10 GLI SPETTACOLI PUBBLICI 10.1 Origini e funzioni degli spettacoli. Il popolo romano aveva a sua disposizione varie occasioni di divertimento e di svago, che venivano offerte dal potere costituito allo scopo di tenere occupata la popolazione o di accattivarsene le simpatie e il consenso. I primi spettacoli pubblici (ludi) si fanno risalire al tempo di Romolo, il quale, secondo la tradizione, avrebbe invitato ad assistervi anche i Sabini con l'intenzione di rapire le loro donne. In origine, essi rispondevano ad uno scopo religioso e si tenevano periodicamente e a spese pubbliche in occasione di feste religiose. In alcuni casi potevano anche essere organizzati e finanziati dalle famiglie più ricche in occasione dei solenni funerali di un loro congiunto o per le ricorrenze di morte dei loro membri più illustri a scopo propiziatorio nei confronti delle anime dei defunti. In seguito, già a partire da Cesare e da Augusto e sempre più in epoca imperiale, divenne prevalente l'intento politico e propagandistico con cui si mirava a ottenere il favore del popolo, in periodi in cui era stata sottratta ai cittadini romani la libertà di partecipare attivamente alla vita politica, che in epoca repubblicana era stata invece la loro occupazione principale. Particolarmente significativa a questo proposito è la formula panem et circenses con cui lo scrittore latino Giovenale definisce la politica popolare a Roma: alla plebe, infatti, erano distribuite gratuitamente delle razioni di pane e per essa si allestivano spettacoli sempre più dispendiosi e strabilianti, allo scopo tutto calcolato di mantenerne il controllo e di ammansirla. Gli spettacoli pubblici erano di vario tipo e si svolgevano in appositi edifici: i ludi circenses nel circo, i munera gladiatoria, le lotte dei gladiatori, e le venationes i combattimenti con animali feroci nell'anfiteatro, i ludi scaenici, gli spettacoli scenici, nel teatro. 10.2 Gli spettacoli del circo. I giochi del circo, una forma di spettacolo estremamente apprezzato, consistevano nelle corse dei carri e in esibizioni di vario genere, come acrobazie effettuate dai desultores, che saltavano da un cavallo a un altro lanciati al galoppo, combattimenti a cavallo di genere non cruento, in cui si cimentavano i giovani dell'aristocrazia romana, battaglie simulate, o ancora sfilate grandiose e cortei trionfali. L'origine dei ludi circenses era antichissima e risaliva addirittura all'epoca etrusca. I giochi erano collegati a cerimonie religiose e mantennero sempre un carattere sacro: per questo motivo si dovevano seguire in modo scrupoloso regole e rituali e le eventuali violazioni al regolamento comportavano l'annullamento dei giochi e un allestimento nuovo (instauratici) con conseguente dispendio di danaro. L'allestimento dei ludi era di competenza dei magistrati edili, ai quali venivano fornite somme fisse di danaro pubblico, che non sempre però erano sufficienti ad allestire giochi tanto ricchi e sontuosi da soddisfare i gusti del pubblico. Poiché, tuttavia, nessun magistrato voleva acquistare presso l'opinione pubblica la fama di spilorcio, cosa che avrebbe potuto nuocere gravemente al suo prestigio e alla sua carriera, gli edili integravano spesso le somme statali con contributi personali; in alcuni casi i magistrati impiegarono l'intero patrimonio familiare per allestire i ludi o addirittura contrassero pesanti debiti, come accadde a Giulio Cesare. L'organizzatore dei giochi si appoggiava a società di cavalieri, le factiones, ognuna della quali era una vera e propria società a scopo di lucro e possedeva aurighi, cavalli, stallieri, veterinari e allenatori. Il segno distintivo di ogni factio era il colore della tunica indossata dall'auriga ingaggiato dalla società, da cui esse prendevano nome. Nel I sec. d.C. ne esistevano quattro: Alba, di colore bianco, Russata, di color rosso, Prasina, di colore verde, Veneta, di colore azzurro; successivamente si aggiunsero poi la Aurata, di colore dorato, e la Purpurea, di color porpora. Generalmente ogni factio disponeva di un solo carro, ma poteva anche accadere che corresse con due, tre o addirittura quattro carri. Gli aurigae, i conducenti dei carri, erano professionisti molto noti e apprezzati dal pubblico: spesso erano oggetto di manifestazioni fanatiche da parte dei tifosi che scommettevano su di loro grosse somme ed erano idolatrati anche dalle donne. Inoltre, rispetto ai gladiatori, godevano di una considerazione sociale maggiore e si arricchivano guadagnando somme favolose. Gli aurighi portavano in testa un elmetto di metallo e vestivano una tunica corta, fermata da cinghie; quelli più esperti guidavano le quadrighe, cioè carri trainati da quattro cavalli, stando in piedi, i principianti correvano invece con le bighe. I circhi più famosi a Roma furono il Circo Massimo, il Flaminio, che ha dato il nome all'attuale quartiere, e quello che sorgeva nell'attuale Piazza S. Pietro in Vaticano, dove furono arsi vivi i primi cristiani accusati da Nerone dell'incendio di Roma del 64 a.C. Il circo consisteva in una pista, circondata da gradinate: la pista lunga, rettilinea e piuttosto stretta, era divisa al centro da un muro (spina) alle cui estremità vi erano le metae, cioè i punti di svolta, intorno ai quali i carri dovevano girare per iniziare un nuovo giro. L'intera gara prevedeva che la pista fosse percorsa sette volte, con un percorso totale di circa 8,5 km., mentre la prima svolta a sinistra intorno alla meta si trovava a circa 600 metri dalla linea di partenza Le gare incominciavano di primo mattino con una grande sfilata, la pompa circensis: guidava il corteo il magistrato organizzatore dei giochi, seguivano gli aurighi e gli altri atleti che si esibivano dopo le corse dei carri, poi i sacerdoti con i simboli religiosi, le raffigurazioni dell'imperatore e una folla di personaggi burleschi. Successivamente gli aurighi tiravano a sorte le rispettive posizioni nelle dodici gabbie di partenza in pietra (carceres), disposte in linea curva, e dopo il sorteggio prendevano posto: non appena l'organizzatore dei giochi aveva lasciato cadere dal palco un panno bianco (mappa), le gabbie venivano aperte e la corsa aveva inizio. Per quanto fossero meno cruente degli spettacoli gladiatori, anche le corse presentavano notevoli rischi, soprattutto in prossimità delle metae, in cui poteva accadere che più carri si scontrassero e che gli aurighi venissero travolti dai cavalli. I Romani seguivano la gara con un tifo talvolta esasperato e parteggiavano non tanto per i singoli cavalli o aurighi, quanto per le diverse factiones. La passione sfrenata per le corse del circo offriva la possibilità agli spettatori di scaricare tensioni ed emozioni spesso violente e questa componente psicologica risultava particolarmente gradita ai detentori del potere, che potevano così incanalare l'aggressività delle masse in binari controllati e distrarre la loro attenzione dalle vicende politiche. 10.3 Gli spettacoli dei gladiatori. Gli spettacoli dei gladiatori (ludi gladiatorii) erano un'attrazione irresistibile per i Romani che vi accorrevano in massa e li seguivano con grande passione, ipnotizzati da quell'atmosfera violenta di sangue e di crudeltà mista a sadismo. In origine essi si tenevano in edifici non destinati soltanto a questo genere di spettacolo; poi furono costruiti appositamente gli anfiteatri, cioè teatri circolari con l'arena al centro e le gradinate tutt'intorno, molto simili ai moderni stadi di calcio. II primo in assoluto fu quello di Pompei che risale all'80 a.C, il primo a Roma fu fatto costruire da Augusto in occasione del suo trionfo, mentre il più famoso, oltre che il più grande (conteneva infatti 50.000 spettatori), è l'Anfiteatro Flavio, più noto con il nome di Colosseo (perché sorgeva nei pressi della statua colossale di Nerone), iniziato sotto l'imperatore Vespasiano e inaugurato nell'80 d.C. da suo figlio Tito con un eccidio di circa 5.000 bestie feroci. Alla crescente popolarità degli spettacoli gladiatori fece seguito in tutto il territorio dell'impero la costruzione di anfiteatri, che raggiunsero il numero di circa 200 e di cui rimangono ancor oggi molti resti. I gladiatori (da gladius, «spada») erano per lo più prigionieri di guerra o criminali, ma vi erano anche uomini liberi che avevano scelto liberamente di combattere nell'arena per un tempo limitato; in questo caso si trattava di individui che, respinti dalla società o caduti in miseria, erano attirati dai ricchi premi e dalla popolarità che li attendeva nel caso fossero sopravvissuti. Essi, infatti, erano personaggi amatissimi dal pubblico che ammirava in loro la forza, la determinazione a uccidere e spesso anche il coraggio al momento della morte. Con un addestramento durissimo, i gladiatori venivano istruiti in scuole apposite, gestite da un istruttore ( lanista), che era generalmente una figura molto disprezzata ma molto ricca, perché affittava a carissimo prezzo quanti si trovavano alle sue dipendenze. Gli spettacoli dell'arena erano organizzati più o meno sempre allo stesso modo. Al mattino avevano luogo le venationes, i combattimenti di bestie feroci; gli animali si scontravano con uomini oppure, dopo essere stati resi ancor più aggressivi e quasi pazzi dalle ferite loro inferte, venivano aizzati contro esemplari di una specie diversa, per esempio si faceva lottare un orso contro un toro, un leone contro una tigre, un elefante contro dei tori. Dopo l'esposizione di animali esotici agli sguardi curiosi del pubblico, aveva luogo l'esecuzione pubblica di criminali, che costituiva un intermezzo tra i giochi della mattina e quelli del pomeriggio. I condannati a morte non venivano semplicemente giustiziati, ma per appagare i gusti del pubblico erano costretti a sgozzarsi tra loro: uno inerme si scontrava con uno armato di spada, che a sua volta passava l'arma ad un altro per essere ucciso e così via. Coloro che erano schiavi o liberti subivano invece la damnatio ad bestias, diventando preda di animali feroci. Alcune esecuzioni potevano anche avvenire nel corso di rappresentazioni teatrali in cui i condannati diventavano loro malgrado i protagonisti di vicende mitologiche, ovviamente di esito tragico: si riproduceva, per esempio, il supplizio di Prometeo, inchiodando un condannato alla croce e scagliandogli contro degli animali feroci, oppure il mitico episodio di Icaro, costringendo uno sventurato a lanciarsi dall'alto con un paio di ali che certamente non gli sarebbero state d'aiuto. Dopo il mezzogiorno uno squillo di tromba annunciava lo spettacolo più entusiasmante: i combattimenti, spesso all'ultimo sangue, dei gladiatori. Essi si distinguevano in quattro categorie, ciascuna delle quali aveva in dotazione una diversa armatura: il mir-millone, mirmillus, e il sannita, samnis, avevano l'elmo con visiera, lo scudo oblungo e la spada corta; il trace, trax, lo scudo rotondo e la spada ricurva, il reziario, retiarius, disponeva di una rete e di un tridente. Le coppie di gladiatori appartenenti a due diverse categorie si affrontavano senza risparmio di colpi e gli spettatori avevano modo di apprezzare con urla e grida di entusiasmo il valore e la bravura nel combattere e il coraggio nel morire. Gli sconfitti alzavano il braccio sinistro, mostrando il pollice e l'indice, e la loro sorte dipendeva dal pubblico o dall'imperatore che seguiva, in genere, il parere della maggioranza: per salvargli la vita, gli spettatori sventolavano dei fazzoletti bianchi e l'imperatore mostrava il pugno con il pollice rivolto verso l'alto; per condannarlo a morte, invece, tendeva il pugno con il pollice rivolto verso il basso (pollice verso). I vincitori ricevevano un ramo di palma come simbolo del trionfo e, nel caso fossero diventati gladiatori per scelta, regali e premi in danaro; poi, tra le grida di giubilo della folla, lasciavano l'arena per fare ritorno alla loro scuola. Gli allestimenti più scenografici e anche i più costosi erano però le naumachie, veri e propri scontri navali che si tenevano o in bacini artificiali appositamente allestiti o in laghi naturali o, come accadeva nel Colosseo, predisposto anche per questo tipo di spettacolo, nell'arena interamente allagata. Quanto più gli spettacoli dei giochi erano ricchi e sontuosi, tanto più il pubblico ne apprezzava l'organizzatore, che acquistava così fama e consenso popolare; in epoca imperiale era l'imperatore a sobbarcarsi l'onere economico del loro allestimento e, per conquistarsi le simpatie dell'opinione pubblica e sfruttarne al massimo i vantaggi, egli doveva mostrare di amare ciò che piaceva ai suoi sudditi, dando prova di un comportamento affabile e accondiscendente. 10.4 Gli spettacoli teatrali. La prima rappresentazione di ludi scarnici si ebbe nel 364 a.C. quando, per placare gli dei in occasione di una pestilenza, venne organizzato uno spettacolo pubblico con attori fatti venire dall'Etruria. Inizialmente questi ludi si tenevano su palchi eretti all'aperto, nel circo o sulle piazze, o in baracche di legno, che venivano poi smontate e utilizzate altrove; solo nel 55 a.C. si ebbe il primo teatro a Roma, fatto costruire da Pompeo, quando già altre città della penisola, tra cui Pompei, avevano teatri costruiti sul modello greco. Lo spettacolo teatrale più diffuso in epoca antica era la rappresentazione di commedie di ambientazione greca, i cui compositori più famosi furono Plauto e Terenzio; a partire dal II sec. a.C. la forma maggiormente rappresentata fu invece quella del mimo. Per quanto riguarda gli argomenti delle rappresentazioni, gli spettatori gradivano soprattutto soggetti leggeri ed erotici, che proponevano vicende d'amore, o soggetti drammatici, che prevedevano un repertorio di naufragi, truffe, morti, avvelenamenti e fatti simili. Gli spettacoli di mimo, invece, riscuotevano tanto più successo quanto più erano licenziosi e audaci e per questo suscitarono spesso la disapprovazione dei moralisti e dei cristiani. Il loro allestimento era molto meno dispendioso di quello degli altri ludi perché la compagnia era formata da quattro attori che interpretavano più parti: due di loro erano specializzati nell'impersonare caratteri diversi, mentre gli altri due interpretavano la parte dello stupidus e del parassita. A queste rappresentazioni potevano partecipare anche le donne, la cui recitazione era invece assolutamente vietata nelle commedie e nelle tragedie. Le mimae avevano parti decisamente lascive, danzavano nude sulla scena o facevano veri e propri spogliarelli; per questa ragione esse godevano di una pessima reputazione tanto da essere considerate quasi al pari delle prostitute. Gli attori del mimo, a differenza di quelli delle commedie e delle tragedie, non portavano alcuna maschera e si esprimevano non solo attraverso le battute e i movimenti del corpo, ma anche con la mimica del viso. Verso la fine del I sec. a.C. il mimo fu sostituito dalla pantomima che non prevedeva da parte degli attori né la recitazione né le espressioni del volto, celato da una maschera, ma solo movimenti armonici del corpo. Il repertorio privilegiato dalla pantomima erano i temi mitologici, i cui testi venivano declamati da un coro, accompagnato da un flautista. Il pubblico romano, estremamente esigente, pretendeva dagli attori ottime interpreta-zioni e in caso contrario era pronto a fischiare senza pietà per disapprovare tutto ciò che non risultava di suo gradimento. D'altra parte anche tra gli attori esistevano delle vere proprie star, venerate ed applaudite dal pubblico e amate dalle matrone che, oltre all'anfiteatro e al circo, frequentavano assiduamente anche il teatro e non si facevano scrupolo a intrecciare delle relazioni extraconiugali con i loro beniamini, fossero essi gladiatori, aurighi o attori.