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Presentazione introduttiva (II)
Come dobbiamo leggere, oggi, quest’opera difficile e appesantita dalle interpretazioni? Staccandola dalle
interpretazioni, senza però rinunciare ai tesori che esse hanno saputo scovare in due secoli di ricerche. E poi
guardandola, fin dove è possibile, con gli occhi del suo autore. La domanda che dovrebbe guidare ogni lettura filosofica
è proprio quella a cui è più difficile rispondere: che tipo di opera (od operazione) aveva in mente l’autore? Una collana
dei classici della filosofia è molto più simile a una miscellanea di generi letterari che ad un ordinato scaffale scientifico:
quasi ogni testo costituisce infatti una nuova operazione culturale, il tentativo molto spesso isolato, anche se riuscito, di
istituire un nuovo modo di pensare. Ecco perché non è sufficiente parlare di “classici della filosofia”. E non è sufficiente
classificare la Fenomenologia tra i testi filosofici. Chiarire preventivamente che tipo di operazione intendeva mettere in
atto Hegel, invitando i suoi contemporanei alla lettura di quest’opera provocatoria, è un passo decisivo verso la sua
comprensione. E anche se la risposta a questa domanda è ormai un classico della manualistica filosofica, ciò non ne
sminuisce minimamente il valore: la Fenomenologia è un “romanzo filosofico”, un Bildungroman o “romanzo di
formazione”. Ispirato dal modello rousseauiano dell’Emilio, e formato da una università come quella tedesca costituita su
intenti molto più marcatamente pedagogici di quelli di qualunque altra istituzione accademica europea, Hegel delinea,
con un linguaggio strettamente filosofico, la storia dell’anima nel suo cammino di sviluppo dalla semplice coscienza allo
Spirito assoluto. E come ha acutamente notato Jean Hyppolite, delle cui notazioni ci avvarremo nella nostra parafrasi, il
cammino dell’anima (che è l’anima di ciascuno e di tutti, filogeneticamente e ontogeneticamente intesa) non è di quelli
che procedono trionfalmente verso un destino segnato fin dall’inizio, ma presuppone una continua tragedia interiore di
sconfitte e fallimenti. La storia che Hegel ci racconta è quella della coscienza che matura e fa esperienza rinunciando
con strappi laceranti a tutte le sue convinzioni, per aprirsi ogni volta a una nuova verità, verità che risulta così essere la
conseguenza di un errore riconosciuto e superato.
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Lo schema triadico della Ragione nel sistema hegeliano
Come sempre succede con i grandi filosofi, il segno che essi lasciano è un geroglifico di esperienze la cui profondità si
perde nelle origini stesse della ricerca filosofica: occorrerà dunque mostrare a chi inizia per la prima volta la lettura della
Fenomenologia come questo “viaggio dell’anima” non sia solo una storia (nel senso di una fabula narrativa) immaginata
dal filosofo, ma sia anche una “storia” (nel senso di contenitore di eventi reali) della filosofia occidentale, a cominciare
dal libro VII della Repubblica di Platone, col suo sigillo indelebile che chiamiamo “Mito della caverna”, sigillo che
rappresenta nella nostra tradizione il modello assoluto del concetto di “viaggio dell’anima”. Quella favola ancestrale è
impressa nel nostro immaginario come una sorta di grammatica interiore da cui attingere ogni volta che si intenda
rappresentare il “cammino verso la scienza (come sapienza)”. Essa ha attraversato tutta la storia della filosofia e, prima
di ricomparire nella Fenomenologia, ha lasciato tracce profonde in Plotino, nel Rinascimento e in Cartesio, sotto la
forma di quella aprioristica negazione di ogni evidenza che costituisce l’impronta del Dubbio, con cui ormai per abitudine
identifichiamo l’atteggiamento stesso del filosofare. Trascendenza, superamento, negazione, dubbio: tutto ciò che è
filosofico confluisce nel “romanzo” hegeliano come motivo conduttore che la sua sensibilità alla storia e alle idee del suo
tempo trasformano nella cifra dominante della Dialettica.
Ricapitolando: Hegel scrive un romanzo di formazione per rappresentare un nuovo modo di fare scienza (cioè di
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costituire un processo formativo completo); il fondamento metodologico essenziale di questa nuova scienza diventa la
dialettica, che altro non è (mi si passi l’espressione) che la nuova versione idealistico-ottocentesca della trascendenza
platonica, filtrata attraverso l’epistemologia cartesiana del dubbio metodico. Il carattere storico della Fenomenologia è
dunque doppio: in essa è presente il momento diegetico della verosimiglianza poetica (il “romanzo dell’anima”), ma
anche vive nella sua struttura il fil rouge del pensiero occidentale – quindi non più il “verosimile”, ma il “vero” della storia
– che confluisce così, come per eredità ultima e finale, nel potente e definitivo sistema dello Spirito Assoluto hegeliano.
1818. Il 22 ottobre Hegel inaugura il primo dei suoi corsi accademici all’università di Berlino con una prolusione in cui
identifica lo Stato prussiano come il centro politico della Germania post-napoleonica e fissa per la filosofia il ruolo di
guida di questo stesso Stato. La Storia si è dunque realizzata: il cosmos germanico ha finalmente il suo fulcro politico e
la leva per sollevare il popolo tedesco è la filosofia stessa. Che naturalmente è quella dello Spirito Assoluto, così come
si è concretamente storicizzata nel sistema hegeliano.
Il giovane inventore della filosofia della storia divenne dunque, nella maturità, il nemico giurato di ogni ideale politico
liberale, la voce accademica dello Stato pre-capitalista sorto dalla Restaurazione. Ma il pensiero hegeliano non finì così,
in quegli abiti ristretti e pietrificati. Esso è ancora, che ci piaccia o no, il terreno di coltura della nostra civiltà: dalla storia
dei discepoli, alcuni dei quali si chiamavano Feuerbach o Marx, a quella dei seguaci, gli ideologi del totalitarismo o dello
storicismo, fino alla storia stessa degli oppositori – Kierkegaard, Nietzsche -; da questi esiti noi dobbiamo oggi misurare
il peso di questo imponente pensatore, fosse anche solo per liberarlo dalle incrostazioni indebite che questi duecento
anni gli hanno stratificato addosso.
Torino, 2011
«Hegel distingue tre momenti dello Spirito, lo s. soggettivo (quel che si dice anima, intelletto, ragione individuale), lo s.
oggettivo (il complesso delle istituzioni fondamentali del mondo storico umano: «nella storia del mondo lo s. trova la sua
realtà completa»), lo s. assoluto, che si realizza attraverso l’arte, la religione e la filosofia in cui si attua la piena
autocoscienza, «unità che è in sé e per sé, ed eternamente si produce: lo s. nella sua verità assoluta». Il significato e i
vari usi hegeliani del termine spirito (come fenomenologia dello s., s. del popolo ecc.) avranno importanza fondamentale
in tutto il pensiero dell’Ottocento, e soprattutto nelle varie forme di idealismo, come infine nel neoidealismo italiano.»
Da: Treccani.it
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In questa unità
Testo: Per una lettura di Fenomenologia dello spirito
Autore: Maurizio Châtel
Curatore: Maurizio Châtel
Metaredazione: Alessandro Vigiani
Redazione: Lilia Greco
Editore: BBN
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