Il sentiero di stelle che mi portò a scoprire lo Scorpione

Il sentiero di stelle che mi portò a
scoprire lo Scorpione
Il guardiano del faro/7. Il cielo si era aperto alle due del mattino mostrando uno
spettacolo irripetibile. Dal Nord al Sud vedevo tutto senza ostacoli
di PAOLO RUMIZ - 2014
Il lampo azzurro del monile mi folgorò alle 02.35 precise. Lo so perché guardai l'orologio. Mi ero
svegliato come sempre alle ore piccole e ascoltavo le voci della notte: litigare di gabbiani,
sciacquio sotto le finestre. C'era una strana calma di vento. Preparai un tè e feci per rimettermi a
letto quando vidi, con la coda dell'occhio, quella luce nel vuoto, oltre il davanzale. Guardai meglio.
La notte era popolata di fanali! Enormi, aureolati, pulsanti. Come se il Ciclope avesse svegliato un
esercito di fari fratelli.
Spalancai la finestra e rimasi a bocca aperta. Il versante Sud era tempestato di stelle, le nubi era
sparite. Ma erano stelle nuove, non ne riconoscevo nessuna. Mi sembrava impossibile che a
portarmi in un cielo straniero fosse bastato un niente: l'orizzonte tutto libero e una latitudine
nemmeno troppo diversa, per non parlare del buio da luna nuova, dell'assenza di inquinamento
luminoso, della stagione insolita e della mia straordinaria altezza sul mare. Anche la stella che mi
aveva folgorato apparteneva a una costellazione nuova. Qualcuno l'aveva inchiodata alla sommità
di un monile che pendeva sull'orizzonte marino e aveva in alto a destra un semicerchio di stelle
simile a un orecchio.
Mi buttai una coperta sulle spalle, presi un quaderno e uscii di corsa. Ansavo per l'eccitazione.
Davanti alla porta, sul lato Nord, il cielo splendeva di diademi. Volevo riprodurli per poi cavarne il
nome dal planetario tascabile che mi ero portato da casa. Ma non sapevo da dove cominciare. Il
cielo era sconfinato. Avevo fretta, sentivo che quella straordinaria finestra sul cosmo era unica e
irripetibile. Il cielo poteva richiudersi, e difatti una striscia diafana sembrava già avvicinarsi da Est.
Ma riluceva anche quella! Dunque era lei, era la Via Lattea col suo sentiero di stelle. Era il cielo
sereno che certificava la mia perdita di dimestichezza con la notte.
Il Nord, almeno, mi fu più familiare. Riconobbi il Grande Carro quasi allo zenit, tagliai in diagonale
sulla Polare, poi scesi sulla "emme" rovesciata di Cassiopea, un po' sopra l'orizzonte.
Leggermente più in basso, a ore undici e ore due, individuai il pulsare intermittente di due fari.
Cercai di fissare qualcosa su carta, ma fu un tormento. Dovevo accendere la torcia e questa mi
accecava al punto che poi mi ci volevano venti-trenta secondi per rivedere nella sua interezza la
magia della notte. Qualcuno mi aveva detto che per abituare al buio il nostro occhio ferito da
troppe luci ci vogliono almeno sei ore. In Africa, ricordai, mi ci erano voluti giorni per imparare a
camminare nel buio della savana.
Tornai sul lato Sud, che è quello che riserva sempre più sorprese. Allineata sul filo dei paralleli,
l'isola era un ottimo planetario, e lo stesso casermone del faro era un osservatorio come si deve
perché costruito sui punti cardinali. Il pennello della lanterna, roteando, sembrava impartisse la sua
pastorale benedizione al Nord, all'Est, al Sud e all'Ovest. Vedevo senza ostacoli l'interezza
dell'orizzonte celeste, sotto il quale pulsavano miliardi di stelle australi. Guardai bene: perse in uno
spolverio di luci minori, tre fiaccole ardevano tra l'Orsa Maior e il Monile. Una era certamente
Giove, pianeta di luce gialla e ferma. Le altre due le riconobbi a fatica, scavando nella memoria.
Vega, in alto. Arturo, più in basso. Sull'orizzonte marino, anche lì, qualche luce terrestre. Un faro,
un paese. Il Continente!
Strepitoso: la notte mi svelava la terraferma e gli arcipelaghi che il giorno non era riuscito a
mostrarmi. Vedevo l'Europa, la grande madre. I suoi promontori lontani. Ma cos'era la mia stella
azzurra? Che nome aveva quello sfolgorante pendaglio? Cercai nel planetario tascabile, una pila
di dischetti di cartone ciascuno con un pezzo di cielo, ma le istruzioni erano banali e spoetizzanti.
"Dato che... A partire da... È pertanto consigliabile". No, io non volevo quello. Cercavo una
narrazione, mi mancava un mago Merlino che pronunciasse forte quei nomi, li evocasse per
svelarne l'essenza e me li indicasse col lungo dito ossuto sulla mappa del firmamento.
Le stelle le avevo conosciute davvero a vent'anni, durante la naja. Nei turni di notte alla polveriera,
con i cieli puliti della stagione invernale, mi mettevo nelle tasche della mimetica ogni genere di
conforto, persino una bottiglietta di rum. E sempre, ripeto sempre, una strepitosa carta Hallwagg
delle stelle. Quando salivo sull'altana col fucile Garand per sorvegliare il passaggio delle volpi,
accendevo la lampadina frontale, aprivo la mappa e mi perdevo in un labirinto di nomi arabi Deneb, Algenib, Altair - profumati di distanze, deserti e carovane.
La notte del Diadema era all'apogeo e volli perdermi in essa. Abbandonai il faro, scesi lungo il
sentiero fino a raggiungere il centro dell'isola. Non c'era bisogno di torce elettriche: bastavano le
stelle, anche senza Luna. Arrivai al posto che fin dal primo giorno mi era stato indicato come
"Lucertola", o "Salamandra". Lì c'era una spianata con le tracce appena visibili di un'antica
cappella dedicata a San Michele, e un insediamento neolitico. Il posto mi sembrò perfetto. La mia
costellazione stava per essere inghiottita dall'orizzonte terrestre e proprio allora mi accorsi che il
pendaglio non era un pendaglio ma una coda. Era così ovvio. Stavo in faccia allo Scorpione. Era
stata la lucertola a chiamarlo.
C'ero arrivato senza bisogno di manuali. Era bastato il buio a ridare un nome alle cose e
risvegliare la memoria. Il segno zodiacale scendeva, e con lui la stella più luminosa, che - ricordai aveva nome Antares. Tornai al faro con la certezza che qualcosa si fosse rimesso a posto anche
in me. Mi feci due fette di pane caldo col miele, poi misi un altro tè a bollire, ma decisi che la
scoperta meritava un bicchiere di vino bianco. Alle quattro del mattino brindai. E quando il cielo si
richiuse nelle nubi cancellando i suoi diademi mi chiesi se e quando avrei più rivisto lo Scorpione.
(7 - continua)