note te Ministero dell’Economia e delle Finanze
Dipartimento del Tesoro
Note Tematiche
N°2 - Febbraio 2009
ISSN 1972-4128
I CAMBIAMENTI CLIMATICI: ASPETTI
ECONOMICI
DELLE
RIFORME
E
IMPLICAZIONI DI POLICY
Di: Pietro Zoppoli * , Maria Rita Ebano * *
ABSTRACT
La necessità di un intervento pubblico per limitare le conseguenze
economiche, finanziarie, sociali ed ambientali connesse con i
cambiamenti climatici richiede una attenta valutazione degli strumenti a
disposizione del policy maker. Gli accordi internazionali e le strategie
messe a punto dall’Unione Europea puntano ad un uso sempre più
esteso degli strumenti di mercato. Se opportunamente definiti e
correttamente implementati, gli strumenti di mercato consentono di
raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, minimizzando i
costi sociali e operando in un quadro di maggiore consenso da parte
degli stakeholder, poiché forniscono una significativa struttura di
incentivi. Tuttavia il loro utilizzo deve essere valutato alla luce delle
conseguenze sulla competitività e dei costi per l’intera economia.
I CAMBIAMENTI CLIMATICI: PERCHÉ INTERVENIRE
È oramai opinione condivisa che i cambiamenti climatici rappresentino
una realtà ineludibile costituendo una tra le sfide più impegnative che
l'umanità nel suo complesso è tenuta ad affrontare con sempre
maggiore urgenza: “Climate change is a potentially catastrophic global
externality and one of the world’s greatest collective action problems” 1 .
I segni di tali cambiamenti sono scientificamente documentati e vanno
dal costante aumento delle temperature, al progressivo scioglimento
dei ghiacciai, alla maggiore frequenza con cui avvengono alcune
calamità naturali, quali episodi di siccità e alluvioni.
La comunità scientifica internazionale ha dibattuto a lungo sulle cause
e sull’intensità dei cambiamenti climatici; l'evidenza empirica del
legame tra tali mutamenti e le attività antropiche, e le emissioni da esse
derivanti, gode ad oggi di un largo consenso. Gli scienziati, ponendo
l’accento sui potenziali rischi per il pianeta e per le generazioni future,
sono concordi nel ritenere che all'origine di tali cambiamenti vi siano le
JEL:
Q48, Q5
Keywords:
Climate Change, Energy, Strumenti di
mercato nella politica ambientale
Note Tematiche
La presente collana intende
promuovere la circolazione di Note
Tematiche prodotte nell’ambito del
Ministero dell’Economia e delle
Finanze, Dipartimento del Tesoro.
Il contenuto delle Note Tematiche
riflette esclusivamente le opinioni degli
autori e non impegna in alcun modo
l’Amministrazione.
I
cambiamenti
climatici
sono
strettamente legati alle emissioni di gas
ad effetto serra prodotte dalle attività
umane. Questo impone una valutazione
delle azioni da intraprendere per limitare
gli effetti sulle prospettive economiche di
lungo periodo.
*
Ministero dell'Economia e delle Finanze. Corresponding author: Via XX Settembre 97, 00187
Rome - ITALY. Tel: 39-06-47618335. E-mail: [email protected]
*
* Ministero dell’Economia e delle Finanze
1 Fondo Monetario Internazionale (2008), capitolo 4 pag. 1.
1
note tematiche
emissioni di gas ad effetto serra (GHG - green house gas emissions)
prodotte dall'attività umana.
Una prova dei cambiamenti in atto nel clima globale è data dalla
ricostruzione delle temperature del pianeta: l’IPCC (Intergovernmental
Panel on climate change 2 ) ha più volte evidenziato come dal 1860 la
temperatura sulla terra è cresciuta di circa 0,6° e gli ultimi 20 anni sono
stati i più caldi mai registrati (IPCC, 2007).
Molti studi hanno tentato di quantificare l’impatto di questo fenomeno
dimostrando che, in assenza di azioni concrete, che riducano le
concentrazioni in atmosfera, vi saranno delle ripercussioni significative
che vanno dall’intensificazione degli eventi meteorologici estremi alla
modifica o scomparsa di alcuni ambienti naturali con conseguenze
imprevedibili sull’equilibrio del pianeta. Inoltre, i cambiamenti climatici
in atto sono destinati ad avere importanti ripercussioni economiche ed
anche sui mercati finanziari. Le stime dell’impatto sul sistema
economico devono incorporare numerose variabili, non sempre di
natura economica, e scontano l’incertezza legata al tasso di crescita
della produttività, ai miglioramenti in termini di efficienza ed uso
dell’energia e, infine, alla capacità delle economie emergenti di
convergere verso gli standard di vita di quelle più avanzate. Tali stime
si basano tipicamente sulle “funzioni di danno” (damage functions) che
mettono in relazione le perdite in termini di PIL con l’aumento delle
temperature. Le stime dei costi in termini di PIL, incluse nelle funzioni
di danno, coprono una moltitudine di impatti climatici, che vengono
usualmente raggruppati in “market impacts” e “non market impacts”:
mentre con i primi ci si riferisce alle conseguenze su agricoltura,
turismo, coste etc., i secondi identificano tipicamente i danni causati
alla salute, alle attività di svago ed alla biodiversità.
Gli studi esistenti non consentono di quantificare in maniera certa la
portata del danno, proprio a causa delle diverse impostazioni su cui si
basano - che porta alcuni a non includere ad esempio gli impatti “non
market” – o per la mancanza di differenziazione a livello di singole aree
o Paesi.
Tra le analisi che hanno contribuito a portare all’attenzione dei policy
maker il tema dei cambiamenti climatici, un ruolo chiave lo ha svolto la
3
Stern Review . Questa si configura come una indagine complessiva
sulle conseguenze economiche derivanti dal riscaldamento del pianeta
nel caso in cui non vengano prese adeguate misure - sia di mitigazione
che di adattamento al cambiamento - per contrastare l’impatto delle
trasformazioni in atto. La tesi centrale del Rapporto Stern, pubblicato
nel 2006, è che i benefici di un intervento rapido a mitigazione dei
cambiamenti climatici siano maggiori rispetto ai costi dell’inazione,
dalla quale derivano, invece, ingenti danni economici e sociali.
Partendo dalle previsioni dell’IPCC sui cambiamenti climatici causati
dalle emissioni di gas serra, il Rapporto afferma che l’inazione
Le stime dell’impatto sull’economia sono
ancora oggetto di discussione ed analisi
poiché devono essere valutati i danni di
diversa natura ed in regioni del mondo
fortemente differenziate. L’ampio dibattito
generato dal Rapporto Stern dimostrano tali
limitazioni .
2
L’IPCC è un Comitato intergovernativo istituito dalla World Meteorological Organization (WMO)
e dall’United Nations Environment Programme (UNEP) nel 1988. Esso raccoglie circa 2.500
esperti internazionali, con il compito di analizzare l’evoluzione storica del clima globale,
individuare i contributi antropogenici al suo cambiamento e valutare le possibili opzioni di
mitigazione e adattamento.
3
La Review prende il nome da Nicholas Stern - capo del Government Economic Service inglese
e capo economista alla Banca mondiale, incaricato dal governo britannico di analizzare le
conseguenze economiche del cambiamento climatico e i costi necessari per limitarle.
2
note tematiche
costerebbe tra il 5 e il 20 per cento del PIL mondiale adesso, mentre
intraprendere un’azione decisa nel breve periodo ridurrebbe i costi di
intervento all’1 per cento del PIL. Questa stima è ottenuta applicando ai
danni futuri derivanti dai cambiamenti del clima un tasso di sconto pari
allo 0,1 per cento, significativamente inferiore al tasso d’interesse di
mercato, da cui discende che il danno futuro vale quanto quello di oggi.
Questa metodologia ha incontrato aspre critiche, ma anche ampi
consensi e, qualunque sia il giudizio che si può esprimere al riguardo,
certamente il fatto che essa sia stata anche utilizzata dalla
Commissione UE come punto di riferimento della Strategia Europea sui
cambiamenti climatici 4 ne ha amplificato il significato per le politiche del
continente.
L’esempio del Rapporto Stern consente di affermare che, ad oggi, una
corretta identificazione dei danni e del loro valore non è disponibile. Tali
stime sono limitate dalla presenza di vari elementi di incertezza che
inficiano la correttezza di risultati, tra questi due sono di particolare
rilevanza: i limiti delle attuali conoscenze scientifiche sui processi fisici
ed ecologici che sottostanno ai cambiamenti del clima 5 ; la definizione
dei migliori strumenti di quantificazione dell’impatto economico dei
cambiamenti climatici 6 .
Al di là di queste incertezze sulla reale portata del fenomeno è
comunque evidente che dal punto di vista economico i mutamenti del
clima possono considerarsi un “mega-trend”, alla stessa stregua della
globalizzazione e dei mutamenti demografici: sono cioè eventi in grado
di avere una influenza decisiva sulle prospettive economiche di lungo
periodo 7 .
LE SFIDE PER IL POLICY MAKER: LA QUALITA’ DELLA REGOLAZIONE
AMBIENTALE
Usualmente considerato un “supply-side shock”, il cambiamento
climatico sta assumendo delle connotazioni più ampie e si guarda con
sempre maggiore attenzione ai possibili shock che potrà avere sulle
prospettive di crescita dei Paesi, essenzialmente legati all’impatto
negativo sulla forza lavoro e sulle dinamiche della produttività, sul
commercio e sui flussi di capitali. In questo caso la capacità degli Stati
di mettere in atto delle azioni di adattamento e mitigazione sarà
decisiva.
È evidente che, da un punto di vista economico, i cambiamenti climatici
rappresentano una esternalità negativa che ha dimensioni globali sia
nelle sue cause che nelle conseguenze.
In presenza di questa esternalità, non compensata da sufficienti
incentivi per coloro che inquinano a ridurre il livello delle emissioni, i
mercati falliscono nell’assicurare una efficiente allocazione delle
risorse. Si rende così necessario l’intervento del policy maker diretto ad
4
European Commission (2005).
Ad esempio le informazioni sulla rapidità della crescita delle concentrazioni di gas serra sono
ancora incomplete.
6
È infatti innegabile che la grandezza delle perdite dipende dalla capacità di adattamento della
popolazione e delle produzioni.
7
Morgan Stanley Research (2007).
5
3
note tematiche
individuare e fornire i giusti incentivi che assicurino un risultato
efficiente.
La valutazione economica delle politiche ambientali comporta
numerose difficoltà di tipo analitico, metodologico e di policy,
soprattutto, laddove non esistono dei criteri per valutare l’efficacia delle
misure. Tuttavia un elemento chiave per guidare il policy maker è
costituito, secondo alcune analisi, dalla accettabilità delle politiche e
quindi dalla qualità della regolazione ambientale 8 :
Gli obiettivi della politica ambientale sono, per loro natura, molto ampi
ed il loro raggiungimento ha effetto sia sulle generazioni presenti che
su quelle future; a ciò si aggiunge il fatto che i costi, spesso sostenuti
in larga parte dai privati, hanno ricadute sul benessere pubblico.
Questa relazione impone di scegliere le misure in modo da
minimizzare i costi e pone al policy maker una sfida importante in
termini di efficienza e qualità della regolazione. Quest’ultima sarà
accettabile nel lungo periodo se i cittadini e le imprese ne percepiranno
un vantaggio in termini di protezione e se sarà disegnata in modo da
minimizzare i costi per il raggiungimento degli obiettivi.
Si può affermare in linea generale che una regolazione di qualità in
campo ambientale deve essere definita in modo da rispondere ai
seguenti obiettivi:
• stimolare la ricerca e l’innovazione;
• incentivare i consumatori, le imprese, e le istituzioni ad
intraprendere comportamenti environmental friendly;
• creazione e sviluppare nuovi mercati per nuovi beni e servizi.
Insieme ai criteri chiave per la valutazione
dei costi e dei benefici il policy maker
deve tener conto anche della accettabilità
delle misure ambientali .
ASPETTI ECONOMICI E STRUMENTI DELLE POLITICHE AMBIENTALI
Come già rilevato, il cambiamento del clima produce uno shock dal lato
dell’offerta e si configura come un fallimento di mercato dovuto a
esternalità negative. Il soggetto che inquina non sostiene il costo
dell’inquinamento che, invece, si riversa sull’intera collettività
generando una esternalità negativa, che ha natura sia locale che
globale.
Nel caso di un’impresa, se questa sceglie di affrontare unilateralmente
tale esternalità, si espone ad un consistente possibile rischio di perdita
di competitività. A ciò si aggiunga che le emissioni di CO2 equivalenti
dispiegano i loro effetti negativi su tutto il pianeta indipendentemente
da dove è stata originata l’emissione, aumentando così l’incentivo degli
Stati/imprese a comportarsi da free rider. Queste prime riflessioni
inducono ad orientarsi a favore di un intervento pubblico, coordinato a
livello internazionale, sul controllo dell’inquinamento da gas serra.
I policy makers hanno a disposizione diverse tipologie di strumenti per
intervenire in campo ambientale, e nella riduzione delle emissioni clima
alteranti in particolare. Questi strumenti possono essere ricondotti a
due principali tipologie:
• strumenti di tipo command and control (C&C);
• strumenti di mercato o market based instruments (MBI).
Nel primo gruppo rientrano gli standard che, nella versione più
semplice, impongono per legge un limite omogeneo sulla quantità di
8
Intervenire in campo ambientale richiede
una profonda conoscenza degli strumenti
a disposizione dei policy makers.
OECD Environment Directorate (2008).
4
note tematiche
una determinata sostanza inquinante che ciascuna fonte di emissione
può rilasciare.
Gli MBI hanno l’obiettivo di creare un prezzo per i gas serra (getting the
price right). Ciò si ottiene, principalmente, tramite tasse e permessi
negoziabili di emissione 9 (cap & trade), i primi definiscono il “prezzo”
attraverso l’aliquota fiscale i secondi mediante il prezzo che si genera
sui mercati in cui i permessi sono scambiati.
In particolare, la tassazione consiste nella prescrizione di una imposta
per ciascuna unità di emissione prodotta al fine di internalizzare i costi
sociali del danno marginale dell’inquinamento.
I permessi negoziabili, invece, intervengono dal lato delle quantità di
emissioni, facendo corrispondere ad ogni permesso una determinata
quantità di inquinante. In questo meccanismo le autorità competenti
definiscono il livello massimo di inquinamento consentito (cap)
rilasciando esattamente la quantità di permessi pari al livello di
emissioni desiderate; questi titoli possono poi essere liberamente
scambiati tra i vari soggetti (trade).
Con i permessi negoziabili le autorità definiscono la quantità e lasciano
al mercato il compito di fissare il costo dell’emissione; nel caso della
tassazione è vero il contrario. I permessi, quindi, danno certezza circa
il livello delle emissioni, ma non sul costo dell’abbattimento delle
emissioni. Le imposte, invece, hanno un esito opposto.
Dal punto di vista della loro applicabilità, le tasse sono di più facile
implementazione, poiché, hanno costi amministrativi più bassi, tuttavia i
permessi creano i presupposti per un futuro rafforzamento della politica
di abbattimento, dal momento che le imprese più virtuose, che
detengono permessi in eccesso rispetto agli obiettivi loro assegnati,
potranno vendere i titoli eccedenti sul mercato ottenendo un ritorno
economico sugli investimenti realizzati.
Rispetto al loro funzionamento le due tipologie di strumenti si
differenziano per il fatto che, mentre gli strumenti C&C impongono un
vincolo al comportamento degli emettitori, gli MBI creano un sistema di
incentivi in modo da orientare il comportamento degli agenti economici.
In particolare, questi ultimi consentono la creazione di un prezzo per la
CO2 che ha tre vantaggi principali: 1) induce gli emettitori a porre in
essere le opzioni di abbattimento dove esse sono meno costose; 2)
incentiva il settore privato ad accelerare la R&D e ad adottare
tecnologie più pulite, poiché crea l’aspettativa che in futuro emettere
sarà più costoso; 3) può generare entrate 10 che possono essere usate
per ridurre le imposte distorsive quali quelle sul lavoro o sul capitale
(doppio dividendo)
Gli strumenti di intervento possono essere
ricondotti principalmente a due tipologie:
command and control e market based
instruments.
SCEGLIERE GLI STRUMENTI ECONOMICI: EFFICIENZA E COSTI DELLE MISURE
9
Tra gli MBI rientrano anche i sussidi.
I permessi negoziabili, generano entrate solo se i diritti ad emettere sono messi
all’asta dalle autorità pubbliche, in questo caso vi è piena uguaglianza tra tasse e permessi dal
punto di vista delle entrate. Alternativamente il diritto ad emettere può essere concesso a titolo
gratuito, così come è avvenuto per l’ETS europeo, non generando entrate, ma riconoscendo un
incentivo ai soggetti a cui è stato imposto il target di riduzione.
10
5
note tematiche
Una volta definiti gli strumenti disponibili il policy maker deve disporre
di una serie di criteri con i quali scegliere, di volta in volta, lo strumento
più efficace.
Primo criterio: tipologia della sostanza inquinante e del soggetto
emettitore. Se il numero degli emittori è relativamente contenuto e di
facile individuazione gli strumenti di mercato assicurano il
perseguimento degli obiettivi in modo più efficiente. L’elevato numero
degli emittori, come nel caso del settore civile o dei trasporti individuali,
impone un elevato costo di definizione degli obiettivi di riduzione, di
coordinamento e di controllo. In questi casi l’intervento mediante
strumenti di C&C può risultare più efficiente.
Secondo criterio: efficacia rispetto al costo. Risponde alla necessità,
una volta stabilito l’obiettivo di riduzione, di allocare gli sforzi di questa
scelta in modo efficace rispetto al costo. In questa sede è utile
ricordare uno degli assunti principali dell’economia dell’ambiente:
affinché il costo, che deve essere sostenuto per ottenere una data
quantità di riduzione di inquinamento, sia minimo è necessario che il
costo marginale dell’abbattimento sia uguale per ciascuna fonte di
emissione. I tre strumenti (standard, tassazione e permessi negoziabili)
possono essere analizzati alla luce del criterio dell’efficacia rispetto al
costo. La tassazione e gli strumenti negoziabili consentono di
perseguire gli obiettivi di riduzione minimizzando i costi di abbattimento
complessivi. L’imposizione di uno standard uniforme, invece, non
consente il raggiungimento degli obiettivi al costo minimo.
Terzo criterio: costo da sostenere in caso di errori. In condizioni di
incertezza quando non si hanno a disposizione informazioni precise sui
costi di abbattimento e sui benefici, in termini di danni evitati,
dell’intervento non è possibile a priori stabilire quale strumento
utilizzare, ma si deve procedere caso per caso. Da un punto di vista
teorico, se i danni collegati al mancato intervento sono molto elevati
sarebbe opportuno procedere con strumenti che definiscono le quantità
di emissione (permessi negoziabili e standard). Se, invece, l’incertezza
è legata all’ammontare dei costi connessi con le misure di abbattimento
dell’inquinamento allora sarebbe preferibile agire mediante tassazione.
Quarto criterio: il progresso tecnologico. Gli MBI garantiscono una
struttura di incentivi allo sviluppo e all’adozione di tecnologie climatefriendly più efficiente rispetto agli strumenti di C&C. Anche tra gli
strumenti di mercato, tasse e permessi negoziabili, è possibile
individuare delle differenze sulla base di questo criterio. L’introduzione
di una nuova tecnologia che riduce i costi di abbattimento in un sistema
basato sui permessi avrebbe come conseguenza la riduzione del
prezzo dei permessi e un livello di emissioni invariato, poiché è stabilito
a priori. Nel caso di un sistema a tassazione, invece, la nuova
tecnologia abbassando il costo marginale di abbattimento indurrebbe le
fonti di emissione ad inquinare di meno.
Da questa breve disamina delle tipologie di strumenti di intervento e
delle loro caratteristiche si evince che, allo stato attuale, non è
possibile affidarsi ad un unico strumento di politica economica
applicandolo a tutti settori inquinati, bensì è consigliabile utilizzare più
strumenti contemporaneamente.
La scelta degli strumenti deve essere
effettuata applicando dei criteri di
efficacia ed efficienza. Tuttavia è sempre
più importante individuare un corretto
mix di politiche di intervento piuttosto
che un solo strumento.
6
note tematiche
Un recente studio dell’OCSE 11 - basato su casi studio relativi a 5 aree
di intervento ambientale in alcuni Paesi membri - ha analizzato gli
impatti dell’utilizzo combinato di diversi strumenti di politica ambientale
rispetto al caso in cui essi siano applicati in maniera isolata.
Le motivazioni a favore dell’applicazione di un mix di strumenti, che
scaturiscono dall’analisi, sono molteplici:
1) molti problemi ambientali non hanno carattere univoco, ma
caratteristiche comuni;
2) con più strumenti si riduce l’incertezza legata ai costi di
compliance;
3) in tal modo si può contemporaneamente agire anche su
obiettivi di policy non strettamente ambientali;
4) molti strumenti si rafforzano a vicenda.
Stabilita la convenienza ad usare più strumenti contemporaneamente,
la messa a punto del corretto mix di politiche di intervento è cruciale
per perseguire la mitigazione e l’adattamento agli impatti generati dal
cambiamento climatico. Una volta definito l’obiettivo di abbattimento,
particolare attenzione dovrà essere posta nella definizione degli
strumenti che possono garantire una più elevata flessibilità nel
raggiungimento dei target.
L’interazione delle differenti politiche necessita di essere attentamente
considerata poiché, in alcuni casi il mix di strumenti si rafforza
reciprocamente, in altri casi, invece, si limitano a vicenda. Ciò che è
importante evitare in questo caso è:
- che venga limitata la flessibilità che necessita al policy maker
per ricercare le soluzioni meno onerose,
- che aumentino i costi amministrativi riducendo l’efficienza
dell’intervento.
Tenuto conto di questi accorgimenti lo studio dell’OCSE formula alcune
raccomandazioni su come valutare il giusto mix di politiche e strumenti
ambientali ed eventualmente intervenire per migliorarlo. In particolare il
policy maker deve mantenere un attento equilibrio tra benefici legati ai
miglioramenti dell’ambiente ed i costi per la società attraverso una
attenta valutazione dei target da raggiungere. A questo proposito
l’analisi ex ante degli strumenti può essere di aiuto, ma va
accompagnata anche da una revisione ex post dei risultati.
Alla luce delle esperienze analizzate possono trarsi alcune conclusioni
generali sull’opportunità di utilizzare un mix di strumenti:
1) dal punto di vista dell’efficacia ambientale e dell’efficienza
economica gli strumenti da applicare devono affrontare i
problemi nella maniera più ampia possibile;
2) al fine di sfruttare al meglio la capacità delle politiche di
rafforzarsi a vicenda, andrebbero utilizzati gli strumenti che
presentano maggiore flessibilità;
3) la compatibilità tra gli strumenti va ricercata, ma soprattutto va
evitato che essi si sovrappongano;
4) evitare di affrontare fallimenti di mercato di natura non
ambientale con strumenti e incentivi mutuati dalla politica
ambientale.
Le conclusioni cui giunge lo studio dell’OCSE devono essere valutate
all’interno di un quadro nazionale ed internazionale che è sempre più
11
OECD (2007).
7
note tematiche
complesso e che richiede l’applicazione di politiche i cui effetti si
dispiegano su di una platea di attori e di interessi in continua
evoluzione.
Di seguito vedremo come l’Europa da una parte e la comunità
internazionale dall’altra stanno cogliendo la sfida del giusto mix di
interventi per mitigare i cambiamenti climatici.
GLI STRUMENTI DI MERCATO NELLA POLITICA EUROPEA
Il dibattito sull’uso degli strumenti di mercato ai fini della politica
ambientale è stato avviato a livello europeo nel 2006. Il nucleo di
queste riflessioni si ritrova nel “Green Paper on market based
instruments for environmental and energy related policy purposes”
presentato dalla Commissione 12 per sollecitare una riflessione riguardo
l’opportunità di un ricorso più esteso a questo tipo di strumenti
nell’ottica della efficienza energetica, della lotta ai cambiamenti
climatici, della lotta all’inquinamento atmosferico, della protezione della
biodiversità e delle risorse naturali, della prevenzione dell’inquinamento
ambientale.
Il Green Paper presentato a marzo 2006 costituisce il documento di
riflessione principale dal quale è scaturita la più ampia strategia
comunitaria in materia di energia e cambiamenti climatici avviata nel
2007 (vedi pgf. Successivi).
La disamina condotta nel Green Paper dimostra che l’utilizzo degli
strumenti di mercato consente di perseguire gli obiettivi di politica
energetica e ambientale correggendo i fallimenti del mercato in modo
efficace rispetto ai costi, mentre la loro flessibilità permette di ridurre i
costi legati alla tutela ambientale.
Tuttavia, si sottolinea anche che essi non possono essere considerati
una panacea per tutti i problemi. Come già dimostrato, è, infatti,
necessario distinguere tra i vari tipi di strumenti economici in base ai
benefici ad essi collegati ma anche ai potenziali costi.
Oltre a ciò va anche considerato il quadro regolatorio entro cui essi
vengono inseriti. Il Green paper della Commissione riprende il dibattito
circa i criteri per stabilire la tipologia di strumento da utilizzare ed
evidenzia in modo particolare il punto relativo al gettito prodotto dagli
strumenti di mercato e al suo possibile utilizzo.
Il Green Paper contiene una analisi molto dettagliata su come l’uso di
strumenti di mercato può facilitare il raggiungimento degli obiettivi
ambientali a livello comunitario, soffermandosi su alcune politiche che
investono sia la sfera ambientale che quella economica. Di seguito se
ne elencano le principali.
Il dibattito aperto dalla Commissione
europea
rivela
l’importanza
degli
strumenti di mercato nelle politiche
ambientali.
a. La riforma ambientale della tassazione per aumentare la
crescita e l’occupazione
L’agenda di Lisbona, che ha indicato agli Stati membri la crescita e
l’occupazione come gli obiettivi cruciali per aumentare la competitività
dell’Unione Europea, può trovare nella politica ambientale degli
strumenti efficaci per la sua realizzazione. In particolare, riformare la
12
European Commission (2006).
8
note tematiche
tassazione in senso ambientale spostando l’onere fiscale da tasse
welfare-negative (es. le tasse sul lavoro) a tasse welfare-positive (ad
esempio tasse su attività inquinanti) potrebbe essere una alternativa
percorribile per affrontare contemporaneamente problemi ambientali e
occupazionali.
Si tratta del meccanismo del “doppio dividendo” su cui si basano gran
parte delle riforme fiscali ambientali. Le tasse ambientali possono,
infatti, essere implementate in modo da perseguire un doppio risultato:
ridurre le esternalità ambientali negative (first dividend) e, con gettito
fiscale addizionale, consentire la riduzione delle tasse distorsive, come
quelle sul lavoro (second dividend).
Ciò potrebbe anche aiutare a ridurre gli effetti negativi sulla
competitività di alcune tasse ambientali che gravano solo su settori
specifici. Tali effetti sarebbero ulteriormente ridotti da una azione
coordinata a livello comunitario piuttosto che da misure unilaterali
adottate da singoli Paesi membri.
b. La riforma dei sussidi nocivi all’ambiente
I sussidi - intesi come il risultato di una azione del Governo che
conferisce un vantaggio a produttori o consumatori, al fine di
supportare i loro redditi o ridurre i loro costi - sono spesso ritenuti
inefficienti, sia dal punto di vista economico che sociale. Questa
assunzione va, tuttavia, calata nei diversi contesti settoriali e nazionali
per misurare di volta in volta l’efficacia o la negatività di tali strumenti.
Nel contesto delle politiche ambientali, in particolare, i sussidi possono
anche controbilanciare negativamente gli effetti di altri strumenti di
mercato oltre che incidere sulla competitività. In tal senso anche
13
l’OCSE , nel definire i sussidi nocivi per l’ambiente, considera tali tutte
le misure di supporto (finanziarie o regolatorie) adottate per aumentare
la competitività di alcuni prodotti, processi o regioni e che, insieme al
regime fiscale, indeboliscono indirettamente le politiche di tutela
ambientale.
In particolare, un sussidio risulta nocivo per l’ambiente se esso genera
una maggiore quantità di rifiuti/emissioni rispetto a quante se ne
avrebbero in assenza di queste misure di supporto. Di conseguenza i
benefici che deriverebbe dalla rimozione di tali sussidi risulterebbero
maggiori rispetto ai costi.
Inoltre, l’impatto ambientale di un sussidio non è immediatamente
identificabile dati i complessi meccanismi che questi avviano e
soprattutto non è sempre possibile stabilire un collegamento diretto tra
il volume, la natura dei sussidi e l’impatto sull’ambiente.
Tuttavia, i molteplici studi che sono stati condotti su questi legami
mostrano come la rimozione del sussidio ha avuto sempre un effetto
positivo sull’ambiente, in particolare quando essi impattano sugli inputs
dei processi produttivi. È questo il caso, ad esempio, di sussidi che
inducono ad utilizzare più energia o più acqua nella produzione di beni.
c.
13
L’applicazione degli strumenti di mercato alle politiche
energetiche. Semplificazione e ulteriore sviluppo della Direttiva
sulla tassazione dei prodotti energetici
OECD (2005).
9
note tematiche
Attualmente, ¾ delle entrate da tasse ambientali nei 25 Paesi membri
viene da tasse sui prodotti energetici 14 . Queste ultime combinano il
ruolo incentivante della tassazione in favore di consumi energetici più
efficienti e sostenibili, con la capacità di generare delle entrate.
Per questa ragione il Green Paper afferma la necessità di rivedere
attentamente la Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, il
principale strumento esistente a livello comunitario per definire i principi
per la tassazione dei consumi energetici, integrando obiettivi ambientali
con quelli di corretto utilizzo dell’energia. Questa Direttiva si fonda su
un approccio generale e flessibile che non sempre permette di legare
in maniera chiara la tassazione energetica agli obiettivi rilevanti delle
politiche comunitarie.
Tra le alternative possibili, nel processo di revisione della Direttiva, la
Commissione propone di dividere la soglia minima di tassazione, che è
fissata a livello comunitario, in una parte ambientale ed una energetica.
Ciò si rifletterebbe, a livello nazionale, in una tassa sui prodotti
energetici ed una tassa sulle emissioni: in pratica tutti i combustibili
dovrebbero essere tassati in maniera uniforme in base al loro
“contenuto energetico”, mentre la differenziazione si avrebbe nella fase
successiva quando si va a considerare l’aspetto ambientale e cioè il
loro apporto al livello di emissioni di GHG durante la fase di
combustione.
Il Commission Staff Working Document che accompagna il Libro Verde
analizza più in dettaglio gli effetti dell’impiego degli strumenti di
mercato sulla competitività, esplicitando come il loro il loro utilizzo
comporti, nel breve periodo, l’aumento dei costi di produzione per le
imprese di alcuni settori. Dall’analisi emerge, però, come nel lungo
periodo degli strumenti di mercato possono fornire nuove opportunità
per altri settori.
L’APPLICAZIONE DEGLI STRUMENTI DI POLITICA AMBIENTALE NEGLI ACCORDI
INTERNAZIONALI
Il Protocollo di Kyoto
Nel 1992 veniva firmata a New York da 189 Paesi la “Convenzione
Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici” (CQNUCC), il
primo trattato internazionale riferito specificatamente a tali
cambiamenti. Ancora più rilevante, date le implicazioni istituzionali e
politiche che ne sono scaturite, è stato, però, lo strumento attuativo che
la accompagnava: il Protocollo di Kyoto, adottato nel dicembre 1997
nel corso della Terza Sessione della Conferenza delle Parti (COP3) sul
clima.
Con tale Protocollo i Paesi industrializzati e le economie in transizione
si sono accordati per la definizione di obiettivi di emissione legalmente
vincolanti.
In particolare, esso stabilisce per i Paesi industrializzati e per i Paesi
con economie in transizione 15 (cd. Paesi dell’Annex I) - sulla base del
principio di “comuni, ma differenziate responsabilità” - obiettivi di
14
15
OECD Environment Directorate (2008).
Per economie in transizione si intendono i Paesi dell’Est europeo.
10
note tematiche
riduzione di sei gas-serra: l’anidride carbonica (CO2); il metano; il
protossido di azoto; gli idrofluorocarburi; i perfluorocarburi; l’esafluoruro
di zolfo.
Il Protocollo impegna i due gruppi di Paesi a ridurre complessivamente
del 5,2 per cento, nel periodo 2008 – 2012, le principali emissioni La dimensione internazionale delle
antropogeniche di gas capaci di alterare l’effetto serra naturale del politiche ambientali ed i vincoli del
Protocollo di Kyoto .
nostro pianeta (soprattutto anidride carbonica). L’anno di riferimento
per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990, mentre per i
rimanenti tre è possibile scegliere tra il 1990 ed il 1995.
A ciascun Paese è assegnato un obiettivo di abbattimento individuale.
Il Protocollo di Kyoto rappresenta una milestone della politica
energetica ed ambientale anche per l’Unione Europea in quanto
vincola al perseguimento di un obiettivo comune le politiche degli Stati
membri, sancisce l’integrazione delle politiche energetiche ed
ambientali e individua i meccanismi con i quali perseguire la riduzione
dei gas serra.
L’UE si è impegnata a ridurre complessivamente dell’8% le emissioni di
gas clima-alteranti entro il 2012, rispetto ai livelli del 1990, mentre
all’Italia è stato assegnato un obiettivo di riduzione del 6,5%.
Per conseguire i target di abbattimento il Protocollo prevede che gli
Stati utilizzino due tipi di intervento: 1) politiche e misure; 2)
meccanismi flessibili.
Per “politiche e misure” si intendono tutti gli interventi o programmi
previsti dallo Stato per migliorare l’efficienza energetica, incrementare
le fonti energetiche rinnovabili, migliorare la mobilità nelle città e
l’efficienza del settore residenziale, ridurre i consumi energetici etc.
I “meccanismi flessibili” sono invece specifici strumenti di mercato volti
ad agevolare gli impegni dei Paesi e sono stati identificati in:
-
-
International Emission Trading (ITE): consente alle imprese e
agli Stati di scambiare permessi d’emissione (Assigned
Amount Units AAUs) al fine di raggiungere gli obiettivi
assegnati. Ad esempio, uno Stato che ha abbattuto le
emissioni oltre il proprio target può vendere i titoli in eccesso
ad altri Paesi.
Joint Implementation (JI) art. 6: permette alle imprese dei
Paesi con vincoli di emissione, Annex I del Protocollo di Kyoto,
di contabilizzare l’abbattimento delle emissioni realizzato
mediante progetti posti in essere in altri Stati che fanno parte
dell’Annex I. I progetti JI sono "operazioni a somma zero" in
quanto le emissioni totali consentite nei due Paesi rimangono
le stesse. Lo scopo del meccanismo di JI è di ridurre il costo
complessivo dell'adempimento degli obblighi di Kyoto
incentivando l'abbattimento delle emissioni lì dove è
economicamente più conveniente. Le emissioni evitate dalla
realizzazione dei progetti generano crediti di emissioni o ERUs
(Emissions Reduction Units) che possono essere utilizzati per
l'osservanza degli impegni di riduzione assegnati. Poiché la JI
coinvolge Paesi che hanno dei limiti alle emissioni, i crediti
11
note tematiche
-
generati dai progetti sono sottratti dall'ammontare di permessi
di emissione inizialmente assegnati al Paese ospite (AAUs) 16 .
Clean Development Mechanism (CDM) art. 12: permette alle
imprese dei Paesi industrializzati con vincoli di emissione di
realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di
gas serra nei Paesi in via di sviluppo senza vincoli di
emissione. Lo scopo di questo meccanismo è duplice; da una
parte permette ai Paesi in via di sviluppo di disporre di
tecnologie più pulite ed orientarsi sulla via dello sviluppo
sostenibile; dall'altra permette l'abbattimento delle emissioni lì
dove è economicamente più conveniente. Le emissioni evitate
dalla realizzazione dei progetti generano crediti di emissioni o
CERs (Certified Emission Reductions) 17 che potranno essere
utilizzati per l'osservanza degli impegni di riduzione assegnati.
Dal Protocollo di Kyoto derivano obblighi vincolanti per le Parti
firmatarie, il che impone ai Paesi di raggiungere i target assegnati: in
caso contrario essi dovranno acquistare AAUs, CERs e ERUs per un
ammontare pari alla distanza dall’obiettivo. Allo stato attuale l’Italia ha
predisposto due fondi presso la Banca Mondiale con i quali prevede di
acquistare crediti di emissioni derivanti da progetti CDM e JI.
L’accordo internazionale post Kyoto
Nel 2012 si concluderà il primo periodo di impegno previsto dal
Protocollo di Kyoto. Il secondo periodo, che si aprirà da quel momento,
si presenta come una occasione per accelerare l’attuazione delle
politiche esistenti ed esaminare i risultati ottenuti al fine di individuare
altre soluzioni per abbattere le emissioni in maniera economicamente
efficace.
Allo scopo di determinare il nuovo processo negoziale, che potrà
portare alla definizione di un accordo post Kyoto con calendari precisi
di impegni a livello globale, le Nazioni Unite hanno riunito a Bali la 13°
Conferenza delle parti sui cambiamenti climatici (COP 13) che si è
tenuta dal 3 al 15 dicembre 2007.
La conferenza Indonesiana ha avuto come principale risultato
l’adozione della Bali Roadmap con la quale si stabilisce il percorso che
porterà, nel 2009, alla conferenza di Copenaghen (COP15) dove
saranno definiti gli impegni post 2012. La Roadmap è stata sottoscritta
anche da Paesi quali gli Stati Uniti, la Cina e l’India che non avevano
firmato il Protocollo di Kyoto, ma il cui contributo è indispensabile per
conseguire gli obiettivi di riduzione delle GHG.
16
Un'azienda privata o un soggetto pubblico possono realizzare un progetto di riduzione delle
emissioni in un altro Paese. La differenza fra la quantità di gas serra emessa con la
realizzazione del progetto e quella che sarebbe stata emessa senza la realizzazione del
progetto è considerata un'emissione evitata e viene accreditata sotto forma di ERUs. I crediti
ERUs possono poi essere venduti sul mercato o accumulati.
17
Un'azienda privata o un soggetto pubblico possono realizzare un progetto di riduzione delle
emissioni in un Paese in via di sviluppo. La differenza fra la quantità di gas serra emessa
realmente e quella che sarebbe stata emessa senza la realizzazione del progetto è considerata
emissione evitata ed accreditata sotto forma di CERs. I crediti CERs possono poi essere venduti
sul mercato e/o accumulati.
12
note tematiche
In base a quanto stabilito a Bali, nei prossimi due anni le Parti
concorderanno su “appropriati impegni nazionali di mitigazione
misurabili, verificabili e riferibili, inclusi obiettivi quantificati di limitazione
e riduzione delle emissioni, assicurando la comparabilità degli sforzi tra
i Paesi sviluppati e tenendo conto delle differenze nazionali” 18 .
Inoltre, sono stati definiti i meccanismi per rendere più robusto il
processo di trasferimento tecnologico e assistenza finanziaria ai Paesi
in via di sviluppo e per avviare la riduzione delle emissioni da
deforestazione. Questi strumenti dovrebbero garantire una più equa
suddivisione degli sforzi tra gli Stati spingendo, così, i Paesi in via di
sviluppo ad aderire al nuovo accordo.
IL NUOVO QUADRO EUROPEO
Con l’adozione del Protocollo di Kyoto nel 1997 e con il successivo
Libro verde sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico del
2000 comincia a delinearsi una strategia europea organica e
complessiva in materia di ambiente ed energia.
Al Libro Verde del 2000 seguono, nel 2005, quello sull’efficienza
energetica e, nel 2006, quello sull’energia sostenibile, via via sempre
più attenti alla dimensione della domanda e alle concrete modalità del
suo indirizzo e della sua gestione.
Come ricordato in precedenza, dopo il Green Paper sugli strumenti di
mercato, è nel corso del 2007 che l’Unione Europea ha intensificato le
azioni per l’adozione di misure sempre più ambiziose al fine di
fronteggiare le sfide energetiche ed ambientali.
Nel gennaio del 2007 la Commissione ha dato il via ad una Strategia
europea di lungo periodo che si è concretizzata nel Pacchetto energia
e cambiamenti climatici - che comprende anche una Strategic Energy
Review – focalizzato su una serie di obiettivi: energie rinnovabili,
biocarburanti, efficienza energetica e riduzione delle emissioni. Nel
Pacchetto la Commissione ha invitato il Consiglio e il Parlamento
europeo ad approvare:
- un impegno unilaterale dell’UE a ridurre di almeno il 20% le
emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, e
l’obiettivo di ridurre le emissioni del 30% entro il 2020 a
condizione che venga concluso un accordo internazionale sui
cambiamenti climatici;
- un obiettivo vincolante per l’UE di produzione del 20% di
energia da fonti rinnovabili entro il 2020, compreso un obiettivo
del 10% per i biocarburanti.
In virtù di queste percentuali le proposte della Commissione sono state
definite come “Strategia del 20-20-20.
Gli obiettivi in essa contenuti sono stati dettagliati in una serie di
19
Comunicazioni , con le quali l’Europa si propone come soggetto
Il nuovo ruolo dell’Unione Europea nelle
sfide ai cambiamenti climatici.
18
"Measurable, reportable and verifiable nationally appropriate mitigation commitments or
actions, including quantified emission limitation and reduction objectives, by all developed
country parties, while ensuring the comparability of efforts among them, taking into account
differences in their national circumstances".
19
In particolare, si tratta di tre distinte Comunicazioni così intitolate “An energy policy for
Europe”, “Limiting Global Climate Change to 2 degrees Celsius -The way ahead for 2020 and
13
note tematiche
trainante di un nuovo approccio alla lotta ai cambiamenti climatici a
livello globale.
La Strategia è stata approvata dal Parlamento europeo e dai capi di
Stato e di governo dei Paesi Membri in occasione del Consiglio
europeo del marzo 2007 20 , nelle cui conclusioni si enuncia la necessità
di integrare la politica energetica ed ambientale al fine di:
- aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico;
- garantire la competitività delle imprese europee e la
disponibilità di energia a prezzi accessibili;
- promuovere la sostenibilità ambientale e contrastare il
cambiamento climatico.
Il Consiglio ha quindi invitato la Commissione a presentare proposte
concrete, in particolare sulle modalità di ripartizione dello sforzo tra gli
Stati membri per il conseguimento degli obiettivi.
Per dare attuazione a tali richieste la Commissione ha adottato una
importante serie di proposte legislative, in cui sono definiti obiettivi
ambiziosi e vincolanti da raggiungere entro il 2020. Più in dettaglio, tali
proposte legislative si compongono di:
- una proposta di modifica della Direttiva sul sistema comunitario
di scambio delle quote di emissione (ETS);
- una proposta di decisione relativa alla ripartizione degli sforzi
da intraprendere per adempiere all’impegno comunitario a
ridurre unilateralmente le emissioni di gas serra in settori non
rientranti nel sistema comunitario di scambio delle quote di
emissione (come i trasporti, l’edilizia, i servizi, i piccoli impianti
industriali, l’agricoltura e i rifiuti);
- una proposta di Direttiva sulla promozione delle energie
rinnovabili.
L’interconnessione tra questi tre strumenti legislativi è chiaro: la
Commissione europea immagina i vari elementi come complementari
poiché il potenziamento di un sistema di emission trading potrà avviare
un processo di “decarbonizzazione” dell’economia e la Direttiva
sull’energia rinnovabile potrà creare le condizioni affinché questa
assuma un ruolo centrale nel perseguimento degli obiettivi di
abbattimento delle GHG.
Del Pacchetto fanno inoltre parte una proposta relativa alla disciplina
giuridica della cattura e dello stoccaggio del carbonio (Carbon Capture
& Storage - CCS), una comunicazione sulle attività di dimostrazione in
materia di cattura e stoccaggio del carbonio e la nuova disciplina
comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale.
Come sottolineato dalla Commissione, tali misure contribuiscono ad
accrescere il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili in tutti i Paesi
imponendo ai governi obiettivi giuridicamente vincolanti; inoltre grazie
alla riforma del sistema di scambio delle quote di emissione, tutti i
principali responsabili delle emissioni di CO2 saranno incoraggiati a
sviluppare tecnologie produttive pulite.
Dopo un anno di intensi negoziati il Consiglio Europeo di dicembre
2008 ha approvato il Pacchetto clima-energia al quale anche il
Parlamento ha dato il via libera definitivo nella seduta del 17 dicembre,
Le proposte di direttive adottate dalla
Commissione nel 2008.
beyond” e “Renewable Energy Road Map -Renewable energies in the 21st century: building a
more sustainable future”.
20
Consiglio europeo di Bruxelles 8-9 marzo 2007, Conclusioni della Presidenza.
14
note tematiche
come previsto dalla procedura di codecisione,e nel marzo del 2009
durante il Consiglio Europeo verrà ratificato formalmente dai Capi di
Stato.
Di seguito vengono analizzati nello specifico le tre principali misure
legislative che compongono il Pacchetto.
I) Modifica della Direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per
lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella
Comunità
Scopo del provvedimento
Il 13 ottobre 2003 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno approvato
la Direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema di scambio di quote di
emissione dei gas a effetto serra all'interno dell'Unione Europea al fine
di favorire la riduzione delle emissioni di tali gas all’insegna
dell’efficacia dei costi e dell’efficienza economica.Tenuto conto del
successivo impegno assunto nel 2007 dal Consiglio europeo 21 di
abbattere le emissioni complessive di gas serra della Comunità di
almeno il 20% entro il 2020, anche la modifica della Direttiva del 2003
doveva necessariamente contribuire a questo ambizioso obiettivo
perfezionando ed estendendo il sistema comunitario di scambio delle
quote di emissione.
Sulla base del compromesso raggiunto a dicembre 2008 la Direttiva
modificata, che si applicherà dal 2013 al 2020, ridurrà le quote di
emissione del 21% nel 2020 rispetto ai livelli del 2005.
A tal fine il numero di permessi concessi ogni anno nell'UE si ridurrà in
maniera lineare - a partire dall’anno intermedio del periodo 2008-2012 in modo da portare a una diminuzione del livello globale di emissioni
ogni anno.
Ogni anno le quote dovrebbero diminuire dell’1,74% rispetto alle quote
rilasciate dagli Stati membri in conformità delle decisioni della
22
Commissione sui piani nazionali di assegnazione per il 2008-2012 .
L’ambito di applicazione della Direttiva 2003/87/CE verrà esteso ai
seguenti settori e alle seguenti tipologie di emissione:
- le emissioni di CO2 dell’industria petrolchimica, dell’ammoniaca e
dell’alluminio;
- le emissioni di N2O derivanti dalla produzione di acido nitrico, adipico
e gliossilico;
- le emissioni di PFC del settore dell’alluminio.
L’assegnazione delle quote di emissione
Nella nuova Direttiva viene superato, dal 2013, il metodo di
assegnazione delle quote mediante i piani nazionali (PNA), e si
passerà all’assegnazione a livello comunitario con l’adozione di un
“tetto comunitario” per le emissioni del periodo 2013-2020;
successivamente vi sarà l'assegnazione delle quote ai singoli impianti
sulla base di regole uniformi.
21
Conclusioni del Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo 2007 a Bruxelles.
Tale contributo equivale appunto ad una riduzione delle emissioni nell’ambito del sistema
comunitario, nel 2020, del 21% rispetto ai livelli del 2005.
22
15
note tematiche
Il quantitativo comunitario di quote per il 2013 dovrà essere pubblicato
dalla Commissione (entro il 30 giugno 2010) basandosi sulle quote
totali che sono state o saranno rilasciate dagli Stati membri in base ai
piani nazionali di assegnazione 2008-2012.
Per quanto attiene al criterio generale di assegnazione delle quote affinché il sistema funzioni con la massima efficienza economica e
secondo condizioni di assegnazione totalmente armonizzate all’interno
della Comunità - si prevede il passaggio ad un sistema di aste a partire
dal 2013. Tale criterio sarà comunque soggetto ad una serie di
eccezioni settoriali.
In particolare, le aste verranno introdotte progressivamente nel settore
manifatturiero che si vedrà attribuire l'80% delle quote a titolo gratuito
nel 2013. Questa percentuale sarà via via ridotta fino al 30% entro il
2020 per giungere, nel 2027, a un sistema totalmente basato sulle
aste.
Gli Stati membri il cui reddito procapite risulta sensibilmente inferiore
alla media comunitaria e le cui economie stanno recuperando un
ritardo rispetto a quelli più prospere beneficeranno di maggiori quote
da poter scambiare, a tal fine:
- l'88% del quantitativo totale (comunitario) delle quote da mettere
all’asta sarà distribuito tra gli Stati membri in funzione della
rispettiva percentuale di emissioni verificate, nell’ambito del
sistema comunitario, per il 2005 o la media del periodo 2005-2007
(a seconda di quale periodo registri le emissioni più elevate);
- il 10% del quantitativo totale di quote messe all’asta è distribuito
23
tra alcuni Stati membri sulla base del principio di solidarietà e ai
fini della crescita nella Comunità;
- il restante 2% è distribuito tra gli Stati membri le cui emissioni nel
2005 risultavano inferiori almeno del 20% rispetto al 1990.
Questi criteri di ripartizione delle quote da mettere all’asta sono stati
criticati da molti dei Paesi dell’EU15, poiché si configurano come
trasferimenti netti verso i Paesi beneficiari. Infatti, alcuni Paesi avranno
quote addizionali da mettere all’asta, rispetto ad altri SM, con un
beneficio netto per le proprie imprese.
Competitività e meccanismi flessibili
Le eccezioni (sotto forma di esclusioni/deroghe al sistema delle aste)
contemplate dalla Direttiva sono state fortemente volute dal Consiglio
su pressione dei maggiori Stati membri, principalmente per ovviare al
rischio di carbon leakage 24.
La distribuzione di tale 10% avverrà sulla base dei livelli di reddito pro capite nel 2005 e delle
prospettive di crescita degli Stati membri e sarà più elevata per gli Stati membri con bassi livelli
di reddito pro capite ed elevate prospettive di crescita. All’Italia è stato assegnato il 2% di questo
10%.
24
Si verifica il carbon leakage quando, l’introduzione di misure volte ad abbattere le emissioni di
gas serra rischiano di aumentare i costi di produzione delle imprese dei Paesi che le hanno
poste in essere, minandone la competitività internazionale e spingendole a dislocare la
produzione verso quei Paesi che non hanno adottato tali misure . Da ciò deriva il fenomeno della
cosiddetta rilocalizzazione delle emissioni, ovvero l'incremento delle emissioni di gas a effetto
serra nei Paesi terzi nei quali l’industria non dovesse essere soggetta a vincoli comparabili in
termini di carbonio.
23
16
note tematiche
Rientrano in tali eccezioni anche i settori e sottosettori comunitari ad
alta intensità energetica che operano in un regime di concorrenza
internazionale e che potrebbero subire uno svantaggio sotto il profilo
economico.
A tal fine i settori a rischio sono stati circoscritti individuando un criterio
condiviso a livello di Unione Europea. Un settore è considerato a
rischio elevato se:
a) l'applicazione della Direttiva comporta un aumento dei costi, diretti e
indiretti, pari al 5% rispetto al Valore Aggiunto,
e
b) se il valore complessivo delle sue esportazioni e delle sue
importazioni diviso per quello del volume d'affari e delle importazioni
25
raggiunge la soglia del 10% .
Se, invece, i costi diretti e indiretti generati dall’implementazione della
Direttiva superano il 30% del Valore Aggiunto non è necessario il
rispetto del criterio della trade intensity.
In tali casi, fino a che non sarà concluso un accordo internazionale,
questi settori potranno ricevere il 100% di quote gratuite fino al 2020.
A ciò si aggiunge l’esclusione dal sistema ETS dei piccoli impianti che
hanno comunicato all'autorità competente emissioni per un valore
inferiore a 25.000 tonnellate di CO2 equivalente e che, nei casi in cui
effettuano attività di combustione, hanno una potenza termica
nominale inferiore a 35 MW, escluse le emissioni da biomassa. A
condizione, però, che a questi impianti si applichino misure finalizzate
ad ottenere un contributo equivalente alle riduzioni delle emissioni.
E' previsto che, entro il 31 dicembre 2009 la Commissione individui i
settori o i sotto-settori delle industrie ad alta intensità energetica che
potrebbero essere esposti ad una rilocalizzazione delle emissioni. Essa
dovrà inoltre analizzare le conseguenze, per la distribuzione del
quantitativo di quote da mettere all'asta tra Stati membri, della
concessione di quote gratuite aggiuntive ai settori industriali esposti al
rischio di perdita di competitività.
Per quanto riguarda l’utilizzo dei proventi delle aste, la versione finale
di compromesso è frutto di un dibattito che ha visto l'opposizione di
diversi Stati membri alla imposizione di un vincolo di destinazione
(earmarking).
Fermo restando che spetta agli Stati membri stabilire l'uso dei proventi
della vendita all'asta di quote, nel testo finale si stabilisce il principio
26
secondo cui almeno il 50% degli introiti derivanti dall’asta debba
essere destinato, tra l'altro, all’abbattimento delle emissioni dei gas a
effetto serra, all’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici, al
finanziamento delle attività di ricerca e sviluppo sulla riduzione delle
emissioni e sull’adattamento, allo sviluppo delle energie rinnovabili,
nonché ad aumentare l’efficienza energetica.
Infine, per quanto riguarda l’impiego dei crediti CER e ERU da parte
delle singole imprese a partire dal 2013, questi potranno essere
utilizzati per raggiungere gli obiettivi assegnati, ma saranno soggetti a
numerosi limiti. In particolare non più del 50% delle riduzioni delle
emissioni comunitarie durante il periodo 2008-2020 potranno essere
ottenute da questi crediti.
25 E’ il
26
cosiddetto criterio della trade intensity
O l'equivalente in valore di tali entrate.
17
note tematiche
II) Decisione concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre
le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli
impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di
gas ad effetto serra entro il 2020
Scopo del provvedimento
L’obiettivo di questa Decisione è quello di determinare il contributo
minimo di ciascuno Stato Membro al raggiungimento dei target di
riduzione delle emissioni per il periodo 2013-2020, per quei settori che
non rientrano nella Direttiva EU ETS (trasporto stradale e marittimo,
edilizia, servizi, agricoltura e piccoli impianti industriali). A questi settori
è richiesto uno sforzo di riduzione, a livello comunitario, pari al 10%
rispetto ai livelli delle emissioni del 2005, in modo da contribuire
all'obiettivo comunitario di riduzione del 20% entro il 2020. Qualora sia
definito un nuovo accordo internazionale si prevede di rimodulare gli
impegni assegnati agli Stati, in accordo con la Direttiva sull’ETS. Il
coordinamento tra i due strumenti legislativi, Direttiva ETS e Decisione
sull’effort sharing, rappresenta il punto nodale per il raggiungimento
degli obiettivi di riduzione perseguendo il principio dell’efficienza
rispetto al costo.
Criteri per la ripartizione degli impegni
La Commissione nel ripartire gli sforzi di riduzione tra i singoli Stati
(effort sharing) sostiene di aver utilizzato il principio di solidarietà
coniugandolo con la necessità di garantire una crescita economica
sostenibile. Questo ha spinto la Commissione ad adottare come criterio
per l’effort sharing il PIL pro-capite abbandonando così il criterio del
“potenziale” di riduzione. Quest’ultimo, sempre sostenuto dall’Italia,
garantiva il raggiungimento degli obiettivi di riduzione minimizzando i
costi di abbattimento, mentre il PIL pro capite rappresenta, in questo
contesto, la capacità degli Stati di effettuare investimenti.
Nella visione del Consiglio e del Parlamento “gli Stati membri che
hanno attualmente un PIL pro capite relativamente basso e dunque
grandi aspettative di crescita del PIL dovrebbero essere autorizzati ad
aumentare le loro emissioni di gas a effetto serra rispetto al 2005, ma
dovrebbero limitare tale aumento in modo da contribuire all’impegno di
riduzione generale delle emissioni assunto dalla Comunità. Gli Stati
membri che attualmente vantano un PIL pro capite relativamente
elevato dovrebbero ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra
rispetto ai valori del 2005”.
Gli obblighi degli Stati
Dal 2013 gli Stati membri dovranno ridurre le emissioni in modo lineare
e continuo individuando obiettivi annuali e rispettando almeno la
percentuale stabilita per lo Stato stesso nell'allegato II della decisione
(l’obiettivo assegnato all’Italia è pari ad una riduzione del 13% rispetto
alle emissioni del 2005). Nel periodo dal 2013 al 2019, uno Stato
membro può prelevare dall’anno successivo una quantità fino al 5%
della sua assegnazione annuale di emissioni.
Nell’intenzione della Commissione questo provvedimento garantisce
flessibilità nel conseguimento degli obiettivi poiché gli SM sono liberi di
18
note tematiche
definire i settori e le misure più appropriate per l’abbattimento delle
emissioni e possono utilizzare i crediti dei CDM fino ad un terzo
dell’impegno di abbattimento assegnato. Allo stesso tempo, però, sono
previsti anche interventi comunitari in questi settori, ad esempio, la
normativa sulla CO2 e sui bio-carburanti delle automobili e le misure
per promuovere l’efficienza energetica.
III) Proposta di Direttiva sulla promozione delle fonti energetiche
rinnovabili
Scopo del provvedimento
La Comunità ha da tempo riconosciuto la necessità di incoraggiare la
promozione dell’energia rinnovabile dato che il suo sfruttamento
contribuisce allo sviluppo sostenibile, alla sicurezza energetica e
consente lo sviluppo di un settore che potrà creare nuove opportunità
di lavoro, crescita economica ed incremento della competitività. La
Direttiva approvata ha l’obiettivo di stabilire un target complessivo per
l’UE del 20% di fonti energetiche rinnovabili sul consumo finale di
energia, da suddividere tra i vari SM.
Al fine di garantire il conseguimento dell’obiettivo complessivo al 2020
sono stati fissati anche quattro target intermedi 27 di produzione da fonti
rinnovabili.
Inoltre, fissa un obiettivo uguale per ciascuno Stato nel settore dei
carburanti per autotrazione. In particolare, il 10% del carburante
utilizzato nel settore dei trasporti dovrà essere di origine vegetale (biofuels).
Criteri per la ripartizione degli impegni
La Commissione per ripartire l’obiettivo del 20% tra i vari SM ha
considerato diversi metodi, tra cui il potenziale di riduzione e le quote di
rinnovabili nei vari Paesi. La scelta, però, è ricaduta su un criterio di
ripartizione che prevede una quota fissa uguale per tutti i Paesi e una
quota variabile in funzione del PIL. Ciò per tenere conto del fatto che le
possibilità di sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili e il mix energetico
variano da uno Stato membro all'altro.
Gli obblighi degli Stati
L’obiettivo assegnato all’Italia è del 17% (fig. 1) da raggiungere entro il
2020. Gli Stati membri devono redigere dei Piani di Azione Nazionali in
cui indicare i risultati conseguiti e le misure poste in essere. Tali piani
dovranno essere trasmessi alla Commissione entro il 31 marzo 2010 e
aggiornati periodicamente ogni due anni.
La Commissione valuta i piani di azione nazionali, ed in particolare,
l'adeguatezza delle misure previste dallo SM. Se la quota di energia
rinnovabile scende al di sotto dei target intermedi lo SM dovrà
presentare un “piano d’azione modificato” in cui evidenziare le misure
per il rientro. In risposta a un piano d'azione nazionale o a un piano
d'azione nazionale modificato, la Commissione può emettere una
Per l’Italia sono rispettivamente: 7,56% nel biennio 2011-2012, 8,74% 2013-2014, 10,51%
2015-2016, 12,87% 2017-2018.
27
19
note tematiche
raccomandazione. La Direttiva riconosce la possibilità dello scambio
“virtuale” o “statistical trasferts” di energia rinnovabile esclusivamente
tra SM, tale trasferimento non dovrà pregiudicare il raggiungimento del
target da parte del Paese esportatore. A partire dal 2011 ciascun SM
dovrà inviare, ogni due anni, un report alla Commissione in cui siano
evidenziati i progressi conseguiti per il raggiungimento degli obiettivi.
Nel testo della Direttiva è stata introdotta una clausola di revisione,
poiché, entro il 2014 la Commissione dovrà presentare un report in cui
valutare, mediante una nuova impact assessement, se gli obiettivi
assegnati agli SM possano essere effettivamente conseguiti.
Nella seguente tabella si mostrano gli obiettivi assegnati ai singoli Stati.
Fig. 1. Obiettivi nazionali generali al 2020
QUOTA DI ENERGIA DA
FONTI RINNOVABILI SUL
CONSUMO FINALE DI
ENERGIA, 2005 (S2005)
OBIETTIVO PER LA QUOTA DI
ENERGIA DA FONTI
RINNOVABILI SUL CONSUMO
FINALE DI ENERGIA, 2020
(S2020)
BELGIO
2,2%
13%
BULGARIA
9,4%
16%
REPUBBLICA
CECA
6,1%
13%
DANIMARCA
17,0%
30%
GERMANIA
5,8%
18%
ESTONIA
18,0%
25%
IRLANDA
3,1%
16%
GRECIA
6,9%
18%
SPAGNA
8,7%
20%
FRANCIA
10,3%
23%
ITALIA
5,2%
17%
CIPRO
2,9%
13%
LETTONIA
32,6%
40%
LITUANIA
15,0%
23%
LUSSEMBURGO
0,9%
11%
UNGHERIA
4,3%
13%
MALTA
0,0%
10%
20
note tematiche
PAESI BASSI
2,4%
14%
AUSTRIA
23,3%
34%
POLONIA
7,2%
15%
PORTOGALLO
20,5%
31%
ROMANIA
17,8%
24%
SLOVENIA
16,0%
25%
REPUBBLICA
SLOVACCA
6,7%
14%
FINLANDIA
28,5%
38%
SVEZIA
39,8%
49%
REGNO UNITO
1,3%
15%
LE POLITICHE NAZIONALI
Coerentemente con quelle che sono le sfide individuate a livello
internazionale l’Italia sta rispondendo ad una serie di impegni che
contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di politica ambientale
sia nel loro aspetto locale che globale.
GLI IMPEGNI DELL’ITALIA IN AMBITO EUROPEO
Il secondo Piano di Allocazione Nazionale
La Direttiva 2003/87/CE, che istituisce il sistema di Emission Trade a
livello europeo, impone, per ciascun periodo di attuazione della
Direttiva 28 , la definizione di un Piano Nazionale di Assegnazione delle
emissioni (PNA) per ciascuno Stato membro. In questi piani devono
essere definite le quote totali di emissioni che devono essere
assegnate al periodo e le modalità di tale assegnazione. Il Piano,
definito a livello nazionale, viene sottoposto all’attenzione della
Commissione che ne valuta la congruità con gli obiettivi assegnati a
ciascun Paese ed è sottoposto alle osservazioni dei soggetti coinvolti.
Il 18 dicembre 2006 il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare e il Ministro dello Sviluppo Economico hanno approvato il
PNA per il periodo 2008-2012 (di seguito PNA2).
Il PNA2, ed il parere della Commissione Europea, rappresentano la
base per la predisposizione della Decisione di Assegnazione per il
periodo 2008-2012.
In particolare, la Commissione con la Decisione del 15 maggio 2007
relativa al PNA2 dell’Italia, ha giudicato insufficienti alcune misure
contenute nel Piano chiedendo ulteriori approfondimenti e sforzi. Il 20
febbraio 2008 il Ministro dell'Ambiente e il Ministro dello Sviluppo
28
I periodi di applicazione della Direttiva sono due: 2005-2007 e 2008-2012.
21
note tematiche
Economico hanno definito la “Decisione di assegnazione delle quote di
CO2 per il periodo 2008-2012 approvata ai sensi di quanto stabilito
dall’articolo 11, comma 1 del D.lgs. 4 aprile 2006, n. 216”, (di seguito
“Decisione”).
Nella “Decisione” sono individuati il numero di quote complessive che
sarà assegnato nel periodo 2008-2012, nonché le modalità per il
trattamento degli impianti “nuovi entranti” nel sistema (vedi tab. 1).
Nella tabella 2, invece, sono riportate le quote che il PNA2 assegnava
a ciascun settore (colonna 1) e le successive modifiche richieste dalla
Commissione (colonna 3) e le quote effettivamente da assegnare
(colonna 4). Dalla tabella 2 si evince che a fronte delle 209
MtCO2/anno previste nel PNA2 si è passati a 201,63 MtCO2/anno.
Infine, nella Decisione, come nel precedente PNA, non è prevista
l’assegnazione di quote di emissione a titolo oneroso.
Tab. 1 - Quantità media totale di quote assegnata nel periodo 2008-2012 (milioni di tonnellate di
CO2)
Periodo 2008-2012
[MtCO2]
Quantità assegnata agli impianti esistenti
184.70
Quantità media annua riservata agli impianti “nuovi entranti”
16.93
Quantità totale di quote assegnate
201.63
Fonte: Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012, (pag. 4).
22
note tematiche
Tab. 2– Distribuzione per attività delle assegnazioni medie annue per il periodo 2008-2012
PNA2
PNA2 consolidato
+ allargamento
campo di
applicazione
Riduzioni
DA
[MtCO2/anno]
[MtCO2/anno]
[MtCO2/anno]
[MtCO2/an
no]
9,5
85,29
ATTIVITÀ
ENERGETICHE
Termoelettrico
cogenerativo
e
non cogenerativo
Altri impianti di
combustione
Compressione
metanodotti
100,66
94,79
14,52
17,89
17,89
0,88
0,88
0,88
Teleriscaldamento
0,23
0,23
0,23
Altro
13,41
16,78
16,78
Raffinazione
Produzione
e
trasformazione dei
metalli ferrosi
Ciclo integrato,
sinterizzazione,
cokeria
20,06
20,06
15,76
24,44
14,47
21,89
1
19,06
22,72
1,72
20,17
Forno elettrico
Industria
dei
prodotti minerali
1,29
2,55
2,55
34,65
34,65
34,65
Cemento
27,63
27,63
27,63
Calce
3,07
3,07
3,07
Vetro
Prodotti ceramici e
laterizi
3,15
3,15
3,15
0,8
0,8
0,8
5,09
5,09
5,09
190,74
196,92
184,7
18,26
18,36*
1,43
16,93
209
215,28
13,65
201,63
Altre attività
Pasta
per
carta/carta e cartoni
Totale
Riserva
impianti
“nuovi entranti”
Totale
Fonte: Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012 (pag. 6).
Piano d’azione italiano per l’efficienza energetica
Prima ancora di impegnarsi in una più amia strategia di azione contro i
cambiamenti climatici l’Europa aveva già riconosciuto come l'efficienza
energetica costituisca una risorsa economicamente efficace essendo in
effetti una delle modalità meno costose per ridurre le emissioni di gas
serra e per contribuire alla sostenibilità e alla sicurezza
dell'approvvigionamento energetico.
23
note tematiche
A tal fine nel 2006 è stata approvata la Direttiva 2006/32/CE,
concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici
che ha una valenza centrale nel processo di riduzione delle emissioni
di gas serra.
Questa Direttiva ha come scopo generale quello di “rafforzare il
miglioramento dell'efficienza degli usi finali dell'energia sotto il profilo
costi-benefici negli Stati membri” 29 individuando un obiettivo
giuridicamente non vincolante di risparmio energetico. Il provvedimento
comunitario prevede che gli Stati Membri predispongano un Piano
d’azione nazionale in materia di efficienza energetica. Nel Piano
d’azione sono definite le misure ex-ante da implementare per
conseguire l’obiettivo previsto dalla Direttiva in termini di risparmio
energetico pari al 9% entro il nono anno di applicazione della Direttiva
(2016), calcolato sull’ammontare medio annuo di consumo energetico
relativo all’ultimo periodo di cinque anni precedente l’attuazione della
Direttiva. Tale risparmio deve essere conseguito mediante interventi
diretti ai servizi energetici e ad altre misure di miglioramento
dell’efficienza energetica.
L’obiettivo della Direttiva è quello di migliorare lo sfruttamento
dell’energia mediante tecnologie che comportino maggiore efficienza
ed un risparmio conseguente a cambiamenti nei comportamenti degli
utenti negli usi finali. Nel breve e medio termine gli interventi sulle
condizioni di approvvigionamento e di distribuzione dell’energia sono
limitati, invece, sono ampie le possibilità di intervento dal lato della
gestione della domanda. Il recepimento della Direttiva europea
contribuirà a ridurre le emissioni di CO2 e migliorare la sicurezza
energetica.
A tal fine, nel luglio 2007, l’Italia ha predisposto il Piano d’azione per
l’efficienza energetica che tiene conto delle misure già prese
nell’ambito della legge finanziaria 2007 e di altre misure attuate nel
2006-2007 (standard di efficienza energetica nell’edilizia, promozione
della cogenerazione ad alto rendimento ed altre). Altre misure sono
previste nei settori industriale, civile e dei trasporti, nell’ambito del
recepimento delle Direttive europee sull’etichettatura energetica, sulla
promozione della cogenerazione, sulla progettazione ecocompatibile
dei prodotti, sull’efficienza degli usi finali dell’energia. Di rilievo anche
l’intervento sull’innovazione tecnologica per l’efficienza energetica
avviato nell’ambito del Programma industria 2015 per lo sviluppo della
competitività.
29
Direttiva 2006/32/CE Articolo 1.
24
note tematiche
Tab. 3– Misure previste dal Piano per l’efficienza energetica per settore
Risparmio
Misure per il miglioramento
Energetico annuale
dell'efficienza energetica
atteso al 2010
[GWh/anno]
Risparmio Energetico
annuale atteso al 2016
[GWh/anno]
Settore Residenziale
16.998
56.83
Settore Terziario
8.130
24.7
Settore Industria
7.040
21.537
Settore Trasporti
3.490
23.26
Totale risparmio energetico atteso
35.658
126.327
(obiettivo nazionale)
3%
9,6%
Fonte: Piano d’azione italiano per l’efficienza energetica 2007 (pag. 17)
IL CONTESTO LOCALE: LA RIFORMA DELLA CONTABILITÀ AMBIENTALE
La crescente attenzione alle problematiche connesse alla sostenibilità
ambientale delle politiche ha rivelato la necessità di un’integrazione e
di una riforma dei principali strumenti di rendicontazione ambientale e
degli strumenti di finanza pubblica. L’obiettivo è di disporre di strumenti
atti a misurare le politiche nazionali in rapporto alle tematiche
ambientali ed in particolare in relazione agli obiettivi di riduzione delle
emissioni. Gli impegni che saranno assegnati all’Italia, nell’ambito del
Pacchetto integrato energia e cambiamenti climatici, dovranno essere
ripartiti tra gli altri livelli di governo ed i risultati costantemente
monitorati. Cruciale, quindi, potrebbe essere la predisposizione di un
sistema di contabilità ambientale.
In tale contesto è da sottolineare l’iniziativa del Ministero dell’economia
e delle finanze – con il decreto del 16 novembre 2006 – che ha istituito
una Commissione di studio chiamata ad approfondire le principali
problematiche connesse all’introduzione di un sistema di contabilità e
bilancio ambientale nello Stato, nelle regioni e negli enti locali, in cui tra
l’altro è stata inserita una sezione relativa all’impatto finanziario degli
impegni internazionali di riduzione dei gas serra sul bilancio dello
30
Stato .
La commissione, al termine di circa tre mesi di riunioni, sia in seduta
plenaria che nelle quattro sottocommissioni 31 , ha concluso i propri
lavori con la predisposizione di uno Schema di Legge Delega
finalizzato all’introduzione nel nostro ordinamento di un sistema di
contabilità e bilancio ambientale (Cfr. Allegato C). Tale sistema dovrà
affiancare i consueti strumenti di previsione e consuntivazione dello
Stato, delle regioni e degli enti locali per valutare le ricadute
30
MEF (2007).
Drafting normativo, contabilità degli enti locali, strumenti di analisi ed elaborazione dei dati ed
analisi del quadro europeo ed internazionale
31
25
note tematiche
sull’ambiente delle politiche poste in essere. Il provvedimento è
composto da tre articoli contenenti, rispettivamente, gli indirizzi
generali, il contenuto della delega e, infine, la clausola di salvaguardia
finanziaria.
L’obiettivo è la definizione di un sistema che integri gli atti di
programmazione economico-finanziaria e di bilancio con i principi dello
sviluppo sostenibile e garantisca al cittadino il diritto all’informazione
ambientale. Le metodologie, le modalità di rilevazione e gestione dei
dati dovranno essere unitarie, le procedure di approvazione, invece,
saranno distinte per ciascun livello istituzionale. Le procedure di
contabilizzazione ambientale dovranno avere carattere sistematico e
obbligatorio e collegate con gli atti ed i documenti di programmazione
economico finanziaria e di bilancio degli enti coinvolti assicurando,
comunque, il carattere di informazione complementare del bilancio
ambientale rispetto alle disposizioni del bilancio economico finanziario.
Al fine di evitare che possano aversi nuovi o maggiori oneri è stata
prevista una specifica clausola di salvaguardia.
CONCLUSIONI
Dall’analisi della cospicua letteratura economica sui temi ambientali,
che negli ultimi anni ha conosciuto importanti sviluppi, è possibile
concludere che al fine di indirizzare e ridurre i problemi connessi con la
gestione delle risorse naturali e dell’ambiente in generale non è
possibile affidarsi ad un unico strumento di intervento. È invece
essenziale valutare i possibili benefici dell’applicazione di un mix di
politiche a sostegno di più generali obiettivi di tutela dell’ambiente.
Come ricordato nei paragrafi precedenti i risultati di uno studio
dell’OCSE dimostrano che “There are a number of good arguments for
using a mix of instruments to address a specific environmental
problem: First and foremost, many environmental problems are of a
“multiaspect” nature – in addition to the total amounts of releases of a
certain pollutant, it can, for example, also matter where emissions take
place, when they occur, how a polluting product is applied, etc.
Secondly, certain instruments can mutually underpin each other – as
when a labelling scheme enhances the responsiveness of firms and
households to an environmentally related tax, while the existence of the
32
tax help draw attention to the labelling scheme” .
Queste evidenze devono essere tenute in considerazione in un
momento in cui l’Unione Europea ha dato avvio ad una strategia
integrata di interventi su energia e cambiamenti climatici dai quali
deriveranno impegni cospicui per i Paesi anche in termini di costi e
competitività.
L’Europa ha ribadito con forza la volontà di mantenere la leadership
mondiale sui temi ambientali, e sul climate change, in particolare, ed è
per questa ragione che l’approvazione del Pacchetto energia clima
pone l’Unione Europea in una condizione di grande responsabilità in
vista della Conferenza di Copenaghen, prevista per dicembre 2009. Se
da un lato, lo sforzo compiuto nell’adozione delle Direttive è meritorio
non si possono non evidenziare alcuni limiti strategici del Pacchetto, al
32
OECD (2007) pag. 15.
26
note tematiche
di là di quelli specifici per ciascuna misura, proprio alla luce della
dimostrata necessità di non applicare politiche isolate.
In particolare l’assegnazione di obblighi e target agli Stati Membri è
avvenuto utilizzando delle variabili non pienamente rispondenti alla
cost-effectiveness. L’utilizzo del PIL come parametro nell’assegnazione
dell’obbligo di effort sharing non considera né il potenziale nazionale,
né l’energy mix, né le misure di efficienza energetica eventualmente
applicate. A ciò si aggiunga che l’introduzione di un meccanismo di
solidarietà (i maggiori beneficiari sono i Paesi di nuova adesione) per la
distribuzione del 10% delle quote nell’ETS si configura come un aiuto a
favore di alcuni Paesi che si va a sovrapporre ad altri strumenti, già in
vigore nell’UE, che hanno l’obiettivo di facilitare la convergenza tra
Stati Membri.
Questi aspetti, non certamente marginali, si pongono come limiti al
funzionamento delle Direttive solo in parte compensati dalla
introduzione di continui richiami a misure relative al risparmio
energetico come complemento necessario ed imprescindibile degli
obiettivi in materia di rinnovabili e taglio delle emissioni
Allo stesso modo una legislazione efficace per la riduzione della CO2
nel settore delle auto contribuisce a migliorare il livello delle emissioni,
in un settore che mostra i trend di crescita più elevati, ma deve essere
raccordata con gli altri strumenti di intervento previsti dal Pacchetto.
27
note tematiche
APPENDICE A – GLI
OBIETTIVI DI KYOTO PER IL PERIODO 2008-2012
COMPARATI CON LE PROIEZIONI DI EMISSIONE DI CO2 NELL’UNIONE
EUROPEA
Per monitorare l’andamento delle emissioni nei 27 SM l’UE si è dotata
di un sistema di rendicontazione nazionale obbligatorio. La decisone
280/2004EC 33 del Parlamento Europeo e del Consiglio costituisce il
fondamento giuridico e definisce i presupposti legali per la
compilazione del “greenhouse gas monitoring system” al fine di
monitorare i progressi conseguiti verso la compliance del Protocollo di
Kyoto. Annualmente la Comunità Europea, con l’aiuto della Agenzia
Europea dell’Ambiente (EEA), redige un Progress Report sulla base
delle informazioni fornite dagli Stati membri. Nel Report sono contenute
le emissioni, passate e attuali e le proiezioni elaborate sulla base sia
degli interventi avviati che di quelli previsti. Nell’ottobre del 2008 la
Commissione Europea ha elaborato l’annuale versione del documento,
Accompanying document to the communication from the Commission
“Progress Towards achieving the Kyoto objectives”, SEC(2008) 2636,
da cui sono stati tratti i dati riportati nella tabella successiva.
L’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra assegnato all’Italia
(tab. 4) per il periodo 2008-2012 è pari al 6,5% rispetto al Base Year
(BY). Le proiezioni 2010 con le misure e le politiche esistenti, quarta e
quinta colonna della tabella 4, evidenziano una crescita delle emissioni
pari al 7,5% rispetto al BY. Per rispettare gli obiettivi sottoscritti l’Italia
utilizzerà tutti i meccanismi previsti nel Protocollo (JI, CDM e Carbon
Sinks) e metterà in campo politiche e misure addizionali.
- Meccanismi di Kyoto (JI e CDM): l’Italia prevede di utilizzare un
ammontare di crediti corrispondente a 20,7 Mt di CO2
equivalenti, pari al 4,0% delle emissioni del BY; tra i Paesi che
utilizzeranno questi strumenti, soltanto la Spagna, in termini
assoluti, se ne servirà più intensamente; in termini percentuali,
invece, la quota italiana è la più bassa, se si escludono
Finlandia e Slovenia.
- Carbon Sinks: l’Italia confida di ottenere una riduzione, in
valore assoluto, di 25,3 Mt di CO2 pari ad una diminuzione del
4,9% delle emissioni sul BY.
- Effetti di interventi nazionali addizionali al 2010: le politiche e le
misure addizionali che dispiegheranno i loro effetti nel 2010 per
l’Italia ammontano a 16,5 Mt di CO2 pari al 3,2% rispetto al BY.
- Gap tra la proiezione delle emissioni al 2010, considerando
tutte le misure, e l’obiettivo di Kyoto: l’Italia nel 2010, colonna
14 e 15 della tabella 4, registrerà uno scostamento dagli
obiettivi in termini assoluti di 9,6 Mt di CO2, pari all’1,9%.
Sebbene l’EU-15 riuscirà ad andare oltre gli obiettivi sottoscritti
(-3,3%), tre SM non riusciranno ad ottemperare agli obiettivi
nazionali di riduzione: Danimarca (9,4%), Spagna (5,5%) e
Italia
(1,9%).
33
La Decisione della Commissione 280/2004/CE istituisce il sistema di monitoraggio, la
Decisione della Commissione 166/2005/CE, invece, ne definisce le modalità di applicazione.
28
note tematiche
Tab. 4 – EU Kyoto targets for 2008–12, compared with emission projections
Emission
i Base
Year (BY)
(v.a.)
Austria
79,0
Belgium
145,7
Bulgaria
132,6
Cyprus
6,0
Czech Republic 194,2
Denmark
69,3
Estonia
42,6
Finland
71,0
France
563,9
Germany
1.232,4
Greece
107,0
Hungary
115,4
Ireland
55,6
Italy
516,9
Latvia
25,9
Lithuania
49,4
Luxembourg
13,2
Malta
0,1
Obiettivo Kyoto
Proiezioni al 2010
Effetti al 2010
sulla base delle
dei Meccanismi
politiche e delle
di Kyoto 1
misure esistenti
(v.a.)
(in % su
BY)
(v.a.)
(in % su
BY)
68,8
134,8
122,0
n.a.
178,7
54,8
39,2
71,0
563,9
973,6
133,7
108,5
62,8
483,3
23,8
45,5
9,5
n.a.
-13,0%
-7,5%
-8,0%
n.a.
-8,0%
-21,0%
-8,0%
0,0%
0,0%
-21,0%
25,0%
-6,0%
13,0%
-6,5%
-8,0%
-8,0%
-28,0%
n.a.
92,8
140,3
93,1
8,7
145,4
67,8
15,9
85,0
568,3
955,1
132,6
86,7
68,3
555,4
14,0
34,4
13,6
3,5
17,5%
-3,7%
-29,8%
44,3%
-25,1%
-2,2%
-62,8%
19,7%
0,8%
-22,5%
23,9%
-24,9%
22,8%
7,5%
-46,1%
-30,4%
3,1%
61,8%
(v.a.)
(in %
su BY)
-9,0
-7,0
-11,4%
-4,8%
-4,2
-6,1%
-1,4
Effetti al 2010
dall'utilizzo dei
Carbon Sinks 2
(v.a.)
(in % su
BY)
-0,7
-0,9%
-1,2
-2,3
-0,6%
-3,3%
-2,0%
-0,6
-4,1
-4,5
-1,2
-0,8%
-0,7%
-0,4%
-1,1%
-3,6
-20,7
-6,5%
-4,0%
-2,1
-25,3
-3,7%
-4,9%
-3,9
-29,9%
Effetti al 2010 di
Proiezioni al 2010
Gap tra proiezioni
politiche e
sulla base di tutte
e target
misure
le misure
aggiuntive
(v.a.)
(in %
su BY)
(v.a.)
(in % su
BY)
(v.a.)
(in % su
BY)
-14,6
0,0
-6,8
-0,2
-6,0
0,0
-1,3
-12,4
-24,0
-40,9
-2,1
-0,6
-0,1
-16,5
0,0
0,0
-0,2
0,0
-18,4%
0,0%
-5,2%
-2,9%
-3,1%
0,0%
-3,0%
-17,4%
-4,3%
-3,3%
-2,0%
-0,5%
-0,2%
-3,2%
0,0%
0,0%
-1,1%
0,0%
68,6
133,3
86,3
8,5
138,3
61,3
0,6
70,6
540,2
909,7
129,3
86,0
62,5
492,9
14,0
34,4
9,5
3,3
-13,3%
-8,5%
-34,9%
41,4%
-28,8%
-11,6%
-65,7%
-0,6%
-4,2%
-26,2%
20,8%
-25,4%
12,4%
-4,6%
-46,1%
-30,4%
-28,0%
61,8%
-0,2
-1,5
-35,7
n.a.
-40,4
6,5
-24,6
-0,4
-23,7
-63,896
-4,5
-22,4
-0,3
9,5985
-9,9
-11,1
0,0
n.a.
-0,3%
-1,0%
-26,9%
n.a.
-20,8%
9,4%
-57,7%
-0,6%
-4,2%
-5,2%
-4,2%
-19,4%
-0,6%
1,9%
-38,1%
-22,4%
0,0%
n.a.
29
note tematiche
segue
Emissioni
Base Year
(BY)
(v.a.)
Netherlands
Poland
Portugal
Romania
Slovakia
Slovenia
Spain
Sweden
United Kingdom
EU-15
EU 27
213,0
563,4
60,1
278,2
72,1
20,4
289,8
72,2
776,3
4.265,5
5.768,0
Obiettivo Kyoto
Proiezioni al 2010
Effetti al 2010
Effetti al 2010
sulla base delle
dei Meccanismi dall'utilizzo dei
politiche e delle
di Kyoto 1
Carbon Sinks 2
misure esistenti
(in % su
(in % su
(v.a.)
BY)
BY)
200,3
-6,0%
208,3
-2,2%
529,6
-6,0%
403,2 -28,4%
76,4
27,0%
86,7
44,2%
256,0
-8,0%
190,9 -31,4%
66,3
-8,0%
58,8
-18,4%
18,7
-8,0%
21,7
6,7%
333,2
15,0%
440,5
52,0%
75,0
4,0%
70,2
-2,7%
679,3 -12,5% 625,4 -19,4%
3.924,3 -8,0% 4.110,2 -3,6%
n.a
n.a
5.186,4 -10,1%
(v.a.)
-5,8
(in %
(in % su
(v.a.)
su BY)
BY)
-6,1% -0,1
-0,1%
-3,0
-0,5%
-9,6% -4,7
-7,7%
-0,6
-57,8
-2,9%
-19,9%
-126,5
-127,1
-3,0%
-2,2%
(v.a.)
-13,0
-1,7
-5,8
-2,1
-4,0
-57,5
-63,4
-8,3%
-2,0%
-3,0%
-0,5%
-1,3%
-1,1%
Effetti al 2010 di
Proiezioni al 2010
politiche e
Gap tra proiezioni
sulla base di tutte
misure
e target
le misure
aggiuntive
(v.a.)
(in %
su BY)
0,0
-2,4
-10,8
-2,3
-1,8
-27,8
0,0
0,0
140,9
-170,7
0,0%
-4,0%
-3,9%
-3,2%
-8,7%
-9,6%
0,0%
0,0%
-3,3%
-3,0%
(in % su
BY)
195,2
-8,4%
400,2 -29,0%
73,8
22,7%
180,0 -35,3%
56,5
-21,6%
17,7
-13,2%
349,1
20,5%
68,0
-5,7%
621,3 -20,0%
3.785,3 -11,3%
4.825,3 -16,3%
(v.a.)
(in % su
BY)
-5,1
-2,4%
-129,5 -23,0%
-2,6
-4,3%
-75,9
-27,3%
-9,8
-13,6%
-1,1
-5,2%
15,8
5,5%
-7
-9,7%
-58,0
-7,5%
-139
-3,3%
na
na
(v.a.)
Fonte: Commissione Europea – Accompanying document to the communication from the commission Kyoto Progress towards achieving the Kyoto objectives SEC(2008) 2636, (pag. 7).
(1) Base Year: secondo quanto stabilito nel Protocollo di Kyoto il Base Year è l’anno di riferimento sulla base del quale calcolare i vincoli posti in essere dal Protocollo stesso. per ulteriori informazioni vedi
nota a pag. 1.
(2) Meccanismi di Kyoto: Joint Implementation (JI) e Clean Development Mechanism (CDM), rispettivamente art. 6 e art. 12 del Protocollo di Kyoto.
(3) Gli Stati membri possono ricorrere ai pozzi di assorbimento del carbonio art. 3.3 Protocollo di Kyoto.
30
note tematiche
APPENDICE B – LE EMISSIONI PRO CAPITE IN 15 PAESI DELL'UE
Nella tabella successiva sono riportati i dati relativi alle emissioni procapite registrate in 15 Paesi dell’UE nel 1990 e nel 2006 e la relativa
variazione percentuale tratte dalle statistiche dell’EEA 34 . In Italia, nel
periodo considerato, le emissioni pro-capite sono aumentate del 6,0%.
Nonostante ciò, anche nel 2006, tra i vari SM, si è posizionata al quarto
posto. Nei quindici Paesi dell’UE analizzati in questa appendice in
media le emissioni pro-capite si sono ridotte, nello stesso periodo, del
8,7%.
Tab. 5- Emissioni di Gas serra (CO2 equivalente) pro capite nell’EU-15 – variazione 1990-2005 –
Emissio
ni pro
capite
1990
Austria
Belgium
Denmark
Finland
France
Germany
Greece
Ireland
Italy
Luxembourg
Netherlands
Portugal
Spain
Sweden
UK
EU-15
10,356
14,529
13,439
14,262
9,956
15,518
10,335
15,833
9,117
34,765
14,212
5,913
7,410
8,449
13,445
11,675
Emissioni
Variazione Posizione Posizione
pro capite
Variazione
posizione
2006
1990-2005
1990
2006
1990-2006
11,020
13,031
12,984
15,277
8,592
12,188
11,965
16,574
9,666
28,400
12,702
7,870
9,903
7,267
10,801
10,656
6,4%
-10,3%
-3,4%
7,1%
-13,7%
-21,5%
15,8%
4,7%
6,0%
-18,3%
-10,6%
33,1%
33,7%
-14,0%
-19,7%
-8,7%
6
12
9
11
5
13
7
14
4
15
10
1
2
3
8
-
7
12
11
13
3
9
8
14
4
15
10
2
5
1
6
-
↓ 1
↔
↓ 2
↓ 2
↑ 2
↑ 4
↓ 1
↔
↔
↔
↔
↓ 1
↓ 3
↑ 2
↑ 2
-
Fonte: Elaborazione DT su dati EEA - European Environmental Agency.
•
•
•
34
Le emissioni pro capite sono riportate anche nel grafico 1.
I Paesi al di sotto della bisettrice hanno, nel 2006, ridotto le
emissioni pro capite, rispetto al 1990, (grazie ad un uso più
efficiente delle risorse), al contrario, i Paesi al di sopra della
bisettrice hanno emissioni pro capite più elevate rispetto al
1990, (segnale di una diminuzione dell’efficienza).
In media nei quindici Paesi dell’UE selezionati, nel 2006, si
registra una riduzione delle emissioni pro capite di gas serra
pari all’8,7% rispetto al 1990.
http://eea.europa.eu.
31
note tematiche
•
Passando all’analisi per Paesi Spagna (33,6%), Portogallo
(33,1%), Grecia (15,8%), Finlandia (7,1%), Austria (6,4%),
Italia (6,0%) e Irlanda (4,7%) nel 2006 hanno emissioni pro
capite più alte che nel 1990. Gli altri Paesi analizzati mostrano,
invece, una tendenza opposta, in particolare Germania (21,5%), UK (-19,7%), Svezia (-14,0%) e Francia (-13,7%).
Graf. 1 - Emissioni pro-capite nell’EU-15 (CO2 equivalente espressi in Mg, escluso il LULUCF) –
variazione 1990 - 2005 35 -
17,500
Emissioni pro capite 2006
IE
15,500
FI
13,500
DK
NL
GR
11,500
AT
DE
UK
IT
ES
9,500
EU15
BE
FR
7,500
PT
SE
5,500
5,500
7,500
9,500
11,500
13,500
15,500
17,500
Emissioni pro capite 1990
Fonte: Elaborazione DT su dati EEA - European Environmental Agency.
•
•
•
•
35
La linea tratteggiata verticale, nel grafico 1, rappresenta la
media dei quindici Paesi nel 1990, per cui i Paesi alla sua
destra presentano un’emissione pro capite superiore della
media. La linea tratteggiata orizzontale, invece, mostra la
media dei quindici Paesi nel 2006, di conseguenza gli SM che
si trovano al di sopra presentano un’emissione pro capite più
elevata.
Nel 1990 i Paesi che avevano emissioni pro capite più basse
della media erano sette (Portogallo, Spagna, Svezia, Italia,
Francia, Austria, Grecia); nel 2006 questi Paesi scendono a
cinque con l’uscita dal gruppo della Grecia e dell’Austria.
All’interno del gruppo a cinque va ricordato che solo la Svezia
e la Francia hanno ridotto le emissioni rispetto al 1990.
Da segnalare il progressivo avvicinamento alla media di tutti i
Paesi che nel 1990 la superavano. In particolare, sebbene
avvantaggiati dalla posizione di partenza, notevoli appaiono i
risultati raggiunti dalla Germania seguita dall’UK e dalla
Svezia.
Nel grafico non è presente il Lussemburgo.
32
note tematiche
APPENDICE C - SCHEMA DEL DISEGNO DI LEGGE DELEGA AL GOVERNO IN
MATERIA DI CONTABILITÀ AMBIENTALE
Articolo 1
(Indirizzi generali)
1. La presente legge è finalizzata all'istituzione di un sistema di
contabilità e bilancio ambientale che integri gli atti di programmazione
economico-finanziaria e di bilancio dello Stato, delle Regioni delle
Province e dei Comuni, allo scopo di assicurare conoscenza,
trasparenza e responsabilità all'azione di governo rispetto ai principi
dello sviluppo sostenibile, nell'integrazione delle sue dimensioni
economica, sociale ed ecologica, e di assicurare, altresì, il diritto
all'informazione ambientale.
Articolo 2
(Delega al Governo)
1. Ai fini di cui all'articolo 1, il Governo è delegato ad adottare, su
proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del
Ministro dello sviluppo economico, del Ministro per le riforme ed
innovazioni nella Pubblica Amministrazione, del Ministro per gli Affari
regionali e del Ministro dell’Interno, entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, sulla
base dei seguenti principi e criteri direttivi:
Istituire, e applicare gradualmente, nell’ambito degli atti di
programmazione e di bilancio dello Stato, delle Regioni e degli Enti
locali, un sistema di contabilità ambientale per l'elaborazione e
l’approvazione di un bilancio ambientale,disciplinandone, anche
attraverso il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti
in materia, metodologie, modalità unitarie di rilevazione e gestione,
nonché procedure di approvazione, distinte per ciascun livello
istituzionale;
prevedere che il sistema di contabilità ambientale sia articolato nelle
seguenti componenti fondamentali:
bilancio ambientale di previsione, che espone le scelte effettuate
dall'amministrazione per l'esercizio successivo ai fini della sostenibilità
ambientale delle proprie politiche, nonché le risultanze dei conti
ambientali che ne costituiscono il fondamento;
rendiconto ambientale, che evidenzia i risultati delle politiche ambientali
perseguite dall'amministrazione nell'esercizio precedente, ponendoli a
raffronto con i dati del bilancio ambientale di previsione;
conti ambientali, elaborati ai fini della predisposizione del bilancio
ambientale, ovvero l'insieme di conti e indicatori fisici e monetari,
costituiti e organizzati in modo tale da favorire la rilevazione e la
valutazione integrata dei fenomeni ambientali e dei fenomeni
economici e sociali correlati;
33
note tematiche
c) prevedere carattere sistematico e obbligatorio delle procedure,
nonché periodicità, articolazioni e contenuti del sistema di contabilità
ambientale tali da garantire integrazione, collegamento, confrontabilità
e contestualità con gli atti ed i documenti di programmazione
economico finanziaria e di bilancio degli enti interessati, assicurando il
carattere di informazione complementare del bilancio ambientale
rispetto alle determinazioni del bilancio economico finanziario;
d) prevedere, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di tutta la
presente delega, l’individuazione, in particolare tenendo conto delle
componenti fondamentali del bilancio indicate alla lett. b), dei principi
fondamentali della legislazione ai sensi dell’art. 117, comma 3, della
Costituzione, in base ai quali le Regioni adottano la normativa di
dettaglio di propria competenza;
e) prevedere gradualità nell'articolazione e nel grado di specificazione
e approfondimento dei documenti di programmazione e bilancio
ambientale e differenziazione del contenuto dei medesimi, anche in
relazione a quanto disposto dalla lettera d) e alle specifiche
competenze di Stato, Regioni ed Enti locali, tenuto conto, per questi
ultimi, delle dimensioni territoriali e demografiche;
f) prevedere coerenza con le norme e gli indirizzi dell'Unione europea e
delle organizzazioni internazionali in materia di bilanci pubblici e
contabilità ambientale e con la loro evoluzione;
g) prevedere la raccolta delle risultanze provenienti dai conti ambientali
nel Rendiconto generale dello Stato, anche a norma dell'articolo 14 del
Decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279;
h) prevedere, anche attraverso l'eventuale adeguamento del
Programma statistico nazionale, ulteriori e specifiche misure di
razionalizzazione, coordinamento ed omogeneizzazione dei sistemi
informativi e statistici per l'ambiente ed il territorio e delle metodologie
da adottare, allo scopo di perseguire economie di risorse ed
interoperabilità dei sistemi e di rendere disponibili i dati di base ed i
conti ambientali all'interno del Sistema statistico nazionale;
i) prevedere che i comuni con popolazione inferiore a 50.000 abitanti
possano adempiere alle prescrizioni di cui alla presente legge anche in
forma associata, purché siano chiaramente evidenti gli impegni
programmatici ed i risultati raggiunti da ogni singolo comune;
prevedere, altresì, che le Province, le comunità montane e gli enti
parco di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394 possano supportare i
singoli comuni che lo richiedano nell'adempimento delle prescrizioni di
cui alla presente legge;
l) prevedere un periodo transitorio, non superiore a ventiquattro mesi
dalla data di entrata in vigore dei decreti delegati, per Stato, Regioni ed
Enti locali, finalizzato all'adozione del sistema di contabilità e bilancio
ambientale;
34
note tematiche
m) prevedere che le pubbliche amministrazioni provvedano
all'attuazione dei decreti legislativi con le risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente ;
n) prevedere, in ogni caso, la salvaguardia delle competenze statutarie
delle Regioni a Statuto speciale.
Gli schemi dei decreti predisposti ai sensi del comma 1, previa
acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, sono trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei
pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia,
che sono resi entro sessanta giorni dalla data di trasmissione. Decorso
tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri.
Qualora il termine previsto per i pareri dei competenti organi
parlamentari scada nei trenta giorni che precedono o seguono la
scadenza del termine di cui al comma 1, quest'ultimo s'intende
automaticamente prorogato di novanta giorni.
Ulteriori disposizioni, correttive ed integrative dei decreti legislativi di
cui al presente articolo possono essere adottate, sulla medesima
proposta di cui al comma 1, con il rispetto dei medesimi principi e criteri
direttivi e con le stesse procedure, entro diciotto mesi dalla data della
loro entrata in vigore.
Articolo 3
(Clausola di salvaguardia)
Dall'attuazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 non devono
derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
35
note tematiche
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012
approvato ai sensi dell’articolo 11, comma 1 del D.lgs. 4 aprile 2006, n.
216.
EU (2002), Council Decision 2002/358/EC of 25 April 2002 concerning
the approval, on behalf of the EU, of the Kyoto Protocol to the
UNFCCCand the joint fulfilment of commitments thereunder, EU,
Bruxelles.
EU (2003), Council Directive 2003/96/EC of 27 October 2003
restructuring the Community framework for the taxation of energy
products and electricity, EU, Bruxelles.
EU (2003), Directive 2003/87/EU of the European Parliament and of
the council of 13 October 2003 establishing a scheme for greenhouse
gas emission allowance trading within the Community and amending
Council Directive 96/61/EC, EU, Bruxelles.
EU (2006), Direttiva 2006/32/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i se
servizi energetici e recante abrogazione della direttiva 93/76/CEE del
Consiglio, Bruxelles.
European Commission (2005), Winning the Battle Against Global
Climate Change, Communication from the commission to the Council,
Bruxelles SEC(2005) 180.
European Commission (2006), Structures of Taxation Systems in the
European Union: 1995-2004, Brussels.
European Commission (2007a), Green Paper on market-based
instruments, Bruxelles SEC(2007) 388.
European Commission (2007b), Commission Staff working paper
accompanying the Green paper, Bruxelles COM(2008) 651.
European Commission (2008), Accompanying document to the
communication from the commission Kyoto Progress towards
achieving the Kyoto objectives SEC(2008) 2636.
Fondo Monetario Internazionale (2008), World Economic Outlook:
Housing and the business cycle, Washington, DC.
Goulder L.H. (1995), Environmental taxation and the double dividend: a
reader’s guide in International Tax and Public Finance 2, 157–183.
IPCC (2007), Fourth Assessment Report, Climate change 2007
Mitigation of climate change, Annual Report, IPCC.
36
note tematiche
MEF (2007), Prime riflessioni sul sistema di contabilità e bilancio
ambientale, MEF, Roma.
Ministero dello Sviluppo Economico, (2007), Piano d’azione italiano per
l’efficienza energetica 2007, Roma.
Morgan Stanley Research (2007), The economics of climate change.
OECD Environment Directorate - Environment Policy Committee
(2008), Environmental policy from a regulatory quality perspective,
OECD, Paris.
OECD (2007), Instrument mixes for environmental policies, OECD,
Paris.
OECD (2006), The Political Economy of Environmentally Related
Taxes, OECD, Paris.
OECD (2005), Environmentally Harmful Subsidies, OECD, Paris.
ONU (1992), United Nations framework convention on climate change,
ONU, Rio de Janeiro.
Piano Nazionale d’Assegnazione per il periodo 2008-2012 elaborato ai
sensi dell’articolo 8, comma 2 del D.lgs. 4 aprile 2006, n. 216.
Stern, N. (2007), The Economics of Climate Change The Stern Review,
Cambridge University Press.
37
Ministero dell’Economia e delle Finanze
Dipartimento del Tesoro
Direzione I: Analisi economico-finanziaria
Indirizzo:
Via XX Settembre, 97
00187 - Roma
Siti Web:
www.mef.gov.it
www.dt.tesoro.it
e-mail:
[email protected]
Telefono:
+39 06 47614202
+39 06 47614197
Fax:
+39 06 47821886
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©
2009, Pietro Zoppoli, Maria Rita Ebano
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Comitato di redazione: Lorenzo Codogno, Mauro Marè, Libero Monteforte, Francesco Nucci
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