Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Carlo Marchini Appunti di Matematiche Complementari I Anno accademico 2008-2009 -0- Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Capitolo 1. Storia dell’Algebra. Per descrivere la storia di una disciplina o di un concetto sarebbe importante averne un definizione condivisa. Ma una definizione di Algebra non è semplice da dare dato che questa disciplina ha cambiato molto negli anni, anzi nei secoli. Si potrebbe dire che l’Algebra è l’utilizzazione del metodo analitico applicato all’Aritmetica. In questo l’aggettivo analitico ha una connotazione diversa da quella che solitamente oggi in Matematica viene inteso, richiama piuttosto le posizioni filosofiche di Cartesio che per primo ha introdotto esplicitamente (in tempi moderni) la dicotomia analisi - sintesi. E’ però una ‘definizione’ che è stata proposta da Ettore Bortolotti (1866 – 1947) prima dell’introduzione dello strutturalismo che ha identificato con la struttura algebrica uno specifico tipo di struttura madre, secondo la classificazione di Bourbaki. 1.1 Le prime manifestazioni del pensiero algebrico. Oggi si discute molto in ambito didattico su quella che viene detta con dizione inglese early algebra, talora tradotta italiano col termine di pre-algebra. Si tratta di una forma di ragionamento presente anche negli scolari più piccoli, già alla scuola elementare, che si può riscontrare anche nella sviluppo storico. Se quindi si intende per algebra questo tipo di approccio, si può affermare che la storia dell’Algebra ha inizio almeno attorno al 2000 a.C. in quanto si trovano tracce di approcci algebrici fin dalla antichità egizia e mesopotamica. Di fatto le manifestazioni di tipo matematico, anzi aritmetico risalgono a molto più indietro nel tempo. Sono noti infatti strumenti di calcolo, le ‘calcolatrici elettroniche’ dell’età della pietra, i tallies: -1- Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 E’ assai interessante osservare che tale strumento di calcolo si è conservato in epoche molto più vicine a noi, come mostrano tallies utilizzati in epoca moderna Anzi qualche esempio risale al secolo XX -2- Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Il pensiero algebrico è frutto di evoluzione culturale umana sviluppatasi, nel tempo storico. In tempi più vicini a noi, si riscontrano aspetti che facciamo meno fatica a ritenere algebrici nella tarda grecità, ad esempio ad opera di Diofanto (200 - 284 d.C.). Anche l’estremo Oriente (India e Cina) ha dato i propri contributi all’Algebra. C’è però un problema di datazione, in quanto le opere scritte di quei popoli sono frutto di una lunga tradizione orale. Resta quindi difficile trovare l’origine dei procedimenti. Ma come vedremo la storia non è così semplice e neppure lineare. E’ bene inoltre distinguere alcuni momenti egualmente importanti e costitutivi dell’Algebra: 1. la storia delle equazioni e delle tecniche risolutive e problemi connessi (dall’antichità al XIX secolo). 2. la storia del simbolismo algebrico. (dal IV secolo a. C. al XVII secolo) Non si può certo asserire che lo sviluppo di questi due aspetti sia stato parallelo, anche se da un certo punto in poi si assiste ad un sufficiente sviluppo del simbolismo che aiuta e fornisce suggerimenti all’altro aspetto, permettendo di recuperare in modo più semplice procedimenti risolutivi già individuati per altra via. Accanto a questi due filoni si colloca 3. la storia delle strutture algebriche ( a partire dall’inizio del XIX secolo) che ha avuto sviluppo diverso dai due filoni precedenti. Come si vede sono periodi assai estesi nel tempo ed anche nello spazio. 1.2. Brevi cenni sulle equazioni algebriche. Alcuni semplici richiami di Algebra per ricordare cosa si intenda per equazioni algebriche e quali problemi sono ad esse connessi. Una scrittura del tipo a0 x n + a1x n −1 + ... + an −1x + an = 0 viene detta equazione algebrica di grado n nell’incognita x. -3- Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Il termine equazione, di origine latina compare per la prima volta nella letteratura matematica nel Liber Abaci (1202) di Leonardo Pisano o Fibonacci. Per dare correttezza a questa scrittura bisogna avere almeno una struttura algebrica opportuna, ad esempio la struttura di anello per potere calcolare somme, prodotti e potenze, quindi per interpretare i simboli presenti in modo ‘naturale’. Il grado è un numero naturale. Le scritture di tipo ai vengono detti coefficienti dell’equazione e vengono Leonardo Fibonacci (1170 – 1250) solitamente interpretati in elementi dell’anello. In particolare a0 viene detto coefficiente direttore dell’equazione. Il primo membro può essere visto come un polinomio a coefficienti in un anello, ma in tale caso x diviene una indeterminata invece che un’incognita. L’equazione è data dall’eguaglianza di due termini, dal punto di vista della scrittura (morfologia). L’espressione scritta sopra viene detta forma normale dell’equazione e per ottenerla è bene avere delle regole (sintassi) per gestire addizione e moltiplicazione. Anzi il solo fatto di avere potenze suggerisce (anche se non indispensabile) che si debba essere in presenza della proprietà associativa della moltiplicazione. Senza questi aspetti sintattici non è possibile giungere alla cosiddetta forma normale, quella scritta sopra. Una volta scritta l’equazione ed interpretati i coefficienti in un anello, anche l’indeterminata o incognita, può essere interpretata in elementi della stessa struttura, fornendo così un’interpretazione per il polinomio in un elemento dell’anello. E’ questa la fase semantica. Solitamente con la dizione Risolvere l’equazione… si intende il problema di determinare se esiste un’interpretazione dell’incognita cui corrisponda l’elemento neutro dell’anello. Si tratta quindi di associare al polinomio una funzione polinomiale a valori nella struttura e poi ispezionare nell’insieme immagine di questa funzione se esiste l’elemento neutro e in caso affermativo trovare gli elementi della controimmagine di 0 nella funzione polinomiale. Dal punto di vista storico i polinomi sono una “invenzione” recente, come oggetto in sé con le proprietà connesse, ma l’utilizzazione implicita dei polinomi è strettamente connessa con le equazioni. I coefficienti delle equazioni “storiche” sono stati determinati dalla cultura dell’epoca. Si può dire che gli esempi più antichi prevedono coefficienti dati dai numeri naturali, poi i numeri razionali assoluti ed infine i numeri reali anche senza averne una esplicita definizione. Dal problema delle soluzioni delle equazioni sono poi stati introdotti i numeri complessi. -4- Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Nella pratica scolastica, una volta scritta l’equazione in forma normale, si chiama radice del polinomio 1 a primo membro o soluzione dell’equazione (a coefficienti reali o complessi) un numero reale o complesso α che sostituito ad x nel primo termine dell’equazione dia il secondo, vale a dire tale che a0α n + a1α n −1 + ... + an −1α + an = 0 Risolvere un’equazione vuol dire trovare tutte le sue soluzioni. Ci sono due metodi sostanzialmente diversi per risolvere le equazioni. Trovarne una soluzione numerica o una soluzione analitica. Con soluzione numerica si intende la determinazione dei valori numerici approssimati delle radici come opportune funzioni dei coefficienti. Questo tipo di soluzione è attestata anche nell’antichità ed è diventata di grande importanza nella Matematica dal XIX secolo in poi. Non è quella che viene insegnata nella scuola. I metodi numerici si sono ampiamente sviluppati; alcuni di essi sono rivolti alla determinazione approssimata di una specifica radice, altri sono rivolti alla determinazione complessiva delle radici. La soluzione analitica è quella solitamente introdotta nella scuola, quella che esprime le soluzioni dell’equazione mediante funzioni razionali ed estrazioni di radici applicate ai coefficienti dell’equazione. In realtà si possono applicare ai coefficienti altri tipi di funzione ad esempio trigonometriche o funzioni ellittiche ed iperellittiche, ma nella prassi scolastica (ed anche di matematici di altri tempi) col termine di equazione risolubile per radicali si intende quelle che si possono risolvere sono solo mediante funzioni razionali e i radicali sui coefficienti della funzione. Anzi talvolta si sottintende la dizione per radicali, commettendo così, evidentemente, una scorrettezza. Un’equazione algebrica di grado n si dice completa se in essa sono presenti tutte le potenze dell’incognita fino a n. Un’equazione si dice monica se il coefficiente direttore è 1. Se il coefficiente direttore è diverso da 0 ed è scelto in modo che sia un elemento invertibile (ciò che avviene se i coefficienti sono elementi di un corpo o di un campo), allora è possibile trasformare l’equazione data in un’equazione monica senza che questo cambi le soluzioni. Infatti a0 x n + a1x n −1 + ... + an −1x + an = 0 e x n + a0 −1a1x n −1 + ... + a0 −1an −1x + a0 −1an = 0 hanno le stesse soluzioni in quanto se α è una soluzione della prima, allora sostituendola a x nella seconda si ottiene ancora 0, ed è semplice provare il viceversa. Il più importante risultato relativo alle equazioni algebriche a coefficienti complessi è il seguente 1 Il nome ‘radice’ proviene dall’opera di Mohamed ibn Musa al Kowarizmi (si veda il successivo paragrafo 3.2.9.) -5- Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Teorema fondamentale dell’Algebra (Gauss 1799). Ogni equazione algebrica a coefficienti complessi ha almeno una soluzione reale o complessa. Da questo risultato si ricavano alcuni importanti corollari. Corollario 1. Sia f(x) una funzione polinomiale a coefficienti complessi di grado n, allora si può rappresentare in un modo unico (a meno della commutatività della moltiplicazione) come prodotto di esattamente n fattori di Karl Friedrich Gauss (1777 – 1855) polinomi di primo grado, nella forma a0(x-α1)…(x-αn) Dimostrazione. La dimostrazione procede per induzione sul grado partendo da 1. Se f(x) ha grado 1, allora è già esso stesso un polinomio di primo grado ed è quindi della forma a0x + a1 = a a0 x − − 1 a0 a = a0 ( x − α1 ) , purché α1 = − 1 Altre espressioni non sono possibili. a0 Assunta l’ipotesi per tutti i polinomi di grado minore di n, esista la fattorizzazione unica e sia f(x) di grado n. Per il Teorema fondamentale dell’Algebra, si ha una radice del polinomio, α1. Si ha allora f(x) = f1(x)(x-α1), con f1(x) polinomio a coefficienti complessi di grado n-1, per la proprietà euclidee dell’anello dei polinomi a coefficienti in un campo (in questo caso ). Per ipotesi induttiva f1(x) si può scrivere in un unico modo come a0(x-β1)…(x-βn-1) come prodotto di esattamente n-1 polinomi di primo grado (non necessariamente distinti) e quindi f(x) si può scrivere come prodotto di esattamente n polinomi di primo grado e in tale fattorizzazione compaiono tutte e sole le radici del polinomio. L’unicità della fattorizzazione dipende dal fatto che l’anello dei polinomi è un anello euclideo per la presenza del grado. Si ricorda che in Algebra un anello A è detto euclideo se è assegnata una funzione g: A → che - ∀a∈A(a 0 → g(a) - ∀a,b∈A(g(a) - ∀a,b∈A(b 0) g(a b) 0 → ∃∈q,r∈A(a = b q + r ∧ g(r) < g(a))) Da quanto sopra si ottiene: -6- tale Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Corollario 2. Ogni equazione algebrica di grado n in una incognita ha esattamente n soluzioni (non necessariamente distinte. Corollario 3. Sia f(x) un polinomio di grado 2n+1 a coefficienti in , allora esso ha una radice reale. Dimostrazione. Per il Teorema fondamentale dell’Algebra e per il Corollario 1, si può scrivere il polinomio f(x) come a0(x-α1)…(x-α2n+1). Se con automorfismo involutorio di : → si indica il coniugio, che è un , esso è tale che per ogni (a+ib)∈ , (a+ib) = a-ib. Inoltre il coniugato di un numero reale (b = 0) è lo stesso numero reale, per cui, (f(x)) = f(x). D’altra parte (f(x)) = (a0(x-α1)…(x-αn)) = a0(x- (α1))…(x- (αn)). Quindi per l’unicità della fattorizzazione, se αi è una radice complessa del polinomio f(x), allora anche (αi) è radice e sarà quindi un’altra delle radici già indicate, ad esempio αj. Ciò significa che le radici complesse di f(x) sono in numero pari. Essendo il polinomio di grado dispari deve esistere almeno una radice reale. Corollario 4. Sia a0 x n + a1x n −1 + ... + an −1x + an = 0 e siano α1,..., αn le sue radici, cioè tali che a0 x n + a1x n −1 + ... + an −1x + an = a0 ( x − α1 )...( x − α n ) si hanno le seguenti formule (di Viète) α1 + .. + α n = − a1 ; a0 α1α 2 + α1α 3 + ... + α n −1α n = a2 ; a0 α1α 2α 3 + α1α 2α 4 + ... + α n − 2α n −1α n = − a3 ; a0 François Viète (1540 – 1603) ...... α1α 2 ...α n = (−1) n an a0 Dimostrazione. Basta effettuare il calcolo a0 x n + a1x n −1 + ... + an −1x + an = a0 ( x − α1 )...( x − α n ) applicando il principio di identità dei polinomi per cui due polinomi nella stessa indeterminata sono eguali se hanno eguali coefficienti delle stesse potenze dell’indeterminata. -7- Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 a a Nel caso di n = 2 si ottengono le formule note dalla scuola superiore: α1 + α 2 = − 1 ; α1α 2 = 2 . a0 a0 a a a Nel caso n = 3, si ottengono α1 + α 2 + α 3 = − 1 ; α1α 2 + α1α 3 + α 2α 3 = 2 e α1α 2α 3 = − 3 . a0 a0 a0 1.3. Risoluzione delle equazioni algebriche. Nel corso delle lezioni si introdurranno le tecniche messe a punto dagli studiosi nelle varie epoche storiche per risolvere le equazioni. Si passerà da metodi per ‘tentativi’ ad altri più ingegnosi, ad esempio avvalendosi di strumenti geometrici. L’opera degli studiosi arabi porterà alla cosiddetta Regola d’Algebra, che costituirà il primo esempio di risoluzione in senso moderno, anche se ancora molto distante da quella che riteniamo oggi siano le formule risolutive delle equazioni. Con l’aumentare del grado aumentano le difficoltà di soluzione. 1.3.1 Equazioni di primo grado. La generica equazione algebrica di primo grado in un’incognita è del tipo a0x+a1 = 0. Questa equazione è sicuramente risolubile in un anello se a0 è un elemento dotato di inverso. Altrimenti potrebbe essere risolubile solo in alcuni specifici casi (quando a1 è multiplo di a0). In un campo in cui ogni elemento non nullo è invertibile si ha la formula risolutiva a a x = − 1 . Grazie a questa formula si risolve l’equazione in quanto a0 − 1 + a1 = - a1 + a1 = 0. a0 a0 1.3.2 Equazioni di secondo grado. Sono equazioni che sono state risolte anche nell’antichità, talora sfruttando proprietà geometriche. Il più antico metodo di risoluzione di cui si abbia notizia si basa sul cosiddetto metodo del completamento del quadrato. Questo metodo è presente anche in documenti della tarda grecità. La forma normale dell’equazione algebrica a coefficienti reali di secondo grado in un’incognita è a0x2 + a1x + a2 = 0. Moltiplicando entrambi i membri per 4a0 si ottiene (2a0x)2 + 4a0a1x + 4a0a2 = 0, da cui (2a0x)2 + 4a0a1x + (a1)2 – (a1)2 + 4a0a2 = 0. Questa espressione può essere trasformata in (2a0x+a1)2 = (a1)2 - 4a0a2. Se 2a0 x + a1 = ± (a1 ) 2 − 4a0 a2 . Da qui x = il secondo membro è positivo, allora si ha − a1 ± ( a1 )2 − 4a0 a2 . 2a0 Questa espressione è standard, ma è decisamente un ostacolo per gli studenti che spesso vedono il segno ± come qualcosa di appiccicato alla radice, anzi di un qualcosa che fa parte della radice stessa. Di fatto il doppio segno di operazione nasconde una disgiunzione (non esclusiva, in quanto il -8- Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 radicando potrebbe essere nullo) e sarebbe meglio introdurre lo studio delle equazioni scrivendo molte volte, x= − a1 − ( a1 )2 − 4a0a2 − a + ( a1 )2 − 4a0a2 ∨x= 1 , prima di passare alla sintesi realizzata 2a0 2a0 col simbolo ±. Inoltre si rifletta che il procedimento svolto non è una dimostrazione, ma solo un ragionamento euristico. Infatti sopra si dice ‘Moltiplicando’, ‘può essere trasformata’, e, come poi insegna lo studio delle equazioni irrazionali, ciò che apparentemente è semplice e possibile, è solo un ragionamento che si sviluppa dall’ipotesi che la soluzione esista e che i procedimenti di trasformazione algebrica applicati non facciano ‘apparire’ o ‘sparire’ soluzioni. Al più, i calcoli precedenti sono dimostrazione che se la soluzione esiste deve essere di una certa forma, quindi si possono considerare una dimostrazione di unicità (forse di duplicità), ma non di esistenza. Ma, come spesso fanno i ragionamenti euristici ci offrono una proposta per provare se la soluzione esiste. La prassi scolastica che si ferma qui, non è sufficiente, bisogna ancora provare che queste sono soluzioni. Basta sostituire al posto di x ciascuno dei valori trovati ottenendo − a1 + (a1 ) 2 − 4a0 a2 a0 2a0 = 2 − a1 + (a1 ) 2 − 4a0 a2 + a1 + a2 = 2a0 (a1 ) 2 + (a1 ) 2 − 4a0 a2 − 2a1 (a1 ) 2 − 4a0 a2 − (a1 ) 2 + a1 (a1 ) 2 − 4a0 a2 + + a2 = 4a0 2a0 2(a1) 2 − 4a0a2 − 2a1 (a1) 2 − 4a0a2 − 2(a1 ) 2 + 2a1 (a1) 2 − 4a0a2 + 4a0a2 4a0 = 0. In modo analogo si ha per l’altra radice − a1 − (a1 ) 2 − 4a0a2 a0 2a0 = 2 − a1 − (a1) 2 − 4a0a2 + a1 + a2 = 2a0 (a1) 2 + (a1) 2 − 4a0 a2 + 2a1 (a1) 2 − 4a0 a2 − (a1) 2 − a1 (a1) 2 − 4a0 a2 + + a2 = 4a0 2a0 2(a1) 2 − 4a0a2 + 2a1 (a1) 2 − 4a0a2 − 2(a1) 2 − 2a1 (a1) 2 − 4a0a2 + 4a0a2 4a0 -9- =0 Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 1.3.3 Equazioni di grado superiore al secondo. Solo molto più tardi, tra XVI e XVII secolo, in Italia furono scoperte (o inventate?) le formule risolutive delle equazioni di terzo grado e di quarto grado. A questo punto fu grande il fervore per trovare la soluzione delle equazioni algebriche di grado superiore al quarto. Per riuscire nello scopo sono state prodotti vari metodi e anche senza riuscire a risolvere il problema, egualmente la Matematica è proceduta preparando il terreno ad altri campi di studio. Tra XVIII e XIX secolo Lagrange intuisce che le equazioni di quinto grado o di grado superiore possano non essere risolubili per radicali: «Il problema di risolvere per radicali equazioni il cui grado è superiore al quarto, è uno di quelli che non è possibile risolvere, anche se nulla dimostra l’impossibilità di tale soluzione. » Luigi Lagrange (1736 -1813) (Lagrange: Réflexions sur la résolution algébrique des équation, 1770-71) Ciò viene provato nel 1799 da Ruffini e poi ripreso da Abel (indipendentemente). Nel 1799 si hanno le dimostrazioni di due importanti teoremi: per il teorema fondamentale dell’algebra ogni polinomio ha Paolo Ruffini (1765-1822) almeno una radice reale o complessa. Quindi si tratta di un enunciato con un quantificatore esistenziale (…esiste una Niels Abel (1802–1829) radice…). Il risultato di Ruffini attesta che se si ha a che fare con la generica equazione algebrica di grado maggiore di 4, può non essere possibile trovarne una soluzione per radicali. Si palesa in tale modo la differenza sostanziale tra le due locuzioni Esiste una radice e Si può trovare una radice!! Esistono tuttavia numerosi tipi di equazioni di grado superiore al quarto che possono risolversi per radicali, quindi resta da vedere quali siano le equazioni risolubili per radicali. Questo problema è stato affrontato e risolto da Galois. Gli studi di Galois hanno aperto la strada alla teoria dei gruppi ed alla teoria dei Evariste Galois (1811-1832) campi. Nel frattempo Galois e Abel hanno affrontato altri problemi relativi a classi di funzioni particolari, le funzioni ellittiche. I matematici della seconda metà del XIX secolo hanno sfruttato questo tipo di funzioni per determinare formule risolutive per le equazioni di quinto grado Leopold Kronecker (1832-1891) Charles Hermite Francesco Brioschi (1822-1901) (1824-1897) - 10 - Henri Poincaré (1854-1912) (Hermite e Kronecker) o di Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 sesto (Brioschi). All’inizio del XX secolo Poincaré ha generalizzato i risultati precedenti trovando formule risolutive per le equazioni algebriche di un grado qualunque. 1.4. Sistemi di numerazione dell’antichità mediterranea. Si riporta un documento mesopotamico (una tavoletta di argilla). Il tratteggio che appare segnala perdite di testo della tavoletta fittile. Un poco di aiuto si può avere dalla lettura del testo Si tratta quindi di un testo in cui compaiono parole e numeri; per entrare di più nel testo bisogna cercare di comprendere come vengono rappresentati i numeri. Si riporta a lato un documento egizio (un bassorilievo). Anche in questo documento sono presenti contenuti matematici. Per comprenderli bisogna però decifrare almeno parzialmente di che cosa parlano questi reperti archeologici. Per farlo si introducono i simboli usati per rappresentare i numeri. Da alcuni esempi (scritti in modo simile a quello effettivo) si ricavano le regole usate dagli Egiziani nella scrittura dei numeri. Questi esempi rappresentano una galleria sufficiente per comprendere che tipo di sistema di numerazione avessero gli antichi Egizi. - 11 - Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 A questo punto si possono svolgere alcuni esercizi di traduzione dall’antico Egiziano alla scrittura odierna e viceversa. Si può dire che si tratti di una numerazione additiva, cioè i simboli mantengono lo stesso valore indipendentemente dalla posizione e anche dall’orientazione degli stessi. Il numero descritto si ottiene dalla somma dei valori numerici dei simboli rappresentati. In questo tipo di numerazione non c’è bisogno di un simbolo per 0. Si può ora rileggere il precedente documento antico. - 12 - Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Nella colonna centrale appaiono dei numeri sopra e sotto i disegni di animali Si tratta quindi di una specie di inventario che illustra i possedimenti di un signore dell’epoca. 200 30 30 10 5 Tot. 275 Tot 4.000 300 4.300 Con la numerazione mesopotamica siamo di fronte ad una maniera più sbrigativa per scrivere i numeri. La scrittura in questi paesi avveniva mediante tavolette di argilla (abbondante nella terra dei - 13 - Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 due fiumi, Tigri ed Eufrate) su cui si incideva mediante uno stiletto con una testa triangolare. Le tavolette potevano essere ‘cancellate’ passandovi sopra, oppure fatte seccare ed in tal caso mantenevano a lungo i segni. Anche per la numerazione mesopotamica prima si offre una galleria che deve servire a comprendere come era organizzata la numerazione, qui mescolata con esercizi. Già dal primo esempio si coglie il significato dei segni. Quello a forma di chiodo è 1, quello a forma di cuneo 10. Sembra quindi che siamo di fronte ad una notazione additiva. Il primo esempio della seconda riga però contrasta con questa prima interpretazione, facendo capire che si tratta di una numerazione mista, additiva e posizionale su base 60. I disegni precedenti però mettono in luce distanziandoli i vari segni quando si cambia ‘unità’, ma i testi non sono così accurati. È evidente che manca un simbolo per 0, che stavolta sarebbe indispensabile per distinguere tra 2, 61 e 3.601. Si può ora apprezzare la tavoletta presentata sopra e cercare di capire di cosa parli. - 14 - Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Indichiamo le parti matematiche interessanti del testo. In rosso mitharti, in verde tustakkal, in azzurro tussabma. In blu indicazioni numeriche. Il risultato in giallo. All’inizio della parte tratteggiata della terza riga si intravede una scrittura che potrebbe rappresentare 14.30. Siamo dunque in presenza di un testo prettamente matematico, non come quello egiziano presentato prima, di natura pratica: si presenta un problema di cui si indica il procedimento di soluzione seguendo strade che fatichiamo a comprendere, anche perché ci manca la duttilità data dalla pratica della numerazione posizionale sessagesimale. Inoltre non siamo più abituati ad una presentazione a parole (Algebra retorica), come lo erano gli antichi, anzi la traduzione in formule (Algebra simbolica) delle parole non è facile. Restiamo stupiti però della modernità del procedimento, una volta decifrato, il cosiddetto metodo del completamento del quadrato, che ancora oggi viene presentato senza molte differenze sui libri di testo della scuola secondaria. Saremmo incuriositi di sapere come facevano a calcolare le radici quadrate. Altri reperti mostrano delle tavole numeriche. Nasce allora il sospetto che il problema sia costruito apposta, con dati facili da calcolare, anche con l’ausilio di tavole. E’ però d’obbligo una riflessione su quanto gli algoritmi che oggi utilizziamo siano assai diversi perché direttamente o indirettamente basati sulla numerazione posizionale decimale e sul simbolismo. Un altro documento databile intorno al 1650 a.C: è il cosiddetto Papiro Rhind, dal nome del suo compratore, attualmente a Londra. Si tratta di un - 15 - Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 rotolo di papiro largo circa 30 cm e lungo 5,46 metri. Il testo è firmato dallo scriba Ahmes che dice di avere fatto una raccolta basata su documenti precedenti. Si tratta di una raccolta di 87 problemi soprattutto di Geometria e Aritmetica dati assieme alle soluzioni degli stessi. L’immagine (poco soddisfacente) di un frammento di tale documento mostra figure geometriche. Si appura facilmente che al momento della scrittura di tale papiro, il cosiddetto Teorema di Pitagora era già noto agli Egizi, come forse anche ai popoli mesopotamici, come mostra la presenza dell’estrazione di radice quadrata. Secondo gli antichi, mentre gli Egizi eccellevano nella Geometria, i fenici, popolo di marinai e commercianti, avevano sviluppato l’Aritmetica. Di questo popolo ci rimane ben poco, sia dal punto di vista archeologico che documentale, in quanto la loro forza commerciale si infranse contro l’impero romano il quale, ottenendo il predominio militare sul Mediterraneo, impose anche le proprie regole commerciali distruggendo con ferocia i Fenici, in particolare i Cartaginesi, rei di aver osato intimorirlo con le scorrerie di Annibale in Italia. I Greci che hanno avuto un ruolo culturale centrale nella storia hanno fatto scelte che hanno impedito uno sviluppo dell’Aritmetica e dell’Algebra paragonabile a quello della Geometria. Infatti denotavano i numeri mediante le lettere dell’alfabeto. E’ sì una scelta dettata da un criterio di semplicità, ma può andare bene solo se servono pochi numeri. Di fatto riuscivano a rappresentare il numero 10.000 (miriade) ma come dice il termine, che è stato incluso nel dizionario della lingua italiana, ed anche in quello di altre lingue (in inglese myriad) ha peso molto del suo significato numerale per indicare una quantità indeterminata (ad esempio il dizionario di inglese traduce miriade anche con multitude!). Dunque miriade era al contempo il numero 10.000 ed il numero infinito! A riprova di questo fatto, ci è stato tramandato un interessantissimo testo di Archimede: l’Arenario. In esso il matematico tenta di dimostrare come il numero dei granelli di sabbia che costituiscono le coste di Siracusa, la sua città, sono in numero finito, provando che è possibile contare il numero dei granelli di sabbia che servono per riempire l’Universo. Per fare questo ha bisogno di trovare nomi per rappresentare i numeri naturali richiesti allo scopo, e che vanno ben al di là della miriade. La numerazione degli antichi romani è insegnata alle scuole e la si può trovare usata ancora oggi su lapidi e monumenti. In essa i numeri sono indicati mediante lettere ed ha importanza anche la posizione. Non era molto comoda per fare operazioni, tanto che nel medioevo, prima e anche dopo l’introduzione delle cifre arabiche, per apprendere la divisione bisognava frequentare l’Università. - 16 - Archimede di Siracusa (287 – 212 a.C.) Matematiche complementari I – Capitolo 1 Storia dell’Algebra AA. 2008-2009 Si è preferito accentrare l’attenzione sull’antichità dei paesi che gravitavano sul Mediterraneo, per seguire il filo che ha portato all’attuale Algebra. Come detto prima anche altri popoli, in Estremo Oriente e nelle Americhe hanno sviluppato sistemi di numerazione ed anche lo studio dell’Algebra, ma l’indagine comparata completa porterebbe ad utilizzare troppe ore di lezione. - 17 -