Capitolo IV – L`opera di Archimede.

Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
IV.1. Caratteri generali dell’opera di Archimede 1.
IV.1.1. Chi era Archimede. Per alcuni Archimede è stato il più grande
matematico dell’intera civiltà greca ed uno dei più
grandi di tutti i tempi. Di lui è nota con certezza la
data di morte, il 212 a.C. durante il saccheggio di
Siracusa da parte delle truppe romane, nonostante
Tito Livio
(59 a.C. – 17 d.C.)
l’ordine esplicito del comandante romano Marcello di salvargli la vita.
Marco Claudio Marcello III
(268 – 208 a.C.)
Secondo Tito Livio:
«Si narra che Archimede fu allora ucciso da un soldato che non lo conosceva,
mentre, in mezzo all’immenso tumulto, quale poteva essere il panico suscitato
dall’imperversare d’una soldatesca abbandonata al saccheggio della città conquistata, stava
chino nello studio di alcune figure geometriche ch’egli aveva tracciate in terra. E si narra che
molto dispiacque di ciò a Marcello, e che prese cura delle sue funebri esequie, e che inoltre egli
rese onore e diede salvaguardia ai congiunti di lui, che aveva fatti ricercare.»
Una cosa analoga avvenne, al termine della seconda guerra mondiale, col
musicista Webern.
Della morte di Archimede vi sono però versioni diverse, riportate da Plutarco.
Anton Webern
(1883 – 1945)
Secondo una prima versione, il soldato romano, trovato Archimede, gli avrebbe ordinato di seguirlo
dal comandante Marcello, ma Archimede si avrebbe rifiutato di muoversi finché non avesse risolto
il problema che stava studiando, dicendo «Noli turbare circulos meos», al che il soldato, seccato,
l’avrebbe ucciso. Il fatto che Archimede che scrive in dialetto dorico si sia rivolto in latino ad un
soldato appare assai improbabile.
Nella seconda versione Archimede avrebbe pregato il soldato romano che sarebbe stato il suo
uccisore, che gli fosse dato almeno il tempo per risolvere il problema. Infine nella terza versione
Archimede stava recandosi da Marcello con le sue macchine ed i suoi strumenti, ma alcuni soldati,
credendo che portasse oro per ingraziarsi il comandante, l’avrebbero ucciso per impadronirsene.
1 In questa parte ci si avvale abbondantemente del testo: Archimede, 1974, Opere, a cura di Frajese, A., Utet, Torino, da cui si
traggono testi, note e commenti.
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La probabile data di nascita viene fissata nel 287 a.C., ma si tratta di una deduzione indiretta sulla
base di documenti tardi (sec. XII) che riguardano il matematico siracusano. Si tratta quindi di unadue generazioni dopo Euclide, e Archimede precede di poco Apollonio. Ha quindi un ruolo
centrale, quasi da perno tra il periodo classico e quello successivo.
Gli aneddoti che circolano sul Siracusano lo vedono alle prese con problemi
pratici, la determinazione del peso specifico, la costruzione di macchine da
guerra, gli specchi ustori, al servizio del tiranno della sua città, la progettazione e
realizzazione di macchine per l’approvvigionamento idrico.
Archimede visse a Siracusa, probabilmente la più importante, ricca e popolosa
colonia dorica della Magna Grecia. Restano tutt’oggi le rovine delle fortificazioni
Apollonio di Perge
(247 – 170 a.C.)
che vennero violate dai romani nel 212 a.C. e fanno impressione per la loro maestosità e ampiezza,
tanto che la Siracusa odierna non occupa ancora lo spazio racchiuso dalle fortificazioni greche.
Si trattava di una potenza economica, per le produzioni di olio, grano e vino della Sicilia che, di
fatto, condannarono la città-stato all’occupazione romana. Aveva un importante porto e, cosa
abbastanza rara anche oggi, sorgenti ricche di acqua dolce che sgorgano vicino al mare. Il territorio
offriva facilmente materiale lapideo per le costruzioni.
La potenza militare di Atene, nelle guerre del Pelopponneso, si era infranta sotto
le mura di Siracusa e i prigionieri ateniesi, tra cui Alcibiade,
discepolo di Socrate e contemporaneo di Platone, avevano
scavato la pietra nelle Latomie.
Secondo Cicerone, Archimede era di umili origini, anche se
Alcibiade
(450 – 404 a.C.)
forse imparentato alla lontana con Gerone II, tiranno di
Gerone II
(308 – 215 a.C.)
Siracusa, che lo ebbe in grande stima.
Una tradizione lo vuole scolaro di Platone, nel periodo passato da Platone a
Siracusa, ma questo vorrebbe dire che invece di morire a 75 anni, Archimede
sarebbe morto ultracentenario, dato che Platone morì ad Atene nel 387 a.C.
Pare attendibile che abbia soggiornato più o meno a lungo ad Alessandria, in
quegli anni il maggior centro culturale del Mediterraneo. Questo lo si desume da
un brano di Diodoro che asserisce che Archimede si sarebbe occupato della spirale
Diodoro Siculo
(80 – 20 a.C.)
quando era in Egitto. Sicuramente abbiamo notizia di un suo epistolario con
matematici alessandrini. Di questi doveva avere stima tanto da
dedicare alcune sue opere ad essi, precisamente il Metodo a
Eratostene, e tre trattati a Dositeo, scolaro di Conone.
Conone di Samo
(280 – 220 a.C.)
Si conosce anche un passo di Leonardo da Vinci,
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Leonardo da Vinci
(1452 – 1519)
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probabilmente il genio che molto si avvicina al pensiero di Archimede; il toscano avrebbe letto in
testi spagnoli di un soggiorno del Siracusano in Spagna.
Plutarco ha reso un cattivo servizio ad Archimede, facendone il prototipo dello scienziato distratto,
lo dice stregato da una sirena, che dimenticava di mangiare, prendere cura del suo corpo tanto da
essere trascinato in bagno e mentre vi veniva condotto, continuava a
disegnare figure geometriche. Anche l’aneddoto (di Vitruvio)
secondo cui, mentre Archimede faceva il bagno, pensava a come
risolvere il problema se l’orefice avesse usato l’oro consegnatogli per
forgiare la corona di Gerone, e trovata la soluzione uscisse nudo da
bagno gridando
Una pagina da De Architectura
di Marco Vitruvio Pollione
(c. 20 a.C.)
, non pare abbia un fondamento, mentre lo ha
l’indagine sulla determinazione del peso specifico e sul Principio di
Archimede, fondamentale nell’idrostatica.
Sembra che le molte ‘invenzioni’ pratiche di Archimede non fossero
per lui importanti, anche se di grande efficacia e ingegnosità. Si narra che mediante la costruzione
di un complesso apparato di leve e pulegge riuscisse ad effettuare il varo di una grande nave;
trovasse il modo, facendo girare una vite, di innalzare l’acqua, ma che Archimede vedesse questa
attività come un diversivo agli studi di Geometria.
Studiò approfonditamente la leva ed i suoi principi, come riferisce Simplicio (490 - 560)
tramandando la frase :
«Datemi un punto d’appoggio, ed io muoverò la Terra.»
Aneddoti a parte riguardano la tomba di Archimede, che sarebbe stata ritrovata da Cicerone, durante
il periodo che passò come questore in Sicilia, proprio riconoscendo, tra i rovi che la celavano, la
figura di una sfera e di un cilindro, con una iscrizione in senari, semicancellata.
Oggi non è nota la collocazione della tomba di Archimede.
IV.1.2. Caratteri salienti dell’opera geometrica di Archimede – Confronto con Euclide. Con
Euclide si compie il passaggio dalla Geometria basata sull’intuizione e l’approssimazione data dalla
figura, alla trattazione teorica, anche se non così ‘pura’ come è stata ritenuta per secoli.
Queste esigenze di ‘purezza’ saranno assunte anche da Archimede che farà suoi alcuni metodi
dimostrativi del matematico di Alessandria.
Una differenza fondamentale si ha nello stile espositivo, che fa ritenere diverso il pubblico cui erano
destinati gli Elementi e le opera di Archimede.
La connotazione didattica di Euclide è stata più volte sottolineata, e seguendo le sue dimostrazioni,
talvolta ci sembrano prolisse, proprio per la sua esigenza di non trascurare passaggi, ma di
esplicitarli il più possibile. Gli Elementi dovevano servire ad educare alla Geometria.
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Archimede in quasi tutte le sue opere geometriche sembra invece mirare a parlare con i dotti, che
saranno in grado di integrare le parti che lui dà per ovvie e scontate. Si ha quindi uno stile più
sbrigativo, più vicino a quello oggi utilizzato negli articoli scientifici che, casomai, preferiscono
citare altri autori piuttosto che riportare integralmente le dimostrazioni.
Archimede però si attiene alla impostazione euclidea di una trattazione ‘sintetica’ che partendo da
postulati presenti i risultati sotto forma di teoremi. Parte da Proposizioni primitive ai quali riserva
vari nomi:
= assunzioni , oppure
= lemmi e da questi ottiene risultati sempre
più complessi che nel testo italiano sono indicati come Proposizioni.
Dunque si potrebbe pensare che Archimede continua con la sua opera geometrica gli Elementi,
anche perché utilizza direttamente i risultati di Euclide. Ma la grande novità è che in Archimede
compaiono regole di misura e calcoli aritmetici, con un certo grado di ‘esibizione compiaciuta’.
Ed infatti dedica un’opera alla Misura del cerchio, un’altra l’Arenario ad estendere il concetto
(greco) di numero, mostrando come sia possibile (al finito) esprimere una quantità che dovrebbe
essere la più grande possibile, e senza con questo ‘esaurire’ i numeri.
Altre opere di Archimede sono dedicate ad un nuovo campo matematico: quella che oggi potrebbe
chiamarsi Matematica applicata, non intendendo applicazioni ingegneristiche, bensì a questioni
teoriche di Fisica risolte mediante lo strumento matematico, come avviene oggi per la Fisica
matematica o l’Analisi numerica.
Dei ‘ritrovati’ meccanici che resero famoso Archimede nel suo tempo, non si ritrova notizia nelle
opere pervenuteci.
Archimede si può, in un certo senso considerare un ingegnere, non tanto per i lavori che faceva ‘a
tempo perso’, ma per l’impostazione pratica che conferisce alle sue opere. Si può attribuire infatti a
questo suo atteggiamento anche il fatto che la presentazione non mostri esaurientemente tutti i
passaggi.
Il metodo di esaustione viene usato assai ampiamente negli scritti matematici del Siracusano, così
come ricorre alla definizione di eguaglianza di rapporto, che abbiamo visto essere in stretta
connessione con l’esaustione.
Ma egli pratica anche una tecnica che era rimasta sullo sfondo della trattazione euclidea, ad esempio
vista a commento della Prop. XII.3, la considerazione della somma di una progressione geometrica
di ragione minore di 1.
Enuncia come postulato quello che prima si è definito col nome di Principio di Eudosso-Archimede.
Nel seguito si vedrà, con maggiori dettagli, il ruolo e l’uso di procedimenti euristici nell’opera di
Archimede, basandosi spesso, da buon ingegnere, su un principio metafisico di semplicità.
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IV.1.3. Storia dei manoscritti delle opere di Archimede. Ci è noto che l’opera di Archimede è stata
apprezzata nell’antichità, e non solo nel bacino del Mediterraneo. Nel 1972 è stato trovato in India
un manoscritto antico in lingua araba che potrebbe portare ad ampliare l’elenco delle opera di
Archimede che ci sono pervenute.
Nel IX secolo (d.C.) Leone di Tessalonica, detto lo Iatrosofista, fece compilare un manoscritto delle
opere di Archimede che dovrebbe essere stato in possesso di Giorgio Valla (1430 – 1499), primo
professore di Greco all’Università di Pavia.
Valla voleva fare una traduzione latina integrale del manoscritto di Leone, ma il progetto non fu
mai compiuto e il manoscritto passò in varie mani, finché se ne persero le tracce dalla metà del XVI
secolo.
Per fortuna una parte notevole del testo era stata già tradotta in latino dal monaco
domenicano Guglielmo di Moerbeke (1215 – 1286). Inoltre il papa Niccolò V nel
1450 commissionò a Jacopo da Cremona una copia della traduzione latina. Sono
note inoltre due copie del testo greco effettuate nel XVI secolo.
Papa Niccolò V
(1397 – 1455)
Nel 1906 fu ritrovato da Heiberg un manoscritto greco da cui si desumeva quasi integralmente
quello di Leone, contenente anche il testo del Metodo sui Teoremi meccanici.
In tutti i codici è riportato il seguente ordine delle opere di Archimede:
Sulla sfera e il cilindro (Libri I e II)
Misura del cerchio
Conoidi e sferoidi
Spirali
Equilibrio dei piani (Libri I e II)
Arenario
Quadratura della parabola
Galleggianti (Libri I e II)
Metodo sui teoremi meccanici.
Secondo Heiberg questo ordine è casuale, non rispetta cioè l’ordine cronologico di composizione
delle opere. Il filologo Giuseppe Torelli (1721 – 1781) che aveva curato l’edizione con testo greco e
latino, apparsa postuma ad Oxford nel 1792, ha proposto un ordine diverso, basandosi sulle
informazioni contenute nelle lettere introduttive premesse da Archimede in alcune opere, e sull’uso
in alcune opere di risultati di altre, che così risulterebbero precedenti, nonché su alcune notizie
storiche. In base a questi dati ed ad altri riscontri di carattere linguistico e stilistico, l’ordine
presumibile di composizione (o di pubblicazione) delle opere di Archimede sarebbe:
1. Equilibrio dei piani Libro I
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2. Quadratura della parabola
3. Equilibrio dei piani Libro II
4. Sfera e cilindro Libri I e II
5. Spirali
6. Conoidi e sferoidi
7. Galleggianti Libri I e II
8. Arenario.
Da questo elenco restano escluse due opere:
9. Metodo sui teoremi meccanici
10. Misura del cerchio
I motivi per cui è difficile collocare cronologicamente queste due opere è perché il Metodo è una
lettera scritta a Eratostene che presenta una sorta di riflessione; che dovrebbe seguire l’opera Sfera e
Cilindro, per spiegare al matematico alessandrino come Archimede era giunto ai risultati presenti
nell’opera stessa, ma non si riesce a collocarla correttamente rispetto alle altre opere. Per quanto
riguarda l’altra, forse, come viene detto in seguito non si tratterebbe di un’opera originale, ma di un
sunto e quindi vengono a mancare riscontri oggettivi.
IV.2. Misura della cerchio.
Il nuovo modo di porsi di Archimede rispetto ai problemi geometrici si rivela già in questa breve
opera, in tutto tre sole Proposizioni, che si occupa del problema lasciato irrisolto da Euclide con la
Prop. XII.2 degli Elementi (cfr. III.10.1.).
Secondo antichi commentatori, l’opera avrebbe fini pratici. Eutocio di Ascalona (480 – 540) ad
esempio cita, al proposito, un brano di Eraclide, biografo di Archimede, la cui opera non ci è giunta
e di cui non è noto se sia stato o non un contemporaneo del Siracusano: «questo libro è necessario per i
bisogni della vita».
La precisazione avrebbe lo scopo di non fare credere che Archimede non fosse al
corrente dei risultati trovati da altri, sull’irrazionalità di π e la non costruibilità della quadratura del
cerchio, ma di fare apprezzare questo trattatello di Calcolo numerico, per il suo vero valore.
In altri libri, Archimede dà ampia prova di conoscere i problemi delle grandezze incommensurabili
ed i metodi per trattarli.
C’è tuttavia il sospetto di alcuni commentatori che l’opera nella forma che ci è stata tramandata non
sia originale, ma solo un estratto di un’opera più vasta e dettagliata, forse andata perduta proprio a
causa di questa sorta di “bignamino”, che è stato ritenuto sufficiente per gli scopi pratici.
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Un altro motivo è che la presentazione non è nello stile corretto solito di Archimede, infatti delle tre
Proposizioni, la seconda presuppone la terza.
«Proposizione 1. Ogni cerchio è uguale ad un triangolo rettangolo se ha il raggio uguale ad un cateto [del
triangolo] e la circonferenza uguale alla base [all’altro cateto].
P
Q
R
Dimostrazione. Si abbia il cerchio ABCD [che] rispetto al
M
A
triangolo E [sia] com’è supposto: dico che esso è uguale [al
D
triangolo]. Infatti sia, se possibile maggiore il cerchio, e si
inscriva
O
F
in
esso
il
quadrato
AC,
e
si
dividano
[successivamente] gli archi della circonferenza per metà, e
N
siano i segmenti [circolari] già minori dell’eccesso di cui il
cerchio supera il triangolo; il poligono [AMDCBF così
C
B
ottenuto] sarà pure maggiore del triangolo. Si prenda il
V
centro N e la perpendicolare NO [al lato AF]; dunque NO è
minore del lato [VU] del triangolo. Ed è anche il perimetro
E
del poligono [AMDCBF] minore dell’altro lato [UZ del
Z
U
triangolo E], poiché è minore anche del perimetro del
cerchio (Sf. Cil. I, alla fine dei postulati): dunque il poligono è minore del triangolo E il che è impossibile.
Sia ora il cerchio, se possibile, minore del triangolo E e si circoscriva [ad esso] il quadrato, e si dividano
[successivamente] per metà gli archi della circonferenza, e si conducano rette tangenti per i punti [di divisione]:
dunque l’angolo PAR è retto (Eucl. Prop. III.18.). La PR è dunque maggiore della MR: infatti la RM è uguale alla
RA; e il triangolo RPQ è maggiore della metà della figura PFAM. Si lascino [segmenti circolari] simili a quello
QFA minori dell’eccesso di cui il [triangolo E] supera il cerchio ABCD: dunque ancora il poligono circoscritto è
minore di E, ciò che è impossibile: è infatti maggiore, poiché la NA è uguale all’altezza [VU] del triangolo
rettangolo, e il perimetro è maggiore della base [UZ] del triangolo. Dunque il cerchio è uguale al triangolo E.»
Si tratta di una dimostrazione per esaustione. La successione, anzi le due successioni usate nella
dimostrazione per provare i due assurdi – il cerchio maggiore del triangolo, il cerchio minore del
triangolo – sono date rispettivamente dai poligoni iscritti e circoscritti. Qui Archimede sembra
ricopiare le costruzioni viste nella Prop. XII.2 degli Elementi. Usa anche (la citazione è però della
traduzione italiana) una Proposizione euclidea,
«Eucl. Prop. III.18. Se una retta è tangente ad un cerchio, e si congiunge il centro col punto di contatto, la retta
congiungente sarà perpendicolare alla tangente.»
sull’angolo formato dalla tangente e dal raggio nel punto di tangenza.
Archimede utilizza un risultato che doveva essere ben noto ai suoi tempi, in quanto diretto ispiratore
dell’enunciato della sua Prop. 1, che un poligono regolare è equivalente ad un triangolo rettangolo
che ha un cateto congruente al suo apotema, e l’altro cateto equivalente al perimetro, perché è
proprio tale risultato che viene implicitamente richiamato.
Si noti il modo sbrigativo di indicare le figure, ad esempio l’ottangono regolare iscritto, individuato
mediante soli sei punti (vertici).
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La traduzione italiana richiama un risultato di un’altra opera di Archimede, Sulla sfera e il cilindro,
riportato al termine della presentazione dei Postulati:
«Poste queste assunzioni, se si iscrive un poligono in un cerchio, è evidente che il perimetro del poligono
inscritto è minore della circonferenza del cerchio: infatti ciascuno dei lati del poligono è minore di quel tratto
della circonferenza del cerchio che è tagliato da esso (Post. 1).»
Questo fatto potrebbe essere invocato per affermare che l’opera Misura del cerchio sarebbe
successiva all’altro testo Sulla sfera e il cilindro, ma non sembra una argomentazione convincente,
dato che potrebbe essere avvenuto il contrario. Il fatto richiamato è, come dice Archimede,
evidente, e forse proprio dopo averlo utilizzato per la misura del cerchio, al momento di stipulare le
assunzioni dell’opera più importante Archimede avrebbe pensato di evidenziare questo fatto, che
non è inserito nel novero dei Postulati. Inoltre nella lettera scritta ad Eratostene Archimede stesso
afferma,
«[…] la supposizione consisteva [nel ritenere] che come qualunque cerchio è uguale ad un triangolo avente per
base la circonferenza del cerchio e l’altezza uguale al cerchio […]»
a conclusione della Prop. 2 del Metodo sui teoremi meccanici, in cui descrive come ha trovato il
risultato che la superficie sferica è equivalente a quattro volte il cerchio massimo, che costituisce la
Prop. I.33 del testo Sulla sfera e il cilindro. Di qui sembra appunto che l’ordine di concezione dei
testi, non è detto quello in cui i testi sono stati resi pubblici, preveda che il trattato sulla Misura del
cerchio preceda Sulla sfera e il cilindro.
«Proposizione 2. Il cerchio ha rispetto al quadrato del diametro il rapporto che ha 11 rispetto a 14.
Dimostrazione. Sia un cerchio, il diametro del quale [sia] la AB, e si circoscriva [ad esso] il quadrato CG, e il
D
C
E
F
doppio di CD sia DE, ed EF sia la settima parte di CD. E
poiché il [triangolo] ACE ha rispetto al [triangolo] ACD il
B
A
rapporto che 21 ha rispetto a 7, [il triangolo] ACD ha
rispetto a [quello] AEF il rapporto che ha 7 rispetto a 1
G
(Eucl. Prop. VI.1); dunque il triangolo ACF ha rispetto al
triangolo ACD il rapporto che 22 ha rispetto a 7 (Eucl. Prop. V.24 o V.2). Ma il quadruplo del triangolo ACD è il
quadrato di CG (Eucl. Prop. I.34), e il triangolo ACDF è uguale al cerchio [di diametro] AB (Prop. 1.): il cerchio
ha dunque rispetto al quadrato CG il rapporto che ha 11 rispetto a 14. »
Lo stile espositivo ed il fatto che in questa Proposizione si applichi la successiva, ha fatto ritenere ai
più che, nel migliore dei casi, si tratti di un errore di un copista che ha scambiato la Prop. 2 con la
Prop. 3; nel peggiore che oltre allo scambio ci sia una sorta di ‘riassunto’ di un testo più complesso
e articolato.
Nella dimostrazione, il testo italiano richiama i seguenti risultati euclidei: Prop. VI.1 (cfr. III.6.2.2.),
Prop. V.24 (cfr. III.6.3.4.), Prop. V.2 (cfr. III.7.3.), Prop. I.34 (cfr. III.1.4.)
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C’è una certa grossolanità sia nell’enunciato che nella dimostrazione: non si fa menzione del fatto
che si tratta di un risultato approssimato ed anche la indicazione di un triangolo mediante quattro
punti lascia un po’ sorpresi. Euclide, ed anche Archimede, preferiscono, caso mai, citare i nomi di
meno vertici delle figure polinomiali.
«Proposizione 3. La circonferenza di ogni cerchio è tripla del diametro e lo supera ancor meno di un settimo del
diametro, e di più di dieci settantunesimi.
Dimostrazione. Sia un cerchio: il diametro [sia] la AC, il centro [sia] il punto E, [la retta] CLF sia tangente, e
[l’angolo] FEC [sia] la terza parte di un [angolo] retto.
La EF ha rispetto alla FC il rapporto che ha 306 rispetto a 153,
F
mentre la EC ha rispetto a CF il rapporto che 265 ha rispetto a
153 [EF:CF = 306:153; EC:CF = 265:153].
G
Si divida ora l’angolo FEC per metà mediante la EG; si ha
H
K
L
C
M
dunque EF:EC = FG:CG (Eucl. Prop. VI.3.) quindi
E
A
[componendo e permutando]: (EF+EC):FC = EC:CG, cosicché
EC ha rispetto a CG rapporto maggiore di quello che 571 ha
rispetto a 153.
Dunque il rapporto duplicato di EG rispetto a CG è lo stesso di 349.450 rispetto a 23.409: dunque il rapporto
semplice di EG a CG è quello di 591
1
rispetto a 153.
8
Di nuovo [si divida] per metà l’angolo GEC mediante la EH: per mezzo delle stesse cose [prima vedute] dunque
la EC ha rispetto a CH rapporto maggiore di quello che 1.162
rapporto maggiore di quello che 1.172
1
ha rispetto a 153: dunque la HE ha rispetto a HC
8
1
1
1
ha rispetto a 153 [ EC:CH > 1.162 : 153; HE:HC > 1.172 : 153].
8
8
8
Ancora [si divida] per metà l’angolo HEC mediante la EK: dunque la EC ha rispetto a CK rapporto maggiore di
quello che 2.334
1
1
ha rispetto a 153; [EC:CK > 2.334 : 153].
4
4
Ancora [si divida] per metà l’angolo KEC mediante EL: dunque la EC ha rispetto alla LC rapporto maggiore di
quello che 4.673
1
1
ha rispetto a 153 [EC:LC > 4.673 : 153].
2
2
Poiché dunque l’angolo FEC, che è la terza parte di un [angolo] retto, è stato diviso quattro volte in [due] parti
uguali, l’angolo CEL è un quarantottesimo di angolo retto. Si ponga ora ad esso uguale l’angolo CEM [con
vertice] nel punto E: dunque l’angolo LEM è uguale ad un ventiquattresimo di [angolo] retto, e dunque la retta
LM è il lato del poligono circoscritto al cerchio avente 96 lati. E poiché dunque è stato dimostrato che la EC ha
rispetto alla GL rapporto maggiore di quello che 4.673
1
ha rispetto a 153, ma AC è doppia della EC, ed LM è
2
doppia della CL, anche la AC ha dunque rispetto al perimetro del poligono di 96 lati rapporto maggiore di quello
che ha 4.673
1
1
1
ha rispetto a 14.688. E 14.688 è triplo di 4.673 con l’avanzo di 667 , avanzo che è minore
2
2
2
della settima parte di 4.673
1
: sicché il perimetro del poligono circoscritto al cerchio è minore del triplo e un
2
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settimo del diametro: dunque la circonferenza del cerchio a più forte ragione è minore del triplo e un settimo del
diametro (Sf. Cil, Prop. I.1).
Sia ancora un cerchio e il diametro sia AC e l’angolo BAC sia un
terzo di [angolo] retto: la AB ha dunque rispetto a BC rapporto
B
G
minore di quello che 1351 ha rispetto a 780: [AB : BC < 1.351:780].
F
Si divida per metà l’angolo BAC mediante AG. Poiché dunque
H
K
L
l’angolo BAG è uguale a quello GCB (Eucl. Prop. III.26) ma anche
C
A
E
a quello HAC, anche [l’angolo] GCB è uguale a[ll’angolo GAC. Ed
è comune l’[angolo] retto AGC, e dunque il terzo angolo GFC è uguale al terzo [angolo] ACG. Dunque il
triangolo AGC ha gli angoli uguali a quelli del triangolo CGF; si ha quindi: AG:GC = GC:GF = AC:CF. Ma
AC:CF = (CA+AB):BC (Eucl. Propp. VI.3, V.18, V.16.) e: (CA+AB):BC = AC:GC.
Per questo dunque AG ha rispetto a GC rapporto minore di quello che 2911 ha rispetto a 780: [AG:GC <
2.911:780] e la AC ha rispetto alla GC rapporto minore di quello di 3.013
3
3
rispetto a 780: AC:GC < 3.013 :
4
4
780.
Si divida per metà l’[angolo] CAG mediante la AH: dunque per le stesse cose [prima vedute] la AH ha rispetto
alla HC rapporto minore di quello che 5.924
1
1
ha rispetto a 780 [AH:HC < 5.924 : 780]; una di esse è infatti i
8
8
4
9
dell’altra, cosicché la AC ha rispetto alla HC rapporto minore di quello che 1.838
ha rispetto a 240:
13
11
[AC:HC < 1.838
9
: 240].
11
Ancora si divida per metà l’angolo HAC mediante la AK: quindi AK ha rispetto alla KG rapporto minore di
quello che ha 1.007 rispetto a 66. [AK:KC < 1.007 : 66]; una di esse è infatti gli
rispetto alla KC rapporto minore di quello che 1009
11
dell’altra. Dunque la AC ha
40
1
1
ha rispetto a 66 [AC:KC < 1009 : 66].
6
6
Si divida ancora per metà l’angolo KAC mediante la AL: dunque la AL ha rispetto alla LC rapporto minore di
quello che 2.016
che 2.017
1
1
ha rispetto a 66: [AL:LC < 2.016 : 66] e la AC ha rispetto a CL rapporto minore di quello
6
6
1
1
ha rispetto a 66: [AC:CL < 2.017 : 66].
4
4
Invertendo (Eucl. Cor. alla Prop. V.7) si ha dunque che il perimetro del poligono ha rispetto al diametro rapporto
maggiore di quello che 6.336 ha rispetto a 2.017
Ma 6.336 è maggiore del triplo e
maggiore del triplo e
1
1
: [perimetro poligono : diametro > 6.336 : 2017 ].
4
4
10
1
di 2.017 : dunque il perimetro del poligono di 96 inscritto nel cerchio è
71
4
10
10
del diametro, cosicché il cerchio a più forte ragione è maggiore del triplo e
del
71
71
diametro.
Dunque la circonferenza del cerchio è maggiore del triplo del diametro ed eccede il triplo del diametro per meno
di
1
10
e per più di
.»
7
71
- 188 -
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
La dimostrazione di questa Proposizione mostra bene la distanza tra le tecniche di Euclide e gli
obiettivi di Archimede. La presenza di calcoli, alcuni abbastanza astrusi come « il rapporto che ha 306
rispetto a 153» per indicare 2, è il pregio maggiore di questa dimostrazione. Infatti se non ci fossero
queste stime numeriche, si giungerebbe ad affermare semplicemente che la circonferenza è
maggiore del perimetro di qualunque poligono regolare inscritto e minore di qualunque poligono
regolare circoscritto. L’affermazione di Archimede è che il rapporto tra il diametro della
circonferenza e la differenza tra il perimetro del poligono regolare di 96 lati circoscritto e di quello
inscritto è minore di
1 10 71 − 70
1
=
≅ 0,002013 , lasciando quasi intuire che sarebbe
− =
7 71
497
497
possibile procedere con altri poligoni regolari, raddoppiando il numero dei lati, ed ottenere rapporti
ancora più piccoli tra diametro e differenza dei poligoni, dando quindi indirettamente ragione a chi
volesse pensare che la circonferenza sia assimilabile ad un poligono con infiniti lati.
Il poligono di 96 lati è ottenuto partendo dall’esagono regolare, dapprima circoscritto e poi inscritto,
considerando un angolo uguale ad un terzo di un angolo retto. Di tale esagono considera solo metà
lato. Mediante le bisettrici divide l’angolo per 2, passando a
infine ad
1
1
1
di angolo retto, poi a
,a
ed
6
12
24
1
. Ma avendo suddiviso l’angolo retto in 48 parti uguali, ed avendo così ottenuto metà
48
dell’angolo al centro che sottende il lato del poligono regolare, l’angolo al centro è pari a
angolo retto e quindi a
1
di un
24
1
dell’angolo giro. Seguendo le indicazioni del testo LM è pertanto il lato
96
del poligono regolare circoscritto di 96 lati.
Per determinare le stime numeriche di Archimede si parte dal rapporto tra il semilato dell’esagono
regolare circoscritto e il raggio del cerchio, il che equivale al rapporto tra il lato e il diametro. La
costruzione del triangolo rettangolo CEF, che ha gli angoli acuti pari a
che EF è doppio di FC, quindi, per il Teorema di Pitagora EC =
prima approssimazione, scrivendo invece di
1 2
e
di angolo retto, si ha
3 3
3 FC. Qui Archimede compie una
3 un suo valore approssimato per difetto
tratta di una approssimazione a meno di 10-4, in quanto
265
153
265
. Si
153
≅ 1,732036144, mentre
3
≅ 1,732050808.
La ‘irruzione’ dell’approssimazione (senza per altro nessuna segnalazione del fatto, dato che il testo
afferma «mentre la EC ha rispetto a CF il rapporto che 265 ha rispetto a 153») è sicuramente una sostanziale
- 189 -
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
novità dimostrativa e differenza tra gli Elementi e le opera di Archimede, segnale della mentalità
più applicata del Siracusano, e forse indice che l’epoca ‘classica’ della geometria era conclusa. Si
comprende così perché in precedenza avesse affermato «La EF ha rispetto alla FC il rapporto che ha 306
rispetto a 153», invece che semplicemente affermare che EF è il doppio di FC, per uniformare i
denominatori.
A questo punto Archimede procede con la bisettrice e richiama il fatto che in ogni triangolo la
bisettrice di un angolo divide il lato opposto in parti proporzionali agli altri due lati, la Eucl. Prop.
VI.3 (cfr. III.6.3.1.). Si ha quindi la proporzione indicata nella dimostrazione, da cui
EF EC EC
+
=
, vale a dire
FC FC GC
571 306 265 EC
=
+
=
. Ma qui Archimede non accetta
153 153 153 GC
l’uguaglianza, sapendo che il valore
265
non è uguale a
153
3 , ma ne è solo un valore approssimato
EC 571
>
. Tale approssimazione è sufficiente ai suoi scopi e la
GC 153
per difetto, conclude che
‘scorrettezza’ precedente, vale a dire l’affermazione che
3 era un valore razionale, scompare.
Si tratta ora di esprimere il rapporto tra EG e GC. Dal Teorema di Pitagora si ha
EG
GC
2
=
GC 2 + EC 2
GC 2
= 1+
EC
GC
2
> 1+
571
153
2
= 1+
326.041 349.450
=
. Di questo numero si
23.409
23.409
deve determinare la radice quadrata. Nessun problema per il denominatore, la cui radice quadrata è
153, ma il numeratore non è un quadrato perfetto. Dato che non interessa un’uguaglianza, ma solo
una maggiorazione, si considera un numero razionale ed essendo (591)2 = 349.281, mentre (592)2 =
350.464, si vuole trovare un numero razionale che approssimi
349.450 ≅ 591,14296071. Qui
1
Archimede sceglie 591 , frazione impropria, secondo la dicitura scolastica, scrittura oggi
8
inconsueta, in Italia, ma che trova le sue radici in Fibonacci ed è attualmente usata ancora nei paesi
anglosassoni, per scrivere 591 +
1 4729
=
. Il quadrato di tale numero è 349.428,765625. Ma qui
8
8
Archimede fa una scelta discutibile. Ad esempio se avesse preso 591 +
1 4138
=
, avrebbe avuto
7
7
un’approssimazione migliore, dato che il suo quadrato è (per difetto) circa 349.499,877551. Le
tecniche per individuare
1
sono basate sull’interpolazione lineare, strumento applicato dalle
7
popolazioni mesopotamiche (e sottinteso nel metodo di falsa posizione in uso nell’antico Egitto per
- 190 -
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
risolvere equazioni). Forse la ragione della scelta di
1
può risiedere nel fatto di trovare poi altre
8
frazioni con denominatori ‘semplici’.
Seguendo lo stesso procedimento si trovano gli altri numeri indicati. Si giunge così fino a «dunque la
EC ha rispetto alla LC rapporto maggiore di quello che 4.673
1
ha rispetto a 153».
2
Ma EC è il raggio del cerchio
e LC la metà del lato del poligono regolare di 96 lati circoscritto al cerchio. Passando dal diametro
al lato il rapporto non cambia, avendo duplicato entrambi i termini. Ma passando al perimetro si
deve considerare il prodotto di 153 per 96, ottenendo 14.688. Pertanto si ha Diametro:Perimetro >
1
1
1 9.347
4.673 :14.688 e invertendo Perimetro:Diametro < 14.688:4.673 . Dato che 4.673 +
=
,
2
2
2
2
si ha 14.688 :
9.347 29.376
1.335
9.347
=
= 3+
, d’altra parte, 1.335⋅7 = 9.345 e
= 7,0014981 > 7,
2
9.347
9.347
1.335
1
ottenendo così Perimetro:Diametro < 3+ . Ma il perimetro del poligono circoscritto è maggiore
7
della circonferenza, per cui, a maggior ragione, Circonferenza:Diametro < 3 +
1 22
=
.
7 7
Ricorrendo ai poligoni inscritti deve dare un’approssimazione per eccesso di
3 e propone
1351
≅
780
3 ≅ 1,732050808, quindi un valore approssimato per eccesso a meno di 10-5. Si
1,7320512805, e
tratta di un’approssimazione migliore di quella per difetto utilizzata nella prima parte della
dimostrazione.
I risultati degli Elementi citati dalla traduzione italiana sono, la Eucl. Prop. VI.3, la Eucl. Prop. V.18
(cfr. III.5.2.2.), la Eucl. Prop. V.16 (cfr. III.3.6.5.), Eucl. Corollario alla Prop. V.7 (cfr. III.5.3.1) e la
«Eucl. Prop. III.26. In cerchi uguali angoli uguali insistono su archi uguali, sia che essi siano angoli al centro o
alla circonferenza.»
Rimane il problema di comprendere la strada seguita da Archimede per trovare queste
approssimazioni. Il valore numerico approssimato poteva essere noto ad Archimede sia perché
nell’antichità tali valori erano stati tabulati oppure per un suo calcolo, che non ci è stato tramandato.
Scoprire come sia giunto a tali espressioni è secondo Heath, il puzzle che ha più affascinato gli
storici della matematica.
Frajese, nelle note al testo, segue la proposta di De Lagny del 1723, secondo la
quale Archimede avrebbe ottenuto l’approssimazione di
tentativi così come fatto per
Thomas De Lagny
(1660 – 1734)
- 191 -
3 procedendo per
2 . Si tratta di risolvere per numeri interi
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
l’equazione
y
x
2
Carlo Marchini
− 3 = 0 , cioè l’equazione y2 – 3x2 = 0. Si inizia per tentativi e dato che una coppia
di tali valori interi non esiste, si prova a cercarne una che approssimi il valore considerando ad
esempio le coppie ordinate di numeri naturali x, y tali che y2 – 3x2 = ±1 e anche l’approssimazione
meno buona y2 – 3x2 = ±2. Si costruiscono così due tabelle di soluzioni delle due (quattro)
equazioni:
I)
y) 2 7 26 …
II)
x) 1 4 15
y) 1 5 19 …
x) 1 3 11 …
Si può anzi codificare il passaggio da un termine all’altro mediante un’espressione non facile da
trovare, ma neppure impossibile cercando di esprimere il termine successivo come combinazione
lineare dei precedenti:
x'= 2 x + y
y '= 3x + 2 y
Ed infatti (3x+2y)2 – 3(2x+y)2 = 9x2 + 4y2 + 12xy -12x2 – 3y2 – 12xy = y2 – 3x2 = y2 – 3x2.
Si ottengono così le tabelle
I)
y) 2 7 26 97 362 1351 5042 …
x) 1 4 15 56 209 780 2911 …
II)
y) 1 5 19 71 265
989 3691 …
x) 1 3 11 41 153
571 2131 …
Con esse si ritrovano i numeri usati da Archimede, ma anche altri che fornirebbero approssimazioni
migliori, quelle della prima tabella per eccesso, quelle della seconda per difetto. Forse la scelta di
essersi fermato ai numeri indicati è stata suggerita da Archimede da considerazioni di semplicità e
comodità (tenendo anche conto di come si rappresentavano i numeri nella notazione greca).
IV.3. Sulla sfera e il cilindro.
Si tratta di un’opera cui Archimede attribuì grande importanza, almeno in base a quanto tramanda
Cicerone relativamente alla scoperta della tomba del matematico.
L’opera, che nella traduzione italiana occupa più di 140 pagine, consta di due Libri, entrambi
introdotti da lettere inviate a Dositeo. Le parti geometricamente più interessanti sono contenute nel
primo Libro, trattando il secondo di problemi di suddivisione della superficie sferica con piani, in
modo opportuno.
- 192 -
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
IV.3.1. Il Libro I. Il primo Libro comprende 44 Proposizioni e 5 Lemmi ottenuti da opere di altri
geometri precedenti, in particolare 4 di essi sono la ripetizione quasi testuale di Proposizioni del
Libro XII degli Elementi, il quinto Lemma corollario di risultati euclidei.
Le Proposizioni sono introdotte da 6 definizioni e 5 postulati.
IV.3.1.1. La prima lettera a Dositeo. Il Libro I (ed anche il Libro II di Sulla sfera e il cilindro) si
apre con una lettera in cui viene presentato l’argomento ed accennato ai risultati principali.
«Archimede a Dositeo salute.
Antecedentemente ti mandai per iscritto, insieme alla dimostrazione, [la seguente] tra le cose che avevo
considerato: che ogni sezione compresa da una retta e da una sezione di cono rettangolo [= parabola] supera di
un terzo il triangolo avente la stessa base della sezione e uguale altezza. In seguito, essendomi imbattuto in
teoremi degni di considerazione, composi le loro dimostrazioni. Sono questi: dapprima che la superficie di ogni
sfera è quadrupla del suo circolo massimo, poi che alla superficie di qualunque segmento sferico è uguale il
cerchio, il raggio del quale sia uguale alla retta condotta dal vertice della sezione alla circonferenza del cerchio
che è base della sezione. Oltre a questi: che per qualunque sfera il cilindro avente la base uguale al circolo
massimo della sfera e l’altezza uguale al diametro della sfera supera della metà la sfera, e così la sua superficie
[totale] supera della metà la superficie della sfera. Queste proprietà erano da sempre inerenti alla natura delle
figure menzionate ed erano ignorate da coloro che prima di noi si occuparono di geometria: nessuno di loro si era
accorto che per queste figure c’è una simmetria (commensurabilità). Perciò non ho esitato a porre queste
proposizioni accanto a quelle trovate da altri geometri, ed a quei teoremi, che sembrano di molto superiori, che
Eudosso stabilì sulla figure solide, cioè che ogni piramide è la terza parte del prisma avente la stessa base della
piramide e uguale altezza, e che ogni cono è la terza parte del cilindro avente la stessa base del cono e uguale
altezza: e infatti queste proprietà appartenenti da sempre alla natura di queste figure accade che molti degni
geometri anteriori a Eudosso tutti le ignorarono e nessuno le comprese. E’ ora data la possibilità ai competenti di
esaminare queste proposizione. Sarebbe stato bene che esse fossero state rese note quando Conone era ancora in
vita: pensiamo infatti che egli massimamente avrebbe potuto comprenderle pienamente e dare su di esse un
giudizio confacente: ma ritenendo che sia bene portarle a conoscenze di coloro cui la matematica è familiare, ti
inviamo le dimostrazioni che abbiamo scritte, e che sarà possibile di esaminare a coloro che si occupano di
matematica.
Vengono ora scritti dapprima gli assiomi e i postulati che servono per le dimostrazioni delle proposizioni.»
Questa lettera mostra alcune cose importanti:
1) che Archimede ha già risolto il problema di determinare l’area del segmento di parabola
(quella che Archimede chiama sezione di cono rettilineo, cioè secondo Euclide, generato
dalla rotazione di un triangolo rettangolo isoscele attorno ad un cateto);
2) che per lui i risultati trovati sono già presenti negli oggetti, in una sorta di riferimento alla
natura ideale degli enti geometrici, di origine platonica;
3) che Euclide o non esiste, o non è ritenuto un matematico di vaglia, visto che i matematici
citati sono Eudosso, precedente a Euclide, Conone e il destinatario della lettera Dositeo,
successivi ad Euclide. Il tono di rammarico per la morte di Conone che non gli ha permesso
- 193 -
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
di conoscere i risultati trovati e presentati in questo Libro, ci potrebbe dire che anche
Conone si sia interessato a proprietà della sfera, senza riuscirci. Di fatto Conone era un
personaggio di spicco, soprattutto come astronomo. Si deve infatti a lui la ‘invenzione’ della
costellazione chiamata Chioma di Berenice, cantata dal poeta Callimaco (300 – 240 a.C.).
Il fatto che si usino Proposizioni che si trovano negli Elementi potrebbe non essere una
ragione sufficiente per ritenere esistito Euclide, dato il carattere di sistemazione di
conoscenze pregresse, che ha il suo testo. Infatti potrebbe non essere improbabile che
Archimede intendesse riferirsi a proprietà dimostrate da altri prima di Euclide e da questi
messe poi nel suo testo, coordinandole con l’impianto generale degli Elementi.
Contro questa ipotesi c’è da osservare che nella Prop. I.2. appare il nome di Euclide, ma
alcuni commentatori ritengono che la frase «Applicando la proposizione seconda del primo libro di
Euclide» sia
di dubbia originalità e che si tratti di un’interpolazione tarda.
Più probabilmente originale è la citazione fatta nella dimostrazione della Prop. I.6. in cui
afferma «[…] queste cose infatti, sono state sono state tramandate negli Elementi», riferendosi alla Prop.
XII.2. di tale testo. Ma qui si cita l’opera, non l’autore. E’ ovvio che se questi passi non
dessero adito a dubbi, non sarebbe sorta neppure la cosiddetta questione euclidea.
4) Essendo «la superficie di ogni sfera è quadrupla del suo circolo massimo», se r è il raggio della sfera,
la superficie della sfera è data da S = 4πr2. Inoltre «per qualunque sfera il cilindro avente la base
uguale al circolo massimo della sfera e l’altezza uguale al diametro della sfera supera della metà la sfera».
Ora il volume del cilindro avente per base un cerchio massimo della sfera e altezza uguale al
diametro, ha volume πr2·2r = 2πr3. Per superare della metà della sfera, bisogna dividere il
cilindro in tre parti, lasciarne 2, quindi si ha per il volume della sfera V =
4 3
πr .
3
5) Archimede si ‘sorprende’ con una punta di orgoglio, di avere trovato che ci sono dei rapporti
razionali tra superficie e volumi di solidi ben note. E si paragona a Eudosso che ha trovato il
rapporto di
1
tra piramide (cono) e prisma (cilindro).
3
6) Archimede parla agli ‘iniziati’ e, come detto sopra, non ha problemi di chiarezza didattica,
ma si rivolge ad esperti.
Nella lettera inoltre sono presentati altri risultati relativi ai segmenti sferici che generalizzano
quanto provato per la sfera.
IV.3.1.2. Definizioni. Il termine che Archimede usa per le definizioni è
Proclo per i postulati. La critica ha però visto in questi
definizione e la richiesta esistenziale.
- 194 -
, usato poi da
un qualcosa di ibrido tra la
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Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
«Definizione 1. Vi sono nel piano linee curve terminate, le quali si trovano completamente dalla stessa parte
delle rette congiungenti i loro estremi, ovvero [comunque] non hanno nessun punto dalla parte opposta.
Definizione 2. Chiamo concava dalla stessa parte una linea tale che, presi due punti qualunque su di essa, i
segmenti di retta che li congiungono, o cadono tutti nella stessa parte rispetto alla linea, ovvero alcuni di essi
cadono nella stessa parte, altri sulla [linea] stessa: senza però che nessuno cada dall’altra parte.
Definizione 3. Similmente vi sono certe superficie terminate, non contenute in un piano, ma tali che le linee che
le limitano sono contenute in un piano, e tali ancora che esse giacciono nella stessa parte rispetto a detto piano, o
[comunque] non hanno nessun punto nell’altra.
Definizione 4. Chiamo concave dalla stessa parte quelle superficie tali che, presi due punti qualunque su di esse,
i segmenti di retta che li congiungono, o cadano nella stessa parte, altri sulla superficie stessa: senza però che
nessuno di essi cada nell’altra parte.
Definizione 5. Se un cono taglia una sfera, ed ha il vertice nel centro della sfera stessa, chiamo settore solido la
figura compresa tra la superficie [laterale] del cono e la [parte della] superficie della sfera che interna al cono.
Definizione 6. Se due coni aventi la stessa base hanno i vertici in parti opposte rispetto al piano della base e i
loro assi sulla stessa retta, chiamo rombo solido la figura solida costituita dall’insieme dei due coni.»
Archimede usa senza postularlo un assioma di ordine, che si può esprimere dicendo che una retta
(illimitata) determina due semipiani. Però introduce esplicitamente un importante concetto: quello
di figura concava, che avrà importanza nella geometria più moderna.
Il termine rombo,
, per indicare il quadrilatero equilatero ha origine da questa definizione di
Archimede, perché il rombo solido è il solido ottenuto facendo ruotare un rombo attorno alla
diagonale. La parola rombo deriverebbe dal verbo greco che significa “muovere attorno”.
IV.3.1.3. I postulati. Il termine che Archimede usa per postulati è
= assunzioni. In
realtà, anche in questo caso non è sempre chiaro se si tratta di definizioni o di proprietà. Archimede
esplicita che sono assunzioni:
«Assumo queste cose:
Postulato 1. Che la minima fra tutte le linee aventi gli stessi estremi è la linea retta.
Postulato 2. Che tutte le altre linee, poi, se esse sono su uno [stesso] piano ed hanno gli stessi estremi , sono
disuguali [due] linee tali che, essendo ambedue concave dalla stessa parte, o una è tutta compresa dall’altra linea
e dalla retta avente gli stessi estremi, o ha una parte compresa [dall’altra], una parte comune [con essa]; ed è
minore la [linea che è] compresa [dall’altra].
Postulato 3. Similmente che anche tra le superficie aventi gli stessi termini (=rette terminali), se hanno i termini
stessi [giacenti] in un piano, la minore è la superficie piana.
Postulato 4. Che tra le altre superficie, poi, aventi le stesse linee terminali, e se queste sono nello stesso piano,
sono disuguali quelle [due] superficie tali che, essendo ambedue concave dalla stessa parte, o una è tutta
compresa dall’altra e dalla stessa superficie piana avente gli stessi termini, o ha una parte compresa [dall’altra],
una parte comune [con essa]: ed è minore la superficie che è compresa [dall’altra].
- 195 -
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
Postulato 5. Che inoltre per le linee disuguali, per le superficie disuguali e per il solidi disuguali, il maggiore
superi il minore di una grandezza tale che addizionata a sé stessa possa superare qualunque grandezza data, tra
quelle che si possono paragonare tra loro.»
Aggiunge poi una chiusa che viene utilizzata nel testo Misura del cerchio e non in Sulla sfera e il
cilindro:
«Poste queste assunzioni, se si iscrive un poligono in un cerchio, è evidente che il perimetro del poligono iscritto
è minore della circonferenza del cerchio: infatti ciascuno dei lati del poligono è minore di quel tratto di
circonferenza del cerchio che è tagliato da esso (Post. 1) (= è minore dell’arco di circonferenza compreso tra gli
stessi estremi). »
La prima assunzione dovrebbe essere la definizione di retta, come la più breve congiungente due
punti. Analoga alla prima è la terza che fornisce una proprietà di minimalità per il piano, con la
differenza che mentre è facile identificare quali sono gli estremi di un segmento, lo è molto meno
identificare i termini di un piano. Legendre userà esplicitamente la prima assunzione di Archimede
come definizione di retta
Il secondo gruppo di assunzioni, riguarda le assunzioni 2 e 4, introduce proprietà delle figure
convesse, rispettivamente nel piano e nello spazio, e parimenti anche i semipiani, semispazi
Il quinto postulato è il celebre asserto che viene riconosciuto a Archimede, come enunciato di un
principio di continuità. Questo stesso principio è presente nella
«Eucl. Definizione V.4. Si dice che hanno rapporto tra loro le grandezze le quali possono, se moltiplicate,
superarsi reciprocamente.»
Archimede ne dà però una enunciazione diversa, preferendo considerare i casi particolari di linee,
superficie e solidi, nonché invece di richiedere l’esistenza di un multiplo della minore che superi la
maggiore, pone la condizione che date due grandezze, A e B, dei tipi precisati, e una terza grandezza
C, omogenea col le due precedenti, ci sia un multiplo della differenza (tra la maggiore e la minore
delle due) che superi C.
Archimede è ben consapevole che questo postulato non è una novità, nella sostanza. Scrive infatti
nella lettera a Dositeo che è prefazione al testo Quadratura della parabola:
«[…] avendo assunto il seguente lemma per la sua dimostrazione: date due aree disuguali è possibile,
aggiungendo a se stesso l’eccesso di cui la maggiore supera la minore, superare ogni area limitata data. Anche i
geometri anteriori a noi si son serviti di questo lemma: infatti se ne sono serviti per dimostrare che i cerchi
stanno fra loro in ragione duplicata dei diametri, e che le sfere stanno in ragione triplicata dei diametri, e ancora
che ogni piramide è la terza parte del prisma avente la stessa base della piramide ed uguale altezza, e che
qualunque cono è la terza parte del cilindro avente la stessa base del cono ed altezza uguale, ciò assumendo un
lemma simile a quello suddetto […]»
Nell’elenco degli usi del Principio di Archimede sono presenti risultati che si trovano anche negli
Elementi, ma la dimostrazione di Euclide che la piramide è la terza parte del prisma avente la stessa
- 196 -
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Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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base e la stessa altezza, non si usa tale risultato, quindi Archimede fa riferimento a risultati
precedenti ad Euclide, anzi stando a quanto dice nella lettera ad Eratostene che apre il trattato sul
Metodo dei teoremi meccanici,
«[…] Perciò anche di quei teoremi, dei quali Eudosso trovò per primo la dimostrazione, intorno al cono e alla
piramide [cioè] che il cono è la terza parte del cilindro e la piramide [è la terza parte] del prisma […]»
sembra chiaro si riferisca ad Eudosso.
Ci sono poi delicati problemi di traduzione del Post. 5 che hanno fatto discutere a lungo.
Controllando i casi in cui Archimede adopera tale postulato, si vede che lo utilizza per trovare un
multiplo di (A-B) che supera B, quindi la generalizzazione ad una qualunque grandezza sarebbe
fuori luogo, mentre questa generalità è importante per gli Elementi. Ma nel brano della dedica a
Dositeo riportato sopra, si parla in generale, di qualunque area (limitata).
IV.3.1.4. I contenuti del Libro I. Una suddivisione grossolana dei contenuti del Libro I è la
seguente:
- Le Propp. I.1. – I.6. e poi I.21. e I.22. relative a figure piane.
- Le Propp. I.7. – I.10. e poi I.14. – I.16. relative a coni (superficie).
- Le Propp. I.11. – I.13. relative a cilindri (superficie).
- 5 Lemmi tratti direttamente da Euclide o semplici corollari di Proposizioni euclidee) applicati
ai volumi.
- La Prop. I.17. relativa a volume di coni.
- Le Propp. I.18. – I.20. relativi a rombi solidi.
- Le Propp. I.23. – I. 32. e I.35. – I.41. sulle figure iscritte e circoscritte ad una sfera.
- Le Propp. I.33. sulla superficie della sfera
- La Prop. I.34. sul volume della sfera.
- Le Propp. I.42. – I.44. su superficie e volume di segmenti sferici.
IV.3.1.5. La Proposizioni I.33. Data la novità e l’importanza dei risultati di queste due Proposizioni,
si presentano e commentano qui le dimostrazioni archimedee. Questi risultati possono essere
considerati casi particolari delle ultime Proposizioni, quelle relative a superficie e volumi dei
segmenti sferici.
«Proposizione I.33. La superficie della sfera è quadruplo del suo circolo massimo.
Dimostrazione. Sia infatti una sfera qualunque, e il cerchio A sia quadruplo del circolo massimo: dico che A è
uguale alla superficie della sfera.
Se infatti non fosse [uguale], sarebbe o maggiore o minore [della superficie della sfera]. Sia dapprima la
superficie della sfera maggiore del cerchio. Vi sono quindi due grandezze disuguali: la superficie della sfera e il
cerchio A; dunque è possibile prendere due rette disuguali, tali che la maggiore abbia rispetto alla minore
rapporto minore di quello che la superficie della sfera ha rispetto al cerchio (Prop. I.2.). Si prendano [come tali]
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
le rette B, C, e sia D la media proporzionale tra B, C; si immagini anche che la sfera sia tagliata da un piano per il
centro secondo il cerchio EFGH, e si immagini anche un poligono inscritto nel cerchio, e [uno] circoscritto, tale
che sia simile il circoscritto al poligono inscritto, e in modo che il lato del [poligono] circoscritto abbia [rispetto
al lato del poligono inscritto] rapporto minore di quello che B ha rispetto a D (Prop. I.3.). Dunque la superficie
della figura circoscritta alla sfera ha rispetto alla superficie della figura inscritta rapporto minore di quello che la
superficie della sfera ha rispetto al cerchio A (Prop. I.32.), ciò è impossibile: infatti la superficie della [figura]
circoscritta è maggiore della superficie della sfera (Prop. I.28.), mentre la superficie della figura inscritta è
minore del cerchio A (Prop. I.25.): dunque la superficie della sfera non è maggiore del cerchio A.
Dico inoltre che non è neppure minore. Infatti, se possibile, sia [minore], e si trovino, similmente [a quanto sopra
veduto], le rette B, C tali che B abbia rispetto a C rapporto minore di quello che il cerchio A ha rispetto alla
superficie della sfera (Prop. I.2.). E sia D la media proporzionale tra B, C, e si inscriva [nel cerchio EFGH] e si
circoscriva di nuovo un altro poligono [come è stato fatto prima], in modo che il lato del [poligono] circoscritto
abbia [rispetto al lato del poligono inscritto] rapporto minore di quello che B ha rispetto a D (Prop. I.3.): dunque
la superficie della figura circoscritta ha rispetto a quella della [figura] inscritta rapporto minore di quello che il
cerchio A ha rispetto alla superficie della sfera, ciò che è impossibile: infatti la superficie della figura circoscritta
è maggiore del cerchio A (Prop. I.30.), mentre la superficie della [figura] inscritta è minore della superficie della
sfera (Prop. I.23.). Dunque la superficie della sfera non è neppure minore del cerchio A. Ed era stato dimostrato
che non è neppure maggiore: la superficie della sfera è dunque uguale al cerchio A, ossia al quadruplo del circolo
massimo. »
La prima osservazione immediata è che qui il testo italiano non riporta citazioni (dirette) di
Proposizioni euclidee.
Vengono invece citate Proposizioni precedenti, che per chiarezza sono qui riportate:
«Proposizione I.2. Date due grandezze disuguali, è possibile trovare due rette disuguali tali che la retta maggiore
abbia rispetto alla minore rapporto minore di quello che la grandezza maggiore ha rispetto alla grandezza
minore.»
Questa Proposizione riporta il rapporto di due grandezze omogenee al confronto col rapporto di due
segmenti. Ci sono legami con Eucl. Prop. X.1. (cfr. III.8.3.2.) ed è dimostrato come applicazione
del Principio di Eudosso-Archimede, ma qui nella forma del Post. 5, vale a dire considerando la
differenza tra grandezza maggiore e minore.
Viene citata anche il risultato successivo, che è una semplice applicazione della Prop. I.2:
«Proposizione I.3. Date due grandezze disuguali ed un cerchio, è possibile inscrivere nel cerchio un poligono e
circoscriverne un altro, in modo che il lato del poligono circoscritto abbia, rispetto al lato del poligono inscritto,
rapporto minore di quello della grandezza maggiore e minore.»
Archimede non specifica nell’enunciato che si tratta di poligoni almeno equilateri e che i poligoni
inscritti e circoscritti considerati hanno lo stesso numero di lati. Ciò si desume dalla dimostrazione.
La Prop. I.23 è senza enunciato, o meglio l’enunciato compare al termine della dimostrazione che
viene introdotta con la descrizione di una figura di rotazione ottenuta inscrivendo un poligono
equilatero in un cerchio massimo della sfera, il cui numero di lati sia divisibile per 4. Poi considera
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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il semicerchio (e il semipoligono) e lo fa ruotare ottenendo la sfera ed un solido di rotazione
“poligonale”. Quello che Archimede prova è che «[…] l’intera superficie della figura [inscritta] nella sfera è
minore della superficie della sfera.»
A questo solido si riferisce nella
«Proposizione I.25. La superficie della figura inscritta nella sfera e compresa da superficie coniche è minore del
quadruplo del circolo massimo della sfera.»
La Prop. I.28 è ancora un esempio di una Proposizione senza enunciato. Si tratta di un’esposizione
di carattere discorsivo e solo verso la metà si specifica che cosa si voglia dimostrare. Prima descrive
un solido di rotazione “poligonale” circoscritto alla sfera e poi prova che la superficie di tale solido
è maggiore di quella della sfera. Si determina meglio il rapporto tra la superficie poligonale di
rotazione circoscritta e la sfera con la:
«Proposizione I.30. La superficie della figura circoscritta alla sfera è maggiore del quadruplo di un circolo
massimo della sfera. »
Infine viene fatta menzione della
«Proposizione I.32. Se in una sfera è inscritta una figura ed un’altra è circoscritta, costruite nello stesso modo
delle proposizioni precedenti [a partire] da poligoni simili, la superficie della figura circoscritta ha rispetto alla
superficie della [figura] inscritta rapporto duplicato di quello che il lato del poligono circoscritto al cerchio
massimo ha rispetto al lato del poligono inscritto nello stesso cerchio: e la stessa figura [circoscritta] ha rispetto
alla figura [inscritta] rapporto triplicato dello stesso rapporto.»
Per chiarire questo testo, le figure di cui parla Archimede sono solidi di rotazione, dato che la sfera
è vista come solido di rotazione.
Con la Prop. I.33 Archimede raggiunge un importante risultato, dimostrato rigorosamente mediante
il metodo di esaustione, ed utilizzando i risultati precedenti che hanno mostrato la possibilità di
maggiorare e minore il quadruplo del cerchio massimo con le superficie di solidi di rotazione
inscritti e circoscritti alla sfera. Si avvale di un cerchio che la il raggio uguale al diametro della
sfera, ed ha quindi area quadrupla del cerchio massimo della sfera. L’esaustione viene applicata non
alla figura ma al rapporto S/A tra la superficie S della sfera e l’area A del cerchio costruito, ed
invece di considerare, come nelle applicazioni più consuete del metodo di esaustione, la differenza
fra due grandezza, considera il rapporto. Provando che il rapporto è 1 si ha l’uguaglianza cercata. Si
suppone per assurdo che non sia 1, anzi che S/A sia maggiore di 1, quindi che S sia maggiore di A.
Mediante le figure di rotazione “poligonali” inscritte F e circoscritte F’ alla sfera si ha che il
rapporto F’/F risulta maggiore di S/A, in quanto F’ è maggiore di S, mentre F è minore di A. Ma
crescendo il numero dei lati, raddoppiandolo ogni volta si giunge ad un rapporto F’/F tale che 1 <
F’/F < S/A, e quindi un assurdo. Per giungere a questo risultato sostituisce il rapporto S/A con il
rapporto di due segmenti disuguali, B e C in modo che 1 < B/C < S/A. basta ora provare che
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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esistono due figure di rotazione F’ e F tali che 1 < F’/F < B/C. D’altra parte F’/F = q(L’)/q(L), il
rapporto dei quadrati dei lati. Quindi basta provare che q(L’)/q(L) < B/C. Ma per esprimere B/C
come il rapporto di due quadrati basta considerare un segmento D medio proporzionale tra B e C,
cioè tale che B:D = D:C, ed allora per un risultato sulle proporzioni il primo sta al quarto come il
quadrato del primo sta al quadrato del secondo. Ed infatti da B/D = D/C = k, si ha B/C = (B/D)(D/C)
= k2 = (B/D)2 = q(B)/q(D). Si ha quindi che essendo B > C, è pure B > D. Grazie a queste scelte,
applicando la Prop. I.2 si ha che F’/F = q(L’)/q(L) < q(B)/q(D) = B/C < S/A. In modo analogo si
procede se S/A < 1.
Un’altra osservazione che emerge abbastanza chiara dalla considerazione della dimostrazione della
Prop. I.33, e lo sarebbe stata maggiormente avvertita se si fossero presentate le dimostrazioni delle
Proposizioni citate in essa, è che a differenza di Euclide, Archimede presta maggiore attenzione alle
disuguaglianze di rapporti e alla composizione di tali disuguaglianze. E’ come se fossimo passati
dalle equazioni (Euclide), alle disequazioni (Archimede). Ne dà conferma anche la dimostrazione
della Prop. 3 di Misura del cerchio, dove il termine di paragone tra rapporti di enti geometrici è
dato da rapporti numerici.
IV.3.1.6. La Proposizione I.34. La successiva Proposizione è una sorta di (impegnativo) corollario
della Prop. I.33, o meglio dei suoi metodi dimostrativi.
«Proposizione I.34. Ogni sfera è quadrupla del cono avente base uguale al cerchio massimo della sfera e per
altezza il raggio della sfera.
Dimostrazione. Sia una sfera qualunque, e in essa sia il circolo massimo quello ABCD. Se dunque la sfera non è
quadrupla del cono suddetto, sia, se possibile, maggiore del quadruplo. Sia il cono O avente base quadrupla del
cerchio ABCD, e altezza uguale al raggio della sfera: dunque la sfera è [supposta] maggiore del cono O. vi
saranno [dunque] due grandezze disuguali: la sfera e il cono: è possibile prendere due rette disuguali, tali che la
maggiore abbia, rispetto alla minore, rapporto minore di quello che la sfera ha rispetto al cono O.
Siano [queste] le rette K, G e si prendano le [rette] I, H che ugualmente superino scambievolmente: K rispetto ad
I, e I rispetto ad H, e H rispetto a G. E si immagini nel cerchio ABCD inscritto un poligono il numero dei lati del
quale sia divisibile per 4, e circoscritto un altro simile all’iscritto, come [abbiamo già considerato]
precedentemente. E il lato del poligono circoscritto abbia rispetto al
[lato del] poligono inscritto rapporto minore di quello che K ha con
B
A
C
G
Se dunque, [fermo] restando il diametro AC, ruota il piano nel
quale sono i poligoni, si avranno [due] figure: quella inscritta nella
sfera e quella circoscritta, e la [figura] circoscritta avrà rispetto alla
H
D
I
K
I (Prop. I.3.), e siano AC, BD diametri perpendicolari tra loro.
[figura] inscritta rapporto triplicato di quello che il lato del
[poligono] circoscritto ha rispetto a quello del [poligono] inscritto
O
nel cerchio ABCD (Prop. I.32.). E il lato ha rispetto al lato rapporto
minore di quello che K ha con I: cosicché la figura circoscritta ha
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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[rispetto alla figura inscritta] rapporto minore di quello triplicato [del rapporto] di K ad I.
Ma K ha rispetto a G rapporto maggiore di quello triplicato [del rapporto] di K ad I: dunque la figura circoscritta
ha rispetto alla figura [inscritta] rapporto molto minore di quello che K ha con G. E K ha con G rapporto minore
di quello che la sfera ha rispetto al cono O (com’è supposto), e permutando si ottiene che ciò è impossibile:
infatti la figura circoscritta è maggiore della sfera, mentre quella inscritta è minore del cono (Prop. I.27.). La
sfera non è dunque maggiore del quadruplo del cono suddetto.
Sia, se possibile, minore del quadruplo, cosicché la sfera sia minore del cono O. Si prendano le rette K, G tali che
K sia maggiore di G e che abbia rispetto alla stessa rapporto minore di quello che il cono O ha rispetto alla sfera
(Prop. I.2.). E si pongano le [rette] H, I come [stato fatto prima], e si immagini un poligono inscritto nel cerchio
ABCD ed uno circoscritto, in modo che il lato del [poligono] circoscritto abbia rispetto al lato del [poligono]
inscritto rapporto minore di quello che K ha rispetto a I (Prop. I.3.): e vengano eseguite le altre costruzioni nello
stesso modo prima veduto: dunque la figura solida circoscritta avrà rispetto a quella inscritta rapporto triplicato
di quello che il lato del [poligono] circoscritto al cerchio ABCD ha rispetto al lato del [poligono] inscritto (Prop.
I.32.). Ma il lato ha rispetto al lato rapporto minore di quello di K ad I: dunque la figura circoscritta avrà, rispetto
alla [figura] inscritta, rapporto minore del [rapporto] triplicato di quello che K ha con I.
La [retta] K ha rispetto alla G rapporto maggiore del [rapporto] triplicato di quello che K ha con I: cosicché la
figura circoscritta ha rispetto alla [figura] inscritta rapporto minore di quello che K ha con G. Quindi K ha con G
rapporto minore di quello che il cono O ha rispetto alla sfera, ciò è impossibile: infatti la figura inscritta è minore
della sfera, mentre quella circoscritta è maggiore del cono O (Corollario della Prop.I.31.).
Dunque la sfera non è neppure minore del quadruplo del cono avente base uguale al cerchio ABCD, e altezza
uguale al raggio della sfera. E fu dimostrato che non è neppure maggiore: dunque è quadrupla.
Corollario alla Proposizione I.34.
Dimostrate queste cose, è evidente che ogni cilindro avente per base il circolo massimo della sfera e altezza
uguale al diametro della sfera è una volta e mezza la sfera, e la sua superficie, comprese le basi è una volta e
mezza la superficie della sfera.
Infatti il cilindro suddetto è sestuplo del cono avente la stessa base e l’altezza uguale al raggio [della sfera]: la
sfera poi si è dimostrato essere quadrupla dello stesso cono (Prop. I.34.): è dunque evidente che il cilindro è una
volta e mezza la sfera. Di nuovo, poiché la superficie del cilindro, eccetto le basi, si dimostra essere uguale al
cerchio, il raggio del quale è medio proporzionale tra il lato del cilindro e il diametro della base (Prop. I.13.), [e
poiché] il lato del suddetto cilindro circoscritto alla sfera è uguale al diametro della base: e il cerchio avente il
raggio uguale al diametro della base è quadruplo della base, vale a dire del circolo massimo della sfera, dunque
la superficie del cilindro eccetto le basi sarà quadrupla del circolo massimo, e tutta la superficie del cilindro
insieme con le basi sarà sestupla del circolo massimo. Ma la superficie della sfera è quadrupla del circolo
massimo (Prop. I.33.): dunque la superficie totale del cilindro è una volta e mezza la superficie della sfera.»
Il cono di cui parla l’enunciato della Prop. I.34 è un cono rettangolo, perché si tratta del cono
inscritto in una semisfera originato dalla rotazione di un triangolo rettangolo isoscele (avente
entrambi i cateti uguali al raggio della sfera).
Ancora una volta la dimostrazione è ottenuta mediante il metodo di esaustione. E come nella
Proposizione precedente si applica tale metodo non alla differenza tra sfera e cono O, ma al
rapporto tra sfera e cono. E come detto prima si opera supponendo che tale rapporto non sia 1. Nella
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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prima parte si suppone che la sfera sia maggiore del cono e quindi che S/C sia maggiore di uno.
Detta F’ una figura “poligonale” circoscritta ed F una figura “poligonale” inscritta, ma stavolta i
solidi, non le loro superficie, si ha che 1 < S/C < F’/F, dato che F’ è maggiore di S e F è minore di
C. Questo si ottiene grazie alla
«Proposizione I.27. La figura inscritta nella sfera e racchiusa da superficie coniche è minore del quadruplo del
cono avente base uguale al circolo massimo della sfera e altezza uguale al raggio della sfera.»
analoga alla Prop. I.25, ma stavolta relativa al volume e non alla superficie.
Come fatto nella Prop. I.33, si vuole trovare un rapporto F’/F < S/C e questo porterà all’assurdo.
Per la Prop. I.2, che ha un ruolo fondamentale in tutta l’opera, è possibile ‘ricondurre’ i rapporti dei
due solidi a rapporti di due segmenti e quindi sarà sufficiente determinare due segmenti K e G tali
che K > G e 1 < K/G < S/C e poi ‘ripristinare’ le figure circoscritte e inscritte.
Ora il rapporto F’/F, essendo figure simili e similmente poste, è dato dal rapporto c(L’)/c(L),
avendo indicato con ‘c’ il cubo del lato assegnato. Ciò perché «si avranno figure: quella inscritta nella sfera
e quella circoscritta, e la circoscritta avrà rispetto alla inscritta rapporto triplicato di quello che il lato del circoscritto ha
rispetto a quello dell’inscritto nel cerchio ABCD. ».
Per ottenere che due segmenti siano in rapporto ‘cubico’ è necessaria una sorta di proporzione
continuata, solo che invece di procedere con l’uguaglianza dei rapporti, basta una disuguaglianza e
quindi si può agire con una maggiore libertà. Si cerca allora un segmento X tale che L’/L < K/X,
sfruttando proprietà (crescenza) della funzione cubica, ottenendo in tal modo F’/F = c(L’)/c(L) <
c(K)/c(X).
Archimede non spiega come sia giunto, tanto il testo è diretto ai cultori di matematica che sapranno
riempire ‘il buco’ coi loro mezzi.
L’idea è quella di considerare la differenza K – G e dividerla per 3. Sia quindi d =
K −G
. Si pone
3
ora, con simbolismo non del tutto corretto, ma che mette in luce la natura di progressione
aritmetica, G = K – 3d, H = G+d = K-2d; I = H+d = G+2d = K-d, K = I+d = H+2d = G+3d; quindi I
< K. Si ha con questa scelta X = I, I3 = (K-d)3 = K3 – 3K2d + 3Kd2 – d3. Dato che 3Kd2 – d3 > 0,
essendo d < K < 3K, si ha I3 = K2(K-3d) + 3Kd2 – d3 > K3 – 3K2d = K2G. Dato che K3 > I3 > K2G,
passando ai rapporti, si ha K3/I3 < K3/K2G = K/G > 1. Se ora si trova, mediante un opportuno
numero di suddivisioni per metà della circonferenza massima, i lati dei poligoni inscritto e
circoscritto tali che L’/L < K/I, si avrà F’/F = c(L’)/c(L) < c(K)/c(I) < K/G < S/C, concludendo
l’assurdo.
In modo analogo si opera se si suppone S/C < 1.
Il Corollario richiama la
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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«Proposizione I.13. La superficie di un qualunque cilindro retto, esclusa la base, è uguale ad un cerchio, il raggio
del quale è medio proporzionale tra il lato del cilindro e il diametro della base del cilindro.»
Questo risultato è inutilmente complicato. E’ molto più intuitivo affermare che la superficie laterale
del cilindro è equivalente ad un rettangolo che ha per ‘base’ la circonferenza di base e per altezza ‘il
lato’ del cilindro, e quindi tale superficie è 2πrh, con ovvio significato dei simboli. Ma dato che ad
Archimede serve trasformare il rettangolo in un cerchio, inserisce
2rh , che è il medio
proporzionale tra diametro e altezza, dato che 2r : 2rh = 2rh : h , ottenendo 2πrh = π
(
)2
2rh .
L’utilizzazione di questa Proposizione ‘oscura’ le considerazioni presentate nel Corollario.
Il Corollario è, parzialmente, il risultato di cui Archimede fa menzione nella lettera a Dositeo. Esso
mostra il rapporto razionale tra sfera e cilindro, sia per quanto riguarda la superficie, sia per quanto
riguarda il volume. Probabilmente questo risultato è stato ritenuto nell’antichità il più importante
risultato di Archimede e giustifica in pieno il titolo del trattato.
IV.3.2. Il Libro II. Il trattato si completa con un secondo libro, rivolto alla soluzione di problemi
relativi alle figure di rotazione studiate nel Libro I.
IV.3.2.1 La seconda lettera a Dositeo. Si tratta di una lettera più breve e fa riferimento ad uno
scambio epistolare intercorso tra Archimede e Conone:
«Archimede a Dositeo salute.
Precedentemente mi avevi esortato a scrivere le dimostrazioni di quei problemi, dei quali avevo mandato a
Conone gli enunciati: accade poi che la maggior parte di essi si risolve per mezzo dei [seguenti] teoremi, dei
quali già prima ti ho inviate le dimostrazioni, e cioè: che la superficie di qualunque sfera è quadrupla del circolo
massimo della sfera [stessa] (Prop. I.33.); che alla superficie di qualunque segmento sferico è uguale il cerchio, il
raggio del quale è uguale al [segmento del]la retta condotta dal vertice del segmento sulla circonferenza della
base (Propp. I.42. e I.43.); che per qualunque sfera il cilindro avente per base il cerchio massimo della sfera e
l’altezza uguale al diametro della sfera, è una volta e mezza la grandezza della sfera, e la superficie [totale] di
esso cilindro è una volta e mezza la superficie della sfera (Corollario della Prop. I.34.); che qualunque settore
solido è uguale al cono avente per base il cerchio uguale alla superficie del segmento sferico relativo al settore, e
l’altezza uguale alla sfera (Prop. I.44.)
In questo libro ti ho mandato, avendoli scritti, quanti teoremi e problemi si risolvono per mezzo dei teoremi
[sopra enunciati], e cercherò di inviare al più presto anche quanti si ritrovano per mezzo di altra teoria: [cioè] le
proposizioni sulle spirali e sui conoidi.
Il primo di questi problemi era il seguente: data una sfera trovare una superficie piana uguale alla superficie della
sfera. Questo è manifestamente dimostrato per mezzo dei teoremi suddetti: infatti il quadruplo del circolo
massimo della sfera è una superficie piana ed è uguale alla superficie della sfera. »
Da questa lettera si desume che il Libro II è stato scritto ad un certo intervallo di tempo dal primo,
dato che ha meritato un invio separato. La ragione del libro è stata la richiesta di Dositeo di vedere
risolti i problemi di una lista che Archimede aveva inviato a Conone, morto in seguito. Questo dice
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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però che prima che Conone morisse, Archimede aveva proposto problemi di cui conosceva la
soluzione e come si desume da altri scritti, la soluzione ha anticipato la dimostrazione dei teoremi
collegati ai problemi.
Il Libro II è strettamente collegato con il primo e seppure la stesura dei due libri è avvenuta in tempi
diversi, il principio ispiratore è stato unico.
Archimede ha già in cantiere altre due opere, Spirali, Conoidi e sferoidi. Tali opere, secondo la
cronologia di Torelli, seguiranno immediatamente, nell’ordine il trattato Sulla sfera e il cilindro, e
saranno inviate sempre a Dositeo, per completare le dimostrazioni dei problemi posti a Conone.
La lettera ribadisce i risultati trovati nel Libro I e mostra come sia possibile risolvere ora uno dei
problemi della lista, quello di determinare un cerchio avente per area quella della superficie di una
sfera assegnata.
IV.3.2.2. I contenuti del Libro II. Il libro consta di 9 Proposizioni e un Corollario. In realtà ci sono
sei problemi e tre teoremi. Il testo vero e proprio, dopo la lettera di dedica, continua lo stile
epistolare, senza interruzione, infatti si ha
«Proposizione II.1. Il secondo era: Dato un cono o un cilindro, trovare una sfera uguale al cono o al cilindro.»
Il riferimento ordinale si collega con la fine della lettera in cui riporta «Il primo di questi problemi era il
seguente: […]».
Il problema affrontato nella Prop. II.1. non è risolubile con riga e compasso, e viene risolto usando
il metodo di esaustione. Il punto chiave della dimostrazione è determinare come inserire due medie
proporzionali tra tre grandezze date, tecnica che ha ispirato la dimostrazione della Prop. I.34.
La novità dell’uso di questa tecnica è solo relativa, ma è ampiamente al di fuori della Geometria
euclidea. Già Ippocrate di Chio aveva mostrato che trovare come inserire due grandezze medie
proporzionali tra due grandezze assegnate equivale alla soluzione del problema della duplicazione
del cubo, uno dei problemi classici non risolubili con riga e compasso.
Archimede non si preoccupa di questo, anzi dà per scontato che tale problema è ormai risolto.
Infatti nella dimostrazione afferma:
«Ed è data ciascuna delle rette CD, EF: dunque tra due rette CD, EF vi sono due medie proporzionali GH, MN:
quindi [risulta] data ciascuna delle GH, MN. »
Archimede sembra dire, il lettore se la trovi.
Nel suo commento alle opere di Archimede, Eutocio ha ritenuto opportuno offrire spiegazioni di
questo passaggio non banale, riportando una sorta di antologia delle soluzioni di vari autori,
indicandoli esplicitamente. Abbiamo così un pur breve sguardo sulla geometria precedente a
Euclide ed indipendente dall’autore degli Elementi.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
Eutocio inizia da una soluzione che porta il nome di Eudosso, ma commenta che non può essere del
grande matematico, dato che contiene supposizioni inammissibili. Questo fatto ci permette di
arguire che nel V sec d. C., quando Eutocio scriveva, non erano più disponibili i testi di Eudosso.
Poi presenta una soluzione pratica attribuita a Platone, ma non si capisce da dove la ricavi dato che
nei testi platonici disponibili non si neppure allusione al problema e poi pare sospetto che Platone
abbia dato un metodo pratico. Seguono poi le soluzioni di
Erone,
Filone (280 – 220 a.C.),
Apollonio,
Diocle (240 – 180 a.C.),
Pappo,
Sporo (240 – 300),
Menecmo,
Archita,
Eratostene,
Nicomede
(280 – 210 a.C.)
Nicomede.
Come si vede una preziosa fonte di informazioni, anche se relativa ad un unico problema
geometrico, non ‘canonico’.
Tra le soluzioni proposte, quella più interessante è offerta da Archita che risolve il problema
mediante l’intersezione di tre superficie: un toro, un cono, un semicilindro e afferma di avere
desunto questa informazione da un trattato di Eudemo di Rodi, scolaro di Aristotele, autore di una
storia della Geometria apparsa qualche decennio prima degli Elementi, storia cui attinge anche
Proclo nel suo Catalogo. La citazione di Eudemo conferisce credibilità al fatto che la soluzione
attribuita ad Archita sia proprio del matematico di Taranto.
Interessante la comparsa del toro, superficie di rotazione, non presa in considerazione dalla
Geometria euclidea.
I restanti risultati del Libro II hanno i seguenti argomenti
- La Prop. II.2. determina il volume del segmento sferico.
- Le Propp. II.3. (il terzo problema), II.4, II.8. chiedono di suddividere una sfera con un piano
in modo che la superficie, risp. il volume, dei due segmenti sferici siano tra loro in un
rapporto assegnato. Della Prop. II.4. si è già parlato in 4.2.2. delle Lezioni di Matematiche
Complementari.
- Le Propp. II.5. e II.6. parlano di segmenti sferici simili.
- La Prop. II.7. paragona un segmento sferico e il cono in esso inscritto.
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Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
- La Prop. II.9. prova la proprietà dell’emisfero come il segmento sferico che a parità di
superficie ha volume massimo.
Interessante osservare che Archimede aveva proposto un problema ai matematici alessandrini e che
la Prop. II.9. contraddice quanto affermato nel problema. E’ Archimede stesso che lo segnala a
Dositeo nella lettera di accompagnamento al trattato Spirali, in cui afferma:
«Anche l’ultimo dei problemi che era stato proposto è falso, ed era se si divide il diametro di una qualunque
sfera in modo che il quadrato della parte maggiore sia triplo del quadrato della parte minore, e per quel punto [di
divisione del diametro] si conduce un piano perpendicolare al diametro, [detto piano] taglia la sfera, e la figura
costituita dal segmento sferico è la massima fra gli altri segmenti aventi uguale superficie. Che questa
proposizione sia falsa è manifesto dai teoremi che ti ho prima inviato: è stato infatti dimostrato che la semisfera è
massima fra tutti i segmenti sferici compresi da uguale superficie.»
Si può arguire da questo brano che al momento di spedire a Conone la lista dei problemi,
Archimede non aveva sufficientemente approfondito la teoria, al punto da fargli commettere errori.
Dunque il Siracusano era riuscito a trovare alcuni risultati, ma la giustificazione dimostrativa era
tutta da produrre.
In questo Libro II le dimostrazioni sono spicce, molti passaggi lasciati al lettore.
IV.4. Quadratura della parabola.
Il titolo di questo trattato è evidentemente spurio, perché ai tempi di Archimede non era ancora stato
introdotto il termine ‘parabola’, ma la curva di cui si occupa in questo trattato veniva indicata come
sezione del cono rettangolo (
). Archimede per ottenere una parabola
interseca un cono rettangolo con un piano perpendicolare ad una generatrice del cono (parlando in
termini odierni). Sarà Apollonio a tenere fisso il cono e variare il piano.
Nel testo greco Archimede usa semplicemente
, sezione, per indicare la sezione parabolica.
Lo scopo del testo è provare che il segmento parabolico è equivalente ad un (semplice) poligono
costruibile con riga e compasso.
Nell’ordine cronologico, a seguire Torelli, dovrebbe essere stato composto tra i due libri di
Equilibrio dei piani e prima del trattato Sulla sfera e il cilindro, quindi una delle prime opera di
Archimede. Questa collocazione cronologica è motivata dal fatto che nel presente testo vengono
utilizzate Proposizioni del primo Libro di Equilibrio dei piani, con esplicito riferimento ad esso.
Invece nel Libro II di Equilibrio dei piani si utilizza un
B
C
D
A
E
procedimento che si ritrova in Quadratura della parabola ed in
questo testo viene lungamente descritto. Si tratta del procedimento
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fondamentale per ottenere l’area del segmento parabolico: si iscrive in esso un triangolo, con la
‘base’ coincidente con la ‘base’ del segmento parabolico e la stessa altezza, poi si itera la
costruzione raddoppiando il numero dei triangoli. Nel Libro II di Equilibrio dei piani si presenta il
procedimento con le parole «nel modo noto».
Il fatto che il testo Quadratura della parabola preceda Sulla sfera e il cilindro potrebbe essere
provato, tra l’altro dal brano della lettera a Dositeo citato in IV.3.1.3 e da come riporta il fatto
storico della morte di Conone.
IV.4.1. Descrizione del trattato. Il trattato occupa, nella traduzione italiana, circa 40 pagine e
presenta 24 Proposizioni. In esso Archimede getta le basi della futura teoria delle serie, e
dell’integrazione, sviluppando procedimenti e strumenti che sono già intuiti ed intuibili negli
Elementi, ad esempio la Eucl. Prop. X.1. (cfr. III.8.3.2.). Dà inoltre alcune informazioni sulla sua
‘officina’ euristica, che sarà oggetto di un altro trattato.
IV.4.1.1. La lettera a Dositeo. Come nelle altre lettere a Dositeo riportate in questi appunti,
Archimede tramite esse fornisce interessanti informazioni.
«Archimede a Dositeo salute.
Avendo sentito che era morto Conone, il quale in nulla è mai venuto meno nella sua amicizia verso di noi, e
avendo sentito che tu avevi ben conosciuto Conone e che sei esperto di geometria, ci dolemmo per la morte di un
uomo amico e mirabile nelle matematiche, e decidemmo di farti giungere per iscritto, come avevamo pensato di
scrivere a Conone, uno dei teoremi di Geometria che prima non era stato studiato, e che era stato trattato da noi,
che prima l’abbiamo trovato per via meccanica, in seguito dimostrato per via geometrica.
Tra quelli che prima di noi si sono occupati di geometria, alcuni tentarono di esporre per iscritto che era possibile
trovare un’area poligonale uguale ad un cerchio dato o ad una parte del cerchio, e poi tentarono di quadrare
l’area compresa da tutta la sezione del cono e una retta, assumendo lemmi non facilmente ammissibili, cosicché
il più delle persone hanno riconosciuto che questi problemi non erano stati risolti. Ma per quanto riguarda il
segmento compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo sappiamo che nessuno ha prima di noi
tentato di quadrarlo, ciò che da noi è stato ora trovato. Dimostriamo infatti che qualunque segmento compreso da
una retta e da una sezione di cono rettangolo è uguale ai 4/3 del triangolo avente la stessa base altezza uguale al
segmento: ciò avendo assunto il seguente lemma per la sua dimostrazione: date due aree disuguali è possibile,
aggiungendo a se stesso l’eccesso di cui la maggiore supera la minore, superare ogni area limitata data. Anche i
geometri anteriori a noi si son serviti di questo lemma: infatti se ne sono serviti per dimostrare che i cerchi
stanno fra loro in ragione duplicata dei diametri, e che le sfere stanno in ragione triplicata dei diametri, e ancora
che ogni piramide è la terza parte del prisma avente la stessa base della piramide e uguale altezza, e che
qualunque cono è la terza parte del cilindro avente la stessa base del cono e altezza uguale, ciò assumendo un
lemma simile a quello suddetto. Accade ora che dei suddetti teoremi ciascuno è considerato non meno degno di
fiducia di quelli dimostrati senza questi lemma; a noi basta che venga concessa simile fiducia ai teoremi da noi
qui dati.
Inviamo dunque le dimostrazioni che abbiamo scritto di quel teorema, dapprima come è stato trattato per via
meccanica (
), dopo come è stato dimostrato per via geometrica (
- 207 -
).
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Vengono premesse anche alcune proposizioni elementari sulle sezioni coniche, che risultano necessarie per la
dimostrazione. Sta sano. »
Dal tono della lettera questa sembra la prima che Archimede invia a Dositeo, utilizza infatti un
registro più formale. Di fatto la missiva svolge più tipi di funzioni:
1. E’ un’autopresentazione di Archimede a questo personaggio non ancora conosciuto
personalmente, ma di cui ha sentito parlare.
2. L’elencazione dei risultati di altri che si avvalgono del metodo di esaustione e del Principio
di Eudosso-Archimede sembra volere da una parte rassicurare il destinatario che non
perderà del tempo a leggere lo scritto inviatogli, perché il Siracusano si dichiara non
sprovveduto in fatto di Geometria, conoscendo questi che sono tra i più complessi risultati
geometrici del tempo. D’altra parte vuole anche sondare Dositeo perché se avesse risposto
che non conosceva alcuni o tutti i risultati citati, allora Archimede avrebbe avuto la certezza
che la fama del matematico di Alessandria non era motivata.
3. Vuole parare una possibile obiezione sulla validità del suo scritto, dicendo di avere seguito
la stessa strada di altri a lui precedenti, sulla via dell’esaustione. E se, secondo il giudizio
comune, i risultati ottenuti con tale metodo sono « non meno degno di fiducia di quelli dimostrati
senza questi lemma; a noi basta che venga concessa simile fiducia ai teoremi da noi qui dati»
4. Archimede ha delle tecniche euristiche che gli permettono di trovare (o scoprire), lui dice
«trattare» il risultato. E nell’opera dà un saggio di tali tecniche, da lui indicate come
meccaniche. Questo porta a chiedersi in che rapporto di concetti e di cronologia stia quanto
detto qui con il trattato Metodo sui teoremi meccanici, che Archimede invierà o ha già
inviato a Eratostene. Tuttavia il metodo usato in questo trattato pare diverso da quello
spiegato ad Eratostene.
IV.4.1.2. I contenuti del trattato e le prime proprietà elementari della parabola. Il testo consta di 24
Proposizioni così suddivise:
- Le Propp. 1 – 5 trattano proprietà elementari della parabola, ed alcune sono date senza
dimostrazione.
- Le Propp. 6-17 viene esposto il procedimento meccanico e la sua applicazione per trovare il
risultato relativo alla parabola.
- Le Propp. 18-24 si esegue di nuovo la quadratura usando esclusivamente i mezzi geometrici.
Delle cinque Proposizioni introduttive solo le ultime due, Propp. 4 e 5 sono dovute ad Archimede.
Le prime tre Proposizioni sono date senza dimostrazione e con il commento (finale)
«Queste cose sono state dimostrate negli Elementi conici.»
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Purtroppo non sappiamo cosa siano questi Elementi conici, forse un’opera di Aristeo il Vecchio, che
si era dedicato alle coniche come sezioni, ma Pappo riferisce che questo autore avrebbe scritto
cinque Libri intitolati Loci solidi. Non dovrebbe trattarsi di un testo di Menecmo, in quanto avrebbe
studiato le coniche come luoghi di punti. E’ stata avanzata l’idea che si possa trattare di un’opera
perduta di Euclide.
Le tre Proposizioni che Archimede riporta senza dimostrazioni
B
sono le seguenti.
«Proposizione 1. Se è [data] una sezione di cono rettangolo, nella quale
[sia] il [segmento] ABC, e se inoltre la BD è parallela al diametro o è
essa stessa diametro, e [la retta AC] è parallela alla tangente in B alla
sezione del cono, sarà AD uguale a DC; e se AD è uguale a DC la retta
A
D
C
AC e la tangente in B alla sezione del cono saranno parallele.
Proposizione 2. Se ABC è sezione di un cono rettangolo, la [retta] BD è parallela al diametro, o è essa stessa
diametro, la [retta] ADC è parallela alla tangente in B alla sezione del
cono, e la [retta] EC è tangente alla sezione del cono in C, saranno
E
uguali BD, BE.
Proposizione 3. Se ABC è sezione di un cono rettangolo, la BD è
parallela al diametro o è essa stessa diametro, e se si conducono le rette
B
AD, EF parallele alla tangente in B alla sezione del cono, si avrà che
come la BD sta alla BF, così in potenza la AD sta alla EF. [BD:BF =
q(AD):q(EF)]. Queste cose sono state dimostrate negli Elementi conici.
A
D
C
»
B
Ciò che Archimede chiama diametro oggi viene detto l’asse
E
A
della parabola. Nelle figure del testo qui riportate, si indica
F
sempre l’asse, mai una retta parallela all’asse. Ma l’asserto è
D
C
applicabile anche alla generica parallela al diametro,
individuando, in tal modo la costruzione della generica retta tangente,
ovvero della retta secante (che rimane così parallela alla tangente). Di fatto
si ha un’indicazione, tramite costruzione, che in Geometria analitica viene
ottenuta mediante l’applicazione del Teorema di Lagrange sulle funzioni
derivabili.
Si tratta di proprietà fondamentali delle parabole. La seconda spiega come
Giuseppe Luigi Lagrange
(1736 – 1813)
da un punto dell’asse si possano mandare tangenti alla parabola e la terza fornisce la proprietà
fondamentale delle parabole che viene tradotta nell’equazione cartesiana, in cui l’asse BD è l’asse
delle ordinate e AD, EF sono le ascisse.
Si considerino i risultati di Archimede, relativi a proprietà elementari della parabola, usati nel
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seguito ed anche in altre opera del Siracusano, per cogliere meglio il suo stile espositivo.
«Proposizione 4. Sia ABC un segmento limitato da una retta e da una sezione di cono rettangolo, si conduca BD
per il punto medio di AC, parallela al diametro o essa stessa [BD] diametro, e condotta la retta BC si prolunghi.
Se si conduce un’altra retta FH parallela a BD, la quale tagli la retta BC si avrà: FH:HG = DA:DF.
Dimostrazione. Si conduca infatti per il [punto] G la [retta] KG parallela ad AC: si ha dunque che come la BD sta
alla BK così in potenza la DC sta alla KG: ciò infatti è stato dimostrato (Prop.
3). Si avrà dunque che come la BC sta alla BI in lunghezza, così la BC sta
H
alla BH in potenza: infatti sono uguali le DF, KG e sono dunque in
B
G
K
proporzione continua le retta BC, BH, BI. Cosicché si ha: BC:BH = CH:HI e
dunque: CD:DF = HF:FG. Ma la DC è uguale alla DA: è manifesto dunque
I
che DA:DF = FH:HG. »
A
D
F
C
Questa (e la successiva) Proposizione trattano di proprietà notevoli
della parabola, dimostrate con mezzi elementari. Ciò sta a dire che forse gli Elementi conici citati da
Archimede non erano il risultato di una profonda e lunga elaborazione dei problemi posti da queste
figure ‘inconsuete’.
La Prop. 4 stabilisce una proprietà delle secanti il segmento parabolico ed ha un caso particolare
quando AF = FD.
Gli strumenti geometrici messi in opera, oltre a quelli relativi alla conica, sono semplici
applicazioni della proporzionalità e del cosiddetto Teorema di Talete. Le varie trasformazioni delle
proporzioni sono solo indicate, senza troppe giustificazioni, così come il punto I compare
improvvisamente, senza essere stato descritto.
Con simboli moderni la dimostrazione è la seguente:
DC 2
KG
2
=
BC 2
BH
2
BH 2
=
KG 2
=
BD
, per la Prop. 3, ma anche
BK
DC DC BC
=
=
, per il
KG DF BH
. Questo discende dalle proprietà delle proporzioni:
Teorema di Talete; e inoltre
BC 2
DC 2
BD BC
=
, quindi
BK
BI
BC 2
BH
2
=
DC 2
KG
2
=
BD BC
=
. Si ha così
BK
BI
BC
, ma questo tradotto in termini di proporzioni continue, sta per BC:BH= BH:BI. Da
BI
questa proporzione continua, componendo si ha
BC + BH BH + BI
=
e permutando i medi
BC
BH
CH BC + BH BC
CH FH
=
=
=
. D’altra parte sempre per il Teorema di Talete,
, quindi
HI
BH + BI
BH
HI
HG
DA DC BC CH FH
=
=
=
=
. Come si vede non ci sono ‘novità’ dimostrative, ma una complessa
DF DF BH
HI
HG
rete di rapporti e di uguaglianze.
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Nel caso particolare AF = DF, si ha DA = 2DF, quindi FH = 2FG.
Più complessa è la seguente
«Proposizione 5. Sia [dato] un segmento ABC compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo, e si
tracci per A la AF parallela al diametro, e per il punto C la retta CF tangente alla sezione del cono in C. Se poi si
conduce nel triangolo FAC un [retta] parallela ad AF, la [retta così] tracciata sarà tagliata dalla sezione del cono
rettangolo nello stesso rapporto nel quale viene tagliata AC dalla [retta
parallela ad AF] tracciata, e sarà corrispondente la parte AC situata dalla parte
F
di A alla parte della [retta] tracciata, [pure] dalla parte di A.
L
Dimostrazione. Si conduca infatti la DE parallela ad AF, e la DE tagli
dapprima la AC per metà. Poiché dunque la ABC è sezione del cono
rettangolo, la BD è stata tracciata parallela al diametro, e i [segmenti] AD, DC
E
sono uguali, la parallela alla AC sarà tangente alla sezione di cono rettangolo
(Prop. 1). Di nuovo, poiché la DE è parallela al diametro, la CE è stata
I
B
H
A
K
H
condotta tangente alla sezione di cono rettangolo in C, e la DC è parallela alla
L
tangente in B, la EB è uguale alla BD (Prop. 2), sicché: AD:DC = DB:BE.
Se dunque la retta tracciata taglia per metà la AC [il teorema] è stato
I
D
K
C
dimostrato: se [ciò] non [si verifica] si tracci un’altra [retta] KL parallela ad
AF; si deve dimostrare che: AK:KC = KH:HL.
Poiché dunque BE = BD, è anche IL = KI; quindi: LK:KI = AC:DA. Ma è anche: KI:KH = DA:AK: ciò è stato
prima dimostrato (Prop. 4), sicché KH:HL = AK:KC.
E’ stato dunque dimostrato quanto ci si era proposto. »
Dal disegno (in cui il punto K è rappresentato due volte, secondo che sia tra D e C, l’altro che sia tra
tra A e D), sono presentate due famiglie di triangoli tra loro simili. La dimostrazione è come quella
della Prop. 4, solo che i rapporti da considerare sono più numerosi. Archimede tratta prima il caso
banale, K = D, in cui H = B e L = E, ma per la Prop. 2, AD = DC e BD = BE, quindi la propozione
da provare KH:HL = AK:KC diviene in questo caso particolare DB:BE = AD:DC, vale a dire 1 = 1.
Si ha quindi LK:KI = AC:AD, in quanto entrambi i rapporti sono uguali a 2.
Per la similitudine di triangoli si ha IK = LI, mentre per la Prop. 4, KI:IH = AD:KD. Ora
scomponendo (se K compreso tra A e D o componendo se K compreso tra D e C) si ha KI:(KI-IH) =
AD:(AD-KD), vale a dire KI:HK = AD:AK. Mettendo assieme le due proporzioni LK:KI = AC:AD
(perché il rapporto è ½) e KI:KH = AD:AK, si ricava per Eucl. Def. V.17 e Eucl. Prop. V.22, si
ricava LK:KH = AC:AK. Questo tipo di deduzione risulta facilitato dalla descrizione mediante
frazioni:
ha
LK AC KI
AD
=
,
=
. Moltiplicano i primi membri tra loro e i secondi membri tra loro si
KI
AD KH AK
LK
AC
=
. Dunque dalla proporzione LK:KH = AC:AK, scomponendo (LK-KH):KH = (ACKH AK
AK): AK, quindi LH:KH = KC:AK e invertendo KH:LH = AK:KC.
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Da notare che il punto F citato nell’enunciato non interviene, mentre ha ruolo importante il punto I
che è introdotto senza nessun commento né specificazione se non il fatto che IL = KI. Il ruolo del
lettore esperto è assai importante perché lo spazio dedicato al caso particolare è più vasto di quello
dedicato al caso generale in cui si sottintendono i numerosi passaggi qui esplicitati.
IV.4.1.3. Il trattamento meccanico. Nelle Proposizioni che riguardano il trattamento meccanico si
sviluppano considerazioni diverse da quelle che diverranno oggetto del trattato diretto ad
Eratostene, per cui si può ritenere che quest’ultimo sia indipendente e successivo all’opera sulla
parabola. D’altra parte la Prop. 16 viene dimostrata con una ‘classica’ dimostrazione per esaustione,
quindi Archimede dovrebbe attribuire al suo procedimento meccanico lo statuto di una
dimostrazione, non meno ‘sicura’ delle altre e non quello di un procedimento di solo valore
euristico.
Il trattamento meccanico è comunque una procedura totalmente innovativa e vale la pena di
soffermarsi su di esso per ‘rivelare’ l’impronta ingegneristica del pensiero archimedeo.
«Proposizione 6. Si supponga [di avere] un piano, giacente perpendicolarmente all’orizzonte, e si stabilisca [di
considerare] “al di sotto” le rette AB situate dalla stessa parte del [punto] D, “al di sopra” le altre, e il triangolo
BDC sia rettangolo, avente l’angolo retto nel [punto] B e il lato BC uguale a metà della [lunghezza della] leva. Si
sospenda il triangolo per i punti B, C, e si sospenda anche un’altra area F dall’altra parte della leva nel punto A, e
l’area F, sospesa in A, faccia equilibrio al triangolo BDC dove ora è posto. Dico che l’area F è la terza parte del
triangolo BCD.
Dimostrazione. Infatti poiché si suppone che la leva stia in equilibrio, la retta AC sarà parallela all’orizzonte, e le
rette condotte perpendicolarmente alla AC nel piano perpendicolare all’orizzonte
A
B
F
D
E
C
saranno perpendicolari all’orizzonte. Si divida ora la linea BC nel punto E, in modo
H
tale che CE sia il doppio di EB, si tracci la KE parallela alla DB e si divida per metà
K
nel punto H. Il centro di gravità del triangolo BDC è il punto H: ciò è infatti
dimostrato nei [libri] Meccanici (Eq.piani Prop. I.14.). Se dunque si scioglie la
sospensione del triangolo BDC nei [punti] B, C e viene sospeso [il triangolo] per il punto E, il triangolo resta
dove è: infatti ciascuno dei [corpi] sospesi, da qualunque punto sia [sospeso], resta in modo che il punto di
sospensione e il centro di gravità del [corpo] sospeso siano su una perpendicolare: anche questo è stato infatti
dimostrato.
Poiché dunque il triangolo BCD avrà la stessa posizione rispetto alla leva, similmente sarà in equilibrio l’area F.
Poiché dunque fanno equilibrio l’area F applicata in A e quella BDC [applicata] in E, è manifesto che esse siano
in proporzione inversa con le lunghezze (Eq.piani Prop. I.6.) e si ha: AB:BE = BCD:F. Ma la AB è tripla della
BE, dunque anche il triangolo BCD è triplo dell’area F. E’ manifesto pure che se il triangolo BDC è triplo
dell’area F, si ha equilibrio. »
La lettura di questo testo pone subito la domanda se per caso non si è sbagliato testo: invece che
Geometria si tratti di un testo di Statica, tratto da un manuale di Meccanica razionale.
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Uno dei motivi di maggiore perplessità è dato dal mutamento repentino di concezione spaziale.
Nella Geometria nel senso di Euclide, ed anche nelle prime sei Proposizioni del testo archimedeo, le
figure vivono in un loro spazio teorico che ha un tipico connotato relazionale. Ora si considerano
figure, non più puramente geometriche in quanto è sottintesa la presenza del peso delle figure
(ritenute omogenee), immerse in uno spazio esperienziale (rivelato dall’orizzonte e dalle verticali)
nel quale le rette si dispongono in orizzontale o verticale a seconda dei rapporti di peso. C’è poi la
leva, strumento meccanico studiato da Archimede (almeno stando a Simplicio). Di questa leva non
è detto dove sia il fulcro, lo si desume dal fatto che B ne sia il punto di mezzo. E’ quindi più una
bilancia a due bracci.
Nella scelta di E compare implicitamente il fatto che il baricentro H è collocato a 2/3 delle mediane
e, per similitudine, mandando per H la parallela a BD si ha che EC è doppio di BE.
L’argomentazione archimedea, in questa forma, difficilmente sarebbe accettata oggi come una
dimostrazione geometrica. Forse tradotta in termini vettoriali potrebbe essere accettata. Certamente
si tratta di un teorema di Statica razionale.
Nella dimostrazione vengono citati i Meccanici, vale a dire il primo Libro del testo Equilibrio dei
piani, un testo dedicato a questioni di Meccanica razionale, in particolare la Statica, quindi un
esempio di Matematica applicata, relative alle posizioni di equilibrio di figure piane cui si
attribuisce un peso. In questo, la posizione di Archimede si scosta molto dalla concezione di scienza
delineata da Platone, ma forse risente di un influsso più aristotelico, potendosi vedere il tipo di
Matematica applicata di Archimede, come una ricerca della presenza degli universali matematici
nelle cose.
I risultati che vengono citati, nella dimostrazione, da Equilibrio dei piani sono:
«Eq. piani Proposizione I.6. Le grandezze commensurabili sono in equilibrio se sospese a distanze inversamente
proporzionali ai pesi.»
«Eq. piani Proposizione I.14. Il centro di gravità di qualunque triangolo è il punto nel quale si incontrano le rette
condotte dai vertici sui punti di mezzo dei lati. »
Di questi risultati, il secondo è entrato a fare parte della Geometria ‘ufficiale’ dei manuali scolastici,
ed infatti col nome di baricentro di un triangolo si indica il punto di incontro delle mediane. Il
teorema che viene solitamente dimostrato, ispirato ad Archimede ed utilizzato nella Prop. 6 di
Quadratura della parabola, che il baricentro si trova in un punto delle mediane posto a due terzi di
mediana dal vertice.
La dimostrazione prima assume che la bilancia sospesa in B e con il triangolo sospeso in B e C sia
posta in equilibrio con F, poi si accorge che non cambia nulla se invece di sospendere in B e C il
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triangolo lo si sospende in E ed a questo punto dato che 3BE = AB, per la Prop. 6 di Equilibrio dei
piani, può affermare che il ‘peso’ di F è 1/3 del ‘peso di BDC.
Si tratta quindi di una ‘dimostrazione’ statica semplice.
Le Propp. 7-13 sono dello stesso tenore, trattando sempre di triangoli o trapezi tenuti in equilibrio
da figure e operando sui triangoli e le ‘figure’ rigidamente rappresentate con rettangoli.
Di fatto per queste dimostrazioni si utilizza il fatto che se da un lato della bilancia si aggiunge o si
toglie una figura, dall’altro bisognerà aggiungere o togliere una figura equivalente. Si sta cioè
costruendo una nuova tecnica di corrispondenza biunivoca tra classi di figure date in modo che alla
“somma” o “differenza”
1
di figure poste ad un braccio della bilancia corrisponda la “somma” o
“differenza” delle figure da porre all’altro lato della bilancia, quindi una nuova costruzione di classi
di grandezze direttamente proporzionali. Ciò avviene con la Prop. 7 in cui si suddivide un triangolo
in due triangoli e si mostra che togliendo un ‘triangolino’ da un ‘triangolone’ è come togliere dalla
figura che equilibria il triangolone la figura che equilibra il triangolino. Questo comporta anche
l’introduzione di una relazione d’ordine tra le figure che stanno dalla stessa parte del braccio e
provare che una analoga relazione d’ordine sta tra le figure dall’altra parte del braccio, quindi la
corrispondenza biunivoca conserva l’ordine. La relazione d’ordine si può avere anche spostando il
punto di sospensione delle figure sulla bilancia.
Un esempio “riassuntivo” di queste Proposizioni è offerto dalle due seguenti Proposizioni:
«Proposizione 10. Di nuovo si abbia la leva ABC e il suo [punto di]
mezzo sia B, e sia BDGK un trapezio avente retti gli angoli [con vertice]
B
A
E
G
C
in B, G e il lato DK inclinato su C, e si abbia: AB:BG = BDKG:L. Si
sospenda il trapezio BDKG alla leva nei punti B, G, si sospenda anche
E
F
l’area F in A, e si faccia equilibrio al trapezio BDKG così come ora sta.
N
L
Dico che l’area F è minore di quella L. »
K
D
«Proposizione 13. Sia di nuovo la leva AC, B il suo [punto di] mezzo, e
sia il trapezio KDTR tale che i lati HK, TR convergano in C, e i lati DT,
B
A
E
G
K
D
F
L
KR siano perpendicolari a BC. Si sospenda il trapezio nei [punti] E, G, e
l’area F si sospenda in A e faccia equilibrio al trapezio DKTR così come
R
ora si trova; inoltre si abbia: AB:BE = KDTR:L e AB:BG = KDTR:M.
Similmente a quanto s’è veduto prima [nella Prop. 12] si dimostrerà che
T
M
C
la F è maggiore di L, ma minore di M.»
Nella figura che accompagna la Prop. 10 viene indicato anche il
baricentro del trapezio che in base a Eq. piani Prop. I.15 si
individua considerando il punto E tale che (2DB+KG):(2KG+DB) = EG:BE e poi prendendo il
punto medio di EN.
1 Anche Archimede non parla mai di “somma” di figure geometriche e neppure di “differenza”.
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Come si può osservare nel disegno relativo alla Prop. 13, a parte il fatto che il trapezio KDTR sia
poco ‘canonico’ dal punto di vista scolastico, sta a poco a poco sparendo il riferimento
‘esperienziale’ alle orizzontali ed alle verticali, anche se resta il concetto di sospensione, quasi che
man mano che si avanza nella trattazione, la evidenza sperimentale lasci il passo alla considerazione
teorica. Questo passaggio si realizza piano piano ma di fatto porta all’istituzione di una nuova teoria
che, seppure ispirata alla esperienza, si consolida come conoscenza geometrica. Archimede ha fatto
la scelta di introdurre, invece che postulati relativi all’equilibrio per avere una nuova strada per
parlare di corrispondenza tra le grandezze, il riferimento alla bilancia.
La Prop. 14 fa invece intervenire un segmento parabolico, e nell’enunciato spariscono i riferimenti
al peso e alla bilancia, riferimenti che però ritornano poi nella dimostrazione, seppure con lo statuto
di proprietà ‘dimostrate’, non verificate sperimentalmente:
«Proposizione 14. Sia il segmento BHC compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo. Sia
dapprima la BC perpendicolare al diametro e si conduca per il punto B la BD parallela al diametro, e per il punto
C la CD tangente alla sezione del cono: BCD sarà un triangolo rettangolo. Si divida poi BC in parti uguali quante
si vogliano BE, EF, FG, GI, IC; e dai punti nei quali tagliano la sezione del cono si conducano rette passanti per
C e si prolunghino. Dico che il triangolo BCD è minore del triplo [della somma] dei trapezi KE, LF, MG, NI e
del triangolo OIC, e maggiore del triplo della somma dei trapezi FV, GH, IQ, e del triangolo IPC.
Dimostrazione. Si conduca infatti la retta ABC, e si stacchi la [retta] AB
uguale alla [retta] BC, e si consideri la AC come leva: il suo punto di
mezzo sarà B. E si sospenda [la leva] per il [punto] B, e si sospenda
anche il [triangolo] BDC alla leva nei [punti] B, C e dall’altra parte si
sospendano le aree R, W, X, Z, D2 in A, e faccia equilibrio l’area R al
trapezio DE situato com’è; [faccia equilibrio] la W al [trapezio] FS, la
[area] X al [trapezio] TG, la [area] Z al [trapezio] UI, la D2 al triangolo
OIC; e il tutto farà equilibrio al tutto, sicché il triangolo BDC risulterà
triplo dell’area R+W+X+Z+D2 (Prop. 6). E poiché BCH è un’area che è
compresa da una retta e da una sezione di cono rettangolo ed è stata
condotta per B la BD parallela al diametro, e per C la tangente in C alla
sezione del cono, ed è stata condotta un’altra [retta] SE parallela al
diametro, si ha BC:BE = SE:EV (Prop. 5) cosicché la BA ha rispetto a BE lo stesso rapporto che il trapezio DE ha
rispetto a KE : [BA:BE = trapDE:trapKE]. Similmente si dimostrerà che: AB:BF = trapSF:trapLF; AB:BG =
trapTG:trapMG; AB:BI = trapUI:trapNI.
Poiché dunque c’è il trapezio DE avente gli angoli retti nei punti B, E, e il lati [non paralleli] che convergono in
C, e un’area sospesa alla leva in A fa equilibrio al trapezio come è situato, e si ha BA:BE = trapDE:trapKE l’area
del [trapezio] KE è maggiore dell’area R: infatti ciò è stato dimostrato (Prop. 10). Di nuovo, anche il trapezio FS
ha gli angoli retti nei [punti] F, E, e la ST convergente in C, e inoltre l’area W sospesa alla leva in A fa equilibrio
al trapezio situato dov’è, e si ha AB:BE = trapFS:trapFV e: AB:BF = trapFS:trapLF perciò l’area W è minore del
trapezio LF ma maggiore di quello FV; ciò infatti è stato dimostrato (Prop. 12.). Per gli stessi motivi l’area X
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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[sarà] minore del trapezio MG e maggiore di quello HG, e l’area Z [sarà] minore del trapezio NPIG e maggiore
di quello QI, e similmente l’area D2 sarà minore del triangolo OIC e maggiore di quello CIP (Prop. 8.).
Poiché dunque il trapezio KE è maggiore dell’area R, il [trapezio] LF [è maggiore] della [area] W, il [trapezio]
MG [è maggiore] della [area] X, il [trapezio] NI [è maggiore] della [area] Z, e il triangolo OIC [è maggiore
dell’area D2, è manifesto che [la somma di] tutte le aree suddette è maggiore dell’area R+W+X+Z+D2. Ma la
[area] R+W+X+Z+D2 è la terza parte del triangolo BCD (Prop. 6), dunque è manifesto che il triangolo BCD è
minore del triplo [della somma] dei trapezi KE, LF, MG, NI e del triangolo OIC.
Di nuovo, poiché FV è minore dell’area W, il [trapezio] HG [è minore] di X, il [trapezio] IQ [è minore] di Z, e il
triangolo IPC [è minore] di D2, è manifesto che la somma di tutte le aree suddette è minore dell’area
D2+Z+X+W: è dunque manifesto che il triangolo BDC è maggiore del triplo [della somma] dei trapezi VF, HG,
IQ e del triangolo ICP, e minore del triplo [della somma] delle [aree] prima nominate.»
Si tratta di una dimostrazione assai complessa che utilizza molto poco gli aspetti “meccanici” veri e
propri, ma adopera risultati trovati in modo “meccanico” come una sorta di postulati e su di essi
inserisce un tipico ragionamento geometrico che, come altrove in Archimede, privilegia l’ordine
all’uguaglianza.
La versione italiana è ricca di inserti del traduttore per rendere più chiaro un linguaggio stringato. Si
aggiunga che dal testo senza la figura, anzi ci sono numerosi punti che ‘compaiono’ dal nulla, anzi
l’uso di D2 fa capire che Archimede ha esaurito l’alfabeto. E’ usata inoltre alcune volte la dizione «è
manifesto»
in punti delicati. Questo mette in soggezione il lettore che non coglie immediatamente il
ragionamento di Archimede.
Nella dimostrazione è presente, seppure in modo diverso, un procedimento che richiama il calcolo
degli integrali perché si considerano trapezi maggiori di trapezoidi parti del settore parabolico e la
suddivisione della ‘base’ del segmento parabolico viene effettuata in «parti uguali quante si vogliano».
Lo scopo fondamentale è quello di predisporre gli strumenti per applicare il metodo di esaustione
nella successiva Prop. 16.
Leggendo la dimostrazione viene il sospetto che Archimede conosca già il risultato che il segmento
parabolico è i 4/3 del triangolo isoscele iscritto nel segmento stesso, probabilmente per altre strade,
quindi la presente sarebbe solo la dimostrazione e non la produzione della congettura, nonostante la
Prop. 14 venga inserita in questo trattamento meccanico.
Solo conoscendo il valore dell’area del segmento parabolico si può spiegare la scelta del triangolo
BDC, che sarà esattamente triplo del segmento parabolico.
Invece di considerare il segmento parabolico, Archimede lavora sulla figura a contorni rettilinei
data dai trapezi ‘circoscritti’ (BKVLHMQNPOC) a trapezoidi di segmento di parabola. Similmente
si lavora su trapezi ‘inscritti’ minori dei trapezoidi di segmento di parabola e si costruisce una figura
rettilinea analoga la cui area totale è minore di quella del segmento di parabola. Si prova che il
termine di paragone, dato dal triangolo BDC è minore del triplo della somma dei trapezi
- 216 -
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‘circoscritti’ e maggiore del triplo della somma dei trapezi ‘inscritti’, lasciando intendere (anche
visivamente) che aumentando la suddivisione in parti uguali di BC si riduce la differenza tra le aree
‘circoscritte’ e ‘inscritte’ di tanto poco quanto si vuole.
Oggi l’integrale definito lo si realizza mediante plurirettangoli e non mediante questi ‘pluritrapezi’,
ma non si può rimproverare Archimede di questa ‘ingenuità’.
Grazie ai risultati precedenti triangoli e trapezi si possono ‘pesare’ con figure (non citate
esplicitamente nell’enunciato) e sommare ottenendo un’unica figura che equilibra il triangolo BDC.
Può stupire che nel disegno la figura R, ‘piccola’, equilibri il trapezio DE che è il più grande, ma
bisogna porre attenzione che siamo in presenza di una bilancia, quindi ha importanza il punto di
applicazione, dato che il trapezio in oggetto è più vicino al fulcro o punto di sospensione B. In
questa considerazione entra quindi l’interpretazione fisica (inglobata nella Prop. 1 e nella Eq. piani
Prop. I.6.). Grazie alla Prop. 5 si ha proporzionalità tra la base del segmento circolare e segmenti
staccati su essa con secanti e le parti esterne.
Si passa poi a confrontare i trapezi ‘circoscritti’ con le aree di bilanciamento. Si consideri, ad
esempio, il trapezio BEVK per mostrare che come figura è maggiore dell’area R. Per la Prop. 5,
BE:EC = EV:VS, da cui, componendo (BE+EC):BE = (EV+VS):EV, quindi BC:ES = BE:EV, e dato
che BC = AB, si può scrivere
(1)
AB:BE = ES:EV.
Qui Archimede ‘sfida’ il lettore a dimostrare che AB:BE = trapDE:trapKE. Dato che i due trapezi
hanno la stessa altezza, il rapporto tra le loro aree è dato dal rapporto della somma delle loro
rispettive basi. Si ha pertanto
(2)
trapDE:trapKE = (BD+ES):(BK+EV).
Ma i triangoli BDC e CES sono simili, per cui BD:ES = BC:EC; dalla similitudine dei triangoli BKC
e EVC si ricava BK:EV = BC:EC, quindi BD:ES = BK:EV. A questo punto si ricorre a
«Eucl. Proposizione V.12. Se quantesivoglia grandezze sono proporzionali, una delle antecedenti starà ad una
delle conseguenti[, cioè alla sua conseguente,] come la somma delle antecedenti sta alla somma delle
conseguenti.»
grazie alla quale (BD+ES):(BK+EV) = ES:EV. Si ottiene così dalla (1) e dalla (2), AB:BE =
trapDE:trapKE.
A questo punto si applica la Prop. 10 in base alla quale, da quanto precede si ha che trapKE > R.
Ripetendo quanto visto per gli altri trapezi “circoscritti” si ottiene che il triplo loro somma è
maggiore del triangolo BDC, mentre dal fatto che la somma dei trapezi ‘inscritti’ è minore della
somma D2+Z+X+W se ne desume che il loro triplo è minore del triangolo BDC.
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Il risultato fondamentale dei questa Proposizione è la ‘scomparsa’ della bilancia, dato che ora il
confronto si può realizzare tra il triangolo BDC e le due famiglie di pluritrapezi ‘inscritti’ e
‘circoscritti’.
y
4a*a
Può essere interessante tradurre analiticamente il disegno e
F
calcolare l’area del triangolo BDC. Si consideri la parabola di
equazione y = -x2 + 2ax, parabola passante per l’origine, il
punto
2a,0 . Il coefficiente angolare della retta EF si
determina mediante la derivata -2x + 2a calcolata in 2a, per
cui si ottiene che il coefficiente angolare è -2a e la retta EF ha
E
equazione y-0 = -2a(x-2a), vale a dire y = -2ax + 4a2.
L’ordinata del punto F si trova risolvendo il sistema
a
x=0
, da cui y = 4a2. Il triangolo con vertice in F
y = −2ax + 4a 2
V
O
ha area
2a
a
x
4a 2 ⋅ 2a
= 4a 3 . D’altra parte l’area del settore
2
parabolico è ottenuta mediante il calcolo di un semplice
2a
8a 3
12a 3 − 8a 3 4a 3
x3
integrale definito: (− x + 2ax)dx = − + ax 2
=−
+ 4a 3 =
=
. Pertanto il
3
3
3
3
0
0
2a
2
triangolo ha area tripla dell’area del segmento parabolico. Come si diceva prima la scelta del
triangolo così costruito e la determinazione dei pluritrapezi in modo da approssimare per difetto ed
eccesso 1/3 di tale triangolo ha come conseguenza il determinare l’area del segmento parabolico.
La successiva Prop. 15 generalizza il risultato ad un segmento
parabolico con la base non perpendicolare all’asse, mostrato nella
seguente figura. La dimostrazione è abbastanza analoga a quella della
Proposizione precedente, perché si ottiene sommando e sottraendo il
triangolo KBC.
I risultati precedenti vengono ora applicati ad un segmento parabolico
indipendentemente da leve ed equilibrio e utilizzando le famiglie di
plurirettangoli come strumento dell’esaustione. Si ottiene in tal modo
la fondamentale
«Proposizione 16. Sia di nuovo il segmento [parabolico] BHC compreso da una retta e da una sezione di cono
rettangolo, e si conduca per il [punto] B la BD parallela al diametro, e da C la CD tangente alla sezione del cono
nel [punto] C; e sia l’area F la terza parte del triangolo BCD. Dico che il segmento parabolico BHC è uguale
all’area F.»
- 218 -
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La dimostrazione usa l’esaustione come la applica Euclide, cioè considerando la differenza tra le
due grandezze da dimostrare uguali ed applica il Post. 5, vale a dire il principio di EudossoArchimede alla differenza tra il segmento parabolico e la figura F, determinando un multiplo della
differenza che superi il triangolo BCD. Ma è possibile ‘ritagliare’ un triangolino in BCD avente la
base BC e altezza BE, con E tale che il triangolo BCE sia minore della differenza tra segmento
parabolico e F (o tra F e il segmento parabolico, secondo l’ipotesi assurda assunta). Di qui si ottiene
l’assurdo suddividendo opportunamente BD e conseguentemente BC.
IV.4.1.4. La via geometrica. Dopo avere ottenuto il risultato per via meccanica, Archimede riprende
la trattazione e, come a garantire che il risultato è corretto e che è in grado di utilizzare i
procedimenti ‘canonici’ della geometria, nelle restanti 7 Proposizioni, mostra come sia possibile
giungere allo stesso risultato. Per fare questo prima deve dare altre proprietà della parabola, in
particolare come trovare l’altezza di un segmento parabolico.
«Proposizione 18. Se in un segmento compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo dal punto di
mezzo della base si conduce una retta parallela al diametro, vertice del segmento sarà il punto nel quale la
parallela al diametro taglia la sezione del cono.
Dimostrazione. Sia infatti ABC un segmento compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo, e dal
[punto di] mezzo della AC si conduca la DB parallela al diametro. Poiché dunque nella sezione del cono
rettangolo la BD è stata condotta parallela al diametro, e sono uguali le AD, DC, è manifesto che sono parallele
la AC e la tangente nel [punto] B alla sezione del cono (Prop. 1). E’ dunque manifesto che delle rette condotte
dalla sezione [conica] perpendicolarmente sulla AC sarà massima quella per B: dunque vertice del segmento è il
punto B.»
La figura mostra (a differenza di
B
quella del testo) l’asse della
A
D
C
parabola.
Di
fatto
si
y
C
tratta
dell’applicazione della Prop. 1.
D
A
Per via analitica si può mostrare
B
O
la correttezza della Proposizione.
x
Si consideri la parabola di equazione cartesiana y = x2 e siano A≡ a,a2 ,
C≡ c,c2 due punti distinti della parabola. La retta AC ha equazione
y − a2
2
c −a
(c+a)(x-a) + a2, vale a dire y = (c+a)x-ac. Il punto D ha coordinate D ≡
per D parallela all’asse della parabola (l’asse y) ha equazione x =
- 219 -
2
=
x−a
, quindi y =
c−a
a + c a2 + c2
,
. La retta
2
2
a+c
. Essa interseca la parabola
2
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nel punto B ≡
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a + c (a + c) 2
,
. Si cerchi ora la retta parallela alla retta AC passante per il punto
2
4
K ≡ k , k 2 della parabola. L’equazione di tale retta è data y-k2 = (c+a)(x-k). Le intersezioni di tale
retta con la parabola si ottengono risolvendo il sistema algebrico (di secondo grado)
y = (c + a )( x − k ) + k 2
, da cui ci si riduce all’equazione di secondo grado (in x), x2 – (c+a)x
2
y=x
+k(c+a-k) = 0. Il discriminante di tale equazione è dato da D = (c+a)2 -4k(c+a-k) = c2 + a2 + 2ac 4kc - 4ka + 4k2 = (c+a-2k)2. Tale discriminante è sempre non negativo per cui l’equazione è
risolubile e le soluzioni sono date da x =
c + a − c − a + 2k
c + a + c + a − 2k
=k∨x=
= c + a − k . Si
2
2
individuano così il punto K, già indicato ed il punto K '≡ c + a − k , (c + a − k ) 2 . In particolare se
c+a-2k = 0, vale a dire k =
a+c
a+c a+c
si ha che K = B e dato che c + a − k = c + a −
=
, è pure
2
2
2
K = B = K’, per cui e la retta per K parallela alla retta AC ha un’unica intersezione con la parabola,
nel punto B contato due volte, vale a dire è la retta tangente. Si verifica in tal modo quanto
dimostrato da Archimede.
Il Teorema del valor medio afferma che data una funzione f definita in un intervallo chiuso [α,β] e
limitato, continua in tale intervallo e derivabile all’interno dell’intervallo, esiste γ∈]α,β[ tale che
f ( β ) − f (α )
= f'
(γ ) . Ora la retta che congiunge i punti α,f(α) e β,f(β) ha equazione
β −α
y − f (α )
x −α
f ( β ) − f (α )
=
, vale a dire y =
( x − α ) + f (α ) . Per un generico punto del
f ( β ) − f (α ) β − α
β −α
grafico della funzione γ,f(γ) , la retta tangente al grafico ha equazione y = f’(γ)(x-γ)+f(γ).
L’esistenza di γ come quello indicato nell’enunciato del Teorema di Lagrange comporta che la retta
tangente in tale punto è data da y =
f ( β ) − f (α )
( x − γ ) + f (γ ) e pertanto parallela alla retta
β −α
congiungente i punti del grafico corrispondenti agli estremi dell’intervallo.
Il Teorema del valor medio o di Lagrange è applicabile nel caso in esame, dato che si sta
considerando una funzione continua e derivabile. Ma il Teorema di Lagrange non è costruttivo,
l’esistenza della tangente al grafico della funzione (qui una parabola) parallela alla retta AC si
ottiene solo mediante considerazioni che utilizzano formulazioni dell’assioma di scelta. Qui
Archimede risolve in modo costruttivo il problema indicando la (semplice) costruzione geometrica
per determinarlo.
- 220 -
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Altre informazioni sulla parabola sono date dalla
«Proposizione 19. In un segmento compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolare la [retta] condotta
dal [punto di] mezzo della base [parallelamente al diametro] è i quattro terzi della lunghezza [della retta]
condotta per il [punto] medio della metà [della base].
Dimostrazione. Sia il segmento ABC compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo, e si conducano
parallelamente al diametro la BD per il punto medio della AC, e la EF per
il punto medio della AD: si conduca poi la FH parallela alla AC. Poiché
B
A
dunque nella sezione di cono rettangolo la BD è stata condotta parallela al
H
F
diametro, e le AD, FH sono parallele alla tangente in B (Prop. 1), è
manifesto che lo stesso rapporto che in lunghezza ha la BD rispetto alla
C
D
E
BH, lo ha in potenza la AD rispetto alla FH (Prop. 3): [BD:BH =
q(AD):q(FH)].
Dunque la BD è quadrupla in lunghezza della BH. E’ manifesto dunque che la BD è in lunghezza i quattro terzi
della EF.»
Anche questa è una semplice proprietà che deriva immediatamente dalla Prop. 3 e dal fatto che E è
il punto medio di AD e ED = FH. E quindi 2FH = AD e pertanto q(AD) = 4q(FH), ma per la Prop. 3,
q(AD):q(FH) = BD:BH, pertanto 4q(FH):q(FH) = BD:BH. Di qui BD = 4BH e così DH = 3BH.
Pertanto BD =
4
4
BH = EF .
3
3
In termini analitici, si l’ascissa di E (nel disegno) è data da
y
E
a+c
+c
a + c + 2c a + 3c
2
=
=
,
2
4
4
C
D
A
H
F
B
l’ordinata
è
data
da
a2 + c2
+ c2
a 2 + 3c 2
2
=
Si noti che nella dimostrazione si fa l’ipotesi
2
4
x
O
mentre
che E fosse compreso tra A e D, ma per motivi grafici nella figura a fianco si è preferito considerare
E tra D e C. Si ha E ≡
F≡
y−
a + 3c a + 3c
,
4
4
a + 3c
4
2
y = (c + a) x +
a + 3c a 2 + 3c 2
a + 3c
,
. Il punto F ha ascissa
ha coordinate
4
4
4
2
.
= (c + a ) ⋅ x −
La
retta
per
F
parallela
alla
retta
AC
ha
equazione
(c + a )(a + 3c) a 2 + 9c 2 + 6ac
a + 3c
, cioè, y = (c + a ) x −
+
; da qui
4
4
16
a 2 + 9c 2 + 6ac − 12c 2 − 4a 2 − 16ac
3a 2 + 3c 2 + 10ac
, quindi y = (c + a ) x −
. Il punto
16
16
H è intersezione della retta di cui si è appena calcolata l’equazione e la retta DB, vale a dire che la
- 221 -
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x=
sua ordinata si ottiene tramite la soluzione del sistema
quindi y =
3a 2 + 3c 2 + 10ac
y = (c + a ) x −
16
, si ha
(a + c) 2 3a 2 + 3c 2 + 10ac 8a 2 + 8c 2 + 16ac − 3a 2 − 3c 2 − 10ac 5a 2 + 5c 2 + 6ac
−
=
=
. Si
2
16
16
16
ha dunque H ≡
a + c 5a 2 + 5c 2 + 6ac
,
. Per determinare le misure di HD e BD, basta considerare
2
16
la differenza delle ordinate. È perciò BD =
2a 2 + 2c 2 − a 2 − c 2 − 2ac
a−c
=
=
4
2
=
a+c
2
2
a 2 + c 2 a 2 + c 2 + 2ac
−
=
2
4
e si ha DH ==
a 2 + c 2 5a 2 + 5c 2 + 6ac
−
=
2
16
8a 2 + 8c 2 − 5a 2 − 5c 2 − 6ac 3a 2 + 3c 2 − 6ac 3 a − c
=
=
16
16
4 2
2
=
3
BD . Così si prova analiticamente
4
quanto dimostrato geometricamente.
Le due Proposizioni ribadiscono che Archimede ha dovuto applicare risultati noti per giungere a
proprietà interessanti sulla parabola, ma ai suoi tempi non note.
La complessità dei calcoli mostra anche come non sempre il calcolo analitico è più semplice della
dimostrazione geometrica.
Segue una Proposizione, che qui si enuncia soltanto, che sarà utile in seguito per applicare il metodo
di esaustione.
«Proposizione 20. Se in un segmento compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo si inscrive un
triangolo avente la stessa base del segmento e la stessa altezza, il triangolo inscritto sarà maggiore della metà del
segmento.»
A questo segue un Corollario che rivela maggiormente la sua parentela con il metodo di esaustione
e con risultati euclidei:
«Corollario alla Proposizione 20. Dimostrato ciò, è chiaro che è possibile inscrivere in un tale segmento
[parabolico] un poligono, in modo che i segmenti residui siano minori di un’area data: infatti togliendo sempre
[uno spazio che] per questa [proposizione] [è] sempre maggiore della metà, è manifesto che i segmenti residui
diverranno minori di qualsiasi area data (Eucl. Prop. X.1)»
Il risultato che in termini impliciti stabilisce come si giunga alla determinazione dell’area del
segmento parabolico (ed alla proto-teoria delle serie) è la seguente
«Proposizione 21. Se in un segmento compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo si inscrive un
triangolo avente la stessa base del segmento e la stessa altezza, e si iscrivono altri triangoli nei segmenti residui,
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aventi la stessa base di [detti] segmenti e la stessa altezza, il triangolo inscritto nell’intero segmento sarà ottuplo
di ciascuno dei triangoli inscritti nei segmenti residui.
B
Dimostrazione. Sia ABC il segmento come si è detto, e si divida la [base} AC
F
per metà in D, e si conduca la BD parallela al diametro: il punto B è dunque
G
vertice del segmento (Prop. 18). Dunque il triangolo ABC ha la stessa base del
segmento e la stessa altezza. Di nuovo si divida la AD per metà in E, e si
H
conduca la EF parallela al diametro e la AB sia tagliata [da essa] nel [punto] H:
dunque F è il vertice del segmento [parabolico] AFB (Prop. 18). Il triangolo
AFB ha dunque la stessa base del segmento [AFB] e la stessa altezza. Si deve
A
E
D
K
C
dimostrare che il triangolo ABC è ottuplo del triangolo AFB.
Infatti la BD è [uguale ai] quattro terzi di EF (Prop. 19) ed è doppia di EH: dunque la EH è doppia della HF,
sicché anche il triangolo AEB è doppio del [triangolo] FBA: infatti il [triangolo] AEH è doppio di quello AHF e il
[triangolo] HBE [è doppio] di quello FHB, sicché il [triangolo] ABC è otto volte quello AFB. Similmente poi si
dimostrerà che [ABC è ottuplo] anche del triangolo inscritto nel segmento BGC.»
La dimostrazione si avvale di considerazioni elementari: i triangoli ADB e AHE sono simili e
pertanto AD:AE = BD:EH, ma AD = 2AE, quindi BD = 2EH. E’ poi BD =
4
EF, per cui 2EH =
3
4
2
2
1
EF , da cui EH = EF . Ma HF = EF – EH = EF - EF = EF , sicché EH = 2HF.
3
3
3
3
Il triangolo ABF lo si può ‘scomporre’ nei triangoli AHF e FHB e il triangolo AEB nei triangoli
AEH e HEB. Ma i triangoli AEH e AHF hanno la stessa altezza, quella condotta da A quindi sono tra
loro nello stesso rapporto delle loro ‘basi’ EH e HF, rapporto che si è mostrato essere 2, pertanto,
scrivendo malamente, 2AFH = AEH. Per lo stesso motivo HEB = 2FHB, sempre rispetto alle stesse
‘basi’ e avendo la stessa altezza, quella condotta da B. Così AEB = 2AHF. Più semplice è osservare
che ADB = 2AEB e ACB = 2ADB. In totale 8AHF = 2(2(2AHF)) = 2(2AEB) = 2ADB = ACB.
Si è ottenuto quello che si voleva provare. Ma si ha ora una relazione iterativa estremamente
importante. Dato il triangolo T = ACB, si considerano i due triangoli ABF e CGB, ciascuno dei quali
è 1/8 di T, quindi assieme forniscono ¼ di T. Si sono individuati in tale modo quattro segmenti
parabolici in ciascuno dei quali si riesce ad iscrivere un triangolo che è 1/8 di ABF, quindi ciascuno
dei quali è 1/64 di T, essendocene 4, messi assieme individuano 1/16 T e ciascuno individua due
segmenti parabolici in ciascuno dei quali si iscrive un triangolo che è 1/8 di 1/64 di T, cioè 1/512 di
T, essendocene 8 si ha in complesso 1/64 di T, e così via.
L’intuizione che viene ‘nascosta’ dalla dimostrazione per esaustione della Prop. 24,
«Proposizione 24. Qualunque segmento compreso da una retta e da una sezione di cono rettangolo è [uguale ai]
quattro terzi del triangolo avente la sua stessa base e uguale altezza. »
è che la ‘somma’ di tutti questi triangoli sempre più piccoli permette di costruire un poligono che
approssima sempre meglio il segmento parabolico, ma ad ogni passo si ha un poligono che non
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
supera mai il segmento parabolico stesso. Ma si è costruita una progressione geometrica di primo
termine T e di ragione ¼. Si ha che la somma della progressione geometrica è data da
n
s
1
T =T
s =0 4
1
1−
4
n +1
1
1−
4
, mentre la somma della serie geometrica avente la stessa ragione è data
s
da
1
1
4
T =T
= T . Ed è proprio questo il risultato provato da Archimede.
1 3
s∈N 4
1−
4
IV.5. Metodo di Archimede sui teoremi meccanici, ad Eratostene.
IV.5.1. Il ‘mistero’ di Archimede. Il ritrovamento di Heiberg nel 1906 di questo testo è di grande
importanza perché ci permette di aprire uno spiraglio sul genio di Archimede. Il fatto che lui provi
molti risultati inattesi (ai suoi tempi) relativi a figure ‘canoniche’ o meno, non riuscirebbe a farci
capire come abbia proceduto per trovare i risultati che poi ha dimostrato con una fitta serie di
Proposizioni, spesso nel più tipico stile dei sistemi ipotetico-deduttivi classici, talvolta con aperture
ad una geometria nuova, sia per gli oggetti di cui si occupa, sia per i metodi impiegati.
La perdita di questo testo ha forse fatto ritardare di vari secoli la Matematica, in quanto i
procedimenti che Archimede aveva messo a punto, una sorta di anticipazione impressionante dei
metodi dell’Analisi infinitesimale, sono stati riottenuti a partire dal XVI
secolo, indipendentemente a partire dalla scuola
italiana di Galilei, Cavalieri, Torricelli e poi nella
grande stagione del sorgere della moderna Analisi.
Archimede però è esplicito nell’affermare che il suo
Bonaventura Cavalieri
(1598 – 1647)
metodo non permette di trovare o costruire la
dimostrazione dei risultati, che invece permette di
Evangelista Torricelli
(1608 – 1647)
trovare. Questo testo si offre come un esempio importante di uno dei due
momenti diversi che accompagnano l’attività del matematico, quello della scoperta, cui segue
quello della dimostrazione. E’ il secondo che ha la preminenza nei testi anche antichi, mentre della
fase euristica si ha ben poco e bisogna attendere la seconda metà del XX secolo per avere un
tentativo di chiarificazione degli aspetti principali e più importanti della scoperta.
Quindi anche in questo senso Archimede è un precursore.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
Con gli occhi di oggi è abbastanza facile trasformare le intuizioni infinitesimali di Archimede in
dimostrazioni, oggi ritenute accettabili e rigorose, mutando i suoi metodi ‘privati’ in strumenti
pubblici.
Il libro, in generale, nonostante l’impianto apparentemente consueto, non offre dimostrazioni
rigorose delle proprietà che enuncia, sono piuttosto argomentazioni anche abbastanza elaborate.
Questo testo chiarisce quello che era stato detto “il mistero di Archimede”. In questo senso si sono
espressi grandi matematici del passato.
Ad esempio Torricelli dice che i geometri antichi (riferendosi quindi anche, se non precipuamente
ad Archimede) hanno seguito nella dimostrazione un percorso diverso da quello seguito «in
inventione» fatto apposta «ad occultandum artis arcanum».
Dal canto suo Wallis ha scritto:
«(Sembra che Archimede) abbia di proposito ricoperto le tracce della sua investigazione, come se avesse sepolto
per la posterità il segreto del suo metodo di ricerca.»
Suggestiva l’immagine che Enriques e Giorgio De Santillana (1901 – 1974) in Storia del pensiero
scientifico, un testo del 1932, hanno proposto per spiegare come i matematici del passato hanno
‘vissuto’ il comportamento di Archimede:
«Come uno stratega che prepari con cura il colpo che gli darà la vittoria, vediamo il geometra sbarazzare il
terreno, con metodo, di ogni minimo ostacolo, e disporre le sue forze senza farsi scoprire: poi d’un tratto viene il
teorema decisivo.»
Queste parole si potrebbero forse meglio applicare oggi, nell’immaginario collettivo, ad un
investigatore dei romanzi polizieschi. Difficilmente gli studenti della scuola riescono ad apprezzare
l’opera e la grandezza di un matematico, seguendo con ‘trepidazione’ il suo cammino di scoperta e
dimostrazione.
Ebbene il metodo di cui Wallis lamenta la mancanza, invece c’era, rinchiuso nel monastero del
Santo Sepolcro di Costantinopoli, scritto su un manoscritto, probabilmente pervenuto da
Gerusalemme, del X secolo, in calligrafia minuscola, lavata ma non erosa, per riscriverci sopra un
testo del XIII secolo. Era stato segnalato già nel 1899, ma l’autenticità ed il contenuto sono stati
accertati solo nel 1906. Grande deve essere stata l’emozione di Heiberg, quando si rese conto che il
manoscritto riportava testi già noti, integrava altri che erano pervenuti incompleti e conteneva
questo ‘capolavoro’ archimedeo, ed un trattato unico, come argomento, nella letteratura antica.
IV.5.2. Il contenuto del Metodo dei teoremi meccanici. Il testo si presenta come una lunga lettera,
nella versione italiana occupa 39 pagine, paragonabile alla Quadratura della parabola, scritta ad
Eratostene, esponendogli il metodo da lui usato per scoprire i teoremi. Questo dovrebbe collocare
l’opera prima di tutte le sue altre opere, ma bisogna distinguere da quando avrà immaginato ed
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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applicato il metodo a quando ha pensato di scriverla. In questo senso allora l’opera dovrebbe
seguire tutte le altre.
Lo stile espositivo è assai diverso da quello utilizzato in altri testi. L’esposizione di Archimede
negli altri testi, confrontata con quella di Euclide, appare assai più sintetica, procedendo per sommi
capi ed abbondando di «è manifesto», in questo Metodo cambia drasticamente perché segue passo a
passo l’andamento delle dimostrazioni, anzi talora è prolisso, forse denotando così una stima
limitata di Archimede sulle capacità intuitive di Eratostene, o forse perché si rendeva conto che
stava dissodando un campo nuovo ed aveva bisogno di chiarire l’argomento a sé stesso. Certo che le
argomentazioni di carattere infinitesimale, che forse avevano una tradizione nella Geometria di
Democrito, non le riteneva conferissero valore dimostrativo alle argomentazioni. C’è dunque una
presa di posizione sulla differenza tra argomentare e provare, che mette anche su questo tipo di
analisi, Archimede tra i precursori di molte indagini a noi contemporanee.
IV.5.2.1. La dedica ad Eratostene. Il testo si apre con una lettera ad Eratostene.
«Archimede ad Eratostene salute.
Ti ho precedentemente inviato [alcuni] dei teoremi [da me] trovati, scrivendo di essi gli enunciati e invitandoti a
trovare le dimostrazioni, che non avevo ancora indicate. Gli enunciati dei teoremi inviati erano i seguenti: del
primo: se in un prisma retto avente per base un parallelogrammo (= un quadrato) si iscrive un cilindro avente le
basi [inscritte] nei parallelogrammi opposti, e i lati sui (= tangenti ai) rimanenti piani (=facce) del prisma, e se
per il centro del cerchio che è base del cilindro e per un solo lato del quadrato sul piano (= faccia) opposto si
conduce un piano, il piano condotto stacca dal cilindro un segmento (= una parte) che è compreso da due piani e
dalla superficie del cilindro, vale a dire da uno [dei piani]: quello che è stato condotto, e dall’altro [quello] nel
quale è la base del cilindro, e inoltre dalla superficie compresa tra i piani suddetti: il segmento tagliato dal
cilindro è la sesta parte di tutto il prisma.
Di un altro teorema l’enunciato era: se in un cubo si inscrive un cilindro avente le basi sui [piani dei]
parallelogrammi opposti e la superficie [laterale] tangente agli altri quattro piani (=facce), e si inscrive anche un
altro cilindro nello stesso cubo, avente le basi su[i piani di] altri [due] parallelogrammi e la superficie [laterale]
tangente agli altri quattro piani, la figura compresa tra le superficie dei cilindri, la quale è comune ad ambedue i
cilindri, è “due terzi” dell’intero cubo.
Accade poi che questi teoremi differiscano da quelli prima trovati: confrontammo infatti quelle figure, i conoidi,
gli sferoidi e le [loro] parti con coni e cilindri: non si trovò nessuna di esse uguale ad una figura solida compresa
da piani; mentre di queste figure comprese da due piani e da superficie di cilindri s’è trovato che ciascuna di esse
è uguale a figure solide comprese da piani. Di questi teoremi ti mando le dimostrazioni, avendole scritte in
questo libro.
Vedendoti poi, come ho detto, diligente ed egregio maestro di filosofia, e tale da apprezzare anche nelle
matematiche la teoria che [ti] accada [di considerare], decisi di scriverti e di esporti nello stesso libro le
caratteristiche di un certo metodo, mediante il quale ti sarà data la possibilità di considerare questioni
matematiche per mezzo della meccanica. E sono persuaso che questo [metodo] sia non meno utile anche per la
dimostrazione degli stessi teoremi. E infatti alcune delle [proprietà] che a me dapprima si sono presentate per via
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
meccanica sono state più tardi [da me] dimostrate per via geometrica, poiché la ricerca [compiuta] per mezzo di
questo metodo non è una [vera] dimostrazione: è poi più facile, avendo già ottenuto con questo [metodo] qualche
conoscenza delle cose ricercate, compiere la dimostrazione, piuttosto che ricercare senza alcuna nozione
preventiva. Perciò anche di quei teoremi, dei quali Eudosso trovò per primo la dimostrazione, intorno al cono e
alla piramide, [cioè] che il cono è la terza parte del cilindro e la piramide, e la piramide [è la terza parte] del
prisma aventi la stessa base e altezza uguale, non piccola parte [del merito] va attribuita a Democrito, che per
primo fece conoscere questa proprietà della figura suddetta, senza dimostrazione.
A noi accade poi che anche il ritrovamento del teorema ora pubblicato è avvenuto similmente a quelli prima
[detti]; ho voluto quindi, avendolo scritto, pubblicare quel metodo, sia perché ne avevo già prima parlato (sicché
non sembri che abbia fatto un vuoto discorso) sia perché son convinto che porterà non piccola utilità nella
matematica: confido infatti che alcuni matematici attuali o futuri, essendo stato loro mostrato questo metodo,
ritroveranno anche altri teoremi da noi ancora non escogitati.
Scriviamo dunque come primo teorema quello che pure per la prima volta ci apparve per mezzo della meccanica:
che ogni segmento di sezione di cono rettangolo è uguale ai quattro terzi del triangolo avente la stessa base e
uguale altezza: dopo di ciò ciascuno dei teoremi veduti con lo stesso metodo: alla fine del libro scriviamo le
dimostrazioni geometriche di quei teoremi dei quali ti mandammo gli enunciati. »
Archimede è stato quindi un profeta: «confido infatti che alcuni matematici attuali o futuri, essendo stato loro
mostrato questo metodo, ritroveranno anche altri teoremi da noi ancora non escogitati»,
peccato che i suoi
continuatori ideali hanno dovuto ricostruire, seguendo anche altre suggestioni, il cammino qui
intrapreso dal Siracusano.
Il tono di questa lettera è ben diverso da quella inviata a Dositeo in accompagnamento a
Quadratura della parabola, nella presente lettera di accompagnamento non c’è tono reverenziale,
anzi la ripetizione integrale dei problemi già mandati sembra alludere al fatto che si aspettasse una
risposta e che stia pensando che forse la missiva precedente non sia stata ricevuta, oppure sia una
forma di velato ‘rimprovero’ al fatto che i problemi posti non siano ancora stati risolti, per cui non
resta ad Archimede altro che inviare le dimostrazioni e, ritenendo che Eratostene su queste
questioni si trovi in ‘difficoltà’, dargli il mezzo di appropriarsi di un metodo, almeno per trovare
risultati geometrici. Ma in questo ci sarebbe allora una sorta di sfida continuata che Archimede pone
al destinatario della lettera, avendogli ora mostrata la strada per trovare i risultati, si aspetta che
Eratostene gli dia prova del suo sapere ‘confezionando’ dimostrazioni convincenti.
Anche la frase «Vedendoti poi, come ho detto, diligente ed egregio maestro di filosofia, e tale da apprezzare anche
nelle matematiche la teoria che [ti] accada [di considerare].»
pare dire che Archimede ritiene Eratostene una
sorta di colto dilettante di Matematica, ben diverso del giudizio (post mortem) su Conone che in
Quadratura della parabola Archimede comunica a Dositeo: «un uomo amico e mirabile nelle
matematiche».
Ora di Eratostene è ‘sopravvissuto’ un metodo (dispendioso) per determinare i numeri
primi tra un elenco dei primi n numeri naturali, senza fare divisioni, il cosiddetto crivello di
Eratostene:
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Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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9
10
Le caselle a sfondo bianco e senza righe diagonali
11 12 13 14 15 16 17 18 19
20
sono i numeri primi. La distribuzione degli
21
31
41
51
29
39
49
59
30
40
50
60
“accidenti” avviene solo per conteggio, prima per
61 62 63 64 65 66 67 68 69
70
71 72 73 74 75 76 77 78 79
80
scelto un particolare formato della tabella, vale a
81 82 83 84 85 86 87 88 89
90
dire 10 colonne, porta ad evidenti regolarità
91 92 93 94 95 96 97 98 99 100
geometriche, ad esempio le caselle con diagonale
2
22
32
42
52
3
23
33
43
53
4
24
34
44
54
5
25
35
45
55
6
26
36
46
56
7
27
37
47
57
8
28
38
48
58
due, poi per tre, indi per cinque, saltando il quattro
perché già eliminato, e così via, senza bisogno di
fare moltiplicazioni né divisioni. Il fatto di avere
blu o rosse. Con altre configurazioni vengono altre regolarità.
Nel testo di Archimede pervenutoci non si ha traccia delle dimostrazioni promesse.
Una seconda importante informazione è che questo testo dovrebbe seguire sia Quadratura della
parabola, sia Conoidi e sferoidi, testi ai quali si fa allusione, anche se il Torelli suggerisce una
collocazione del trattato Conoidi e sferoidi precedente a quella sul presente Metodo.
IV.5.2.2. I lemmi. Il trattato si apre con una serie di undici assunzioni, da Archimede indicati col
termine di
, presupposizioni, tra esse si trovano alcune affermazioni che sono tratte
da altre opere di Archimede. Con queste si apre, come in altri casi, il problema se si tratti di asserti
dati qui per la prima volta, oppure desunti direttamente da quanto già reso pubblico.
«Lemma 1. Se da una grandezza si toglie una grandezza [sua parte] e lo stesso punto è centro di gravità
dell’intera [grandezza] e quello della [grandezza] tolta, lo stesso punto è [anche] centro di gravità della
[grandezza] restante.
Lemma 2. Se da una grandezza si toglie una grandezza [sua parte], e il centro di gravità dell’intera grandezza
non è lo stesso punto che è centro di gravità della grandezza sottratta, il centro di gravità della grandezza restante
è sulla retta congiungente i centri di gravità dell’intera [grandezza] e della [grandezza] sottratta, avendola
prolungata e [avendo] sottratta da essa [una retta che] rispetto alla [retta compresa] tra i suddetti centri di gravità
ha il rapporto che il peso della grandezza sottratta ha rispetto al peso della grandezza restante (Eq. piani Prop.
I.8).
Lemma 3. Se i centri di gravità di quante si vogliano grandezze sono sulla stessa retta, anche il centro [di gravità]
della grandezza composta da tutte sarà sulla stessa retta. (Conseguenza immediata di Eq. piani Prop. I.4).
Lemma 4. Il centro di gravità di qualunque retta è il punto medio della retta (Eq. piani Prop. I.4).
Lemma 5. Il centro di gravità di qualunque triangolo è il punto nel quale si intersecano le rette condotte dai
[vertici] degli angoli del triangolo ai punti medi dei lati (Eq. piani. Prop. I.14.).
Lemma 6 Il centro di gravità di un qualunque parallelogrammo è il punto nel quale si tagliano le diagonali. (Eq.
piani Prop. I.10).
Lemma 7. Il centro di gravità di un cerchio è [il punto] che è anche centro del cerchio.
Lemma 8. Il centro di gravità di qualunque cilindro è il punto di mezzo dell’asse.
Lemma 9. Il centro di gravità di qualunque prisma è il punto di mezzo dell’asse.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
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Lemma 10. Il centro di gravità di qualunque cono è sull’asse e lo divide in modo che la parte vicina al vertice è
tripla della parte restante.
Lemma 11. Ci serviremo anche di questo teorema: se quante si vogliano grandezze sono in ugual numero di altre
grandezze, e a due a due, quelle similmente collocate hanno lo stesso rapporto, e tutte od alcune delle prime
grandezze hanno rapporti qualunque con altre [terze] grandezze, e così le seconde grandezze
corrispondentemente situate sono negli stessi rapporti con altre [quarte] grandezze, [la somma di tutte le prime
grandezze sta rispetto a [la somma di] tutte le [terze] grandezze nello stesso rapporto di quello che [la somma di]
tutte le seconde grandezze ha rispetto a [la somma di] tutte le suddette quarte grandezze (Con. sf. Prop. 1).»
Si suppone che i lemmi qui indicati e che non hanno un riscontro nelle opere di Archimede
pervenuteci, possano essere state desunte o da opere di altri autori, come avviene ad esempio per i
Lemmi di Sulla sfera e il cilindro, oppure da opere perdute di Archimede stesso. Nel Lemma 9 si
sottintende che si tratti di un prisma a base di poligono regolare, altrimenti andrebbe meglio
specificato cosa si intenda per asse, forse la retta congiungente i centri di gravità dei poligoni
opposti.
Leibniz ha visto in alcune Proposizioni di Archimede che conosceva, in particolare di quelle sulla
bilancia, l’intervento di un principio, il Principio di ragione sufficiente, che il filosofo tedesco
prenderà a fondamento della sua costruzione ontologica. Tale principio afferma che le cose sono
così perché non c’è una ragione che siano diversamente. I Lemmi 6, 7, 8 e 9 sono esempi perfetti di
applicazione del principio lebniziano.
Il Lemma 10 non ha lo stesso grado di evidenza di quelli che lo precedono immediatamente.
Assomiglia al Lemma 5, trasferendo però le considerazioni nello spazio; esso andrebbe dimostrato e
non si ha traccia della sua dimostrazione nelle opere pervenuteci.
La coincidenza testuale tra il Lemma 11 e la Prop. 1 di Conoidi e sferoidi va a sostegno che il
Metodo sia successivo all’opera citata.
IV.5.2.3. Analisi delle Proposizioni. Il testo si presenta come un insieme di Proposizioni. Di esse ne
sono state tramandate 15, ma solo 14 in modo sufficientemente chiaro, essendovi solo brani della 15
da cui non si riesce a cogliere in modo sufficientemente chiaro quello che Archimede aveva
effettivamente proposto. Da tali frammenti si desume che si tratta della dimostrazione ‘geometrica’
della Prop. 14, vale a dire il primo problema posto ad Eratostene.
- La Prop. 1 fornisce la quadratura della parabola.
- La Prop. 2 tratta del volume della sfera.
- La Prop. 3 generalizza quanto provato per la sfera ad uno sferoide, il solido che in termini
moderni prende il nome di ellissoide di rotazione.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
- Le Propp. 4 e 5 si occupano dei conoidi, la 4 del volume di un segmento di conoide rettangolo
e la 5 del baricentro dello stesso tipo di solido. Con conoide rettangolo Archimede indica
quello che oggi viene chiamato paraboloide ellittico di rotazione.
- La Prop. 6 determina il baricentro di un emisfero. Il testo presenta numerose lacune.
- Le Propp. 7 e 9 si occupano di segmenti sferici: la 7 istituisce una proporzione tra coni e
segmenti sferici e quindi il volume del segmento sferico. Anche in questo caso ci sono cadute
del testo che è stato interpolato da Heiberg. La 9 del baricentro del segmento.
- Le Propp. 8 e 10 ripetono le Propp. 7 e 9 generalizzando a segmenti di sferoidi.
- La Prop. 11 riassume in sé le Proposizioni analoghe alle Propp. 7 e 9 per i segmenti di conoidi
ottusangoli. Con conoide ottusangolo Archimede indica il solido oggi indicato come una sola
falda di un iperboloide ellittico di rotazione (quindi a due falde).
- Le Propp. 12, 13 e 14 (e 15) si occupano della cosiddetta unghia cilindrica, vista nella
formulazione del primo problema posto ad Eratostene. Le Propp. 13 e 14 presentano due
dimostrazioni diverse dello stesso risultato. Come anticipato, i frammenti della Prop. 15
pervenutici fanno intuire una dimostrazione geometrica della Prop. 14.
Man mano che il testo procede, la decifrazione è sempre più difficile e le cadute in certi punti sono
state interpolate, in altre la ricostruzione è ipotetica e non tutti gli studiosi sono d’accordo su come
reintegrare il testo.
Apparentemente Archimede si è ‘dimenticato’ dei conoidi acutangoli. Ma un cono acutangolo è la
figura (di rotazione) generata facendo ruotare un triangolo rettangolo attorno ad un suo cateto
(mantenuto fisso) ed il triangolo rettangolo non è isoscele e il cateto tenuto fisso è il maggiore.
Quando si seziona un cono acutangolo con un piano perpendicolare ad una generatrice la sezione è
un ellisse. Facendo ruotare un ellisse (o un semiellisse) attorno ad un suo asse non si ottiene una
figura illimitata, come avviene appunto per i conoidi rettangoli ed ottusangoli (paraboloidi e
iperboloidi), ma ellissoide (di rotazione).
IV.5.2.4. Il metodo meccanico. Si illustra in cosa consista, in generale, il metodo per i teoremi
meccanici. Per semplicità grafica, si illustra il caso relativo all’area di superficie, anche se le
Proposizioni del Metodo sui teoremi meccanici sono tutte relative a solidi, con l’eccezione della
prima.
Si abbia una figura piana F1 di cui si voglia conosce l’area della superficie. Per determinarla si
considera una figura piana F2 di cui sia nota l’area e di cui sia anche noto il baricentro. Si
posizionano le due figure in modo che siano inscritte in una striscia parallela (quella che Cavalieri
chiamerà regula). Si sezionano le due figure con una retta t parallela alle rette che individuano la
striscia. Siano HK e H’K’ i due segmenti intercettati su tale retta rispettivamente dalla figura
- 230 -
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
incognita F1 e da quella nota F2. Si ipotizza inoltre che sulla base di
conoscenze delle proprietà della F1, si riesca a determinare il
H'
O
N
M
rapporto HK:H’K’. Tale rapporto può variare al variare della retta t.
W
K'
Sia M il punto medio (baricentro) di H’K’ e sia O il punto di
contattto della F2 con la retta r (oppure sia il punto medio ovvero il
r
baricentro della parte in comune tra F2 e la retta r. Si prolunga la
t
B
H
retta MO fino a N in modo tale che
(1)
MO:ON = HK:H’K’.
L’uso dei baricentri ci garantisce che Archimede e aveva già ideato,
A
K
se non scritto, Equilibrio dei Piani. Come conseguenza di tale
C
opera Archimede interpreta la proporzione in termini meccanici
come la condizione di equilibrio di una leva (bilancia) NM di fulcro O caricando in M il segmento
H’K’ e in N il segmento HK (trasportato parallelamente), dato che per la Eq. piani Prop. I.6. (cfr.
IV.4.1.3.) e la
«Eq. piani Prop. I.7. Ed anche se le grandezze sono [tra loro] incommensurabili, similmente manterranno
l’equilibrio se poste a distanze inversamente proporzionali alle grandezze.»,
al variare della retta t, in modo che risulti parallela a r e compresa nella striscia, variano i segmenti
HK e H’K’, varia M, resta fisso O, ma continua a valere la (1) resta costante anche N. Si ha quindi
che al variare di t, il punto N è il punto medio di tutti i segmenti HK trasportati parallelamente.
A questo punto Archimede compie un balzo in avanti di molti secoli, nella storia della Matematica,
identificando le due figure come costituite (forse meglio riempite o esaurite) da tutti i segmenti così
identificati. In questa posizione si può riconoscere anche un’intuizione del concetto di insieme
perché l’unicum, la figura, ‘è’ la molteplicità dei suoi segmenti.
Ma per le proprietà ‘additive’ dei baricentri, derivabili dalle proprietà del comporre nelle
proporzioni la figura F2 diventa una grandezza nota sospesa al suo baricentro W, mentre la figura
corrispondente ottenuta trasportando tutti i segmenti individuati nella figura F1, costituiscono un
unico oggetto ‘pesante’ come la somma dei segmenti stessi. Si ha dunque l’equilibrio per cui dalla
(1) si ha WO:ON = F1:F2, da cui F1 =
WO
F2 .
ON
In questo ragionamento si ritiene ‘uguale’, nel senso di estensione, una figura geometrica ed un
‘oggetto’ dato da segmenti pesanti, tutti concentrati in uno solo e che le figure piane siano costituite
di segmenti. Con l’attuale punto di vista infinitesimale, queste considerazioni assumono il valore di
argomentazioni prossime a dimostrazioni vere e proprie, basate sul calcolo integrale.
Si passa dalle aree ai volumi considerando una figura solida costituita da piani e i due solidi, quello
incognito e quello di prova compresi entro due piani paralleli.
- 231 -
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Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
Tra i risultati di Archimede, non rientrano in questo metodo meccanico, le affermazioni relative alla
superficie della sfera.
L’aggettivo ‘meccanico’ fa riferimento all’applicazione della leva, o meglio bilancia a due bracci,
che serve a determinare le condizioni di equilibrio. Non è invece da intendersi che le dimostrazioni
si ottengano senza bisogno di intuizione ed inventiva, anzi il metodo, proprio per la sua ideazione
per la genialità delle interpretazioni che richiede, porta a sviluppare una notevole fantasia
geometrica. Queste doti di inventiva vengono applicate alla fase euristica, utile, perché, come dice
Archimede: «è poi più facile, avendo già ottenuto con questo [metodo] qualche conoscenza delle cose ricercate,
compiere la dimostrazione, piuttosto che ricercare senza alcuna nozione preventiva.»
L’intuizione si applica nella scelta di F2 di cui devono essere note le caratteristiche, ma anche
intuire l’esistenza di opportuni rapporti con F1 rapporti.
Per quanto riguarda la parabola, la cui indagine costituisce l’argomento della Prop. 1, è probabile
che abbia agito da agente scatenante la dimostrazione della Quad.parabola Prop. 5, e che sia stato
poi rielaborata la conoscenza giungendo al trattato ora in esame. Anche il fatto che compaia il
fattore
4
che compare sia nella quadratura della parabola, sia nel volume della sfera, sia stato
3
reinterpretato come la presenza di una leva (o meglio una bilancia).
Forse la strategia che porta alla Prop. 2 è diversa. Secondo Frajese, in questo caso, il metodo non
avrebbe valore euristico, ma servirebbe per dare una conferma della bontà di un’intuizione ottenuta
per altre vie.
Alla base del metodo c’è l’assunzione che una figura piana (solida) sia l’insieme delle sue ‘rette’
(dei suoi ‘piani’) parallele fra loro o, come dicevano in altri tempi della ‘somma’ delle sue rette dei
suoi piani), anche se il termine ‘somma’ è del tutto assente dall’opera di Archimede. Si potrebbe
forse più correttamente pensare che invece di una somma con connotati numerici, Archimede pensi
all’unione disgiunta, però cercare di riportare il pensiero del Siracusano a termini tecnici
comprensibili oggi vuol dire tradire quanto egli ha fatto e cercare di ricondurre le sue intuizioni a
dimostrazioni possibili nel nostro contesto odierno. E’ per questo che Archimede afferma che il suo
metodo non ha valore dimostrativo. Si tratta quindi di un metodo per lui diverso, e con valore
diverso, da quello che ha utilizzato nel cosiddetto trattamento meccanico del testo Quadratura della
parabola.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
A secoli di distanza Galilei ripercorre le stesse strade quando nel Dialogo dei
Massimi Sistemi, giornata II, quando vuole provare che lo spazio percorso in un
certo intervallo di tempo da un mobile in moto rettilineo uniformemente accelerato
che parta da fermo è uguale allo spazio percorso nello stesso tempo da un altro
mobile in moto rettilineo uniforme alla velocità media del primo mobile. In tale
testo Galilei propone la seguente figura e a proposito di essa utilizza le frasi:
«[…] la qual infinità di linee ci rappresenta in ultimo la superficie del triangolo […] e tutta la
superficie di esso triangolo era la massa e la somma di tutta la velocità.»
Nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, giornata I,
Galilei afferma:
«Passo ora ad un’altra considerazione, ed è, che stante che la linea ed ogni continuo sian sempre divisibili in
sempre divisibili, non veggo come si possa sfuggire, la composizione essere di infiniti indivisibili, perché una
divisione e subdivisione che si possa proseguire perpetuamente, suppone che le parti siano infinite, perché
altramente la subdivisione sarebbe terminabile. […] E l’essere parti infinite si tira di conseguenza l’esser non
quante, perché quanti infiniti fanno una estensione infinita; e così abbiamo il continuo composto d’infiniti
indivisibili. »
e nella giornata III
«[…] ex quibus cum infinitae sunt […] exsurget superficies triangoli.»
In questi brani importante l’uso delle parole relative all’infinito (ed all’infinitesimo) che compaiono
esplicitamente, mentre nei testi archimedei non c’è questa presa d’atto che il problema sia connesso
in tale modo con l’infinito in atto dato dalla considerazione contemporanea delle infinite sezioni
della figura geometrica (piana o solida che sia).
Contemporaneamente a Galilei, Cavalieri sembra riprendere quasi testualmente il Metodo di
Archimede, anche con tutte le cautele dell’autore antico nei confronti dell’infinitesimo e
dell’infinito. In una lettera che Cavalieri scrive il 28 giugno 1639 a Galilei afferma:
«Io non ardii di dire che il continuo fosse composto di quelli [gli indivisibili].»
e tuttavia il metodo proposto da Cavalieri prende il nome di metodo degli indivisibili.
IV.5.2.5. Le Proposizioni 1 e 2. La Prop. 1 è l’esempio migliore di applicazione del Metodo. Essa,
come detto, relativa alla quadratura della parabola:
«Proposizione 1. Sia il segmento ABC compreso dalla retta AC e dalla sezione di cono rettangolo ABC, e si
divida per metà la AC nel [punto] D, si tracci la DBE parallela al diametro e si traccino le congiungenti AB, BC.
Dico che il segmento ABC è [uguale ai] quattro terzi del triangolo ABC.
Descrizione. Si conducano dai punti A, C la AF parallela alla DE, la CF tangente al segmento, e si prolunghi la
CB fino a K, e si ponga la KH uguale alla CK. Si immagini la leva CH col punto medio K e sia la MO parallela
alla ED.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
Poiché dunque la CBA è una parabola (
T
tangente, la EB è uguale alla BD: ciò infatti viene dimostrato negli Elementi
F
H
G
, interpolazione) e la CF è
(Quad. parabola Prop. 2). Per il fatto, poi, che le FA, MO sono parallele alla ED,
M
la MN è uguale alla NO, e la FK alla KA. E poiché: CA:AO = MO:OP (Quad.
K
parabola Prop. 5) e inoltre CA:AO = CK:KN e CK è uguale a KH, dunque HK:KN
E
N
P
A O
W
= MO:OP. E poiché il punto N è centro di gravità della retta MO (Lemma 4) e
B
poiché MN è uguale a NO, se dunque poniamo TG = OP ed è il [punto] H il suo
D
C
centro di gravità, in modo che sia TH = HG, la THG farà equilibrio alla MO che
resti [dov’è] per il fatto che HN è stata divisa in parti inversamente proporzionali ai pesi TG, MO e : HK:KN =
MO:GT (Eq. piani Propp. I.6 e I.7) cosicché K è il centro di gravità del[la grandezza composta da] ambedue i
pesi (Lemma 3). Inoltre similmente quante si traccino parallele alla ED nel triangolo FAC, faranno equilibrio,
restando dove sono, alle loro parti staccate dalla parabola trasportate in H, cosicché il centro di gravità della
grandezza composta da ambedue è K. E poiché il triangolo CFA consta delle [rette] tracciate nel triangolo CFA,
mentre il segmento [parabolico] ABC consta delle [rette] tracciate similmente alla OP, il triangolo FAC, restando
[dov’è], farà equilibrio nel punto K [assunto come fulcro] al segmento della sezione [conica] posto attorno al
centro di gravità H, cosicché il centro di gravità della figura composta da ambedue [triangolo e segmento] è il
[punto] K.
Si divida dunque la CK nel [punto] W in modo che la CK sia tripla della KW. Sarà dunque il punto W il centro di
gravità del triangolo AFC: ciò infatti è stato dimostrato nei [libri sugli] Equilibri. Poiché il triangolo FAC
rimanendo dov’è fa equilibrio nel punto K [come fulcro] al segmento BAC posto attorno al centro di gravità H,
ed il centro di gravità del triangolo FAC è il [punto] W, dunque come il triangolo AFC sta al segmento ABC
posto intorno al centro H, così [sta] la HK alla KW: dunque il triangolo AFC è triplo del segmento ABC. Ma
inoltre il triangolo FAC è quadruplo del triangolo ABC per il fatto che la FK è uguale alla KA, e la AD [è uguale]
alla DC: dunque il segmento parabolico ABC è [uguale ai] quattro terzi del triangolo ABC.»
L’argomentazione di Archimede è abbastanza semplice, basandosi sulla similitudine di triangoli e
su Proposizioni già assunte, come i Lemmi iniziali o la Prop. 2 desunta dal testo perduto Elementi
conici, o ancora dalla Prop. 5 del trattato Quadratura della parabola, che deve quindi precede
temporalmente questo Metodo che quindi segue anche il Libro I di Equilibrio dei piani. Un punto
delicato, passato sotto silenzio è che il segmento MO è generico e che quello che viene detto qui
esplicitamente per tale segmento deve essere ripetuto infinite volte. Un accenno è nella frase «E
poiché il triangolo CFA consta delle [rette] tracciate nel triangolo CFA, mentre il segmento [parabolico] ABC consta
delle [rette] tracciate similmente alla O […]»,
ma esplicitarlo avrebbe voluto dire accettare l’infinito in
atto.
L’argomentazione mostrata ha veramente valore euristico. Deve infatti essere stata una sorpresa
anche per lo stesso Archimede osservare che se variava il punto O sul segmento AC, cambiavano i
punti T e G, ma non H (e quindi il fulcro K). E’ vero che così il segmento parabolico diventava una
cosa strana: tanti segmenti sovrapposti, ma di qui discendeva i risultato a patto di dotare i segmenti
di un peso e accettare che le figure piane fossero costituite da segmenti, uno per ogni punto di AC.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
Così si reintroduceva l’idea di segmento (retta) come una collana di granelli (punti), idea di
ispirazione pitagorica.
Il risultato successivo, relativo al volume della sfera, ha una presentazione diversa, iniziando con
una sorta di riflessione su quanto appena mostrato nella Prop. 1
«Proposizione 2.
Ciò dunque non è stato [veramente] dimostrato per mezzo di quel che è stato detto; ma è stata fornita una
indicazione che [induce a ritenere che] la conclusione sia vera; perciò noi, vedendo che la conclusione non è
stata dimostrata, ma presumendo che essa sia vera, proporremo la dimostrazione per via geometrica da noi stessi
trovata, che avevamo già prima pubblicata.»
Il testo prosegue con la vera Prop. 2:
«Che qualunque sfera è quadrupla del cono avente la base uguale al circolo massimo della sfera e l’altezza
uguale al raggio della sfera; e che il cilindro avente la base uguale circolo massimo della sfera e l’altezza uguale
al diametro della sfera è una volta e mezza la sfera si vede nel modo seguente.
Sia infatti una sfera, nella quale circolo massimo [sia] quello ABCD, e [siano] diametri perpendicolari tra loro le
AC, BD, e sia un cerchio nella sfera avente la BD [come] diametro [e situato in un piano] perpendicolare al
[piano del] cerchio ABCD; e su questo cerchio perpendicolare [come base] si costruisca un cono avente il vertice
nel punto A: ed estesa la sua superficie si seghi il cono con un piano per il [punto] C parallelo alla base: si avrà
così un cerchio [situato in un piano] perpendicolare alla AC, e il suo diametro sarà la EF.
[A partire] da questo cerchio [come base] si costruisca un cilindro avente l’asse uguale alla AC, e i lati del
cilindro siano le EL, FG. E si prolunghi la CA e si ponga la AH uguale ad essa, e si immagini la leva CH, il
[punto di] mezzo della quale è A, e si conduca una retta parallela alla BD: [sia] la MN, ed essa seghi il cerchio
ABCD nei [punti] O, P, il diametro AC nel [punto] S, la retta AE nel [punto] Q, la AF nel [punto] R; e per la retta
MN si conduca un piano perpendicolare alla AC; questo formerà nel cilindro come sezione un cerchio il diametro
del quale sarà la MN, e nel cono AEF [formerà] un cerchio il diametro del quale sarà la QR. E poiché il
[rettangolo] di AC, AS è uguale al [rettangolo] di MS, SQ (infatti la AC è uguale alla SM e la AS [è uguale] alla
SQ) e inoltre: rett(AC,AS) = q(AO) = q(OS) + q(SQ) dunque: rett(MS,SQ) = q(OS) + q(SQ). E poiché: AC:AS =
MS:SQ e: AC = AH sarà: AH:AS = MS:SQ vale a dire : =
G
N
F
q(MS): rett(MS,SQ). Ma è stato dimostrato che: rett(MS,SQ)
= q(OS) + q(SQ); dunque : AH:AS = q(MS):[q(OS)+q(SQ)].
D
X
Z
P
H
R
A
nello stesso rapporto il cerchio nel cilindro, il diametro del
quale è la MN, sta al[la somma de]i cerchi: quello del cono,
il cui diametro è QR, e quello nella sfera, il cui diametro è
K
S
C
Q
OP (Eucl. Prop. XII.2).
Dunque come AH sta ad AS così il cerchio nel cilindro sta
O
B
V
Ma: q(MS):[q(OS)+q(SQ)] = q(MN):[q(OP)+q(QR)] così
W
al[la somma de]i cerchi nella sfera e nel cono. Poiché
dunque come AH sta ad AS così lo stesso cerchio nel
cilindro, rimanendo dov’è, sta rispetto al[la somma di]
L
M
E
ambedue i cerchi, i diametri dei quali sono le [rette] OP,
QR, trasportati questi e posti intorno ad H, in modo che il centro di gravità di ciascuno di essi sia il [punto] H,
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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essi si faranno equilibrio rispetto al punto A [come fulcro]. Similmente si dimostrerà che se nel parallelogrammo
LF si conduce un’altra [retta] parallela alla EF, e per la [retta] tracciata si conduce un piano perpendicolare alla
AC, il cerchio generato nel cilindro restando dov’è farà equilibrio rispetto al punto A [come fulcro] ad ambedue i
cerchi: quello generato nella sfera e quello del cono, trasportati e collocati sulla leva col punto H, in modo che il
centro di gravità di ciascuno di essi sia il [punto] H.
Riempito dunque il cilindro dai cerchi [così] assunti e [similmente] la sfera e il cono, il cilindro restando dov’è
farà equilibrio [con fulcro] nel punto A ed ambedue [i solidi]: la sfera e il cono trasportati e collocati sulla leva
nel [punto] H, in modo che il centro di gravità di ciascuno di essi sia il [punto] H.
Poiché dunque i solidi suddetti si fanno equilibrio nel punto A [come fulcro], il cilindro rimanendo [dov’è]
intorno al centro di gravità K (Lemma 8), la sfera e il cono trasportati intorno al centro di gravità H, sarà
AH : AK = cilindro : (sfera + cono)
Dunque il cilindro è doppio [della somma] della sfera e del cono. Ma è triplo dello stesso cono: dunque tre coni
sono uguali a due coni e a due sfere. Si sottraggano i due coni che sono in comune: dunque un cono avente il
triangolo AEF [come sezione con un piano passante] per l’asse è uguale alle due sfere suddette (= doppio della
sfera suddetta).
Ma il cono il cui triangolo per l’asse suddetto è AEF è uguale a otto coni il cui triangolo per l’asse sia quello
ABD, poiché la EF è doppia della BD (Eucl. Prop. XII.12.). Dunque gli otto coni suddetti sono uguali a due
sfere. Quindi la sfera, della quale il circolo massimo è quello ABCD, è quadruplo del cono, il vertice del quale è
il punto A, e la base [del quale] è il cerchio tracciato intorno al diametro BD [in un piano] perpendicolare alla
AC.
Si conducano ora per i punti B, D nel parallelogrammo LF le parallele VBW, XDZ e si immagini il cilindro, le
basi del quale [siano] i cerchi aventi i diametri VX, WZ, e il cui asse sia AC. Poiché dunque il cilindro del quale il
parallelogrammo per l’asse è quello VZ è doppio del cilindro il cui parallelogrammo per l’asse è quello VD
(Eucl. Prop. XII.14.) e questo è triplo del cono il cui triangolo per l’asse è quello ABD, come [è mostrato] negli
Elementi (Eucl. Prop. XII.10.) il cilindro del quale il parallelogrammo per l’asse è quello VZ è sestuplo del cono
il cui triangolo per l’asse è quello ABD. Ma è stato dimostrato che la sfera il cui circolo massimo è quello ABCD
è quadrupla dello stesso cono: dunque il cilindro è una volta e mezza la sfera: ciò che si doveva dimostrare.
Veduto ciò: che qualunque sfera è quadrupla del cono avente per base il cerchio massimo e altezza uguale al
raggio della sfera, [mi] venne l’idea che la superficie di qualunque sfera sia quadrupla del cerchio massimo della
sfera: la supposizione consisteva [nel ritenere] che come qualunque cerchio è uguale ad un triangolo avente per
base la circonferenza del cerchio e l’altezza uguale al raggio del cerchio, così qualunque sfera sia uguale al cono
avente per base la superficie della sfera e l’altezza uguale al raggio della sfera.»
Come per il segmento parabolico, anche i solidi presentati vengono sezionati e “ricomposti” come
insiemi di figure piane: « Riempito dunque il cilindro dai cerchi [così] assunti e [similmente] la sfera e il cono».
Nella dimostrazione Archimede allude ad alcuni risultati noti ed in un caso fa riferimento agli
Elementi. Si tratta della Prop. XII.2 (cfr. III.10.1), della Prop. XII.10 (cfr. III.10.3), della Prop.
XII.12 (III.10.3) e della
« Eucl. Prop. XII.14 Coni e cilindri che siano posti su basi uguali stanno fra loro come le altezze.»
Si può essere dubbiosi sul fatto che grazie alla sua Prop. 2, Archimede abbia ottenuto il risultato
relativo alla sfera, come invece sembra più probabile per il segmento parabolico. Questa
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
Carlo Marchini
impressione è dovuta al fatto che mentre la figura di confronto che si usa per la parabola è
strettamente connessa alla parabola stessa, qui la figura di confronto è data da un solido ‘inatteso’,
un cilindro, avente per raggio di base il diametro della sfera, che contiene la sfera, ma non
circoscritto ad essa, ed invece di determinare il volume della sfera, si passa ad un solido anche
questo abbastanza inusitato, dato dalla ‘somma’ della sfera con il cono rettangolo inscritto in un
emisfero e in cui le sezioni (cerchi) devono in pratica essere considerati due volte.
Frajese propone che la prima intuizione per determinare il volume della sfera possa essere sorta
sull’ipotesi metafisica di semplicità dei fatti geometrici. Si
consideri un emisfero ed il cilindro in esso circoscritto ed il
cono rettangolo in esso inscritto, rappresentati in figura. Il
rapporto tra cilindro e cono è dato dal fattore 1/3 ed
evidentemente la sfera resta maggiore del cono e minore del
cilindro. In un certo senso la sfera è intermedia tra cono e cilindro. Ciò può essere stato suggerito
dal fatto che le parti a contorno mistilineo presenti in figura hanno, ciascuna, area rispettiva
π
1
π
22
r 2 − r 2 ; r 2 − r 2 . Se si utilizza l’approssimazione che Archimede introduce per ,
, si
4
2
4
7
ottiene rispettivamente
1−
22 1 2
22 2
− r ; 1−
r , vale a dire
28 2
28
22 1 22 − 14
8
4
− =
=
= ;
28 2
28
28 14
22 28 − 22 6
3
=
=
=
. Si tratta quindi di valori molto vicini tra loro e tenendo conto in modo
28
28
28 14
approssimativo della ‘distanza’ delle due parti rispetto all’asse di rotazione (maggiore per l’area
minore), ciò che si deve aggiungere al cono per ottenere l’emisfero dovrebbe essere uguale a ciò
che si deve togliere al cilindro per ottenere l’emisfero. Tutto ciò condito con l’ingrediente
metafisico, che i rapporti tra figure semplici devono essere ottenibili come rapporti di numeri
naturali piccoli. Di conseguenza il volume della semisfera potrebbe essere
2 3
πr . E’ presumibile
3
che questa sia stata l’ipotesi di lavoro, provata poi in termini precisi con la dimostrazione per
esaustione e confermata col Metodo dei teoremi meccanici.
La descrizione poi si basa sulla ‘genericità’ della scelta del punto S sull’asse del solido e della
sezione piana dei vari solidi, con un piano perpendicolare all’asse, ha come punto centrale la
proporzione AH:AS = q(MN):[q(OP)+q(QR)]. Si sarebbe potuto scrivere anche AH:AS =
q(MS):[q(SP)+q(SR)] perché invece di considerare i quadrati dei diametri sarebbe stato sufficiente
considerare i quadrati dei raggi per stabilire che le aree delle figure piane ottenute sezionando col
piano per S sono in proporzione. Per provare ciò si sfrutta il cosiddetto secondo teorema di Euclide,
vale a dire che un cateto è medio proporzionale tra l’ipotenusa e la proiezione del cateto
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo IV – L’opera di Archimede.
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sull’ipotenusa, quindi che rett(AS,AH) = rett(AS,AC) = q(AO) = q(OS) + q(AS) = q(OS) + q(SQ) e
rett(SQ,AC) = rett(AS,AC) = rett(MS,AS).
D’altra parte l’uguaglianza precedente può trasformarsi nella proporzione AC:AS = MS:SQ, ed
anche AH:AS = MS:SQ = q(MS):rett(MS,SQ). In quest’ultimo passaggio si sfrutta liberamente
(anche se implicitamente) la misura. Ma dalle precedenti proporzioni si ha AH:AS =
q(MS):[q(OS)+q(SQ)] = q(MN):[q(OP)+q(QR)]. Quest’ultima proporzione mostra che la leva con
fulcro A e in cui si posiziona il ‘peso’ q(MN) in S fa equilibrio al peso [q(OP)+q(QR)] posizionato
in H e introducendo il fattore
π
4
si ha che si equilibrano la sezione del cilindro avente per raggio il
diametro della sfera e la ‘somma’ delle sezione del cono e della sfera. Non è chiarissimo il motivo
di introdurre il doppio del raggio. La posizione generica di S mostra che variando S resta fisso il
punto H e resta fissa la sezione del ‘cilindrone’, variano le sezioni del cono e della sfera.
Questo è il punto chiave della dimostrazione.
Serve ora il centro di gravità del cilindro che ha per base il cerchio di raggio pari al diametro della
sfera ed altezza uguale ancora al diametro della sfera e che è posizionato in K. Poi si fanno i conti
con il cono con circonferenza di base pari al diametro della sfera e altezza ancora uguale al
diametro della sfera. Tale ‘conone’ ha per volume
1
8
di 2r·π·(2r)2 = πr 3 , cioè otto volte il cono
3
3
inscritto nella semisfera.
Da questi semplici conti si ha l’asserto.
Interessantissima la chiusa della descrizione in cui Archimede mostra il sorgere dell’intuizione che
lo porta a determinare la superficie della sfera dalla conoscenza del volume, applicando l’analogia
con la superficie del cerchio e sul modo di determinarla.
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