figura 6 si può notare che l’intensità massima sia dislocata in zone appenniniche, dove risiedono le faglie più pericolose, mentre diminuisce avvicinandosi alla costa. Figura 6 ‐ Mappa intensità sismica per la Campania (cfr. D. MOLIN, M. STUCCHI E G. VALENSISE, Massime intensità macrosismiche osservate nei comuni italiani, Elaborato per il Dipartimento della Protezione Civile, all’indirizzo internet http://emidius.mi.ingv.it/GNDT/IMAX/max_int_oss.html)
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Le zone sismiche si dividono in 4 tipologie: la 1 è quella più pericolosa, per lo più dislocata nella fascia appenninica meridionale e in alcune aree del nord – est; la zona 2 riguarda i comuni con possibilità di essere colpiti da terremoti abbastanza forti; la zona 3 è soggetta a scuotimenti modesti; mentre la zona 4 è la meno pericolosa. Figura 7 ‐ Particolare delle zone sismiche della Campania (fonte ISTITUTO NAZIONE DI GEOFISICA E VULCANOLOGIA, all’indirizzo internet http://zonesismiche.mi.ingv.it/class2004.htm GIANCARLO FORINO 8