La disputa sull’adozione degli embrioni umani Linee per una riflessione filosofica Adriano Pessina* Premessa In bioetica capita spesso di dover affrontare questioni emotivamente coinvolgenti, di difficile soluzione teorica. Ogni valutazione morale dovrebbe stabilire in modo non arbitrario – cioè non affidato alla volontà, cioè alla pura decisione – una gerarchia di beni da tutelare e promuovere in una particolare situazione. I conflitti morali non possono essere sciolti proponendo, secondo un’espressione diffusa, ma teoreticamente inappropriata, “il male minore” – il male non dovrebbe mai essere in sé oggetto di scelta – ma indicando il “miglior bene possibile” che si deve perseguire stando le condizioni concrete entro cui si deve esercitare la scelta stessa. Il crinale che separa il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, si estende sul terreno di friabili condizioni teoriche e l’esercizio della riflessione filosofica, dell’analisi critica e dell’argomentazione rigorosa, è spesso esposto alle precomprensioni e ai pregiudizi che ogni uomo coltiva nella sua mente e nel suo cuore. L’arte della disputa filosofica, del confronto dialettico e della costruzione della quaestio, con i suoi pro e i suoi contra, sono metodologicamente proficui quanto più sono tesi a fornire una soluzione il meno condizionata possibile da quelle dimensioni emotive che sono, invece, parte dell’esperienza morale – che non coincide con la pratica della filosofia morale. A differenza di quanto si è soliti credere, le dispute più difficili sono quelle che avvengono all’interno di prospettive teoriche * Professore Ordinario di Filosofia morale, Facoltà di Scienze della Formazione, Università Cattolica del Sacro Cuore (UCSC); Direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’UCSC (recapito per la corrispondenza: [email protected]). Il contributo è stato ricevuto dalla Redazione il: 7.10.2013. Medicina e Morale 2013/6: 1099-1112 1099 A. PESSINA molto simili, laddove la divergenza delle conclusioni sembra mettere in gioco la consistenza o del ragionamento o delle premesse stesse. Il dibattito che si è sviluppato intorno alla cosiddetta adozione embrionale ha alcune delle caratteristiche fin qui ricordate. Infatti, il dilemma etico, ritenere o no moralmente legittima l’adozione degli embrioni in stato di abbandono, si pone, in maniera rilevante, all’interno di prospettive filosofiche e teologiche1 che pure condividono molti convincimenti intorno allo statuto personale dell’embrione umano. Lo scopo di questo scritto è di mettere in luce le ragioni a favore e quelle contrarie alla legittimazione morale di quella prassi che un articolato documento del Comitato nazionale per la bioetica ha chiamato “adozione per la nascita”.2 Poiché l’intento di questo sintetico scritto è quello di verificare se il riconoscimento dello statuto personale dell’embrione umano, e la valutazione moralmente negativa di ogni forma di procreazione extracorporea – omologa ed eterologa – e di maternità surrogata, siano di per sé compatibili con la tesi della legittimità morale dell’adozione pre-natale, e a quali condizioni teoriche lo sia, non prenderemo in considerazione tutti gli argomenti, a cui brevemente faremo riferimento, che si articolano partendo da premesse differenti da quelle appena enunciate. Come si è detto, il tema è particolarmente rilevante e complesso, sia per le conseguenze concrete che ogni soluzione teorica finisce con l’auspicare, sia perché pone in evidenza a quali condizioni una teoria possa risultare coerente con le proprie premesse dichiarate. Ciò che è moralmente buono “in teoria”, lo è anche in pratica, stante il fatto che la morale ha a che fare con l’agire dell’uomo. Le conseguenze pratiche di ogni valutazione dovrebbero essere coerenti con le premesse etiche, che dovrebbero essere adeguatamente giustificate. Per questo motivo, come diremo, la questione dell’adozione degli embrioni umani ha diversi aspetti: riguarda il modo 1 In questa occasione si privilegerà un approccio esclusivamente filosofico e non verranno, pertanto, prese in considerazione le questioni di natura giuridica e i pronunciamenti del Magistero cattolico (con particolare riferimento alla Dignitas personae) o di altre confessioni cristiane. 2 Cfr. il Parere del 2005 L’adozione per la nascita (APN) degli embrioni crioconservati e residuali derivanti da procreazione medicalmente assistita (PMA). 1100 Medicina e Morale 2013/6 ADOZIONE DI EMBRIONI UMANI con cui pensiamo al valore dell’esistenza umana, alle relazioni interpersonali, alle categorie, così decisive per una persona umana – che è un essere concreto, corporeo, che è generato, si sviluppa, nasce e cresce nel tempo – come quelle di “figlio”, di “madre”, di “padre”. In un certo senso, il tema dell’adozione per la nascita interpella ogni uomo perché gli chiede di fare i conti con il significato dell’origine, che è evocato appunto dalla nozione di generazione.3 Ovviamente non potremo affrontare tutti questi argomenti, ma qualche cenno sarà necessario per non ridurre la questione a un semplice problema di “pronto soccorso” vitale, dimenticando le condizioni in cui avviene e le implicazioni che esso ha.4 Per tentare di fornire un quadro sufficientemente chiaro, e possibilmente rigoroso, procederemo in primo luogo con l’esposizione di una serie di problematiche che, pur non costituendo di per sé un’obiezione all’adozione embrionale, vanno però tenute in debito conto perché contribuiscono a chiarire ed essenzializzare la disputa, riportandola ai suoi nodi teoretici. L’interesse speculativo per questo argomento deriva dal fatto che l’adozione prenatale si presenta, almeno a prima vista, come un’azione in grado di riscuotere un consenso pressoché unanime e far convergere impostazioni che invece divergono sia circa la valutazione morale delle tecniche di generazione extracorporea, sia sulla definizione dello statuto antropologico e personale dell’embrione umano. Si tratta perciò di verificare se, dal punto di vista argomentativo, l’adozione prenatale sia in grado di proporsi come un’azione eticamente consigliabile – o addirittura doverosa – e a quali condizioni, 3 Su questo argomento rinvio a: PESSINA A. “Venire al mondo”. Riflessione filosofica sull’uomo come figlio e come persona in CARIBONI C, OLIVA G, PESSINA A. Il mio amore fragile. Storia di Francesco. Arona: XY.IT; 2012: 63-93, e PESSINA A. Barriere della mente e barriere del corpo. Annotazioni per un’etica della soggettività empirica in ID (a cura di). Paradoxa. Etica della condizione umana. Milano: Vita e pensiero; 2010: 199-243. 4 Va chiarito che lo scrivente, che non ha esposto pubblicamente queste considerazioni, peraltro circolate in una prima versione in forma privata, ha avuto modo di conoscere varie obiezioni alla tesi qui sostenuta, e qui ne ha tenuto conto: esprimendo gratitudine a coloro che le hanno espresse, perché hanno permesso allo scrivente di chiarire meglio il proprio pensiero, si è ritenuto più proficuo procedere soltanto per argomenti ed evitare polemiche dirette. L’assenza del riferimento alla bibliografia internazionale – facilmente reperibile – è legata all’intento di evitare di cadere nella polarità “laici” “cattolici” a cui di fatto si è prestata questa disputa anche fuori dall’Italia. Medicina e Morale 2013/6 1101 A. PESSINA anche per quanti non ritengano moralmente legittimo il ricorso alle tecniche di procreazione extracorporea – omologa e eterologa – e alla maternità surrogata. Preliminari Prima di enucleare il dilemma etico che qui interessa risolvere, è necessario svolgere una serie di annotazioni che permettano di orientare il lettore e forniscano gli elementi teorici che fanno da punto di riferimento: va detto che, di per sé presi, questi primi argomenti non sono ancora in grado, come vedremo, di confutare la liceità morale dell’adozione pre-natale, ma permettono però di evidenziare quali vie argomentative siano precluse a chi voglia discutere del tema in modo rigoroso. Infatti, come si evince anche dalla vasta letteratura internazionale, si ha l’impressione che la difesa dell’adozione avvenga per “accumulo” di elementi, ognuno dei quali, però, risulta sempre insufficiente e non dirimente. La dimensione “simbolica” dell’espressione adozione prenatale – o per la nascita – farebbe, tra l’altro, pensare che tutti coloro che la favoriscono debbano di per sé riconoscere lo statuto antropologico e personale dell’embrione umano e che da tale implicito riconoscimento dovrebbero ricadere conseguenze eticamente normative anche sulle altre forme di intervento sulla vita embrionale, prima del trasferimento nel grembo materno. In altri termini: il riconoscimento etico – e ancor più, giuridico – dell’adozione prenatale sarebbe un passo nella giusta direzione della tutela della vita embrionale in quanto tale: chi permette l’adozione riconoscerebbe – questo il ragionamento – lo statuto personale dell’embrione. In realtà, come è noto, si può essere favorevoli a questa prassi anche affermando che l’embrione non è ancora persona e semplicemente inserendo questa tecnica nell’allargamento dell’offerta riproduttiva di tipo eterologo. Comunque, un uso anche – sebbene non esclusivamente – strumentale della promozione etica dell’adozione prenatale non sarebbe in sé sufficiente a legittimare la cosiddetta adozione: la questione dello statuto antropologico e personale della fase embrionale umana è teoreticamente differente e precedente la questione etica delle azioni 1102 Medicina e Morale 2013/6 ADOZIONE DI EMBRIONI UMANI che si possono legittimamente fare sugli embrioni umani. In questa sede, per metodo e per convinzione, analizzeremo il problema dell’adozione prenatale assumendo come acquisito che la fase embrionale umana sia a tutti gli effetti espressione della struttura antropologica e personale dell’uomo. Quindi cercheremo di mettere in luce quali siano i beni morali – valori – che entrano in gioco, con particolare attenzione al tema del valore della vita e del diritto che ne consegue. Il problema della liceità (o, persino, doverosità) morale dell’adozione prenatale è, di per sé, distinto dal problema della sorte degli embrioni crioconservati e non può essere immediatamente presentato come una soluzione pratica a quel problema. Occorre, infatti, tener presente che anche qualora si ritenesse legittima l’adozione (o, persino, doverosa), poiché non potrebbe essere “imposta”, resterebbe aperta la possibilità che non tutti gli embrioni crioconservati vengano “adottati” e resterebbe il problema del che fare nei confronti dei rimanenti. Occorre perciò chiedersi se l’adozione prenatale sia o no l’unica soluzione eticamente accettabile ed essere consapevoli che, qualora fosse questa la conclusione, si sarebbe raggiunta una soluzione teorica, ma non ancora “pratica” del problema degli embrioni crioconservati. Questa consapevolezza diventa rilevante specie laddove si deve tener conto dell’aspetto normativo: non possiamo, infatti, ritenere che sia sufficiente dichiarare l’adottabilità degli embrioni crioconservati per risolvere questo problema. Qualora, infatti, alcuni embrioni adottabili non siano adottati di fatto, bisogna chiedersi che cosa fare, perché questa situazione non è paragonabile a quella dei neonati adottabili che, in ogni caso, potrebbero essere tutelati dalla struttura pubblica. Non si può ignorare che l’adottabilità degli embrioni gioca indirettamente a favore di coloro che difendono la pratica della crioconservazione, perché verrebbe a cadere l’obiezione che questi embrioni siano di per sé destinati a morire: inoltre, di fatto, potrebbe aprire le porte alla cessione di embrioni dando luogo ad un’altra forma di procreazione eterologa. Questo “abuso” del criterio di adottabilità non basta a risolvere il problema etico in sé, ma serve per confutare l’idea che l’adottabilità possa essere assunta come via pratica per Medicina e Morale 2013/6 1103 A. PESSINA contrastare alcuni tra gli effetti più gravi connessi con le prassi di procreazione extracorporea e cioè la crioconservazione. Va ricordato che, in primo luogo, l’unica persona che avrebbe il dovere morale di portare a termine lo sviluppo dell’embrione crioconservato è la madre. A questo proposito va specificato che quando oggi specifichiamo “madre biologica” stiamo di fatto capovolgendo l’ordine dell’analogia, perché in sé il termine madre implica sempre la dimensione biologica, mentre le altre nozioni sono analogati secondari: nella “maternità surrogata” abbiamo la figura della cosiddetta madre gestante, e poi c’è la figura della madre sociale o adottante. Tutte queste nozioni di madre lo sono solo in analogia con la maternità che deriva dalla partecipazione biologica del nascituro al patrimonio biologico di colei che ha offerto alla tecnica il proprio ovocita – nel caso della FIVET. Perciò si pone un primo quesito, non soltanto terminologico: si può definire la gestazione e il parto di un “figlio”, biologicamente differente dalla madre gestante e partoriente, un’adozione prenatale? Le differenze tra questa forma di intervento e l’adozione in senso proprio non sono accidentali: nel primo caso, dell’adozione prenatale, la donna gestante contribuisce allo sviluppo biologico e non soltanto etico e psicologico del generato “adottato”: nel secondo caso, dell’adozione vera e propria, invece, i genitori sono i custodi dell’esistenza del neonato – che in sé ha già un’autonomia esistenziale – e si fanno garanti soltanto dello sviluppo psichico ed etico del neonato. Questa differente situazione (resa possibile dalla tecnologia) non può essere sottovalutata: come è noto, in ogni giudizio di coscienza occorre tener conto della specifica situazione che viene valutata attraverso i criteri morali di riferimento. In entrambi i casi la nozione di “figlio” – adottivo – indica una diversa relazionalità rispetto al figlio cosiddetto “biologico”. Queste sono distinzioni descrittive e non ancora valutative sul piano etico. Anche a livello della comunicazione “pubblica”, resta aperta una domanda: come si può differenziare questo atto da quello della maternità surrogata? Non basta certo l’intenzione di continuare ad occuparsi del neonato a trasformare una maternità surrogata in un’adozione prenatale: anche perché si potrebbe dire che anche la maternità surrogata è un forma temporale di adozione prenatale, volta a creare le condizioni di esercizio della paternità e maternità sociale 1104 Medicina e Morale 2013/6 ADOZIONE DI EMBRIONI UMANI da parte degli eventuali genitori biologici che hanno fatto ricorso alla madre surrogata. Questa osservazione va tenuta in debita considerazione, perché non possiamo dimenticare che, qualunque sia la conclusione della riflessione etica sulla cosiddetta adozione prenatale, essa non può non interessare anche la figura della maternità surrogata e la valutazione etica della legittimità della FIVET (e delle varie forme di generazione extracorporea). Impostazione del problema In modo alquanto schematico, possiamo ipotizzare due linee argomentative, che fanno capo a due differenti impostazioni in ordine alla gerarchia dei valori che entrano in gioco nella questione dell’adozione prenatale: in tutte e due le argomentazioni, va ricordato, si assume come giustificato: il riconoscimento della struttura antropologica e personale dell’embrione umano; il fatto che l’embrione umano si trova in una condizione di “abbandono” (non può cioè nascere dalla madre naturale) ed è attualmente crioconservato. Prima linea argomentativa (A): si assume che la vita umana sia un valore assoluto e incommensurabile (come tale non paragonabile a nessun altro bene). Seconda linea argomentativa (B): si assume che la vita umana sia un valore basilare, perché condizione della stessa gerarchia di altri beni umani e condizione necessaria, ma non sufficiente, per il conseguimento del fine specifico dell’uomo: ciò comporta che il valore vita possa essere commensurabile in linea di principio (es. è legittimo dare la vita per un altro: è legittimo privilegiare, nella testimonianza, la fedeltà alla verità su Dio rispetto alla conservazione dell’esistenza propria). Valori in gioco: 1. continuità, sviluppo, nascita e crescita della persona allo stadio embrionale 2. rispetto della sua dignità personale e quindi delle sue condizioni antropologiche di crescita (porre le condizioni perché possa sviluppare la sua personalità) 3. significato e valore della genitorialità e della maternità. In par- Medicina e Morale 2013/6 1105 A. PESSINA ticolare, il valore della maternità come processo unitario, biologico, psichico e morale, e non come pura funzione fisiologica. Situazione di fatto: 1. gli embrioni umani crioconservati debbono essere trasferiti nel grembo femminile – definito materno per analogia funzionale – per poter continuare il loro sviluppo 2. prima del decongelamento non si sa se siano o no ancora vivi 3. molti di loro moriranno al momento del decongelamento e alcuni potrebbero presentare anomalie 4. bisognerà scegliere quali embrioni decongelare e di quelli decongelati quali trasferire nelle tube 5. affinché si proceda al trasferimento nelle tube è necessario che la donna sia stimolata ad accogliere l’annidamento. Confrontiamo le argomentazioni tenendo presenti le tipologie: (A) la vita è considerata un valore incommensurabile: è doveroso fare tutto ciò che è possibile per salvare la vita di una persona umana; (B) la vita umana è considerata un valore fondamentale: è doveroso fare tutto ciò che è moralmente possibile per salvare la vita di una persona umana. In base ad A: non ci sono obiezioni di diritto all’adozione prenatale: di per sé, se lo scopo è la salvaguardia della vita, è condizione sufficiente la disponibilità di una eventuale madre (in assenza di una coppia di genitori stabili, risulta legittimo ricorrere anche a donne single o con orientamento omosessuale). Va però chiarito che, in linea di principio, dovrebbero essere privilegiate le donne che non presentano problemi legati alla sfera riproduttiva, poiché, se lo scopo è la vita, è necessario che venga assicurato il massimo delle possibilità allo sviluppo dell’embrione umano. Va anche detto che, nella prospettiva di A l’adozione prenatale (fatta salva la libertà della donna) si presenta come doverosa e non soltanto come lecita. In linea di principio il valore salva-vita renderebbe meno rilevante il fatto che l’adozione pre-natale possa anche configurarsi con l’allargamento dell’offerta riproduttiva: tema, quest’ultimo, sostenuto da coloro che non riconoscono lo statuto personale dell’embrione e perciò sono favorevoli all’adozione in funzione della soddisfazione del desiderio 1106 Medicina e Morale 2013/6 ADOZIONE DI EMBRIONI UMANI di maternità di alcune donne. In questa prospettiva, invece, è prioritaria la salvaguardia della vita dell’embrione umano rispetto al desiderio di maternità della donna. Anche l’adozione di neonati, oltre che l’adozione prenatale risulta doverosa qualora sia in gioco la vita umana: la differenza è che il neonato può essere assistito e accudito anche da una struttura pubblica – orfanatrofio – mentre l’adozione pre-natale implica la gestazione e il parto e perciò richiede sempre l’atto di una donna. Se si afferma che l’adozione non è doverosa – e perciò non è obbligatoria – ma soltanto legittima, allora ciò che la rende tale non è più il valore della vita del generato ma la decisione o il legame emotivo-affettivo della donna: in questo caso si creerebbe un problema all’interno della posizione di A perché in assenza della decisione-volontà della donna si riterrebbe legittima la non-adozione e si subordinerebbe il valore vita alla decisione femminile. Togliere la doverosità e sostituirla con la liceità significa dare una gerarchia dei valori differenti, in cui la stessa doverosità del salvare la vita è subordinata alle condizioni in cui questa si attua (ma in questo modo si rientrerebbe nella posizione B). In questa prospettiva possono essere subordinati i seguenti valori: 1. il diritto del figlio di nascere nel grembo della propria madre: questo diritto, infatti, risulta inesigibile a motivo dell’abbandono materno; 2. il diritto del figlio a nascere in un contesto che ne garantisca anche l’equilibrata crescita della personalità (famiglia): la vita è infatti più importante della questione della crescita e dell’educazione e perciò, in via eccezionale, si può pensare che donne single o omosessuali ricorrano all’adozione pre-natale; 3. il valore della maternità come evento personale che esclude in linea di principio la separazione dei processi biologici, fisiologici ed affettivi; 4. la normatività della procreazione umana come atto interpersonale a natura triadica, padre, madre, figlio. Occorre inoltre prestare attenzione al punto 3: se si ammette che, in casi eccezionali, il significato della maternità non sia determinato da un legame biologico ma basti quello affettivo-volitivo, si apre la questione se allora, in assenza di un legame affettivo, sia legittimo Medicina e Morale 2013/6 1107 A. PESSINA scindere il legame biologico (aborto volontario) Per uno strano paradosso, l’adozione degli embrioni e l’interruzione volontaria di gravidanza finiscono con il privilegiare, in una situazione speculare, la decisione volontaria-affettiva della donna. La legittimità morale viene così fondata sulla volontà. Nel caso dell’interruzione volontaria di gravidanza si sostiene che un legame biologico, in assenza di un legame affettivo, non può determinare un dovere di portare a termine la gravidanza: nel caso dell’adozione prenatale si sostiene che in assenza di un legame affettivo-volitivo non è doveroso adottare un embrione. In entrambi i casi, perciò, a differenza di quanto si pensi, la vita dell’embrione non è posta come fonte di dovere per la donna. Questa simmetria verrebbe tolta soltanto qualora A sostenesse la doverosità dell’adozione embrionale. Questa simmetria non si pone per B, perché la fonte della doverosità è data dal legame biologico tra madre e figlio, per cui è possibile sostenere che l’aborto sia moralmente sbagliato pur continuando a sostenere che l’adozione prenatale non sia legittima moralmente, per quanto le due azioni siano differenti. In base a B: la vita della persona embrionale va difesa attraverso mezzi proporzionati, ordinari e moralmente legittimi: l’unica via è quella di invitare la madre biologica a portare a termine la gravidanza, perché gli altri mezzi (compresa l’ipotesi di un futuribile utero artificiale, umano o animale) si configura nei termini della sproporzione e della straordinarietà, che potrebbero essere attuati qualora non minassero altri valori fondamentali per la stessa concezione della dignità della persona umana e della procreazione umana. Nel caso del generato extracorporeo mancano le condizioni moralmente oggettive per permettergli di continuare a vivere. Contro l’adozione prenatale si potrebbero svolgere questi argomenti: 1. non si rispetta il diritto del figlio a svilupparsi nel grembo della propria madre e non in un grembo qualsiasi 2. non si rispetta l’unità psicofisica della persona embrionale che, nelle fasi del suo sviluppo intrauterino, intrattiene un complesso rapporto con la madre, che influisce sia sulla sua crescita dal p.d.v. fisico, sia sulla sua strutturazione psicologica (influente sul piano della personalità) 1108 Medicina e Morale 2013/6 ADOZIONE DI EMBRIONI UMANI 3. si stravolge la rappresentazione sia della maternità sia della genitorialità, poiché legittima la scissione tra le componenti biologiche, affettive e relazionali della procreazione (oggi rappresentate dalla procreazione extracorporea, dalla maternità surrogata e dalla possibilità della clonazione) 4. induce ad una lettura puramente “funzionale” della maternità e avalla indirettamente la maternità surrogata, dalla quale non si distingue se non per l’intenzione della successiva custodia del neonato 5. ha una ricaduta sulla stessa rappresentazione della famiglia, perché induce delle coppie che possono avere figli in modo normale a privilegiare questa prassi di adozione prenatale 6. non può essere proposta ad eventuali coppie sterili, perché avallerebbe la tesi del “diritto” ad un figlio e potrebbe mettere a repentaglio la stessa vita degli embrioni crioconservati qualora fosse la potenziale madre a soffrire di problemi in ordine alla gestazione e al parto 7. potrebbe avallare, indirettamente, il criterio abortista che pone nella volontà la fonte della legittimità morale dell’avere o no un figlio: analogamente, se l’adozione non è posta come doverosa, sarebbe la volontà della adottante a rendere legittima l’adozione. 8. se l’adozione fosse ritenuta volontaria – non doverosa – allora significherebbe che non si ritiene che la vita embrionale abbia valore assoluto; se invece la si ritenesse doverosa allora bisognerebbe imporre moralmente alle donne fertile di adottare un embrione, ma in questo caso verrebbe snaturato il senso antropologico e etico della generazione che è legittima moralmente solo in quanto libera. Esistono problemi di fatto che rendono difficile attuare l’adozione prenatale, ma questi non vengono qui contemplati in quanto riguardano l’ipotesi A e sono comunque successivi alla soluzione della questione etica. Che cosa fare degli embrioni umani crioconservati? 1. il riconoscimento della struttura antropologica e personale dell’embrione umano non può prescindere dalla constatazione che gli embrioni crioconservati non sono ancora annidati nel grembo mater- Medicina e Morale 2013/6 1109 A. PESSINA no e che è impossibile attuare in modo ordinario questo annidamento rispettando la relazione biologica ed antropologica tra madre e figlio; 2. data la natura personale dell’embrione crioconservato è illecito ucciderlo per distruzione; 3. altrettanto illecito è utilizzarlo come mero mezzo per la ricerca medica e biologica; 4. l’unica possibilità è quella di permettergli di morire, sottraendolo a quel mezzo sproporzionato, straordinario e temporale che è la crioconservazione (che è un mezzo, tra l’altro, che non assicura in sé nemmeno la vita, poiché non sappiamo se l’embrione crioconservato sia realmente vivo fino a quando non si procede al decongelamento). N.B. la sproporzione sta nella crioconservazione come sospensione del processo vitale: questa considerazione varrebbe per qualsiasi trattamento che sospenda i processi vitali di un uomo, ma certamente non si applicherebbe a tutti quei trattamenti che invece fossero di supporto vitale anche di un morente, ai quali, infatti, non verrebbe sospesa la vita ma il processo del morire. Conclusione La complessità etica del tema dell’adozione prenatale mette se non altro in evidenza la gravità dell’atto della crioconservazione degli embrioni umani, la cui sorte di fatto è – anche nel caso della legittimazione dell’adozione prenatale – in larga misura volta alla morte. La prassi di crioconservazione, per quanto legata al consenso dei genitori, introduce delle responsabilità etiche oggettive dei medici e degli operatori sanitari, ponendo così la stessa società di fronte ad una questione che trascende qualsiasi dimensione “privata” e implica, perciò una regolamentazione giuridica. In ogni caso questo tema ripropone la necessità di tornare a riflettere sulla generazione extracorporea e giustifica in primo luogo il divieto della crioconservazione. L’adozione prenatale, di fatto e di diritto, contribuisce – al di là delle cosiddette “buone intenzioni” che possono animare alcuni – allo stravolgimento del significato etico ed antropologico della generazione umana e priva il nascituro del dirit- 1110 Medicina e Morale 2013/6 ADOZIONE DI EMBRIONI UMANI to di nascere dal e nel grembo di sua madre e in condizioni che ne rispettino la natura di figlio. In filosofia morale i divieti hanno la funzione di tutelare beni rilevanti non altrimenti tutelabili, e il divieto di adottare embrioni va letto nel complesso di osservazioni che abbiamo cercato di svolgere. Bisogna tener conto che, in ogni caso, anche con l’adozione prenatale, poiché non si risolve il problema degli embrioni crioconservati – a meno di imporne l’adozione – resta aperto il problema di quale sia l’atto più adeguato alla loro situazione, a cui soltanto la tesi del permettere di morire dà una risposta. Non si può negare che anche l’atto di permettere la morte – non di provocarla – degli embrioni umani crioconservati resti moralmente ed emotivamente tragica e non possa essere accettata con indifferenza e senza, nel contempo, che si creino le condizioni giuridiche e culturali affinché non si ricorra più, in nome della “salute riproduttiva”, alla crioconservazione. Ma nemmeno va sottovalutato che, a fronte della dimensione simbolicamente positiva che molti leggono nella dichiarazione di poter, in linea di principio, procedere, per chi lo desidera, all’adozione degli embrioni, c’è anche il lato simbolicamente negativo che emerge dal fatto che si sottopone il conclamato assoluto diritto alla vita alla semplice opzione di qualcuno, confermando, inoltre, una lettura puramente biologica e fisiologica della maternità e della relazione figliale. Non possiamo chiedere, tantomeno esigere, che una donna sacrifichi la propria personalità e umanità per diventare uno strumento “salva vita” che alla fine non rispetta nemmeno la dignità umana di chi vuole, magari con generosità, salvare. Nella storia dell’uomo i conflitti morali, anche quelli interni alla coscienza individuale, richiedono una complessa riflessione e la consapevolezza che non sempre quello che appare in sé come buono lo è veramente se si trascurano i nessi che legano la bontà alla verità. L’esperienza della maternità e della genitorialità sono oggi sottoposte a nuove e finora impensate situazioni, responsabilità e scelte difficili: dobbiamo riflettere attentamente prima di far gravare sulle donne e sulle famiglie una nuova responsabilità in ordine alla salvezza degli embrioni crioconservati, specie se non siamo più che certi che questa corrisponda ad un autentico dovere morale e non soltanto al desiderio di dare una risposta che ci sollevi dall’inquieta idea di una corresponsabilità collettiva di Medicina e Morale 2013/6 1111 A. PESSINA fronte allo scandalo di tante vite “sospese” da un progetto che dovremmo fermare. Parole chiave: adozione degli embrioni, antropologia, diritto alla vita. Key words: embryos adoption, anthropology, right to life. RIASSUNTO Il dilemma etico, ritenere o no moralmente legittima l’adozione degli embrioni in stato di abbandono, è analizzato all’interno di prospettive che condividono come premesse sia il riconoscimento dello statuto personale dell’embrione umano, sia una valutazione moralmente negativa delle tecniche di generazione extracorporea. Lo scopo è quello di verificare la coerenza interna tra queste premesse e la tesi della adottabilità degli embrioni, facendo riferimento a due possibili modelli interpretativi: quello che pone la vita come valore assoluto e quello che considera la vita un valore fondamentale. SUMMARY The debate on human embryos adoption. A philosophical reflection. The ethical dilemma, if adopting abandoned human embryos would be morally legitimate, is analyzed within perspectives whose premises admit the personal status of the human embryo and judge negatively extracorporeal reproductive techniques. The aim is to verify the internal consistency between these premises and the argument according to which embryos could be adopted, using as reference two possible interpretative models: the model that considers life as an absolute value and the model that considers life as a fundamental value. 1112 Medicina e Morale 2013/6