ASSISTENZA IL VACCINO ANTINFLUENZALE : L’ARMA PRINCIPALE PER LA PREVENZIONE L’evoluzione nella ricerca dopo l’isolamento del visus nel 1933 TOMMASO FONTANA * Con l’affacciarsi del periodo invernale ricompare, puntuale come una cambiale, l’influenza epidemica. Tutti gli anni il solito ritornello sui milioni di persone che rischiano di restare a letto influenzati con, a volte, entità dai nomi accattivanti come: spagnola, asiatica, inglese, russa o nauseabonde come la suina e così via. Non si tratta, ovviamente, di donne esotiche che ammaliano i tantissimi che cedono al loro fascino, ma di virus aggressivi e talora, purtroppo, mortali. Alcune epidemie hanno fatto, addirittura, stragi e sono nella memoria collettiva come ricordi terribili e disastrosi. Di recente, epidemie così terribili non ce ne sono state, ma il pericolo è sempre dietro l’angolo. La comunità scientifica ha, d’altra parte, attrezzato tante armi per combattere queste influenze nefaste e, tra tutte, il vaccino, e, quindi, la prevenzione rimane l’arma principale. Sono passati due anni da quando il mondo era tremante al pensiero dell’arrivo, descritto in modo apocalittico, dell’influenza suina proveniente dal Messico. C’era un’ansia diffusa e aveva avuto un’enorme amplificazione attraverso i mezzi di informazione di tutto il mondo. Alla fine, la notizia che si potesse disporre di una notevole quantità di dosi di vaccino antinfluenzale tranquillizzò gli animi. Sotto certi aspetti, per la prima volta nella storia dell’umanità, il genere umano mostrava di essere in grado di disporre di misure preventive prodotte in quantità adeguate. Possiamo dire che si sia trattato di una prova generale positiva a fronte di pericoli che potessero essere molto meno benevoli del virus dell’influenza suina. Ma da quando si è cominciato a studiare il problema della vaccinazione antinfluenzale? Le ricerche sulle possibilità di sviluppare un vaccino contro l'influenza sono cominciate subito dopo l’isolamento del virus, avvenuto nel 1933. Negli anni seguenti, una gran mole di lavoro è stata svolta al fine di raggiungere questo obiettivo. Finalmente, sul finire della seconda guerra mondiale, nel 1945 fu concessa la prima licenza per produrre un vaccino per uso civile. La cosa accadeva negli Stati Uniti. Questo vaccino, che è stato preparato in previsione della stagione influenzale 1945-1946, conteneva due ceppi virali: uno di tipo A (A/PR8/34) e uno di tipo B (B/Lee/40). Questi ceppi erano stati coltivati su uova embrionate di pollo in conformità con la tecnica del Burnett. Il virus era stato inattivato con formalina, purificato e concentrato per mezzo di procedure particolari con assorbimento ed eluzione su globuli rossi. Furono realizzate delle particolari metodiche per giungere alla determinazione della dose efficace ovvero della quantità di sostanza capace di produrre l’immunità (antigene) presente in una dose. Ci furono poi studi e prove per valutare gli effetti negativi e particolarmente se esistesse il pericolo di produrre la cancerogenicità nei vaccinati. Il vaccino fu autorizzato principalmente sulla base di una serie di studi clinici svolti insieme alle Forze Armate degli Stati Uniti, tali da documentare la sua sicurezza ed efficacia. L'interesse delle Forze Armate degli Stati Uniti nello sviluppo di un vaccino contro l'influenza derivava dall'esperienza della pandemia influenzale del 1918. In quell’anno era cominciata una diffusa e gravissima epidemia chiamata poi spagnola, ma che in realtà era nata proprio negli Stati Uniti tra il Kansas e la Carolina del Nord. Il virus era partito dai grandi allevamenti di maiali di quelle zone dal marzo 1918. Il maiale, sensibile ai virus influenzali degli uccelli e contemporaneamente a quelli umani, è infatti un vero laboratorio vivente perché consente il rimescolamento genetico delle due diverse tipologie di virus. Fu quindi il suino all’origine di quella che diventò poi una pandemia e coinvolse le truppe della Forze di Spedizione americane che erano state inviate a sostenere gli alleati in Europa. L'effetto fu catastrofico sia per i soldati e per le popolazioni civili. L’epidemia si spostò in Europa, approdò per prima in Spagna e da questa nazione prese il nome. I morti furono milioni in nazioni colpite in condizioni rese precarie dalle privazioni causate dalla guerra. Per tutti questi eventi, a partire dal 1946 l'intero esercito americano fu vaccinato contro l'influenza. L’epidemia influenzale dell'inverno 1945-1946 (il primo anno in cui fu utilizzato il vaccino) rese evidente l’efficacia dello stesso. Ma, già nell'inverno del 1946-47, il nuovo vaccino dimostrò che i virus influenzali si erano modificati. Questi mutano alcune proteine (emoagglutinina e neuraminidasi) capaci di scatenare la reazione immunitaria dell’ospite e sono in grado di confondere la risposta immune. In effetti, una variante antigenica del ceppo A, chiamata A/FM1/47, apparve in Australia e si diffuse rapidamente in tutto il mondo, riducendo l'efficacia protettiva del vaccino a valori molto bassi. Questo evento non solo ha indotto la Commissione degli Stati Uniti sull’influenza a sostituire nel vaccino per la stagione invernale 1947-48, il precedente ceppo A/PR8/34 con il nuovo, ma ha posto in evidenza l’opportuna necessità di selezionare i virus da usare per preparare il vaccino. Il Centro per l’influenza mondiale L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1957 istituì un comitato internazionale per studiare il vaccino. Fu deciso che il “Centro per l’Influenza mondiale” avrebbe coordinato il lavoro dei laboratori e diffuso le informazioni opportune. Il primo centro fu realizzato a Londra e pochi anni dopo a Bethesda. I centri hanno lavorato insieme per creare una rete mondiale di sorveglianza dei virus influenzali, e nel 1953, 54 centri in 42 paesi sono stati in grado di fornire informazioni sulla circolazione dei virus. L’OMS ha quindi fornito tutte le informazioni necessarie alle nazioni associate. La situazione rimaneva comunque molto precaria perché la tecnologia, invero non troppo avanzata a quel tempo per una produzione industriale di livello elevato, non permetteva la realizzazione di grandi dosi di vaccino. Negli anni sessanta ci fu un deciso miglioramento nelle attrezzature di laboratorio con la comparsa, in particolare, di innovative centrifughe. Nel 1968 fu messa a punto una nuova tecnica che realizzava la preparazione del vaccino con il virus inattivato e “frammentato” , con etere e Tween 80, e fu chiamato “split”. Riduceva le reazioni secondarie e fastidiose specie nei giovani. Un ulteriore passo in avanti è stata la elaborazione di vaccini contenenti solo piccole parti del virus quali emoagglutinina e neuroaminidasi e tracce minime di proteine interna. Questi vaccini sono ben tollerati, sia da parte di bambini e da soggetti sensibili agli antigeni esogeni, come ad esempio gli affetti da asma. Tuttavia, come i vaccini split, sono meno immunizzanti dei vaccini a virus intero. Un altro importante passo avanti concreto è stato lo sviluppo di un metodo per ottenere riassortimento virale con ceppi ad elevata capacità di crescita in uova embrionate di pollo. Tanto consente di produrre maggiore quantità di vaccino in un tempo molto più breve. L'evoluzione dei metodi di preparazione del vaccino hanno richiesto lo sviluppo di nuove tecniche per valutarne l'efficacia. Inizialmente, la potenza è stata misurata in “Cellule agglutinazione di pollo” o (CCA) unità, secondo il titolo agglutinante degli eritrociti. Questa tecnica è stata perfezionata attraverso le indicazioni dell'OMS per definire una norma internazionale, e ha permesso che la capacità immunizzante di un vaccino potesse essere espressa in Unità Internazionale. L'idea, inoltre, di potenziare l'immunogenicità dei vaccini influenzali attraverso l'aggiunta di adiuvanti è nata sin dall’inizio degli studi sui vaccini antinfluenzali inattivati. Questa, diventava poi una esigenza, ed è apparsa particolarmente evidente quando studi clinici hanno mostrato chiaramente che i vaccini classici erano meno efficaci non solo nei bambini più piccoli, ma anche, a causa di un meccanismo fisiologico di invecchiamento che si può definire "immunosenescenza", o riduzione della risposte immune, nei soggetti di età superiore ai 65 anni. Questi rappresentano una grande parte della popolazione che necessita della protezione prioritaria. Inoltre, dagli inizi del 2000, la crescente aspettativa di un pandemia grave causata da un virus di origine aviaria ha, di fatto, intensificato la ricerca in materia di adiuvanti. La questione della sicurezza I principali vantaggi derivanti da un adiuvante appropriato sono: risparmio di quantità antigene da iniettare; maggiore immunogenicità del vaccino nei soggetti poco responsivi, allargamento delle risposte immunitarie, con possibilità di protezione anche contro ceppi virali con piccole mutazioni che non sono presenti nel vaccino (probabile protezione crociata). La questione fondamentale, che deve essere esaminata con molta attenzione, è quella della sicurezza, sia a breve che a distanza, in gruppi di individui con differenti caratteristiche fisiche e immunologiche. Le sostanze utilizzate e le procedure sperimentali adottate per verificarne l’assenza di effetti negativi sui vaccinati sono molteplici e complesse, ma possibili nei limiti della ragionevolezza. I primi paesi ad autorizzare l'uso di adiuvante sono stati quelli europei, e solo recentemente sono stati concessi licenze d’uso negli Stati Uniti. In Italia, tra i vari coadiuvanti, tra i primi ad essere immessi nei vaccini ottenuti per le campagne di prevenzione dell'influenza stagionale sono stati l’MF59 e i virosomi. I primi studi clinici che hanno coinvolto l’MF59 sono iniziati a partire dal 1992-93. Da allora, molti milioni di soggetti anziani hanno ricevuto dosi di vaccino, in particolare durante le campagne di prevenzione stagionale. Ad oggi i risultati sono stati molto soddisfacenti in termini di immunogenicità, della tollerabilità e della sicurezza. L’MF59 è stato oggetto di studi approfonditi come adiuvante per vaccini preparati contro l'influenza aviaria, e si è dimostrato in grado sia di potenziare la risposta immunitaria che di produrre protezione crociata contro i ceppi con lievi mutazioni (deriva moderata) del virus A/H5N1. Infine, l’MF59 è stato utilizzato nel vaccino contro le pandemie 2009-2010, causata da un virus di origine suina, il prototipo di cui è il ceppo A/California09/HlNl . A questo riguardo bisogna rammentare che proprio a questo adiuvante sono state attribuite alcune patologie autoimmuni che sarebbero comparse nei soldati americani vaccinati contro batteri adoperabili potenzialmente come armi biologiche in occasione della prima guerra dell’Iraq. Per questo motivo, in occasione dell’epidemia influenzale suina del 2009, la FDA, organo di controllo sui farmaci negli Stati Uniti, non ha consentito il commercio dei vaccini preparati con questo adiuvante in USA.Il vaccino virosomiale è, invece, una forma particolare di vaccino liposomiale, ovvero addizionato con piccole vescicole di grasso con al centro acqua che favoriscono il trasporto, l’assorbimento e la sicurezza dello stesso, in cui sono attaccate le glicoproteine di superficie del virus su entrambe le superfici dei liposomi. Si tratta di un progresso sotto molti aspetti. La disponibilità di un vaccino costituito da virus vivi attenuati per la somministrazione intranasale (LAIV) è stato, altresì, autorizzato negli Stati Uniti nel 2003, e Italia e in Europa per la stagione 2011-2012. Appare intuitivo il vantaggio di una somministrazione che ognuno può praticarsi da solo e senza puntura. A partire dalla stagione 2010-2011 c’è stata anche la disponibilità di un vaccino inattivato per la somministrazione intradermica. Sono allo studio tecnologie che permetteranno la produzione dei virus del vaccino in colture cellulari di mammifero con notevole miglioramento della sicurezza ed efficacia. Per l’epidemia influenzale dell’asiatica, negli anni 19571958, il vaccino disponibile fu assolutamente quantitativamente inferiore alle necessità e così accadde per l’inglese alla fine degli anni sessanta. A partire dalla fine degli anni settanta, per la russa, il vaccino era più disponibile per quantità, ma non avrebbe potuto permettere di affrontare una epidemia. Nel 2009 la produzione è stata finalmente all’altezza degli eventi epidemici. “Nessun altro vaccino ha subito l'evoluzione quasi continua quanto i vaccini influenzali. Ne consegue che gli studi che confrontano o elaborano i risultati delle campagne di vaccinazione, e delle analisi realizzate in diversi anni, devono tener conto del fatto che le caratteristiche dei vaccini differiscono, anche notevolmente, da un anno all'altro. Questa evoluzione non è sicuramente giunta alla fine”, così si esprimono i professori Crovari, Alberti e Alicino, importanti studiosi dell’Università di Genova. In conclusione dobbiamo valutare l’importanza del vaccino che ha una validità individuale e sociale. Il valore della protezione individuale non è mai pari al 100%, ma è ottimale se copre oltre il 90% dei soggetti. Il valore collettivo e sociale della vaccinazione è invece un muro che si frappone al virus che non riesce quindi a raggiungere i soggetti meno difesi e viene rapidamente eliminato dalla collettività vaccinata in modo efficace. Questo è un valore aggiunto fondamentale e una assicurazione sulla vita. *Direttore di Struttura complessa