Sequenze pratiche di edizione di un nuovo gene

Ulteriore contributo d’informazione sulle NPBT (New Plant Breeding Techniques)
In precedenti comunicazioni:
http://www.salmone.org/wp-content/uploads/2015/07/guidorzi.pdf
http://www.salmone.org/wp-content/uploads/2016/01/il-crisp-cas9-secondo-guidorzi.pdf
ho un po’ enumerato e delineato queste nuove tecniche biotecnologiche capaci di modificare il genoma delle
piante coltivate, ora vorrei entrare più nel dettaglio applicativo affinché il lettore si renda conto che la direttiva
2001/18/EC (in appendice si riporta un estratto) nel definire un OGM in questo modo: Organismo il cui
materiale genetico è stato modificato in una maniera che non può avvenire naturalmente per moltiplicazione
e/o ricombinazione naturale, non solo ha tralasciato subito delle tecniche in uso (sono state escluse, infatti,
le tecniche di mutagenesi indotta artificialmente per irradiazione o per via chimica, seppure contrastanti con
la definizione su riportata. Ciò è avvenuto per il solo fatto che esse sono applicate in miglioramento vegetale
da 50 anni senza effetti secondari constatati (cioè il “rischio zero” si raggiungerebbe dopo mezzo secolo?
…..Buono a sapersi!), ma ora si trova a mal partito con le nuove tecniche tutte capaci di formare
letteralmente degli OGM definiti di seconda generazione, ma sono perfettamente uguali a quelli di prima e
che abbiamo ormai coltivato e mangiato per 20 anni. Si intende per OGM di prima generazione quelli per cui
vi è inserimento di materiale genetico esogeno stabile ed ereditabile mediante l’uso dell’Agrobatterio o di
metodi biolistici, ma che avevano la caratteristica di elevatissime percentuali di inserimenti imprecisi sul
genoma e quindi tutti da reperire e scartare, mentre ora con le nuove tecniche siamo in presenza di
inserimenti molto mirati e che per questo sono chiamati di seconda generazione; ma solo per questo e non
certo per l’innaturalità degli OGM precedenti. In questa sede ci limitiamo dell’uso delle nucleasi (enzimi
capaci di tagliare la molecola del DNA). Esse possono dare origine a tre categorie di modifiche:
1. SDN 1 (Site directed nuclease 1) volte ad ottenere l’inattivazione di un gene per taglio e riparazione
difettosa (eliminazione o inserzione di qualche base, cioè i famosi pioli della molecola elicoidale del
DNA).
2. SDN 2 (Site directed nuclease 2) o “gene editing” che genera la modifica mirata di qualche
nucleotide in un determinato gene.
3. SDN 3 (Site directed nuclease 3) inserzione mirata in un sito predeterminato (landing pad) di DNA
esogeno
E’ evidente che così formulata la distinzione e per quanto si è detto sopra, il primo tipo corrisponde ad una
mutazione esattamente uguale a quelle che operiamo irraggiando o mediante una sostanza chimica e
pertanto se non era considerata OGM prima non lo può diventare adesso. Un po’ diverso è il caso dell’SDN
2 in quanto questa tecnica prevede che siano preparati degli acidi nucleici all’esterno dell’organismo
(matrice). Solo che, una volta inserita la costruzione artificiale, la modifica che si genera corrisponde al
rimpiazzo di un allele, il che è una modifica che può avvenire in modo del tutto naturale e per tale ragione si
discute se considerarla OGM o meno. Si ricorda che un allele è un gene omologo presente nel medesimo
locus e avente la medesima funzione ma effetti diversi, ossia trattasi di una forma diversa del medesimo
gene ma che presenta piccole variazioni, seppure sufficienti a permettere di codificare una proteina
leggermente diversa. E’ su questo polimorfismo dei geni che si genera la variabilità genetica naturale che noi
conosciamo e che ci permette il miglioramento genetico tramite selezione delle diverse forme di geni e
conseguenti caratteri differenti. Il terzo tipo invece rientra sicuramente negli OGM di cui alla definizione, ma
è d’obbligo la seguente annotazione: se prima le tecniche lasciavano dei punti non perfettamente conosciuti
e interrogativi che si risolvevano con un lungo lavoro di selezione e di valutazione in campo, ora, anche
trasferendo tratti genetici esogeni alla specie, molti di questi punti sono chiari e l’agire è molto meno
aleatorio, quindi vengono meno molte delle imputazioni su cui si basavano gli anti-OGM e che obbligavano a
dei controlli meticolosi prima dell’omologazione di una pianta alla coltivazione ed all’uso del prodotto ricavato
nell’alimentazione umana e animale.
E’ evidente che la questione del flusso genico (additato come inquinamento genetico alla persone
disinformate di vita vegetale) rimane immutata. Se prima vi erano geni nuovi che si immettevano
nell’ambiente ora ve ne saranno di più perché le tecniche diverranno di routine. Prima era un pericolo
gravissimo a detta di molti, però, adesso mi si deve spiegare perché non lo è più?
Tuttavia in merito a queste tre categorie di piante modificate l’Europa non ha ancora deciso circa la loro
classifica di OGM o meno, anche perché continua a valutare sia il metodo usato che il prodotto ottenuto,
mentre in USA si decide caso per caso, ma la tendenza è di escludere la SDN 1 e 2 dalla categoria degli
OGM, ma per contro di includervi SDN 3. In Canada invece si sono già decisi due casi di “gene editing” (un
colza tollerante ad un erbicida ed un mais a minore contenuto di antinutrizionali come i fitati) e sono già stati
omologati e ritenuti non rientrare nella categoria delle Piante Geneticamente Modificate con tutto quello che
ne consegue in fatto di controllo e di spese di omologazione.
Qualcuno si chiederà, ma perché guardiamo cosa fanno gli altri ? Ebbene non si può più dimenticare che le
derrate prodotte nel mondo si sono globalizzate e fanno oggetto di correnti di scambi sempre più liberalizzati
e su cui ormai è difficile porre dei freni vista l’interdipendenza con il progredire o meno delle varie economie.
Altro aspetto è che nel paese in cui una tecnica viene considerata OGM rispetto ad un altro paese dove
invece non è considerata tale e per le differenze di costi che si devono incontrare, ne consegue che le
capacità di innovazione sono facilitate in un caso e praticamente impedite nell’altro, salvo affidarsi a delle
multinazionali. Ricordo che vi è la differenza di 50 milioni di $ tra un prodotto omologato OGM ed uno che
non necessita dell’omologazione di PGM. A tutt’oggi oltre Atlantico sono state presentate 26 domande di
approvazione di nuove varietà ottenute con le NPBT e ben 24 sono state dichiarate non dover sottostare alla
regolamentazione OGM e solo due dovranno esservi sottoposte. Se noi Europei useremo parametri diversi,
questi, da USA e Canada, potranno essere impugnate per essere pratiche contrarie alla liberalizzazione dei
commerci e ciò può generare ritorsioni negli scambi commerciali. Se, invece, saranno considerate come
scelte legittime e rientranti nell’ambito della sovranità di un paese allora nulla cambierà negli scambi, ma
tutto cambierà nel modo di produrre la stessa derrata e relativi costi e prezzi di vendita? Io temo proprio che
vi sarà molto contenzioso se non si troverà un compromesso, in caso contrario, comunque si andrà incontro
ad aumenti di contenziosi a lungo andare insostenibili.
Da tutto ciò che è stato detto, risulta che la categoria SDN 2 è la categoria che divide per ora le due sponde
dell’Atlantico. Allora per i lettori della presente nota cerco di spiegare meglio la tecnica che si segue
nell’operare con questa biotecnologia, ciò al fine che si abbia una conoscenza più approfondita dei contenuti
della discussione a cui assisteremo.
Per prima cosa si spiegherà lo schema d’azione di una nucleasi con questa immagine:
L’obiettivo di
sperimentazione
ha come fine di
ottenere una
pianta
di
pomodoro
resistente a un
virus
della
famiglia dei
potivirus
modificando un
gene di cui se ne
conosce
la
sequenza. Per
riuscire occorre
cambiare qualche
base in questo
gene, ossia effettuare il rimpiazzo di un allele, cioè se l’allele A viene rimpiazzato dall’allele B questo
conferirà la resistenza al virus. Le tecniche di modificazione guidata, oggi permettono di fare questa modifica
in due tappe: 1- tagliare il gene (allele A) nel punto esatto voluto grazie ad una nucleasi molto specifica. 2 fare in modo che la riparazione del taglio si esegua copiando la sequenza di DNA che si vuole ottenere
(allele B). Per fare ciò si prepara in laboratorio una matrice di riparazione che contiene le modifiche volute.
Questa matrice di riparazione va a posizionarsi nella precisa posizione del taglio precedente grazie al suo
omologo di sequenza. In altre parole si introduce nella pianta tramite tecnica biolistica ( si sparano delle
microbiglio d’oro o di tungsteno ricoperte da DNA modificato, è la stessa identica tecnica che si usa per
trasferire anche del DNA di altro organismo, ma in questo caso si crea un OGM come è definito dalla
Direttiva) una “costruzione” che porta dunque sia il gene della nucleasi sia la matrice di riparazione . Al fine
di avere una quantità sufficiente di DNA contenente questa costruzione, preliminarmente lo si inserisce nel
plasmide di un batterio che ne farà tante copie. Oltre a ciò si inseriscono anche due geni di selezione: un
gene di resistenza ad un antibiotico ed un gene di resistenza ad un erbicida al fine di poter selezionare
rispettivamente i batteri e poi le piante che avranno integrato la costruzione genica artificiale; infatti, solo
questi batteri e queste piante saranno capaci di vivere e svilupparsi in un mezzo contenete l’antibiotico o
l’erbicida prescelti. Una volta che la modifica del gene è stata realizzata, la costruzione artificiale è eliminata
attraverso incroci classici con una pianta non modificata. Fra i discendenti si selezionano le piante che
portano la modifica sul gene ricercata ma che hanno perso tutto il resto della costruzione. Infine si verifica in
serra confinata se queste piante sono divenute resistenti al virus.
Le varie tappe sono qui raffigurate in una serie di immagini:
Foto 1 – si individua la nucleasi sitospecifica per tagliare il DNA nel punto voluto
Foto 2 - Si fa sintetizzare il gene di questa nucleasi prescelta
Foto 3 – Si progetta una costruzione che si possa esprimere nella pianta di pomodoro
Foto 4 – Si inserisce il gene della nucleasi nella costruzione genica progettata
Foto 5 – Qui è raffigurato il progetto della costruzione di DNA formata da:
gene della nucleasi + matrice di riparazione + geni di selezione
Foto 6 – qui i batteri stanno riproducendo le costruzioni di DNA suddette
Foto 7 – Si coltivano i batteri, si estraggono le costruzioni e si spalmano su delle microbiglie d’oro
Foto 8 – Si sparano le biglie d’oro ricoperte dalla costruzione di DNA sulle foglie di pomodoro
Foto 9 – Le biglie d’oro portatrici della costruzione di DNA penetrano nelle foglie di pomodoro
Foto 10 – si pongono le cellule delle foglie bombardate in un ambiente
di micropropagazione che contiene l’antibiotico ed il diserbante.
Solo le cellule che contengono i geni di resistenza l diserbante e all’antibiotico
saranno capaci di sviluppare una piantina
Foto 11 – noi riusciamo cioè ad ottenere una pianta rigenerata e completa
che porta la costruzione genica prima preparata
Foto 12 – si ottengono molte piante che portano nel loro corredo genetico la costruzione
Foto 13 – si verifica per ogni pianta se la nucleasi ha fatto il lavoro per cui era stata costruita
Foto 14 – si sequenzia il DNA delle piante nelle quali ha agito la nucleasi
Foto 15 – si verifica che la modifica praticata nel gene bersaglio sia corretta
e precisa a livello di base (piolo)
Foto 16 – si conservano e si fanno sviluppare le piante (rare) nelle quali la modifica è corretta
Foto 17 – le si incrocia con una pianta normale (non modificata)
al fine di eliminare la costruzione precedentemente immessa
Foto 18 – si verifica, confinando le piante in serra, se le piante modificate sono resistenti al virus,
evidentemente la pianta della terza foto non è resistente al virus e la si scarta, tra le
tante piante della foto di sinistra, però vi saranno d quelle che sono resistenti, cioè sono risultate modificate.
Questo avrebbe potuto avvenire anche naturalmente a seguito di modifiche casuali naturali.
Solo che in questo caso occorre attendere che avvengano e le probabilità sono limitatissime,
seppure non impossibili. Solo che intanto il coltivatore
di pomodori subisce i danni delle virosi.
CONCLUSIONE: Come si evince il creare una pianta modificata, non solo è ormai una pratica di routine, ma
i tempi si comprimono enormemente per raggiungere un risultato.
Con i metodi classici che fino ad ora abbiamo usato invece:
1° occorreva reperire il variante (se esisteva), oppure attendere che si formasse, se non era ancora
comparso
2° ma anche se si fosse individuato il variante, esso nella quasi totalità dei casi era inserito in un contesto
genetico totalmente inutilizzabile ai fine di una coltivazione che procurasse un reddito, cioè si trovava in una
pianta selvatica. Ecco che allora subentrava il genetista che doveva incrociare la pianta con il variante
ricercato con la pianta già coltivata, in quanto questa aveva accumulato tante buone qualità, ma le mancava
la resistenza a quel virus. Evidentemente, però, con l’incrocio si otteneva una pianta che aveva acquisito il
50% di caratteristiche cattive (portate dalla pianta selvatica ad esempio) che avevano rimpiazzato un 50% di
buone qualità che si dovevano ripristinare. Ecco qui sotto avete lo schema di quanto si doveva fare, ma dato
che si può eseguire un incrocio all’anno occorrevano parecchi anni (da 7 a 10) per ottenere una pianta
coltivabile e resistente al virus.
La figura mostra il primo incrocio tra la pianta ricevente (pianta coltivata, cilindro giallo nella figura) e la
pianta donatrice (selvatica,cilindro verde nella figura) del variante (piccola parte marron). Nelle progenie
(cilindretto giallo verde) si ottenevano anche piante che erano ancora molto inselvatichite (almeno per il
50%) e non contenevano il variante ed altre che seppure ancora inselvatichite che invece lo contenevano.
Evidentemente occorreva selezionare solo queste ultime che poi si incrociavano ancora con la pianta
ricevente (pianta coltivata) in modo che alla successiva generazione vi rimanessero piante con il variante ed
un 25% di inselvatichimento. Questo lavoro continuava per vari anni fino ripristinare il corredo genetico della
pianta coltivata di partenza con in più il gene di resistenza al virus (cilindretto giallo finale con la piccola parte
marron). Faccio però notare che ad ogni generazione è vero che si dimezza man mano l’inselvatichimento
con questa progressione teorica: 50%; 25%; 12,5%; 6,25%; 3,125%; 1,5625%; 0,78125; 0,390625%........ma
se in quell’ultimo “zero virgola…” fosse contenuto un gene di selvatico molto penalizzante occorrerebbe
continuare l’incrocio di ritorno. Solo che se nel 2050 dovremo aumentare del 70% la produzioni di cibo non è
che abbiamo tanto tempo davanti per ripetere questi cicli ormai ovviabili.
---------Appendice:
Estratto del testo della direttiva
ARTICOLO 2
Definizioni Ai fini della presente direttiva si intende per: 1) «organismo», qualsiasi entità biologica capace di riprodursi o di trasferire materiale
genetico;2) «organismo geneticamente modificato (OGM)», un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in
modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale.Ai fini della presente definizione: a) una
modificazione genetica è ottenuta almeno mediante l'impiego delle tecniche elencate nell'allegato I A, parte 1; b) le tecniche elencate nell'allegato I
A, parte 2 non sono considerate tecniche che hanno per effetto una modificazione genetica;
ALLEGATO I A
TECNICHE DI CUI ALL'ARTICOLO 2, PARAGRAFO 2 PARTE 1Le tecniche di modificazione genetica di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a),
comprendono tra l'altro:1) tecniche di ricombinazione dell'acido nucleico che comportano la formazione di nuove combinazioni di materiale genetico
mediante inserimento in un virus, un plasmide batterico o qualsiasi altro vettore, di molecole di acido nucleico prodotte con qualsiasi mezzo
all'esterno di un organismo, nonché la loro incorporazione in un organismo ospite nel quale non compaiono per natura, ma nel quale possono
replicarsi in maniera continua;2) tecniche che comportano l'introduzione diretta in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, tra
cui la microiniezione, la macroiniezione e il microincapsulamento; 3) fusione cellulare (inclusa la fusione di protoplasti) o tecniche di ibridazione per
la costruzione di cellule vive, che presentano nuove combinazioni di materiale genetico ereditabile, mediante la fusione di due o più cellule,
utilizzando metodi non naturali.