Capitolo II L`insediamento francese in Indocina

Capitolo Secondo
L’insediamento francese in Indocina
Durante il regno di Minh Mang (1820-1841) gli ultimi residui di feudalesimo erano spariti. La cultura
vietnamita, però, ancora quasi totalmente filosofica e letteraria, generava un sistema di gerarchia
sociale che, imperniato esclusivamente sul confucianesimo, mostrava una profonda indifferenza verso
le rivendicazioni delle classi contadine. Questa cultura letteraria fissava il paese in una stasi, e le
comunità del villaggio mitigavano appena la subordinazione della classe contadina.
Sotto il regno di Minh Mang, la presenza dei francesi cominciò ad intaccare profondamente questa
struttura sociale in tutto il Vietnam e soprattutto in Cocincina.
Le missioni ebbero i mezzi per acquistare grandi estensioni di terre e costituire delle aziende con
attività artigianali e industriali collaterali. La Societé de Missions Entrangerès possedette immense
estensioni di terreno e divenne anche parte considerevole nella Banque d'Indochine. 1
Tutto questo non avvenne senza conseguenze politiche e sociali. La formazione di una comunità
cattolica significava la costituzione di un villaggio a parte, con il conseguente tentativo, ad opera dei
missionari, di appoggiarsi sui diseredati per scalzare il potere dei mandarini e dei letterati.
Nel 1857, sotto il regno di Tu Duc, un episodio rivelò il chiaro interesse dei missionari francesi per
favorire l'influenza politica e commerciale del loro paese nel Vietnam. Monsignor Pellerin, vicario
apostolico di Saigon, aveva condotto recentemente un'attiva campagna d'opinione in favore dei
missionari francesi. Egli aveva ottenuto l'invio di un plenipotenziario francese nel Vietnam per tentare
di ottenere da Tu Duc la libertà del culto cattolico.
Ma, come vedremo, la persona del plenipotenziario scelto, Montigny, e le istanze avanzate dalla
Francia, dimostrarono che in realtà il problema religioso era ben lontano da essere l'unico in causa.
Montigny, ex console di Francia a Shangai, fondatore in questa città dì una "concessione francese", era
strettamente legato agli interessi commerciali francesi nel Mar della Cina. In quel momento, infatti, il
problema dell'apertura dei mercati dell'Estremo Oriente si andava ponendo sempre più nettamente.
L'aumentata pressione delle grandi potenze in Cina, dopo l'apertura dei porti meridionali cinesi a
seguito della "guerra dell'oppio" (1839-1842), convinse i comandi francesi della necessità di avere un
avamposto nel Vietnam. Occorreva, quindi, avere il controllo di una "base" in Indocina per sorvegliare
da vicino quanto avveniva in Cina.
Dall'ottobre 1856 era ripresa in Cina la guerra contro gli inglesi, la seconda dell'oppio, e in Vietnam, si
rafforzò il partito di coloro che, nonostante gli eventi di Tourane del 1847, ritenevano più conveniente
schierarsi a fianco della Cina anziché contro di essa.
Tu Duc, quindi, rispose un chiaro e semplice "no" alle richieste che Montigny gli presentò a nome di
Napoleone III:
1) la fine delle persecuzioni dei Cristiani;
2) la libertà di commercio;
3) l'apertura di un consolato a Hué;
4) l'insediamento di una base commerciale a Tourane (Danang).2
Dopo questo rifiuto, la Francia, l'anno seguente (1858), decise di inviare una squadra navale nel porto
di Tourane. Ancora una volta le motivazioni formali erano strettamente religiose. Durante il regno di
Tu Duc, infatti, si verificarono gravi ribellioni interne e l'imperatore cominciò con grande decisione a
sciogliere le comunità cristiane per eliminare ogni influenza religiosa straniera. Questo lo portò a
distruggere villaggi e ad uccidere migliaia di vietnamiti oltre ad alcuni missionari francesi. Tali fatti
fornirono alla Francia un ottimo casus belli in Estremo Oriente.
In un comunicato apparso il 14 novembre 1857 sul "Moniteur LJniversel", Luigi Napoleone annunciò
"che le feroci persecuzioni contro i missionari hanno più di una volta condotto le nostre navi da guerra
1
2
Cfr. S. MARCHESE, Le origini della rivoluzione vietnamita, La Nuova Italia, Firenze, 1971, p.12.
Cfr. C. PIZZINELLI, Vietnam, Pan Editrice, Milano, 1981. pp. 98-99.
sulle coste del Regno di Annam, ma ogni sforzo per entrare in rapporti con quel governo è stato vano.
Il governo dell'Imperatore non può permettere che le sue offerte vengano spregiate e ha deciso l'invio
di una spedizione". 3
I francesi compresero che dovevano appoggiare la posizione dei cristiani nel Vietnam con
la forza, oppure rassegnarsi a vederla distrutta. Quindi, mentre si univa agli inglesi contro la Cina nel
1857-60, la Francia impiegava le proprie forze contro il Vietnam.
II 31 agosto 1858, giunse dinanzi a Tourane una squadra navale comandata dall’Ammiraglio Rigault
de Genouilly e composta da circa duemila soldati francesi e da mille spagnoli. La presenza di soldati
spagnoli era giustificata dal fatto che della persecuzione antimissionaria di Tu Duc nel Tonchino era
stato vittima anche un vescovo spagnolo.
Tourane, conquistata con facilità, non poté però essere tenuta a causa della mancanza di piloti e di
strade, del clima spaventosamente caldo, del colera e del mancato appoggio di cristiani locali e di forze
ribelli, promesso dai missionari. Incapaci di avanzare verso la capitale Hué, i francesi si diressero verso
sud e occuparono Saigon il 18 febbraio 1859.
Già il 23 febbraio, con una rapidità di esecuzione che rivela la vera natura delle preoccupazioni
francesi, una decisione unilaterale dell'ammiraglio francese abbassò del 50% i diritti doganali, aprì il
porto a "tutte le nazioni amiche" e liberalizzò l'esportazione del riso fino a quel momento vietata.
Il miglioramento della sorte dei missionari, motivo ufficiale dell'attacco contro Tourane, era
rinviato a giorni migliori.4
Poiché la seconda campagna della Cina aveva obbligato a ridurre la guarnigione di Saigon a 800 uomini,
presto assediati dalle truppe vietnamite, la città dovette essere liberata nel 1861 dall'Ammiraglio
Charner, al suo ritorno dalla campagna vittoriosa in Cina.
L'imperatore vietnamita accettò di negoziare una soluzione politica del conflitto ed il 5 giugno 1862 fu
firmato un trattato. Questo concedeva alla Francia il controllo di tre province orientali del Vietnam
meridionale (Mytho, Saigon e Bien Hoa), il versamento di un'indennità, l'apertura di tre porti, la libertà
di propagare il cristianesimo e altre facilitazioni commerciali. La Spagna, co-firmataria del trattato, fu
poco dopo estromessa.
Il trattato del 1862, imposto con la forza al governo di Hué e la cui firma era stata affrettata per la
paura di una rivolta contadina generalizzata, non fu considerato come definitivo dall'imperatore Tu
Duc.
La corte di Hué inviò nel 1863 un alto mandarino, Phan Thanh Gian, a proporre a Parigi il riscatto della
Cocincina orientale in cambio del pagamento di un tributo annuale. Ma la Francia rifiutò e Phan Thanh
Gian prese sconsolato la via del ritorno, non immaginando quanto sarebbe accaduto l'anno dopo.
Napoleone III, stretto dai bisogni e dai passivi dei bilanci, aveva infatti cambiato idea. Le sconfitte del
Messico e la spinta a sinistra delle elezioni del 1863 inquietarono il governo imperiale francese; anche
una notevole parte degli ambienti d'affari era ostile alle guerre coloniali e si sarebbe accontentata di
trattati commerciali vantaggiosi alle idee libero-scambiste.5
L'ufficiale di marina Auberet fu inviato a Hué per negoziare la restituzione delle province conquistate
nel 1862. Fu allora che le camere di commercio francesi, insieme con altri gruppi, si opposero
violentemente a retrocessioni di questo tipo.6
Si trattava della prima apparizione, nella politica interna francese, di un "partito coloniale" la cui
importanza continuerà ad aumentare fino alla fine del XIX secolo. 7 Accadde, quindi, che quando
Auberet firmò a Hué, il 15 luglio 1864, un trattato di restituzione delle tre province, il partito coloniale
era tanto forte da impedire che Parigi ratificasse l'accordo.
Cfr. K. PANIKKAR, L'Asia sud-orientale, in Storia della dominazione europea in Asia, Einaudi Editore, Torino, 1958, p.226.
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit.,, p. 112.
5
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p. 116.
6
Cfr. J. LAFFEY, L'impero coloniale francese, in La storia, Utet, Torino, 1988, p.638.
7
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p.117.
3
4
2
Intanto, nel settembre 1862, il re della Cambogia Norodom aveva ricevuto la visita dell'Ammiraglio
Bonard. Si trattava per la Francia, stabilita nella Cocincina, di opporsi alle pretese dei siamesi sulla
Cambogia, facendo valere gli antichi diritti di sovranità del Vietnam sul paese. Gli abili negoziati del
Capitano di Vascello Doudart de Lagrèe permisero all'Ammiraglio La Gandière, governatore della
Cocincina, di firmare un trattato che stabiliva il protettorato della Francia sulla Cambogia.8
Il trattato, che subordinava la politica estera cambogiana all'autorità esclusiva della Francia,
contemplava altresì:
la nomina di un residente francese, incaricato di sovrintendere agli affari del regno;
la libertà per i francesi di circolare nel paese;
il diritto per i missionari di svolgere attività religiose;
il diritto per la Francia di sfruttare il patrimonio forestale.9
Quantunque il re della Cambogia Norodom avesse accettato nel 1863 il protettorato francese per
allontanare le pretese dei siamesi, soltanto nel 1867 il Siam rinunziò alle sue richieste di sovranità sulla
Cambogia, facendosi cedere, come prezzo di questa rinunzia, le province cambogiane di Battambang e
di Angkor (Simreap e Sisophon).
Nello stesso 1867, la Francia si impadronì unilateralmente delle ultime tre province cocincinesi (Vinh
Long, Soc Trang e Chan Doc) rimaste sotto l'autorità di Hué, con la scusa che ciò era indispensabile per
prevenire un intervento del Vietnam in Cambogia.
Un editto pubblicato nel 1867 da Tu Duc, all'indomani dell'occupazione dell'ovest cocincinese, mostra
ancora una certa volontà del governo di Hué di ricostituire l'unità nazionale e riconquistare le province
perdute:
" (...) Da questo momento il grande problema dei padri di famiglia è di risollevare il regno. Il vero modo
per assicurare il successo è che le diecimila famiglie si uniscano in un'unica volontà (...) Felice sarei (...)
di riscattare i miei errori passati, di rendere qualche onore al merito dei miei antenati! (..,)". 10
Tu Duc ammise le sue responsabilità e percepì che la salvezza della nazione dipendeva esclusivamente
dal popolo, ma nel contesto politico dell'antica monarchia vietnamita l'appello di Tu Duc non poteva
che restare vano. Questo perché il carattere stesso e le basi sociali dell'apparato monarchico e
mandarinale avevano loro alienato, da secoli, la massa della popolazione. Corvées, sistema fiscale e
sistema degli affitti, avevano lasciato troppi rancori.
Un altro elemento, inoltre, venne a complicare la situazione politica nel Tonchino. Dopo la sconfitta del
1865-66, i sopravvissuti alla rivoluzione cinese dei Tai-ping si erano rifugiati nell'Alta Regione. Riuniti in
bande rivali, Bandiere rosse o gialle, nere o bianche, essi si erano organizzati in specie di feudi di fatto
più o meno indipendenti dal governo centrale vietnamita.
La conquista del Tonchino da parte dell'impero francese fu la conseguenza di alcune deludenti
spedizioni nel Vietnam del Sud. Già prima che il delta del Mekong venisse conquistato, si era affacciata
l'idea di risalire il grande fiume sino in Cina. Nelle istruzioni impartite a Doudart de Lagrée, la cui
missione si inoltrò sul Mekong nell'estate del 1866, si avanzava la possibilità di far scendere lungo il
fiume "la maggior parte dei prodotti della Cina centrale".
Francis Garnier, posto successivamente a capo dell'esplorazione (1866-68), riferì che le rapide del
Mekong avrebbero reso impossibile lo sviluppo di scambi commerciali significativi. Ma Garnier riteneva
pure che il Fiume Rosso del Tonchino avrebbe potuto realizzare le promesse già intraviste nel Mekong
ed insistette pure sulle presunte ricchezze minerarie del Tonchino. 11
Cfr. G. OEDÈS, II Cambogia fino al XX secolo, in Le Civiltà dell'Oriente, voi. I, Gherardo Casini Editore, Roma, 1956, p.813.
Cfr. K. PANIKKAR, L'Asia sud-orientale, in op. cit., p.227.
10
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., pp. 125-126.
11
Cfr. J.LAFFEY, L'impero coloniale francese, op. cit., pp.638-639.
8
9
3
I tentativi francesi di occupare il Vietnam si inseriscono, quindi, nella complessa strategia (perseguita
sia durante il Secondo Imperio sia con la III° Repubblica) di penetrazione nell'Asia orientale e
segnatamente nella Cina meridionale.12
La pubblicazione di un'informatissima opera sui viaggi di esplorazione in Indocina attirò l'attenzione
degli ambienti commerciali francesi di Lione, di Bordeaux e di Marsiglia sulla superiorità del Fiume
Rosso come via d'accesso alla Cina meridionale. Per raggiungere tale scopo, occorreva però ottenere
libero accesso ai porti e alle vie marittime del Tonchino.
L'ammiraglio che governava Saigon, Dupré, dichiarò che la penetrazione nel Tonchino "è una questione
di vita o di morte per l'avvenire della nostra dominazione in Estremo Oriente". 13
L'occasione gli fu offerta quando un ex trafficante di armi a Shangai, all'epoca della spedizione cinese e
della rivoluzione dei Tai-ping, Dupuis, di ritorno dallo Yunnan verso il Tonchino venne bloccato con un
notevole carico di stagno ceduto da Ma, maresciallo cinese, in cambio di armi. Dupuis inalberò allora la
bandiera francese, cosa cui non era autorizzato, ed inviò Millot, suo vice, a cercare soccorsi a Saigon.
L'ammiraglio Dupré approfittò dell'affare Dupuis per ottenere con l'intimidazi one nuovi vantaggi per la
Francia. Egli inviò Garnier a Hanoi con duecento uomini, apparentemente per allontanare, su richiesta
dell'imperatore Tu Duc, il trafficante d'armi Dupuis, in realtà per stabilire il proprio controllo sul
Tonchino. 14
Il minuscolo esercito di Garnier si impadronì della città di Hanoi e, con l'appoggio dei capi delle bande
partigiani dei Le e delle comunità cristiane, occupò tutto il delta del Tonchino.
Ma il 21 dicembre 1873, Garnier venne ucciso ad opera delle Bandiere nere, una banda di ex-ribelli
cinesi, legati in modo indiretto alla monarchia vietnamita.
Il governo francese non reagì e anzi fece evacuare il delta del Tonchino. Le preoccupazioni maggiori del
governo francese, infatti, erano rivolte all'interno a causa della guerra franco-prussiana; per questo
motivo esso non replicò, preferendo piuttosto concordare un nuovo trattato di Saigon (15 marzo 1874)
che garantiva i commerci lungo il Fiume Rosso sino alla provincia cinese di Yunnan, con l'impegno per i
commercianti di non avviare traffici nel Tonchino stesso, e stabiliva una minuscola guarnigione
francese ad Hanoi.
Ma il trattato conteneva anche degli articoli che dimostravano un disinteresse soltanto momentaneo
della Francia per il Vietnam e, anzi, gettavano le basi per una futura espansione coloniale. L'articolo 2,
che permetteva alla Francia di intervenire nei territori del regno per mantenere l'ordine e la
tranquillità, e l'articolo 3, che impegnava il governo vietnamita a conformare la sua politica estera a
quella della Francia, riducevano il Vietnam ad un protettorato. 15
La sconfessione della spedizione militare francese, quindi, non fu esente da conseguenze. Essa aprì un
decennio di disordini nel Tonchino, di attriti tra Francia e Cina e di crescente sentimento imperialista
francese.
Al tempo stesso l’indietreggiamento francese incoraggiò l'imperatore Tu Duc ad esercitare rappresaglie
contro i tonchinesi che avevano aiutato Francis Garnier e a far appello alla Cina, nazione sovrana.
Da parte francese, con l'arrivo al potere dei "moderati" nel 1879, il programma colonialista non si
limitava più all'apertura di una strada commerciale per la Cina attraverso il Tonchino; prevedeva anche
l'occupazione militare del Tonchino, di cui si magnificavano le ricchezze minerarie. Solo nel 1882 però i
francesi iniziarono operazioni militari su vasta scala, e inviarono nel Tonchino il comandante Rivière
per combattere i pirati e le infiltrazioni cinesi.
12
Cfr. F.MONTESSORO, Rivoluzione nazionale e sociale in Indocina, in II Mondo Contemporaneo. Storia dell'Asia, La Nuova
Italia, Firenze, 1980, p.155.
13
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p. 128.
14
Cfr. J.K. FAIRBACK, E.O.REISCHAUER, A.M.CRAIG, La Francia in Indocina, in La storia dell'Asia Orientale, voi. II, Einaudi
Editore, Torino, 1974, p.532.
15
Cfr. S. MARCHESE, op. cit., p.14.
4
L'ondata imperialista ormai attraversava tutto il paese. Alle proteste del ministro degli Esteri cinese, i
francesi risposero che la Cina non aveva locus standi nella faccenda: "Noi abbiamo dato istruzioni al
governo dell'Indocina- dichiarò il ministro degli Esteri francese, De Freycinet, - affinché venga data
piena applicazione al trattato del 1874, che riguarda solamente le due potenze firmatarie. Non
abbiamo spiegazioni da dare al governo cinese".16
Verso la fine del 1882, i direttori della rivista "Le Journal des Chambres de commerce françaises"
decisero che "il Tonchino (...) aspira ad essere liberato dai propri oppressori" e quindi che,
intervenendo nel Tonchino, la Francia avrebbe intrapreso ancora una volta "un'opera di
civilizzazione".17
L'interesse per il grande mercato, che la conquista del Tonchino avrebbe aperto, era evidente nelle
pagine che ancora "Le Journal des Chambres de commerce françaises" riportava nel maggio 1883:
"Tutte le regioni della Francia sono interessate all'apertura di questo grande sbocco (il Tonchino) (...),
Marsiglia dal punto di vista marittimo, Lione per le sete, Bordeaux, Nantes e Le Havre per le proprie
merci coloniali".18
Sotto tali crescenti pressioni, la camera dei deputati votò il 14 maggio 1883 gli stanziamenti necessari
ad un intervento sul Fiume Rosso, al fine di assicurare "la libertà di commercio".19
Cinque giorni dopo, Rivière venne ucciso dalle Bandiere Nere, nelle stesse equivoche circostanze di
Garnier, e quando la notizia raggiunse Parigi gli stanziamenti ricevettero un voto unanime.
Nell'agosto 1883, giunse nel Tonchino la spedizione di rinforzo comandata dal Commissario Harmand,
il Generale Boüet e l'Ammiraglio Courbet. Le operazioni si estesero rapidamente nel delta; Hai Duong
fu conquistata poco dopo. Dopo il bombardamento dei forti della capitale Hué, il 25 agosto i mandarini
accettarono di firmare il trattato dell'inviato francese Harmand. Esso imponeva un più rigido
protettorato francese su tutto il Vietnam e la cessione delle province del Binh Thuan e del Khanh Hoa
alla colonia Cocincina.
La crisi di Hué non impedì però che la resistenza vietnamita proseguisse nel nord. Nel dicembre del
1883, Son Tay venne occupata dall’Ammiraglio Courbet e nella primavera del 1884 nuove truppe
francesi giunsero in Vietnam. Altre località furono perdute dal Vietnam, particolarmente Bac Ninh,
difesa dalle truppe vietnamite e Hung Hoa, difesa dalle Bandiere Nere.
Nel maggio 1884 i cinesi siglarono un accordo con un ufficiale di marina francese, la convenzione LiFournier, in base alla quale la Cina avrebbe ritirato le proprie truppe e autorizzato il commercio
francese attraverso il Tonchino, mentre la Francia avrebbe conservato l'Annam e i diritti che i trattati le
concedevano in questa zona, senza pretendere indennità dalla Cina.20
Poco tempo dopo, il 6 giugno 1884, il trattato tra la Francia ed il Vietnam aveva confermato il
protettorato, in maniera tuttavia attenuata rispetto alla convenzione Harmand. La resistenza cinese e
vietnamita, evidentemente, aveva momentaneamente portato i suoi frutti. Il risultato più cospicuo fu
la rinuncia, da parte francese, ad annettere le province di Binh Thuan e del Khan Hoa alla colonia di
Cocincina, contrariamente a quanto prevedeva la convenzione Harmand. 21
Ma l'accordo ottenuto nella primavera tra Francia e Cina era precario. I cinesi non volevano rinunciare
alla signoria sull'Annam e inoltre negavano che il testo dei trattato prevedesse l'immediata
evacuazione dal Tonchino delle loro truppe, come pretendevano i francesi. Un incidente locale a Bac
Le, il 23 giugno, pose di fronte le truppe delle due parti e l'Ammiraglio Coubert colse l'occasione per
scatenare un attacco generale che portò la Francia ad occupare Formosa e le Pescadores.
16
Cfr. K. PANIKKAR, L'Asia sud-orientale, in op. cit., p. 228.
Cfr. J. LAFFEY, L'impero coloniale francese, in op. cit., p. 639.
18
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p.133.
19
Cfr. J. LAFFEY, L'impero coloniale francese, in op. cit., p. 639.
20
Cfr. J.K. FAIRBACK, E.O. REISCHAUER, A.M. CRAIG, L'Intrusione straniera e la resistenza cinese, in La storia dell'Asia
Orientale, voi. II, cit., p.440.
21
Cfr. S. MARCHESE, op. cit., p. 17.
17
5
La Cina, nonostante alcuni successi locali come lo scontro di Lang Son, motivo della caduta del primo
ministro francese Jules Ferry, non era in condizioni di opporre resistenza e, con il trattato di Tien Tsin
del 9 giugno 1885, riconobbe definitivamente il protettorato francese sul Vietnam in cambio della
restituzione di Formosa e delle Pescadores.
Quantunque la Cambogia vivesse sotto regime di protettorato dal 1863, le rivolte contro i francesi non
cessarono. Il 17 giugno 1884, il residente francese di Cocincina obbligò il re Norodom a firmare un
nuovo accordo. Se il re conservava nominalmente il potere, egli si obbligava ad accettare tutte le
riforme che le autorità francesi giudicassero utili al funzionamento del protettorato. Il potere passava
praticamente nelle mani dei francesi.22
Una politica di questo genere, che cercava di affrettare i tempi che occorrono per trasformare un
protettorato in una colonia, richiedeva un numeroso personale residente che la Cocincina non aveva e
che il parlamento non era disposto ad accordare per ragioni di bilancio.
Il risultato di questa politica ambiziosa, inasprita dalle vessazioni fiscali della dogana, fu una rivolta
durata dal 1884 al 1886. Soltanto dopo due anni di lotta, e dopo che la Francia rinunciò ad applicare
l'accordo, si arrivò ad una conclusione.
Nell'ottobre 1887 fu creata l'Unione Indocinese amministrata da un governatore generale dipendente
dal Ministero delle colonie.
Essa convalidò il dominio francese su quattro regioni, la Cocincina, amministrata direttamente come
colonia, la Cambogia, l’Annam e il Tonchino, governati in modo più indiretto come protettorati.
Dal governatore generale dipendevano cinque dipartimenti cui erano preposti rispettivamente
il Comandant supérieur des troupes,
il Comandant supérieur de la Marine,
il Secretaire general,
lo Chef du Service judiciaire
il Directeur des Douanes et régies.23
Dal governatore generale dipendevano inoltre un vicegovernatore per la Cocincina, un residente
generale per FAnnam e il Tonchino e un residente generale per la Cambogia. Ognuna di queste unità
amministrative aveva un'organizzazione e un bilancio separati. Teoricamente il governatore generale
aveva poteri quasi assoluti; in realtà era sottoposto a una stretta supervisione della Direzione di
controllo del Ministero delle colonie. La maggior parte della legislazione relativa all'Indocina era di
competenza del parlamento francese, o era costituita da decreti emanati dal ministero delle colonie.24
A completare l'impresa indocinese mancavano solo i territori occupati dai regni laotiani.
Lo Stato laotiano - noto in antico come Lan-chang - si era smembrato dopo la morte del suo re più
rinomato, Souliya Vongsa (1637-94), in tre parti: il regno di Luang Prabang nel nord, il regno di
Champassak nel sud e il regno di Vientiane (Vieng Chan) nel centro, tutti in varia misura soggetti
all'influenza del Siam.
La firma del trattato che nel 1883 stabiliva il protettorato della Francia sul Tonchino, spinse la corte di
Bangkok a far occupare militarmente tutta la regione a nord e ad est di Luang Prabang (1885). Le
proteste del governo del Vietnam portarono alla creazione a Luang Prabang di un consolato francese
che fu affidato ad Auguste Paviè.
Diversi incidenti tra il Siam e la Francia provocarono da parte di quest'ultima una dimostrazione navale
davanti a Bangkok che terminò il 3 ottobre 1893 con la firma del trattato francosiamese, con cui il Siam
accettava di evacuare la riva sinistra del Mekong e di riconoscere il protettorato della Francia sul Laos;
questo paese entrava così nell’Unione Indocinese creata nel 1887.
22
Cfr. P. DEVILLERS, Cambogia e Laos contemporanei, in Le Civiltà dell'Oriente, voi. I, cit., p.821.
Cfr. D.G.E. HALL, L'amministrazione francese e il nazionalismo in Indocina, in Storia dell'Asia Sudorientale, Rizzoli Editore,
Milano, 1972, p.926.
24
Ibidem
6
23
Nel 1895 i tre regni laotiani furono divisi in un "Alto Laos (capitale Vientiane) e in un "Basso Laos"
(capitale Khòne), poi unificati nel 1899 in un "Protettorato dei Laos". La disputa territoriale francosiamese si concluse però solo nel 1907, quando la Francia annesse al protettorato della Cambogia le
province di Battambang e Siemreap, che nel 1867 aveva attribuito all'autorità di Bangkok in cambio
della rinuncia dei suoi diritti sulla Cambogia.
I francesi non ebbero crisi di coscienza davanti al problema dell'"imperialismo coloniale", per il
semplice motivo che vedevano in esso un mezzo di offrire a popolazioni arretrate una civiltà che
ritenevano essere la migliore al mondo, appunto la francese.25
Lo spirito coloniale sarà improntato nel profondo all'irrazionalismo torbido, razzista ed incline
all'esotismo che permeerà il pensiero di questi avventurieri e alimenterà la formazione ed il
consolidarsi di quelle teorie di "valorizzazione" delle colonie che formuleranno soprattutto
amministratori e governatori generali quali De Lanessan, Doumer, Beau.26
Prima di loro, a sostenere la superiorità della cultura francese su ogni altra era intervenuto il grande
statista della III repubblica Jules Ferry. In un suo discorso alla Camera, il 28 luglio 1885, a favore della
concessione dei crediti chiesti per il Madagascar, Ferry, il cui Ministero era stato rovesciato il 30 marzo,
colse l'occasione per esporre il suo sistema di politica coloniale. In esso era presente una
giustificazione di natura razzista della politica espansionistica francese, in quanto Ferry proclamava:
"(...) Bisogna affermare apertamente che le razze superiori hanno effettivamente dei diritti nei
confronti di quelle inferiori. (...) Ripeto che compete alle razze superiori un diritto, cui fa riscontro un
dovere che loro incombe: quello dì civilizzare le razze inferiori (... )".27
Il sistema legale e politico indocinese fu abbattuto, e da parte delle autorità coloniali francesi si tentò
di sostituirlo con una "politica di assimilazione", cercando cioè di imporre il sistema in uso nel territorio
metropolitano. Il risultato di tutto ciò fu il crollo dell'ordine sociale.
Le Myre de Vilers, primo governatore non militare dell'Indocina, nel 1885 analizzò esattamente la
situazione con queste parole: "Noi abbiamo distrutto il passato senza avere messo nulla al suo posto.
Siamo alla vigilia di una rivoluzione sociale che è cominciata durante la conquista". 28
L'espansione francese, stimolata dall'assorbimento del Laos nel 1893, non si stabilizzò che con
l'accordo anglo-francese del 1896, che evitò la guerra e garantì l'indipendenza del Siam nell'area della
valle del Menam.
Quando Paul Doumer assunse, nel 1897, la carica di governatore generale dell'Indocina, il protettorato
si trasformò a poco a poco in una vera e propria amministrazione diretta. Il Tonchino fu posto sotto
l'autorità diretta del residente francese e, nonostante rimanesse teoricamente un protettorato,
trasformato in una colonia vera e propria a tutti gli effetti pratici. Quanto all'Annam e alla Cambogia, i
loro governi furono presieduti dai residenti francesi che resero i poteri dei sovrani puramente onorifici.
I territori laotiani divennero un "protettorato autonomo", cui era preposto un résident supérieur
responsabile verso il governatore generale.
Mentre in Cocincina, colonia dal 1864, sì attuò una generale politica di assimilazione, educando i
vietnamiti alla maniera francese e inserendoli nei livelli inferiori di un'unica burocrazia, nelle altre zone
di protettorato si tentò anche, superficialmente, una politica di "associazione", innalzando i funzionari
vietnamiti, cambogiani e laotiani, disposti a collaborare, ai livelli superiori di una struttura parallela, ma
esautorata, di organismi governativi indigeni, cosicché il dominio francese sembrò apparentemente
indiretto. 29
I primi accenni di politica di "associazione" possono essere fatti risalire al Consiglio dei Notabili, creato
dal governatore Bert nel 1886. Dopo la morte di Bert, l'unico che tentò seriamente di mettere in atto
25
Cfr. G. DUBY, Storia della Francia, Bompiani, Milano, 1987, p.1015.
Cfr. F. MONTESSORO, Rivoluzione nazionale e sociale in Indocina, in op. cit., p.155.
27
Cfr. H. BRUNSCHWIG, Miti e realtà dell'imperialismo coloniale francese, Cappelli Editore, Bologna, 1964, p.103.
28
Cfr. K. PANIKKAR, L'Asia sud-orientale, in op. cit., p.229
29
Cfr. J.K. FAIRBACK, E.D. REISCHAUER, A.M. CRAIG, La Francia in Indocina, in op. cit., p.534.
26
7
questa politica fu De Lanessan, ma fu richiamato in patria perché la sua azione fu giudicata troppo
affrettata.30
In ogni caso l'autogoverno dei popoli coloniali non fu mai l'obiettivo della politica francese: il suo tratto
caratteristico non era l'associazione ma l'assimilazione.31
II risultato della conquista francese fu la decimazione, se non addirittura lo sterminio della classe dei
letterati.
Una nuova classe dirigente si sostituì ad essi, formata di funzionari francesi, aiutati da funzionari
vietnamiti che erano reclutati con sistemi completamente diversi da quelli in uso nell'antico Vietnam:
ausiliari, scrivani, interpreti o notabili.
I giovani vietnamiti che aspiravano a divenire i nuovi letterati e a formare la nuova classe dirigente del
paese furono invece relegati in impieghi inferiori. Il risultato fu che la nuova "intelligentsia" non
potendo trovare la sua strada nel sistema, divenne a questo ostile e cominciò a rivendicare
quell'indipendenza che gli ultimi letterati ancora reclamavano. Il nazionalismo vietnamita era nato,
anche se per il momento limitato al gruppo dei "neo-letterati". 32
Abbiamo visto come il rafforzarsi dell'apparato amministrativo e fiscale della colonizzazione era
particolarmente netto nell'Indocina francese, durante i cinque anni del proconsolato di Doumer (18971902). Dalla capitale Hanoi, il governatore generale resse la Cocincina mediante un governatore e i
quattro protettorati di Cambogia, Annam, Tonchino e Laos, per mezzo di résidents supérìeurs francesi,
alle dipendenze dei quali i residenti francesi governavano a loro volta le province tramite il funzionario
indigeno.
La facciata dell'amministrazione indigena era imponente. L'Assemblea consultiva indigena, che
assisteva il résident supérieur, era un eloquente esempio del sistema di mascheratura messo in atto
dalla Francia: la maggior parte dei membri di questo organo erano eletti, ma da un ristretto gruppo di
funzionali e di altre persone fidate.33
Doumer rafforzò anche l'autorità del governatorato generale concentrando nelle sue mani gli introiti
dei monopoli dell'oppio, del sale e dell'alcool. Il sistema di Doumer era di carattere mercantilistico ed
intendeva soprattutto promuovere gli interessi della Francia anziché quelli dell'Indocina. L'Indocina
servì così per fornire posti di lavoro, possibilità di commercio e di investimenti per i francesi.34
Questo sistema di sfruttamento col oniale non era certo cominciato con l’arrivo di Doumer in Indocina.
Le tariffe doganali, gravosissime, del periodo 1887-92 che miravano soprattutto a subordinare
l'economia vietnamita agli interessi industriali francesi, mostravano già la necessità della Francia di fare
dell'Indocina un mercato per i suoi prodotti.
Jules Ferry, nel suo discorso alla Camera del 28 luglio 1885, fece notare l'esistenza di un'altra forma di
colonizzazione oltre a quella dell'emigrazione: "(…) È quella che si addice ai popoli che hanno un
eccesso di capitali oppure un'eccedenza di prodotti. (...) Per i paesi destinati dalla natura stessa della
loro industria a una forte esportazione, come è appunto il caso della nostra industria, la questione
coloniale si identifica con quella degli sbocchi".35
Le merci francesi riuscirono dunque a dominare molto rapidamente il mercato vietnamita, malgrado il
costo elevato e la lunga distanza che dovevano coprire; la tariffa doganale le proteggeva contro
qualsiasi concorrenza straniera, mentre la politica generale della colonizzazione le metteva al riparo da
quella della produzione industriale sul territorio vietnamita. Basti pensare che se fra il 1879 ed il 1883
30
Cfr. K.PANIKKAR, L'Asia sud-orientale, in op. cit, p.231.
Cfr. D.G.E. HALL, L'amministrazione francese e il nazionalismo in Indocina, in op. cit., p.925-926.
32
Cfr. P. DEVTLLERS, II Vietnam contemporaneo, in Le Civiltà dell'Oriente, voi. I, op. cit.,p.851.
33
Cfr. D.G.E. HALL, L'amministrazione francese e il nazionalismo in Indocina, in op. cit., p.927.
34
Cfr. CADY, L'amministrazione francese in Indocina, in Storia dell'Asia sud-orientale, La Nuova Italia, Firenze, p.663.
35
Cfr. H. BRUNSCHWIG, op. cit, p.103.
31
8
la percentuale francese delle importazioni ed esportazioni dall'Indocina era rispettivamente il 16 ed il 7
per cento, nel 1929 aumentava fino al 47 e 22 per cento.36
Mentre il commercio vietnamita, quindi, cadeva in un crescente stato di dipendenza nei confronti della
metropoli, i suoi tradizionali legami con i vicini dell'Estremo Oriente tendevano ad allentarsi. La più
importante conseguenza della subordinazione delle merci vietnamite a quelle francesi era il freno
imposto in tal modo alla capacità produttiva del Vietnam. Lo stesso sviluppo di alcuni settori privilegiati
(riso, carbone caucciù) non poteva essere considerato come un vero "progresso", in quanto continuava
ad essere inferiore alle sue reali possibilità.
L'amministrazione autoritaria che non tiene conto del trattato di protettorato, la pesante fiscalità,
l'accaparramento di terre da parte dei coloni, tutti questi aspetti del regime coloniale ai suoi inizi
spiegano la continuazione della resistenza armata vietnamita. Non si può dubitare, d'altra parte, che
questi fatti abbiano a loro volta decisamente contribuito a fomentare il malcontento e anzi l'ostilità
della popolazione, e quindi la stessa resistenza.
Nel Tonchino, nell’Annam settentrionale e meridionale e perfino in Cocincina scoppiarono delle rivolte
contro i francesi, nelle quali i letterati confuciani ebbero un ruolo di primo piano. Guidata da questi
letterati la resistenza verrà largamente appoggiata da tutta la popolazione.
La lotta condotta per tre anni da Ham Nghi, l'imperatore fanciullo che fuggì nel 1885 per guidare la
resistenza sulle colline, costituì una prima tappa di questa ribellione. Ma la cattura di Ham Nghi (1888)
non segnò la fine del movimento, che si prolungò ancora per venti anni.
La resistenza si concentrò soprattutto sulle montagne a causa delle condizioni più favorevoli alla guerra
partigiana. Nell'Alta Regione operarono numerose decine di bande di consistenza e di origine molto
diverse: alcune, composte di contadini vietnamiti cacciati dalla miseria, dall'aumento delle imposte e
delle corveés, come quelle di De-Tham; altre, in genere organizzate da fuorilegge di professione,
furono guidate da ex appartenenti alle Bandiere Nere, come il cinese Luong Tam-ky.
Furono le prime ad avere una maggiore capacità organizzativa e un numero più cospicuo di seguaci, e
furono quelle la cui resistenza durò più a lungo: praticamente non cesserà che alla morte di De-Tham
nel 1913.
Le tariffe doganali, del periodo 1887-92, avevano un carattere fiscale senza prospettiva che provocò
perfino il malcontento degli stessi commercianti francesi. Non solo, il rafforzamento del controllo
amministrativo coloniale aveva anche sminuito il diritto accordato ai missionari, dai precedenti trattati
di protettorato, di rappresentare i cattolici presso l'autorità regolare. I missionari relegati a svolgere un
ruolo sempre più modesto nella vita politica coloniale, eserciteranno attraverso la stampa una politica
sovente ostile al governo coloniale. Alcuni giornali, l'"Avenir du Tonkin", ad esempio, erano
direttamente controllati dai missionari.37
Quando, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 1898, una banda di ribelli attaccò senza successo la città di
Hanoi, il giorno seguente l'Avenir du Tonkin scrisse: "II governo farebbe bene a rinunciare ad un
opportunismo pericoloso ed occuparsi infine di tutti quei movimenti vietnamiti causati dal nuovo
sistema di imposte". 38
Il rafforzamento del controllo francese suscitò, in Cambogia, un forte malcontento, provocando la
sollevazione della popolazione sotto la guida di un principe della casa reale, Si Vattha.
L'insurrezione, scoppiata nel gennaio del 1885, durò diciotto mesi e costò gravi perdite alle forze
occupanti. Poi Si Vattha, braccato dalle truppe francesi, dovette darsi alla macchia; ma solo nel 1892,
quando ormai era rimasto senza risorse e seguaci, abbandonò la lotta e si arrese.
L'aumento della fiscalità promosso da Doumer e dai suoi funzionari in tutti i paesi d'Indocina provocò
l'estensione al Laos dell'esperienza di guerriglia contro i francesi. Nonostante il vigore con cui fu
36
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p. 188.
Cfr. S. MARCHESE, op. cit., p. 36.
38
IDEM, p. 37.
37
9
condotta, la resistenza armata venne sconfitta. Verso il 1905 la lotta armata era praticamente finita;
soltanto il De Tham continuava a resistere sul massiccio dello Yen The.
L'opposizione dei letterati si affievolì, almeno nella sua forma tradizionale monarchica e confuciana.39
La repressione coloniale fu indubbiamente più che vigorosa, ma fu soprattutto per le sue debolezze e
contraddizioni interne che la resistenza vietnamita di quel periodo dovette soccombere.
Il rifiuto della burocrazia mandarinale e della corte di partecipare alla lotta, l'incapacità dei letterati
"ribelli" di prendere le distanze dalla monarchia, l'organizzazione delle bande partigiane
prevalentemente su scala locale e regionale senza una vera e propria direzione centrale, furono le
cause principali dell'esaurimento della resistenza vietnamita.
Prese forma una nuova generazione di letterati profondamente diversa dalle precedenti. Le idee
riformatrici dei letterati cinesi e la vittoria del Giappone sulla Russia del 1905, colpirono
profondamente i'opinione pubblica vietnamita. In particolare, la vittoria del Giappone mostrò ai
dirigenti del movimento nazionale vietnamita l'inconfutabile superiorità della tecnica moderna sui
'Valori Tradizionali".
Questo movimento, analogo al riformismo cinese, sviluppò al suo interno due correnti non ben
delimitate, l’una delle quali radicale, animata da emigrati politici, fautori della lotta armata e alla
ricerca dell'appoggio economico-militare dell'esterno, l'altra più moderata, alla ricerca di un'intesa con
i protettori francesi.40
La corrente radicale, la cui azione ebbe una storia più lunga, aveva in Phan Boi Chau un capo
estremamente risoluto. Phan Boi Chau vinse il concorso triennale di Vinh, ma rifiutò il posto che gli era
stato offerto nell’amministrazione mandarinale del protettorato. Colpito dalla vittoria giapponese,
Chau decise di condurre in Giappone il giovane Cuong De, principe della famiglia imperiale, e di creare
laggiù un vero e proprio quartier generale in esilio del movimento di indipendenza. Con la loro
partenza iniziava un notevole esodo di studenti e di giovani intellettuali verso Tokyo.
In questo periodo, però, vi furono episodi che spostarono sempre più l'attenzione dei nazionalisti
vietnamiti dal Giappone verso la Cina. Uno di questi vide come protagonista il cinese Sun Yat-sen.
La campagna del 1907-1908 condotta da Sun Yat-sen nella Cina meridionale facendo partire dal
territorio vietnamita l’armata rivoluzionaria non andò in porto, ma l'effetto psicologico e
propagandistico che ne risultò fu senza dubbio notevole.
La diffusione delle nuove idee riformatrici provenienti dalla Cina allargò il movimento di resistenza a
quelle categorie che erano tenute in minor conto nell'opinione comune dei vietnamiti. Quindi, la
composizione sociale dei nuovi gruppi avanzati di opposizione diventava più eterogenea. Non si
trattava soltanto dei letterati, dei mandarini, dei maestri di villaggio, dei notabili, cioè degli strati sociali
che godevano tradizionalmente di maggior prestigio nella società vietnamita, ma anche dei gruppi
sradicati dalla struttura abituale del paese: coolies senza lavoro, operai, impiegati indigeni
nell’amministrazione coloniale, studenti ecc.
I coolies, impiegati nelle miniere e nelle costruzioni di ferrovie, erano per la maggior parte cinesi. I
francesi, infatti, avevano molte difficoltà a proc urarsi e soprattutto a trattenere la mano d'opera
vietnamita nelle concessioni e nelle miniere. Gli operai cinesi, inoltre, erano più facilmente reperibili (la
Cina meridionale era più densamente popolata del Vietnam), e più facilmente potevano essere
trattenuti dal datore di lavoro, a causa della lontananza che li separava dal luogo d'origine.
Ridotti a un passo dalla schiavitù, i coolies cominciarono ad opporre una certa resistenza ai
maltrattamenti. Alcuni fuggirono dalle miniere, altri organizzarono pre sso Thai Nghuyên il primo
sciopero vietnamita. 41
Fu proprio da questi contatti con i coolies cinesi che i vietnamiti trovarono nei lavori forzati
un'esperienza nuova, una più decisa capacità di lotta.
39
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p. 195.
S. MARCHESE, op. cit., p.68.
41
IDEM, p.81.
40
10
In Cocincina, dove la trasformazione sociale era più avanzata, il nuovo carattere del movimento, a
partire dal 1905, si manifestava più nettamente. Nascevano numerose società segrete che miravano
sia ad arricchire i loro affiliati sia all'azione politica.42
Anche la Cambogia, dopo aver vissuto anni relativamente tranquilli, cominciava a veder nascere nuovi
nuclei di agitazione intorno alle comunità cinesi del paese. Il 14 aprile 1909, alcune centinaia di operai
licenziati tentarono, armati di fucili, lance e coltelli, di compiere un attacco in direzione di Kampot, in
particolare contro il posto di dogana, che era il vero centro del protettorato francese. La guardia
indigena aprì il fuoco e soffocò la rivolta nel sangue senza subire perdite. 43
Ci si trovò di fronte ad un movimento cambogiano, sociale e nazionale insieme, sostenuto dagli operai
delle piantagioni e delle miniere, e uno, parallelo, dei gruppi cinesi residenti in Cambogia, affiliati alla
società segreta "Cielo e Terra" ed in relazione con le centrali dell'organizzazione a Hong Kong e
Shangai.
Era ormai chiaro che in Indocina si stava manifestando una nuova forma di movimento nazionale che
continuò a prevalere durante gli anni che precedettero la grande guerra. La resistenza armata di
vecchio tipo cessava definitivamente.
Nonostante queste trasformazioni la formazione del proletariato non aveva ancora raggiunto un peso
considerevole nella società vietnamita. I 55.000 operai della vigilia della prima guerra mondiale non
rappresentavano certamente una percentuale rilevante sull'insieme di una popolazione di oltre 15
milioni di abitanti. Era l'insieme dei contadini che economicamente, demograficamente e
politicamente costituivano la vera massa del popolo vietnamita.
Nel frattempo, un altro fatto portò il Vietnam a rafforzare i legami con la Cina e al tempo stesso ad
allontanarsi dal Giappone. Nel luglio del 1907, il Giappone si era impegnato a rispettare i domini
francesi in Asia e anche i diritti che la diplomazia delle potenze riconosceva alla Francia nelle tre
province meridionali della Cina. Tra le conseguenze di questo trattato vi fu, nel 1910, lo scioglimento
dell'associazione degli studenti vietnamiti a Tokyo e l'espulsione degli emigrati politici vietnamiti
rifugiatisi in Giappone.
Il più illustre di essi era il già citato Phan Boi Chau che aveva fondato a Tokyo l'Associazione per la
modernizzazione del Vietnam, il cui programma era la liberazione nazionale, la restaurazione della
monarchia e la promulgazione di una costituzione sul modello di quella giapponese.
Intanto, dopo il voltafaccia giapponese, un ennesimo sollevamento antimonarchico finì
inaspettatamente per avere successo in Cina e Chau prese il mare alla volta di Canton, destinata a
divenire il centro più importante dell'emigrazione politica vietnamita. Il successo della rivoluzione
cinese del 1911 lo spinse ad organizzare la Lega per la Restaurazione del Vietnam, di ispirazione
analoga al Kuomintang di Sun Yat-sen, e che aveva ora per obiettivo la costituzione di una repubblica.
Lo statuto prevedeva una ferrea disciplina, ma limitava l'adesione alle persone "che possedevano
buona conoscenza dei caratteri cinesi o del francese ed erano in grado di pagare una quota che andava
dalle 50 alle 500 piastre". 44
Al monarchismo popolare del vecchio De Tham subentrava così un programma politico "progressista"
la cui realizzazione, peraltro, era riservata ad un ristretto numero di privilegiati per cultura o per censo.
I membri della Lega si orientarono presto verso il terrorismo, espressione del loro stesso isolamento. 45
Manifestazione di un terrorismo che agiva su più vasta scala e su punti distinti del territorio furono le
società segrete che si formarono intorno a Saigon, sovente in relazione con i bonzi che ospitavano le
riunioni nelle pagode. I loro affiliati erano quasi tutti cinesi residenti all'estero e le loro centrali si
42
Cfr. J. CHESNEAUX Storia del Vietnam, op. cit., p.200.
Cfr. S. MARCHESE, op. cit., p.83.
44
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p.202.
45
Ibidem.
43
11
trovavano in territorio cinese. Otto bombe scoppiarono nella città di Saigon nel 1913, e le società
segrete furono proibite in tutta l'Indocina. 46
Nonostante le deficienze derivategli dalla sua nuova base sociale, il movimento nazionale vietnamita,
durante gli anni antecedenti alla guerra, rimase sufficientemente forte da costringere
l'amministrazione coloniale a prendere provvedimenti.
Il governatore Sarraut (1911-14 e 1917-19) sapeva che le file della cospirazione erano tenute da Phan
Boi Chau a Canton. Approfittando del fatto che in quel momento in Cina Yuan Shi-kai aveva preso il
potere con il denaro degli occidentali, Sarraut si recò di persona a Canton e ottenne l'arresto di Chau e
degli altri vietnamiti offrendo in cambio la disponibilità della ferrovia dello Yunnan per i trasporti
militari contro i focolai di resistenza del Kuomintang. Anche dalla prigione, Phan Boi Chau continuò ad
essere il capo della resistenza e a far pervenire i suoi ordini agli emigrati vietnamiti.
Nel Vietnam le ripercussioni del grande conflitto mondiale del 1914-18 furono limitate. Il movimento
nazionale, infatti, si trovava in un periodo di stasi, di transizione. La borghesia vietnamita era ben lungi
dall'essere forte come le sue consorelle di Cina o India e mancava di prospettive e di metodi di lotta.
Dal canto suo, abbiamo visto come la classe operaia era ancora numericamente assai debole e senza
né esperienza né organizzazione.
La guerra, però, modificò l'atteggiamento dei francesi che si trovarono per la prima volta nella
necessità di conciliare i loro interessi e la loro concezione dei rapporti con i vietnamiti con le esigenze
della madrepatria.
Poiché da Saigon alla frontiera settentrionale con la Cina, l’intera colonia era presidiata soltanto da
duemila soldati e ufficiali francesi (la Francia aveva impegnato tutte le proprie forze contro la
Germania), e poiché soprattutto nella parte settentrionale del paese, zona di civiltà tradizionalmente
legata alla Cina, incominciavano a diffondersi le idee della rivoluzione cinese e russa, il governo
francese e il governatore generale Sarraut agitarono ogni sorta di seducenti allettamenti e vane
promesse di libertà, destinate ad essere attuate una volta che fosse terminata la guerra.47
Il cambiamento di strategia da parte delle autorità coloniali non scongiurò del tutto il pericolo di rivolte
locali. Anzi, proprio la riduzione delle truppe francesi occupanti incentivò la ribellione.
Nei primi mesi del 1916, i detenuti politici della prigione di Bien Hoa riuscirono ad evadere in massa e
tentarono persino, senza successo, di attaccare a Saigon la prigione centrale.48
Sempre nello stesso anno, un gruppo di funzionari vietnamiti, tra cui l'imperatore Duy Tan, cercò di
organizzare un movimento insurrezionale. Le autorità francesi vennero a conoscenza del piano e
disarmarono la guarnigione vietnamita di Hué.49
Le formazioni di mercenari, che erano state dai primi decenni della colonizzazione i soli validi strumenti
di repressione dei movimenti di rivolta, cominciarono a mostrare una frequente connivenza con le
bande di rivoltosi.
Altri due episodi di rivolta di guarnigione, uno nel 1917 a Thai Nguyen, l'altro tra il 1918 e il 1919 a Binh
Lieu, entrambi nel Vietnam del Nord, evidenziano una particolare sensibilità dei mercenari verso la
resistenza vietnamita.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 27 aprile 1919, il governatore generale Sarraut riconfermava in
modo più preciso le sue promesse di rinnovamento politico: "Ciò che occorre fare è di accordare a
quelli che io chiamo cittadini indigeni una sensibile estensione di diritti politici. Per essere più chiaro, è
necessario aumentare la rappresentanza indigena nelle assemblee locali già esistenti, ed ampliare il
corpo elettorale indigeno che designerà i suoi rappresentanti (... )".50
46
Cfr. S. MARCHESE, op. cit., p.119-120.
Cfr. J. ROMEIN, II secolo dell'Asia, Einaudi, Torino, 1969, p.155.
48
Cfr. S. MARCHESE, op. cit., p.136.
49
Cfr. D.G.E. HALL, L'amministrazione francese e il nazionalismo in Indocina, in op. cit., p.931.
50
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p.208.
47
12
Ma finita la guerra, Parigi sembrò avere improvvisamente dimenticato le promesse che aveva elargito
con tanta generosità. Maurice Long, successore di Sarraut dal 1920, cercò di placare i "giovani
annamiti" creando dei Consigli comunali elettivi. Anche la rappresentanza indocinese nel Consiglio
coloniale della Cocincina venne aumentata (1922), ma tutte queste iniziative non potevano costituire
che un semplice palliativo.51
Dei centomila soldati e braccianti vietnamiti inviati in Francia durante la guerra mondiale molti
ritornarono imbevuti di idee sovversive e le diffusero tra la popolazione. Le idee di autodeterminazione
nazionale, di lotta di classe e di dittatura di partito, che fiorirono in Cina all'inizio degli anni '20, ebbero
immediate ripercussioni a sud del confine. La rivoluzione cominciò nel Vietnam per mezzo di
organizzazioni nazionaliste e comuniste analoghe.52
Prima della nascita di queste organizzazioni, nel 1923 fu fondato a Saigon, a cura della borghesia
cittadina, il Partito costituzionalista, che diede una base organica all'opposizione moderata, con un
programma dì partecipazione più larga alla gestione del potere ("l’associazione"), che non escludeva la
sopravvivenza del regime coloniale.
L'amministrazione coloniale ampliò, in particolare, la carriera pubblica ai vietnamiti e istituì nell’Annam
una camera consultiva sul modello di quella già operante nel Tonchino. Ma tali riforme, come del resto
quelle precedenti, non migliorarono la rappresentanza dei vietnamiti in un sistema di cui non si
accettava di discutere le fondamenta.
Ciò avvenne anche perché, le moderate rivendicazioni avanzate dal Partito costituzionalista non
cercavano l'appoggio della popolazione ma miravano ad ottenere per la borghesia un posto più
importante in seno al Consiglio coloniale e migliori possibilità di espansione commerciale.
Furono, quindi, la scarsa rappresentatività che il Partito costituzionalista godeva tra la popolazione
vietnamita, insieme all'intransigenza dell'amministrazione coloniale nel non formulare un progetto di
riforma più radicale, ad aprire la strada al sorgere di movimenti rivoluzionari, che vennero allora in
primo piano scavalcando i partiti legalitari.
Ebbe vita così, nel 1925, quel partito indipendentista e rivoluzionario concepito anni prima in prigione,
il Phuc Viet. Tuttavia, il Phuc Viet venne chiamato con vari nomi tra cui il più noto fu quello di Partito
Rivoluzionario Vietnamita. Ma il principale ostacolo al suo sviluppo era costituito dal suo
atteggiamento negativo nei confronti dell'organizzazione comunista clandestina creata nello stesso
periodo da un gruppo di emigrati.
Fin dal 1925, infatti, fu creata a Canton la Lega rivoluzionaria della gioventù vietnamita, matrice del
futuro partito comunista indocinese. Vi facevano parte dei vecchi partigiani di Phan Boi Chau e dei
militanti comunisti come Nguyen Ai-Quoc (era lo pseudonimo che aveva allora assunto il presidente Ho
Chi Minh) che, in Europa, aveva preso contatti con la III° Internazionale dopo aver partecipato al
Congresso di Tours (1920) e pubblicato un periodico anticolonialista, Le Paria.
La Lega rivoluzionaria della gioventù vietnamita - nota con la denominazione di Thanh Nien, il nome
del giornale che uscì per due anni sotto la direzione di Nguyen Ai-Quoc - aveva un programma molto
dettagliato. In esso figuravano la confisca delle proprietà di più di cento ettari, la soppressione dei
debiti, l'istituzione dell'imposta sul reddito, la nazionalizzazione delle imprese coloniali, la giornata
lavorativa di otto ore, il diritto all'autogoverno del Laos e della Cambogia e delle minoranze etniche del
Vietnam. 53
Il Thanh Nien — che era composto in buona parte da giovani allievi dell'accademia militare di
Whampoa, ove sotto supervisione russa venivano preparati i futuri ufficiali dell'esercito del
Kuomintang - si riprometteva di raggiungere gli stessi scopi perseguiti a suo tempo dai cinesi:
51
Cfr. K. PANUCKAR, L'Asia sud-orientale, in op. cit., p.233.
Cir J.K. FAIRBACK, E.O. REISCHAUER, A.M. CRAIG, Nazionalismo e comunismo in Vietnam, in Storia dell'Asia Orientale, vol.
II, op. cit., p.892.
53
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., pp. 215-216.
13
52
1) reciproca contemporanea collaborazione fra borghesi contadini e operai allo scopo di cacciare
l'imperialismo occidentale;
2) consolidamento della resistenza, disarticolata e spesso caotica e inefficiente, attraverso un'azione
condotta con chiara coscienza rivoluzionaria, secondo il metodo insegnato da Lenin.54
A quel tempo, quindi, l'obiettivo cui mirava Ho Chi Minh era la conquista dell'indipendenza nazionale,
e per conseguirlo egli era disposto a collaborare con nazionalisti antifrancesi di ogni tendenza.
Gli emissari del partito di Canton ebbero anche il compito di combattere il Partito Rivoluzionario che
con le sue finalità nazionali o nazionaliste era di ostacolo alla penetrazione comunista. Cominciò tra i
due partiti un periodo di lotte segrete e di apparenti alleanze. Ambedue videro aumentare gli adepti
nelle loro file ma gli inviati da Canton avevano una mobilità molto maggiore dei partigiani del Partito
Rivoluzionario, quasi tutti impiegati dell'amministrazione coloniale.55
Accanto al movimento di tipo rivoluzionario, continuavano ad agire i partiti fedeli all'impostazione
"riformistica". Era il caso del Partito Nazionale del Vietnam, noto con la sigla VNQDD (Viet-Nam QuocDan Dang), che si ispirava al Kuomintang di Sun Yat-sen. Fondato nel 1927 dal giovane maestro Nguyen
Thai-hoc, godeva di un notevole appoggio presso i funzionari, gli intellettuali, gli studenti e persino
presso i militari.
Il fine del partito doveva essere quello di promuovere l'istituzione di un governo repubblicano
mediante la rivoluzione, aiutando in seguito gli altri popoli colonizzati a liberarsi dall'oppressore. Assai
vaghe, invece, erano le idee sociali. La maggioranza dei suoi membri era composta da giornalisti e
insegnanti, che in un primo tempo si limitarono a scrivere e pubblicare opuscoli sui problemi politici
del momento, ma poi passarono alla propaganda dei metodi violenti.
Nel gennaio 1929, il VNQDD organizzò un attentato alla vita del governatore Pasquier, che fallì; riuscì
invece il mese dopo un altro attentato contro il direttore dell'ufficio del lavoro Bazin, il quale rimase
ucciso.
Il Partito Nazionale del Vietnam tentò un'insurrezione militare, che ebbe inizio nel febbraio 1930 con
un ammutinamento di truppe a Yen Bay sul confine cinese. Le autorità francesi reagirono con estrema
durezza: i membri della direzione del partito, insieme a numerosi militanti, furono arrestati e
giustiziati.
Il partito tentò di riprendere la sua azione ma i superstiti della direzione del VNQDD, quasi tutti
provenienti dalla piccola borghesia, non compresero che bisognava trascinare nella lotta grandi masse
di popolo, persistendo invece nell’agire a piccoli gruppi isolati.
Nell'agosto del 1930 anche i nuovi dirigenti del VNQDD venivano arrestati e fucilati e di conseguenza il
partito per quindici anni scompariva dalla scena politica vietnamita, mentre il Partito Comunista
Indocinese ne prendeva il posto.
La crisi che attraversò il Thanh Nien alla fine del 1929 diede inizio alla costituzione del Partito
Comunista Indocinese. Gli aderenti del nord, più vicini alla classe operaia, proposero di trasformare il
movimento in un vero partito comunista, ma messi in minoranza, si scindevano ed organizzavano un
gruppo a sé che si proclamava apertamente comunista. Al centro, e poi ai sud, apparvero altri "partiti
comunisti", la cui pluralità confermava il persistere delle tendenze regionalistiche anche in seno al
movimento rivoluzionario. 56
Nel gennaio 1930, la crisi del Thanh Nien venne superata con la fondazione a Hong Kong, sotto
l'impulso di Ho Chi Minh, di un partito che assunse la denominazione appunto di Partito Comunista
Indocinese.
Il manifesto con il programma del partito elencava dieci punti, di carattere eterogeneo:
1. fine dell'imperialismo, del feudalesimo e del regime reazionario in Vietnam;
2. conquista dell' indipendenza totale per l'Indocina;
54
Cfr. J. ROMEIN, op. cit., p.285.
Cfr. S. MARCHESE, op. cit., p.177.
56
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p.216.
55
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3. formazione di un governo di operai, contadini e soldati;
4. nazionalizzazione delle banche e delle altre imprese imperialistiche e loro gestione da parte del
governo proletario;
5. confisca delle concessioni agricole e delle altre proprietà agricole degli imperialisti e dei borghesi
reazionari per distribuirle ai contadini poveri;
6. giornata lavorativa di otto ore;
7. abolizione dei prestiti forzosi dell'imposta personale e delle tasse inique gravanti sui poveri;
8. libertà democratiche per il popolo;
9. istruzione universale;
10.attuazione della piena eguaglianza fra uomini e donne. 57
Fu proprio il Partito Comunista Indocinese ad organizzare, nell'estate del 1930, le grandi manifestazioni
contro le imposte che i cattivi raccolti avevano reso ancor più gravose.
La vita economica vietnamita era dominata dal capitale francese che si era pesantemente insediato
nell'area indocinese mediante la costituzione della Banca d'Indocina, che rappresentava potenti
interessi metropolitani.58
La crisi economica mondiale del 1929, però, metteva in risalto le tare nascoste dell'economia coloniale.
I prezzi del riso precipitarono, mentre la produzione di caucciù e l'attività mineraria rallentarono
bruscamente. Essa colpì molto gravemente anche tutto il commercio estero del Vietnam, principale
molla dell'attività del paese durante il regime coloniale.
La crisi, tuttavia, non si limitava soltanto a questi aspetti finanziari, ma colpiva anche la massa della
popolazione abbassando il reddito dei contadini e dei piccoli produttori. Le misure adottate per porvi
rimedio erano tipiche dell'orientamento dell'economia vietnamita durante l'economia coloniale. Si
portò un sostanziale aiuto agli interessi finanziari, ma a spese dei contribuenti sia della colonia che
della metropoli, sui quali finì per ricadere il peso di questa operazione di salvataggio.
Infatti, i legami tra il Vietnam e la metropoli si rafforzarono sempre più, consentendo alle aziende di
esportazione francese, insieme con la Banca d'Indocina e con gli usurai e i monopolisti di riso cinesi, di
dominare sempre più l'economia coloniale. La quota della Francia nelle importazioni dall'Indocina
passò dal 47% nel 1929 al 54% nel 1937; nelle esportazioni, dal 22% al 46%, con il risultato di isolare
sempre più il Vietnam dal mondo dell'Estremo Oriente. 59
Nonostante il loro numero ristretto (negli anni che precedettero la crisi mondiale del 1929 il
proletariato non superò l'I,5% della popolazione), durante le manifestazioni degli anni 1930-31, i
lavoratori delle fabbriche, delle miniere e delle piantagioni svolsero un ruolo decisivo. I loro datori di
lavoro erano le società coloniali e l'amministrazione coloniale e, levandosi contro di queste per
alleviare la propria miseria, essi si sollevavano in pari tempo contro lo stesso regime coloniale.
In due cantoni si costituirono delle amministrazioni di rivoltosi, i famosi soviet dello Nghè-an, È certo
che l'organizzazione comunista dello Nghe-an ha subito l'influenza del mondo cinese, e più
precisamente dell'ambiente degli emigrati di Canton che si era cristallizzato intorno alla cellula di Ho
Chi Minh. Infatti, sono inferiori solo di qualche mese i soviet contadini, formati nella Cina meridionale,
che furono la base territoriale da cui, alla fine del 1934, partirà la Lunga Marcia.60
Tra il 1931 e il 1933 la repressione francese si abbatté duramente sull'organizzazione vietnamita. Si
calcola che nel 1932 il numero dei detenuti politici ammontasse complessivamente a diecimila, ripartiti
fra le prigioni di Hanoi, Haiphong, Vinh, Saigon, i bagni di Poulo Condore e di Son La e nei campi Inini
(Guyana).61
57
Cfr. G. CALCHI NOVATI, Storia del Vietnam e della regione indocinese, Marzorati Editore, Milano, 1972, p.142.
F. MONTESSORO, Rivoluzione nazionale e sociale in Indocina, in op. cit., p. 159.
59
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p.225.
60
Cfr. S. MARCHESE, op. cit, p. 200.
61
Cfr. J. CHESNEAUX, op. cit., p.231.
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Dopo i moti del 1930-31, la maggior parte di coloro che erano stati imprigionati nel Vietnam, fra cui lo
stesso Ho Chi Minh, furono graziati nel 1933. Riacquistata la libertà, Ho Chi Minh soggiornò per un
certo periodo all'estero (Thailandia, Singapore, Cina, Unione Sovietica) e fu Tran Van Gian a
riorganizzare il partito comunista.
Ancora studente, era stato espulso dalla Francia per avere organizzato un'agitazione in seguito
all'episodio di Yen Bay; frequentò poi a Mosca l'Università Lenin dal 1931 al 1933. Tornato in Indocina
(1933), riuscì a costituire il più forte partito comunista dell'Asia sudorientale.62
Intanto Bao Dai (imperatore dell’Annam dal 1926 al 1945) non riuscì, nonostante il suo atteggiamento
relativamente moderno, a far fare molti progressi alla causa dell'indipendenza indocinese. Bao Dai
rimase in sostanza dalla parte dei francesi, pur avendo attuato alcune riforme amministrative, che gli
consentirono di allontanare dal suo seguito numerosi mandarini e dignitari di corte ormai superati da
tempo. 63
Ma tali riforme erano così poco consistenti che non solo i comunisti ma anche i moderati le
giudicarono con sospetto rifiutando ogni collaborazione.
Con l'affievolirsi dell'ipotesi riformista, una parte della borghesia accettò le aperture interclassiste del
P.C.I., una parte diede vita ad un nuovo partito (il Partito Democratico nel 1937) e una parte restò
legata al centro in esilio di Cuong De sul punto di diventare un "satellite" della politica di Tokyo. 64
In definitiva, falliti tutti i tentativi di altri partiti e personalità, il movimento per l'indipendenza
nazionale cadde nuovamente sotto il controllo dei comunisti. Questa egemonia, però, si concretizzò
progressivamente solo a partire dal 1935.
Nella prima metà degli anni trenta, infatti, si assistette, limitatamente a Saigon, ad una collaborazione
insolita tra comunisti, trotzkisti e nazionalisti di sinistra intorno al periodico "La lutte". 65
Ciò accadde perché, in questo periodo, il corpo militante del partito dovette operare in condizioni di
isolamento: l’organizzazione comunista in Vietnam era stata effettivamente decapitata dalla
repressione tanto che l'attività politica dei comunisti vietnamiti si trovò ridotta spesso allo sforzo di
sopravvivenza e di formazione dei militanti nelle carceri.
In ogni caso, il trozkismo vietnamita degli anni '30 conservava il suo fondamentale carattere di
organizzazione di lotta contro l'Internazionale comunista. In Indocina, il regime coloniale approfittò del
fattore frazionistico rappresentato dal trotzkismo i cui dirigenti, come Ta Thu-Thau, erano
radicalmente ostili ad un'ampia confluenza delle varie forze politiche nella lotta per l'indipendenza.66
La situazione iniziò a modificarsi con il VII Congresso dell'Internazionale comunista nel 1935. In
Vietnam, la nuova politica frontista portò al rafforzamento dell'alleanza con i settori di sinistra del
nazionalismo "borghese" e ad un crescente distacco dai gruppi di orientamento trotzkista.67
Il Partito comunista andava così orientandosi verso una politica di larghe alleanze, in netto contrasto
con le ridotte basi d'azione delle quali disponeva all'epoca dei soviet di Nghe-an, rivolgendosi anche
agli elementi della borghesia saigonese, fautori di un compromesso con il regime coloniale.
Resistenza contro il Giappone ed immediate concessioni di riforme democratiche in Indocina, sono gli
obiettivi più prossimi che ora si propone il movimento nazionale vietnamita.
62
Cfr. J. ROMEIN, op. cit., p.287.
Ibidem.
64
Cfr. G. CALCHI NOVATI, op. cit., p, 144.
65
Cfr. F. MONTESSORO, Rivoluzione nazionale e sociale in Indocina, in op. cit., p.160.
66
Cfr. J. CHESNEAUX, Storia del Vietnam, op. cit., p.233.
67
Cfr. F. MONTESSORO, Rivoluzione nazionale e sociale in Indocina, in op. cit., p.160.
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