Microeconomia Indice Introduzione …………………………………………………………………………………………..pag. 3 Domanda e Offerta …………………………………………………………………………………..pag. 10 La curva di offerta …………………………………………………………………………pag. 11 La curva di domanda ………………………………………………………………...….pag. 14 Meccanismo di mercato ………………………………………………………………………...….pag. 17 Variazioni dell’equilibrio di mercato ………..………………………………………...….pag. 19 Teoria del consumatore ………………………………………………………………………...….pag. 22 Vincolo di bilancio ……………………………………………………………...….pag. 23 Preferenze del consumatore ……………………………………………………...….pag. 29 Curve d’indifferenza: beni sostituti e beni complementari …………………...….pag. 36 Scelta ottima del consumatore ………………………………………………...….pag. 38 Curva di Engel ..………………………………………………………………...….pag. 42 Costruzione della curva di domanda …………………………………………………...….pag. 46 Effetto di sostituzione ed effetto reddito per un bene inferiore ………………...….pag. 52 Effetto di sostituzione ed effetto reddito per un bene di Giffen ………………...….pag. 53 Surplus del consumatore ………………………………………………………………...….pag. 55 Elasticità della domanda ……………………………………………………………………...….pag. 57 Elasticità della domanda rispetto al prezzo …………………………………...….pag. 57 Elasticità della domanda rispetto al reddito …….…………………………………...….pag. 62 Elasticità della domanda rispetto ad altri beni o incrociata ……………………...….pag. 65 Teoria della produzione: l’Impresa …………………………………………………………...….pag. 66 La funzione di produzione …………………………………………………...….pag. 67 L’analisi …………………………………………………………………...….pag. 71 La funzione di produzione di lungo periodo ……………………………………...….pag. 76 Gli Isoquanti ……………………………………………………………………...….pag. 77 Gli Isocosti ……………………………………………………………………...….pag. 82 Combinazione ottima di capitale e lavoro ……………………………………...….pag. 85 La funzione di costo di breve periodo …………………………………...….pag. 88 I Costi Fissi di produzione ……………………………………………………...….pag. 89 I Costi Variabili ………………………………………………………………...….pag. 90 I Costi Totali …………………………………………………………………...….pag. 92 Costi Fissi Medi …………………………………………………………...…....pag. 94 Costi Variabili Medi ……………………………………………………………….pag. 95 Costi Totali Medi …………………………………………………………………..pag. 97 Costi Marginali .………………………………………………………………...….pag. 98 Concorrenza Perfetta ………………………………………………………………...….pag. 100 Metodo dei costi marginali ...…………………………………………………...….pag. 107 Monopolio …….……………………………………………………………………...….pag. 111 Oligopolio ….…………………………………………………………………………...….pag. 112 Concorrenza monopolistica …………………………………………………………...….pag. 115 INTRODUZIONE L’Economia Politica è una scienza che studia l’attività dell’uomo rivolta al soddisfacimento dei propri bisogni. Essa si suddivide in due branche, Microeconomia e Macroeconomia, che studiano rispettivamente il comportamento dei singoli individui e quello delle c.d. “grandezze aggregate”. Questo studio avviene attraverso l’utilizzo di mezzi matematici e geometrici, pertanto risulta necessario effettuare alcuni richiami di analisi matematica. Cominciamo con il concetto di funzione. Dicesi funzione ogni regola matematica che permette di calcolare il valore di una variabile (dipendente), partendo dal valore di una o più variabili (indipendenti) e si scrive: y= f(x) con x variabile indipendente (y variabile dipendente) In questo caso, la variabile y varia a seconda della funzione e a seconda dei valori arbitrari dati alla variabile x. Consideriamo ora la legge: y= f(x1,x2) due variabili indipendenti x1 e x2 (y variabile dipendente) In questo caso, per ogni valore di x1 e x2 (scelti a piacere), la variabile y assume un valore calcolabile a seconda della funzione considerata. Le funzioni sono rappresentabili sul piano cartesiano mediante un grafico, il quale permette di evidenziare la relazione causale esistente tra due variabili (una dipendente e l’altra indipendente). La relazione esistente tra due variabili può essere: - lineare quando è rappresentabile come una linea retta; - non lineare quando è rappresentabile come una curva. Inoltre, d’ora in avanti diremo che due variabili sono legate da una relazione diretta se aumentano proporzionalmente (ad esempio offerta e ricavo totale); viceversa diremo che esse sono legate da una relazione inversa se all’aumentare dell’una, l’altra diminuisce proporzionalmente (come accade ad esempio per la domanda all’aumentare del prezzo di mercato). Introduciamo ora il concetto di pendenza di una funzione, ovvero di coefficiente angolare di una curva: la pendenza di una funzione misura la sua inclinazione e indica il grado di reattività della variabile y rispetto alla variabile x. La pendenza si misura facendo il rapporto tra la distanza delle ordinate (Δy) e la distanza delle ascisse (Δx): Pendenza (coefficiente angolare) : Δy/ Δx Se la relazione è diretta (funzione crescente), la pendenza sarà positiva, mentre se la relazione è inversa (funzione decrescente), essa sarà negativa. Infine, quando avremo a che fare con funzioni lineari (rappresentate da una retta), riscontreremo una pendenza costante pari a k (coefficiente angolare della retta); viceversa, utilizzando funzioni curvilinee, riscontreremo una pendenza diversa a seconda del punto in cui viene calcolata (In particolare, di volta in volta, andremo a calcolare la pendenza della retta tangente nel punto della curva considerato). Nel caso delle funzioni curvilinee, a seconda dell’aumento o della diminuzione del coefficiente angolare all’aumentare della variabile indipendente, essa sarà rispettivamente concava o convessa. 4 Introduciamo ora il concetto di vincolo di bilancio e una relazione generale che consentirà di calcolarlo in tutti i casi. Il vincolo di bilancio rappresenta l’insieme dei beni che un consumatore può acquistare spendendo tutto il suo reddito. Esso dipende da due variabili: reddito e prezzo dei beni. Analizziamo ad esempio la spesa per acquistare i beni y1 e y2 : 10y1 + 20y2= 200 Essa non può superare i 200 euro (Reddito). Quindi: Spesa ≡ Ricavo Questa è la relazione generale de vincolo di bilancio. Nella formula del vincolo compaiono: 1. due variabili: le quantità dei beni y1 e y2 2. tre dati: i due prezzi e il reddito Per i tre dati usiamo i seguenti simboli: 1. P1 e P2 per i prezzi 2. M per il reddito Vediamo quindi la forma implicita e quella esplicita della relazione del vincolo: P1y1 + P2y2 y2 = M _ P2 forma implicita P1 y1 forma esplicita P2 5 In questo caso, il coefficiente angolare è _ P1, mentre il termine noto è M P2 P2 La formula del vincolo sarà: y2 = M _ (P1) y1 P2 P2 Ed è del tipo: y = a + bx Dove a è il termine noto e b il coefficiente angolare. A seconda del valore di b, si avrà un andamento diverso della funzione. Primo caso: b>0 a misura l’intercetta ovvero l’intersezione del vincolo con l’asse delle ordinate; b misura l’inclinazione della retta. Se essa aumenta, la retta ruota verso l’alto; se invece diminuisce, la retta ruota verso il basso. 36 Secondo caso: b<0 Se ora consideriamo la formula del vincolo si ha: a = M b = (P1) P2 P2 E graficamente sarà: b è la pendenza della retta ed ha un valore negativo 7 Consideriamo ora il concetto di variazione, indicata col simbolo Δ: una variazione sull’asse delle ascisse è indicata come Δx = x2-x1; una variazione sull’asse delle ordinate è indicata come Δy = y2 – y1. Quindi la variazione viene calcolata facendo la differenza tra valore finale e iniziale della variabile considerata. Se consideriamo un coefficiente angolare b=2, quando Δx = 1 si avrà sempre Δy = 2. Questo perchè qualunque sia il valore di Δx, si ottiene sempre: Δy = b Δx, ovvero stando all’esempio: Δy = 2 Δx Infatti, come abbiamo già visto il coefficiente angolare è sempre uguale al rapporto Δy . Δx Introduciamo il concetto di variazione percentuale. Se indichiamo con xn (n inteso come nuovo) il valore finale e con xv (v inteso come vecchio) il valore finale, Δx sarà: Δx = xn-xv La variazione percentuale sarà la variazione diviso per il livello di partenza ed il risultato sarà successivamente moltiplicato per 100. Consideriamo un esempio: pv = 20 pn = 22 Δp = pn – pv = 2 Δp = 2 = 0,1 = 10% pv Variazione Variazione percentuale 8 Per meglio comprendere come misurare l’inclinazione di una curva, consideriamo la distribuzione di Gauss-Giordan l’inclinazione varia da punto a punto; in ogni punto è misurata dal coefficiente angolare della retta tangente al punto; ha sempre lo stesso valore Δy/ Δx solo se il valore di Δx è infinitesimo. Ritornando al vincolo di bilancio, la forma implicita risulta comoda per costruire il grafico del vincolo: 9 si pone y2 (Quantità desiderata bene 2) = 0 e si trova subito la quantità che si acquisterebbe se si decidesse di spendere l’intero reddito nel bene 1, cioè y1 = M P1 Allo stesso modo si pone y1 (Quantità desiderata bene 1) = 0 e si trova subito y2 = M P2 Verifichiamo cosa succede se aumenta P1 Se P1 aumenta, il paniere M si sposta a sinistra e la retta ruota verso il P1 Basso, quindi sarà possibile acquistare una quantità inferiore del bene 1 per mantenere lo stesso vincolo di bilancio 10 Analizziamo infine il saggio marginale di sostituzione: Questa è la curva di indifferenza e rappresenta l’insieme dei beni che garantiscono al consumatore lo stesso livello di utilità. La sua inclinazione ci è data dal coefficiente angolare della retta tangente al punto. L’inclinazione della curva si chiama SAGGIO MARGINALE DI SOSTITUZIONE (S.M.S.), e rappresenta graficamente la quantità di bene a cui si è disposti a rinunciare per ottenere una unità aggiuntiva di un altro bene, mantenendo lo stesso livello di utilità. E’ dato dal valore assoluto del coefficiente angolare della retta tangente al punto. Quando l’inclinazione, in valore assoluto, lungo una curva di indifferenza tende a diminuire, come nella figura, la curva è convessa. Nel caso molto usuale di preferenze convesse del consumatore il saggio marginale di sostituzione è decrescente, quindi la quantità di bene a cui si è disposti a rinunciare per avere una unità aggiuntiva di un altro bene tende a diminuire. 11 DOMANDA E OFFERTA La ragione per cui noi studiamo la microeconomia è legata al fatto che le risorse naturali presenti sul nostro pianeta sono scarse e dunque occorre allocarle in modo tale da soddisfare le esigenze del maggior numero di individui. D’altro canto, se per assurdo, il reddito fosse illimitato, non ci sarebbe il problema della povertà, se l’aria che respiriamo fosse illimitata non ci sarebbe neanche il problema dell’inquinamento e neppure la disoccupazione sarebbe un problema se ci fosse un numero di posti di lavoro sufficiente a soddisfare le esigenze di ciascun individuo. Tuttavia, dato che ciò non avviene, la microeconomia si preoccupa di come allocare in modo efficiente queste risorse scarse. Per fare ciò, essa ipotizza un “mercato di beni”, ovvero, un luogo fisico o virtuale dove interagiscono due tipologie di agenti: 1. il CONSUMATORE: che domanda beni e servizi 2. il PRODUTTORE: che offre beni e servizi Essi, avendo entrambi il problema della scarsità delle risorse, interagiscono nel mercato e, grazie al “meccanismo dei prezzi”, raggiungono l’equilibrio di mercato, ovvero una condizione in cui entrambi scambiano le quantità desiderate ai prezzi desiderati. A tal proposito, è opportuno sottolineare come tale equilibrio, nella realtà rappresenti più un punto di riferimento a cui tendere che un obiettivo pienamente raggiungibile. Inoltre dobbiamo precisare che il meccanismo dei prezzi, benché imperfetto, risulta assai più efficiente quando lo Stato non interviene nel mercato, ma lascia quella che Adam Smith chiamava la “mano invisibile”, libera di agire. (es. l’Equocanone: quando lo Stato è intervenuto per contenere i prezzi degli affitti sul mercato, ha ottenuto un 12 effetto esattamente opposto, incentivando inoltre la pratica degli affitti in nero). Per questo la microeconomia, auspica quasi sempre il non-intervento dello Stato nel mercato(laissez-faire, laissez-passaire), in modo da favorire la libera interazione di consumatori e produttori che, rappresentano rispettivamente la domanda e l’offerta. CURVA DI OFFERTA La curva di offerta rappresenta graficamente il comportamento dei produttori al variare dei prezzi sul mercato, ovvero la quantità di prodotto che i produttori sono disposti a vendere a quei prezzi, ipotizzando che rimangano costanti tutti gli altri fattori che influiscono sulla quantità offerta (ceteris paribus). Tale relazione prezzo-quantità può essere descritta dalla seguente equazione: QS = QS (P) Quantità offerta in funzione del prezzo. Come si evince dal grafico, la curva di offerta è positivamente inclinata e ciò implica che all’aumentare dei prezzi di mercato, i produttori saranno disposti a produrre una quantità maggiore dello stesso bene. Tuttavia è opportuno precisare che, anche se ciò si verifica nella quasi totalità dei casi, esistono delle eccezioni, ovvero casi in cui l’offerta non aumenta all’aumentare dei prezzi, bensì rimane costante perché la quantità che può essere prodotta è fissa, invariabile. Ad esempio il numero delle lezioni all’università in un semestre è prestabilito e anche se uno studente fosse disposto a pagare una retta più elevata, esso non potrebbe aumentare. Lo stesso vale per i quadri d’autore, infatti, anche se il prezzo che i suoi estimatori sono disposti a pagare aumentasse a dismisura, il numero dei quadri non potrebbe aumentare (perché ad esempio l’autore non è più in vita). Per questo motivo è più corretto parlare di teoria dell’offerta e non di legge dell’offerta. Una seconda precisazione poi va fatta in relazione al fatto che, benché i nostri grafici siano per comodità bidimensionali e dunque diano l’impressione che la quantità offerta dipende solo dal livello dei prezzi di mercato, in realtà essa è influenzata anche da altre variabili: - COSTI DI PRODUZIONE: Lavoro Capitale Materie prime - TECNOLOGIA; - CONDIZIONE CLIMATICHE (fondamentali, ad esempio, per le aziende agricole) In relazione alla curva dell’offerta sopra riportata si precisa che: una variazione del prezzo determina degli spostamenti sulla curva di offerta; una variazione di un’altra delle variabili elencate determina una traslazione della curva di offerta. Esempio: CADUTA DEI COSTI DI PRODUZIONE Se si riducono i costi di produzione, il produttore ha un maggiore incentivo a produrre e, dunque, a vendere una quantità superiore del bene, e ciò graficamente si traduce in una traslazione verso destra della curva di offerta. Il risultato sarà che, in corrispondenza dello stesso prezzo di mercato, la quantità offerta sarà maggiore se diminuiscono i costi di produzione. Una situazione analoga (traslazione verso destra della curva di offerta) si verificherà anche in caso di: - miglioramento della tecnologia di produzione; - aumento del numero di produttori sul mercato; - diminuzione delle tasse. Viceversa, la curva di offerta traslerà verso sinistra (con conseguente diminuzione della quantità offerta a parità di prezzi) in caso di: - peggioramento della tecnologia; - diminuzione del numero dei produttori sul mercato; - aumento delle tasse. CURVA DI DOMANDA Rappresenta graficamente il comportamento del consumatore al variare del prezzo sul mercato, ovvero quanto i consumatori di un bene sono disposti a comprarne, quando il prezzo unitario cambia, se rimangono costanti tutte le altre variabili che influenzano la domanda (ceteris paribus). Tale relazione prezzo-quantità può essere definita dalla seguente equazione: QD = QD (P) quantità domandata in funzione del prezzo Come si evince dal grafico, la pendenza della curva di domanda è negativa e ciò implica che i consumatori saranno disposti a comprare una quantità maggiore di un bene quando il suo prezzo diminuisce. A tal proposito è opportuno sottolineare che tale relazione, a differenza della funzione di offerta E’ UNA LEGGE. Anche la domanda come l’offerta, è influenzata da altre variabili: - REDDITO; - PREFERENZE DEI CONSUMATORI; - PREZZI DEI BENI COLLEGATI; Sostituti Complementari - NUMERO DEI CONSUMATORI. Naturalmente, anche in questo caso, è necessario fare un’importante distinzione in relazione al grafico della curva di domanda. In particolare è opportuno precisare che: in seguito a variazioni del prezzo saranno registrati spostamenti lungo la curva di domanda; in seguito a variazioni di un’altra delle variabili elencate si verificherà una traslazione della curva di domanda Esempio: AUMENTO DEL REDDITO DEL CONSUMATORE Se il reddito del consumatore aumenta, esso avrà una maggiore propensione al consumo, ovvero, in corrispondenza di un prezzo uguale a quello precedente, egli sarà disposto ad acquistare una quantità maggiore del bene. Ciò graficamente si traduce in una traslazione verso destra della curva di domanda. Una situazione analoga (traslazione verso destra della curva di domanda) si verificherà anche in caso di: - aumento del numero di consumatori; - aumento del prezzo dei beni sostituti; - diminuzione del prezzo dei beni complementari; - aumento della preferenza dei consumatori per il bene in questione. Al contrario, si verificherà una traslazione della curva verso sinistra in caso di: - diminuzione del numero di consumatori, - diminuzione del prezzo dei beni sostituti, - aumento del prezzo dei beni complementari, - diminuzione della preferenza dei consumatori per il bene in questione. IL MECCANISMO DI MERCATO Se rappresentiamo la curva di offerta e la curva di domanda in un unico grafico, otteniamo il seguente risultato: Il punto E, nel quale la curva di offerta e quella di domanda si incontrano, è detto EQUILIBRIO DI MERCATO (o market clearing price). Quando esso si verifica, si realizzano la seguenti condizioni: Quantità domandata uguale alla quantità offerta (QD = QS) Nessuna carenza di domanda Nessun eccesso di offerta Nessuna pressione verso cambiamenti di prezzo Quest’ultima caratteristica, è legata al fatto che quello trovato, è un equilibrio PARETO-EFFICIENTE, ovvero una situazione di mercato in cui risulta impossibile migliorare la condizione di una parte senza peggiorare la condizione dell’altra. Tale condizione rende l’equilibrio stabile. Naturalmente, esso rappresenta una situazione ideale, difficilmente raggiungibile in una realtà come la nostra, spesso caratterizzata dalle cosiddette “inefficienze del mercato” (informazione asimmetrica e azzardo morale). Esso, comunque, dovrebbe sempre essere considerato un punto di riferimento verso il quale convergere, almeno nel lungo periodo. Difficilmente infatti, l’equilibrio è presente sin dall’inizio (ad esempio, al momento del lancio sul mercato di un nuovo prodotto). Vediamo dunque cosa accade in una situazione di equilibrio. A tal proposito presentiamo due possibili alternative: non- 1. Prezzo di mercato maggiore del prezzo di equilibrio In questa situazione registreremo un “eccesso di offerta” (Q S >Q D ) ovvero un SURPLUS, che indurrà i produttori a diminuire i prezzi di mercato. Ciò inevitabilmente provocherà una diminuzione della quantità offerta ed un aumento di quella domandata, con la conseguente traslazione delle rispettive curve e con l’individuazione di un nuovo punto di equilibrio: 2. Prezzo di mercato minore del prezzo di equilibrio Questa volta registreremo una CARENZA di offerta, perché i produttori non saranno disposti a soddisfare la domanda a queste condizioni e di conseguenza alzeranno il prezzo inducendo una diminuzi one della quantità domandata e un aumento della quantità offerta, fino a quando non si giungerà nel punto di equilibrio. VARIAZIONI DELL’EQUILIBRIO DI MERCATO Benché l’equilibrio di mercato sia Pareto - efficiente esso può andare incontro a variazioni, se cambia una delle variabili “ ceteris paribus” , che solitamente consideriamo costanti, relative alle funzioni di domanda e/o di offerta. Vediamo alcuni esempi: Es.1: CADUTA DEI PREZZI DELLE MATERIE PRIME Questa variazione incide sulla curva di offerta, perché i produttori (essendo diminuiti i “costi di produzione) avranno interesse a offrire una quantità maggiore per un livello di prezzo pari al precedente; la -curva di offerta traslerà verso destra, creando una situazione di “eccesso di offerta” (B); i produttori saranno così costretti ad abbassare i prezzi fino a giungere nel nuovo punto di equilibrio (C); la caduta dei prezzi delle materie prime ha creato un nuovo equilibrio in cui il prezzo è minore e la quantità scambiata è maggiore Es.2: AUMENTO DEL REDDITO DEL CONSUMATORE - Questa variazione incide sulla curva di domanda, perché il consumatore, avendo un reddito più alto, sarà disposto ad acquistare una maggiore quantità del bene ad un livello di prezzo pari al precedente; - la curva di domanda traslerà verso destra creando una situazione di CARENZA DI OFFERTA; - i produttori di conseguenza aumenteranno i prezzi fino a che non si giungerà nel nuovo punto di equilibrio; - l’aumento del reddito del consumatore ha creato un nuovo equilibrio in cui il prezzo è maggiore e anche la quantità scambiata è maggiore Es.3: AUMENTO DEL REDDITO e CADUTA DEI PREZZI DELLE MATERIE PRIME - Sia la curva di offerta che la curva di domanda trasleranno verso destra; - questa volta tuttavia, la posizione del nuovo equilibrio rispetto al precedente non può essere definita a priori, poiché non risulterà essere sempre la stessa, bensì dipenderà da quale sarà la variazione maggiore fra l’aumento del reddito (che trasla verso destra la curva di domanda) e la caduta dei prezzi delle materie prime (che trasla verso destra la curva di offerta) - Se ad esempio, ipotizziamo che l’aumento in D sia maggiore dell’aumento in S otteniamo la seguente situazione: Nel nuovo equilibrio si registrano prezzi e quantità più alte Se invece avessimo ipotizzato un aumento in D minore dell’aumento in S avremmo ottenuto una situazione diversa, giungendo ad un nuovo punto di equilibrio in cui il prezzo sarebbe stato minore e la quantità maggiore. LA TEORIA DEL CONSUMATORE La teoria del consumatore ha come obiettivo principale quello di comprendere il comportamento del consumatore che, è stato rappresentato tramite la curva di domanda individuale. Essendo il nostro sistema caratterizzato dalla scarsità di risorse il consumatore non è libero nelle sue scelte, bensì vincolato dal suo reddito (se questo fosse infinito infatti non ci porremmo il problema della scelta del consumatore). Si pone dunque un problema di “massimizzazione vincolata”, ovvero di massimizzazione della soddisfazione del consumatore, sotto due vincoli: 1) vincolo di bilancio (vincolo oggettivo) 2) curve di indifferenza (vincolo soggettivo) Il vincolo di bilancio è detto “vincolo oggettivo” perché non cambia a seconda dei soggetti presi in esame. Infatti, posto un certo reddito, la quantità acquistabile è uguale per tutti i consumatori. Tale oggettività scaturisce dal fatto che esso dipende da due variabili esogene alla volontà del consumatore: reddito prezzo dei beni Nei nostri modelli, ipotizzeremo per comodità, l’esistenza di due soli beni nel mercato, ma è facilmente dimostrabile come, le considerazioni che faremo, possano essere estese a un mercato con un numero superiore di beni. Non è detto che tutti i consumatori decidano di ripartire il loro reddito nelle stesse proporzioni, ovvero che decidano di acquistare la stessa quantità del bene 1 e la stessa quantità del bene 2. Detta decisione dipenderà, infatti, dalle “preferenze dei consumatori”, che ovviamente, differiscono a seconda dei soggetti. Per questo si parla di “vincolo soggettivo” che viene rappresentato graficamente attraverso le “curve di indifferenza”, costituite dall’insieme di combinazioni dei due beni che assicurano al consumatore la stessa utilità. Quindi, la teoria del consumatore ci aiuta a capire quale sia, posto un certo reddito e un dato livello dei prezzi, la combinazione dei due beni che, in base alle proprie personali preferenze, rende massima l’utilità del consumatore. A tal fine si dovrà procedere all’esame ed allo studio integrato del “vincolo di bilancio” derivante dalla condizioni poste (reddito e prezzo dei beni) e delle “curve di indifferenza” relative al consumatore preso in considerazione. Passiamo dunque a formalizzare nonché a rappresentare graficamente quanto detto finora. 1) VINCOLO DI BILANCIO Esso rappresenta le varie combinazioni di beni ( dette anche “panieri di consumo”) che il consumatore può permettersi dato il suo reddito e il prezzo dei beni. Se lo rappresentiamo, infatti, in un sistema di assi cartesiani, esso disegna una retta in cui ogni punto indica una possibile combinazione dei due beni che il consumatore può acquistare. Ogni combinazione è detta paniere1. Vediamo dunque come si costruisce gr aficamente il vincolo di bilancio: - Si parte raccogliendo informazioni in merito al reddito del consumatore, al prezzo del bene x e al prezzo del bene y; Si - calcolano le intercette, ovvero le intersezioni del vincolo con gli assi cartesiani. Otterremo così un’intercetta verticale (R/Py) ed una orizzontale (R/Px); - Si uniscono le intercette con una retta e si ottiene il vincolo di bilancio che risulterà essere sempre una retta . Esempio: - Se il consumatore decide di spendere tutto il reddito per il bene x : egli è in grado di acquistare R/Px unità; - Se il consumatore decide di spendere tutto il reddito per il bene y egli è in grado di acquistare R/Py unità; - Se il consumatore decide di acquistare entrambi i beni sceglierà uno dei panieri compresi nella retta congiungente le intercette 1 Il più noto paniere, è quello che ogni anno prende in considerazione l’ISTAT, per calcolare l’inflazione: un insieme d i beni che sono ritenuti essere i più utilizzati dagli italiani, del quale si stimano le variazioni dei prezzi rispetto all’anno precedente) (maggiore sarà la quantità acquistata di un bene , minore sarà la quantità acquistata dell’altro bene ); Qualunque paniere sceglierà fra quelli presenti sul vincolo di bilancio, avrà un costo complessivo pari al proprio reddito R . Esempio: - Nel punto C avremo la seguente spesa: spesa bene x: 50*5= 250 spesa bene y: 250*1= 250 totale spesa: 250+250= 500 R - Il punto E rappresenta un paniere che dato il nostro reddito e i prezzi del mercato, il consumat - Il punto D è una scelta senso tenere un cer ore non può permettersi; inefficiente. In economia, infatti, non ha to ammontare di denaro da parte, in quanto il denaro va speso in beni di consumo oppure va investito. D non è un punto in cui si realizza un risp inefficiente allocazione de speso solo in parte . armio, bensì una situazione di l reddito, in quanto quest’ultimo viene Formalizziamo ora il vincolo di bilancio: Equazione del vincolo di bilancio (forma implicita): R= Px*X + Py*Y Esplicitando l’equazione rispetto al termine in ordinata abbiamo l’equazione del vincolo di bilancio in forma esplicita: Y= (-Px/Py)*X + R/Py - La pendenza del vincolo di bilancio sarà pari a -Px/Py; - L’intercetta con l’asse delle ordinate sarà R/Py; - L’intercetta con l’asse delle ascisse sarà R/Px; Dall’equazione del vincolo di bilancio deduciamo anche che la sua pendenza sarà sempre negativa. L’interpretazione economica di detta considerazione è che, naturalmente, essendo il reddito limitato, all’aumentare della quantità acquistata di un bene, corrisponderà una diminuzione proporzionale della quantità acquistata dell’altro (relazione inversa tra le quantità acquistabili dei due beni). Tuttavia d’ora in avanti , dando per assodato che la pendenza del vincolo di bilancio sia sempre negativa, considereremo sempre il suo valore assoluto, in modo da avere un valore positivo. SPOSTAMENTI DEL VINCOLO DI BILANCIO DOVUTI AD UNA VARIAZIONE DEI PREZZI O AD UNA VARIAZIONE DEL REDDITO DEL COSUMATORE Come già stato detto, il vincolo di bilancio dipende da una serie di variabili, al variare delle quali il vincolo cambierà. In particolare, esso subirà una variazione in due casi: a) variazione del prezzo dei beni b) variazione del reddito del consumatore a) Variazione del prezzo dei beni La variazione del prezzo di uno dei due beni determina sempre una variazione della pendenza del vincolo di bilancio. Esempio: aumento del prezzo del bene x (Px ↑) Se il prezzo del bene rappresentato sulle ascisse aumenta il vincolo di bilancio diventa più ripido, infatti, l’intercetta orizzontale si sposta verso sinistra mentre l’intercetta verticale, rimanendo Py costante, non varia. Di conseguenza il vincolo di bilancio ruoterà in senso orario all’intercetta verticale che fungerà da perno. intorno È facilmente dimostrabile che, se invece aumenta il prezzo del bene y, l’intercetta orizzontale rimarrà la stessa, mentre l’ intercetta verticale si sposterà verso il basso facendo ruotare il vincolo di bilancio in senso antiorario. Ricapitolando: Variazione di Px : - Aumento: rotazione oraria del vincolo di bilancio - Diminuzione: rotazione antioraria del vincolo di bilancio Variazione di Py: - Aumento: rotazione antioraria del vincolo di bilancio - Diminuzione: rotazione oraria del vincolo di bilancio b) Variazione del reddito del consumatore Come è facilmente intuibile se il reddito del consumatore varia potrà permettersi di acquistare una quantità egli diversa di entrambi i beni. Ciò graficamente si tradurrà in una traslazione del vincolo di bilancio In particolare, se il reddito aumenterà il consumatore potrà acquistare una maggiore quantità di beni ed assisteremo ad una traslazione verso destra del vincolo di bilancio. Viceversa, se il reddito diminuirà assisteremo ad una traslazione verso sinistra. Esempio: riduzione del reddito del consumatore . Nel nostro esempio, i beni continuano ad essere scambiati allo stesso trade-off perché i prezzi dei beni non sono cambiati (graficamente ciò è riscontrabile dal fatto che il nuovo vincolo è parallelo al precedente), tuttavia le possibilità de consumatore si sono ridotte. Allo stesso modo si può dimostrare che: - se raddoppia il reddito e raddoppiano entrambi i prezzi, le due variazioni si compensano e si annullano, lasciando la situazione inalterata; - se il reddito raddoppia e i prezzi si dimezzando, la capacità di acquisto del consumatore aumenta di 4 volte. 2) PREFERENZE DEL CONSUMATORE Finora abbiamo parlato di un vincolo oggettivo, uguale per tutti i consumatori, i quali non possono intervenire sulle sue variabili (reddito e prezzo dei beni). Abbiamo, però, già accennato al fatto che esiste un secondo vincolo, stavolta soggettivo, da ricondurre alle personali preferenze di ogni singolo consumatore, il quale, dato il vincolo di bilancio, sceglierà la combinazione di beni (paniere) che massimizza la sua utilità. A tal proposito è interessante notare come ogni individuo abbia preferenze diverse per ogni bene, ovvero attribuisce ad ognuno di essi un’importanza diversa dagli altri individui in base a quello che è il suo ordinamento delle preferenze. Esso permette al consumatore di classificare i diversi panieri in base alla loro desiderabilità. Pertanto è opportuno sottolineare come gli economisti non facciano valutazioni di merito sulle preferenze dell’individuo (de gustibus non disputandum est), tuttavia stabiliscono su di essi delle proprietà generali. Proprietà (assiomi) delle preferenze: - Completezza: il consumatore sa sempre scegliere tra panieri diversi. In altre parole gli economisti assumono che il consumatore sia sempre in grado di decidere quale paniere preferisce, senza indecisioni. - Transitività: se il consumatore preferisce A a B e B a C, allora preferirà A a C. - Non sazietà: il consumatore preferisce sempre avere la quantità massima di tutti i beni. - Convessità delle preferenze: Il Saggio Marginale di Sostituzione (SMS) è decrescente, quindi le curve di indifferenza hanno forma convessa. Ricapitolando, dunque, il vincolo di bilancio indica cosa il consumatore può permettersi di comprare mentre le preferenze indicano cosa il consumatore vorrebbe comprare. Naturalmente anche le preferenze , come il vincolo di bilancio, sono rappresentabili graficamente. Il metodo utilizzato in microeconomia è quello inventato da Pareto nel 1906: la Mappa delle Curve di Indifferenza (CdI). Una Curva di Indifferenza è il luogo geometrico di tutti i panieri di consumo per i quali il consumatore trae la medesima utilità (è indifferente). Nel piano cartesiano esistono infinite CdI, una per ogni livello di soddisfazione che il consumatore può raggiungere consumando i due beni. Ciascuna CdI comprende un numero infinito di panieri che danno al consumatore il medesimo livello di soddisfazione. La rappresentazione grafica della CdI è la seguente: Il paniere C contiene molta più birra, il paniere A contiene invece una quantità maggiore di pizza, ma entrambi garantiscono lo stesso livello di soddisfazione. Le CdI ci danno informazioni sulla quantità di un bene a cui il consumatore è disposto a rinunciare per ricevere una unità in più dell’altro bene. Questa informazione definita Saggio Marginale di Sostituzione (SMS) che pari alla pendenza della curva di indifferenza in un determinato punto. Esso infatti misura il saggio (rapporto) a cui il consumatore è disposto a scambiare un bene con un altro, stavolta non in base ai prezzi del mercato ma in base alle proprie preferenze. Dunque esso non va confuso col rapporto tra i prezzi che invece misura il saggio oggettivo a cui è possibile scambiare i beni sul mercato. Naturalmente essendo il SMS la pendenza di una curva ( che per definizione, ha un coefficiente angolare variabile), esso sarà differente per ogni punto della CdI. Tuttavia il metodo per calcolarlo è sempre lo stesso e dipende dalla differenza delle coordinate dei due panieri: SMS = ∆y / ∆x (differenza in ordinata) / (differenza in ascissa) Esso, in definitiva, indica la compensazione psicologica in termini del bene x richiesta in caso di riduzione del bene y per restare sulla stessa CdI. Esempio: i punti di invalidità Proprietà delle Curve di Indifferenza Esse non vanno confuse con gli assiomi delle preferenze, benché come vedremo, abbiamo una relazione diretta con essi. 1. Il consumatore preferisce sempre CdI più alte. 2. Le curve d indifferenza hanno sempre pendenza negativa. 3. Le curve di indifferenza non si intersecano mai. 4. Le curve di indifferenza hanno pendenza via via decrescente. Procediamo ora con la dimostrazione di suddette proprietà. 1. Il consumatore preferisce sempre CdI più alte Tale proprietà scaturisce direttamente dall’assioma di non sazietà delle preferenze, secondo il quale il consumatore, potendolo fare, sceglie sempre una maggiore quantità di beni perché ciò gli garantisce un maggiore livello di soddisfazione. 2. Le curve di indifferenza hanno sempre pendenza negativa Per dimostrare detta proprietà dobbiamo illustrare come si costruisce una curva di indifferenza. Per fare ciò consideriamo in un asse cartesiano un paniere A e tracciamo per esso perpendicolari agli assi,formando cosi 4 nuovi quadranti aventi il punto A come origine. Ora, se consideriamo il quadrante a Nord-Est tra cui è compreso anche il paniere B, notiamo che esso contiene tutti i panieri migliori di A. Viceversa, il quadrante a Sud-Ovest, che comprende il paniere C, contiene i panieri peggiori di A. Se congiungiamo B e C (paniere migliore di A e paniere peggiore di A) ci accorgiamo subito che i panieri che si trovano a Sud- Est sono indifferenti ad A. Con un ragionamento analogo si può facilmente verificare , tenendo conto di paniere E ed F che, anche i panieri che si trovano a NordOvest sono indifferenti ad A. Dunque ricapitolando: se consideriamo A come origine di un secondo asse cartesiano troviamo: - Quadrante Nord-Est: insieme di panieri migliori di A; - Quadrante Sud-Ovest: insieme dei panieri peggiore di A; - Quadrante Sud-Est Insieme dei panieri indifferenti ad A. - Quadrante Nord-Ovest Dunque la curva di indifferenza dovrà passare obbligatoriamente da quadrante Nord-Ovest al quadrante Sud-Est e dunque avrà sicuramente pendenza negativa. 3. Le curve di indifferenza non si intersecano mai Per dimostrare ciò, ragioniamo per assurdo e ipotizziamo che due curve di indifferenza possano intersecarsi: - A è indifferente a B; - B è indifferente a C; - Per l’assioma della transitività ciò implicherebbe che A è indifferente a C, ma dato che i due punti giacciono su due curve di indifferenza diverse, tale relazione è inammissibile. Dunque non esiste alcuna possibilità che due curve di indifferenza si possano intersecare in un punto. 4. Le curve di indifferenza hanno pendenza via via decrescente Detta proprietà scaturisce direttamente dall’assioma di convessità delle preferenze, secondo il quale il SMS è sempre decrescente. Iniziamo la dimostrazione affrontando la questione graficamente: Come si evince dal grafico il Saggio Marginale di Sostituzione è decrescente perché la compensazione desiderata per la rinuncia ad una unità di un certo bene diminuisce al crescere della dotazione iniziale di quel bene. In altre parole, se il consumatore ha un quantitativo eccessivo di birre, rinuncerà volentieri ad una grande quantità delle stesse per ricevere una pizza in più. Viceversa se la quantità di birre è esigua, egli non sarà disposto a cederne una grande quantità per ricevere un’altra unità di un bene, la pizza, di cui già possiede una grande quantità. Tale comportamento spiegabile dal fatto che quasi tutti i consumatori, indipendentemente dalle loro preferenze personali, propendono per la varietà, ovvero preferiscono a prescindere dai gusti personali avere una certa quantità di ogni bene, piuttosto che un’eccessiva quantità di uno solo (naturalmente c’è chi avrà una particolare preferenza per un bene e sarà portato ad acquistare un quantitativo maggiore della media, ma si doterà sempre di una certa quantità degli altri beni). CURVE DI INDIFFERENZA: BENI SOSTITUTI E BENI COMPLEMENTARI Sono state presentate le proprietà della curva di indifferenza ed in particolare ci siamo soffermati sulla quarta, secondo la quale il Saggio Marginale di Sostituzione è sempre decrescente. In realtà, a tal proposito è opportuno precisare che, benché ciò sia vero nella quasi totalità dei casi, esistono due casi speciali: - Beni sostituti perfetti - Beni complementari perfetti Due beni si dicono sostituti perfetti quando soddisfano alternativamente lo stesso bisogno, ovvero si scambiano nelle preferenza dell’individuo sempre nella stessa proporzione. Ciò implica che, in questo caso il Saggio Marginale di Sostituzione risulterà costante. Esempio: Considerando ricariche telefoniche da 25 € e da 50 €, il rapporto di scambio sarà sempre lo stesso. Essi sono perfetti sostituti, dunque le curve di indifferenza saranno questa volta delle rette. Sul mercato esistono anche dei sostituti imperfetti, ovvero beni il cui rapporto di scambio è molto spesso il medesimo, tranne in alcun casi dove si discosta leggermente. Esempio: Un soggetto può essere solito scambiare una tazza di caffè con due tè. Tuttavia ciò non esclude che qualche volta detto rapporto possa mutare. In questo caso dunque le CdI saranno una via di mezzo tra una retta e una curva. Due beni saranno invece definiti complementari perfetti se vengono consumati sempre nelle medesime proporzioni, al punto che il consumatore trae un’utilità maggiore solo se aumentano entrambi. Viceversa, se uno dei due rimane nelle stesse quantità, anche un aumento cospicuo dell’altro non migliora la soddisfazione del consumatore. Esempio: Questa volta in relazione al SMS, registreremo la seguente situazione: - Sul tratto verticale della curva: SMS = ∆y/∆x = ∞ il consumatore è disposto a rinunciare a infinite quantità del bene y per avere un’unità aggiuntiva del bene x. - Sul tratto orizzontale della curva: SMS = ∆y/∆x = 0 il consumatore non è disposto a rinunciare a nessuna unità del bene y per avere un’unità aggiuntiva del bene x perché non ne trarrebbe alcuna utilità. - Nel punto di cuspide (l’angolo) il SMS è invece indefinito. SCELTA OTTIMA DEL CONSUMATORE Come è gia stato detto, premettendo che il consumatore vorrebbe sempre più di quello che può permettersi, egli nella scelta del paniere ottimo, deve tenere conto delle sue possibilità di acquisto. Si pone dunque un problema di massimizzazione delle preferenze nel rispetto del vincolo di bilancio. In tal senso è opportuno precisare che la scelta ottima (first best) è una ed una sola e pertanto non ne è ammessa un’altra (second best). Tale considerazione, analiticamente impone non una condizione di intersezione (che genererebbe due soluzioni), bensì una condizione di tangenza tra le curve di indifferenza ed il vincolo di bilancio1, ovvero: 1 - SMS = -P1/P2 A tal proposito va ricordato che, in letteratura, esistono 3 metodi per trovare il paniere ottimo: metodo di sostituzione; - metodo di tangenza; -metodo di Lagrange. In corrispondenza del paniere ottimo dunque il rapporto tra i prezzi (pendenza del vincolo di bilancio) è pari al SMS (pendenza delle CdI). Affrontiamo ora la questione dal punto di vista grafico: - L’ottimo del consumatore coincide con il punto di tangenza tra il vincolo di bilancio e le curve di indifferenza; - Il paniere A darebbe una maggiore soddisfazione, ma non rientra nelle possibilità di acquisto del consumatore; - Il paniere B non rappresenta un punto di ottimo (di fatti solo i panieri sul vincolo di bilancio sono efficienti); - Il paniere C pur giacendo sul vincolo di bilancio non rappresenta un punto di ottimo perché si trova su una curva di indifferenza più bassa. L’unico paniere che rappresenta un punto di ottimo è dunque quello nel quale la valutazione soggettiva del consumatore coincide con la valutazione oggettiva del mercato. Detto ciò, è tuttavia opportuno sottolineare che un paniere che si trova su una curva di indifferenza più elevata, come il paniere A, potrebbe diventare acquistabile qualora si modificasse la situazione di mercato, ovvero se avvenissero delle variazioni di: - Reddito - Prezzo di mercato Effetto di una variazione del reddito Per valutare l’impatto di una variazione del reddito procediamo attraverso la statica comparata. Essa permette di evidenziare come, un aumento del reddito del consumatore faccia traslare il vincolo di bilancio verso destra senza mutare la sua pendenza. Ciò chiaramente consentirà al consumatore di scegliere un paniere che giace su una CdI più elevata. Tuttavia a questo punto è importante fare una netta precisazione. Quando il reddito del consumatore aumenta, infatti, non è detto che egli decida sempre di acquistare di più di entrambi i beni. Potrebbe succedere infatti che, trovandosi in una migliore situazione economica, il consumatore decida di comprare una quantità maggiore di alcuni beni e di ridurre invece le quantità di altri. Occorre dunque distinguere tra: - Beni normali: se il reddito aumenta, il consumo aumenta; - Beni inferiori: se il reddito aumenta, il consumo diminuisce. Esempio: Un consumatore nell’arco di un mese utilizza un certo numero di volte l’auto e un certo numero di volte i mezzi pubblici. Se il suo reddito aumenta, egli molto probabilmente utilizzerà molto di più l’auto, ma diminuirà altresì il ricorso ai mezzi pubblici. A tal proposito è opportuno poi precisare che la maggior parte dei beni sono normali, tuttavia è impossibile che, in un determinato contesto tutti i beni che consuma l’individuo siano inferiori ovvero che, aumentando il reddito, il consumatore diminuisca tutte le quantità. Detto ciò, possiamo analizzare separatamente i vari casi. 1. Effetto della variazione del reddito in presenza di beni normali All’aumentare del reddito è aumentato il consumo di entrambi i beni. A questo punto, introduciamo un nuovo strumento in grado di evidenziare le varie combinazioni di ottimo al variare del reddito e, dunque, anche di farci capire con esattezza se siamo in presenza di un bene normale o inferiore: la Curva di Engel. Prima però di tracciare il grafico della curva di Engel è interessante rappresentare i vari livelli di ottimo al variare del reddito. Congiungendo questi punti si ottiene il Sentiero di Espansione del Reddito: LA CURVA DI ENGEL Possiamo notare come in questo caso (due beni normali), il sentiero di espansione del reddito sia inclinato positivamente. Possiamo ora rappresentare la Curva di Engel, cioè il luogo geometrico delle combinazioni di ottimo ottenute facendo variare il reddito, in un grafico nel quale sulle ascisse consideriamo le quantità di birra e sulle ordinate il la quantità di benzina: Osservazioni: - Il sentiero di espansione del reddito ha la stessa inclinazione della Curva di Engel; - Il bene birra è un bene normale e la curva di Engel è inclinata positivamente; - La relazione suddetta può essere estesa alle generalità dei casi: se la curva di Engel ha inclinazione positiva, il bene in ascissa è un bene nomale; - Nel nostro esempio, la curva è una retta, ma ciò è dovuto al fatto che abbiamo preso in considerazione solo due punti di ottimo (per due punti l’unica rappresentazione attendibile è una retta). Aumentando i punti di ottimo, avremmo ottenuto molto probabilmente una curva. 2. Effetto della variazione del reddito in presenza di un bene inferiore Ipotizziamo che il consumatore per i suoi spostamenti giornalieri possa scegliere di optare per l’auto (la cui frequenza di utilizzo è misurata dal consumo di benzina) o per l’autobus. Empiricamente si può dimostrare che all’aumentare del reddito, la quantità di benzina utilizzata aumenta, mentre il numero dei viaggi in autobus diminuisce. Anche in questo caso dunque, analizziamo la relazione alla luce della Curva di Engel. Propedeuticamente costruiamo quindi il sentiero di espansione del reddito. Passiamo dunque alla realizzazione della curva di Engel per il bene viaggi in autobus: Osservazioni: - Questa volta, essendo i viaggi in autobus un bene inferiore, il sentiero di espansione del reddito e la curva di Engel sono inclinate negativamente; - Generalizzando la suddetta relazione: Se la Curva di Engel ha un’inclinazione negativa, il bene in ascissa è un bene inferiore. - Un bene normale potrebbe, laddove il reddito aumentasse in modo rilevante, diventare un bene inferiore. In questo caso probabilmente la curva di Engel potrebbe presentare prima un tratto positivo e successivamente, un tratto negativo. 3. Effetto di una variazione del prezzo (del bene in ascissa) Stavolta non assisteremo a una traslazione del vincolo di bilancio, bensì ad una rotazione: - Verso l’esterno, se il prezzo si riduce (ampliamento delle possibilità di consumo); - Verso l’interno, se il prezzo aumenta (riduzione delle possibilità di consumo). A questo punto anche l’ottimo varierà. Esempio: Riduzione del 50% del prezzo della birra Osservazioni: - In E’ rispetto ad E la quantità del bene birra (il cui prezzo è diminuito) è aumentata mentre la quantità del bene pizza è leggermente diminuita; - La variazione della quantità acquistata dell’altro bene dipende dal cosiddetto “effetto sostituzione”, infatti al variare dei prezzi di uno dei beni varierà anche la proporzione tra le quantità acquistate dei due beni; - Stavolta non possiamo realizzare la Curva di Engel poiché essa ha un senso solo in presenza di variazione del reddito; - Non potendo costruire la curva di Engel non abbiamo nessuna informazione in merito al fatto che i due beni siano normali o inferiori; - In questo caso però, essendoci una variazione dei prezzi possiamo costruire la curva di domanda (obiettivo che ci eravamo posti quando abbiamo introdotto la teoria del consumatore). Costruzione della curva di domanda Come è stato più volte ripetuto, essa evidenzia la quantità domandata di un certo bene al variare del prezzo. In questo senso può essere considerata l’insieme delle scelte ottimali del consumatore ottenute facendo variare il prezzo di un bene. A questo punto abbiamo tutti gli strumenti necessari per capire come si può costruire una curva di domanda. La costruzione si articola su 3 step. Esempio: riduzione del prezzo della birra Step 1: rappresentiamo graficamente le scelte ottime al diminuire del prezzo della birra. Il vincolo di bilancio ruota perché il prezzo della birra passa da 2 € a 1€. Step 2: raccogliamo i dati relativi al prezzo e alla quantità di birra nei diversi punti di ottimo in una scheda di domanda: Step 3: tramite le informazioni costruite nella scheda, costruiamo la curva di domanda: Osservazioni: - In questo esempio la curva di domanda è una retta perché abbiamo raccolto informazioni in merito a due soli punti di ottimo, altrimenti molto probabilmente avremmo ottenuto una curva; - La funzione di domanda può essere dunque considerata il risultato delle scelte ottimali del consumatore al variare dei prezzi (naturalmente ceteris paribus, ovvero assumendo che tutte le altre variabili che influenzano la domanda rimangano costanti); - Il fatto che, al diminuire del prezzo del bene la quantità acquistata dal consumatore aumenti, in realtà è dovuto all’azione combinata di due effetti: 1. effetto di sostituzione: dovuto al fatto che il bene il cui prezzo è diminuito diventa meno caro rispetto ad altri e ciò modifica il prezzo relativo dei due beni; 2. effetto di reddito: dovuto al fatto che, la diminuzione di prezzo fa aumentare il reddito reale e con esso il potere di acquisto del consumatore. Quindi l’effetto totale sulle scelte del consumatore sarà dato dalla somma tra l’effetto di sostituzione e l’effetto di reddito. A tal proposito è interessante separare i 2 effetti per vederne la rispettiva entità di volta in volta. Tuttavia è opportuno precisare che essi avranno segno diverso a seconda del bene oggetto di analisi. Per questo studieremo l’influenza dei due effetti in 3 differenti casi: - Beni normali; - Beni inferiori; - Beni di Giffen. 1. Effetto di sostituzione ed effetto di reddito in caso di beni normali Partendo da una situazione di ottimo (B), ipotizziamo una riduzione del prezzo del bene x. Essa farà ruotare il vincolo di bilancio in senso antiorario intorno all’intercetta con l’asse delle ascisse provocando il raggiungimento di un nuovo punto di equilibrio (E): L’effetto di sostituzione e l’effetto di reddito si manifestano contemporaneamente. Per separarli dobbiamo procedere nel seguente modo: - siccome l’effetto di sostituzione è dovuto alla variazione del prezzo relativo dei due beni, per isolarlo, utilizziamo un artificio grafico in grado di far variare soltanto il prezzo relativo tenendo fermo il reddito reale; - per isolare l’effetto di reddito, procediamo, invece, in senso opposto, dato che esso è dovuto esclusivamente alla variazione del reddito reale e non anche alla variazione del prezzo relativo. Graficamente quanto detto finora si traduce nella costruzione, sul grafico precedente, di un vincolo di bilancio ipotetico (B’), parallelo al secondo vincolo di bilancio (B1) e tangente alla prima curva di indifferenza (quella passante per il punto b). In questo modo si costruisce una situazione in cui il potere di acquisto del consumatore è pari a quello iniziale, annullando l’effetto reddito, dato che ci troviamo sempre sulla prima CdI, ma è variato il prezzo relativo tra i due beni. Naturalmente, individuato l’effetto di sostituzione, che ci porta nel punto T, bisogna valutare l’effetto di reddito. In particolare, la riduzione del prezzo del bene x darà luogo ad un aumento del reddito reale che comporterà lo spostamento del punto di equilibrio (E) nel punto di tangenza tra una Curva di Indifferenza più elevata (che conterrà più beni della prima e nelle proporzioni determinate dall’effetto sostituzione) ed il nuovo vincolo di bilancio (B1). Ricapitolando, l’effetto totale ha due componenti: - da B e T la variazione dipende dall’effetto di sostituzione; - da T a E la variazione dipende dall’effetto di reddito. Quindi, per separare graficamente l’effetto di sostituzione e l’effetto di reddito che, congiuntamente, fanno variare l’ottimo del consumatore a seguito di una diminuzione del prezzo del bene x, occorre procedere nel seguente modo: 1) determinare la soluzione ottima di partenza (B); 2) determinare la soluzione ottima dopo la variazione del prezzo (E); 3) costruire un “vincolo di bilancio ipotetico” (B’), parallelo al secondo e tangente alla prima curva di indifferenza. Si isola così l’effetto di sostituzione, facendo variare solo il prezzo relativo dei due beni (infatti la pendenza del vincolo di bilancio ipotetico è differente da quella del vincolo iniziale) e mantenendo fermo il reddito (infatti ci troviamo ancora sulla CdI di partenza); 4) il punto di tangenza fra il vincolo ipotetico e l’iniziale curva di indifferenza (T), separa l’effetto di sostituzione (alla sua sinistra) dall’effetto di reddito (alla sua destra). Nel grafico l’effetto di sostituzione risulta essere maggiore di quello di reddito. Questa è la situazione più frequente nella realtà, poiché per ogni bene esistono molti beni sostituti e i consumatori si ripartiscono fra di essi; quando il prezzo di uno di questi diminuisce esso viene acquistato anche da chi comprava i sostituti, proprio in virtù dell’effetto di sostituzione. Inoltre è importante sottolineare come la situazione descritta si riferisca a dei beni normali, infatti abbiamo un effetto di reddito positivo. In conclusione occorre precisare che: l’effetto di reddito, nel caso di beni normali opera sempre in direzione opposta rispetto alla variazione del prezzo; mentre nel caso di beni inferiori, opera nella stessa direzione della variazione del prezzo; l’effetto di sostituzione agisce sempre in senso opposto rispetto alla variazione del prezzo. EFFETTO DI SOSTITUZIONE ED EFFETTO DI REDDITO PER UN BENE INFERIORE Anche questa volta, partendo da una situazione di ottimo, ipotizziamo una riduzione del prezzo del bene X. Determiniamo dunque il nuovo punto di ottimo e costruiamo il vincolo di bilancio ipotetico per separare l’effetto di sostituzione dall’effetto di reddito: Px : Effetto di sostituzione Q Q Effetto di reddito Q Osservazioni: - Questa volta, considerando un bene inferiore, l’effetto di reddito opera nella stessa direzione della variazione di prezzo, mentre l’effetto di sostituzione in direzione opposta; - L’effetto totale tuttavia è ancora positivo. Ciò dipende dal fatto che, anche nel caso di beni inferiori, l’effetto di sostituzione è superiore rispetto all’effetto di reddito; - Anche per i beni inferiori, la funzione di domanda, benché più piatta, è inclinata negativamente. EFFETTO DI SOSTITUZIONE ED EFFETTO DI REDDITO PER UN BENE DI GIFFEN Come abbiamo più volte ripetuto, la funzione di domanda è legge. Tuttavia in letteratura esiste un’eccezione, seppur non riconosciuta dalla dottrina, ovvero i “beni di Giffen”, dal nome dell’economista che li propose. Secondo Giffen infatti, esistono particolari tipi di beni inferiori per i quali la quantità domandata aumenta all’aumentare del prezzo e viceversa. Partendo dal presupposto che esso rappresenta più un paradosso che si verifica raramente nella realtà1 e che non tutti i beni inferiori sono beni di Giffen è interessante comunque analizzare come agiscono in questo caso l’effetto di reddito e l’effetto di sostituzione. Analizziamo la diminuzione del prezzo di un bene di Giffen: 1 Sono considerati Beni di Giffen, alcuni beni di lusso come i gioielli o le auto da collezione che vengono in genere acquistati da consumatori molto abbienti, i quali rivestono un certo status nella società. Per questo target di consumatori spesso i suddetti beni sono considerati tanto più ambiti quanto maggiore è il loro valore sul mercato. Px : Effetto di sostituzione Q Q Effetto di reddito Q Osservazioni: - Nei beni di Giffen, a differenza degli altri beni inferiori, l’effetto di sostituzione, seppur positivo, è minore dell’effetto di reddito, che in questo caso è negativo; - Interessante sul piano teorico, il paradosso dei beni di Giffen si verifica raramente nella realtà, data la presenza di numerosi succedanei adeguati, i quali rendono remota l’ipotesi che l’effetto di sostituzione sia più piccolo dell’effetto di reddito; - E’ opportuno rimarcare il fatto che, anche se i beni di Giffen sono beni inferiori, non tutti i beni inferiori sono beni di Giffen, infatti: Beni inferiori: effetto di reddito < effetto di sostituzione Curva di domanda inclinata negativamente Beni di Giffen: effetto di reddito > effetto di sostituzione Curva di domanda inclinata positivamente SURPLUS DEL CONSUMATORE Rappresenta la differenza tra ciò che il consumatore sarebbe disposto a pagare (prezzo di riserva) e ciò che realmente paga. Esso scaturisce dal fatto che, essendo il nostro un mercato caratterizzato da una “informazione asimmetrica”, il produttore non conosce la curva di domanda del consumatore. Non sapendo, dunque, la disponibilità a pagare del consumatore per ogni singola unità, egli non è in grado di effettuare alcuna discriminazione di prezzo. In questa situazione, il consumatore paga per ogni unità del bene solo ciò che è disposto a pagare per l’ultima unità, anche se per le unità precedenti sarebbe disposto a pagare un prezzo più elevato in virtù della sua curva di domanda. Egli in pratica, realizza un surplus, che è pari alla differenza tra la funzione di domanda e il prezzo di equilibrio: Il consumatore nel punto E paga 2€ per 4 unità 2€ * 4= 8€ In realtà egli sarebbe disposto a pagare: - per la prima unità 5€ - per la seconda unità 4€ - per la terza unità 3€ - per la quarta unità 2€ TOT. 14 € (14 – 8) € = 6 € SURPLUS DEL CONSUMATORE Dunque il surplus è dato dalla differenza tra il prezzo che egli sarebbe disposto a pagare per ogni unità e il prezzo che effettivamente paga: Prezzo di riserva Prezzo pagato Surplus Prima unità 5 2 3 Seconda unità 4 2 2 Terza unità 3 2 1 Quarta unità 2 2 TOT. 6 ELASTICITA’ DELLA DOMANDA Abbiamo visto come la funzione di domanda esprima la quantità di un bene che viene domandata da parte di un individuo, ai vari prezzi di mercato, in un determinato periodo di tempo. In base alla correlazione esistente tra reddito e quantità domandata, abbiamo poi fatto la distinzione tra beni normali, se c’è una correlazione positiva; beni inferiori, se c’è una correlazione negativa. Mentre in base alla variazione del prezzo di un bene e della quantità domandata di un altro bene, abbiamo beni sostituti, qualora ad una variazione negativa del prezzo di un bene, corrisponde una variazione negativa della quantità di un altro bene; beni complementari se ad una variazione negativa del prezzo di un bene, corrisponde una variazione positiva della quantità di un altro bene. Adesso vediamo come l’elasticità della domanda e il coefficiente di elasticità influenzino le specificità dei beni e per fare ciò bisogna effettuare un’analisi quantitativa degli effetti dei movimenti della domanda. Pertanto analizzeremo: 1. Elasticità della domanda rispetto a prezzo; 2. Elasticità della domanda rispetto al reddito; 3. Elasticità della domanda rispetto ad altri beni o incrociata. 1. ELASTICITA’ DELLA DOMANDA RISPETTO AL PREZZO Misura la reattività della quantità domandata di un bene rispetto a variazioni del prezzo dello stesso bene. Definiamo ora il coefficiente di elasticità come la misura della variazione percentuale della quantità domandata di un bene determinata da una variazione percentuale del prezzo di quel bene, in un determinato periodo di tempo. Il coefficiente di elasticità, in questo caso, è un valore negativo, ma viene nella maggior parte delle situazioni espresso in termini di valore assoluto (quindi positivo). Arriviamo adesso alla formula del coefficiente di elasticità: ∆Q = variazione della quantità domandata ∆Q/ Q = variazione relativa della quantità domandata ∆Q/ Q % = variazione percentuale della quantità domandata ∆P = variazione del prezzo ∆P/ P = variazione relativa del prezzo ∆P/P % = variazione percentuale del prezzo da cui: εp = (∆Q%)/(∆P%) εp = (∆Q/Q)/(∆P/P) εp = (∆Q/∆P)*(P/Q) dove ∆Q/∆P è l’inverso del coefficiente angolare (pendenza) della curva di domanda. In base al valore del coefficiente di elasticità εp avremo: - Domanda elastica: quando il valore dell’elasticità è maggiore di 1 (εp>1). Ovvero quando la variazione percentuale della quantità domandata è maggiore della variazione percentuale del prezzo. - Domanda anelastica: quando il valore dell’elasticità è compreso tra 0 e 1 (0<εp<1). Ovvero quando la variazione percentuale della quantità domandata è minore della variazione percentuale del prezzo. - Domanda con elasticità unitaria : quando il valore dell’elasticità è pari a 1 (εp=1). Ovvero quando la variazione percentuale della quantità domandata è pari alla variazione percentuale del prezzo. OSSERVAZIONI: Se considero l’intercetta verticale, avremo un’elasticità ∞, mentre nell’intercetta orizzontale, avremo un’elasticità nulla. Quindi per εp = 0 la domanda sarà completamente inelastica, mentre per εp = ∞ la domanda sarà infinitamente elastica. Entrambi sono casi prettamente teorici. Nel punto in cui εp = 1 la domanda è evidentemente a elasticità unitaria. Tra l’intercetta orizzontale (εp = 0) e l’intercetta mediana (εp = 1) la domanda è anelastica (εp < 1). Tra l’intercetta mediana e l’intercetta verticale (εp = ∞), la domanda è elastica (εp > 1). Se un ipotetico produttore fosse a conoscenza del valore dell’elasticità in ogni punto della curva di domanda, potrebbe di volta in volta scegliere la strategia di mercato a lui più favorevole, in particolare: 1. Aumenterebbe il prezzo nel tratto in cui la domanda è rigida (in modo che il prezzo aumenta, ma la quantità non diminuisce eccessivamente. Ciò gli consente di aumentare i suoi ricavi: P Q RICAVI 2. Diminuirebbe il prezzo nel tratto in cui la domanda è elastica. Così facendo, anche in questo caso incrementerebbe i suoi ricavi, poichè a fronte di una piccola diminuzione di prezzo, riuscirebbe a vendere una quantità maggiore: P Q RICAVI Vediamo ora i cosiddetti casi teorici : Domanda perfettamente elastica: E’ un caso teorico che ritroveremo nello studio del mercato in una condizione di concorrenza perfetta, ed è altresì un caso teorico al quale tutte le forme di mercato tendono ad arrivare. Domanda perfettamente inelastica: Consideriamo ora due esempi e vediamo in quale caso la domanda è più elastica: In base a quanto abbiamo finora detto, la seconda domanda è più elastica, in quanto essendo più piatta della prima, la stessa variazione del prezzo registra una maggiore variazione della domanda. Quindi quanto più la funzione di domanda è inclinata (coefficiente angolare tendente a ∞), tanto più la domanda è rigida; viceversa quanto più la funzione di domanda è orizzontale (coefficiente angolare tendente a 0), tanto più la domanda è elastica. Da cosa dipende quindi l’elasticità della domanda? Dalla facilità con cui i consumatori possono sostituire i beni. Dal tempo: nel breve periodo, non tutti i consumatori sono al corrente delle variazioni di mercato; mentre nel lungo periodo i consumatori possono variare le proprie modalità di acquisto. Pertanto la domanda tende ad essere: Più elastica nel lungo periodo. Meno elastica nel breve periodo. 2. ELASTICITA’ DELLA DOMANDA RISPETTO AL REDDITO Misura la reattività della quantità domandata rispetto alle variazioni di reddito. Il coefficiente di elasticità, in questo caso, misura la variazione percentuale della quantità domandata del bene per effetto della variazione percentuale del reddito. Esso può essere positivo o negativo. εr = (ΔQ%) / (ΔP%) εr = (ΔQ/Q) / (ΔR/R) εr = (ΔQ/ΔR)*(R/Q) Si noti come stavolta nella formula compaia il reciproco del coefficiente angolare della curva di Engel. Occorre inoltre sottolineare come stavolta il coefficiente di elasticità possa essere sia negativo che positivo (a seconda che il bene sia normale o inferiore). Non si può dunque usare il valore assoluto. Vediamo cosa succede nel caso di: Beni normali: - εr > 0 (positiva) - un aumento del reddito comporta un aumento della quantità domandata (esempio: alimentari, abbigliamento …); Beni inferiori: - εr < 0 (negativa) - un aumento del reddito comporta una diminuzione della quantità domandata ( esempio: patate, carbone, mezzi di trasporto pubblici …) Per quanto riguarda i beni normali, dobbiamo fare una distinzione: Beni di prima necessità: - 0 < εr < 1 - la quota di spesa per questi beni aumenta meno che proporzionalmente all’aumentare del reddito (esempio: alimentari, vestiario …); Beni di lusso: - εr > 1 - la quota di spesa per questi beni aumenta più che proporzionalmente all’aumentare del reddito (esempio: cellulari, viaggi …); Graficamente, per un aumento di reddito, ecco cosa succede alla curva di domanda nel caso di un bene normale e di un bene inferiore: Bene normale Bene inferiore 3. ELASTICITA’ DELLA DOMANDA RISPETTO AD ALTRI BENI O INCROCIATA Misura la reattività della quantità domandata di un bene x rispetto alla variazione di prezzo di un bene y. Il coefficiente di elasticità incrociata misura la variazione percentuale della quantità domandata di bene x rispetto alla variazione percentuale del prezzo del bene y. Esso può essere sia positivo che negativo. εxy =(ΔQx%)/ (ΔPy%) εxy =( ΔQx/Qx)/ (ΔPy/Py) εxy =( ΔQx/ ΔPy)/(Py/Qx) In questo caso di elasticità della domanda incrociata, avremo che: un bene è sostituto se: - εxy > 0 (aumenta il prezzo del bene y, aumenta anche la quantità del bene x; ad esempio thè, caffè …); un bene è complementare se: - εxy = 0 (non c’è relazione tra i beni). TEORIA DELLA PRODUZIONE 1. L’IMPRESA L’impresa è l’operatore economico il cui ruolo è quello di produrre beni e servizi. Essa trasforma i fattori della produzione (input) in beni e servizi (output). Ogni impresa cerca in genere di massimizzare i profitti. Gli elementi fondamentali da analizzare nello studio dell’impresa sono: fattori produttivi: non sono gratuiti, ma hanno dei costi (terra lavoro salario; capitale organizzazione rendita; tasso d’interesse; profitto dell’imprenditore); funzione di produzione; produttività; ottimo del produttore. Per quanto riguarda la produttività dell’impresa, dobbiamo analizzare due concetti differenti: produttività media: rappresenta il rapporto tra la quantità ottenuta con un fattore e la quantità impiegata del fattore stesso. In questo caso non si va a valutare la produttività del singolo fattore, ma si fa una valutazione su tutti i fattori che generano produzione all’impresa: quantità di produzione produttività quantità del fattore produttivo impiegato produttività marginale: rappresenta l’incremento di prodotto dovuto ad una dose aggiuntiva di fattore produttivo. La produttività marginale ci fornisce un dato più rilevante rispetto a quella media perché fa riferimento al singolo fattore, invece che alla media di tutti. Variazione della quantità prodotta produttività marginale Variazione del fattore produttivo Nello studio dell’attività dell’impresa, è molto importante il periodo di tempo che si prende in considerazione, pertanto si parla di: breve periodo: - l’impianto non può essere variato in questo periodo; - si decide solo il grado di utilizzazione dell’impianto; - alcuni dei fattori sono fissi; lungo periodo: - l’impianto può essere considerato variabile; - si decide quanto deve essere grande l’impianto in base a quanto è in grado di produrre; - i fattori sono tutti variabili; 2. FUNZIONE DI PRODUZIONE Nel breve periodo essa è una funzione di tipo tecnico ed esprime una relazione tra la quantità di prodotto ottenuto e la quantità dei fattori impiegati: Y = f(L, K*, T) Dove: - L è il lavoro (variabile) - K* è il capitale (fisso) - T è la terra (variabile) - Y è il livello di produzione Notiamo come le variabili del lavoro e della terra sono evidentemente variabili, mentre il capitale è un valore fisso e rispetto ad esso c’è variazione della produzione. Facciamo ora un esempio per far capire la differenza fra produttività media e produttività marginale. Ipotizziamo che un imprenditore possieda una sartoria con due stanze e debba decidere di assumere un certo numero di sarti in grado di garantire una certa produzione. A tal proposito consideriamo una situazione iniziale in cui c’è solo un sarto e poi aumentano il numero di sarti di una unità alla volta per capire cosa succede alla quantità prodotta. Analizziamo dunque la situazione alla luce dei concetti di produttività media e di produttività marginale. Quantità fattore Quantità Produttività Produttività produttivo prodotta media marginale 1 10 10 10 2 18 9 8 3 24 8 6 4 28 7 4 5 30 6 2 6 30 5 0 (n°sarti) Osservazioni: Naturalmente all’aumentare dei sarti impiegati nelle due stanze, la produzione è aumentata. Tuttavia è immediato rendersi conto che, ad esempio raddoppiando il numero dei sarti, la quantità prodotta non è affatto raddoppiata. Cercando di analizzare la situazione alla luce della produttività media ci rendiamo conto che: - il primo sarto da solo produce 10 unità di prodotto; - quando i sarti diventando due la media è di 9 unità di prodotto ciascuno; - quando i sarti diventando sei, la media è di 5 unità di prodotto ciascuno. Tuttavia, pur intuendo una situazione di rendimento decrescente, non riusciamo a capire la produttività di ogni singolo lavoratore. Analizzando dunque la produttività marginale ci rendiamo conto finalmente che: - il primo sarto da solo produce 10 unità di prodotto; - il secondo sarto da solo produce 8 unità di prodotto; - il sesto sarto è totalmente inefficiente perché non produce alcuna unità di prodotto aggiuntiva. Grazie dunque al “tasso di crescita” della produzione misurato dalla produttività marginale, abbiamo capito che la sartoria versa in una situazione patologica fin dall’inizio poiché ogni sarto aggiunto produce una quantità minore del sarto precedente pur percependo il medesimo salario. La situazione illustrata è dunque descrivibile graficamente da una funzione di produzione. In particolare visto che all’aumentare del fattore produttivo: - il prodotto totale aumenta, quindi la funzione di produzione sarà inclinata positivamente; - il prodotto totale aumenta in maniera meno che proporzionale all’aumentare dei fattori di produzione, quindi la funzione di produzione sarà rappresentata da un “sigmoide” con la concavità maggiore rivolta verso il basso. Y Fattore Produzione In conclusione dunque possiamo affermare che la produttività media non è stata molto significativa nell’analisi realizzata. Viceversa la produttività marginale ci ha fatto capire che l’impiego già del secondo sarto è inefficiente e che quindi se proprio l’imprenditore avesse esigenza di produrre un quantitativo maggiore farebbe meglio ad ampliare la struttura, aumentando ad esempio il numero delle stanze (per evitare l’affollamento delle uniche due stanze). TEORIA DELLA PRODUZIONE: L'ANALISI Abbiamo introdotto la Teoria della Produzione con la quale si studia il comportamento dell’impresa sul mercato. A tal proposito è opportuno ricordare che l’obiettivo dell’impresa è quello di massimizzare il profitto almeno nel lungo periodo. Ciò infatti non sempre è possibile nel breve periodo, per questo in esso si cerca almeno di mantenere una buona immagine pubblica o di aumentare la quota di mercato, fermo restando che se l’impresa non realizza un profitto neanche nel lungo periodo, sarà costretta ad uscire dal mercato. Inoltre è poi necessario precisare che non esiste in realtà un criterio distintivo oggettivo in grado di individuare una netta linea di separazione tra breve e lungo periodo. Prima di entrare nel merito della situazione già descritta, ricordiamo che non esiste un’unica funzione di produzione per tutte le imprese, ma tutto dipende dalla produttività media e dalla produttività marginale della specifica impresa. Esistono infatti imprese efficienti ed imprese meno efficienti. Il caso trattato precedentemente è un esempio di impresa inefficiente sin dall’inizio poiché già il secondo sarto ha una produttività marginale inferiore al primo. Cerchiamo dunque di capire in questo caso specifico quale sarà l’andamento della funzione di produzione: fino al 5° lavoratore la quantità prodotta aumenta, dunque la funzione di produzione all’inizio sarà inclinata positivamente. Dopo il 6°lavoratore la quantità prodotta potrebbe addirittura diminuire e dunque la funzione di produzione diventerà inclinata negativamente; siccome il tasso di crescita è sempre decrescente, la funzione di produzione sarà concava. Tale funzione di produzione è dovuta al fatto che l’impresa esaminata versa in una situazione di inefficienza sin dall’inizio e dunque la produttività marginale è sempre decrescente. Tuttavia come abbiamo già detto, non esiste un’unica funzione di produzione in grado di descrivere la generalità dei casi. Essa, infatti, è differente a seconda della specifica situazione in cui versa l’impresa. Per dimostrare ciò analizziamo il secondo caso: Q. fatt. prod. Q. prodotta Prod. media Prod. marginale 1 10 10 10 2 22 11 12 3 36 12 14 4 46 11,5 10 5 52 10,4 6 6 54 9 2 Analisi: la quantità prodotta è sempre crescente, dunque la funzione di produzione sarà inclinata positivamente; fino al terzo sarto all’aumentare del fattore produttivo, la produzione aumenta in modo più che proporzionale. A partire dal quarto sarto l’impresa non è più efficiente poiché all’aumentare del fattore produttivo la produzione aumenta in modo meno che proporzionale. Dunque: fino al terzo sarto la funzione di produzione è convessa; dal quarto sarto la funzione di produzione è concava. La situazione descritta è tipica delle nuove imprese che sorgono nel mercato. Esse infatti vanno incontro inizialmente ad una situazione in cui il tasso è crescente (all’aumentare del fattore produttivo, la produzione cresce più che proporzionalmente). Successivamente quando il mercato è saturo la funzione di produzione benché ancora inclinata positivamente, registra un tasso decrescente (all’aumentare del fattore produttivo, la produzione cresce meno che proporzionalmente). Ciò è dovuto al fatto che, solo nel breve periodo vige una legge sempre valida, detta legge dei RENDIMENTI DECRESCENTI. Essa afferma che se aggiungiamo ulteriori unità di fattori variabili, l’output aumenta ma ad un tasso decrescente. Ciò dipende dal fatto che nel breve periodo, la maggior parte dei fattori produttivi è fissa, dunque l’aumento dei soli fattori variabili crea problemi di congestionamento, che pongono un freno alla produttività dell’azienda. Pensiamo, ad esempio, ad un ufficio in cui il numero dei computer è fisso, ma si decide di aumentare comunque il numero degli impiegati (fattore variabile). All’aumentare degli impiegati, non essendoci un computer per ogni impiegato, la produttività non potrà aumentare più che proporzionalmente. Anzi verosimilmente si creeranno degli attriti fra gli impiegati su questioni riguardanti l’utilizzo dei pochi computer e ciò naturalmente andrà a scapito della produttività. Volendo descrivere questa situazione graficamente: Dunque nel breve periodo si registrano rendimenti decrescenti, ovvero il rendimento dei fattori produttivi manifesta una tendenza a decrescere all’aumentare delle unità immesse nella produzione. Ciò può verificarsi: sin dall’inizio (imprese inefficiente in partenza) come nel primo caso; a partire da un certo quantitativo immesso nella produzione come nel secondo caso descritto. FUNZIONE DI PRODUZIONE DI LUNGO PERIODO, COSTI DELL’IMPRESA ED EQUILIBRIO DEL PRODUTTORE Finora abbiamo rappresentato delle possibili situazioni in un orizzonte temporale di breve periodo, nel quale alcuni fattori produttivi, come ad esempio il capitale, sono fissi. Passiamo ora ad analizzare un contesto di lungo periodo. In particolare: presenteremo una funzione di produzione di lungo periodo (dove i fattori di produzione sono tutti variabili). Essa graficamente sarà rappresentata tramite gli ISOQUANTI; analizzeremo poi i costi dell’impresa rappresentandoli graficamente tramite la retta di ISOCOSTO; infine combineremo i due concetti per illustrare la decisione di lungo periodo dell’impresa su quanto capitale (K) impiegare e quanto lavoro (L) utilizzare. FUNZIONE DI PRODUZIONE DI LUNGO PERIODO In un contesto di breve periodo abbiamo rappresentato la funzione di produzione in un grafico in cui vi era un unico fattore della produzione poiché gli altri, essendo fissi, erano considerati delle costanti. Nel lungo periodo, invece, i due fattori della produzione che consideriamo nei nostri modelli, ovvero capitale e lavoro, sono entrambi variabili. Nasce dunque l’esigenza di rappresentarli graficamente entrambi, anche alla luce del fatto che diverse combinazioni di capitale e lavoro generano diversi livelli di produzione. Tutto ciò può essere rappresentato graficamente tramite gli ISOQUANTI: Un ISOQUANTO rappresenta tutte le combinazioni di capitale e lavoro che permettono di ottenere il medesimo livello di produzione. Essi dunque costituiscono per il produttore ciò che le curve di indifferenza costituiscono per il consumatore, con la differenza che mentre queste ultime seguivano un indice ordinale, gli isoquanti rispettano un ordine cardinale. Naturalmente come accadeva per le CdI , anche gli isoquanti sono teoricamente infiniti e ogni curva superiore rappresenta una situazione in cui il livello di produzione è maggiore del precedente, poiché si utilizzano maggiori quantitativi di entrambi i fattori della produzione. La funzione di produzione di lungo periodo di un’impresa può essere rappresentata, quindi, a partire da una molteplicità di isoquanti, ciascuno corrispondente ad un diverso livello di produzione. E’ importante poi sottolineare come , a differenza delle CdI, gli isoquanti non siano caratterizzati da preferenze soggettive. Essi costituiscono l’insieme dei panieri dei fattori produttivi (capitale e lavoro) che l’impresa combina secondo una data tecnologia (rappresentabile matematicamente tramite una funzione a due variabili) per ottenere un certo livello di produzione. Analogamente a quanto fatto per le CdI, passiamo ora ad analizzare le caratteristiche degli isoquanti. A tal proposito anticipiamo già il fatto che essi di fatto godono delle medesime proprietà delle curve di indifferenza: 1. Gli isoquanti hanno pendenza negativa La produzione lungo tutto l’isoquanto deve essere sempre la stessa, pertanto, affinchè il livello di produzione resti inalterato lungo tutta la curva, se l’impresa vuole aumentare la quantità di capitale, deve necessariamente ridurre la quantità di lavoro e viceversa. Anche in questo caso, come per le CdI, il coefficiente angolare ci da il rapporto di scambio tra le due variabili. In questo caso esso prende il nome di SAGGIO MARGINALE DI SOSTITUZIONE TEORICA: SMST = ΔL / ΔK Esso indica in quale misura l’impresa è in grado di sostituire capitale e lavoro lungo l’isoquanto. 2. Isoquanti distanti dall’origine si associano a livelli di produzione maggiori Di fatti se l’impresa può permettersi di usare di più di entrambi i fattori sarà in grado di produrre una quantità maggiore di output. 3. Due isoquanti non possono mai intersecarsi Ogni isoquanto rappresenta possibili combinazioni che generano il medesimo livello di produzione. Se due isoquanti, per assurdo, si intersecassero, ciò implicherebbe che una stessa combinazione con una stessa tecnologia permette di generare due diversi livelli di produzione. Ciò naturalmente è impossibile. 4. SMST decrescente (convessità degli isoquanti) Osservando il grafico è possibile notare come la pendenza dell’isoquanto cambi muovendosi lungo la curva: a sinistra, in prossimità dell’asse delle ordinate, la curva ha pendenza elevata, poi la pendenza diminuisce. Ciò è dovuto al fatto che i fattori della produzione hanno RENDIMENTI DECRESCENTI. Ad esempio, se scelgo sempre di aumentare il livello del capitale a scapito del lavoro, esso avrà un rendimento via via decrescente, in quanto se aumentano i macchinari e la manodopera diminuisce, inevitabilmente l’incidenza sulla produzione sarà via via sempre minore. Seguendo ancora una volta un discorso parallelo a quello fatto per le CdI, analizziamo ora due casi particolari di isoquanti: a. Fattori produttivi complementari perfetti In questo caso i due fattori di produzione vanno utilizzati necessariamente in modo congiunto in un rapporto 1:1. Pertanto un tosaerba aggiuntivo, senza un corrispondente incremento della forza lavoro, non aumenterà il livello di produzione. Questo particolare si traduce graficamente in isoquanti a forma di “L”. In questa situazione: Tratto verticale : SMST = ∞ Tratto orizzontale: SMST = 0 Cuspide: SMST indefinito b. Fattori produttivi sostitutivi perfetti In questo caso i due fattori produttivi sono perfettamente sostituibili, dunque utilizzare l’uno o l’altro per il produttore è indifferente. Se prendiamo ad esempio la produzione di pan di spagna, uova bianche e uova scure sono perfetti sostituti nel rapporto 1:1. Ne consegue che in una situazione del genere gli isoquanti saranno delle rette e il SMST risulterà costante lungo tutto l’isoquanto: RETTA DI ISOCOSTO Finora abbiamo visto le possibili combinazioni dei due fattori della produzione (capitale e lavoro) che il produttore può scegliere per produrre il medesimo livello di output (rappresentato attraverso gli isoquanti). Tuttavia la scelta relativa a quale combinazione utilizzare e, soprattutto, in merito a quale livello di produzione potersi permettere, non dipende solo dalla strategia del produttore ma anche dai COSTI DEI DUE FATTORI PRODUTTIVI. Nasce dunque l’esigenza di rappresentare graficamente i costi associati ai due fattori in modo da poter individuare un punto in cui si possa produrre la quantità massima possibile cercando di minimizzare i costi. Si introduce, pertanto il CONCETTO DI ISOCOSTO: luogo geometrico di tutte le possibili combinazioni dei due fattori produttivi che l’impresa può acquistare ad un dato costo totale. Quanto sopra si traduce matematicamente nella seguente funzione: CT = wL + rK FORMA IMPLICITA RETTA DI ISOCOSTO Dove: wL indica il costo del lavoro, con w = salario e L = n. lavoratori; rK indica il costo del capitale, con r = tasso di interesse e K = capitale. Analogamente a quanto fatto per il vincolo di bilancio nella teoria del consumatore, esplicitiamo l’equazione rispetto al n. lavoratori L (valore delle ordinate). Otteniamo così: L = CT/w – (r/w)K FORMA ESPLICITA RETTA DI ISOCOSTO OSSERVAZIONI: CT/w rappresenta l’INTERCETTA VERTICALE con l’asse delle ordinate della retta di isocosto. Essa economicamente indica il massimo numero di lavoratori che l’impresa può assumere se decidesse di impiegare tutto il suo budget nel fattore lavoro senza utilizzare il fattore capitale; -(r/w) rappresenta il coefficiente angolare, ovvero la pendenza della retta di isocosto. Da essa deduciamo che la retta di isocosto è sempre INCLINATA NEGATIVAMENTE. Economicamente esso rappresenta il rapporto tra i prezzi dei fattori produttivi, ovvero la quantità di lavoro che il mercato impone di sacrificare, dati i prezzi di mercato, per poter acquisire un’unità aggiuntiva di capitale. Graficamente: Qualsiasi combinazione dei due fattori al di sotto della retta risulterà inefficiente. Viceversa tutte le combinazioni sopra la curva rappresentano panieri che il produttore non può permettersi, in quanto considerati i costi dei fattori produttivi, hanno un costo superiore al costo totale sostenibile dell’impresa. Analogamente a quanto fatto per il vincolo di bilancio, analizziamo le due possibili variazioni della retta di isocosto: a) VARIAZIONE DEL COSTO TOTALE In questo caso assisteremo ad una traslazione della retta di isocosto, verso destra se il costo totale aumenta, verso sinistra se il costo totale diminuisce. Detta variazione non modifica invece il coefficiente angolare della retta. b) VARIAZIONE DEI PREZZI In questo caso cambierà la pendenza della retta di isocosto ed assisteremo ad una rotazione. Esempio: aumento del salario (w) Un aumento del salario economicamente implica un aumento del costo di lavoro e dunque una riduzione del rapporto tra i prezzi dei fattori produttivi (r/w). Ne consegue che, nella nuova situazione, per impiegare un’unità di capitale aggiuntivo, saranno licenziati meni lavoratori. COMBINAZIONE OTTIMA DI CAPITALE E LAVORO Anche in questo caso, come già visto nella teoria del consumatore, la combinazione ottima di capitale e lavoro si avrà in corrispondenza del punto di tangenza tra la funzione di produzione di lungo periodo (rappresentata da isoquanti) e la retta di isocosto. Matematicamente ciò implica l’uguaglianza di rispettivi coefficienti angolari: L’isoquanto tangente alla retta di isocosto sarà il più efficiente (il più in alto) possibile. Le combinazioni B, A, C sono tutte possibili, tuttavia il punto di ottimo è uno solo: il punto A, il quale consente un livello di produzione maggiore di B e C. Economicamente possiamo dunque concludere che il punto di ottimo è quello in corrispondenza del quale ciò a cui il produttore rinuncia in termini di unità di lavoro per un’unità aggiuntiva di capitale (SMST) è esattamente uguale a quanto il mercato può richiedere di sacrificare in termini di lavoro per avere un’unità aggiuntiva di capitale (r/w). Concludiamo ora la trattazione analizzando la combinazione ottima nei due casi particolari: a) COMBINAZIONE OTTIMA: FATTORI COMPLEMENTARI PERFETTI Siccome in questo caso gli isoquanti hanno la cosiddetta forma ad L, l’unico punto di tangenza con la retta di isocosto e la cuspide, poiché altrimenti otterremo sempre l’intersezione, mentre il punto di ottimo deve essere unico per definizione. A tal proposito rammentiamo che il punto di cuspide rappresenta una combinazione in cui i due fattori produttivi sono impiegati nella stessa proporzione. b) COMBINAZIONE OTTIMA: FATTORI SOSTITUTI PERFETTI In questo caso gli isoquanti sono delle rette (coefficiente angolare costante). Anche stavolta la combinazione ottima si trova in corrispondenza del punto in cui la retta di isocosto tange l’isoquanto più elevato possibile. Ne consegue che il punto di ottimo coincide con l’intercetta verticale della retta di isocosto, poiché in quel punto essa tange un isoquanto più elevato. LE FUNZIONI DI COSTO DI BREVE PERIODO DELL’IMPRESA La retta di isocosto che è una funzione di lungo periodo. Analizziamo ora una funzione di costo di breve periodo attraverso la quale cercheremo di individuare i costi minimi che l’impresa deve sostenere per produrre i vari livelli di output. Ci occuperemo dei costi minimi poiché lo scopo di ogni impresa è quello di massimizzare la produzione minimizzando i costi. Iniziamo, dunque, la nostra trattazione distinguendo i costi in espliciti ed impliciti, in privati e sociali. Sono COSTI ESPLICITI tutte le spese sostenute dal produttore per acquistare o affittare gli input necessari alla produzione di output: salari per i lavoratori assunti, interessi sul capitale di prestito, affitto dei terreni , spese per materie prime o semilavorate. I costi espliciti sono gli unici considerati dagli aziendalisti a fini contabili. Tuttavia, gli economisti che si occupano delle dinamiche micro e macroeconomiche, nelle loro analisi, prendono in considerazione anche i cosiddetti COSTI IMPLICITI. Essi si riferiscono al valore degli input stimato facendo riferimento a ciò che essi potrebbero rendere ove fossero impiegati nel miglior uso alternativo anziché essere utilizzato nella produzione. In altre parole essi comprendono: la massima retribuzione che l’imprenditore percepirebbe se, anziché gestire la propria attività, lavorasse presso un’altra impresa; il maggior ricavo che l’impresa potrebbe ottenere se investisse altrove il suo capitale. I costi impliciti, dunque, misurano il costo delle rinunce a impiegare i fattori della produzione in altre attività anziché utilizzarli nel processo produttivo. Nei modelli microeconomici che analizzeremo, noi assumeremo sempre che nei costi totali siano compresi sia i costi impliciti che i costi espliciti. Per COSTI PRIVATI, invece, intendiamo i costi sostenuti dall’impresa. Essi sono presentati in contrapposizione ai COSTI SOCIALI, ovvero ai costi sostenuti dalla collettività. Se, ad esempio, consideriamo un’impresa che nella sua attività produce ingenti quantità di rifiuti, possiamo notare come essa sosterrà dei costi privati per lo smaltimento degli stessi. Tuttavia, se l’impresa opta, invece, per scaricare i rifiuti in mare, essa non sosterrà costi privati, e la collettività subirà un danno ambientale che rappresenta un costo sociale. COSTI FISSI DI PRODUZIONE (CF) Sono ascrivibili a questa categoria tutti i costi che l’impresa deve sostenere per poter essere presente sul mercato e condurre la sua attività indipendentemente dal livello di produzione che essa intende realizzare. In qualsiasi impresa, infatti, qualunque sia il livello di output da essa prodotto, ci sono delle spese fisse che il produttore deve sostenere, come, ad esempio, l’affitto di impianti e macchinari, l’assicurazione furto e incendio sui beni dell’impresa ecc. Come è facilmente intuibile dunque, i costi fissi attengono all’uso del capitale, mentre il lavoro solitamente è considerato un costo variabile. Dunque i costi fissi sono quelli che l’impresa sostiene indipendentemente dall’output prodotto. Quanto detto analiticamente si traduce nella seguente funzione: CF = rK Dove r = tasso di interesse K = capitale La cui rappresentazione grafica è la seguente: Otteniamo dunque una retta parallela all’asse delle ascisse e ciò economicamente implica che, indipendentemente dal livello di produzione, il livello dei costi fissi è sempre costante. COSTI VARIABILI (CV) In contrapposizione a quanto detto per i costi fissi, i costi variabili sono quelli che l’impresa sostiene in relazione all’output prodotto. Essi, dunque, aumenteranno all’aumentare del livello di produzione, mentre saranno pari a zero quando la produzione è nulla. Come già detto, essi sono in genere riconducibili al fattore lavoro. Ne consegue che la loro forma funzionale sarà: CV = wL Dove w = salario L = n. lavoratori In questo caso tuttavia la rappresentazione grafica non è una retta, ma segue la legge dei rendimenti decrescenti. Di conseguenza i costi saranno: all’inizio decrescenti, dando vita ad un primo tratto concavo; successivamente crescenti, facendo diventare la funzione convessa. Graficamente: All’inizio il costo cresce, ma ad un tasso decrescente, poi però interviene la legge dei rendimenti decrescenti ed il costo cresce ad un tasso crescente. A tal proposito è opportuno precisare che, al pari di quanto detto per la funzione di produzione, anche la funzione dei costi variabili non è unica, bensì vari a seconda del gradi di efficienza della specifica impresa. COSTI TOTALI (CT) Naturalmente, nell’analisi dei costi di un’impresa, dopo aver valutato le singole voci, è opportuno unificarle e otteniamo così i costi totali: CT = CF + CV I costi totali graficamente avranno la stessa forma dei costi variabili, ma traslati verso l’altro data la presenza dei costi fissi. Forniamo dunque una rappresentazione grafica presentando nello stesso riferimento cartesiano CF, CV e CT: OSSERVAZIONI: l’intercetta dei costi totali è la stessa dei costi fissi; data la presenza dei costi fissi, anche in corrispondenza di un livello di produzione nulla, registreremo dei costi totali di una certa entità; 6 CT e CV sono funzioni parallele; i costi variabili non hanno lo stesso andamento in ogni situazione, ma dipendono dal livello di efficienza dell’impresa, ovvero dalla sua funzione di produzione di breve periodo. COSTI FISSI MEDI Introducendo i costi fissi abbiamo detto che essi sono quella quota di spesa che l’impresa deve comunque realizzare per iniziare la sua attività. Essi dunque non dipendono dal livello di produzione. Tuttavia se consideriamo il costo di una singola unità di output, essa avrà un certo costo variabile al quale andrà aggiunta una quota di costi fissi da imputare alla singola unità, poiché i costi fissi si ripartiscono e pertanto si “ spalmano” diminuendo all’aumentare dell’output prodotto. Ne consegue che i costi fissi medi risulteranno sempre decrescenti poiché all’aumentare delle unità prodotte si ripartiranno su ogni singola quantità prodotta in quote sempre più piccole. Graficamente: Per capire meglio il concetto su esposto, ipotizziamo di dover fare un viaggio in auto per il quale sosteniamo un costo fisso per il carburante pari a 100€. Naturalmente questo costo fisso diminuirà se aumenteranno il numero dei passeggeri, poiché sarà ripartito fra più unità: CF = 100€ 1 passeggero CFM = 100€ 2 passeggeri CFM = 50€ 3 passeggeri CFM = 33€ circa 4 passeggeri CFM = 25€ Come notiamo, i costi fissi medi sono decrescenti all’aumentare delle unità sulle quali essi sono ripartiti. COSTI VARIABILI MEDI (CVM) Analogamente a quanto visto per i Costi Fissi Medi partendo dai Costi Variabili Totali definiamo ora i Costi Variabili Medi: CVM = CVT / Q Ricordando che CVT = wL e che il rapporto Q/L è definito PRODOTTO MEDIO DEL LAVORO (PML) : CVM = CVT / Q = wL / Q = w/ PML Dunque i Costi Variabili Medi dipendono dal salario pagato ai lavoratori, il quale può essere considerato costante, e dal PML, che in virtù della LEGGE DEI RENDIMENTI DECRESCENTI inizialmente cresce, raggiunge un massimo e poi diminuisce. Tuttavia come si può notare il PML è al denominatore. Ne consegue che la curva dei Costi Variabili Medi avrà un andamento speculare rispetto all’andamento della curva del PML: inizialmente PML quindi w/PML = CVM (Costi Variabili Medi decrescenti); successivamente a causa della legge dei rendimenti decrescenti PML , quindi w/PML = CVM (Costi Variabili Medi crescenti). Come per la funzione di produzione, anche la curva dei costi variabili medi non è uguale per tutte le imprese. L’ampiezza della parabola su tracciata dipende, infatti, dall’efficienza dei lavoratori dell’impresa: se i lavoratori sono efficienti per un lungo periodo, la parabola sarà più ampia; se già dopo i primi aumenti di output i lavoratori risultano inefficienti, la parabola sarà più stretta. COSTI TOTALI MEDI (CTM) CTM = CFM + CVM La curva dei Costi Totali Medi pur presentando, al pari della curva dei Costi Variabili Medi, una forma ad U, si distingue da quest’ultima a causa della presenza dei Costi Fissi Medi (CFM). A tal proposito è opportuno precisare che l’incidenza dei Costi Fissi Medi non è uguale per ogni livello di output. Essi infatti sono decrescenti perché, all’aumentare dell’output prodotto, essi si spalmano su più unità e, dunque, tendono quasi ad annullarsi per Q che tende a ∞. Pertanto: per Q 0 i Costi Fissi Medi sono molto alti; per Q ∞ i Costi Fissi Medi sono quasi nulli. La curva dei Costi Totali Medi risente di questo andamento e, per questo motivo, si differenzia dalla curva dei Costi Variabili Medi. Infatti: la curva dei CTM è decrescente inizialmente e raggiunge il punto di minimo in corrispondenza di un livello di output maggiore rispetto alla curva dei CVM. all’aumentare della quantità prodotta i Costi Fissi Medi tendono a diminuire. Ne consegue che la loro incidenza sui Costi Totali Medi tende via via a diminuire e ciò provoca una graduale convergenza fra i Costi Variabili Medi e i Costi Totali Medi; Teoricamente la curva dei CVM e dei CTM, per Q che tende a ∞, tenderanno a convergere, poiché i CFM tenderanno a 0. Quindi le due curve non sono parallele poiché l’incidenza dei costi fissi è via via decrescente. COSTI MARGINALI Rappresentano la variazione del costo totale all’aumentare di una unità di output. La variazione interesserà elusivamente i costi variabili ed avremo: CMa = ( ΔCVT / ΔQ) * ( ΔwL / ΔQ) Definendo ΔQ/ΔL il PRODOTTO MARGINALE DEL LAVORO (PML) abbiamo: CMa = w/ PML Anche in questo caso, in virtù della legge dei rendimenti decrescenti, avremo una rappresentazione grafica a forma di U: OSSERVAZIONI: la funzione del Costo Marginale è speculare a quella del Prodotto Marginale del Lavoro (PML). Ciò è dovuto al fatto che esso compare al denominatore nella funzione del Costo Marginale; la funzione del Costo Marginale interseca le curve dei CVM e dei CTM nei rispettivi punti di minimo che, come già detto, non coincidono; anche la funzione dei Costi Marginali presenta, dunque, un tratto decrescente e poi uno crescente. Tuttavia d’ora in avanti ci occuperemo solo del tratto crescente. Infatti la microeconomia si preoccupa dei problemi di un’impresa quando i costi sono crescenti e non quando sono decrescenti. Tutte le varie funzioni di costo fin qui presentare ci serviranno per studiare le varie forme di mercato che possono verificarsi. Analizzeremo in tal senso quattro possibili situazioni: CONCORRENZA PERFETTA MONOPOLIO OLOGOPOLIO CONCORRENZA MONOPOLISTICA CONCORRENZA PERFETTA Situazione teorica e ideale del mercato, nella quale si scambiano le quantità ottimali ai prezzi ottimali. Essa è una situazione teorica perché richiede il verificarsi di quattro condizioni: 1. numerosi compratori e venditori di un bene, ciascuno dei quali è troppo piccolo per influenzare il prezzo di mercato; 2. tutti i beni presenti sul mercato sono omogenei; 3. vi è una perfetta mobilità delle risorse; 4. vi è informazione perfetta delle condizioni di mercato. Analizziamo ora in dettaglio le suddette condizioni: 1°CONDIZIONE: ELEVATO NUMERO DI PRODUTTORI E CONSUMATORI In concorrenza perfetta vi sono tantissimi venditori che offrono il medesimo bene. Ne consegue che nessuno di essi esercita sul mercato un potere tale da influenzare il prezzo. Le imprese, dunque, debbono accettare il prezzo come dato e in corrispondenza di esso vendere qualsiasi quantità ne venga richiesta (offerta infinitamente elastica). OSSERVAZIONI: la curva di offerta S è verticale poiché nel breve periodo la quantità che essa può offrire è fissa. Pertanto il prezzo è determinato dalla domanda; non vi è alcun interesse da parte delle singole imprese a modificare il prezzo di equilibrio perché automaticamente si verificherebbe un surplus o una carenza; tutto ciò implica che stabilito il prezzo come nel primo grafico, l’offerta deve essere pari a qualsiasi quantità richiesta, come illustrato nel secondo grafico. 2°CONDIZIONE: BENE OMOGENEO In concorrenza perfetta si assume che i beni venduti siano omogenei, identici, ovvero perfettamente standardizzati. Ciò implica che l’output di ciascun produttore non è distinguibile dall’output degli altri produttori, pertanto i consumatori sono “indifferenti” nell’acquisto del bene dai vari produttori. 3°CONDIZIONE: PERFETTA MOBILITA’ DELLE RISORSE Si assume che vi sia perfetta mobilità delle risorse e che dunque in una situazione di breve periodo in cui nel mercato si realizzano profitti, nuove imprese siano in grado di entrare facilmente in concorrenza con quelle già presenti. Naturalmente la perfetta mobilità implica anche che, in un mercato in cui si registrano delle perdite nel breve periodo, le imprese siano libere di uscire senza avere particolari vincoli. Una situazione di questo tipo si realizza quando in un mercato non vi sono barriere all’entrata (concessioni, licenze, brevetti), né barriere all’uscita (elevati costi di dismissione dell’attività) che impediscono alle imprese di entrare e uscire liberamente dal mercato stesso. Assumendo come vera questa condizione, è opportuno precisare che ciò implicherà un mercato in cui nel lungo periodo i profitti sono uguali a zero. Poiché, se nel breve periodo si realizzano profitti, nuove imprese si affacceranno sul mercato riducendo i possibili proventi fino ad annullarli. Viceversa se nel breve periodo vi è una situazione di perdita, molte imprese usciranno dal mercato fino a che il profitto non sarà uguale a zero. A tal proposito va precisato che una situazione in cui il profitto è uguale a zero, in microeconomia non è una situazione negativa. I profitti infatti non sono altro che la differenza fra ricavi e costi. Tuttavia gli economisti, a differenza degli aziendalisti, nella nozione di costi non considerano solo quelli espliciti ma anche quelli impliciti. Pertanto una situazione di π = 0 è comunque positiva, perché permette di remunerare tutti i fattori della produzione compresa l’attività dell’imprenditore e la remunerazione per il rischio d’impresa. 4°CONDIZIONE: PERFETTA INFORMAZIONE Tale condizione implica che nel mercato non vi siano informazioni appannaggio solo di alcuni individui e che ogni cambiamento di prezzo sia immediatamente noto a tutti gli agenti. Ne consegue che consumatori e produttori hanno perfetta conoscenza di quelli che sono i prezzi di vendita del bene. Ciò assicura che lo stesso prezzo prevalga in ogni parte del mercato. Tuttavia è opportuno precisare che, benché le condizioni suddette si verifichino molto raramente, la perfetta informazione sia una condizione quasi impossibile. A tal proposito va, infatti, sottolineato come la concorrenza perfetta sia più un caso teorico da tenere come riferimento che una situazione realmente possibile. E’ quasi impossibile che le quattro condizioni descritte possano verificarsi contemporaneamente. Le uniche eccezioni studiate in letteratura sono il mercato del grano invernale ed il mercato telematico delle azioni. Nonostante ciò, la concorrenza perfetta è stata ampiamente studiata in microeconomia, perché rappresenta un importante paradigma di riferimento, fondamentale per studiare le inefficienze delle altre forme di mercato. In concorrenza perfetta i consumatori possono acquistare un quantitativo superiore del bene a un prezzo più basso; essi sono ampliamente tutelati , cosa che non accade in altre forme di mercato. Assumendo, dunque, che la concorrenza perfetta sia la forma di mercato più efficiente, le altre possibili situazioni sono ad essa rapportate per valutare il livello di inefficienza. Premesso ciò, cerchiamo dunque di comprendere cosa accade in un mercato perfettamente concorrenziale e qual è l’equilibrio che in esso di determina. MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO Gli economisti tradizionalmente assumono che in qualunque mercato l’obiettivo principale di tutte le imprese sia quello di massimizzare il profitto. A tal proposito va evidenziato che il profitto contabile è differente dal profitto economico: PROFITTO CONTABILE = RICAVI – COSTI ESPLICITI PROFITTO ECONOMICO = RICAVI–(COSTI ESPLICITI + COSTI IMPLICITI) Ne consegue che un profitto pari a zero a livello economico non implica un profitto uguale a zero a livello contabile. Passiamo ora ad analizzare cosa accade in concorrenza perfetta. In microeconomia vi sono due metodi per determinare il profitto: a. METODO DEI COSTI TOTALI b. METODO DEI COSTI MARGINALI a. METODO DEI COSTI TOTALI Assumendo π = PROFITTO P = PREZZO RT = RICAVI TOTALI q = QUANTITA’ CT = COSTI TOTALI c = COSTI In base a quanto detto finora, sappiamo che π = RT – CT dove RT = P*q Poiché il prezzo P è costante, la funzione del ricavo totale sarà una retta, la cui inclinazione, detta RICAVO MARGINALE, sarà sempre uguale al prezzo: PREZZO = RICAVO MARGINALE (RMa) È molto importante sottolineare che quella appena descritta sia una condizione esclusiva della concorrenza perfetta, l’unica forma di mercato in cui nessun agente del mercato ha il potere di modificare il prezzo del bene, che pertanto viene assunto come costante. La pendenza della retta del ricavo totale è detta dunque RICAVO MARGINALE (RMa). Essa misura la variazione del ricavo totale quando l’impresa vende una unità in più di output. Solo ed esclusivamente in concorrenza perfetta il ricavo marginale è uguale al prezzo. COSTI TOTALI (CT) = C*q Come già visto precedentemente, la sua forma è speculare a quelle della funzione di produzione di breve periodo. Ne consegue che , in virtù della legge dei rendimenti decrescenti, la funzione del Costo Totale sarà prima concava e poi convessa. Come abbiamo già detto, obiettivo di ogni impresa presente sul mercato è quello di massimizzare il suo profitto. Occorre, pertanto, individuare la quantità di output che consente all’impresa di massimizzare i suoi profitti. Ragionando in termini di funzioni di Ricavo Totale e Costo Totale e ricordando che il profitto è pari alla differenza fra le due curve, possiamo concludere che il massimo profitto per l’impresa si realizza nel punto di massima distanza tra le due curve: Tuttavia questo metodo è poco utilizzato in microeconomia perché consente di distinguere solo due situazioni tecnicamente agli antipodi: perdita: l’impresa uscirà dal mercato profitto: l’impresa resterà nel mercato In un mercato perfettamente concorrenziale le situazioni in cui può venirsi a trovare un’impresa non sono soltanto queste due. Esistono situazioni intermedie in cui un’impresa, pur essendo in perdita, potrebbe decidere di rimanere comunque sul mercato con l’obiettivo di MINIMIZZARE LE PERDITE. Le ragioni di questa scelta, che alla luce del metodo sopra descritto potrebbe apparire priva di giustificazioni, risiedono nella presenza dei costi sostenuti dall’impresa per iniziare la sua attività, che l’hanno costretta ad indebitarsi e a dover pagare delle rate periodiche. Perciò un’impresa, pur realizzando delle perdite, potrebbe essere costretta a rimanere sul mercato per pagare delle infrastrutture e dei macchinari necessari ad entrare nel mercato. Ecco che il metodo dei costi totali si rivela inadatto ad evidenziare situazioni di questo tipo in cui l’impresa pur realizzano una perdita deve valutare la possibilità di restare sul mercato. Occorre infatti un’analisi più approfondita che si concretizza in due opzioni: perdita rimanendo sul mercato > perdita uscendo dal mercato: l’impresa uscirà dal mercato perdita rimanendo sul mercato < perdita uscendo dal mercato: l’impresa resterà sul mercato Per poter, quindi, valutare situazioni intermedie a quella sopra descritta, è necessario utilizzare un altro metodo di determinazione del profitto: il METODO DEI COSTI MARGINALI che illustreremo nella prossimamente. METODO DEI COSTI MARGINALI Spesso per ottenere la massimizzazione dei profitti, al metodo dei costi totali viene in aiuto il METODO DEI COSTI MARGINALI o APPROCCIO MARGINALISTICO, che considera ricavi e costi marginali in situazioni reali e non idealistiche. Attraverso il metodo dei costi totali, siamo giunti alla conclusione che la massimizzazione del profitto nel breve periodo si ha dove c’è la massima distanza tra le curve dei Ricavi Totali e dei Costi Totali e si ottiene nel punto in cui la retta tangente alla curva dei CT è parallela alla retta dei RT. Ciò significa che le due rette hanno lo stesso coefficiente angolare: la pendenza della retta dei RT prende il nome di RICAVO MARGINALE (MR), mentre la pendenza della curva del costo totale CT prende il nome di COSTO MARGINALE (MC). Partendo da ciò, abbiamo visto che se: MR = MC MAX PROFITTO (in tutti i mercati) In una condizione di mercato di concorrenza perfetta, inoltre, il massimo profitto si ha quando il coefficiente angolare è uguale al prezzo di mercato (P): MR = MC = P Partiamo dal grafico: Come notiamo dal grafico, la curva dei Costi Marginali (MC) e la retta dei Ricavi Marginali (MR) s’intersecano in due punti (A, B). L’ottimo si ha dove la funzione dei costi è crescente, ovvero nel punto B (P = MR): qui si ha la massima capacità produttiva dell’impresa, ovvero per : P = MR = 20 € Q = 80 otteniamo: RT = 80 * 20 = 1600 €. Se andiamo a verificare il valore dei Costi Totali, rappresentati dalla curva ATC, in corrispondenza di Q = 80, avremo che CT = 80 * 12 = 960 €. Da qui ricaviamo il profitto: π = RT – CT = 1600 – 960 = 640 €/sett. Quindi la zona graficamente evidenziata, compresa tra 20 € e 12 € rappresenta la ZONA DI PROFITTO per l’impresa. Inoltre, graficamente è stata rappresentata anche la curva dei Costi Variabili Medi (AVC): essa ci consente di valutare l’entità del profitto ed i casi in cui il profitto è nullo o si ha una perdita: PROFITTO NULLO Se la curva dei Costi Variabili Medi (AVC) dovesse avere un andamento tale da intercettare nel punto A la retta dei ricavi marginali (MR) e dei costi marginali (MC), allora il punto A sarà un punto di profitto nullo. In questa condizione l’impresa dovrà necessariamente continuare a produrre. PERDITA Se la curva dei Costi Variabili Medi (AVC) dovesse avere un andamento tale da intercettare nel punto A solo la retta dei Costi Medi (MC), rimanendo al di sopra della retta dei Ricavi Marginali (MR), allora il punto A sarà un punto di perdita per l’impresa. Per valutare la convenienza (o meno) di continuare a produrre bisogna sottrarre ai costi medi totali CMT = CT /Q (ATC), i costi variabili medi (AVC), ottenendo cosi i Costi Fissi Medi: se questo valore ottenuto è inferiore ai costi fissi, allora per l’impresa conviene non continuare a produrre. MONOPOLIO In una situazione di mercato monopolistica vi è un’ UNICA IMPRESA OPERANTE. Essa ha potere di mercato e, pertanto, può determinare il prezzo del bene (tenendo ovviamente conto della domanda di mercato). Per il bene prodotto dall’impresa monopolistica NON ESISTONO BUONI SOSTITUTI , in quanto, se esistessero essa non potrebbe essere effettivamente libera di fissare il prezzo, dato che i consumatori potrebbero rivolgersi ad altre imprese. L’impresa è l’unica perché ESISTONO BARRIERE ALL’ENTRATA, cioè altre imprese non possono entrare sul mercato e diventare concorrenti per i seguenti motivi: 1. l’impresa detiene una risorsa fondamentale; 2. lo Stato concede un diritto esclusivo di produrre un bene (MONOPOLIO LEGALE) come nel caso dei brevetti e dei diritti d’autore, cioè i diritti di proprietà intellettuale. L’idea di fondo è che concedendo un monopolio viene incentivata l’attività di produzione di proprietà intellettuale; 3. la struttura dei costi rende la singola impresa più efficiente di una molteplicità di imprese (MONOPOLIO NATURALE). In monopolio, come già accennato, le imprese possono influire sul prezzo. La CURVA DI DOMANDA DEL MONOPOLISTA COINCIDE CON LA DOMANDA DI MERCATO. ESSA E’ INCLINATA NEGATIVAMENTE. E’ per questo motivo che il monopolista non può scegliere qualsiasi prezzo, poiché se aumenta il prezzo, la quantità venduta si riduce: se egli decidesse di praticare un prezzo più elevato, questo lo porterebbe a vendere quantità inferiori. Anche per il monopolista, l’obiettivo è MASSIMIZZARE IL PROFITTO (MC = MR). In monopolio il prezzo è maggiore del ricavo marginale, mentre in concorrenza perfetta, come detto, il prezzo è uguale al ricavo marginale (MC=MR=P). Partendo dal fatto che il prezzo è maggiore del ricavo marginale: P > Rma, vediamo come la curva sia inclinata negativamente, cioè per vendere un’unità del bene, l’impresa deve ridurre il prezzo. Ma questo nuovo prezzo, se praticato, si applica anche alle unità che vengono vendute in precedenza. Per questo motivo, la variazione del ricavo totale (cioè il ricavo marginale) è inferiore al prezzo del bene (cioè ricavo medio). Se si fosse mantenuto lo stesso prezzo vendendo un’unità aggiuntiva, allora il ricavo marginale sarebbe uguale al ricavo medio e la curva del RM sarebbe uguale alla curva di domanda. Per quanto riguarda il costo del monopolio in termini di BENESSERE, è possibile affermare che, dato che il prezzo di vendita è superiore al Costo Marginale, per il consumatore questa rappresenta una situazione peggiore rispetto a quella di concorrenza. Infatti in monopolio, il profitto è massimizzato, ma c’è una PERDITA SECCA in termini di benessere; pertanto il monopolio è una situazione di mercato altamente INEFFICIENTE. OLIGOPOLIO L’oligopolio è una situazione di mercato nella quale POCHI VENDITORI offrono prodotti molto simili, se non identici, tra loro. Un esempio è quello del petrolio greggio per il quale pochi paesi del Medio Oriente controllano la maggior parte delle riserve petrolifere mondiali. E’ la forma più diffusa di mercato per chi vale la REGOLA DI 10 (inteso come 10 produttori). Le CONDIZIONI PER L’OLIGOPOLIO sono: 1. numero limitato di imprese; 2. prodotti molto simili, quasi identici; 3. forte contraddizione tra cooperazione e interesse proprio. Questo perché se ci fosse accordo, ci sarebbe una situazione simile al monopolio con vendita a prezzo superiore al costo marginale. Ma in effetti, invece, ogni oligopolista cerca di ottenere il massimo profitto personale anche a dispetto degli altri produttori. La forma più semplice di oligopolio è il DUOPOLIO, in cui le imprese sono soltanto due. In concorrenza perfetta il prezzo è uguale al costo marginale, mentre in monopolio il prezzo è maggiore del costo marginale; in duopolio, invece, le imprese tendono ad accordarsi sulla quantità da produrre e sul prezzo da applicare. In particolare, si parla di: COLLUSIONE: accordo tra imprese, nello stesso mercato, sulla quantità o sul prezzo da applicare. CARTELLO: gruppo di imprese che agiscono coordinatamente. I cartelli nascono per godere di profitti monopolistici, ma non sempre sono realizzabili perché le normativa antitrust vieta gli accordi espliciti oppure perché c’è disaccordo sulla spartizione delle quote di mercato. Di conseguenza i duopolisti, perseguendo individualmente i propri interessi, finiscono per produrre una quantità superiore a quella che massimizza il profitto per il monopolista, la vendono ad un prezzo inferiore e alla fine realizzano un profitto inferiore rispetto a questo. Quindi non c’è vantaggio a perseguire il proprio interesse in duopolio. Ecco perché si cerca di raggiungere una situazione di equilibrio, detto EQUILIBRIO DI NASH , attraverso interazione reciproca in modo da scegliere la strategia ottimale. Di conseguenza il prezzo di oligopolio è inferiore a quello di monopolio, ma superiore a quello in concorrenza perfetta. Se aumentano le imprese dell’oligopolio, allora l’ OLIGOPOLIO TENDE ALLA CONCORRENZA PERFETTA. Se invece le imprese sono davvero poche, allora la collusione è certa, anche se dal punto di vista sociale è una situazione indesiderabile perché la produzione sarebbe troppo bassa ed il prezzo troppo elevato. Quindi la migliore condizione sociale è quella che induce alla competizione tra imprese. Per ridurre la collusione ci sono leggi antitrust che censurano i contratti tra le imprese che svolgono le stesse attività. Ci sono alcuni indizi per ravvisare l’esistenza di un accordo tra imprese: 1. vendite a pacchetto (del tipo due al prezzo di uno); 2. prezzi predatori, cioè decisamente inferiori al quelli di mercato; 3. prezzo di vendita a dettaglio che apparentemente riduce la concorrenza, ma che in realtà è assolutamente legittimo, perché, ad esempio, può essere imposto dalle stesse imprese produttrici per assicurare ai venditori un servizio inappuntabile, limitando i problemi di free-rider. CONCORRENZA MONOPOLISTICA La concorrenza monopolistica è una struttura di mercato con MOLTI VENDITORI CHE OFFRONO UN PRODOTTO SIMILE MA NON IDENTICO. Dal punto di vista dei venditori, essa tende alla concorrenza perfetta, mentre dal punto di vista del prodotto tende al monopolio. Le caratteristiche di un mercato in concorrenza perfetta sono: 1. molteplicità di venditori; 2. differenziazione del prodotto: ogni impresa produce un bene leggermente differente rispetto alle altre e, dunque, si confrontano con una curva di domanda a pendenza negativa; 3. liberta di entrata e di uscita. Esempi di mercati in concorrenza monopolistica sono quelli dei libri, dei film, dei videogame ecc.