Tumori e AIDS: prevenzione e terapia

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LE
GUIDE
T
umori e AIDS:
prevenzione
e terapia
Fondazione Federico Calabresi
T
umori e AIDS:
prevenzione
e terapia
Giuseppe D. Vultaggio
Umberto Tirelli
Oncologia Medica "A"
Centro di Riferimento
Oncologico - Aviano
INTRODUZIONE
S
ono passati circa vent’anni dalle
prime segnalazioni provenienti dal
Nord-America relative ad un quadro clinico
caratterizzato da un grave deficit immunologico e da patologie opportuniste di natura
infettiva o neoplastica.
Tale quadro, del tutto nuovo fino a quel
momento, sarebbe stato successivamente
denominato "Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita" (AIDS).
Nel giro di pochi anni la diffusione della
malattia ha assunto dimensioni planetarie e
costituisce attualmente un problema con cui
tutti i medici sono chiamati a confrontarsi.
L’OMS, infatti, stima in più di 36 milioni il
numero delle persone già infettate nel
Mondo alla fine del 2000 e in più di 10 milioni i casi di AIDS conclamato. In Italia, al
dicembre 2000, sono stati denunziati 47500
casi di AIDS, prevalentemente a carico di
soggetti tossicodipendenti.
Il dato che più preoccupa, però, riguarda
l’incidenza di nuovi casi che, da qualche
anno, mostra evidenti segnali di incremento.
3
IL VIRUS HIV
L’
AIDS è una malattia infettiva. Essa,
infatti, rappresenta il momento clinicamente evidente di una patologia la cui
storia inizia nell’organismo parecchi anni
prima, in seguito alla penetrazione di un
agente virale detto "Virus dell’Immunodeficienza Umana" (HIV) appartenente alla
famiglia dei Retrovirus e classificato, con i
due sottotipi HIV-1 e HIV-2, nella sottoclasse dei Lentivirus.
L’avvenuto contatto col Virus HIV può essere precocemente dimostrato con un Test
che, attraverso metodiche molto sensibili
(ELISA; W.BLOT), riesce a svelare la presenza di anticorpi specifici anti-HIV.
4
INFEZIONE
DA HIV E
SIEROPOSITIVITA’
S
i definisce sieropositivo il soggetto
infetto che non presenti segni e sintomi dell’infezione.
HIV è scarsamente resistente in ambiente
esterno e pertanto può trasmettersi da un
individuo all’altro solo attraverso il contatto
con fluidi corporei - sangue e secrezioni
genitali in special modo. La via di trasmissione dell’infezione, quindi, può esitare attraverso modalità "verticali" - come quella tra
madre e feto - o "orizzontali", in tal caso
costituita dai rapporti sessuali - naturali e
non - e da tutte quelle condizioni in cui un
soggetto sano entri a contatto con sangue
infetto (trasfusioni, incidenti professionali,
scambio di siringhe tra tossicodipendenti).
A prescindere dalla modalità di infezione,
una volta penetrato nell’organismo, il virus,
attraverso il sangue, raggiunge gli organi
bersaglio (Sistema Emolinfopoietico;
Sistema Nervoso Centrale) dove inizia a
replicarsi attivamente. Le cellule più colpite
da questa attività sono i Linfociti T helper
5
(detti brevemente "CD4") che costituiscono
gli elementi centrali del complesso processo
di modulazione della risposta immune cellulomediata. Il conseguente graduale depauperamento della riserva di CD4 porta - nel corso di
un processo che può rimanere asintomatico
per parecchi anni - a un generale indebolimento delle difese immunitarie. Ne consegue
una aumentata predisposizione dell’organismo all’azione di differenti agenti opportunisti
-di natura neoplastica o infettiva- che, successivamente, evolverà in quadri clinico-patologici caratteristici.
Da quel momento il sieropositivo diventa un
malato di AIDS.
6
HIV E AIDS
L
a suddivisione in Stadi dell’Infezione
da HIV è stata elaborata dagli esperti
del “Centre for Disease Control” (CDC) nel
1986. Tale classificazione, con le modifiche
successivamente apportate nel 1993, è quella
oggi più correntemente usata dalla Comunità
Scientifica Internazionale.
Tale successo è legato soprattutto alla sua
semplicità. Infatti, i parametri presi in considerazione sono solo due: lo status immunitario (conta dei CD4) e il Quadro Clinico (Tab
1;2) con specifico riferimento alla presenza di
alcune patologie MIV-correlate (Infezione
Sintomatica: Classe “B” sec CDC P3; AIDS
conclamato: Classe “C” sec CDC 93) o alla
loro assenza (Infezione Asintomatica: Classe
“A” sec CDC 93). La combinazione di questi
due dati consente al chimico di “ridisegnare”
in modo chiaro e riproducibile l’evoluzione
della malattia dallo stato di Assenza completa
di Sintomi a quello di AIDS conclamato attraverso quadri intermedi ma via via più impe7
gnativi e a prognosi gradualmente più grave.
Secondo questa classificazione, attualmente
lo stato di AIDS conclamato è correlabile a
tre sole patologie neoplastiche (Linfoma
non Hodgkin; Sarcoma di Kaposi;
Carcinoma della Cervice) ed effettivamente,
a tutt’oggi, non ci sono ancora dati sufficienti per mettere in discussione la validità di
questa associazione.
Non è detto, però, che le cose restino sempre così. L’introduzione delle nuove terapie
di combinazione (HAART) infatti, ha avuto
un impatto importante sulla sopravvivenza
di questi soggetti la cui spettanza di vita,
rispetto all’era pre-HAART, si è più che raddoppiata.
E’ quindi verosimile attendersi, nel corso
dei prossimi anni, un incremento dell’incidenza di altri tumori e, conseguentemente,
una modificazione dello spettro delle patologie HIV-correlate.
8
TERAPIA
DELL’INFEZIONE
DA HIV: L’HAART
B
isogna innanzitutto precisare che,
attualmente, non esistono farmaci in
grado di eradicare la malattia. Quelli a nostra
disposizione, infatti, consentono di eliminare
agevolmente la quota di Virus presente nel
sangue ma non quella ospitata all’interno di
organi (es.: Midollo Osseo) dove il Virus si
trova in forma "latente" e quindi al riparo
dall’azione dei farmaci stessi.
Ne consegue che l’obiettivo di un trattamento antivirale non può essere, attualmente, la
guarigione bensì solo il controllo
dell’Infezione e della sua evoluzione in AIDS.
I parametri che i clinici utilizzano per monitorare la terapia sono essenzialmente 2: la
conta dei CD4 (che indirettamente ci da una
valutazione dello stato delle difese immunitarie) e la dimostrazione diretta della presenza
di HIV nel sangue ("Viremia").
La terapia antiretrovirale muove i suoi primi
passi agli albori dell’infezione quando, nel
1987, veniva approvato per l’uso clinico il
primo farmaco anti-HIV, l’Azidovudina
(AZT).
9
Tale farmaco è il capostipite di una famiglia
di molecole - gli inibitori nucleosidici della
trascriptasi inversa (NRTI)- che ha come
suo target l’enzima responsabile della sintesi
del DNA virale. Altri farmaci della stessa classe successivamente sintetizzati sono la
Didanosina (ddI), la Zalcitabina (ddC) e la
Stavudina (d4T). La loro importanza è
soprattutto storica, visto che, per diverso
tempo, sono stati l’unico baluardo farmacologico contro l’Infezione; i loro limiti principali consistono nel poter solo ritardare la
progressione dell’infezione e di perdere di
efficacia nel corso degli anni. Attualmente
non vengono più utilizzati da soli ma solo
nel contesto di terapie di combinazione.
Epivir, Nevirapina, Abacavir, Sustiva rappresentano la seconda generazione dei farmaci anti-HIV. Essi hanno lo stesso target
degli NRTI ma una struttura molecolare
diversa e vengono pertanto denominati
"Inibitori Non Nucleosidici della
Trascrittasi Inversa (NNRTI)”.
Il loro uso, però, sia in mono- che dupliceterapia (di solito NRTI + NNRTI) si associa
frequentemente a fenomeni di resistenza
virale responsabili di fallimenti terapeutici e,
spesso, di progressiva evoluzione in AIDS
10
conclamato.
Un vero salto di qualità nella terapia antiretrovirale è stato possibile, invece, con l’introduzione di una classe di farmaci completamente nuova, gli Inibitori delle Proteasi (IP)
Crixivan, Ritonavir, Saquinavir,
Amprenavir -gli IP attualmente autorizzati
per il trattamento dell’Infezione da HIVhanno come bersaglio alcuni enzimi -noti
come Proteasi- la cui attività è quella di scindere, a partire da una grossa macromolecola
virale, le proteine necessarie alle funzioni
vitali di HIV.
L’acronimo HAART deriva dall’inglese
"Highly Active Anti Retroviral Therapy" e
comunemente si riferisce ad una terapia a 3
farmaci (di solito un IP e due Inibitori della
RT; oppure due NNRTI e un NRTI). Infatti,
l’uso combinato degli IP e degli Inibitori
della Trascriptasi -nucleosidici e non- in virtù
del forte e reciproco sinergismo, ha avuto un
impatto notevolissimo sulla prognosi dell’infezione da HIV: il prolungato abbassamento
della viremia a livelli non dosabili, il consistente recupero immunologico, una specifica
attività contro alcuni agenti patogeni opportunisti (es.: la Pneumocystis Carinii), unitamente ad alcuni effetti di tipo antineoplasti-
11
co, infatti, hanno significativamente modificato la spettanza di vita dei pazienti sieropositivi consentendo di trasformare una malattia rapidamente fatale in una ad andamento
cronico.
E questo non è un aspetto da sottovalutare
perché, se da un lato apre nuove prospettive per il paziente, dall’altro pone una serie
di problematiche inedite per il medico: si
pensi, per esempio, alla tossicità, specie a
lungo termine, di questi trattamenti o alla
possibile modificazione dello spettro delle
patologie associate all’infezione stessa.
12
SARCOMA DI
KAPOSI E
INFEZIONE DA HIV
’
L
incidenza del sarcoma di Kaposi
(SK) nella popolazione generale è
molto basso, con un tasso di incidenza attestato intorno allo 0.02%. Esso colpisce
infatti la popolazione anziana (variante
"classica") dove si manifesta con lesioni
localizzate agli arti inferiori e andamento
abbastanza torpido o soggetti sottoposti a
terapie immunosoppressive (variante
"iatrogena") dove, invece, si caratterizza
per la frequenza maggiore, un decorso più
aggressivo e un diffuso interessamento
muco-cutaneo.
Al contrario, nei soggetti con infezione da
HIV -soprattutto omosessuali- si sviluppa
una variante molto aggressiva di SK detta
"epidemica" o appunto "AIDS-correlata".
L’incidenza di SK è attualmente in calo (si
è passati da un 38% riscontrato nel 1983
all’attuale 8% del 1998) ma questo tumore,
dei 3 presi in considerazione dai CDC,
rimane sempre quello con la maggiore incidenza nell’ambito della popolazione HIV+.
13
Il ruolo di HIV nell’eziopatogenesi del tumore è duplice, in quanto legata sia ad un’attività oncogena propria del Virus che ai disordini immunitari da esso indotti.
Frequentemente è stata notata anche la coinfezione col Virus HHV8, un Herpes Virus
scoperto recentemente e dotato di attività
oncogena.
Clinicamente, il segno caratteristico del
Kaposi è la presenza, a livello delle superfici
cutanee o mucose, di una lesione piana,
rosea, di pochi millimetri ma con carattere
evolutivo verso formazioni papulose, rilevate - talora veri e propri noduli - di colorito
più scuro e di dimensioni variabili. E’
accompagnata da un caratteristico linfedema, duro, quasi sempre sproporzionato
rispetto all’estensione delle lesioni mucocutanee. Infrequentemente, vi è un interessamento a carico solamente dei linfonodi
(10-15%).
Agli inizi della epidemia di AIDS, quello
sopra descritto era il quadro clinico più frequente; il Kaposi, infatti, era spesso la prima
manifestazione dell’AIDS in soggetti con
modesta compromissione del sistema
immunitario e si caratterizzava per un
decorso cronico e indolente. Al contrario,
dopo l’avvento delle nuove terapie, il qua-
14
dro clinico di presentazione è drasticamente
mutato: insorgenza più tardiva in soggetti
significativamente immunodepressi e con un
più marcato coinvolgimento degli organi
profondi. Tra questi il distretto più frequentemente colpito è quello gastrointestinale e
la sintomatologia - variabile in rapporto all’estensione delle lesioni - è spesso aspecifica.
La gastroscopia resta lo strumento diagnostico più efficace. La localizzazione polmonare
è meno frequente ma quasi mai asintomatica: tosse, dispnea, dolore toracico sono i
segni che spingono più frequentemente ad
eseguire una radiografia che evidenzierà
quadri diversi che vanno dall’infiltrato reticolo-nodulare - il segno più classico - al nodulo
parenchimale e al versamento pleurico.
Comunque, studi autoptici hanno dimostrato una diffusione pressocchè ubiquitaria
delle lesioni da Kaposi (cervello, pancreas,
fegato, cuore, grossi vasi, etc.).
15
TERAPIA DEL
SARCOMA DI
KAPOSI IN HIV
L
a scelta del trattamento migliore dipende da diversi fattori. Infatti, oltre all’estensione della malattia - con particolare riguardo all’eventuale coinvolgimento viscerale vanno tenuti in conto la rapidità di progressione, la sintomaticità e le condizioni generali del
paziente, con particolare riguardo al suo status
immunitario.
Per quanto detto poc’anzi, il ruolo dei trattamenti locali è ormai limitato a poche indicazioni - prime fra tutte la palliazione - e si avvale
principalmente della radioterapia (RT) mentre
sempre meno frequentemente si ricorre a chemioterapia (CT) intralesionale o ad applicazioni
topiche con acido 9-CIS-Retinoico.
La malattia ad esclusiva localizzazione mucocutanea, lento-proliferante e limitata si avvale
della somministrazione dell’HAART, da sola o in
associazione con interferone-a (IFN-a).
In pazienti con malattia sintomatica, rapidamente progressiva, o con localizzazione viscerali esiste, invece, l’indicazione al trattamento
chemioterapico. I farmaci attivi sono diversi
16
(Adriamicina, Vinblastina, Vincristina,
Vinorelbina, Bleomicina, Taxolo) con risposte obiettive abbastanza variabili (30-70%)
anche se quasi sempre parziali. In via di sviluppo, ma non ancora disponibili se non
nell’ambito di specifici trials clinici, la
Talidomide (un farmaco ad attività antiangiogenica) e il TPN-470 (un inibitore delle
citochine infiammatorie).
17
LINFOMA
NON-HODGKIN E
INFEZIONE DA HIV
L’
associazione tra infezione da HIV e
Linfomi Non-Hodgkin (LNH) è stata
documentata fin dall’esordio della pandemia
di AIDS. Essi costituiscono la seconda più
frequente neoplasia HIV-correlata dopo il
Sarcoma di Kaposi; diversamente da questo,
hanno una distribuzione tra le varie classi di
rischio pressoché omogenea; l’età mediana
infine, si attesta intorno ai 29 anni, discostandosi significativamente da quella della
popolazione generale attestata intorno ai 65.
Nella storia naturale dell’infezione l’insorgenza dei LNH è un evento abbastanza tardivo e, in era pre-HAART, quasi sempre fatale.
Come vedremo però, l’avvento delle nuove
terapie di combinazione ha modificato
anche la storia del Linfoma HIV-correlato
incidendo significativamente sulla sua morbidità e sulla sua mortalità, che risulta infatti
attestata intorno al 12% e con un trend in
progressiva diminuzione.
Lo spettro clinico-patologico dei LNH è
estremamente eterogeneo. E’ possibile
18
comunque identificare alcune caratteristiche
comuni tra cui l’origine dai linfociti B, l’istologia ad alto grado di malignità e l’aggressività clinica e biologica.
La patogenesi dei LNH-HIV correlati è un
processo multi-fasico che coinvolge sia fattori predisponenti dell’ospite (diminuita
immunosorveglianza; aumentata stimolazione antigenica) che mutazioni a carico dei
cloni tumorali. Nel 30% dei casi, inoltre, esiste una co-infezione con EBV, Virus oncogeno che svolge un ruolo favorente nella patogenesi del Linfoma di Burkitt.
Le caratteristiche cliniche e la storia naturale
dei LNH HIV- correlati sono molto diversi da
quelle dei linfomi della popolazione generale. Essi si presentano frequentemente come
malattia diffusa con coinvolgimento di sedi
extra-linfonodali spesso inusuali (Sistema
Nervoso Centrale, Midollo Osseo,
App.Gastroenterico, Cuore, Uretere). Da
questo punto di vista possiamo distinguere,
anche per quel che riguarda le caratteristiche clinico-patologiche, LNH sistemici, a primitiva localizzazione cerebrale e linfomi
delle cavità sierose. Frequente, infine, il
19
riscontro di malattia "bulky", cioè di lesioni
superiori ai 10 cm di diametro.
Analogamente a quanto riscontrato nei soggetti sieronegativi l’insorgenza di un LNH
può essere preceduto da alcuni sintomi
sistemici quali il riscontro di un importante
calo ponderale in un arco di tempo relativamente breve, astenia di vario grado, profuse
sudorazioni notturne, una febbricola persistente e poco o nulla sensibile ai trattamenti
sintomatici o a terapie antibiotiche. La sintomatologia si completa poi con quella relativa alla specifica localizzazione anatomica. Le
adenopatie superficiali, quasi sempre presenti, mostrano spesso una tendenza alla
crescita rapida (malattia "bulky"). Tra i segni
bioumorali, infine, oltre all’attivazione di
parecchi degli indicatori di infiammazione,
c’è il frequente riscontro di un cospicuo
innalzamento della lattico deidrogenasi
(LDH). Infezioni opportunistiche e/o
Sarcoma di Kaposi, infine, possono associarsi alla malattia in qualunque momento del
suo decorso aggravandolo ulteriormente.
20
TERAPIA
DEL LINFOMA
NON HODGKIN
IN HIV
I
l trattamento dei LNH-HIV correlati pone
problematiche di non semplice risoluzione.
Da un lato, al pari di quelli della popolazione generale sarebbero necessari dei trattamenti antiblastici molto aggressivi.
Dall’altro, il quadro di pesante immunodepressione di questi soggetti non solo li
espone a diverse patologie opportuniste ma
limita anche l’impiego della stessa chemioterapia proprio in virtù degli effetti immunodepressivi che comporta.
Fatte salve queste premesse, in era preHAART l’approccio chemioterapico - traslato
essenzialmente dall’esperienza condotta
sulla popolazione generale - consisteva in
trattamenti con farmaci a dosi convenzionali
e dai modesti risultati clinici.
L’impatto della HAART è stato fondamentale: oltre che consentire un migliore e più
duraturo recupero immunologico, infatti, ha
permesso di ridurre significativamente l’incidenza delle infezioni opportunistiche postchemioterapia e di incrementare la durata
21
delle risposte alla terapia e la sopravvivenza stessa dei pazienti; recenti studi inoltre, hanno dimostrato che l’associazione
degli antivirali con certi farmaci antiblastici, pur essendo inevitabilmente gravata da
una certa tossicità, ha degli effetti sinergici, consente cioè di potenziare l’attività
antitumorale del chemioterapico stesso.
In termini di strategie terapeutiche quindi, l’HAART ha consentito di azzerare
quasi completamente il "gap" esistente
tra la malattia insorta nei soggetti sieropositivi e quella della popolazione generale.
Ciò, di fatto, ha così schiuso anche ai sieropositivi opportunità terapeutiche prima
impensabili: è ormai pratica comune,
infatti, l’utilizzo di farmaci più efficaci ma
anche più tossici o di trattamenti che prevedono somministrazioni continuate
nelle 24 ore di farmaci antiblastici, mentre
sono già in via di sperimentazione presso
Centri specializzati le prime chemioterapie ad alte dosi con re-infusione di cellule
staminali, considerati veri e propri trattamenti "avanzati" anche per i pazienti sieronegativi.
22
TUMORE DELLA
CERVICE UTERINA
E INFEZIONE
DA HIV
L’
associazione tra il tumore della cervice uterina e l’infezione da HIV è fortemente giustificata da una serie di riscontri
epidemiologici, patogenetici e clinici.
Dati recenti raccolti dai CDC americani
dimostrano che l’incidenza di carcinomi
cervicali è di 900:100.000 per le donne sieropositive e di 10:100.000 per la popolazione generale.
E’ stato dimostrato che il rischio di sviluppare neoplasie cervicali intraepiteliali (CIN),
cioè la fase iniziale del carcinoma cervicale,
è 5 volte maggiore in donne sieropositive
rispetto a sieronegative con medesimi fattori di rischio; sempre rispetto alla medesima
popolazione di riferimento, inoltre, le CIN
mostrerebbero, nelle donne HIV+, un comportamento più aggressivo in termini di
estensione, diffusione e tendenza alla multifocalità.
HIV, inoltre, sembrerebbe operare sinergicamente con HPV, un Papillomavirus fortemente implicato nello sviluppo di tutte
quelle alterazioni dell’epitelio cervicale che,
23
attraverso la CIN, evolvono poi nello sviluppo del carcinoma vero e proprio.
Sul ruolo della immunodepressione, infine,
i pareri sono discordi: si è visto infatti che il
rischio di sviluppare la neoplasia, a parità di
altre condizioni favorenti, è maggiore per
valori di CD4 < 200, ma è anche vero che,
dal punto di vista patogenetico, la trasformazione della cellula in senso neoplastico
è un evento che insorge in fasi precoci del
deficit immunitario.
24
TUMORE DELLA
CERVICE UTERINA
IN HIV E TERAPIA
I
l trattamento, sia delle lesioni iniziali che
del tumore vero e proprio, è tuttora controverso.
Esso infatti, analogamente alle sieronegative, consiste prevalentemente nella rimozione chirurgica delle lesioni ma è gravato, specialmente nelle sieropositive, da un alto
tasso di recidive.
Anche il ruolo dell’HAART non è ancora ben
definito. Dai primi dati disponibili, infatti,
sembra che la terapia antivirale non sia in
grado di ridurre la persistenza dell’infezione
da HPV e delle lesioni ad esso correlate.
Inoltre, diversamente da quelle dei LNH e
SK, l’incidenza delle neoplasie cervicali HIVcorrelate è in aumento anche dopo l’introduzione dell’HAART. Tutto ciò si potrebbe
spiegare considerando che l’oncogenesi del
tumore alla cervice è complessa, richiede
più agenti favorenti e, soprattutto, un arco
di tempo maggiore per compiersi.
Paradossalmente quindi, proprio L’HAART,
allungando il tempo di sopravvivenza di
25
queste pazienti, potrebbe anche esporli a un
aumentato rischio di tumore.
Il ruolo della prevenzione in questo contesto
si dimostra quindi cruciale.
Una corretta informazione sulle modalità di
contagio e sui comportamenti "a rischio"
resta sempre il fulcro di qualunque campagna preventiva sull’AIDS. Il medico -specialista e non- dovrebbe, da parte sua, indirizzare
tutte le donne che si presentino con lesioni
displastiche ricorrenti ed estese sia ad un
periodico screening citologico (PAP-Test)
che all’esecuzione del test HIV. Per le donne
sieropositive, in particolare, si è osservato
che più sensibile del PAP-TEST è l’indagine
colposcopica e ad essa quindi, a prescindere
dalla presenza di specifici fattori di rischio,
andrebbero annualmente sottoposte queste
pazienti: è sempre utile infatti, ribadire il
concetto che, se è vero che il tumore alla
cervice rimane ancor oggi gravato da una
cattiva prognosi -specialmente nel contesto
della malattia da HIV- le lesioni displastiche
o precancerose, al contrario, sono molto
sensibili ai trattamenti e solo se trascurate
evolvono nella neoplasia vera e propria.
26
ALTRI TUMORI
E INFEZIONI
DA HIV
L
a patologia tumorale in corso di
infezione da HIV è molto ampia ed eterogenea e, come dimostra la casistica accumulata in letteratura nel corso degli anni,
abbraccia pressoché completamente l’intero spettro delle neoplasie umane.
Pertanto, diversamente da quanto verificatosi per i 3 tumori diagnostici, si tratta di
un argomento ancora da caratterizzare,
tuttora in piena evoluzione e la cui trattazione esula dagli scopi di questo lavoro.
Per linee generali è importante sottolineare quanto segue: sono in costante aumento le segnalazioni e le casistiche relative a
Tumori non diagnostici per AIDS, relativi a
soggetti HIV; il fenomeno è pertanto
oggetto di studi epidemiologici nell’ottica
di una possibile ridefinizione - in ambito
CDC - della patologia diagnostica per
AIDS.
Dal punto di vista strettamente clinico, ciò
che caratterizza peculiarmente queste neoplasie è la atipicità della loro presentazio27
ne - che spesso ne complica, ritardandola, la
diagnosi- il decorso molto più aggressivo
rispetto alla popolazione generale e, infine,
la frequente insorgenza di patologie opportuniste che ne condizionano, spesso pesantemente, la prognosi.
Il Morbo di Hodgkin è il tumore non diagnostico riportato con maggior frequenza in statistiche sia americane che europee.
Il rischio di contrarlo è 8-10 volte superiore
per i sieropositivi rispetto alla popolazione
generale e infatti, è strettamente associato
ad un quadro di immunodepressione.
Istologicamente si presenta sempre con
varianti a prognosi più sfavorevole ed è quasi
sempre associato all’infezione da EBV.
Alla diagnosi, oltre il 70 % dei pazienti presentano segni sistemici e malattia in stadio
avanzato (III – IV) con frequente coinvolgimento viscerale. Diversamente dai LNH, infine, tende a manifestarsi in stadi più iniziali
dell’infezione.
Il trattamento è affidato a quei regimi già in
uso nella popolazione generale con esiti
controversi. Sembra comunque che l’uso
concomitante dell’HAART non aumenti significativamente la tossicità e ne migliori la prognosi riducendo l’insorgenza di infezioni
28
opportunistiche.
Il Carcinoma dell’Ano in corso di infezioni
da HIV mostra molte analogie con quello
della Cervice. Sia le lesioni precancerose
(Neoplasia Anale Intraepiteliale: AIN) che il
tumore vero e proprio sono fortemente
associate alla presenza di HPV e ad una marcata immunodeficienza HIV–correlata. Il
riscontro di AIN e di infezioni da HPV è
significativamente maggiore nei soggetti
HIV+ rispetto ad una popolazione di riferimento con analoghe caratteristiche demografiche.
Analogamente, l’incidenza del tumore è 40
volte più frequente nei soggetti omosessuali
maschi sieropositivi rispetto a omosessuali
sieronegativi.
Il trattamento della forma iniziale (AIN) è
costituito dalla ablazione chirurgica (elettro
cauterizzazione; laser- o crio-ablazione) ma
è gravata da una maggiore percentuale di
recidive.
Analogamente alla popolazione generale,
anche il trattamento delle forme più avanzate è costituito principalmente dalla rimozione chirurgica e può essere variamente associato a trattamenti chemio- o radioterapici.
Sebbene numerosi, i dati presenti in lettera29
tura non sono ancora sufficienti a supportare una specifica associazione tra rischio di
Carcinoma Polmonare e infezione da HIV.
Peraltro, i dati disponibili sembrerebbero
già evidenziare alcuni tratti caratteristici di
questo tumore nei soggetti HIV+.
Si tratta quasi sempre di adenocarcinomi
insorti in soggetti giovani o, comunque, con
età mediana più bassa di quella della popolazione generale; l’esposizione al fumo di
sigaretta viene riportato in più del 90 % dei
casi. Al momento della diagnosi, più del 70
% si presenta con malattia avanzata o inoperabile e il 55% già con metastasi a distanza;
ciò è anche dovuto al ritardo con cui spesso
viene posta la diagnosi stessa, essendo i sintomi di presentazione frequentemente
molto simili a quelli delle infezioni polmonari opportunistiche.
Per linee generali, quando l’infezione è
sotto controllo, i trattamenti da intraprendere sono pressoché uguali a quelli adottati
per la popolazione generale, ma la prognosi
resta ugualmente molto sfavorevole con una
mediana di sopravvivenza di 6 mesi e un
tasso di decessi, a 1 anno dalla diagnosi,
superiore al 90 %.
Dati recenti indicano un aumentato riscon30
tro di Tumori del Testicolo in una coorte di
sieropositivi omosessuali. A prescindere da
questa peculiarità epidemiologica, lo Studio
ha comunque dimostrato che la storia naturale di questo tumore, anche nel contesto
del sottogruppo HIV+, non è molto diversa
da quella della neoplasia insorta nella popolazione generale. In particolare, non sembra
avere un ruolo sfavorevole l’immunodepressione da HIV, mentre la tolleranza ai
trattamenti è simile a quella dei sieronegativi. L’unico fattore che influenzava negativamente la prognosi era lo Stadio dell’infezione sottostante ma ora l’HAART ha aperto
nuove prospettive a questi pazienti in quanto l’efficace controllo delle infezioni opportunistiche che essa garantisce potrebbe avvicinare la prognosi di questo tumore a quella
- più favorevole - della popolazione generale. Anche l’incidenza dei Tumori Cutanei è
in aumento nel sottogruppo HIV+.
I Basaliomi e i Carcinomi spinocellulari
sono localizzati frequentemente al tronco e,
tipicamente, sono superficiali, diffusi e multicentrici; la maggiore aggressività rispetto a
quelli della popolazione generale sembra
correlarsi soprattutto allo status di immunodeficienza ma non compromette l’esito dei
31
trattamenti (essenzialmente ablativi) anche
se ne condiziona una più frequente tendenza alla recidiva.
Discorso leggermente diverso va fatto, invece, per i Melanomi. Anche se in recente
aumento, la loro incidenza è ancora discretamente bassa nel contesto degli HIV+.
Diversamente dalla popolazione generale, è
infrequentemente dimostrata l’esposizione
alle radiazioni solari come fattore di rischio,
ma di contro, non è stato ancora ben chiarito se l’immunodepressione possa giocare
un ruolo favorente. Peculiare, invece, è il
riscontro, alla diagnosi, di malattia già metastatica con frequente interessamento linfonodale e un decorso clinico aggressivo che
poi porta spesso all’exitus. Come nella
popolazione generale, i trattamenti più efficaci sono quelli chirurgici mentre scarso è
l’impatto della chemioterapia. Aneddotici, e
quindi non valutabili, altri trattamenti quali
ormono- o immuno- terapia.
Diversamente dalla popolazione generale,
invece, il Tumore della Mammella nelle
donne sieropositive è un riscontro infrequente caratterizzato, nei pochi casi riportati, da un comportamento aggressivo con frequenti recidive e prognosi sfavorevole.
32
Sono anche segnalati, infine, tumori della
mammella maschile in soggetti omosessuali
che però, in precedenza, avevano praticato
trattamenti ormonali.
Il quadro fin qui descritto è relativo a una
situazione epidemiologica che però, soprattutto dopo il positivo impatto dell’HAART
sulla prognosi dell’infezione, è in costante
evoluzione.
Del resto, dall’esperienza condotta sui soggetti trapiantati, si sa che l’intervallo di
tempo che intercorre fra il trapianto dell’organo, l’inizio della terapia immunosoppressiva e lo sviluppo di tumori solidi è, mediamente, di circa 100 mesi e, quindi, molto
più lungo di quello necessario per lo sviluppo di un Sarcoma di Kaposi o di un LNH.
Pertanto, se ciò vale anche per l’immunodepressione da HIV, è prevedibile che anche il
numero dei tumori non diagnostici per
AIDS aumenterà col prolungamento della
sopravvivenza di questi soggetti e che, quindi, l’intero spettro di tali neoplasie potrà
essere radicalmente mutato nel corso dei
prossimi anni.
33
CONCLUSIONI
A
ttualmente, le neoplasie HIV-correlate sono, secondo la definizione dei CDC
americani (1993) il Sarcoma di Kaposi, il
Linfoma non-Hodgkin e il Carcinoma della
Cervice Uterina.
Di fatto, la patologia tumorale in corso di
AIDS è molto più ampia ed eterogenea e,
come dimostra la casistica accumulatasi in
letteratura nel corso degli ultimi anni, interessa pressocché completamente l’intero
spettro delle neoplasie umane.
In tale contesto anche l’HAART gioca - e giocherà sempre più negli anni a venire - un
ruolo non da poco: infatti, il benefico impatto che ha avuto sulla sopravvivenza dei
pazienti sieropositivi può paradossalmente
avere anche delle ricadute negative esponendoli all’azione tipicamente più a lungo
termine di svariati agenti patogeni (fumo,
alcol altri virus); è possibile quindi aspettarsi, nel corso dei prossimi anni, una modificazione dello spettro delle neoplasie HIVcorrelate, nel senso sia di una diminuzione
34
o stabilizzazione dell’incidenza di quelle
"classiche" che dell’incremento di altre neoplasie con tempi di latenza biologica maggiori e che, dal punto di vista clinico e prognostico, potrebbero assumere una connotazione precisa in virtù del sottostante quadro di immunedeficienza e/o dell’azione
diretta di HIV.
Un altro aspetto, che però potrà essere definito solo a partire dai prossimi anni, è quello degli effetti a lungo termine della HAART
stessa. Infatti, così come cominciano già a
delinearsi quadri clinici (soprattutto disordini del metabolismo lipidico e glucidico)
sicuramente HAART-correlabili, non è altresì
fuori luogo ipotizzare per questi farmaci
anche un rischio oncogeno.
Pertanto, malgrado i risultati più che incoraggianti finora conseguiti, la prevenzione
resta ad oggi il perno su cui impostare la
lotta contro l’AIDS e le neoplasie ad essa
correlate.
L’incremento di nuovi casi di infezione da
HIV registrato nel corso dell’ultimo biennio
anche in Italia deve costituire un severo
monito per la popolazione generale a non
abbassare la guardia e a non stancarsi di
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ribadire le modalità con cui l’infezione può
trasmettersi, e quelle, peraltro molto semplici, con cui si può evitare il contagio; particolare enfasi va poi posta nell’istruire le giovani generazioni ad evitare di esporsi a comportamenti "a rischio", con particolare riferimento al consumo degli stupefacenti di
nuova generazione e alle alterazioni comportamentali - aggressività sessuale, perdita
dei freni inibitori - che essi inducono.
Un’altra forma di prevenzione è, poi, quella
costituita dalla stessa terapia antivirale.
La disponibilità crescente di nuove molecole, di strumenti di monitoraggio dell’infezione sempre più affinati, di test che individuano con grande precisione il tipo di farmaco
più adatto in corso di fenomeni di resistenza alla terapia, ha permesso un notevole
salto di qualità nel trattamento dell’infezione ritardando di parecchi anni l’esordio
della malattia conclamata e delle neoplasie
ad essa correlate.
Ma tutto ciò è assolutamente inutile se, da
parte del paziente, non sia posta altrettanta
attenzione ai tempi della terapia, alla sua
posologia e alle modalità di assunzione della
stessa: è stato dimostrato infatti che, spesso,
il fallimento di una terapia o l’insorgenza di
36
fenomeni di resistenza virale sono da associare non all’inadeguatezza del farmaco nè
alla presenza di un ceppo particolarmente
virulento quanto, semplicemente, ad una
incompleta aderenza alla terapia da parte
del paziente. In merito a ciò, sarà utile ricordare che la prognosi di un paziente con
infezione da HIV e in particolare lo sviluppo
di AIDS e delle neoplasie ad esse correlate è
strettamente connessa all’efficacia dei trattamenti eseguiti.
D’altra parte, se agli albori della terapia antivirale i pochi farmaci allora disponibili riuscivano solo a ritardare la progressione dell’infezione, oggi le nuove terapie, anche se
non sono ancora in grado di eradicarla, consentono comunque molto spesso di risolvere dei quadri clinici AIDS-correlati. Pertanto,
dosare bene i trattamenti sfruttando appieno le potenzialità di ogni singolo farmaco
può, da un punto di vista strategico, rivelarsi
cruciale consentendo al paziente non solo
di incrementare la sua spettanza di vita ma,
potenzialmente, di accompagnarlo fino a
quel giorno -che ci si augura quanto mai
prossimo- in cui, finalmente, l’infezione da
HIV potrà dirsi definitivamente sconfitta.
37
APPENDICE
Tabella 1.
Segni di infezione sintomatica
(classe “B” secondo CDC 93)
Candidosi oro-faringea
Sintomi costituzionali (febbre superiore ai 38,5° e/o
diarrea persistenti per più di un mese)
Leucoplachia orale villosa
Herpes Zoster multidermatomerica o ricorrente
Porpora Trombocitopenica Idiopatica
Angiomatosi bacillare
Listeriosi
Neuropatia periferica
Candidosi vulvo-vaginale (persistente, frequente o
scarsamente responsiva a terapia)
Displasia cervicale (moderata o severa); Carcinoma in
situ della cervice uterina
Pelvic Inflammatory Disease (malattia infiammatoria
delle pelvi).
38
Tabella 2.
Condizioni definenti AIDS (classe “C” secondo CDC 93)
Candidosi di bronchi, trachea o polmoni
CANDIDOSI ESOFAGEA
CARCINOMA INVASIVO DELLA CERVICE UTERINA
Coccidioidomicosi, disseminata o extra-polmonare
Criptococcosi extra-polmonare
Criptosoridiosi intestinale cronica
(durata >1 mese)
Malattie da Citomegalovirus (CMV) eccetto localizzazioni epatica, splenica e linfonodale
Retinite da CMV (con perdita della vista)
Encefalopatia HIV-correlata (AIDS Dementia
Complex)
Herpes simplex: ulcera(e) cronica(che) di durata
>1 mese o bronchite, polmonite o esofagite
Istoplasmosi, disseminata o extra-polmonare
Isosporiasi intestinale cronica (durata >1 mese)
SARCOMA DI KAPOSI
LINFOMA DI BURKITT (O TERMINE EQUIVALENTE)
LINFOMA PRIMITIVO DEL CERVELLO
Mycobacterium avium complex o M. kansasii, disseminati o extra-polmonari
Mycobacterium tubercolosis, qualsiasi localizzazione
(polmonare o extra-polmonare)
Mycobacteria, altre specie o specie non identificate,
disseminate o extra-polmonari
Polmonite da Pneumocystis Carinii
Polmoniti batteriche ricorrenti
(2 o più episodi in un anno)
Leucoencefalite Multifocale Progressiva (PML)
Setticemia ricorrente da Salmonella
Toxoplasmosi cerebrale
Wasting syndrome dovuta ad HIV
39
40
B1
B2
B3
(B)
Infezione Sintomatica, condizioni non (A) - non (C)**
C1
C2
C3
(C)
Condizioni indicative
di AIDS
Questa tabella può essere facilmente interpretata. Si considerano tre categorie principali:
- categoria A: infezione asintomatica; infezione acuta; linfoadenopatia persistente generalizzata (LGP);
- categoria B: tutte le forme sintomatiche che non sono né A né C (vedi Tabella 1);
- categoria C: tutte le patologie indicatrici di AIDS (vedi Tabella 2).
Ciascuna può essere a sua volta suddivisa in tre sottogruppi in base al numero dei CD4/mmc.
Negli Stati Uniti, se i CD4 scendono a valori inferiori a 200/mmc, i pazienti, a prescindere da qualsiasi considerazione, sono
definiti come affetti da AIDS.
>500
> 200 < 500
<200
(cell/ mmc)
Categorie di CD4
(A)
Infezione acuta da HIV,
Infezione Asintomatica,
LGP
A1
A2
A3
CATEGORIE CLINICHE
Tabella 3. Sistema di classificazione per l’infezione da HIV in pazienti con età ≥ 13 anni, CDC 1993*. (Modificata)
Opuscoli pubblicati:
“Combattere il dolore per combattere senza il dolore”
E. Arcuri
“Consigli alimentari durante il trattamento oncologico”
M. Antimi, A. M. Vanni
“Radioterapia. Guida pratica per il paziente”
U. De Paula
“Quello che è importante sapere sul carcinoma del colon-retto”
G. Mustacchi, R. Ceccherini
“Ipertrofia prostatica benigna: guida per il paziente”
M. Lamartina, M. Rizzo, G. B. Ingargiola, M. Pavone Macaluso
“Trapianto di midollo osseo o di cellule staminali periferiche”
M. Vignetti, A. P. Iori
“La dieta nel paziente con insufficienza renale cronica”
B. Cianciaruso, A. Capuano, A. Nastasi
“Chemioterapia... se la conosci, non la temi”
T. Gamucci, S. De Marco
“Sopravvivere al cancro infantile. Tutto è bene quel che finisce bene”
J. E. W. M. Van Dongen - Melman
“Mieloma Multiplo”
A. Nozza, A. Santoro
“Neoplasie del colon-retto. Una terapia per ogni paziente”
G. Beretta, R. Labianca, A. Sobrero
“Occhio... alla bocca”
F. Cianfriglia, A. Lattanzi
“Occhio a quel neo che cresce!”
I. Stanganelli
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