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cibo&fede
Integratori
alimentari
importante della cultura islamica
ed ebraica agli italiani. E spalancano nuovi mercati alle aziende
produttrici.
HALAL E KOSHER
«Halal è una parola araba che significa “lecito” - spiega Hamid Distefano, responsabile di Halal Italia, ente
di certificazione di Milano -. Non si
applica solo all’ambito alimentare,
ma anche a tutte le azioni della vita
dei credenti. L’alimentazione rientra
di prescrizioni complesse che vin- infatti in un quadro più generale di
colano i fedeli a consumare solo etica religiosa in cui ogni azione
alcuni tipi di alimenti. Ed è proprio dev’essere compiuta in nome di
a garanzia dei credenti che, sia in Dio». Secondo la legge islamica, è
ambito islamico sia in quello ebrai- fatto divieto esplicito di consumare
quattro tipi di alimenti:
co, sono nati sistemi di
la carne di maiale, la
certificazione moderni «Halal significa
carne di animali leciti
di cibi e materie prime. “lecito” e si
Sistemi che, oltre a of- riferisce a tutte le che non siano stati macellati ritualmente, la
frire la certezza della azioni della vita.
carne di animali trovati
liceità del prodotto in L’alimentazione
morti di cui non si cocampo religioso, fan- rientra in un
nosca la causa del deno conoscere una parte quadro di etica
Le leggi religiose islamica ed ebraica vietano
di consumare alcuni cibi. Queste limitazioni
si sono trasformate, attraverso protocolli di
certificazione, in un veicolo di integrazione e
conoscenza reciproca. E in uno strumento per
aziende in cerca di nuovi mercati. Anche in Italia
Enrico Casale
U
n precetto religioso può diventare un veicolo di dialogo interculturale e interreligioso? Quella che, a una prima
e superficiale analisi, può apparire
come una contraddizione in termini è sempre più una realtà che ha
anche forti ricadute commerciali.
Stiamo parlando delle norme alimentari previste dalle leggi islamica ed ebraica. Sono un insieme
34 Popoli marzo 2014
religiosa in cui
ogni azione
è compiuta
in nome di Dio»
Un ragazzo ebreo
sceglie la mozzarella
kosher per la pizza.
cesso, il sangue. Per i musulmani è La Kasherut, l’insieme delle norme
inoltre haram (proibito) il consumo desunte dalla Torah e interpretate
dall’esegesi del Talmud, riguarda
di bevande fermentate.
Da qui è nata l’esigenza che la non solo la natura del cibo, ma
anche la sua preparamacellazione sia fatta
zione e, per i cibi anisecondo regole preci- «È ovvio che le
mali, anche la natura
se, ma anche che gli aziende abbiano
dell’animale stesso. I
alimenti in generale un tornaconto
controlli, effettuati da
non siano contaminati economico,
da prodotti haram. «È ma il commercio rabbini, sono minuziosi e si concentrano su
vero che nella nostra è un veicolo
ogni componente del
tradizione ci sono solo di conoscenza.
prodotto. «Prendiamo
alcuni prodotti espres- Lo è stato
ad esempio il pane samente vietati - conti- per secoli
osserva Davide Elia
nua Distefano -, ma in tra cristiani
Sciunnach, rabbino del
realtà il discorso è più e musulmani»
Tribunale rabbinico del
complesso e si estende a
Centro-Nord Italia e
una serie ampia di prorabbino capo di Parma
dotti». Il caso classico è
quello degli additivi (i cosiddetti “E -. Controlliamo non solo che la panumbers”). Ci sono alcuni additivi nificazione sia effettuata secondo
che hanno un’origine animale e l’a- un rigido protocollo, ma che le sinnimale deve quindi essere macella- gole materie prime utilizzate siano
to secondo le prescrizioni, altrimen- kosher, cioè rispettose delle normati anche l’additivo è haram. Ci sono tive. Per far questo si analizzano i
poi additivi che hanno un’origine processi di produzione delle materie
vietata. Per esempio il colorante prime (la farina per esempio) oppu«cocciniglia» (E120) che è ricavato re, se non si può fare, si utilizzano
da un insetto e, secondo la Sunna e prodotti controllati e certificati da
l’elaborazione dei sapienti, è vietato altri rabbini».
cibarsi di insetti.
Le regole alimentari ebraiche so- LA CERTIFICAZIONE
no per certi versi più complesse «A partire dagli anni Settanta, con
e articolate di quelle musulmane. la crescita del fenomeno migratorio
proveniente da Paesi musulmani
- ricorda Distefano -, è cresciuta l’esigenza di una certificazione
dei prodotti alimentari secondo i
precetti islamici. Molti musulmani
acquistavano la carne da macellerie
ebraiche (la macellazione rituale è
simile, ndr) altri hanno dato il via
a iniziative di certificazione estemporanee». Nel 2008 Camera di Commercio di Milano, Promos e Regione
Lombardia lanciano un progetto di
certificazione halal e per portarlo a
termine si rivolgono alla Coreis (Comunità religiosa islamica). Ne nasce
un primo disciplinare che, nel 2010,
viene poi sviluppato in sede nazionale in collaborazione con il governo. «I protocolli
- continua DiLa Kasherut,
stefano - sono
l’insieme delle
il frutto di un
norme desunte
lavoro scrudalla Torah e dal
poloso della
Talmud, riguarda
Coreis che ha
la natura del cibo,
approfondito la
la sua preparazione
questione halal
e, per i cibi
studiando le
animali, la natura
fonti religiose
dell’animale
originali e ha
stesso
fatto una comparazione con quanto capita nel
resto del mondo in merito alla certificazione halal». Così è nata Halal
REGOLE E GLOSSARIO
>Ebraismo
Animali puri - Gli animali terrestri le cui carni
possono essere consumate devono essere
ruminanti e avere lo zoccolo «spaccato». Gli
animali acquatici devono avere le pinne e le
squame. Il Talmud vieta di consumare pietanze preparate con pesce e carne insieme
o che mescolino carne e latte.
Formaggi - È consentito il consumo di
formaggi prodotti con caglio animale proveniente da bestia
macellata ritualmente. Il processo di cagliatura dev’essere
iniziato da un ebreo.
Kasherut - È l’insieme di regole alimentari della religione
ebraica stabilite dalla Torah e interpretate dall’esegesi nel
Talmud.
Kosher - Il cibo che risponde ai requisiti della Kasherut.
Macellazione rituale - La macellazione deve riguardare animali
sani e deve prevedere la riduzione della sofferenza animale e
la privazione immediata del sangue.
Verdure e frutta - È ammessa la consumazione delle verdure
e della frutta con alcune limitazioni legate al raccolto. Cura
particolare viene prestata nell’eliminazione di vermi e insetti
da verdura e frutta.
>Islamismo
Cibi halal - Nel Corano viene fatto divieto esplicito di consumare: la carne di maiale, la carne di animali che non siano stati
macellati ritualmente, la carne di animali trovati morti di cui
non si conosca la causa della morte, il sangue animale. Non
si possono bere le bevande fermentate.
Halal - È una parola araba che significa «lecito».
Macellazione rituale - Al momento della macellazione rituale
gli animali devono essere coscienti, l’uccisione dev’essere effettuata da un islamico che deve pronunciare
una formula rituale. L’animale, come nelle
tradizione kosher, dev’essere immediatamente privato del sangue.
Nelle foto, due marchi che attestanto la certificazione kosher (sopra) e halal (a marzo
destra).2014 Popoli 35
cibo&fede
L’insegna di un locale
che prepara kebab
con carne halal.
Italia, il cui marchio di certificazione è riconosciuto nei Paesi del Golfo
e in alcuni altri Paesi musulmani,
che poi, negli anni, è stato affiancato da altri enti di certificazione.
Le ricadute economiche non sono
secondarie. Molte aziende si fanno
certificare per riuscire a vendere
alla clientela musulmana in Italia
o a esportare sui mercati internazionali. «È ovvio che le aziende
abbiano un tornaconto economico
- continua Distefano -, ma sono
convinto che, oggi come in passato,
il commercio sia un veicolo di conoscenza. Lo è
stato per secoli
«La certificazione
tra cristiani e
ha un grande
musulmani».
valore in termini
In
ambito
di intercultura
ebraico, la cerperché dimostra
tificazione ha
che la religione
una storia più
non è estranea
antica. Già nel
al tessuto socio1929, Alessanculturale italiano,
dro da Fano,
ma ne è un
elemento positivo» allora rabbino
capo di Milano, certificava prodotti di aziende
famose come Lazzaroni, PolenghiLombardo, Galbani. Erano imprese che si facevano certificare per
esportare in Palestina. Questa attività, negli anni, non è venuta mai
meno. E oggi molte protagoniste del
Made in Italy seguono i protocolli
per il riconoscimento kosher: Balconi (merendine), Barilla (pasta),
Bonomelli (camomilla), De Cecco
(pasta), Ferrarelle (acqua), ecc. «La
certificazione kosher - spiega rav
Sciunnach - rappresenta un vantaggio economico per le aziende
che vogliono esportare in Paesi
nei quali esistono grandi comunità ebraiche: Israele, Stati Uniti,
Canada, Gran Bretagna, Francia,
ecc. Però è anche un modo per
far conoscere una cultura diversa
o, addirittura, più culture diverse
perché la cucina ebraica con i suoi
ingredienti e i suoi sapori è stata
molto influenzata dalle culture con
36 Popoli marzo 2014
le quali è venuta a contatto».
Sulla valenza culturale è d’accordo
anche Hamid Distefano: «La certificazione non è solo uno strumento
per adempiere ai precetti religiosi.
Ogni volta che le aziende agroalimentari ci chiedono di certificare
i loro prodotti, noi formiamo i
manager e le maestranze. In questo
modo li aiutiamo a comprendere
la nostra fede. Ciò ha profonde ricadute sull’atteggiamento che quei
dirigenti e quegli operai avranno
nei confronti dell’islam. In questo
senso, la certificazione ha un grande valore in termini di intercultura
e di dialogo tra civiltà perché,
tra l’altro, dimostra che la religione islamica non è un qualcosa di
estraneo al tessuto socioculturale
italiano, ma ne è un elemento positivo, propositivo e costruttivo». La
certificazione ha anche una valenza
interreligiosa. Negli anni infatti
certificatori musulmani ed ebrei si
sono ritrovati a lavorare fianco a
fianco nelle stesse aziende, sviluppando ottimi rapporti.
«Infine vorrei aggiungere un piccolo elemento che però non è secondario - conclude Distefano -:
i prodotti halal vengono venduti
anche nei supermercati. Questo fa sì
che i musulmani inizino a frequentare i luoghi del commercio al di
fuori dei circuiti, un po’ chiusi, dei
negozi specializzati. Anche questo è
un modo per aiutare l’integrazione e
far sì che musulmani e cristiani si
conoscano sempre meglio».
NESSUNA LIMITAZIONE PER I CRISTIANI
P
er i cristiani non esistono limitazioni di ordine religioso nell’alimentazione e
i fedeli possono quindi mangiare di tutto. Il superamento della legge ebraica
però non è stato immediato né senza dissidi all’interno delle prime comunità. A
testimoniarlo sono due episodi descritti negli Atti degli Apostoli: quello del centurione Cornelio (Atti 10) e quello del cosiddetto concilio di Gerusalemme (Atti 15).
Nel primo, rispondendo al centurione che aveva udito una voce del Cielo che gli
ordinava di uccidere e mangiare animali impuri, Pietro afferma: «Voi sapete che a
un giudeo non è lecito avere contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo». «La forte valenza
simbolica e antropologica delle regole alimentari - spiega Stefano Bittasi, gesuita
e biblista - è riletta negli Atti come ostacolo alla relazione tra gli esseri umani:
da qui la conclusione dell’apostolo che, dopo la visione, non si può considerare
alcun uomo come impuro».
Nel secondo episodio, gli apostoli e gli anziani sono chiamati a risolvere il problema delle relazioni all’interno della comunità cristiana tra chi proveniva dall’ebraismo e chi proveniva dal paganesimo e si trovava quindi in una condizione di
impurità, anche relativamente agli usi alimentari. Gli apostoli e gli anziani non
imposero nulla ai credenti provenienti dal paganesimo se non di astenersi dal
consumo di carni offerte agli idoli, di sangue e di animali soffocati. Nonostante
queste indicazioni i dissidi non cessarono. Paolo chiese allora ai fedeli di accettarsi l’un l’altro. Un atteggiamento che permetteva di cambiare prospettiva. «La
fede in Gesù - osserva ancora Bittasi - non richiedeva più determinati requisiti di
comportamento, ma l’adesione al suo messaggio di amore. Fu una rivoluzione
culturale di portata gigantesca».
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