Discorso per il conferimento della Cittadinanza onoraria della Città di Firenze a Mohamed ElBaradei Direttore Generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica Premio Nobel per la Pace nel 2005 Max Guderzo Università di Firenze Firenze, Palazzo Vecchio, 6 ottobre 2007 Signor Sindaco, Signor Direttore Generale, Autorità, Signore e Signori, il conferimento della cittadinanza onoraria della Città di Firenze a Mohamed ElBaradei, Direttore Generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Premio Nobel per la Pace nel 2005, segna un nuovo punto di luce nella parabola cosmopolita di questa città. Firenze e i fiorentini non potrebbero scegliere saluto migliore per il loro nuovo concittadino – egiziano di nascita, giurista di formazione, diplomatico e alto funzionario internazionale per vocazione e professione – dell’espressione araba che, nonostante la frequenza d’uso, ogni volta rinnova all’orecchio il suo splendido significato: salam aleikum, la pace sia con te. Salam, dunque, caro e illustre concittadino. Pace. In ebraico la parola è quasi uguale, come sapete: shalom. Mohamed ElBaradei lo sa meglio di tutti noi, perché dal 1974 al 1978 fu assistente speciale del ministro degli Esteri egiziano e partecipò alla delegazione che negoziò gli accordi con Israele. Oggi, impegnato per la pace su un fronte ancor più vasto, egli porta nel cuore quell’esperienza importante per la sua formazione politica e internazionalista, e ci ricordava ieri, nell’Aula Magna del Rettorato, la necessità di sciogliere i nodi del conflitto nel Medio Oriente come premessa indispensabile per la costruzione della pace su scala planetaria. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA, nell’acronimo inglese), di cui il Dottor El Baradei è Direttore Generale dal 1997 (dopo esserne stato consigliere legale dal 1984 al ’93 e poi Assistente del Direttore generale per le Relazioni internazionali fino al ’97) è un’organizzazione intergovernativa, a vocazione scientifica e tecnologica, parte della galassia delle Nazioni Unite, centrata sull’obiettivo della cooperazione nucleare a scopo pacifico. Ci ha accompagnati per mezzo secolo di storia: più di trent’anni di guerra fredda, fino al 1989; e ormai quasi venti di ricerca infruttuosa di un nuovo ordine internazionale, in cui tutti avevamo sperato dopo le angosce dell’equilibrio del terrore: un equilibrio ancorato alla deterrenza atomica, che aveva a suo modo garantito, tra una crisi e l’altra, alternando momenti di tensione e di distensione, la coesistenza – o se vogliamo il contenimento reciproco – tra le superpotenze statunitense e sovietica. 1 L’Agenzia era nata nel 1957, sulla spinta del governo di Washington. Il presidente Dwight Eisenhower, in un discorso rivolto all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite l’8 dicembre 1953, aveva descritto i rischi di una guerra nucleare e dichiarato: “Il mio Paese vuole costruire, non distruggere. Vuole accordi, non guerre”. Ma, dichiarò il presidente, gli Stati Uniti “vorrebbero cercare qualcosa di più della mera riduzione o eliminazione dei materiali atomici per usi militari”. Il punto, sostenne Eisenhower, era semmai mettere nelle mani di tutti gli scienziati e gli ingegneri quantità adeguate di materiale fissile da adattare “alle arti della pace”. Per raggiungere quell’obiettivo, i governi avrebbero dovuto versare contributi dalle loro riserve di uranio e materiale fissile a una “agenzia internazionale per l’energia atomica”; costruire, in altri termini, una “banca di materiale fissile”, il cui compito principale sarebbe stato destinare quel capitale “agli scopi pacifici del genere umano”: agricoltura, medicina, energia. Nell’ottobre 1956, 81 paesi approvarono la fondazione della nuova Agenzia. Lo Statuto delineò subito tre obiettivi fondamentali da raggiungere: verifiche nucleari; sicurezza; trasferimento di tecnologie. Nel 1963 si firmò un trattato per vietare certe forme di test nucleari e nel 1968 si concluse il Trattato di Non Proliferazione, che congelava – almeno sulla carta – a cinque i Paesi dotati di armi atomiche: Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Francia e Cina. Su questo sfondo, nei quattro decenni successivi il compito dell’Agenzia si è configurato progressivamente in tre punti fondamentali: (1) assistere i Paesi membri nella pianificazione e nell’uso della scienza e della tecnologia nucleare per scopi pacifici, facilitando il trasferimento di tale tecnologia e conoscenza ai Paesi in via di sviluppo; (2) sviluppare standard di sicurezza nucleare atti a raggiungere e mantenere alti livelli di controllo nelle applicazioni dell’energia nucleare, nella protezione della salute e dell’ambiente dalle radiazioni; (3) verificare, tramite un sistema di ispezioni, che gli Stati rispettino gli obblighi legati al Trattato di non proliferazione e ad altri accordi analoghi, usando materiale e impianti nucleari solo per scopi pacifici. Mohamed ElBaradei, come Direttore generale, ha saputo interpretare con saggezza, equilibrio e talento di leadership, negli ultimi dieci anni, questi tre compiti delicati affidati all’Agenzia. Li ha interpretati in un contesto internazionale che si modificava rapidamente, mentre si offuscava a fine secolo la speranza, suscitata dalla conclusione della guerra fredda e da alcuni risultati raggiunti a metà degli anni Novanta, nella fondazione di nuove e più stabili forme di sicurezza internazionale. Nel campo nucleare, il Trattato di Non proliferazione fu infatti reso permanente nel 1995 e l’anno successivo l’Assemblea generale dell’ONU approvò e aprì alla firma di tutti gli Stati membri un Trattato per la totale messa al bando degli esperimenti nucleari. Di conserva, l’Agenzia ha assunto funzioni più ampie, anche in relazione alla verifica dell’uso pacifico di materiali nucleari derivanti dallo smantellamento delle armi, alla determinazione dei rischi collegati alla dispersione di scorie nucleari nell’ambiente, o alla verifica dei livelli di sicurezza in luoghi già utilizzati per test nucleari. Le speranze suscitate dal riavvio di quelle trattative, tuttavia, non hanno finora trovato compimento. L’Agenzia e il suo Direttore generale ricevettero il Nobel per la pace, nel 2005, in riconoscimento degli sforzi profusi “per prevenire l’impiego dell’energia nucleare a scopi militari e per garantire che l’energia nucleare a scopi pacifici sia impiegata nel modo più sicuro possibile”. Una motivazione giustamente sobria, che vela appena l’impegno straordinario profuso dal Direttore 2 generale per il raggiungimento dei due obiettivi definiti dalla giuria. Tale impegno ha trovato espressione particolare nella ricerca costante di una definizione più completa e innovativa di sicurezza, che travalichi il concetto tradizionale di sicurezza nazionale e punti alla creazione di un contesto multilaterale di controllo della non proliferazione, tale da garantire in primis la sicurezza individuale dei cittadini. Mohamed ElBaradei ha sottolineato con grande chiarezza, in Università, il fatto che le minacce nucleari sono divenute oggi più pericolose e complesse che in passato: commerci illeciti di tecnologia nucleare, programmi clandestini allestiti da alcuni Stati, interessi di gruppi estremistici rispetto all’acquisizione di armi nucleari, maggiori difficoltà nel controllo del materiale nucleare e della sua produzione, arsenali di nove Paesi che ancora, complessivamente, contano 27 000 testate nucleari. Quattro le cure necessarie: (1) sviluppare un approccio più efficace per il contenimento delle minacce di proliferazione nucleare; (2) tenere sotto controllo le riserve di materiale nucleare esistenti e stringere i controlli sul trasferimento e sulla produzione del materiale nucleare: vero punto chiave, questo, per prevenire la produzione di ulteriori armi nucleari; (3) rafforzare l’autorità e la capacità dell’Agenzia nei controlli di verifica, tramite adeguati strumenti legali, finanziari e tecnologici; (4) ma soprattutto, ha affermato ieri il Dottor ElBaradei, occorre dare al disarmo nucleare tutta l’importanza e la priorità che esso merita, in precisa attuazione del sesto articolo del Trattato di Non proliferazione del 1968. In controtendenza rispetto a quanto sta accadendo in questi anni, bisognerebbe concentrare gli sforzi multilaterali della comunità internazionale per l’attuazione del Trattato per il bando completo dei Test nucleari, il Comprehensive Test Ban Treaty, e avviare i negoziati per un Trattato che bandisca la produzione dei materiali fissili per la costruzione di armamenti, il Fissile Material Cut-off Treaty. In sostanza, si tratta di togliere legittimità agli armamenti nucleari per sviluppare un nuovo paradigma di sicurezza, non più basato su forme illusorie di deterrenza. Occorre un cambiamento totale di mentalità, come ha sostenuto ieri Mohamed ElBaradei. Il sistema di sicurezza internazionale non va più concepito come un sistema a somma zero, se io vinco tu perdi e viceversa; deve divenire più equo, inclusivo ed efficace. Efficace significa dotato di meccanismi efficaci di correzione dei conflitti, soprattutto di quelli più radicati e difficili, come nel Medio Oriente. Un sistema centrato sulla sicurezza umana e “sulla libertà e dignità della persona”. Concludeva ieri il Direttore generale la sua lezione magistrale: “Un mondo in cui ogni individuo vive nella libertà e nella dignità è un mondo in pace”. Sono affermazioni forti, che integrano e coronano altre dichiarazioni rese in passato da ElBaradei alla stampa, nelle Conferenze annuali dell’Agenzia e in altre occasioni pubbliche. Il mese scorso, in occasione della 51° Conferenza generale, introducendo il Forum scientifico, dal titolo significativo: “Le sfide globali e lo sviluppo dell’energia atomica: i prossimi 25 anni”, il Direttore Generale passava in rassegna i compiti fondamentali dell’Agenzia e notava come la ripresa degli sforzi per il disarmo nucleare sia destinata ad aumentare il carico di responsabilità a essa affidate. Non per caso egli ha di recente disposto la stesura di un rapporto particolareggiato sui traguardi che si profilano per la IAEA nei prossimi dieci anni, dal titolo “20/20” con riferimento all’anno 2020, sul quale dovrebbero concentrarsi le previsioni degli esperti chiamati dal Segretariato. 3 Chiudendo le dichiarazioni rese alla Conferenza generale, il Dott. ElBaradei sottolineava in particolare la necessità di “immaginare un nuovo schema per l’uso dell’energia nucleare”, che includa, tra l’altro, il riconoscimento del collegamento tra la non proliferazione e il disarmo, e quindi la necessità di un progresso concreto e rapido verso il disarmo nucleare, mediante “forti tagli negli arsenali esistenti, l’abbassamento dei livelli di allarme per gli armamenti schierati e la ripresa di sforzi multilaterali per il disarmo”. Riprendendo una frase pronunciata a Oslo in occasione del conferimento del Nobel, ElBaradei concludeva il 18 settembre a Vienna, sede dell’Agenzia: “Una pace durevole non è fatta da un singolo successo: è uno sfondo, un processo, un impegno”. Queste e altre dichiarazioni, così fortemente concentrate sul tema della pace – e che si accompagnano, beninteso, a numerosi altri interventi collegati ai complessi compiti di gestione e leadership affidati al Direttore Generale – permettono di cogliere in sintesi una serie di motivazioni che rendono particolarmente significativo, oggi, il conferimento della cittadinanza onoraria di Firenze a Mohamed ElBaradei, con un occhio all’apertura al mondo di Firenze (che è di tutta la sua storia e assume un colore particolare con le iniziative lapiriane del Novecento) e un occhio alla storia personale del Direttore Generale. Vi è stato e vi è ora in lui, nel suo operato prima come diplomatico egiziano e poi come alto funzionario internazionale all’ONU e alla IAEA, un intreccio fecondo tra etica della responsabilità e senso di appartenenza a un luogo, a un Paese, a una comunità internazionale. È un intreccio tra cosmopolitismo e località che condivide con il concetto di cittadinanza una categoria fondamentale: quella del custodire, del prendersi cura. Il cittadino di Firenze è custode della sua bellezza, della sua storia, della sua tradizione di accoglienza. Anche ElBaradei è un custode, una sentinella. Il suo compito è prendersi cura. Ma custodire non vuol dire per lui conservare, soprattutto se la pace da custodire, e da rendere feconda di attività umane tramite le applicazioni pacifiche dell’energia atomica e tramite la sua paziente tessitura diplomatica, se quella pace svela la sua natura intima e infida di mera tregua. Custodire la città umana, nelle sue funzioni tecniche e politiche di Direttore Generale della IAEA, è per lui innovare, cercando un nuovo e più profondo concetto di sicurezza, esteso alla libertà e alla dignità della persona. Custodire la città umana è per lui voler tramandare ai posteri – distillando valori mediterranei e dal Mediterraneo filtrati a patrimonio comune dell’umanità – la tolleranza reciproca, il rispetto e il senso di giustizia che superano le divisioni culturali e fanno da architrave a ogni costruzione multilaterale. Su questo terreno, non poteva non incontrarsi prima o poi con Firenze, città mediterranea, città per la pace, che gli dà dunque un benvenuto caloroso. In arabo, ahlan ua sahlan! 4