LE GUIDE T umori e AIDS: prevenzione e terapia Fondazione Federico Calabresi T umori e AIDS: prevenzione e terapia Giuseppe D. Vultaggio Umberto Tirelli Oncologia Medica "A" Centro di Riferimento Oncologico - Aviano INTRODUZIONE S ono passati circa vent’anni dalle prime segnalazioni provenienti dal Nord-America relative ad un quadro clinico caratterizzato da un grave deficit immunologico e da patologie opportuniste di natura infettiva o neoplastica. Tale quadro, del tutto nuovo fino a quel momento, sarebbe stato successivamente denominato "Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita" (AIDS). Nel giro di pochi anni la diffusione della malattia ha assunto dimensioni planetarie e costituisce attualmente un problema con cui tutti i medici sono chiamati a confrontarsi. L’OMS, infatti, stima in più di 36 milioni il numero delle persone già infettate nel Mondo alla fine del 2000 e in più di 10 milioni i casi di AIDS conclamato. In Italia, al dicembre 2000, sono stati denunziati 47500 casi di AIDS, prevalentemente a carico di soggetti tossicodipendenti. Il dato che più preoccupa, però, riguarda l’incidenza di nuovi casi che, da qualche anno, mostra evidenti segnali di incremento. 3 IL VIRUS HIV L’ AIDS è una malattia infettiva. Essa, infatti, rappresenta il momento clinicamente evidente di una patologia la cui storia inizia nell’organismo parecchi anni prima, in seguito alla penetrazione di un agente virale detto "Virus dell’Immunodeficienza Umana" (HIV) appartenente alla famiglia dei Retrovirus e classificato, con i due sottotipi HIV-1 e HIV-2, nella sottoclasse dei Lentivirus. L’avvenuto contatto col Virus HIV può essere precocemente dimostrato con un Test che, attraverso metodiche molto sensibili (ELISA; W.BLOT), riesce a svelare la presenza di anticorpi specifici anti-HIV. 4 INFEZIONE DA HIV E SIEROPOSITIVITA’ S i definisce sieropositivo il soggetto infetto che non presenti segni e sintomi dell’infezione. HIV è scarsamente resistente in ambiente esterno e pertanto può trasmettersi da un individuo all’altro solo attraverso il contatto con fluidi corporei - sangue e secrezioni genitali in special modo. La via di trasmissione dell’infezione, quindi, può esitare attraverso modalità "verticali" - come quella tra madre e feto - o "orizzontali", in tal caso costituita dai rapporti sessuali - naturali e non - e da tutte quelle condizioni in cui un soggetto sano entri a contatto con sangue infetto (trasfusioni, incidenti professionali, scambio di siringhe tra tossicodipendenti). A prescindere dalla modalità di infezione, una volta penetrato nell’organismo, il virus, attraverso il sangue, raggiunge gli organi bersaglio (Sistema Emolinfopoietico; Sistema Nervoso Centrale) dove inizia a replicarsi attivamente. Le cellule più colpite da questa attività sono i Linfociti T helper 5 (detti brevemente "CD4") che costituiscono gli elementi centrali del complesso processo di modulazione della risposta immune cellulomediata. Il conseguente graduale depauperamento della riserva di CD4 porta - nel corso di un processo che può rimanere asintomatico per parecchi anni - a un generale indebolimento delle difese immunitarie. Ne consegue una aumentata predisposizione dell’organismo all’azione di differenti agenti opportunisti -di natura neoplastica o infettiva- che, successivamente, evolverà in quadri clinico-patologici caratteristici. Da quel momento il sieropositivo diventa un malato di AIDS. 6 HIV E AIDS L a suddivisione in Stadi dell’Infezione da HIV è stata elaborata dagli esperti del “Centre for Disease Control” (CDC) nel 1986. Tale classificazione, con le modifiche successivamente apportate nel 1993, è quella oggi più correntemente usata dalla Comunità Scientifica Internazionale. Tale successo è legato soprattutto alla sua semplicità. Infatti, i parametri presi in considerazione sono solo due: lo status immunitario (conta dei CD4) e il Quadro Clinico (Tab 1;2) con specifico riferimento alla presenza di alcune patologie MIV-correlate (Infezione Sintomatica: Classe “B” sec CDC P3; AIDS conclamato: Classe “C” sec CDC 93) o alla loro assenza (Infezione Asintomatica: Classe “A” sec CDC 93). La combinazione di questi due dati consente al chimico di “ridisegnare” in modo chiaro e riproducibile l’evoluzione della malattia dallo stato di Assenza completa di Sintomi a quello di AIDS conclamato attraverso quadri intermedi ma via via più impe7 gnativi e a prognosi gradualmente più grave. Secondo questa classificazione, attualmente lo stato di AIDS conclamato è correlabile a tre sole patologie neoplastiche (Linfoma non Hodgkin; Sarcoma di Kaposi; Carcinoma della Cervice) ed effettivamente, a tutt’oggi, non ci sono ancora dati sufficienti per mettere in discussione la validità di questa associazione. Non è detto, però, che le cose restino sempre così. L’introduzione delle nuove terapie di combinazione (HAART) infatti, ha avuto un impatto importante sulla sopravvivenza di questi soggetti la cui spettanza di vita, rispetto all’era pre-HAART, si è più che raddoppiata. E’ quindi verosimile attendersi, nel corso dei prossimi anni, un incremento dell’incidenza di altri tumori e, conseguentemente, una modificazione dello spettro delle patologie HIV-correlate. 8 TERAPIA DELL’INFEZIONE DA HIV: L’HAART B isogna innanzitutto precisare che, attualmente, non esistono farmaci in grado di eradicare la malattia. Quelli a nostra disposizione, infatti, consentono di eliminare agevolmente la quota di Virus presente nel sangue ma non quella ospitata all’interno di organi (es.: Midollo Osseo) dove il Virus si trova in forma "latente" e quindi al riparo dall’azione dei farmaci stessi. Ne consegue che l’obiettivo di un trattamento antivirale non può essere, attualmente, la guarigione bensì solo il controllo dell’Infezione e della sua evoluzione in AIDS. I parametri che i clinici utilizzano per monitorare la terapia sono essenzialmente 2: la conta dei CD4 (che indirettamente ci da una valutazione dello stato delle difese immunitarie) e la dimostrazione diretta della presenza di HIV nel sangue ("Viremia"). La terapia antiretrovirale muove i suoi primi passi agli albori dell’infezione quando, nel 1987, veniva approvato per l’uso clinico il primo farmaco anti-HIV, l’Azidovudina (AZT). 9 Tale farmaco è il capostipite di una famiglia di molecole - gli inibitori nucleosidici della trascriptasi inversa (NRTI)- che ha come suo target l’enzima responsabile della sintesi del DNA virale. Altri farmaci della stessa classe successivamente sintetizzati sono la Didanosina (ddI), la Zalcitabina (ddC) e la Stavudina (d4T). La loro importanza è soprattutto storica, visto che, per diverso tempo, sono stati l’unico baluardo farmacologico contro l’Infezione; i loro limiti principali consistono nel poter solo ritardare la progressione dell’infezione e di perdere di efficacia nel corso degli anni. Attualmente non vengono più utilizzati da soli ma solo nel contesto di terapie di combinazione. Epivir, Nevirapina, Abacavir, Sustiva rappresentano la seconda generazione dei farmaci anti-HIV. Essi hanno lo stesso target degli NRTI ma una struttura molecolare diversa e vengono pertanto denominati "Inibitori Non Nucleosidici della Trascrittasi Inversa (NNRTI)”. Il loro uso, però, sia in mono- che dupliceterapia (di solito NRTI + NNRTI) si associa frequentemente a fenomeni di resistenza virale responsabili di fallimenti terapeutici e, spesso, di progressiva evoluzione in AIDS 10 conclamato. Un vero salto di qualità nella terapia antiretrovirale è stato possibile, invece, con l’introduzione di una classe di farmaci completamente nuova, gli Inibitori delle Proteasi (IP) Crixivan, Ritonavir, Saquinavir, Amprenavir -gli IP attualmente autorizzati per il trattamento dell’Infezione da HIVhanno come bersaglio alcuni enzimi -noti come Proteasi- la cui attività è quella di scindere, a partire da una grossa macromolecola virale, le proteine necessarie alle funzioni vitali di HIV. L’acronimo HAART deriva dall’inglese "Highly Active Anti Retroviral Therapy" e comunemente si riferisce ad una terapia a 3 farmaci (di solito un IP e due Inibitori della RT; oppure due NNRTI e un NRTI). Infatti, l’uso combinato degli IP e degli Inibitori della Trascriptasi -nucleosidici e non- in virtù del forte e reciproco sinergismo, ha avuto un impatto notevolissimo sulla prognosi dell’infezione da HIV: il prolungato abbassamento della viremia a livelli non dosabili, il consistente recupero immunologico, una specifica attività contro alcuni agenti patogeni opportunisti (es.: la Pneumocystis Carinii), unitamente ad alcuni effetti di tipo antineoplasti- 11 co, infatti, hanno significativamente modificato la spettanza di vita dei pazienti sieropositivi consentendo di trasformare una malattia rapidamente fatale in una ad andamento cronico. E questo non è un aspetto da sottovalutare perché, se da un lato apre nuove prospettive per il paziente, dall’altro pone una serie di problematiche inedite per il medico: si pensi, per esempio, alla tossicità, specie a lungo termine, di questi trattamenti o alla possibile modificazione dello spettro delle patologie associate all’infezione stessa. 12 SARCOMA DI KAPOSI E INFEZIONE DA HIV ’ L incidenza del sarcoma di Kaposi (SK) nella popolazione generale è molto basso, con un tasso di incidenza attestato intorno allo 0.02%. Esso colpisce infatti la popolazione anziana (variante "classica") dove si manifesta con lesioni localizzate agli arti inferiori e andamento abbastanza torpido o soggetti sottoposti a terapie immunosoppressive (variante "iatrogena") dove, invece, si caratterizza per la frequenza maggiore, un decorso più aggressivo e un diffuso interessamento muco-cutaneo. Al contrario, nei soggetti con infezione da HIV -soprattutto omosessuali- si sviluppa una variante molto aggressiva di SK detta "epidemica" o appunto "AIDS-correlata". L’incidenza di SK è attualmente in calo (si è passati da un 38% riscontrato nel 1983 all’attuale 8% del 1998) ma questo tumore, dei 3 presi in considerazione dai CDC, rimane sempre quello con la maggiore incidenza nell’ambito della popolazione HIV+. 13 Il ruolo di HIV nell’eziopatogenesi del tumore è duplice, in quanto legata sia ad un’attività oncogena propria del Virus che ai disordini immunitari da esso indotti. Frequentemente è stata notata anche la coinfezione col Virus HHV8, un Herpes Virus scoperto recentemente e dotato di attività oncogena. Clinicamente, il segno caratteristico del Kaposi è la presenza, a livello delle superfici cutanee o mucose, di una lesione piana, rosea, di pochi millimetri ma con carattere evolutivo verso formazioni papulose, rilevate - talora veri e propri noduli - di colorito più scuro e di dimensioni variabili. E’ accompagnata da un caratteristico linfedema, duro, quasi sempre sproporzionato rispetto all’estensione delle lesioni mucocutanee. Infrequentemente, vi è un interessamento a carico solamente dei linfonodi (10-15%). Agli inizi della epidemia di AIDS, quello sopra descritto era il quadro clinico più frequente; il Kaposi, infatti, era spesso la prima manifestazione dell’AIDS in soggetti con modesta compromissione del sistema immunitario e si caratterizzava per un decorso cronico e indolente. Al contrario, dopo l’avvento delle nuove terapie, il qua- 14 dro clinico di presentazione è drasticamente mutato: insorgenza più tardiva in soggetti significativamente immunodepressi e con un più marcato coinvolgimento degli organi profondi. Tra questi il distretto più frequentemente colpito è quello gastrointestinale e la sintomatologia - variabile in rapporto all’estensione delle lesioni - è spesso aspecifica. La gastroscopia resta lo strumento diagnostico più efficace. La localizzazione polmonare è meno frequente ma quasi mai asintomatica: tosse, dispnea, dolore toracico sono i segni che spingono più frequentemente ad eseguire una radiografia che evidenzierà quadri diversi che vanno dall’infiltrato reticolo-nodulare - il segno più classico - al nodulo parenchimale e al versamento pleurico. Comunque, studi autoptici hanno dimostrato una diffusione pressocchè ubiquitaria delle lesioni da Kaposi (cervello, pancreas, fegato, cuore, grossi vasi, etc.). 15 TERAPIA DEL SARCOMA DI KAPOSI IN HIV L a scelta del trattamento migliore dipende da diversi fattori. Infatti, oltre all’estensione della malattia - con particolare riguardo all’eventuale coinvolgimento viscerale vanno tenuti in conto la rapidità di progressione, la sintomaticità e le condizioni generali del paziente, con particolare riguardo al suo status immunitario. Per quanto detto poc’anzi, il ruolo dei trattamenti locali è ormai limitato a poche indicazioni - prime fra tutte la palliazione - e si avvale principalmente della radioterapia (RT) mentre sempre meno frequentemente si ricorre a chemioterapia (CT) intralesionale o ad applicazioni topiche con acido 9-CIS-Retinoico. La malattia ad esclusiva localizzazione mucocutanea, lento-proliferante e limitata si avvale della somministrazione dell’HAART, da sola o in associazione con interferone-a (IFN-a). In pazienti con malattia sintomatica, rapidamente progressiva, o con localizzazione viscerali esiste, invece, l’indicazione al trattamento chemioterapico. I farmaci attivi sono diversi 16 (Adriamicina, Vinblastina, Vincristina, Vinorelbina, Bleomicina, Taxolo) con risposte obiettive abbastanza variabili (30-70%) anche se quasi sempre parziali. In via di sviluppo, ma non ancora disponibili se non nell’ambito di specifici trials clinici, la Talidomide (un farmaco ad attività antiangiogenica) e il TPN-470 (un inibitore delle citochine infiammatorie). 17 LINFOMA NON-HODGKIN E INFEZIONE DA HIV L’ associazione tra infezione da HIV e Linfomi Non-Hodgkin (LNH) è stata documentata fin dall’esordio della pandemia di AIDS. Essi costituiscono la seconda più frequente neoplasia HIV-correlata dopo il Sarcoma di Kaposi; diversamente da questo, hanno una distribuzione tra le varie classi di rischio pressoché omogenea; l’età mediana infine, si attesta intorno ai 29 anni, discostandosi significativamente da quella della popolazione generale attestata intorno ai 65. Nella storia naturale dell’infezione l’insorgenza dei LNH è un evento abbastanza tardivo e, in era pre-HAART, quasi sempre fatale. Come vedremo però, l’avvento delle nuove terapie di combinazione ha modificato anche la storia del Linfoma HIV-correlato incidendo significativamente sulla sua morbidità e sulla sua mortalità, che risulta infatti attestata intorno al 12% e con un trend in progressiva diminuzione. Lo spettro clinico-patologico dei LNH è estremamente eterogeneo. E’ possibile 18 comunque identificare alcune caratteristiche comuni tra cui l’origine dai linfociti B, l’istologia ad alto grado di malignità e l’aggressività clinica e biologica. La patogenesi dei LNH-HIV correlati è un processo multi-fasico che coinvolge sia fattori predisponenti dell’ospite (diminuita immunosorveglianza; aumentata stimolazione antigenica) che mutazioni a carico dei cloni tumorali. Nel 30% dei casi, inoltre, esiste una co-infezione con EBV, Virus oncogeno che svolge un ruolo favorente nella patogenesi del Linfoma di Burkitt. Le caratteristiche cliniche e la storia naturale dei LNH HIV- correlati sono molto diversi da quelle dei linfomi della popolazione generale. Essi si presentano frequentemente come malattia diffusa con coinvolgimento di sedi extra-linfonodali spesso inusuali (Sistema Nervoso Centrale, Midollo Osseo, App.Gastroenterico, Cuore, Uretere). Da questo punto di vista possiamo distinguere, anche per quel che riguarda le caratteristiche clinico-patologiche, LNH sistemici, a primitiva localizzazione cerebrale e linfomi delle cavità sierose. Frequente, infine, il 19 riscontro di malattia "bulky", cioè di lesioni superiori ai 10 cm di diametro. Analogamente a quanto riscontrato nei soggetti sieronegativi l’insorgenza di un LNH può essere preceduto da alcuni sintomi sistemici quali il riscontro di un importante calo ponderale in un arco di tempo relativamente breve, astenia di vario grado, profuse sudorazioni notturne, una febbricola persistente e poco o nulla sensibile ai trattamenti sintomatici o a terapie antibiotiche. La sintomatologia si completa poi con quella relativa alla specifica localizzazione anatomica. Le adenopatie superficiali, quasi sempre presenti, mostrano spesso una tendenza alla crescita rapida (malattia "bulky"). Tra i segni bioumorali, infine, oltre all’attivazione di parecchi degli indicatori di infiammazione, c’è il frequente riscontro di un cospicuo innalzamento della lattico deidrogenasi (LDH). Infezioni opportunistiche e/o Sarcoma di Kaposi, infine, possono associarsi alla malattia in qualunque momento del suo decorso aggravandolo ulteriormente. 20 TERAPIA DEL LINFOMA NON HODGKIN IN HIV I l trattamento dei LNH-HIV correlati pone problematiche di non semplice risoluzione. Da un lato, al pari di quelli della popolazione generale sarebbero necessari dei trattamenti antiblastici molto aggressivi. Dall’altro, il quadro di pesante immunodepressione di questi soggetti non solo li espone a diverse patologie opportuniste ma limita anche l’impiego della stessa chemioterapia proprio in virtù degli effetti immunodepressivi che comporta. Fatte salve queste premesse, in era preHAART l’approccio chemioterapico - traslato essenzialmente dall’esperienza condotta sulla popolazione generale - consisteva in trattamenti con farmaci a dosi convenzionali e dai modesti risultati clinici. L’impatto della HAART è stato fondamentale: oltre che consentire un migliore e più duraturo recupero immunologico, infatti, ha permesso di ridurre significativamente l’incidenza delle infezioni opportunistiche postchemioterapia e di incrementare la durata 21 delle risposte alla terapia e la sopravvivenza stessa dei pazienti; recenti studi inoltre, hanno dimostrato che l’associazione degli antivirali con certi farmaci antiblastici, pur essendo inevitabilmente gravata da una certa tossicità, ha degli effetti sinergici, consente cioè di potenziare l’attività antitumorale del chemioterapico stesso. In termini di strategie terapeutiche quindi, l’HAART ha consentito di azzerare quasi completamente il "gap" esistente tra la malattia insorta nei soggetti sieropositivi e quella della popolazione generale. Ciò, di fatto, ha così schiuso anche ai sieropositivi opportunità terapeutiche prima impensabili: è ormai pratica comune, infatti, l’utilizzo di farmaci più efficaci ma anche più tossici o di trattamenti che prevedono somministrazioni continuate nelle 24 ore di farmaci antiblastici, mentre sono già in via di sperimentazione presso Centri specializzati le prime chemioterapie ad alte dosi con re-infusione di cellule staminali, considerati veri e propri trattamenti "avanzati" anche per i pazienti sieronegativi. 22 TUMORE DELLA CERVICE UTERINA E INFEZIONE DA HIV L’ associazione tra il tumore della cervice uterina e l’infezione da HIV è fortemente giustificata da una serie di riscontri epidemiologici, patogenetici e clinici. Dati recenti raccolti dai CDC americani dimostrano che l’incidenza di carcinomi cervicali è di 900:100.000 per le donne sieropositive e di 10:100.000 per la popolazione generale. E’ stato dimostrato che il rischio di sviluppare neoplasie cervicali intraepiteliali (CIN), cioè la fase iniziale del carcinoma cervicale, è 5 volte maggiore in donne sieropositive rispetto a sieronegative con medesimi fattori di rischio; sempre rispetto alla medesima popolazione di riferimento, inoltre, le CIN mostrerebbero, nelle donne HIV+, un comportamento più aggressivo in termini di estensione, diffusione e tendenza alla multifocalità. HIV, inoltre, sembrerebbe operare sinergicamente con HPV, un Papillomavirus fortemente implicato nello sviluppo di tutte quelle alterazioni dell’epitelio cervicale che, 23 attraverso la CIN, evolvono poi nello sviluppo del carcinoma vero e proprio. Sul ruolo della immunodepressione, infine, i pareri sono discordi: si è visto infatti che il rischio di sviluppare la neoplasia, a parità di altre condizioni favorenti, è maggiore per valori di CD4 < 200, ma è anche vero che, dal punto di vista patogenetico, la trasformazione della cellula in senso neoplastico è un evento che insorge in fasi precoci del deficit immunitario. 24 TUMORE DELLA CERVICE UTERINA IN HIV E TERAPIA I l trattamento, sia delle lesioni iniziali che del tumore vero e proprio, è tuttora controverso. Esso infatti, analogamente alle sieronegative, consiste prevalentemente nella rimozione chirurgica delle lesioni ma è gravato, specialmente nelle sieropositive, da un alto tasso di recidive. Anche il ruolo dell’HAART non è ancora ben definito. Dai primi dati disponibili, infatti, sembra che la terapia antivirale non sia in grado di ridurre la persistenza dell’infezione da HPV e delle lesioni ad esso correlate. Inoltre, diversamente da quelle dei LNH e SK, l’incidenza delle neoplasie cervicali HIVcorrelate è in aumento anche dopo l’introduzione dell’HAART. Tutto ciò si potrebbe spiegare considerando che l’oncogenesi del tumore alla cervice è complessa, richiede più agenti favorenti e, soprattutto, un arco di tempo maggiore per compiersi. Paradossalmente quindi, proprio L’HAART, allungando il tempo di sopravvivenza di 25 queste pazienti, potrebbe anche esporli a un aumentato rischio di tumore. Il ruolo della prevenzione in questo contesto si dimostra quindi cruciale. Una corretta informazione sulle modalità di contagio e sui comportamenti "a rischio" resta sempre il fulcro di qualunque campagna preventiva sull’AIDS. Il medico -specialista e non- dovrebbe, da parte sua, indirizzare tutte le donne che si presentino con lesioni displastiche ricorrenti ed estese sia ad un periodico screening citologico (PAP-Test) che all’esecuzione del test HIV. Per le donne sieropositive, in particolare, si è osservato che più sensibile del PAP-TEST è l’indagine colposcopica e ad essa quindi, a prescindere dalla presenza di specifici fattori di rischio, andrebbero annualmente sottoposte queste pazienti: è sempre utile infatti, ribadire il concetto che, se è vero che il tumore alla cervice rimane ancor oggi gravato da una cattiva prognosi -specialmente nel contesto della malattia da HIV- le lesioni displastiche o precancerose, al contrario, sono molto sensibili ai trattamenti e solo se trascurate evolvono nella neoplasia vera e propria. 26 ALTRI TUMORI E INFEZIONI DA HIV L a patologia tumorale in corso di infezione da HIV è molto ampia ed eterogenea e, come dimostra la casistica accumulata in letteratura nel corso degli anni, abbraccia pressoché completamente l’intero spettro delle neoplasie umane. Pertanto, diversamente da quanto verificatosi per i 3 tumori diagnostici, si tratta di un argomento ancora da caratterizzare, tuttora in piena evoluzione e la cui trattazione esula dagli scopi di questo lavoro. Per linee generali è importante sottolineare quanto segue: sono in costante aumento le segnalazioni e le casistiche relative a Tumori non diagnostici per AIDS, relativi a soggetti HIV; il fenomeno è pertanto oggetto di studi epidemiologici nell’ottica di una possibile ridefinizione - in ambito CDC - della patologia diagnostica per AIDS. Dal punto di vista strettamente clinico, ciò che caratterizza peculiarmente queste neoplasie è la atipicità della loro presentazio27 ne - che spesso ne complica, ritardandola, la diagnosi- il decorso molto più aggressivo rispetto alla popolazione generale e, infine, la frequente insorgenza di patologie opportuniste che ne condizionano, spesso pesantemente, la prognosi. Il Morbo di Hodgkin è il tumore non diagnostico riportato con maggior frequenza in statistiche sia americane che europee. Il rischio di contrarlo è 8-10 volte superiore per i sieropositivi rispetto alla popolazione generale e infatti, è strettamente associato ad un quadro di immunodepressione. Istologicamente si presenta sempre con varianti a prognosi più sfavorevole ed è quasi sempre associato all’infezione da EBV. Alla diagnosi, oltre il 70 % dei pazienti presentano segni sistemici e malattia in stadio avanzato (III – IV) con frequente coinvolgimento viscerale. Diversamente dai LNH, infine, tende a manifestarsi in stadi più iniziali dell’infezione. Il trattamento è affidato a quei regimi già in uso nella popolazione generale con esiti controversi. Sembra comunque che l’uso concomitante dell’HAART non aumenti significativamente la tossicità e ne migliori la prognosi riducendo l’insorgenza di infezioni 28 opportunistiche. Il Carcinoma dell’Ano in corso di infezioni da HIV mostra molte analogie con quello della Cervice. Sia le lesioni precancerose (Neoplasia Anale Intraepiteliale: AIN) che il tumore vero e proprio sono fortemente associate alla presenza di HPV e ad una marcata immunodeficienza HIV–correlata. Il riscontro di AIN e di infezioni da HPV è significativamente maggiore nei soggetti HIV+ rispetto ad una popolazione di riferimento con analoghe caratteristiche demografiche. Analogamente, l’incidenza del tumore è 40 volte più frequente nei soggetti omosessuali maschi sieropositivi rispetto a omosessuali sieronegativi. Il trattamento della forma iniziale (AIN) è costituito dalla ablazione chirurgica (elettro cauterizzazione; laser- o crio-ablazione) ma è gravata da una maggiore percentuale di recidive. Analogamente alla popolazione generale, anche il trattamento delle forme più avanzate è costituito principalmente dalla rimozione chirurgica e può essere variamente associato a trattamenti chemio- o radioterapici. Sebbene numerosi, i dati presenti in lettera29 tura non sono ancora sufficienti a supportare una specifica associazione tra rischio di Carcinoma Polmonare e infezione da HIV. Peraltro, i dati disponibili sembrerebbero già evidenziare alcuni tratti caratteristici di questo tumore nei soggetti HIV+. Si tratta quasi sempre di adenocarcinomi insorti in soggetti giovani o, comunque, con età mediana più bassa di quella della popolazione generale; l’esposizione al fumo di sigaretta viene riportato in più del 90 % dei casi. Al momento della diagnosi, più del 70 % si presenta con malattia avanzata o inoperabile e il 55% già con metastasi a distanza; ciò è anche dovuto al ritardo con cui spesso viene posta la diagnosi stessa, essendo i sintomi di presentazione frequentemente molto simili a quelli delle infezioni polmonari opportunistiche. Per linee generali, quando l’infezione è sotto controllo, i trattamenti da intraprendere sono pressoché uguali a quelli adottati per la popolazione generale, ma la prognosi resta ugualmente molto sfavorevole con una mediana di sopravvivenza di 6 mesi e un tasso di decessi, a 1 anno dalla diagnosi, superiore al 90 %. Dati recenti indicano un aumentato riscon30 tro di Tumori del Testicolo in una coorte di sieropositivi omosessuali. A prescindere da questa peculiarità epidemiologica, lo Studio ha comunque dimostrato che la storia naturale di questo tumore, anche nel contesto del sottogruppo HIV+, non è molto diversa da quella della neoplasia insorta nella popolazione generale. In particolare, non sembra avere un ruolo sfavorevole l’immunodepressione da HIV, mentre la tolleranza ai trattamenti è simile a quella dei sieronegativi. L’unico fattore che influenzava negativamente la prognosi era lo Stadio dell’infezione sottostante ma ora l’HAART ha aperto nuove prospettive a questi pazienti in quanto l’efficace controllo delle infezioni opportunistiche che essa garantisce potrebbe avvicinare la prognosi di questo tumore a quella - più favorevole - della popolazione generale. Anche l’incidenza dei Tumori Cutanei è in aumento nel sottogruppo HIV+. I Basaliomi e i Carcinomi spinocellulari sono localizzati frequentemente al tronco e, tipicamente, sono superficiali, diffusi e multicentrici; la maggiore aggressività rispetto a quelli della popolazione generale sembra correlarsi soprattutto allo status di immunodeficienza ma non compromette l’esito dei 31 trattamenti (essenzialmente ablativi) anche se ne condiziona una più frequente tendenza alla recidiva. Discorso leggermente diverso va fatto, invece, per i Melanomi. Anche se in recente aumento, la loro incidenza è ancora discretamente bassa nel contesto degli HIV+. Diversamente dalla popolazione generale, è infrequentemente dimostrata l’esposizione alle radiazioni solari come fattore di rischio, ma di contro, non è stato ancora ben chiarito se l’immunodepressione possa giocare un ruolo favorente. Peculiare, invece, è il riscontro, alla diagnosi, di malattia già metastatica con frequente interessamento linfonodale e un decorso clinico aggressivo che poi porta spesso all’exitus. Come nella popolazione generale, i trattamenti più efficaci sono quelli chirurgici mentre scarso è l’impatto della chemioterapia. Aneddotici, e quindi non valutabili, altri trattamenti quali ormono- o immuno- terapia. Diversamente dalla popolazione generale, invece, il Tumore della Mammella nelle donne sieropositive è un riscontro infrequente caratterizzato, nei pochi casi riportati, da un comportamento aggressivo con frequenti recidive e prognosi sfavorevole. 32 Sono anche segnalati, infine, tumori della mammella maschile in soggetti omosessuali che però, in precedenza, avevano praticato trattamenti ormonali. Il quadro fin qui descritto è relativo a una situazione epidemiologica che però, soprattutto dopo il positivo impatto dell’HAART sulla prognosi dell’infezione, è in costante evoluzione. Del resto, dall’esperienza condotta sui soggetti trapiantati, si sa che l’intervallo di tempo che intercorre fra il trapianto dell’organo, l’inizio della terapia immunosoppressiva e lo sviluppo di tumori solidi è, mediamente, di circa 100 mesi e, quindi, molto più lungo di quello necessario per lo sviluppo di un Sarcoma di Kaposi o di un LNH. Pertanto, se ciò vale anche per l’immunodepressione da HIV, è prevedibile che anche il numero dei tumori non diagnostici per AIDS aumenterà col prolungamento della sopravvivenza di questi soggetti e che, quindi, l’intero spettro di tali neoplasie potrà essere radicalmente mutato nel corso dei prossimi anni. 33 CONCLUSIONI A ttualmente, le neoplasie HIV-correlate sono, secondo la definizione dei CDC americani (1993) il Sarcoma di Kaposi, il Linfoma non-Hodgkin e il Carcinoma della Cervice Uterina. Di fatto, la patologia tumorale in corso di AIDS è molto più ampia ed eterogenea e, come dimostra la casistica accumulatasi in letteratura nel corso degli ultimi anni, interessa pressocché completamente l’intero spettro delle neoplasie umane. In tale contesto anche l’HAART gioca - e giocherà sempre più negli anni a venire - un ruolo non da poco: infatti, il benefico impatto che ha avuto sulla sopravvivenza dei pazienti sieropositivi può paradossalmente avere anche delle ricadute negative esponendoli all’azione tipicamente più a lungo termine di svariati agenti patogeni (fumo, alcol altri virus); è possibile quindi aspettarsi, nel corso dei prossimi anni, una modificazione dello spettro delle neoplasie HIVcorrelate, nel senso sia di una diminuzione 34 o stabilizzazione dell’incidenza di quelle "classiche" che dell’incremento di altre neoplasie con tempi di latenza biologica maggiori e che, dal punto di vista clinico e prognostico, potrebbero assumere una connotazione precisa in virtù del sottostante quadro di immunedeficienza e/o dell’azione diretta di HIV. Un altro aspetto, che però potrà essere definito solo a partire dai prossimi anni, è quello degli effetti a lungo termine della HAART stessa. Infatti, così come cominciano già a delinearsi quadri clinici (soprattutto disordini del metabolismo lipidico e glucidico) sicuramente HAART-correlabili, non è altresì fuori luogo ipotizzare per questi farmaci anche un rischio oncogeno. Pertanto, malgrado i risultati più che incoraggianti finora conseguiti, la prevenzione resta ad oggi il perno su cui impostare la lotta contro l’AIDS e le neoplasie ad essa correlate. L’incremento di nuovi casi di infezione da HIV registrato nel corso dell’ultimo biennio anche in Italia deve costituire un severo monito per la popolazione generale a non abbassare la guardia e a non stancarsi di 35 ribadire le modalità con cui l’infezione può trasmettersi, e quelle, peraltro molto semplici, con cui si può evitare il contagio; particolare enfasi va poi posta nell’istruire le giovani generazioni ad evitare di esporsi a comportamenti "a rischio", con particolare riferimento al consumo degli stupefacenti di nuova generazione e alle alterazioni comportamentali - aggressività sessuale, perdita dei freni inibitori - che essi inducono. Un’altra forma di prevenzione è, poi, quella costituita dalla stessa terapia antivirale. La disponibilità crescente di nuove molecole, di strumenti di monitoraggio dell’infezione sempre più affinati, di test che individuano con grande precisione il tipo di farmaco più adatto in corso di fenomeni di resistenza alla terapia, ha permesso un notevole salto di qualità nel trattamento dell’infezione ritardando di parecchi anni l’esordio della malattia conclamata e delle neoplasie ad essa correlate. Ma tutto ciò è assolutamente inutile se, da parte del paziente, non sia posta altrettanta attenzione ai tempi della terapia, alla sua posologia e alle modalità di assunzione della stessa: è stato dimostrato infatti che, spesso, il fallimento di una terapia o l’insorgenza di 36 fenomeni di resistenza virale sono da associare non all’inadeguatezza del farmaco nè alla presenza di un ceppo particolarmente virulento quanto, semplicemente, ad una incompleta aderenza alla terapia da parte del paziente. In merito a ciò, sarà utile ricordare che la prognosi di un paziente con infezione da HIV e in particolare lo sviluppo di AIDS e delle neoplasie ad esse correlate è strettamente connessa all’efficacia dei trattamenti eseguiti. D’altra parte, se agli albori della terapia antivirale i pochi farmaci allora disponibili riuscivano solo a ritardare la progressione dell’infezione, oggi le nuove terapie, anche se non sono ancora in grado di eradicarla, consentono comunque molto spesso di risolvere dei quadri clinici AIDS-correlati. Pertanto, dosare bene i trattamenti sfruttando appieno le potenzialità di ogni singolo farmaco può, da un punto di vista strategico, rivelarsi cruciale consentendo al paziente non solo di incrementare la sua spettanza di vita ma, potenzialmente, di accompagnarlo fino a quel giorno -che ci si augura quanto mai prossimo- in cui, finalmente, l’infezione da HIV potrà dirsi definitivamente sconfitta. 37 APPENDICE Tabella 1. Segni di infezione sintomatica (classe “B” secondo CDC 93) Candidosi oro-faringea Sintomi costituzionali (febbre superiore ai 38,5° e/o diarrea persistenti per più di un mese) Leucoplachia orale villosa Herpes Zoster multidermatomerica o ricorrente Porpora Trombocitopenica Idiopatica Angiomatosi bacillare Listeriosi Neuropatia periferica Candidosi vulvo-vaginale (persistente, frequente o scarsamente responsiva a terapia) Displasia cervicale (moderata o severa); Carcinoma in situ della cervice uterina Pelvic Inflammatory Disease (malattia infiammatoria delle pelvi). 38 Tabella 2. Condizioni definenti AIDS (classe “C” secondo CDC 93) Candidosi di bronchi, trachea o polmoni CANDIDOSI ESOFAGEA CARCINOMA INVASIVO DELLA CERVICE UTERINA Coccidioidomicosi, disseminata o extra-polmonare Criptococcosi extra-polmonare Criptosoridiosi intestinale cronica (durata >1 mese) Malattie da Citomegalovirus (CMV) eccetto localizzazioni epatica, splenica e linfonodale Retinite da CMV (con perdita della vista) Encefalopatia HIV-correlata (AIDS Dementia Complex) Herpes simplex: ulcera(e) cronica(che) di durata >1 mese o bronchite, polmonite o esofagite Istoplasmosi, disseminata o extra-polmonare Isosporiasi intestinale cronica (durata >1 mese) SARCOMA DI KAPOSI LINFOMA DI BURKITT (O TERMINE EQUIVALENTE) LINFOMA PRIMITIVO DEL CERVELLO Mycobacterium avium complex o M. kansasii, disseminati o extra-polmonari Mycobacterium tubercolosis, qualsiasi localizzazione (polmonare o extra-polmonare) Mycobacteria, altre specie o specie non identificate, disseminate o extra-polmonari Polmonite da Pneumocystis Carinii Polmoniti batteriche ricorrenti (2 o più episodi in un anno) Leucoencefalite Multifocale Progressiva (PML) Setticemia ricorrente da Salmonella Toxoplasmosi cerebrale Wasting syndrome dovuta ad HIV 39 40 B1 B2 B3 (B) Infezione Sintomatica, condizioni non (A) - non (C)** C1 C2 C3 (C) Condizioni indicative di AIDS Questa tabella può essere facilmente interpretata. Si considerano tre categorie principali: - categoria A: infezione asintomatica; infezione acuta; linfoadenopatia persistente generalizzata (LGP); - categoria B: tutte le forme sintomatiche che non sono né A né C (vedi Tabella 1); - categoria C: tutte le patologie indicatrici di AIDS (vedi Tabella 2). Ciascuna può essere a sua volta suddivisa in tre sottogruppi in base al numero dei CD4/mmc. Negli Stati Uniti, se i CD4 scendono a valori inferiori a 200/mmc, i pazienti, a prescindere da qualsiasi considerazione, sono definiti come affetti da AIDS. >500 > 200 < 500 <200 (cell/ mmc) Categorie di CD4 (A) Infezione acuta da HIV, Infezione Asintomatica, LGP A1 A2 A3 CATEGORIE CLINICHE Tabella 3. Sistema di classificazione per l’infezione da HIV in pazienti con età ≥ 13 anni, CDC 1993*. (Modificata) Opuscoli pubblicati: “Combattere il dolore per combattere senza il dolore” E. Arcuri “Consigli alimentari durante il trattamento oncologico” M. Antimi, A. M. Vanni “Radioterapia. Guida pratica per il paziente” U. De Paula “Quello che è importante sapere sul carcinoma del colon-retto” G. Mustacchi, R. Ceccherini “Ipertrofia prostatica benigna: guida per il paziente” M. Lamartina, M. Rizzo, G. B. Ingargiola, M. Pavone Macaluso “Trapianto di midollo osseo o di cellule staminali periferiche” M. Vignetti, A. P. Iori “La dieta nel paziente con insufficienza renale cronica” B. Cianciaruso, A. Capuano, A. Nastasi “Chemioterapia... se la conosci, non la temi” T. Gamucci, S. De Marco “Sopravvivere al cancro infantile. Tutto è bene quel che finisce bene” J. E. W. M. Van Dongen - Melman “Mieloma Multiplo” A. Nozza, A. Santoro “Neoplasie del colon-retto. Una terapia per ogni paziente” G. Beretta, R. Labianca, A. Sobrero “Occhio... alla bocca” F. Cianfriglia, A. Lattanzi “Occhio a quel neo che cresce!” I. Stanganelli