L’educazione nella filosofia medievale 1 di 3 Il concetto di educazione nella filosofia medioevale Agostino: educazione come scoperta della verità interiore La filosofia cristiana eredita dalla cultura greca alcune categorie fondamentali: il modo di impostare i problemi, il linguaggio e i concetti con cui esprimerli. Agostino, imbevuto di cultura greco-romana, fonde la filosofia antica con le tradizioni bibliche e la teologia dei primi cristiani. Nella sua opera i due mondi si saldano senza che sia più visibile una soluzione di continuità. Agostino per questo suo lavoro filosofico si serve prevalentemente del neoplatonismo, e quindi della tradizione che risaliva alla linea Socrate-Platone. Ma il neoplatonismo antico era nato dopo la grande stagione delle filosofie ellenistiche e aveva accolto in sé, già nel pensiero di Plotino, molte suggestioni che provenivano da Aristotele e dagli stoici. Agostino poi, per la sua formazione personale, era molto attento alle posizioni degli scettici, perché nel suo lungo cammino verso la fede cristiana aveva dovuto affrontare il dubbio e la convinzione che la verità non possa essere compresa dall’uomo, e quindi si era misurato a fondo con le posizioni scettiche. Nella sua opera, quindi, se si esclude il materialismo epicureo, gran parte della tradizione greca è utilizzata nel tentativo di legare insieme, in modo coerente, la ragione e la fede. Agostino, infatti, è cosciente che la religione cristiana si fonda su un mistero, cioè su una verità che essendo superiore alle capacità di comprensione della mente dell’uomo non può che essergli data per rivelazione (e quindi attraverso i testi sacri della tradizione ebraico-cristiana). L’adesione dell’uomo a questa rivelazione avviene attraverso la fede, ma l’uomo è una creatura razionale, a cui non si può chiedere di accettare una verità rivelata senza accostarvisi anche con la ragione. La soluzione che Agostino trova è sintetizzata in una formula molto efficace: «Crede ut intelligas, intellige ut credas». La fede aiuta l’intelligenza, l’intelligenza a sua volta deve porsi al servizio della fede. Soltanto la loro unione salva la razionalità e quindi l’umanità dell’uomo e allo stesso tempo permette l’adesione incondizionata al mistero che Dio è per noi. Il problema educativo va inquadrato in questo contesto. In quanto erede della tradizione socratico-platonica, rivista in senso neoplatonico, Agostino ritiene che l’educazione debba essere un processo di tipo dialettico attraverso cui l’uomo penetra nella propria coscienza e vi fa luce, perché in se stesso troverà la verità. Ma non si tratta di una verità data: ciò che l’uomo trova penetrando nella propria interiorità è allo stesso tempo il senso del mistero e una via per uscire dalle tenebre e andare verso la luce. La dialettica che la filosofia mette in campo, dopo un millennio di riflessione che ha affinato concetti e metodi, conduce l’uomo fino alla comprensione dei confini del mistero, ma ciò che la ragione trova dopo, continuando la sua indagine, è solo la via sbarrata: è necessario quindi un atto d’illuminazione che provenga dall’esterno nella interiorità dell’uomo per garantire che la via sia ritrovata. Nel De Magistro vengono esaminate entrambe le vie: la ricerca dialettica è condotta sino ai limiti della pensabilità dei concetti (il tema è la ricerca su che cosa significa insegnare e apprendere mediante i segni, cioè le parole, i gesti); a un certo momento però il limite è raggiunto: Agostino scopre che operando con le parole e con gli altri segni (entro i confini della tradizione dialettica) si resta sempre in un universo fatto di parole e di segni e non si giunge mai alla verità. Il metodo dialettico va quindi superato e la mente dell’uomo deve disporsi ad accettare un’esperienza diretta della verità, che non può essere né data né indotta dall’esterno attraverso il dialogo: è un’esperienza che deve essere vissuta nella propria interiorità. L’educazione nella filosofia medievale 2 di 3 È questa la dottrina del maestro interiore, che coniuga la tradizione cristiana e il neoplatonismo. L’esperienza diretta della verità è possibile perché in noi abita la verità («In interiore homine habitat veritas»), ma questa verità è Cristo, non è cioè un corpo di dottrine, di idee di tipo platonico, ma è Dio stesso. Cristo qui è inteso come Lógos, cioè come principio razionale creatore, vita e pensiero insieme, l’origine stessa di ogni cosa. Che la formazione dell’uomo grazie all’educazione avvenga attraverso una via interiore è un concetto che Agostino riprende dalla tradizione greca. Che questo maestro sia Cristo, invece, soltanto la rivelazione cristiana può dirlo. La tradizione greca torna ad aiutarci nel definire chi sia Cristo, perché ci fornisce il concetto di Lógos come principio del creato. Lo scopo ultimo, come per Platone, è l’acquisizione della virtù, che non è soltanto il saldo possesso del bene, ma è anche la forza per ordinare la vita in funzione di questo bene. Agostino, infatti, ha del tutto abbandonato la concezione greca dell’intellettualismo etico, e sa che l’uomo può perfettamente conoscere il bene e seguire il male: la tradizione ebraica del peccato originale ha sostituito su questo punto decisivo il pensiero greco. L’uomo nella sua libertà è chiamato a scegliere tra il bene e il male e la virtù non è la libertà stessa, ma la scelta a favore del bene. Su questa scelta la rivelazione divina ha un peso decisivo, poiché orienta l’uomo attraverso l’illuminazione che dall’alto lo colpisce, opera del maestro interiore. L’esito della formazione dell’uomo, garantito dall’adesione al maestro interiore, è la felicità. Come per Platone e Aristotele, la vita felice è quella dell’uomo che cerca e vede la verità con l’intelligenza. Anche se per i tre filosofi la nozione di verità ha significati differenti (le idee e soprattutto l’idea del bene, i principi della natura delle cose e dell’uomo stesso, Cristo), tuttavia è sempre il suo saldo possesso a garantire all’uomo, che è una creatura razionale, la felicità. Tommaso d’Aquino: le due forme di educazione Quando Tommaso d’Aquino in una quaestio riprende il tema dell’educazione e il problema di chi sia il maestro, può contare sulla tradizione che risale ad Agostino: il maestro è essenzialmente Cristo, maestro interiore. Tuttavia Tommaso riserva alla ragione dell’uomo un posto diverso rispetto alla fede. Per Tommaso la ragione deve essere del tutto autonoma e indipendente dalla fede. Certo, non potrà arrivare a conclusioni diverse, perché la verità è una sola. La verità trovata dalla retta ragione è la stessa raggiunta attraverso la fede. Tuttavia il legame tra fede e ragione che Agostino aveva instaurato, su base platonica e neoplatonica, viene reciso. Tommaso si rivolge piuttosto ad Aristotele per trovare i concetti chiave per la sua filosofia, e in Aristotele non c’è alcuna apertura razionale alla trascendenza dentro di noi, come invece si trovava in Platone e nei neoplatonici. Nella Quaestio De Magistro quindi Tommaso distingue due forme di educazione: la prima ha un carattere passivo e si ha quando un uomo insegna a un altro attraverso segni (parole); la seconda ha un carattere attivo e si ha quando un uomo con la propria intelligenza impara da se stesso. Sembrerebbe quindi che Tommaso non accolga la tesi agostiniana che non si possa imparare attraverso segni; in realtà fornisce una diversa interpretazione dell’intelligenza umana. Per Tommaso, infatti, imparare da un altro attraverso segni significa soltanto far uso della propria ragione in rapporto alle parole dell’altro; dunque l’educazione avviene sempre attraverso un uso corretto della ragione: nessun altro che noi stessi può usare la nostra ragione, l’insegnante che dialoga con noi non può farlo. Pertanto anche per Tommaso il maestro, in fondo, è sempre il maestro interiore. Ma non si tratta più di un’illuminazione di tipo agostiniano, della presenza in noi di Cristo/Lógos come realtà L’educazione nella filosofia medievale 3 di 3 che ci trascende, anche se vive nella nostra interiorità. Ciò di cui si parla è semplicemente la ragione dell’uomo, che ci è sì stata data da Dio, ma Dio le rimane tuttavia estraneo in quanto creatore (il creatore è diverso per natura dalla creatura), anche se la ragione umana è immagine stessa della ragione di Dio: «Tale lume della ragione […] è posto in noi da Dio come una sorta di immagine della verità increata presente in noi. Pertanto, visto che ogni insegnamento umano non può avere nessuna efficacia se non in virtù di quel lume della ragione, è chiaro che è soltanto Dio che interiormente e principalmente insegna». Ma non direttamente: solo in quanto creatore della nostra mente.