Il Cogito cartesiano A) Nello stesso periodo in cui si va formando il pensiero scientifico moderno, si assiste anche ad una crisi dell’epistéme filosofica , che è anzitutto sconfessione della metafisica tradizionale, e che in gran parte è portata avanti proprio dalla nuova ottica scientifica. Ma anche quest’ultima (v. Galilei, Bacone) aspira poi a costituirsi come sapere epistemico, ritiene cioè di aver individuato un metodo che conferisce valore di verità assoluta alla conoscenza del mondo naturale. D’altra parte la nuova scienza si occupa solo di una parte o di certi aspetti del reale (come la sfera fisica e i suoi caratteri quantitativi), senza proporsi come visione complessiva della totalità, così che le sue “verità” non appaiono fondate in modo definitivo, non corrispondono a strutture necessarie dell’essere: ciò deriva anche dal carattere induttivo del nuovo sapere, e già il pensiero aristotelico aveva mostrato i limiti dell’induzione. Quando la filosofia, con Cartesio, si propone di formulare un proprio metodo rigoroso, essa non si limita ad imitare il già collaudato metodo della scienza galileiana, ma anzi si propone di chiarire a fondo il funzionamento di quest’ultima, di mostrare perché la razionalità scientifico-matematica sia conoscenza effettiva della realtà. Il metodo individuato da Cartesio si fonda anzitutto sul criterio dell’evidenza: ogni processo conoscitivo deve, in ultima analisi, riferirsi a tale criterio, il che significa che la filosofia, per costruire il proprio metodo, non può prendere in prestito nessun principio, nessuna certezza che le giunga dall’esterno: né dalla tradizione metafisica (del resto ormai rimessa completamente in discussione), né dalle convinzioni del senso comune (di cui lo stesso Bacone ha mostrato la fallacia), ma neanche dalle stesse conoscenze scientifiche che, pur nella loro maggiore attendibilità, non mostrano ancora il proprio valore incontrovertibile. L’autentica filosofia, cioè, deve essere autofondante: a differenza del sapere scientifico essa non può partire da risultati acquisiti in precedenza attraverso altre ricerche: Cartesio sottolinea il valore dell’indagine personale in contrapposizione all’accettazione passiva di idee elaborate da altri. Questo non significa sostenere una concezione individualistica o relativistica del sapere, ma indica la consapevolezza che la verità può esistere solo come presenza immediata, concreta: la verità è tale solo se appare direttamente e indubitabilmente nel pensiero in atto. B) Prende le mosse di qui il dubbio metodico adottato da Cartesio: esso consiste nel porre in discussione - come primo passo di ogni ricerca - tutto ciò che di solito gli uomini considerano scontato e non richiedente dimostrazione: solo così potrà apparire - se deve apparire - ciò che assolutamente non può essere messo in dubbio, quel punto di Archimede che sarebbe, allora, proprio la verità originaria richiesta per costruire un sapere stabile. Ma per essere rigoroso, il dubbio metodico non dovrà risparmiare proprio niente: Cartesio comincia col dubitare dell’esistenza stessa del mondo che ci circonda, delle cose e delle persone che costituiscono la “realtà” quotidiana: chi mi assicura, infatti, che le mie percezioni corrispondano ad una realtà effettiva, e che non siano, ad es. , un inganno prodotto nei miei confronti da un demone malefico? Ma, spingendoci ancora oltre, chi mi assicura che le stesse leggi della matematica e della geometria non siano apparenze erronee create dal cattivo funzionamento della mia mente? (I Meditazione). Cartesio rileva, cioè, la differenza che esiste tra certezza e verità: si potrà fondare un autentico sapere (= sapere epistemico) solo se, almeno in un caso certezza e verità si identificheranno. Il dubbio metodico di Cartesio ha qualcosa in comune con l’epochè (= sospensione di giudizio) adottata dagli scettici, i quali, appunto, ponevano in questione ogni dato dell’esperienza e sostenevano l’infondatezza di qualsiasi conoscenza sensibile. Ma se il punto di partenza della ricerca cartesiana ricorda l’atteggiamento scettico, vedremo che il punto di arrivo consisterà proprio nel superamento assoluto dello scetticismo. D’altra parte la messa in discussione di ogni sapere messa in atto da Cartesio ricorda anche la distruzione degli “idoli” attuata da Bacone: tuttavia Bacone, eliminati gli idoli, propone poi una diversa forma di sapere (quello empirico-induttivo) di cui non mostra l’assoluta inconfutabilità. Cartesio, invece, proprio attraverso il dubbio metodico, porterà alla luce qualcosa che in nessun modo potrebbe essere attaccato dal dubbio, ed assumerà dunque valore di fondamento inconfutabile. C) Infatti, se è ammissibile mettere in discussione la realtà della materia, e quindi anche del proprio stesso corpo, bisogna riconoscere che le cose vanno molto diversamente se ci si spinge a dubitare dell’esistenza del pensiero: giacché, mentre nel primo caso il dubbio è proponibile, senza contraddizioni palesi, nel secondo esso non ha assolutamente la possibilità di costituirsi come dubbio effettivo. Nel momento stesso in cui si dubita di pensare ci dobbiamo infatti accorgere di stare nel bel mezzo di un atto di pensiero; e quindi l’esistenza stessa del dubbio smentisce inevitabilmente la validità del proprio contenuto. In altri termini: per poter esistere come dubbio, il dubbio stesso ha bisogno proprio di ciò che vorrebbe mettere in discussione: il dubbio non può esistere che come atto di pensiero, e ciò significa che il pensiero è la condizione necessaria del costituirsi del dubbio. Quest’ultimo, dunque, toglie di mezzo sé stesso, nega di fatto la propria esistenza, e questa autosoppressione del dubbio lascia sulla scena l’indubitabile realtà del pensiero in atto. Ma insieme all’impossibilità di dubitare del mio pensiero, appare subito anche quella di dubitare dei suoi contenuti: se infatti posso mettere in questione l’esistenza oggettiva1 (= esterna alla mia soggettività) delle cose che percepisco, non posso invece assolutamente dubitare delle percezioni stesse. Infatti, come sopra, nello stesso momento in cui dubitassi delle mie percezioni dovrei proprio prendere le mosse da esse: se nego l’apparire di questa stanza devo per forza riferirmi al fatto che questa stanza appare, ossia sto fondando la mia negazione proprio su ciò che tento di negare. E’ abbastanza evidente l’analogia tra l’indubitabilità del “cogito”, così formulata, e l’esposizione del principio di non contraddizione da parte di Aristotele: il P.d.n.c. è infatti fondamento di ogni sapere proprio perché metterlo in dubbio significa nello stesso tempo usarlo, affermarlo. Ma, mentre per Aristotele (e per tutta la filosofia antica) la realtà a cui si applica quel principio è l’essere stesso, concepito come esterno e indipendente rispetto al pensiero, in Cartesio proprio l’esistenza del pensiero è il fondamento innegabile di cui, inizialmente, la filosofia dispone. 1 A scanso di equivoci, è bene precisare che il linguaggio cartesiano non fa uso del termine “oggettivo” nello stesso modo che qui proponiamo: la realtà che solitamente indichiamo come “oggettiva” (l’essere in quanto è indipendente dal pensiero) è indicata da Cartesio col nome di “realtà formale” (di derivazione aristotelica), mentre ciò che noi chiameremmo “mondo soggettivo” prende il nome, nel linguaggio cartesiano di “realtà oggettiva”. 2 Secondo Aristotele, il pensiero umano è l’espressione di una realtà più profonda (Anima, Intelletto Attivo) che è poi la sostanza di cui il pensiero in svolgimento è manifestazione; per Cartesio invece la “sostanza pensante” è proprio costituita dalla realtà immediata del “cogito”: il “cogito” è il punto in cui “realtà oggettiva” e “realtà formale” (vedi Nota 1) coincidono, ossia è la cercata unità di verità e certezza. La formulazione sopra esposta dell’indubitabilità del “cogito” ha anche qualche punto in comune con l’argomento contro lo scettico già noto alla filosofia classica: tale argomento rileva che lo scettico, affermando che la verità non esiste, toglie anzitutto verità alla sua stessa posizione. In effetti resta così dimostrato il carattere contraddittorio dello scetticismo, ma questo argomento non mostra poi quale sia, in positivo, quella verità di cui lo scettico vorrebbe negare l’esistenza: al contrario la fondazione cartesiana è volta proprio a mettere in luce la struttura immediata della verità. Anche S. Agostino usava l’argomento contro lo scettico per dimostrare l’indubitabilità del pensiero (e certamente Agostino, come più tardi anche Campanella, anticipa il pensiero cartesiano), ma alla fine della sua argomentazione Agostino ritiene di aver scoperto una verità preesistente (l’essenza dell’uomo) già compiuta prima e al di fuori di ogni ricerca filosofica. Invece, secondo Cartesio, la verità del “cogito” non è scoperta, ma, più radicalmente, fondata, prodotta dal pensiero stesso: l’atto filosofico che porta alla luce l’indubitabilità del pensiero è dunque verità autofondante. Con il pensiero cartesiano la prospettiva filosofica appare completamente riformulata: il soggetto umano non è più, come nella metafisica classica, un elemento marginale, ma viene posto come centro e fondamento dell’intero edificio costituito dal sapere epistemico: si può senz’altro scorgere qui un rapporto con la nuova ottica culturale, con la nuova visione prospettica, aperta dall’Umanesimo e dal Rinascimento, ma l’impostazione cartesiana si spinge molto al di là della propria epoca, e determina un percorso nella storia della filosofia, che sboccherà nella concezione idealistica del pensiero come realtà unica e assoluta. Per adesso, tuttavia, la metafisica si trova anzitutto alle prese col compito di dimostrare, a partire dall’indubitabilità del “cogito” e dei suoi contenuti, l’esistenza di una realtà esterna al pensiero, esistenza che per la filosofia antica era del tutto scontata. * * 3 *