C: COSTANTE FONDAMENTALE DELLA NATURA La velocità della luce[20] nel vuoto, c, è una delle costanti fondamentali della fisica: - Essa rappresenta la velocità a cui viaggiano le onde elettromagnetiche nel vuoto, indipendentemente dalla loro frequenza. - Nessun segnale può essere trasmesso, con qualsivoglia dispositivo, nel vuoto o in un mezzo materiale, con velocità superiore a quella della luce c. - La velocità della luce nel vuoto è indipendente dal sistema di riferimento da cui viene osservata: se la velocità di un segnale luminoso in un sistema di riferimento galileiano è c = 2,99793 · 1010 cm/sec, sarà ancora c, e non c + V (o c - V), in un secondo sistema galileiano che si muova, nella stessa direzione del segnale, con velocità V rispetto al primo sistema di riferimento. - Le equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo e l'espressione della forza di Lorentz richiedono la velocità della luce: ciò risulta evidente quando si scrivano tali equazioni in unità di Gauss. - La costante adimensionale (nota come l'inverso della costante di struttura fine), contiene la velocità della luce; h è la costante di Planck ed e la carica del protone. LA MISURA DI C Numerosi sono i metodi usati per la determinazione della velocità della luce e tra questi saranno descritti brevemente alcuni tra quelli più antichi. ESPERIENZA DI ROEMER Si riteneva che la velocità della luce dovesse essere finita già molti secoli prima di ottenere una dimostrazione sperimentale. Fu Roemer, nel 1676, che, per primo, raggiunse tale evidenza: egli osservò che il moto di Io, la più interna delle lune di Giove, non si ripeteva regolarmente nel tempo, ma si notava una variazione nel periodo delle eclissi di questa luna prodotte da Giove. In 6 mesi di osservazione fu riscontrata una variazione complessiva dell'ordine di 20 minuti. Questo valore è circa il tempo impiegato dalla luce per attraversare l'orbita terrestre: il diametro medio, D, dell'orbita che la Terra descrive attorno al Sole è di circa 3 x 1013 cm ; il tempo necessario perché la luce attraversi l'orbita da un estremo all'altro, utilizzando il valore 3 x 1010 cm/sec per la velocità della luce, è tale valore è in buon accordo con il tempo di transito, di 16,6 minuti, dedotto recentemente da osservazioni fotometriche delle suddette eclissi (figura 38). Vediamo, ora, l’esperimento di Roemer. L’eclisse della luna di Giove, Io, avviene quando Giove stesso, G, si trova tra il Sole, S, ed Io. Questo fenomeno si verifica una volta ogni 42 ore, poiché Io ruota attorno a G. A causa del valore finito della velocità della luce c, l’osservazione dell’eclisse sulla Terra, T, avviene con un ritardo di tempo Δt = L/c. Sei mesi più tardi, su T si osserva un’altra eclisse. Ora, L’~L+D, cioè Δt’~L/c + D/c = Δt + D/c. Roemer, nel 1667, misurò Δt’ – Δt, facendo uso, per la misura di c, del valore di D allora conosciuto. Roemer dedusse un tempo di transito di 22 minuti, poiché disponeva di un valore del diametro dell'orbita terrestre, valutato da altri, piuttosto impreciso: ricavò infatti c = 214 300 km/sec. Il moto di rivoluzione di Giove attorno al Sole è più lento di quello della Terra (12 anni contro 1 anno), perciò è il diametro dell'orbita terrestre, e non quello dell'orbita di Giove, che maggiormente interessa in questo calcolo. Il metodo di Roemer non è molto accurato, ma mostrò agli astronomi che, nell'analisi delle osservazioni astronomiche rivolte a conoscere il vero moto dei pianeti, o lune, è necessario tenere conto del tempo di propagazione dei segnali luminosi. ESPERIENZE DI BRADLEY Nel 1725 James Bradley iniziò un'interessante serie di osservazioni molto precise, relative a un'apparente variazione stagionale nella posizione delle stelle, in particolare della così detta Draconis21. Egli osservò che (dopo aver applicato tutte le correzioni note) una stella allo zenit (cioè direttamente lungo la verticale del luogo, sembrava muoversi lungo un'orbita quasi circolare, avente diametro angolare di circa 40,5”, con un periodo di un anno. Egli osservò, inoltre, che stelle che occupavano posizioni diverse si muovevano in modo abbastanza simile - percorrendo in generale orbite ellittiche. Il fenomeno osservato da Bradley va sotto il nome di aberrazione: esso non ha niente a che fare con il moto vero della stella, ma è una conseguenza della velocità finita della luce e del moto della Terra attorno al Sole (figure 44 e 45). Questo fu veramente il primo esperimento diretto che fece pensare al Sole come a un riferimento inerziale migliore di quello terrestre: cioè, è meglio supporre che sia la Terra a muoversi attorno al Sole piuttosto che il Sole attorno alla terra, perché questo esperimento mette in evidenza direttamente la variazione annuale della direzione della velocità della Terra rispetto alle stelle. La più semplice spiegazione dell'aberrazione si ottiene ricorrendo all'analogia fra la propagazione della luce e la caduta della pioggia. Se non c'è vento, la pioggia cade verticalmente e un uomo fermo, che si copra la testa con un ombrello, non si bagna; se l'uomo comincia a correre, mantenendo l'ombrello sempre nella stessa posizione, si bagnerà il soprabito sul davanti: rispetto alla persona in moto, la pioggia non cade esattamente lungo la verticale (figura 46). Ecco le parole testuali con cui Bradley ha spiegato l'aberrazione: «Ho considerato l'argomento nel modo seguente: supponiamo che CA (figura 47) sia un raggio di luce perpendicolare alla linea BD; se l'osservatore è fermo in A, l'oggetto deve apparire lungo la linea AC, sia nel caso che la luce si propaghi con velocità finita sia nel caso di velocità infinita. Ma se l'osservatore si muove da B verso A e la luce si propaga con velocità finita, tale che il rapporto tra questa velocità e quella dell'osservatore sia lo stesso che tra CA e BA, allora, muovendosi la luce da C ad A mentre l'osservatore va da B ad A, quella particella di luce che permetterà all'oggetto di venire individuato dall'occhio, quando questo sarà in A, si trova in C quando l'osservatore è in B. Unendo i punti B e C, ho supposto che il segmento CB, sia un tubo (inclinato rispetto a BD dell'angolo DBC) di diametro tale da permettere il passaggio di una sola particella di luce; è quindi facile capire che la particella di luce che parte da C (e che rende visibile all'occhio, allorché questo arriva in A, l'oggetto) passi attraverso il tubo BC, se questo è inclinato rispetto a BD dell'angolo DBC e accompagni l'occhio nel suo moto da B ad A, mentre non potrebbe colpire l'occhio, posto all'estremità del tubo, se questo avesse una inclinazione diversa rispetto a BD». Per una stella allo zenit l'aberrazione è massima quando la velocità della Terra è perpendicolare alla linea di osservazione; allora l'angolo di inclinazione, o aberrazione, del telescopio è dato, come si vede dalla figura 44, da tg α = dove v, è la velocità della terra. La velocità della terra, relativa al suo moto attorno al sole, è 3,0 · 106 cm/sec e la velocità di rotazione della Terra attorno al proprio asse, che è circa 100 volte più piccola: qui può essere trascurata; così tg α ~ dato che per piccoli angoli tg α ~ α . Espresso in secondi, vale α= 20,5” . E’ il doppio di questo valore, cioè 41”, che deve confrontarsi con il valore di 40,5” osservato da Bradley per il diametro angolare dell'orbita apparente della stella. ESPERIENZE DI FIZEAU, FOUCAULT E MICHELSON La prima misura non astronomica della velocità della luce fu effettuata da Fizeau nel 1849; egli, per la velocità della luce nell'aria, trovò c = (315 300 ± 500) km/sec. Figura 39 Fascio di luce e ruota dentata R visti dall’osservatore O.(Con dente di riferimento e raggio di luce) La luce Figura 41 L’esperimento di Fizeau. proveniente da una sorgente puntiforme S è riflessa da uno specchio semiargentato A e attraversa la ruota dentata R che ruota attorno all’asse X-X. La luce arriva fino allo specchio B e ritorna all’osservatore O attraverso R e A. La rotazione di R, utilizzata come interruttore di luce, spezza il fascio proveniente da S e da A in brevi impulsi luminosi (naturalmente, la luce potrà andare da A a B solo se non incontra i denti della ruota lungo il cammino) (figure da 39 a 41). Affinché un impulso P, che viaggia con velocità c, possa essere trasmesso a O, occorre che vada fino a B e ritorni in R (distanza totale 2L) nello stesso tempo in cui i denti ruotano di un tratto pari ad un’intercapedine. Fizeau determinò il valore di c, una volta noti L (che nel suo caso fu di m. 8633) e la velocità angolare di R. Il sistema a ruota dentata fu presto sostituito da un altro, a specchi rotanti, che permette una migliore focalizzazione e maggiore luminosità. Il dispositivo utilizzato da Foucault (1850) (figure 42 e 43) si componeva di una sorgente di luce S dietro una fenditura, di uno specchio semiargentato A, uno specchio rotante R (con un asse di rotazione perpendicolare alla figura) e di uno specchio sferico B. Quando R è fermo, il fascio di luce proveniente da A viene riflesso da R su B e di nuovo da B, lungo lo stesso percorso, su A e, infine, viene rivelato in O. Se lo specchio R ruota, la luce emessa da S giunge su R e B e, quindi, torna indietro quando lo specchio è nella nuova posizione: in tal modo, l’osservatore O vede un’immagine spostata su A. Foucault determinò c conoscendo L, lo spostamento dell’immagine e la velocità angolare dello specchio. Il miglior valore da lui ottenuto (1862) per la velocità della luce in aria fu c = (298 000 ± 500) km/sec. Figura 42 Il sistema a specchi rotanti usato da Foucault. Un sistema a specchi rotanti perfezionato fu usato da Michelson (1927) su una distanza di circa 35 km compresa fra Monte Wilson e Monte S. Antonio in California. Nel suo dispositivo la sorgente di luce si trovava nel fuoco di una lente, in modo da realizzare un fascio di luce parallela per un lungo tratto. Il valore che trovò fu c = (299 796 ± 4) km/sec. La precisione raggiunta in questa misura fu molto superiore a quella ottenuta in tutte le precedenti. Centinaia di misure di c sono state effettuate negli ultimi cento anni con questi e una quindicina di altri metodi. Attualmente il valore accettato è c = (2,997 925 ± 0,000 003) · 1010cm/sec. Questo dato riassume i risultati delle più recenti e precise misure effettuate con diverse tecniche, utilizzando onde elettromagnetiche da 108 hertz (frequenze radio) a 1012 hertz (raggi gamma). La precisione per le frequenze più elevate non è così buona come nel caso di frequenze radio o ottiche, ma non è, per ora, motivo di ritenere che c vari con la frequenza della radiazione. La storia della determinazione della velocità della luce è molto lunga e si interseca con la storia delle concezioni sulla natura stessa della luce. Già nell’antichità greca Empedocle sosteneva che la luce viaggiasse con velocità limitata, mentre Lucrezio (I secolo a.C.), nel De Rerum Natura, attribuiva alla luce una velocità “inimmaginabile” e a lungo si credette che essa si propagasse istantaneamente, con velocità infinita e in assenza di un mezzo materiale propagatore. “(…) il raggio si slancia senza sosta sotto il pungolo – per così dire – del raggio che lo segue. (…) capace di percorrere in un istante distanze inesprimibili”. [F. Bevilacqua e M.G. Ianniello, L’ottica dalle origini all’inizio del ‘700, Loescher, Torino 1982]. Il primo che tentò di dare una valutazione della velocità della luce fu Galileo Galilei (15641642), il quale riteneva che tale velocità, per quanto grande, non fosse infinita, anche se la finitezza non era percepibile nella maggior parte dei fenomeni naturali. L'esperimento che ideò Galileo [Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze] fu quello di porre due persone l'una di fronte all'altra munite di due lumi. La prima persona scopre il proprio lume, la seconda esegue la medesima operazione non appena scorge il segnale. In tal modo la prima persona avrebbe dovuto avere la possibilità di misurare il tempo necessario alla luce per compiere il percorso di andata e ritorno. Ma tale velocità era veramente troppo grande per poter essere apprezzata su distanze terrestri, ragione per cui l'esperimento, pur se ripetuto ponendo le persone a distanza di due o tre miglia, non diede alcun risultato. Fu grazie al contributo del danese Olaus Roemer (1644-1710) e dei suoi studi sulle irregolarità delle eclissi del satellite Io di Giove (già osservate da Cassini) che si ottenne la prima prova concreta sia della finitezza di questa velocità, sia del suo valore numerico. [G. Pelosi e S. Selleri, “Quaderni di Storia della Fisica”, 1, Giornale di Fisica, 1997]. Le osservazioni di Roemer e Cassini mostravano che quando la Terra risultava in allontanamento da Giove, le eclissi di Io diventavano via via più lunghe; quando invece la Terra risultava in avvicinamento a Giove le eclissi di Io diventavano via via più brevi. Questo fenomeno fu interpretato da Roemer come originato dal fatto che, nel primo caso, ogni sparizione di Io nell'ombra di Giove ha luogo quando la Terra è più distante da Giove di quanto non lo fosse alla sparizione precedente, e ciò significa che la luce per giungere sulla Terra deve percorrere una distanza maggiore: “questa differenza vale 22 minuti per due volte la distanza della Terra dal Sole". La velocità della luce c, dal latino celeritas, era quindi data (con i valori del tempo per la distanza Terra-Sole d) da: c = d/t = 210 000 km/s , valore molto distante da quello che oggi si ritiene corretto, ma molto vicino come ordine di grandezza. Osservazioni più accurate dei satelliti di Giove, fatte da J.B.J. Delambre (1749-1822) alla fine del Settecento portarono per t a un valore di 16 minuti e 26 secondi, mentre d si era stabilito che valesse 30,6 · 1010 m. Con questi dati si trova c = 310 000 km/s. La successiva misurazione della velocità della luce è stata fatta, quasi per caso, mezzo secolo più tardi, dall’astronomo inglese James Bradley (1693-1762) che osservando la stella gamma del Dragone in differenti periodi dell'anno, notò strane e inspiegabili variazioni nella posizione dell'astro (aberrazione astronomica). Successivamente indirizzò la sua attenzione su altre stelle e sempre poté osservare variazioni di posizione della stessa stella in differenti periodi dell'anno. La prima cosa che poteva venire in mente era che si trattasse di un fenomeno di parallasse stellare. Tale fenomeno si ha quando osservando le stelle da posizioni diametralmente opposte dell'orbita della Terra intorno al Sole, si vedono proiettate sulla volta celeste in posizioni leggermente diverse. L'angolo sotto cui si vede la stella, a sei mesi di distanza è l'angolo di parallasse. È evidente che questo varia al mutare della distanza della stella dalla Terra, ma Bradley notò che la modificazione delle posizioni apparenti riguarda tutte le stelle e l'ampiezza degli spostamenti di tutte le stelle è la stessa (fatto in contrasto con la spiegazione mediante la parallasse poiché, in questo caso, si dovrebbe concludere che tutte le stelle si trovano alla stessa distanza dalla Terra, cosa assurda). Gli spostamenti non erano quindi causati dalla parallasse, ma da qualcosa d’altro e Bradley riuscì a dare una spiegazione risalendo alla composizione della velocità della Terra nella sua orbita con quella della luce proveniente dalla stella osservata. Notiamo che alla base di questa spiegazione vi sono due ipotesi fondamentali: la Terra si muove intorno al Sole e la luce si muove con velocità c finita. Bradley, nota la velocità di rotazione della Terra attorno al sole (30 km/s), ottenne una stima della velocità della luce pari a 301 000 km/s. I metodi di Roemer e di Bradley erano basati sull’osservazione astronomica e avevano lo svantaggio di dipendere dalla conoscenza esatta della distanza della Terra dal Sole. Questo dato non fu preciso nemmeno durante il secolo (se ai tempi di Bradley si fosse conosciuta, come oggi, l’esatta ampiezza dell’orbita terrestre, il suo errore sulla velocità della luce sarebbe stato contenuto entro l'1,6%), quindi bisognava trovare un sistema per misurare la velocità della luce con esperimenti che non si basassero su calcoli d’astronomia. I primi a tentare la misurazione della velocità della luce con metodi non astronomici furono Fizeau e Foucault. Essi riuscirono ad applicare praticamente l'idea teorica di Galileo di misurare il tempo impiegato dalla luce a percorrere un certo cammino nei due sensi. Armand Hippolyte Louis Fizeau (1819-1896) si servì nel 1849 di uno strumento basato sull’interruzione del cammino di un raggio di luce tra due specchi mediante una ruota dentata. Dalla velocità di rotazione della ruota si può calcolare la velocità della luce, e Fizeau ottenne c = 313.000 km/s. L'esperienza di Fizeau fu migliorata da Jean-BernardLéon Foucault (1819-1868), il quale utilizzò uno specchietto rotante, con cui l'estinzione del raggio di luce è sostituita da un suo spostamento angolare. Egli ottenne c = 298.000 km/s che è un valore molto vicino a quello che noi oggi comunemente accettiamo. Tra l’altro, l’apparato sperimentale di Foucault si presta bene a misurare c in mezzi diversi dall'aria disponendo nel percorso del raggio di luce un tubo pieno della sostanza nella quale si vuole misurare c (ad esempio acqua). La misura di c in diversi mezzi trasparenti permetteva di verificare i risultati previsti nelle ipotesi corpuscolare e ondulatoria sulla natura della luce, favorendo quest’ultima. [E. Persico, Ottica, Zanichelli, Bologna 1984]. Albert Michelson (1852-1931) ed Edward Morley (1838-1923) pensarono di effettuare una doppia misurazione della velocità della luce, con un apparecchio chiamato interferometro, nella direzione del moto terrestre e in direzione opposta, con lo scopo di confrontare i due risultati e di provare il moto della Terra attraverso l'etere. La conclusione che si poteva trarre dal risultato negativo dell’esperienza era che la velocità della luce non subisce alcuna influenza da parte del moto terrestre. Una spiegazione consiste nel supporre che la velocità della luce sia sempre la stessa in tutte le direzioni, indipendentemente dallo stato di moto dell'osservatore. Questa fu proprio la posizione assunta da Albert Einstein (18791955) nel formulare il suo principio di relatività. Michelson ottenne comunque un netto miglioramento nella precisione della misura di c=(299 796 ± 4) km/s (1927). [M. Born, La sintesi einsteiniana, Bollati Boringhieri, Torino 1969] - [Le Scienze, 435, Novembre 2004]. Oggi la velocità della luce si misura in modo più preciso grazie ai laser e all’elettronica mediante il tempo di ritardo tra due impulsi laser, generati contemporaneamente, che percorrono cammini di diversa lunghezza. Nel 1983 si è deciso di adottare il valore di 299 792 458 ± 1 m/s.