note te Ministero dell’Economia e delle Finanze Dipartimento del Tesoro Note Tematiche N°2 - Febbraio 2009 ISSN 1972-4128 I CAMBIAMENTI CLIMATICI: ASPETTI ECONOMICI DELLE RIFORME E IMPLICAZIONI DI POLICY Di: Pietro Zoppoli * , Maria Rita Ebano * * ABSTRACT La necessità di un intervento pubblico per limitare le conseguenze economiche, finanziarie, sociali ed ambientali connesse con i cambiamenti climatici richiede una attenta valutazione degli strumenti a disposizione del policy maker. Gli accordi internazionali e le strategie messe a punto dall’Unione Europea puntano ad un uso sempre più esteso degli strumenti di mercato. Se opportunamente definiti e correttamente implementati, gli strumenti di mercato consentono di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, minimizzando i costi sociali e operando in un quadro di maggiore consenso da parte degli stakeholder, poiché forniscono una significativa struttura di incentivi. Tuttavia il loro utilizzo deve essere valutato alla luce delle conseguenze sulla competitività e dei costi per l’intera economia. I CAMBIAMENTI CLIMATICI: PERCHÉ INTERVENIRE È oramai opinione condivisa che i cambiamenti climatici rappresentino una realtà ineludibile costituendo una tra le sfide più impegnative che l'umanità nel suo complesso è tenuta ad affrontare con sempre maggiore urgenza: “Climate change is a potentially catastrophic global externality and one of the world’s greatest collective action problems” 1 . I segni di tali cambiamenti sono scientificamente documentati e vanno dal costante aumento delle temperature, al progressivo scioglimento dei ghiacciai, alla maggiore frequenza con cui avvengono alcune calamità naturali, quali episodi di siccità e alluvioni. La comunità scientifica internazionale ha dibattuto a lungo sulle cause e sull’intensità dei cambiamenti climatici; l'evidenza empirica del legame tra tali mutamenti e le attività antropiche, e le emissioni da esse derivanti, gode ad oggi di un largo consenso. Gli scienziati, ponendo l’accento sui potenziali rischi per il pianeta e per le generazioni future, sono concordi nel ritenere che all'origine di tali cambiamenti vi siano le JEL: Q48, Q5 Keywords: Climate Change, Energy, Strumenti di mercato nella politica ambientale Note Tematiche La presente collana intende promuovere la circolazione di Note Tematiche prodotte nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro. Il contenuto delle Note Tematiche riflette esclusivamente le opinioni degli autori e non impegna in alcun modo l’Amministrazione. I cambiamenti climatici sono strettamente legati alle emissioni di gas ad effetto serra prodotte dalle attività umane. Questo impone una valutazione delle azioni da intraprendere per limitare gli effetti sulle prospettive economiche di lungo periodo. * Ministero dell'Economia e delle Finanze. Corresponding author: Via XX Settembre 97, 00187 Rome - ITALY. Tel: 39-06-47618335. E-mail: [email protected] * * Ministero dell’Economia e delle Finanze 1 Fondo Monetario Internazionale (2008), capitolo 4 pag. 1. 1 note tematiche emissioni di gas ad effetto serra (GHG - green house gas emissions) prodotte dall'attività umana. Una prova dei cambiamenti in atto nel clima globale è data dalla ricostruzione delle temperature del pianeta: l’IPCC (Intergovernmental Panel on climate change 2 ) ha più volte evidenziato come dal 1860 la temperatura sulla terra è cresciuta di circa 0,6° e gli ultimi 20 anni sono stati i più caldi mai registrati (IPCC, 2007). Molti studi hanno tentato di quantificare l’impatto di questo fenomeno dimostrando che, in assenza di azioni concrete, che riducano le concentrazioni in atmosfera, vi saranno delle ripercussioni significative che vanno dall’intensificazione degli eventi meteorologici estremi alla modifica o scomparsa di alcuni ambienti naturali con conseguenze imprevedibili sull’equilibrio del pianeta. Inoltre, i cambiamenti climatici in atto sono destinati ad avere importanti ripercussioni economiche ed anche sui mercati finanziari. Le stime dell’impatto sul sistema economico devono incorporare numerose variabili, non sempre di natura economica, e scontano l’incertezza legata al tasso di crescita della produttività, ai miglioramenti in termini di efficienza ed uso dell’energia e, infine, alla capacità delle economie emergenti di convergere verso gli standard di vita di quelle più avanzate. Tali stime si basano tipicamente sulle “funzioni di danno” (damage functions) che mettono in relazione le perdite in termini di PIL con l’aumento delle temperature. Le stime dei costi in termini di PIL, incluse nelle funzioni di danno, coprono una moltitudine di impatti climatici, che vengono usualmente raggruppati in “market impacts” e “non market impacts”: mentre con i primi ci si riferisce alle conseguenze su agricoltura, turismo, coste etc., i secondi identificano tipicamente i danni causati alla salute, alle attività di svago ed alla biodiversità. Gli studi esistenti non consentono di quantificare in maniera certa la portata del danno, proprio a causa delle diverse impostazioni su cui si basano - che porta alcuni a non includere ad esempio gli impatti “non market” – o per la mancanza di differenziazione a livello di singole aree o Paesi. Tra le analisi che hanno contribuito a portare all’attenzione dei policy maker il tema dei cambiamenti climatici, un ruolo chiave lo ha svolto la 3 Stern Review . Questa si configura come una indagine complessiva sulle conseguenze economiche derivanti dal riscaldamento del pianeta nel caso in cui non vengano prese adeguate misure - sia di mitigazione che di adattamento al cambiamento - per contrastare l’impatto delle trasformazioni in atto. La tesi centrale del Rapporto Stern, pubblicato nel 2006, è che i benefici di un intervento rapido a mitigazione dei cambiamenti climatici siano maggiori rispetto ai costi dell’inazione, dalla quale derivano, invece, ingenti danni economici e sociali. Partendo dalle previsioni dell’IPCC sui cambiamenti climatici causati dalle emissioni di gas serra, il Rapporto afferma che l’inazione Le stime dell’impatto sull’economia sono ancora oggetto di discussione ed analisi poiché devono essere valutati i danni di diversa natura ed in regioni del mondo fortemente differenziate. L’ampio dibattito generato dal Rapporto Stern dimostrano tali limitazioni . 2 L’IPCC è un Comitato intergovernativo istituito dalla World Meteorological Organization (WMO) e dall’United Nations Environment Programme (UNEP) nel 1988. Esso raccoglie circa 2.500 esperti internazionali, con il compito di analizzare l’evoluzione storica del clima globale, individuare i contributi antropogenici al suo cambiamento e valutare le possibili opzioni di mitigazione e adattamento. 3 La Review prende il nome da Nicholas Stern - capo del Government Economic Service inglese e capo economista alla Banca mondiale, incaricato dal governo britannico di analizzare le conseguenze economiche del cambiamento climatico e i costi necessari per limitarle. 2 note tematiche costerebbe tra il 5 e il 20 per cento del PIL mondiale adesso, mentre intraprendere un’azione decisa nel breve periodo ridurrebbe i costi di intervento all’1 per cento del PIL. Questa stima è ottenuta applicando ai danni futuri derivanti dai cambiamenti del clima un tasso di sconto pari allo 0,1 per cento, significativamente inferiore al tasso d’interesse di mercato, da cui discende che il danno futuro vale quanto quello di oggi. Questa metodologia ha incontrato aspre critiche, ma anche ampi consensi e, qualunque sia il giudizio che si può esprimere al riguardo, certamente il fatto che essa sia stata anche utilizzata dalla Commissione UE come punto di riferimento della Strategia Europea sui cambiamenti climatici 4 ne ha amplificato il significato per le politiche del continente. L’esempio del Rapporto Stern consente di affermare che, ad oggi, una corretta identificazione dei danni e del loro valore non è disponibile. Tali stime sono limitate dalla presenza di vari elementi di incertezza che inficiano la correttezza di risultati, tra questi due sono di particolare rilevanza: i limiti delle attuali conoscenze scientifiche sui processi fisici ed ecologici che sottostanno ai cambiamenti del clima 5 ; la definizione dei migliori strumenti di quantificazione dell’impatto economico dei cambiamenti climatici 6 . Al di là di queste incertezze sulla reale portata del fenomeno è comunque evidente che dal punto di vista economico i mutamenti del clima possono considerarsi un “mega-trend”, alla stessa stregua della globalizzazione e dei mutamenti demografici: sono cioè eventi in grado di avere una influenza decisiva sulle prospettive economiche di lungo periodo 7 . LE SFIDE PER IL POLICY MAKER: LA QUALITA’ DELLA REGOLAZIONE AMBIENTALE Usualmente considerato un “supply-side shock”, il cambiamento climatico sta assumendo delle connotazioni più ampie e si guarda con sempre maggiore attenzione ai possibili shock che potrà avere sulle prospettive di crescita dei Paesi, essenzialmente legati all’impatto negativo sulla forza lavoro e sulle dinamiche della produttività, sul commercio e sui flussi di capitali. In questo caso la capacità degli Stati di mettere in atto delle azioni di adattamento e mitigazione sarà decisiva. È evidente che, da un punto di vista economico, i cambiamenti climatici rappresentano una esternalità negativa che ha dimensioni globali sia nelle sue cause che nelle conseguenze. In presenza di questa esternalità, non compensata da sufficienti incentivi per coloro che inquinano a ridurre il livello delle emissioni, i mercati falliscono nell’assicurare una efficiente allocazione delle risorse. Si rende così necessario l’intervento del policy maker diretto ad 4 European Commission (2005). Ad esempio le informazioni sulla rapidità della crescita delle concentrazioni di gas serra sono ancora incomplete. 6 È infatti innegabile che la grandezza delle perdite dipende dalla capacità di adattamento della popolazione e delle produzioni. 7 Morgan Stanley Research (2007). 5 3 note tematiche individuare e fornire i giusti incentivi che assicurino un risultato efficiente. La valutazione economica delle politiche ambientali comporta numerose difficoltà di tipo analitico, metodologico e di policy, soprattutto, laddove non esistono dei criteri per valutare l’efficacia delle misure. Tuttavia un elemento chiave per guidare il policy maker è costituito, secondo alcune analisi, dalla accettabilità delle politiche e quindi dalla qualità della regolazione ambientale 8 : Gli obiettivi della politica ambientale sono, per loro natura, molto ampi ed il loro raggiungimento ha effetto sia sulle generazioni presenti che su quelle future; a ciò si aggiunge il fatto che i costi, spesso sostenuti in larga parte dai privati, hanno ricadute sul benessere pubblico. Questa relazione impone di scegliere le misure in modo da minimizzare i costi e pone al policy maker una sfida importante in termini di efficienza e qualità della regolazione. Quest’ultima sarà accettabile nel lungo periodo se i cittadini e le imprese ne percepiranno un vantaggio in termini di protezione e se sarà disegnata in modo da minimizzare i costi per il raggiungimento degli obiettivi. Si può affermare in linea generale che una regolazione di qualità in campo ambientale deve essere definita in modo da rispondere ai seguenti obiettivi: • stimolare la ricerca e l’innovazione; • incentivare i consumatori, le imprese, e le istituzioni ad intraprendere comportamenti environmental friendly; • creazione e sviluppare nuovi mercati per nuovi beni e servizi. Insieme ai criteri chiave per la valutazione dei costi e dei benefici il policy maker deve tener conto anche della accettabilità delle misure ambientali . ASPETTI ECONOMICI E STRUMENTI DELLE POLITICHE AMBIENTALI Come già rilevato, il cambiamento del clima produce uno shock dal lato dell’offerta e si configura come un fallimento di mercato dovuto a esternalità negative. Il soggetto che inquina non sostiene il costo dell’inquinamento che, invece, si riversa sull’intera collettività generando una esternalità negativa, che ha natura sia locale che globale. Nel caso di un’impresa, se questa sceglie di affrontare unilateralmente tale esternalità, si espone ad un consistente possibile rischio di perdita di competitività. A ciò si aggiunga che le emissioni di CO2 equivalenti dispiegano i loro effetti negativi su tutto il pianeta indipendentemente da dove è stata originata l’emissione, aumentando così l’incentivo degli Stati/imprese a comportarsi da free rider. Queste prime riflessioni inducono ad orientarsi a favore di un intervento pubblico, coordinato a livello internazionale, sul controllo dell’inquinamento da gas serra. I policy makers hanno a disposizione diverse tipologie di strumenti per intervenire in campo ambientale, e nella riduzione delle emissioni clima alteranti in particolare. Questi strumenti possono essere ricondotti a due principali tipologie: • strumenti di tipo command and control (C&C); • strumenti di mercato o market based instruments (MBI). Nel primo gruppo rientrano gli standard che, nella versione più semplice, impongono per legge un limite omogeneo sulla quantità di 8 Intervenire in campo ambientale richiede una profonda conoscenza degli strumenti a disposizione dei policy makers. OECD Environment Directorate (2008). 4 note tematiche una determinata sostanza inquinante che ciascuna fonte di emissione può rilasciare. Gli MBI hanno l’obiettivo di creare un prezzo per i gas serra (getting the price right). Ciò si ottiene, principalmente, tramite tasse e permessi negoziabili di emissione 9 (cap & trade), i primi definiscono il “prezzo” attraverso l’aliquota fiscale i secondi mediante il prezzo che si genera sui mercati in cui i permessi sono scambiati. In particolare, la tassazione consiste nella prescrizione di una imposta per ciascuna unità di emissione prodotta al fine di internalizzare i costi sociali del danno marginale dell’inquinamento. I permessi negoziabili, invece, intervengono dal lato delle quantità di emissioni, facendo corrispondere ad ogni permesso una determinata quantità di inquinante. In questo meccanismo le autorità competenti definiscono il livello massimo di inquinamento consentito (cap) rilasciando esattamente la quantità di permessi pari al livello di emissioni desiderate; questi titoli possono poi essere liberamente scambiati tra i vari soggetti (trade). Con i permessi negoziabili le autorità definiscono la quantità e lasciano al mercato il compito di fissare il costo dell’emissione; nel caso della tassazione è vero il contrario. I permessi, quindi, danno certezza circa il livello delle emissioni, ma non sul costo dell’abbattimento delle emissioni. Le imposte, invece, hanno un esito opposto. Dal punto di vista della loro applicabilità, le tasse sono di più facile implementazione, poiché, hanno costi amministrativi più bassi, tuttavia i permessi creano i presupposti per un futuro rafforzamento della politica di abbattimento, dal momento che le imprese più virtuose, che detengono permessi in eccesso rispetto agli obiettivi loro assegnati, potranno vendere i titoli eccedenti sul mercato ottenendo un ritorno economico sugli investimenti realizzati. Rispetto al loro funzionamento le due tipologie di strumenti si differenziano per il fatto che, mentre gli strumenti C&C impongono un vincolo al comportamento degli emettitori, gli MBI creano un sistema di incentivi in modo da orientare il comportamento degli agenti economici. In particolare, questi ultimi consentono la creazione di un prezzo per la CO2 che ha tre vantaggi principali: 1) induce gli emettitori a porre in essere le opzioni di abbattimento dove esse sono meno costose; 2) incentiva il settore privato ad accelerare la R&D e ad adottare tecnologie più pulite, poiché crea l’aspettativa che in futuro emettere sarà più costoso; 3) può generare entrate 10 che possono essere usate per ridurre le imposte distorsive quali quelle sul lavoro o sul capitale (doppio dividendo) Gli strumenti di intervento possono essere ricondotti principalmente a due tipologie: command and control e market based instruments. SCEGLIERE GLI STRUMENTI ECONOMICI: EFFICIENZA E COSTI DELLE MISURE 9 Tra gli MBI rientrano anche i sussidi. I permessi negoziabili, generano entrate solo se i diritti ad emettere sono messi all’asta dalle autorità pubbliche, in questo caso vi è piena uguaglianza tra tasse e permessi dal punto di vista delle entrate. Alternativamente il diritto ad emettere può essere concesso a titolo gratuito, così come è avvenuto per l’ETS europeo, non generando entrate, ma riconoscendo un incentivo ai soggetti a cui è stato imposto il target di riduzione. 10 5 note tematiche Una volta definiti gli strumenti disponibili il policy maker deve disporre di una serie di criteri con i quali scegliere, di volta in volta, lo strumento più efficace. Primo criterio: tipologia della sostanza inquinante e del soggetto emettitore. Se il numero degli emittori è relativamente contenuto e di facile individuazione gli strumenti di mercato assicurano il perseguimento degli obiettivi in modo più efficiente. L’elevato numero degli emittori, come nel caso del settore civile o dei trasporti individuali, impone un elevato costo di definizione degli obiettivi di riduzione, di coordinamento e di controllo. In questi casi l’intervento mediante strumenti di C&C può risultare più efficiente. Secondo criterio: efficacia rispetto al costo. Risponde alla necessità, una volta stabilito l’obiettivo di riduzione, di allocare gli sforzi di questa scelta in modo efficace rispetto al costo. In questa sede è utile ricordare uno degli assunti principali dell’economia dell’ambiente: affinché il costo, che deve essere sostenuto per ottenere una data quantità di riduzione di inquinamento, sia minimo è necessario che il costo marginale dell’abbattimento sia uguale per ciascuna fonte di emissione. I tre strumenti (standard, tassazione e permessi negoziabili) possono essere analizzati alla luce del criterio dell’efficacia rispetto al costo. La tassazione e gli strumenti negoziabili consentono di perseguire gli obiettivi di riduzione minimizzando i costi di abbattimento complessivi. L’imposizione di uno standard uniforme, invece, non consente il raggiungimento degli obiettivi al costo minimo. Terzo criterio: costo da sostenere in caso di errori. In condizioni di incertezza quando non si hanno a disposizione informazioni precise sui costi di abbattimento e sui benefici, in termini di danni evitati, dell’intervento non è possibile a priori stabilire quale strumento utilizzare, ma si deve procedere caso per caso. Da un punto di vista teorico, se i danni collegati al mancato intervento sono molto elevati sarebbe opportuno procedere con strumenti che definiscono le quantità di emissione (permessi negoziabili e standard). Se, invece, l’incertezza è legata all’ammontare dei costi connessi con le misure di abbattimento dell’inquinamento allora sarebbe preferibile agire mediante tassazione. Quarto criterio: il progresso tecnologico. Gli MBI garantiscono una struttura di incentivi allo sviluppo e all’adozione di tecnologie climatefriendly più efficiente rispetto agli strumenti di C&C. Anche tra gli strumenti di mercato, tasse e permessi negoziabili, è possibile individuare delle differenze sulla base di questo criterio. L’introduzione di una nuova tecnologia che riduce i costi di abbattimento in un sistema basato sui permessi avrebbe come conseguenza la riduzione del prezzo dei permessi e un livello di emissioni invariato, poiché è stabilito a priori. Nel caso di un sistema a tassazione, invece, la nuova tecnologia abbassando il costo marginale di abbattimento indurrebbe le fonti di emissione ad inquinare di meno. Da questa breve disamina delle tipologie di strumenti di intervento e delle loro caratteristiche si evince che, allo stato attuale, non è possibile affidarsi ad un unico strumento di politica economica applicandolo a tutti settori inquinati, bensì è consigliabile utilizzare più strumenti contemporaneamente. La scelta degli strumenti deve essere effettuata applicando dei criteri di efficacia ed efficienza. Tuttavia è sempre più importante individuare un corretto mix di politiche di intervento piuttosto che un solo strumento. 6 note tematiche Un recente studio dell’OCSE 11 - basato su casi studio relativi a 5 aree di intervento ambientale in alcuni Paesi membri - ha analizzato gli impatti dell’utilizzo combinato di diversi strumenti di politica ambientale rispetto al caso in cui essi siano applicati in maniera isolata. Le motivazioni a favore dell’applicazione di un mix di strumenti, che scaturiscono dall’analisi, sono molteplici: 1) molti problemi ambientali non hanno carattere univoco, ma caratteristiche comuni; 2) con più strumenti si riduce l’incertezza legata ai costi di compliance; 3) in tal modo si può contemporaneamente agire anche su obiettivi di policy non strettamente ambientali; 4) molti strumenti si rafforzano a vicenda. Stabilita la convenienza ad usare più strumenti contemporaneamente, la messa a punto del corretto mix di politiche di intervento è cruciale per perseguire la mitigazione e l’adattamento agli impatti generati dal cambiamento climatico. Una volta definito l’obiettivo di abbattimento, particolare attenzione dovrà essere posta nella definizione degli strumenti che possono garantire una più elevata flessibilità nel raggiungimento dei target. L’interazione delle differenti politiche necessita di essere attentamente considerata poiché, in alcuni casi il mix di strumenti si rafforza reciprocamente, in altri casi, invece, si limitano a vicenda. Ciò che è importante evitare in questo caso è: - che venga limitata la flessibilità che necessita al policy maker per ricercare le soluzioni meno onerose, - che aumentino i costi amministrativi riducendo l’efficienza dell’intervento. Tenuto conto di questi accorgimenti lo studio dell’OCSE formula alcune raccomandazioni su come valutare il giusto mix di politiche e strumenti ambientali ed eventualmente intervenire per migliorarlo. In particolare il policy maker deve mantenere un attento equilibrio tra benefici legati ai miglioramenti dell’ambiente ed i costi per la società attraverso una attenta valutazione dei target da raggiungere. A questo proposito l’analisi ex ante degli strumenti può essere di aiuto, ma va accompagnata anche da una revisione ex post dei risultati. Alla luce delle esperienze analizzate possono trarsi alcune conclusioni generali sull’opportunità di utilizzare un mix di strumenti: 1) dal punto di vista dell’efficacia ambientale e dell’efficienza economica gli strumenti da applicare devono affrontare i problemi nella maniera più ampia possibile; 2) al fine di sfruttare al meglio la capacità delle politiche di rafforzarsi a vicenda, andrebbero utilizzati gli strumenti che presentano maggiore flessibilità; 3) la compatibilità tra gli strumenti va ricercata, ma soprattutto va evitato che essi si sovrappongano; 4) evitare di affrontare fallimenti di mercato di natura non ambientale con strumenti e incentivi mutuati dalla politica ambientale. Le conclusioni cui giunge lo studio dell’OCSE devono essere valutate all’interno di un quadro nazionale ed internazionale che è sempre più 11 OECD (2007). 7 note tematiche complesso e che richiede l’applicazione di politiche i cui effetti si dispiegano su di una platea di attori e di interessi in continua evoluzione. Di seguito vedremo come l’Europa da una parte e la comunità internazionale dall’altra stanno cogliendo la sfida del giusto mix di interventi per mitigare i cambiamenti climatici. GLI STRUMENTI DI MERCATO NELLA POLITICA EUROPEA Il dibattito sull’uso degli strumenti di mercato ai fini della politica ambientale è stato avviato a livello europeo nel 2006. Il nucleo di queste riflessioni si ritrova nel “Green Paper on market based instruments for environmental and energy related policy purposes” presentato dalla Commissione 12 per sollecitare una riflessione riguardo l’opportunità di un ricorso più esteso a questo tipo di strumenti nell’ottica della efficienza energetica, della lotta ai cambiamenti climatici, della lotta all’inquinamento atmosferico, della protezione della biodiversità e delle risorse naturali, della prevenzione dell’inquinamento ambientale. Il Green Paper presentato a marzo 2006 costituisce il documento di riflessione principale dal quale è scaturita la più ampia strategia comunitaria in materia di energia e cambiamenti climatici avviata nel 2007 (vedi pgf. Successivi). La disamina condotta nel Green Paper dimostra che l’utilizzo degli strumenti di mercato consente di perseguire gli obiettivi di politica energetica e ambientale correggendo i fallimenti del mercato in modo efficace rispetto ai costi, mentre la loro flessibilità permette di ridurre i costi legati alla tutela ambientale. Tuttavia, si sottolinea anche che essi non possono essere considerati una panacea per tutti i problemi. Come già dimostrato, è, infatti, necessario distinguere tra i vari tipi di strumenti economici in base ai benefici ad essi collegati ma anche ai potenziali costi. Oltre a ciò va anche considerato il quadro regolatorio entro cui essi vengono inseriti. Il Green paper della Commissione riprende il dibattito circa i criteri per stabilire la tipologia di strumento da utilizzare ed evidenzia in modo particolare il punto relativo al gettito prodotto dagli strumenti di mercato e al suo possibile utilizzo. Il Green Paper contiene una analisi molto dettagliata su come l’uso di strumenti di mercato può facilitare il raggiungimento degli obiettivi ambientali a livello comunitario, soffermandosi su alcune politiche che investono sia la sfera ambientale che quella economica. Di seguito se ne elencano le principali. Il dibattito aperto dalla Commissione europea rivela l’importanza degli strumenti di mercato nelle politiche ambientali. a. La riforma ambientale della tassazione per aumentare la crescita e l’occupazione L’agenda di Lisbona, che ha indicato agli Stati membri la crescita e l’occupazione come gli obiettivi cruciali per aumentare la competitività dell’Unione Europea, può trovare nella politica ambientale degli strumenti efficaci per la sua realizzazione. In particolare, riformare la 12 European Commission (2006). 8 note tematiche tassazione in senso ambientale spostando l’onere fiscale da tasse welfare-negative (es. le tasse sul lavoro) a tasse welfare-positive (ad esempio tasse su attività inquinanti) potrebbe essere una alternativa percorribile per affrontare contemporaneamente problemi ambientali e occupazionali. Si tratta del meccanismo del “doppio dividendo” su cui si basano gran parte delle riforme fiscali ambientali. Le tasse ambientali possono, infatti, essere implementate in modo da perseguire un doppio risultato: ridurre le esternalità ambientali negative (first dividend) e, con gettito fiscale addizionale, consentire la riduzione delle tasse distorsive, come quelle sul lavoro (second dividend). Ciò potrebbe anche aiutare a ridurre gli effetti negativi sulla competitività di alcune tasse ambientali che gravano solo su settori specifici. Tali effetti sarebbero ulteriormente ridotti da una azione coordinata a livello comunitario piuttosto che da misure unilaterali adottate da singoli Paesi membri. b. La riforma dei sussidi nocivi all’ambiente I sussidi - intesi come il risultato di una azione del Governo che conferisce un vantaggio a produttori o consumatori, al fine di supportare i loro redditi o ridurre i loro costi - sono spesso ritenuti inefficienti, sia dal punto di vista economico che sociale. Questa assunzione va, tuttavia, calata nei diversi contesti settoriali e nazionali per misurare di volta in volta l’efficacia o la negatività di tali strumenti. Nel contesto delle politiche ambientali, in particolare, i sussidi possono anche controbilanciare negativamente gli effetti di altri strumenti di mercato oltre che incidere sulla competitività. In tal senso anche 13 l’OCSE , nel definire i sussidi nocivi per l’ambiente, considera tali tutte le misure di supporto (finanziarie o regolatorie) adottate per aumentare la competitività di alcuni prodotti, processi o regioni e che, insieme al regime fiscale, indeboliscono indirettamente le politiche di tutela ambientale. In particolare, un sussidio risulta nocivo per l’ambiente se esso genera una maggiore quantità di rifiuti/emissioni rispetto a quante se ne avrebbero in assenza di queste misure di supporto. Di conseguenza i benefici che deriverebbe dalla rimozione di tali sussidi risulterebbero maggiori rispetto ai costi. Inoltre, l’impatto ambientale di un sussidio non è immediatamente identificabile dati i complessi meccanismi che questi avviano e soprattutto non è sempre possibile stabilire un collegamento diretto tra il volume, la natura dei sussidi e l’impatto sull’ambiente. Tuttavia, i molteplici studi che sono stati condotti su questi legami mostrano come la rimozione del sussidio ha avuto sempre un effetto positivo sull’ambiente, in particolare quando essi impattano sugli inputs dei processi produttivi. È questo il caso, ad esempio, di sussidi che inducono ad utilizzare più energia o più acqua nella produzione di beni. c. 13 L’applicazione degli strumenti di mercato alle politiche energetiche. Semplificazione e ulteriore sviluppo della Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici OECD (2005). 9 note tematiche Attualmente, ¾ delle entrate da tasse ambientali nei 25 Paesi membri viene da tasse sui prodotti energetici 14 . Queste ultime combinano il ruolo incentivante della tassazione in favore di consumi energetici più efficienti e sostenibili, con la capacità di generare delle entrate. Per questa ragione il Green Paper afferma la necessità di rivedere attentamente la Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, il principale strumento esistente a livello comunitario per definire i principi per la tassazione dei consumi energetici, integrando obiettivi ambientali con quelli di corretto utilizzo dell’energia. Questa Direttiva si fonda su un approccio generale e flessibile che non sempre permette di legare in maniera chiara la tassazione energetica agli obiettivi rilevanti delle politiche comunitarie. Tra le alternative possibili, nel processo di revisione della Direttiva, la Commissione propone di dividere la soglia minima di tassazione, che è fissata a livello comunitario, in una parte ambientale ed una energetica. Ciò si rifletterebbe, a livello nazionale, in una tassa sui prodotti energetici ed una tassa sulle emissioni: in pratica tutti i combustibili dovrebbero essere tassati in maniera uniforme in base al loro “contenuto energetico”, mentre la differenziazione si avrebbe nella fase successiva quando si va a considerare l’aspetto ambientale e cioè il loro apporto al livello di emissioni di GHG durante la fase di combustione. Il Commission Staff Working Document che accompagna il Libro Verde analizza più in dettaglio gli effetti dell’impiego degli strumenti di mercato sulla competitività, esplicitando come il loro il loro utilizzo comporti, nel breve periodo, l’aumento dei costi di produzione per le imprese di alcuni settori. Dall’analisi emerge, però, come nel lungo periodo degli strumenti di mercato possono fornire nuove opportunità per altri settori. L’APPLICAZIONE DEGLI STRUMENTI DI POLITICA AMBIENTALE NEGLI ACCORDI INTERNAZIONALI Il Protocollo di Kyoto Nel 1992 veniva firmata a New York da 189 Paesi la “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici” (CQNUCC), il primo trattato internazionale riferito specificatamente a tali cambiamenti. Ancora più rilevante, date le implicazioni istituzionali e politiche che ne sono scaturite, è stato, però, lo strumento attuativo che la accompagnava: il Protocollo di Kyoto, adottato nel dicembre 1997 nel corso della Terza Sessione della Conferenza delle Parti (COP3) sul clima. Con tale Protocollo i Paesi industrializzati e le economie in transizione si sono accordati per la definizione di obiettivi di emissione legalmente vincolanti. In particolare, esso stabilisce per i Paesi industrializzati e per i Paesi con economie in transizione 15 (cd. Paesi dell’Annex I) - sulla base del principio di “comuni, ma differenziate responsabilità” - obiettivi di 14 15 OECD Environment Directorate (2008). Per economie in transizione si intendono i Paesi dell’Est europeo. 10 note tematiche riduzione di sei gas-serra: l’anidride carbonica (CO2); il metano; il protossido di azoto; gli idrofluorocarburi; i perfluorocarburi; l’esafluoruro di zolfo. Il Protocollo impegna i due gruppi di Paesi a ridurre complessivamente del 5,2 per cento, nel periodo 2008 – 2012, le principali emissioni La dimensione internazionale delle antropogeniche di gas capaci di alterare l’effetto serra naturale del politiche ambientali ed i vincoli del Protocollo di Kyoto . nostro pianeta (soprattutto anidride carbonica). L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990, mentre per i rimanenti tre è possibile scegliere tra il 1990 ed il 1995. A ciascun Paese è assegnato un obiettivo di abbattimento individuale. Il Protocollo di Kyoto rappresenta una milestone della politica energetica ed ambientale anche per l’Unione Europea in quanto vincola al perseguimento di un obiettivo comune le politiche degli Stati membri, sancisce l’integrazione delle politiche energetiche ed ambientali e individua i meccanismi con i quali perseguire la riduzione dei gas serra. L’UE si è impegnata a ridurre complessivamente dell’8% le emissioni di gas clima-alteranti entro il 2012, rispetto ai livelli del 1990, mentre all’Italia è stato assegnato un obiettivo di riduzione del 6,5%. Per conseguire i target di abbattimento il Protocollo prevede che gli Stati utilizzino due tipi di intervento: 1) politiche e misure; 2) meccanismi flessibili. Per “politiche e misure” si intendono tutti gli interventi o programmi previsti dallo Stato per migliorare l’efficienza energetica, incrementare le fonti energetiche rinnovabili, migliorare la mobilità nelle città e l’efficienza del settore residenziale, ridurre i consumi energetici etc. I “meccanismi flessibili” sono invece specifici strumenti di mercato volti ad agevolare gli impegni dei Paesi e sono stati identificati in: - - International Emission Trading (ITE): consente alle imprese e agli Stati di scambiare permessi d’emissione (Assigned Amount Units AAUs) al fine di raggiungere gli obiettivi assegnati. Ad esempio, uno Stato che ha abbattuto le emissioni oltre il proprio target può vendere i titoli in eccesso ad altri Paesi. Joint Implementation (JI) art. 6: permette alle imprese dei Paesi con vincoli di emissione, Annex I del Protocollo di Kyoto, di contabilizzare l’abbattimento delle emissioni realizzato mediante progetti posti in essere in altri Stati che fanno parte dell’Annex I. I progetti JI sono "operazioni a somma zero" in quanto le emissioni totali consentite nei due Paesi rimangono le stesse. Lo scopo del meccanismo di JI è di ridurre il costo complessivo dell'adempimento degli obblighi di Kyoto incentivando l'abbattimento delle emissioni lì dove è economicamente più conveniente. Le emissioni evitate dalla realizzazione dei progetti generano crediti di emissioni o ERUs (Emissions Reduction Units) che possono essere utilizzati per l'osservanza degli impegni di riduzione assegnati. Poiché la JI coinvolge Paesi che hanno dei limiti alle emissioni, i crediti 11 note tematiche - generati dai progetti sono sottratti dall'ammontare di permessi di emissione inizialmente assegnati al Paese ospite (AAUs) 16 . Clean Development Mechanism (CDM) art. 12: permette alle imprese dei Paesi industrializzati con vincoli di emissione di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di gas serra nei Paesi in via di sviluppo senza vincoli di emissione. Lo scopo di questo meccanismo è duplice; da una parte permette ai Paesi in via di sviluppo di disporre di tecnologie più pulite ed orientarsi sulla via dello sviluppo sostenibile; dall'altra permette l'abbattimento delle emissioni lì dove è economicamente più conveniente. Le emissioni evitate dalla realizzazione dei progetti generano crediti di emissioni o CERs (Certified Emission Reductions) 17 che potranno essere utilizzati per l'osservanza degli impegni di riduzione assegnati. Dal Protocollo di Kyoto derivano obblighi vincolanti per le Parti firmatarie, il che impone ai Paesi di raggiungere i target assegnati: in caso contrario essi dovranno acquistare AAUs, CERs e ERUs per un ammontare pari alla distanza dall’obiettivo. Allo stato attuale l’Italia ha predisposto due fondi presso la Banca Mondiale con i quali prevede di acquistare crediti di emissioni derivanti da progetti CDM e JI. L’accordo internazionale post Kyoto Nel 2012 si concluderà il primo periodo di impegno previsto dal Protocollo di Kyoto. Il secondo periodo, che si aprirà da quel momento, si presenta come una occasione per accelerare l’attuazione delle politiche esistenti ed esaminare i risultati ottenuti al fine di individuare altre soluzioni per abbattere le emissioni in maniera economicamente efficace. Allo scopo di determinare il nuovo processo negoziale, che potrà portare alla definizione di un accordo post Kyoto con calendari precisi di impegni a livello globale, le Nazioni Unite hanno riunito a Bali la 13° Conferenza delle parti sui cambiamenti climatici (COP 13) che si è tenuta dal 3 al 15 dicembre 2007. La conferenza Indonesiana ha avuto come principale risultato l’adozione della Bali Roadmap con la quale si stabilisce il percorso che porterà, nel 2009, alla conferenza di Copenaghen (COP15) dove saranno definiti gli impegni post 2012. La Roadmap è stata sottoscritta anche da Paesi quali gli Stati Uniti, la Cina e l’India che non avevano firmato il Protocollo di Kyoto, ma il cui contributo è indispensabile per conseguire gli obiettivi di riduzione delle GHG. 16 Un'azienda privata o un soggetto pubblico possono realizzare un progetto di riduzione delle emissioni in un altro Paese. La differenza fra la quantità di gas serra emessa con la realizzazione del progetto e quella che sarebbe stata emessa senza la realizzazione del progetto è considerata un'emissione evitata e viene accreditata sotto forma di ERUs. I crediti ERUs possono poi essere venduti sul mercato o accumulati. 17 Un'azienda privata o un soggetto pubblico possono realizzare un progetto di riduzione delle emissioni in un Paese in via di sviluppo. La differenza fra la quantità di gas serra emessa realmente e quella che sarebbe stata emessa senza la realizzazione del progetto è considerata emissione evitata ed accreditata sotto forma di CERs. I crediti CERs possono poi essere venduti sul mercato e/o accumulati. 12 note tematiche In base a quanto stabilito a Bali, nei prossimi due anni le Parti concorderanno su “appropriati impegni nazionali di mitigazione misurabili, verificabili e riferibili, inclusi obiettivi quantificati di limitazione e riduzione delle emissioni, assicurando la comparabilità degli sforzi tra i Paesi sviluppati e tenendo conto delle differenze nazionali” 18 . Inoltre, sono stati definiti i meccanismi per rendere più robusto il processo di trasferimento tecnologico e assistenza finanziaria ai Paesi in via di sviluppo e per avviare la riduzione delle emissioni da deforestazione. Questi strumenti dovrebbero garantire una più equa suddivisione degli sforzi tra gli Stati spingendo, così, i Paesi in via di sviluppo ad aderire al nuovo accordo. IL NUOVO QUADRO EUROPEO Con l’adozione del Protocollo di Kyoto nel 1997 e con il successivo Libro verde sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico del 2000 comincia a delinearsi una strategia europea organica e complessiva in materia di ambiente ed energia. Al Libro Verde del 2000 seguono, nel 2005, quello sull’efficienza energetica e, nel 2006, quello sull’energia sostenibile, via via sempre più attenti alla dimensione della domanda e alle concrete modalità del suo indirizzo e della sua gestione. Come ricordato in precedenza, dopo il Green Paper sugli strumenti di mercato, è nel corso del 2007 che l’Unione Europea ha intensificato le azioni per l’adozione di misure sempre più ambiziose al fine di fronteggiare le sfide energetiche ed ambientali. Nel gennaio del 2007 la Commissione ha dato il via ad una Strategia europea di lungo periodo che si è concretizzata nel Pacchetto energia e cambiamenti climatici - che comprende anche una Strategic Energy Review – focalizzato su una serie di obiettivi: energie rinnovabili, biocarburanti, efficienza energetica e riduzione delle emissioni. Nel Pacchetto la Commissione ha invitato il Consiglio e il Parlamento europeo ad approvare: - un impegno unilaterale dell’UE a ridurre di almeno il 20% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, e l’obiettivo di ridurre le emissioni del 30% entro il 2020 a condizione che venga concluso un accordo internazionale sui cambiamenti climatici; - un obiettivo vincolante per l’UE di produzione del 20% di energia da fonti rinnovabili entro il 2020, compreso un obiettivo del 10% per i biocarburanti. In virtù di queste percentuali le proposte della Commissione sono state definite come “Strategia del 20-20-20. Gli obiettivi in essa contenuti sono stati dettagliati in una serie di 19 Comunicazioni , con le quali l’Europa si propone come soggetto Il nuovo ruolo dell’Unione Europea nelle sfide ai cambiamenti climatici. 18 "Measurable, reportable and verifiable nationally appropriate mitigation commitments or actions, including quantified emission limitation and reduction objectives, by all developed country parties, while ensuring the comparability of efforts among them, taking into account differences in their national circumstances". 19 In particolare, si tratta di tre distinte Comunicazioni così intitolate “An energy policy for Europe”, “Limiting Global Climate Change to 2 degrees Celsius -The way ahead for 2020 and 13 note tematiche trainante di un nuovo approccio alla lotta ai cambiamenti climatici a livello globale. La Strategia è stata approvata dal Parlamento europeo e dai capi di Stato e di governo dei Paesi Membri in occasione del Consiglio europeo del marzo 2007 20 , nelle cui conclusioni si enuncia la necessità di integrare la politica energetica ed ambientale al fine di: - aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico; - garantire la competitività delle imprese europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili; - promuovere la sostenibilità ambientale e contrastare il cambiamento climatico. Il Consiglio ha quindi invitato la Commissione a presentare proposte concrete, in particolare sulle modalità di ripartizione dello sforzo tra gli Stati membri per il conseguimento degli obiettivi. Per dare attuazione a tali richieste la Commissione ha adottato una importante serie di proposte legislative, in cui sono definiti obiettivi ambiziosi e vincolanti da raggiungere entro il 2020. Più in dettaglio, tali proposte legislative si compongono di: - una proposta di modifica della Direttiva sul sistema comunitario di scambio delle quote di emissione (ETS); - una proposta di decisione relativa alla ripartizione degli sforzi da intraprendere per adempiere all’impegno comunitario a ridurre unilateralmente le emissioni di gas serra in settori non rientranti nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione (come i trasporti, l’edilizia, i servizi, i piccoli impianti industriali, l’agricoltura e i rifiuti); - una proposta di Direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili. L’interconnessione tra questi tre strumenti legislativi è chiaro: la Commissione europea immagina i vari elementi come complementari poiché il potenziamento di un sistema di emission trading potrà avviare un processo di “decarbonizzazione” dell’economia e la Direttiva sull’energia rinnovabile potrà creare le condizioni affinché questa assuma un ruolo centrale nel perseguimento degli obiettivi di abbattimento delle GHG. Del Pacchetto fanno inoltre parte una proposta relativa alla disciplina giuridica della cattura e dello stoccaggio del carbonio (Carbon Capture & Storage - CCS), una comunicazione sulle attività di dimostrazione in materia di cattura e stoccaggio del carbonio e la nuova disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale. Come sottolineato dalla Commissione, tali misure contribuiscono ad accrescere il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili in tutti i Paesi imponendo ai governi obiettivi giuridicamente vincolanti; inoltre grazie alla riforma del sistema di scambio delle quote di emissione, tutti i principali responsabili delle emissioni di CO2 saranno incoraggiati a sviluppare tecnologie produttive pulite. Dopo un anno di intensi negoziati il Consiglio Europeo di dicembre 2008 ha approvato il Pacchetto clima-energia al quale anche il Parlamento ha dato il via libera definitivo nella seduta del 17 dicembre, Le proposte di direttive adottate dalla Commissione nel 2008. beyond” e “Renewable Energy Road Map -Renewable energies in the 21st century: building a more sustainable future”. 20 Consiglio europeo di Bruxelles 8-9 marzo 2007, Conclusioni della Presidenza. 14 note tematiche come previsto dalla procedura di codecisione,e nel marzo del 2009 durante il Consiglio Europeo verrà ratificato formalmente dai Capi di Stato. Di seguito vengono analizzati nello specifico le tre principali misure legislative che compongono il Pacchetto. I) Modifica della Direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità Scopo del provvedimento Il 13 ottobre 2003 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno approvato la Direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra all'interno dell'Unione Europea al fine di favorire la riduzione delle emissioni di tali gas all’insegna dell’efficacia dei costi e dell’efficienza economica.Tenuto conto del successivo impegno assunto nel 2007 dal Consiglio europeo 21 di abbattere le emissioni complessive di gas serra della Comunità di almeno il 20% entro il 2020, anche la modifica della Direttiva del 2003 doveva necessariamente contribuire a questo ambizioso obiettivo perfezionando ed estendendo il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione. Sulla base del compromesso raggiunto a dicembre 2008 la Direttiva modificata, che si applicherà dal 2013 al 2020, ridurrà le quote di emissione del 21% nel 2020 rispetto ai livelli del 2005. A tal fine il numero di permessi concessi ogni anno nell'UE si ridurrà in maniera lineare - a partire dall’anno intermedio del periodo 2008-2012 in modo da portare a una diminuzione del livello globale di emissioni ogni anno. Ogni anno le quote dovrebbero diminuire dell’1,74% rispetto alle quote rilasciate dagli Stati membri in conformità delle decisioni della 22 Commissione sui piani nazionali di assegnazione per il 2008-2012 . L’ambito di applicazione della Direttiva 2003/87/CE verrà esteso ai seguenti settori e alle seguenti tipologie di emissione: - le emissioni di CO2 dell’industria petrolchimica, dell’ammoniaca e dell’alluminio; - le emissioni di N2O derivanti dalla produzione di acido nitrico, adipico e gliossilico; - le emissioni di PFC del settore dell’alluminio. L’assegnazione delle quote di emissione Nella nuova Direttiva viene superato, dal 2013, il metodo di assegnazione delle quote mediante i piani nazionali (PNA), e si passerà all’assegnazione a livello comunitario con l’adozione di un “tetto comunitario” per le emissioni del periodo 2013-2020; successivamente vi sarà l'assegnazione delle quote ai singoli impianti sulla base di regole uniformi. 21 Conclusioni del Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo 2007 a Bruxelles. Tale contributo equivale appunto ad una riduzione delle emissioni nell’ambito del sistema comunitario, nel 2020, del 21% rispetto ai livelli del 2005. 22 15 note tematiche Il quantitativo comunitario di quote per il 2013 dovrà essere pubblicato dalla Commissione (entro il 30 giugno 2010) basandosi sulle quote totali che sono state o saranno rilasciate dagli Stati membri in base ai piani nazionali di assegnazione 2008-2012. Per quanto attiene al criterio generale di assegnazione delle quote affinché il sistema funzioni con la massima efficienza economica e secondo condizioni di assegnazione totalmente armonizzate all’interno della Comunità - si prevede il passaggio ad un sistema di aste a partire dal 2013. Tale criterio sarà comunque soggetto ad una serie di eccezioni settoriali. In particolare, le aste verranno introdotte progressivamente nel settore manifatturiero che si vedrà attribuire l'80% delle quote a titolo gratuito nel 2013. Questa percentuale sarà via via ridotta fino al 30% entro il 2020 per giungere, nel 2027, a un sistema totalmente basato sulle aste. Gli Stati membri il cui reddito procapite risulta sensibilmente inferiore alla media comunitaria e le cui economie stanno recuperando un ritardo rispetto a quelli più prospere beneficeranno di maggiori quote da poter scambiare, a tal fine: - l'88% del quantitativo totale (comunitario) delle quote da mettere all’asta sarà distribuito tra gli Stati membri in funzione della rispettiva percentuale di emissioni verificate, nell’ambito del sistema comunitario, per il 2005 o la media del periodo 2005-2007 (a seconda di quale periodo registri le emissioni più elevate); - il 10% del quantitativo totale di quote messe all’asta è distribuito 23 tra alcuni Stati membri sulla base del principio di solidarietà e ai fini della crescita nella Comunità; - il restante 2% è distribuito tra gli Stati membri le cui emissioni nel 2005 risultavano inferiori almeno del 20% rispetto al 1990. Questi criteri di ripartizione delle quote da mettere all’asta sono stati criticati da molti dei Paesi dell’EU15, poiché si configurano come trasferimenti netti verso i Paesi beneficiari. Infatti, alcuni Paesi avranno quote addizionali da mettere all’asta, rispetto ad altri SM, con un beneficio netto per le proprie imprese. Competitività e meccanismi flessibili Le eccezioni (sotto forma di esclusioni/deroghe al sistema delle aste) contemplate dalla Direttiva sono state fortemente volute dal Consiglio su pressione dei maggiori Stati membri, principalmente per ovviare al rischio di carbon leakage 24. La distribuzione di tale 10% avverrà sulla base dei livelli di reddito pro capite nel 2005 e delle prospettive di crescita degli Stati membri e sarà più elevata per gli Stati membri con bassi livelli di reddito pro capite ed elevate prospettive di crescita. All’Italia è stato assegnato il 2% di questo 10%. 24 Si verifica il carbon leakage quando, l’introduzione di misure volte ad abbattere le emissioni di gas serra rischiano di aumentare i costi di produzione delle imprese dei Paesi che le hanno poste in essere, minandone la competitività internazionale e spingendole a dislocare la produzione verso quei Paesi che non hanno adottato tali misure . Da ciò deriva il fenomeno della cosiddetta rilocalizzazione delle emissioni, ovvero l'incremento delle emissioni di gas a effetto serra nei Paesi terzi nei quali l’industria non dovesse essere soggetta a vincoli comparabili in termini di carbonio. 23 16 note tematiche Rientrano in tali eccezioni anche i settori e sottosettori comunitari ad alta intensità energetica che operano in un regime di concorrenza internazionale e che potrebbero subire uno svantaggio sotto il profilo economico. A tal fine i settori a rischio sono stati circoscritti individuando un criterio condiviso a livello di Unione Europea. Un settore è considerato a rischio elevato se: a) l'applicazione della Direttiva comporta un aumento dei costi, diretti e indiretti, pari al 5% rispetto al Valore Aggiunto, e b) se il valore complessivo delle sue esportazioni e delle sue importazioni diviso per quello del volume d'affari e delle importazioni 25 raggiunge la soglia del 10% . Se, invece, i costi diretti e indiretti generati dall’implementazione della Direttiva superano il 30% del Valore Aggiunto non è necessario il rispetto del criterio della trade intensity. In tali casi, fino a che non sarà concluso un accordo internazionale, questi settori potranno ricevere il 100% di quote gratuite fino al 2020. A ciò si aggiunge l’esclusione dal sistema ETS dei piccoli impianti che hanno comunicato all'autorità competente emissioni per un valore inferiore a 25.000 tonnellate di CO2 equivalente e che, nei casi in cui effettuano attività di combustione, hanno una potenza termica nominale inferiore a 35 MW, escluse le emissioni da biomassa. A condizione, però, che a questi impianti si applichino misure finalizzate ad ottenere un contributo equivalente alle riduzioni delle emissioni. E' previsto che, entro il 31 dicembre 2009 la Commissione individui i settori o i sotto-settori delle industrie ad alta intensità energetica che potrebbero essere esposti ad una rilocalizzazione delle emissioni. Essa dovrà inoltre analizzare le conseguenze, per la distribuzione del quantitativo di quote da mettere all'asta tra Stati membri, della concessione di quote gratuite aggiuntive ai settori industriali esposti al rischio di perdita di competitività. Per quanto riguarda l’utilizzo dei proventi delle aste, la versione finale di compromesso è frutto di un dibattito che ha visto l'opposizione di diversi Stati membri alla imposizione di un vincolo di destinazione (earmarking). Fermo restando che spetta agli Stati membri stabilire l'uso dei proventi della vendita all'asta di quote, nel testo finale si stabilisce il principio 26 secondo cui almeno il 50% degli introiti derivanti dall’asta debba essere destinato, tra l'altro, all’abbattimento delle emissioni dei gas a effetto serra, all’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici, al finanziamento delle attività di ricerca e sviluppo sulla riduzione delle emissioni e sull’adattamento, allo sviluppo delle energie rinnovabili, nonché ad aumentare l’efficienza energetica. Infine, per quanto riguarda l’impiego dei crediti CER e ERU da parte delle singole imprese a partire dal 2013, questi potranno essere utilizzati per raggiungere gli obiettivi assegnati, ma saranno soggetti a numerosi limiti. In particolare non più del 50% delle riduzioni delle emissioni comunitarie durante il periodo 2008-2020 potranno essere ottenute da questi crediti. 25 E’ il 26 cosiddetto criterio della trade intensity O l'equivalente in valore di tali entrate. 17 note tematiche II) Decisione concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 Scopo del provvedimento L’obiettivo di questa Decisione è quello di determinare il contributo minimo di ciascuno Stato Membro al raggiungimento dei target di riduzione delle emissioni per il periodo 2013-2020, per quei settori che non rientrano nella Direttiva EU ETS (trasporto stradale e marittimo, edilizia, servizi, agricoltura e piccoli impianti industriali). A questi settori è richiesto uno sforzo di riduzione, a livello comunitario, pari al 10% rispetto ai livelli delle emissioni del 2005, in modo da contribuire all'obiettivo comunitario di riduzione del 20% entro il 2020. Qualora sia definito un nuovo accordo internazionale si prevede di rimodulare gli impegni assegnati agli Stati, in accordo con la Direttiva sull’ETS. Il coordinamento tra i due strumenti legislativi, Direttiva ETS e Decisione sull’effort sharing, rappresenta il punto nodale per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione perseguendo il principio dell’efficienza rispetto al costo. Criteri per la ripartizione degli impegni La Commissione nel ripartire gli sforzi di riduzione tra i singoli Stati (effort sharing) sostiene di aver utilizzato il principio di solidarietà coniugandolo con la necessità di garantire una crescita economica sostenibile. Questo ha spinto la Commissione ad adottare come criterio per l’effort sharing il PIL pro-capite abbandonando così il criterio del “potenziale” di riduzione. Quest’ultimo, sempre sostenuto dall’Italia, garantiva il raggiungimento degli obiettivi di riduzione minimizzando i costi di abbattimento, mentre il PIL pro capite rappresenta, in questo contesto, la capacità degli Stati di effettuare investimenti. Nella visione del Consiglio e del Parlamento “gli Stati membri che hanno attualmente un PIL pro capite relativamente basso e dunque grandi aspettative di crescita del PIL dovrebbero essere autorizzati ad aumentare le loro emissioni di gas a effetto serra rispetto al 2005, ma dovrebbero limitare tale aumento in modo da contribuire all’impegno di riduzione generale delle emissioni assunto dalla Comunità. Gli Stati membri che attualmente vantano un PIL pro capite relativamente elevato dovrebbero ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra rispetto ai valori del 2005”. Gli obblighi degli Stati Dal 2013 gli Stati membri dovranno ridurre le emissioni in modo lineare e continuo individuando obiettivi annuali e rispettando almeno la percentuale stabilita per lo Stato stesso nell'allegato II della decisione (l’obiettivo assegnato all’Italia è pari ad una riduzione del 13% rispetto alle emissioni del 2005). Nel periodo dal 2013 al 2019, uno Stato membro può prelevare dall’anno successivo una quantità fino al 5% della sua assegnazione annuale di emissioni. Nell’intenzione della Commissione questo provvedimento garantisce flessibilità nel conseguimento degli obiettivi poiché gli SM sono liberi di 18 note tematiche definire i settori e le misure più appropriate per l’abbattimento delle emissioni e possono utilizzare i crediti dei CDM fino ad un terzo dell’impegno di abbattimento assegnato. Allo stesso tempo, però, sono previsti anche interventi comunitari in questi settori, ad esempio, la normativa sulla CO2 e sui bio-carburanti delle automobili e le misure per promuovere l’efficienza energetica. III) Proposta di Direttiva sulla promozione delle fonti energetiche rinnovabili Scopo del provvedimento La Comunità ha da tempo riconosciuto la necessità di incoraggiare la promozione dell’energia rinnovabile dato che il suo sfruttamento contribuisce allo sviluppo sostenibile, alla sicurezza energetica e consente lo sviluppo di un settore che potrà creare nuove opportunità di lavoro, crescita economica ed incremento della competitività. La Direttiva approvata ha l’obiettivo di stabilire un target complessivo per l’UE del 20% di fonti energetiche rinnovabili sul consumo finale di energia, da suddividere tra i vari SM. Al fine di garantire il conseguimento dell’obiettivo complessivo al 2020 sono stati fissati anche quattro target intermedi 27 di produzione da fonti rinnovabili. Inoltre, fissa un obiettivo uguale per ciascuno Stato nel settore dei carburanti per autotrazione. In particolare, il 10% del carburante utilizzato nel settore dei trasporti dovrà essere di origine vegetale (biofuels). Criteri per la ripartizione degli impegni La Commissione per ripartire l’obiettivo del 20% tra i vari SM ha considerato diversi metodi, tra cui il potenziale di riduzione e le quote di rinnovabili nei vari Paesi. La scelta, però, è ricaduta su un criterio di ripartizione che prevede una quota fissa uguale per tutti i Paesi e una quota variabile in funzione del PIL. Ciò per tenere conto del fatto che le possibilità di sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili e il mix energetico variano da uno Stato membro all'altro. Gli obblighi degli Stati L’obiettivo assegnato all’Italia è del 17% (fig. 1) da raggiungere entro il 2020. Gli Stati membri devono redigere dei Piani di Azione Nazionali in cui indicare i risultati conseguiti e le misure poste in essere. Tali piani dovranno essere trasmessi alla Commissione entro il 31 marzo 2010 e aggiornati periodicamente ogni due anni. La Commissione valuta i piani di azione nazionali, ed in particolare, l'adeguatezza delle misure previste dallo SM. Se la quota di energia rinnovabile scende al di sotto dei target intermedi lo SM dovrà presentare un “piano d’azione modificato” in cui evidenziare le misure per il rientro. In risposta a un piano d'azione nazionale o a un piano d'azione nazionale modificato, la Commissione può emettere una Per l’Italia sono rispettivamente: 7,56% nel biennio 2011-2012, 8,74% 2013-2014, 10,51% 2015-2016, 12,87% 2017-2018. 27 19 note tematiche raccomandazione. La Direttiva riconosce la possibilità dello scambio “virtuale” o “statistical trasferts” di energia rinnovabile esclusivamente tra SM, tale trasferimento non dovrà pregiudicare il raggiungimento del target da parte del Paese esportatore. A partire dal 2011 ciascun SM dovrà inviare, ogni due anni, un report alla Commissione in cui siano evidenziati i progressi conseguiti per il raggiungimento degli obiettivi. Nel testo della Direttiva è stata introdotta una clausola di revisione, poiché, entro il 2014 la Commissione dovrà presentare un report in cui valutare, mediante una nuova impact assessement, se gli obiettivi assegnati agli SM possano essere effettivamente conseguiti. Nella seguente tabella si mostrano gli obiettivi assegnati ai singoli Stati. Fig. 1. Obiettivi nazionali generali al 2020 QUOTA DI ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI SUL CONSUMO FINALE DI ENERGIA, 2005 (S2005) OBIETTIVO PER LA QUOTA DI ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI SUL CONSUMO FINALE DI ENERGIA, 2020 (S2020) BELGIO 2,2% 13% BULGARIA 9,4% 16% REPUBBLICA CECA 6,1% 13% DANIMARCA 17,0% 30% GERMANIA 5,8% 18% ESTONIA 18,0% 25% IRLANDA 3,1% 16% GRECIA 6,9% 18% SPAGNA 8,7% 20% FRANCIA 10,3% 23% ITALIA 5,2% 17% CIPRO 2,9% 13% LETTONIA 32,6% 40% LITUANIA 15,0% 23% LUSSEMBURGO 0,9% 11% UNGHERIA 4,3% 13% MALTA 0,0% 10% 20 note tematiche PAESI BASSI 2,4% 14% AUSTRIA 23,3% 34% POLONIA 7,2% 15% PORTOGALLO 20,5% 31% ROMANIA 17,8% 24% SLOVENIA 16,0% 25% REPUBBLICA SLOVACCA 6,7% 14% FINLANDIA 28,5% 38% SVEZIA 39,8% 49% REGNO UNITO 1,3% 15% LE POLITICHE NAZIONALI Coerentemente con quelle che sono le sfide individuate a livello internazionale l’Italia sta rispondendo ad una serie di impegni che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di politica ambientale sia nel loro aspetto locale che globale. GLI IMPEGNI DELL’ITALIA IN AMBITO EUROPEO Il secondo Piano di Allocazione Nazionale La Direttiva 2003/87/CE, che istituisce il sistema di Emission Trade a livello europeo, impone, per ciascun periodo di attuazione della Direttiva 28 , la definizione di un Piano Nazionale di Assegnazione delle emissioni (PNA) per ciascuno Stato membro. In questi piani devono essere definite le quote totali di emissioni che devono essere assegnate al periodo e le modalità di tale assegnazione. Il Piano, definito a livello nazionale, viene sottoposto all’attenzione della Commissione che ne valuta la congruità con gli obiettivi assegnati a ciascun Paese ed è sottoposto alle osservazioni dei soggetti coinvolti. Il 18 dicembre 2006 il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e il Ministro dello Sviluppo Economico hanno approvato il PNA per il periodo 2008-2012 (di seguito PNA2). Il PNA2, ed il parere della Commissione Europea, rappresentano la base per la predisposizione della Decisione di Assegnazione per il periodo 2008-2012. In particolare, la Commissione con la Decisione del 15 maggio 2007 relativa al PNA2 dell’Italia, ha giudicato insufficienti alcune misure contenute nel Piano chiedendo ulteriori approfondimenti e sforzi. Il 20 febbraio 2008 il Ministro dell'Ambiente e il Ministro dello Sviluppo 28 I periodi di applicazione della Direttiva sono due: 2005-2007 e 2008-2012. 21 note tematiche Economico hanno definito la “Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012 approvata ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 11, comma 1 del D.lgs. 4 aprile 2006, n. 216”, (di seguito “Decisione”). Nella “Decisione” sono individuati il numero di quote complessive che sarà assegnato nel periodo 2008-2012, nonché le modalità per il trattamento degli impianti “nuovi entranti” nel sistema (vedi tab. 1). Nella tabella 2, invece, sono riportate le quote che il PNA2 assegnava a ciascun settore (colonna 1) e le successive modifiche richieste dalla Commissione (colonna 3) e le quote effettivamente da assegnare (colonna 4). Dalla tabella 2 si evince che a fronte delle 209 MtCO2/anno previste nel PNA2 si è passati a 201,63 MtCO2/anno. Infine, nella Decisione, come nel precedente PNA, non è prevista l’assegnazione di quote di emissione a titolo oneroso. Tab. 1 - Quantità media totale di quote assegnata nel periodo 2008-2012 (milioni di tonnellate di CO2) Periodo 2008-2012 [MtCO2] Quantità assegnata agli impianti esistenti 184.70 Quantità media annua riservata agli impianti “nuovi entranti” 16.93 Quantità totale di quote assegnate 201.63 Fonte: Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012, (pag. 4). 22 note tematiche Tab. 2– Distribuzione per attività delle assegnazioni medie annue per il periodo 2008-2012 PNA2 PNA2 consolidato + allargamento campo di applicazione Riduzioni DA [MtCO2/anno] [MtCO2/anno] [MtCO2/anno] [MtCO2/an no] 9,5 85,29 ATTIVITÀ ENERGETICHE Termoelettrico cogenerativo e non cogenerativo Altri impianti di combustione Compressione metanodotti 100,66 94,79 14,52 17,89 17,89 0,88 0,88 0,88 Teleriscaldamento 0,23 0,23 0,23 Altro 13,41 16,78 16,78 Raffinazione Produzione e trasformazione dei metalli ferrosi Ciclo integrato, sinterizzazione, cokeria 20,06 20,06 15,76 24,44 14,47 21,89 1 19,06 22,72 1,72 20,17 Forno elettrico Industria dei prodotti minerali 1,29 2,55 2,55 34,65 34,65 34,65 Cemento 27,63 27,63 27,63 Calce 3,07 3,07 3,07 Vetro Prodotti ceramici e laterizi 3,15 3,15 3,15 0,8 0,8 0,8 5,09 5,09 5,09 190,74 196,92 184,7 18,26 18,36* 1,43 16,93 209 215,28 13,65 201,63 Altre attività Pasta per carta/carta e cartoni Totale Riserva impianti “nuovi entranti” Totale Fonte: Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012 (pag. 6). Piano d’azione italiano per l’efficienza energetica Prima ancora di impegnarsi in una più amia strategia di azione contro i cambiamenti climatici l’Europa aveva già riconosciuto come l'efficienza energetica costituisca una risorsa economicamente efficace essendo in effetti una delle modalità meno costose per ridurre le emissioni di gas serra e per contribuire alla sostenibilità e alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico. 23 note tematiche A tal fine nel 2006 è stata approvata la Direttiva 2006/32/CE, concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici che ha una valenza centrale nel processo di riduzione delle emissioni di gas serra. Questa Direttiva ha come scopo generale quello di “rafforzare il miglioramento dell'efficienza degli usi finali dell'energia sotto il profilo costi-benefici negli Stati membri” 29 individuando un obiettivo giuridicamente non vincolante di risparmio energetico. Il provvedimento comunitario prevede che gli Stati Membri predispongano un Piano d’azione nazionale in materia di efficienza energetica. Nel Piano d’azione sono definite le misure ex-ante da implementare per conseguire l’obiettivo previsto dalla Direttiva in termini di risparmio energetico pari al 9% entro il nono anno di applicazione della Direttiva (2016), calcolato sull’ammontare medio annuo di consumo energetico relativo all’ultimo periodo di cinque anni precedente l’attuazione della Direttiva. Tale risparmio deve essere conseguito mediante interventi diretti ai servizi energetici e ad altre misure di miglioramento dell’efficienza energetica. L’obiettivo della Direttiva è quello di migliorare lo sfruttamento dell’energia mediante tecnologie che comportino maggiore efficienza ed un risparmio conseguente a cambiamenti nei comportamenti degli utenti negli usi finali. Nel breve e medio termine gli interventi sulle condizioni di approvvigionamento e di distribuzione dell’energia sono limitati, invece, sono ampie le possibilità di intervento dal lato della gestione della domanda. Il recepimento della Direttiva europea contribuirà a ridurre le emissioni di CO2 e migliorare la sicurezza energetica. A tal fine, nel luglio 2007, l’Italia ha predisposto il Piano d’azione per l’efficienza energetica che tiene conto delle misure già prese nell’ambito della legge finanziaria 2007 e di altre misure attuate nel 2006-2007 (standard di efficienza energetica nell’edilizia, promozione della cogenerazione ad alto rendimento ed altre). Altre misure sono previste nei settori industriale, civile e dei trasporti, nell’ambito del recepimento delle Direttive europee sull’etichettatura energetica, sulla promozione della cogenerazione, sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti, sull’efficienza degli usi finali dell’energia. Di rilievo anche l’intervento sull’innovazione tecnologica per l’efficienza energetica avviato nell’ambito del Programma industria 2015 per lo sviluppo della competitività. 29 Direttiva 2006/32/CE Articolo 1. 24 note tematiche Tab. 3– Misure previste dal Piano per l’efficienza energetica per settore Risparmio Misure per il miglioramento Energetico annuale dell'efficienza energetica atteso al 2010 [GWh/anno] Risparmio Energetico annuale atteso al 2016 [GWh/anno] Settore Residenziale 16.998 56.83 Settore Terziario 8.130 24.7 Settore Industria 7.040 21.537 Settore Trasporti 3.490 23.26 Totale risparmio energetico atteso 35.658 126.327 (obiettivo nazionale) 3% 9,6% Fonte: Piano d’azione italiano per l’efficienza energetica 2007 (pag. 17) IL CONTESTO LOCALE: LA RIFORMA DELLA CONTABILITÀ AMBIENTALE La crescente attenzione alle problematiche connesse alla sostenibilità ambientale delle politiche ha rivelato la necessità di un’integrazione e di una riforma dei principali strumenti di rendicontazione ambientale e degli strumenti di finanza pubblica. L’obiettivo è di disporre di strumenti atti a misurare le politiche nazionali in rapporto alle tematiche ambientali ed in particolare in relazione agli obiettivi di riduzione delle emissioni. Gli impegni che saranno assegnati all’Italia, nell’ambito del Pacchetto integrato energia e cambiamenti climatici, dovranno essere ripartiti tra gli altri livelli di governo ed i risultati costantemente monitorati. Cruciale, quindi, potrebbe essere la predisposizione di un sistema di contabilità ambientale. In tale contesto è da sottolineare l’iniziativa del Ministero dell’economia e delle finanze – con il decreto del 16 novembre 2006 – che ha istituito una Commissione di studio chiamata ad approfondire le principali problematiche connesse all’introduzione di un sistema di contabilità e bilancio ambientale nello Stato, nelle regioni e negli enti locali, in cui tra l’altro è stata inserita una sezione relativa all’impatto finanziario degli impegni internazionali di riduzione dei gas serra sul bilancio dello 30 Stato . La commissione, al termine di circa tre mesi di riunioni, sia in seduta plenaria che nelle quattro sottocommissioni 31 , ha concluso i propri lavori con la predisposizione di uno Schema di Legge Delega finalizzato all’introduzione nel nostro ordinamento di un sistema di contabilità e bilancio ambientale (Cfr. Allegato C). Tale sistema dovrà affiancare i consueti strumenti di previsione e consuntivazione dello Stato, delle regioni e degli enti locali per valutare le ricadute 30 MEF (2007). Drafting normativo, contabilità degli enti locali, strumenti di analisi ed elaborazione dei dati ed analisi del quadro europeo ed internazionale 31 25 note tematiche sull’ambiente delle politiche poste in essere. Il provvedimento è composto da tre articoli contenenti, rispettivamente, gli indirizzi generali, il contenuto della delega e, infine, la clausola di salvaguardia finanziaria. L’obiettivo è la definizione di un sistema che integri gli atti di programmazione economico-finanziaria e di bilancio con i principi dello sviluppo sostenibile e garantisca al cittadino il diritto all’informazione ambientale. Le metodologie, le modalità di rilevazione e gestione dei dati dovranno essere unitarie, le procedure di approvazione, invece, saranno distinte per ciascun livello istituzionale. Le procedure di contabilizzazione ambientale dovranno avere carattere sistematico e obbligatorio e collegate con gli atti ed i documenti di programmazione economico finanziaria e di bilancio degli enti coinvolti assicurando, comunque, il carattere di informazione complementare del bilancio ambientale rispetto alle disposizioni del bilancio economico finanziario. Al fine di evitare che possano aversi nuovi o maggiori oneri è stata prevista una specifica clausola di salvaguardia. CONCLUSIONI Dall’analisi della cospicua letteratura economica sui temi ambientali, che negli ultimi anni ha conosciuto importanti sviluppi, è possibile concludere che al fine di indirizzare e ridurre i problemi connessi con la gestione delle risorse naturali e dell’ambiente in generale non è possibile affidarsi ad un unico strumento di intervento. È invece essenziale valutare i possibili benefici dell’applicazione di un mix di politiche a sostegno di più generali obiettivi di tutela dell’ambiente. Come ricordato nei paragrafi precedenti i risultati di uno studio dell’OCSE dimostrano che “There are a number of good arguments for using a mix of instruments to address a specific environmental problem: First and foremost, many environmental problems are of a “multiaspect” nature – in addition to the total amounts of releases of a certain pollutant, it can, for example, also matter where emissions take place, when they occur, how a polluting product is applied, etc. Secondly, certain instruments can mutually underpin each other – as when a labelling scheme enhances the responsiveness of firms and households to an environmentally related tax, while the existence of the 32 tax help draw attention to the labelling scheme” . Queste evidenze devono essere tenute in considerazione in un momento in cui l’Unione Europea ha dato avvio ad una strategia integrata di interventi su energia e cambiamenti climatici dai quali deriveranno impegni cospicui per i Paesi anche in termini di costi e competitività. L’Europa ha ribadito con forza la volontà di mantenere la leadership mondiale sui temi ambientali, e sul climate change, in particolare, ed è per questa ragione che l’approvazione del Pacchetto energia clima pone l’Unione Europea in una condizione di grande responsabilità in vista della Conferenza di Copenaghen, prevista per dicembre 2009. Se da un lato, lo sforzo compiuto nell’adozione delle Direttive è meritorio non si possono non evidenziare alcuni limiti strategici del Pacchetto, al 32 OECD (2007) pag. 15. 26 note tematiche di là di quelli specifici per ciascuna misura, proprio alla luce della dimostrata necessità di non applicare politiche isolate. In particolare l’assegnazione di obblighi e target agli Stati Membri è avvenuto utilizzando delle variabili non pienamente rispondenti alla cost-effectiveness. L’utilizzo del PIL come parametro nell’assegnazione dell’obbligo di effort sharing non considera né il potenziale nazionale, né l’energy mix, né le misure di efficienza energetica eventualmente applicate. A ciò si aggiunga che l’introduzione di un meccanismo di solidarietà (i maggiori beneficiari sono i Paesi di nuova adesione) per la distribuzione del 10% delle quote nell’ETS si configura come un aiuto a favore di alcuni Paesi che si va a sovrapporre ad altri strumenti, già in vigore nell’UE, che hanno l’obiettivo di facilitare la convergenza tra Stati Membri. Questi aspetti, non certamente marginali, si pongono come limiti al funzionamento delle Direttive solo in parte compensati dalla introduzione di continui richiami a misure relative al risparmio energetico come complemento necessario ed imprescindibile degli obiettivi in materia di rinnovabili e taglio delle emissioni Allo stesso modo una legislazione efficace per la riduzione della CO2 nel settore delle auto contribuisce a migliorare il livello delle emissioni, in un settore che mostra i trend di crescita più elevati, ma deve essere raccordata con gli altri strumenti di intervento previsti dal Pacchetto. 27 note tematiche APPENDICE A – GLI OBIETTIVI DI KYOTO PER IL PERIODO 2008-2012 COMPARATI CON LE PROIEZIONI DI EMISSIONE DI CO2 NELL’UNIONE EUROPEA Per monitorare l’andamento delle emissioni nei 27 SM l’UE si è dotata di un sistema di rendicontazione nazionale obbligatorio. La decisone 280/2004EC 33 del Parlamento Europeo e del Consiglio costituisce il fondamento giuridico e definisce i presupposti legali per la compilazione del “greenhouse gas monitoring system” al fine di monitorare i progressi conseguiti verso la compliance del Protocollo di Kyoto. Annualmente la Comunità Europea, con l’aiuto della Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA), redige un Progress Report sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri. Nel Report sono contenute le emissioni, passate e attuali e le proiezioni elaborate sulla base sia degli interventi avviati che di quelli previsti. Nell’ottobre del 2008 la Commissione Europea ha elaborato l’annuale versione del documento, Accompanying document to the communication from the Commission “Progress Towards achieving the Kyoto objectives”, SEC(2008) 2636, da cui sono stati tratti i dati riportati nella tabella successiva. L’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra assegnato all’Italia (tab. 4) per il periodo 2008-2012 è pari al 6,5% rispetto al Base Year (BY). Le proiezioni 2010 con le misure e le politiche esistenti, quarta e quinta colonna della tabella 4, evidenziano una crescita delle emissioni pari al 7,5% rispetto al BY. Per rispettare gli obiettivi sottoscritti l’Italia utilizzerà tutti i meccanismi previsti nel Protocollo (JI, CDM e Carbon Sinks) e metterà in campo politiche e misure addizionali. - Meccanismi di Kyoto (JI e CDM): l’Italia prevede di utilizzare un ammontare di crediti corrispondente a 20,7 Mt di CO2 equivalenti, pari al 4,0% delle emissioni del BY; tra i Paesi che utilizzeranno questi strumenti, soltanto la Spagna, in termini assoluti, se ne servirà più intensamente; in termini percentuali, invece, la quota italiana è la più bassa, se si escludono Finlandia e Slovenia. - Carbon Sinks: l’Italia confida di ottenere una riduzione, in valore assoluto, di 25,3 Mt di CO2 pari ad una diminuzione del 4,9% delle emissioni sul BY. - Effetti di interventi nazionali addizionali al 2010: le politiche e le misure addizionali che dispiegheranno i loro effetti nel 2010 per l’Italia ammontano a 16,5 Mt di CO2 pari al 3,2% rispetto al BY. - Gap tra la proiezione delle emissioni al 2010, considerando tutte le misure, e l’obiettivo di Kyoto: l’Italia nel 2010, colonna 14 e 15 della tabella 4, registrerà uno scostamento dagli obiettivi in termini assoluti di 9,6 Mt di CO2, pari all’1,9%. Sebbene l’EU-15 riuscirà ad andare oltre gli obiettivi sottoscritti (-3,3%), tre SM non riusciranno ad ottemperare agli obiettivi nazionali di riduzione: Danimarca (9,4%), Spagna (5,5%) e Italia (1,9%). 33 La Decisione della Commissione 280/2004/CE istituisce il sistema di monitoraggio, la Decisione della Commissione 166/2005/CE, invece, ne definisce le modalità di applicazione. 28 note tematiche Tab. 4 – EU Kyoto targets for 2008–12, compared with emission projections Emission i Base Year (BY) (v.a.) Austria 79,0 Belgium 145,7 Bulgaria 132,6 Cyprus 6,0 Czech Republic 194,2 Denmark 69,3 Estonia 42,6 Finland 71,0 France 563,9 Germany 1.232,4 Greece 107,0 Hungary 115,4 Ireland 55,6 Italy 516,9 Latvia 25,9 Lithuania 49,4 Luxembourg 13,2 Malta 0,1 Obiettivo Kyoto Proiezioni al 2010 Effetti al 2010 sulla base delle dei Meccanismi politiche e delle di Kyoto 1 misure esistenti (v.a.) (in % su BY) (v.a.) (in % su BY) 68,8 134,8 122,0 n.a. 178,7 54,8 39,2 71,0 563,9 973,6 133,7 108,5 62,8 483,3 23,8 45,5 9,5 n.a. -13,0% -7,5% -8,0% n.a. -8,0% -21,0% -8,0% 0,0% 0,0% -21,0% 25,0% -6,0% 13,0% -6,5% -8,0% -8,0% -28,0% n.a. 92,8 140,3 93,1 8,7 145,4 67,8 15,9 85,0 568,3 955,1 132,6 86,7 68,3 555,4 14,0 34,4 13,6 3,5 17,5% -3,7% -29,8% 44,3% -25,1% -2,2% -62,8% 19,7% 0,8% -22,5% 23,9% -24,9% 22,8% 7,5% -46,1% -30,4% 3,1% 61,8% (v.a.) (in % su BY) -9,0 -7,0 -11,4% -4,8% -4,2 -6,1% -1,4 Effetti al 2010 dall'utilizzo dei Carbon Sinks 2 (v.a.) (in % su BY) -0,7 -0,9% -1,2 -2,3 -0,6% -3,3% -2,0% -0,6 -4,1 -4,5 -1,2 -0,8% -0,7% -0,4% -1,1% -3,6 -20,7 -6,5% -4,0% -2,1 -25,3 -3,7% -4,9% -3,9 -29,9% Effetti al 2010 di Proiezioni al 2010 Gap tra proiezioni politiche e sulla base di tutte e target misure le misure aggiuntive (v.a.) (in % su BY) (v.a.) (in % su BY) (v.a.) (in % su BY) -14,6 0,0 -6,8 -0,2 -6,0 0,0 -1,3 -12,4 -24,0 -40,9 -2,1 -0,6 -0,1 -16,5 0,0 0,0 -0,2 0,0 -18,4% 0,0% -5,2% -2,9% -3,1% 0,0% -3,0% -17,4% -4,3% -3,3% -2,0% -0,5% -0,2% -3,2% 0,0% 0,0% -1,1% 0,0% 68,6 133,3 86,3 8,5 138,3 61,3 0,6 70,6 540,2 909,7 129,3 86,0 62,5 492,9 14,0 34,4 9,5 3,3 -13,3% -8,5% -34,9% 41,4% -28,8% -11,6% -65,7% -0,6% -4,2% -26,2% 20,8% -25,4% 12,4% -4,6% -46,1% -30,4% -28,0% 61,8% -0,2 -1,5 -35,7 n.a. -40,4 6,5 -24,6 -0,4 -23,7 -63,896 -4,5 -22,4 -0,3 9,5985 -9,9 -11,1 0,0 n.a. -0,3% -1,0% -26,9% n.a. -20,8% 9,4% -57,7% -0,6% -4,2% -5,2% -4,2% -19,4% -0,6% 1,9% -38,1% -22,4% 0,0% n.a. 29 note tematiche segue Emissioni Base Year (BY) (v.a.) Netherlands Poland Portugal Romania Slovakia Slovenia Spain Sweden United Kingdom EU-15 EU 27 213,0 563,4 60,1 278,2 72,1 20,4 289,8 72,2 776,3 4.265,5 5.768,0 Obiettivo Kyoto Proiezioni al 2010 Effetti al 2010 Effetti al 2010 sulla base delle dei Meccanismi dall'utilizzo dei politiche e delle di Kyoto 1 Carbon Sinks 2 misure esistenti (in % su (in % su (v.a.) BY) BY) 200,3 -6,0% 208,3 -2,2% 529,6 -6,0% 403,2 -28,4% 76,4 27,0% 86,7 44,2% 256,0 -8,0% 190,9 -31,4% 66,3 -8,0% 58,8 -18,4% 18,7 -8,0% 21,7 6,7% 333,2 15,0% 440,5 52,0% 75,0 4,0% 70,2 -2,7% 679,3 -12,5% 625,4 -19,4% 3.924,3 -8,0% 4.110,2 -3,6% n.a n.a 5.186,4 -10,1% (v.a.) -5,8 (in % (in % su (v.a.) su BY) BY) -6,1% -0,1 -0,1% -3,0 -0,5% -9,6% -4,7 -7,7% -0,6 -57,8 -2,9% -19,9% -126,5 -127,1 -3,0% -2,2% (v.a.) -13,0 -1,7 -5,8 -2,1 -4,0 -57,5 -63,4 -8,3% -2,0% -3,0% -0,5% -1,3% -1,1% Effetti al 2010 di Proiezioni al 2010 politiche e Gap tra proiezioni sulla base di tutte misure e target le misure aggiuntive (v.a.) (in % su BY) 0,0 -2,4 -10,8 -2,3 -1,8 -27,8 0,0 0,0 140,9 -170,7 0,0% -4,0% -3,9% -3,2% -8,7% -9,6% 0,0% 0,0% -3,3% -3,0% (in % su BY) 195,2 -8,4% 400,2 -29,0% 73,8 22,7% 180,0 -35,3% 56,5 -21,6% 17,7 -13,2% 349,1 20,5% 68,0 -5,7% 621,3 -20,0% 3.785,3 -11,3% 4.825,3 -16,3% (v.a.) (in % su BY) -5,1 -2,4% -129,5 -23,0% -2,6 -4,3% -75,9 -27,3% -9,8 -13,6% -1,1 -5,2% 15,8 5,5% -7 -9,7% -58,0 -7,5% -139 -3,3% na na (v.a.) Fonte: Commissione Europea – Accompanying document to the communication from the commission Kyoto Progress towards achieving the Kyoto objectives SEC(2008) 2636, (pag. 7). (1) Base Year: secondo quanto stabilito nel Protocollo di Kyoto il Base Year è l’anno di riferimento sulla base del quale calcolare i vincoli posti in essere dal Protocollo stesso. per ulteriori informazioni vedi nota a pag. 1. (2) Meccanismi di Kyoto: Joint Implementation (JI) e Clean Development Mechanism (CDM), rispettivamente art. 6 e art. 12 del Protocollo di Kyoto. (3) Gli Stati membri possono ricorrere ai pozzi di assorbimento del carbonio art. 3.3 Protocollo di Kyoto. 30 note tematiche APPENDICE B – LE EMISSIONI PRO CAPITE IN 15 PAESI DELL'UE Nella tabella successiva sono riportati i dati relativi alle emissioni procapite registrate in 15 Paesi dell’UE nel 1990 e nel 2006 e la relativa variazione percentuale tratte dalle statistiche dell’EEA 34 . In Italia, nel periodo considerato, le emissioni pro-capite sono aumentate del 6,0%. Nonostante ciò, anche nel 2006, tra i vari SM, si è posizionata al quarto posto. Nei quindici Paesi dell’UE analizzati in questa appendice in media le emissioni pro-capite si sono ridotte, nello stesso periodo, del 8,7%. Tab. 5- Emissioni di Gas serra (CO2 equivalente) pro capite nell’EU-15 – variazione 1990-2005 – Emissio ni pro capite 1990 Austria Belgium Denmark Finland France Germany Greece Ireland Italy Luxembourg Netherlands Portugal Spain Sweden UK EU-15 10,356 14,529 13,439 14,262 9,956 15,518 10,335 15,833 9,117 34,765 14,212 5,913 7,410 8,449 13,445 11,675 Emissioni Variazione Posizione Posizione pro capite Variazione posizione 2006 1990-2005 1990 2006 1990-2006 11,020 13,031 12,984 15,277 8,592 12,188 11,965 16,574 9,666 28,400 12,702 7,870 9,903 7,267 10,801 10,656 6,4% -10,3% -3,4% 7,1% -13,7% -21,5% 15,8% 4,7% 6,0% -18,3% -10,6% 33,1% 33,7% -14,0% -19,7% -8,7% 6 12 9 11 5 13 7 14 4 15 10 1 2 3 8 - 7 12 11 13 3 9 8 14 4 15 10 2 5 1 6 - ↓ 1 ↔ ↓ 2 ↓ 2 ↑ 2 ↑ 4 ↓ 1 ↔ ↔ ↔ ↔ ↓ 1 ↓ 3 ↑ 2 ↑ 2 - Fonte: Elaborazione DT su dati EEA - European Environmental Agency. • • • 34 Le emissioni pro capite sono riportate anche nel grafico 1. I Paesi al di sotto della bisettrice hanno, nel 2006, ridotto le emissioni pro capite, rispetto al 1990, (grazie ad un uso più efficiente delle risorse), al contrario, i Paesi al di sopra della bisettrice hanno emissioni pro capite più elevate rispetto al 1990, (segnale di una diminuzione dell’efficienza). In media nei quindici Paesi dell’UE selezionati, nel 2006, si registra una riduzione delle emissioni pro capite di gas serra pari all’8,7% rispetto al 1990. http://eea.europa.eu. 31 note tematiche • Passando all’analisi per Paesi Spagna (33,6%), Portogallo (33,1%), Grecia (15,8%), Finlandia (7,1%), Austria (6,4%), Italia (6,0%) e Irlanda (4,7%) nel 2006 hanno emissioni pro capite più alte che nel 1990. Gli altri Paesi analizzati mostrano, invece, una tendenza opposta, in particolare Germania (21,5%), UK (-19,7%), Svezia (-14,0%) e Francia (-13,7%). Graf. 1 - Emissioni pro-capite nell’EU-15 (CO2 equivalente espressi in Mg, escluso il LULUCF) – variazione 1990 - 2005 35 - 17,500 Emissioni pro capite 2006 IE 15,500 FI 13,500 DK NL GR 11,500 AT DE UK IT ES 9,500 EU15 BE FR 7,500 PT SE 5,500 5,500 7,500 9,500 11,500 13,500 15,500 17,500 Emissioni pro capite 1990 Fonte: Elaborazione DT su dati EEA - European Environmental Agency. • • • • 35 La linea tratteggiata verticale, nel grafico 1, rappresenta la media dei quindici Paesi nel 1990, per cui i Paesi alla sua destra presentano un’emissione pro capite superiore della media. La linea tratteggiata orizzontale, invece, mostra la media dei quindici Paesi nel 2006, di conseguenza gli SM che si trovano al di sopra presentano un’emissione pro capite più elevata. Nel 1990 i Paesi che avevano emissioni pro capite più basse della media erano sette (Portogallo, Spagna, Svezia, Italia, Francia, Austria, Grecia); nel 2006 questi Paesi scendono a cinque con l’uscita dal gruppo della Grecia e dell’Austria. All’interno del gruppo a cinque va ricordato che solo la Svezia e la Francia hanno ridotto le emissioni rispetto al 1990. Da segnalare il progressivo avvicinamento alla media di tutti i Paesi che nel 1990 la superavano. In particolare, sebbene avvantaggiati dalla posizione di partenza, notevoli appaiono i risultati raggiunti dalla Germania seguita dall’UK e dalla Svezia. Nel grafico non è presente il Lussemburgo. 32 note tematiche APPENDICE C - SCHEMA DEL DISEGNO DI LEGGE DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI CONTABILITÀ AMBIENTALE Articolo 1 (Indirizzi generali) 1. La presente legge è finalizzata all'istituzione di un sistema di contabilità e bilancio ambientale che integri gli atti di programmazione economico-finanziaria e di bilancio dello Stato, delle Regioni delle Province e dei Comuni, allo scopo di assicurare conoscenza, trasparenza e responsabilità all'azione di governo rispetto ai principi dello sviluppo sostenibile, nell'integrazione delle sue dimensioni economica, sociale ed ecologica, e di assicurare, altresì, il diritto all'informazione ambientale. Articolo 2 (Delega al Governo) 1. Ai fini di cui all'articolo 1, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministro dello sviluppo economico, del Ministro per le riforme ed innovazioni nella Pubblica Amministrazione, del Ministro per gli Affari regionali e del Ministro dell’Interno, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: Istituire, e applicare gradualmente, nell’ambito degli atti di programmazione e di bilancio dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, un sistema di contabilità ambientale per l'elaborazione e l’approvazione di un bilancio ambientale,disciplinandone, anche attraverso il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti in materia, metodologie, modalità unitarie di rilevazione e gestione, nonché procedure di approvazione, distinte per ciascun livello istituzionale; prevedere che il sistema di contabilità ambientale sia articolato nelle seguenti componenti fondamentali: bilancio ambientale di previsione, che espone le scelte effettuate dall'amministrazione per l'esercizio successivo ai fini della sostenibilità ambientale delle proprie politiche, nonché le risultanze dei conti ambientali che ne costituiscono il fondamento; rendiconto ambientale, che evidenzia i risultati delle politiche ambientali perseguite dall'amministrazione nell'esercizio precedente, ponendoli a raffronto con i dati del bilancio ambientale di previsione; conti ambientali, elaborati ai fini della predisposizione del bilancio ambientale, ovvero l'insieme di conti e indicatori fisici e monetari, costituiti e organizzati in modo tale da favorire la rilevazione e la valutazione integrata dei fenomeni ambientali e dei fenomeni economici e sociali correlati; 33 note tematiche c) prevedere carattere sistematico e obbligatorio delle procedure, nonché periodicità, articolazioni e contenuti del sistema di contabilità ambientale tali da garantire integrazione, collegamento, confrontabilità e contestualità con gli atti ed i documenti di programmazione economico finanziaria e di bilancio degli enti interessati, assicurando il carattere di informazione complementare del bilancio ambientale rispetto alle determinazioni del bilancio economico finanziario; d) prevedere, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di tutta la presente delega, l’individuazione, in particolare tenendo conto delle componenti fondamentali del bilancio indicate alla lett. b), dei principi fondamentali della legislazione ai sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, in base ai quali le Regioni adottano la normativa di dettaglio di propria competenza; e) prevedere gradualità nell'articolazione e nel grado di specificazione e approfondimento dei documenti di programmazione e bilancio ambientale e differenziazione del contenuto dei medesimi, anche in relazione a quanto disposto dalla lettera d) e alle specifiche competenze di Stato, Regioni ed Enti locali, tenuto conto, per questi ultimi, delle dimensioni territoriali e demografiche; f) prevedere coerenza con le norme e gli indirizzi dell'Unione europea e delle organizzazioni internazionali in materia di bilanci pubblici e contabilità ambientale e con la loro evoluzione; g) prevedere la raccolta delle risultanze provenienti dai conti ambientali nel Rendiconto generale dello Stato, anche a norma dell'articolo 14 del Decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279; h) prevedere, anche attraverso l'eventuale adeguamento del Programma statistico nazionale, ulteriori e specifiche misure di razionalizzazione, coordinamento ed omogeneizzazione dei sistemi informativi e statistici per l'ambiente ed il territorio e delle metodologie da adottare, allo scopo di perseguire economie di risorse ed interoperabilità dei sistemi e di rendere disponibili i dati di base ed i conti ambientali all'interno del Sistema statistico nazionale; i) prevedere che i comuni con popolazione inferiore a 50.000 abitanti possano adempiere alle prescrizioni di cui alla presente legge anche in forma associata, purché siano chiaramente evidenti gli impegni programmatici ed i risultati raggiunti da ogni singolo comune; prevedere, altresì, che le Province, le comunità montane e gli enti parco di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394 possano supportare i singoli comuni che lo richiedano nell'adempimento delle prescrizioni di cui alla presente legge; l) prevedere un periodo transitorio, non superiore a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti delegati, per Stato, Regioni ed Enti locali, finalizzato all'adozione del sistema di contabilità e bilancio ambientale; 34 note tematiche m) prevedere che le pubbliche amministrazioni provvedano all'attuazione dei decreti legislativi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente ; n) prevedere, in ogni caso, la salvaguardia delle competenze statutarie delle Regioni a Statuto speciale. Gli schemi dei decreti predisposti ai sensi del comma 1, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro sessanta giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine previsto per i pareri dei competenti organi parlamentari scada nei trenta giorni che precedono o seguono la scadenza del termine di cui al comma 1, quest'ultimo s'intende automaticamente prorogato di novanta giorni. Ulteriori disposizioni, correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al presente articolo possono essere adottate, sulla medesima proposta di cui al comma 1, con il rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi e con le stesse procedure, entro diciotto mesi dalla data della loro entrata in vigore. Articolo 3 (Clausola di salvaguardia) Dall'attuazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 35 note tematiche RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012 approvato ai sensi dell’articolo 11, comma 1 del D.lgs. 4 aprile 2006, n. 216. EU (2002), Council Decision 2002/358/EC of 25 April 2002 concerning the approval, on behalf of the EU, of the Kyoto Protocol to the UNFCCCand the joint fulfilment of commitments thereunder, EU, Bruxelles. EU (2003), Council Directive 2003/96/EC of 27 October 2003 restructuring the Community framework for the taxation of energy products and electricity, EU, Bruxelles. EU (2003), Directive 2003/87/EU of the European Parliament and of the council of 13 October 2003 establishing a scheme for greenhouse gas emission allowance trading within the Community and amending Council Directive 96/61/EC, EU, Bruxelles. EU (2006), Direttiva 2006/32/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i se servizi energetici e recante abrogazione della direttiva 93/76/CEE del Consiglio, Bruxelles. European Commission (2005), Winning the Battle Against Global Climate Change, Communication from the commission to the Council, Bruxelles SEC(2005) 180. European Commission (2006), Structures of Taxation Systems in the European Union: 1995-2004, Brussels. European Commission (2007a), Green Paper on market-based instruments, Bruxelles SEC(2007) 388. European Commission (2007b), Commission Staff working paper accompanying the Green paper, Bruxelles COM(2008) 651. European Commission (2008), Accompanying document to the communication from the commission Kyoto Progress towards achieving the Kyoto objectives SEC(2008) 2636. Fondo Monetario Internazionale (2008), World Economic Outlook: Housing and the business cycle, Washington, DC. Goulder L.H. (1995), Environmental taxation and the double dividend: a reader’s guide in International Tax and Public Finance 2, 157–183. IPCC (2007), Fourth Assessment Report, Climate change 2007 Mitigation of climate change, Annual Report, IPCC. 36 note tematiche MEF (2007), Prime riflessioni sul sistema di contabilità e bilancio ambientale, MEF, Roma. Ministero dello Sviluppo Economico, (2007), Piano d’azione italiano per l’efficienza energetica 2007, Roma. Morgan Stanley Research (2007), The economics of climate change. OECD Environment Directorate - Environment Policy Committee (2008), Environmental policy from a regulatory quality perspective, OECD, Paris. OECD (2007), Instrument mixes for environmental policies, OECD, Paris. OECD (2006), The Political Economy of Environmentally Related Taxes, OECD, Paris. OECD (2005), Environmentally Harmful Subsidies, OECD, Paris. ONU (1992), United Nations framework convention on climate change, ONU, Rio de Janeiro. Piano Nazionale d’Assegnazione per il periodo 2008-2012 elaborato ai sensi dell’articolo 8, comma 2 del D.lgs. 4 aprile 2006, n. 216. Stern, N. (2007), The Economics of Climate Change The Stern Review, Cambridge University Press. 37 Ministero dell’Economia e delle Finanze Dipartimento del Tesoro Direzione I: Analisi economico-finanziaria Indirizzo: Via XX Settembre, 97 00187 - Roma Siti Web: www.mef.gov.it www.dt.tesoro.it e-mail: [email protected] Telefono: +39 06 47614202 +39 06 47614197 Fax: +39 06 47821886 Copyright: © 2009, Pietro Zoppoli, Maria Rita Ebano Il documento può essere scaricato dal sito web www.dt.tesoro.it e utilizzato liberamente citando la fonte e l’autore. Comitato di redazione: Lorenzo Codogno, Mauro Marè, Libero Monteforte, Francesco Nucci Coordinamento organizzativo: Marina Sabatini