Panarthropoda - francescofiume.altervista.org

Superphylum Panarthropoda Nielsen 1997
Dott. Francesco Fiume
Classificazione scientifica
Clade Natura
Clade Mundus Plinius
Clade Biota
Clade Amorphea Adl et al., 2012
Clade Opisthokonta Cavalier-Smith 1987
Clade Holozoa
Clade Epitheliozoa Ax 1996
Clade Eumetazoa Bütschli 1910
Regno Animalia Linnaeus, 1758
Clade Bilateria Hatschek 1888
Clade Eubilateria Ax 1987
Clade Protostomia Grobben 1908
Clade Ecdysozoa Aguinaldo et al., 1997
Superphylum Panarthropoda Nielsen 1997
Panarthropoda è un superphylum del regno Animalia che combina i phyla Arthropoda,
Tardigrada, Onychophora ed il genere Thelxiope (Telford, 2008).
Non tutti gli studi considerano e supportano questo taxon (Dunn et al., 2008), ma molti lo
ammettono necessario e lo includono quale conseguenza di studi neuro-anatomici (Persson, 2012),
mito-genomici (Rota-Stabelli et al., 2010) e paleontologici (Ou Qiang, 2012).
In origine, i Panarthropoda erano considerati essere strettamente correlate agli anellidi, ma altri
studi li collocano tra gli Ecdysozoa.
La posizione tassonomica di questo superphylum, probabilmente temporanea e sicuramente
appartenente al Cambriano recente, può essere rappresentato dal seguente schema:
Nei cladogrammi che seguono è rappresentata la posizione del superphylum Panarthropoda in
relazione agli altri gruppi tassonomici.
Nel successivo cladogramma sono indicati i gruppi tassonomici ancora viventi (gli artropodi ed i
tardigradi del Cambriano-quaternario ed gli onicofori del carbonifero-quaternario) e quelli estinti.
L’outgroup e punto di partenza è rappresentato dal phylum Priapulida Van der Land 1970
(costituito da 15 specie di animali bentonici marini), i cui membri mancano di segmentazione e
degli arti e la cui bocca è costituita da parti radialmente simmetriche che si protraggono per azione
idrostatica.
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Caratteristiche dei Panarthropoda
Le caratteristiche comuni dei Panarthropoda sono di seguito sintetizzate:
• includono le classi degli Onychophora Grube 1853, Tardigrada Spallanzani 1777 ed Arthropoda
Latreille 1829;
• presenza della segmentazione teloblastica, con confini definiti dal gene engrailed. Nessuna
segmentazione dell'acron (prostomio) e del telson (pigidio);
• hanno appendici simmetriche segmentale;
• provvisti di un esoscheletro chitinoso che subisce numerose mute per la crescita, mediate
dall’ormone della muta ecdisone;
• celoma ridotto, tipicamente uno schizoceloma. L’emoceloma è il principale spazio interno del
corpo;
• sono animali principalmente terrestri.
Con riferimento al gene engrailed, esso è il gene della polarità segmentale che definisce il confine
anteriore del parasegmento. A sua volta engrailed agisce come fattore di trascrizione facendo
esprimere il gene hedgehog il quale venendo secreto dalle cellule va ad interagire con il recettore
cellulare posto sulla fila di cellule anteriore a quelle esprimenti engrailed. Ciò attiva una via di
segnalazione intracellulare che permette di esprimere un altro gene della polarità segmentale
chiamato wingless che definisce il confine posteriore del parasegmento. Wingless a sua volta viene
secreto ed interagisce con il recettore frizzled della fila di cellule esprimenti engrailed il quale
induce una via di segnalazione intracellulare che induce ulteriore espressione di engrailed,
chiudendo il circuito. Grazie a tale sistema, anche a seguito di cessato stimolo da parte dei geni
della regola pari, questo circuito può automantenersi definendo in modo definitivo i confini di ogni
parasegmento.
Nel caso di Drosophila melanogaster Meigen 1830 (Diptera: Drosophilidae):
• se si fa uno screening dei geni ci si accorge che sono omologhi a quelli dei vertebrati e ciò
significa che sono stati selezionati evolutivamente prima della divisione tra Propostomia (gruppo
di animali, che include artropodi, molluschi, anellidi e qualche altro gruppo, con omologia fra il
blastoporo e la regione boccale dell'embrione; ciò significa che il blastoporo formatosi dalla
gastrulazione genera, nelle fasi successive dell'accrescimento, direttamente la bocca o il suo
territorio) e Deuterostomia Grobben 1908 (gruppo di animali celomati, che comprende
Echinodermata Klein 1734, Chordata Bateson 1885, Chaetognatha Hyman 1959 e Brachiopoda
Dumeril 1806, caratterizzati da uno sviluppo embrionale, durante il quale l'ano si origina dal
blastoporo, o nelle sue vicinanze, mentre la bocca si forma all'estremità opposta; da un punto di
vista sistematico sono considerati da alcuni autori un ramo e da altri un superphylum degli
Eumetazoa Butschli 1910);
• dall’embrione si ottiene la larva;
• questa acquisizione di fenotipo è dovuta a (figura 1):
geni materni che sono espressi durante l’ovogenesi, quando viene costruito RNA, che non
viene tradotto, ma viene lasciato in zone precise del citoplasma dell’uovo. Il prodotto di questi
geni materni è attivato subito dopo la fecondazione. Durante l’oogenesi viene espresso
mRNA che rimane mascherato prima della fecondazione. Questi geni svolgono il loro ruolo
nella parte anteriore dell’embrione, tanto che se vengono distrutti questi geni si ottiene
soltanto il grande addome;
geni zigotici che si attivano dopo la fecondazione quando l’mRNA viene tradotto;
• i geni materni dividono l’embrione in 2 metà: medio-anteriore e medio-posteriore;
• i geni GAP dividono l’embrione in 3 o 4 settori: anteriore, addome, posteriore;
• i geni della “regola pari” dividono l’embrione in 7 strisce: parte segmentata;
• i geni della “polarità segmentale” dividono l’embrione in 14 segmenti ed informano ciascun
segmento qual’è la parte anteriore e posteriore stabilendo i confini tra i segmenti;
• i geni omeotici determinano la specializzazione di ogni segmento;
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geni anteriori: bicoid; posteriori: nanos; terminali: torso; gene GAP: hunchback;
se si altera bicoid si ottiene la delezione del capo e del torace. Si ottiene solo l’addome per cui
bicoid è un gene morfogeno che presiede alla formazione della parte anteriore dell’embrione;
• se si altera nanos si ha la delezione dell’addome. Quindi nanos è un gene morfogeno posteriore;
• se si altera torso non si hanno parti terminali.
•
•
Figura 1 – Schema d’azione dei geni materni e zigotici.
Biologia dello sviluppo
Nei Panarthropoda e, specificamente, come esempio, in Drosophila melanogaster la biologia dello
sviluppo consta dello:
• Sviluppo: processi da uovo fecondato che danno luogo prima all’embrione e poi all’organismo.
Lo sviluppo:
studia la comprensione dei meccanismi cellulari e molecolari e la manipolazione;
lo sviluppo embrionale, che rappresenta l’unica via per andare dal genotipo al fenotipo;
avviene partendo da una cellula diploide (zigote) che tramite divisioni e dislocazioni di gruppi
di cellule, produce e delinea il corpo dell’animale;
consiste nel generare nuovi individui attraverso la riproduzione;
consiste nell’assemblare la diversità cellulare in modo corretto e funzionale
nel definire le coordinate dell’organismo (asse antero/posteriore, dorso/ventrale);
• Differenziamento: determina la diversità cellulare;
• Determinazione che da luogo a:
cambiamenti biochimici e funzionali cellulari durante il differenziamento preceduto da questo
fenomeno
commitment per arrivare ad un punto di differenziamento in cui si capisce come sarà
l’individuo, una tessuto, un organo oppure, in generale, un elemento morfologico o
biochimico ma, all’inizio, solo geneticamente. Una cellula o un tessuto sono determinati
quando, messi in un’altra regione dell’embrione, sono in grado di differenziarsi
autonomamente;
• Morfogenesi: induce l’organizzazione dei vari tessuti dell’organismo;
• Sviluppo embrionale: consiste nelle seguenti fasi:
uovo deposto dall’adulto;
segmentazione;
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gastrulazione;
organogenesi;
metamorfosi che si conclude con la formazione dell’adulto (figura 2)
Figura 2 - Sviluppo embrionale.
Geni responsabili della segmentalità dell'embrione: geni gap, geni della regola pari
Nella Drosophìla, la transizione dalla specificazione alla determinazione è mediata dai geni di
segmentalità, che suddividono l'embrione iniziale in una serie ripetuta di abbozzi segmentali lungo
l'asse anteroposteriore. Esistono tre classi di geni di segmentalità, che si esprimono in modo
sequenziale. La transizione da embrione caratterizzata da gradienti di morfogeni ad embrione con
unità distinte è operata dai prodotti dei geni gap. Essi sono attivati o repressi da geni ad effetto
materno e suddividono l'embrione in regioni ampie, contenenti ciascuna diversi abbozzi di
parasegmenti. Il gene krüppel, per esempio, è espresso principalmente nei parasegmenti 4-6, al
centro dell'embrione di Drosophìla (figura 3), in assenza della proteina krüppel, l'embrione è privo
di queste regioni centrali. I geni gap principali sono hunchbak, giant, krüppel e knirps (figura 3). l
loro prodotti proteici interagiscono con le proteine dei geni gap vicini, attivando la trascrizione dei
geni della regola pari (pair-rule).
Figura 4 - La figura mostra le sette bande verticali
perpendicolari
all'asse
anteroposteriore di espressione del gene
even-skipped della regola pari. Questo
pattern di espressione viene stabilito
entro il blastoderma sincinFigura 3 - Espressione dei geni gap determinata da
ziale che, dopo tali eventi, diviene
quella dei geni materni.
blastoderma cellulare.
La prima indicazione di un'organizzazione in segmenti nell'embrione del moscerino si ha quando
vengono espressi i geni pair-rule (regola pari) nel tredicesimo ciclo di divisione cellulare I prodotti
di questi geni suddividono le ampie regioni dei geni gap in parasegmenti I modelli di trascrizione di
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questi geni sono straordinari in quanto suddividono l'embrione in aree che sono i precursori del
piano segmentato del corpo. Una banda verticale di nuclei (le cellule stanno appena cominciando a
formarsi) esprime un gene pair-rule, la banda successiva di nuclei non lo esprime, e poi la banda
che segue lo esprime di nuovo. Ne risulta un modello "zebrato" lungo l'asse anteroposteriore, che
suddivide l'embrione in 15 subunità. I più importanti sono hairy, even-skipped (figura 4) e fushi
taratzu. L'espressione di ciascun gene pair-rule in sette strisce alterne suddivide l'embrione in 14
parasegmenti; mutazioni dei geni pair-rule, come fushi tarazu, causano di solito la delezione di
parti di segmenti alterni. Infine i loro prodotti attiveranno i geni della polarità segmentale.
Una volta che l'embrione si è cellularizzato le interazioni intercellulari sono mediate dai geni della
polarità segmentale che assolvono due compiti importanti: primo, consolidano la periodicità dei
parasegmenti stabilita dai primi fattori di trascrizione, secondo, attraverso questa segnalazione da
cellula a cellula si stabiliscono i destini cellulari all'interno di ciascun parasegmento.
Essi sono responsabili del mantenimento di certe strutture ripetute all'interno di ciascun segmento.
Mutazioni dei geni della polarità segmentale causano la delezione di una parte di ciascun segmento
e la sua sostituzione con una struttura che è l'immagine speculare di un'altra porzione del segmento.
I geni della polarità segmentale mediano le interazioni che avvengono tra una cellula e l'altra,
codificano le proteine che sono costituenti delle vie di trasduzione del segnale del gene wingless e
hedgehog, stabilendo, così, i destini cellulari all'interno di ciascun parasegmento.
Mutazioni di questi geni portano a difetti nella formazione dei segmenti e, nel piano di espressione
dei geni, da un capo all'altro di ogni parasegmento.Per esempio, nel mutante del gene engrailed
porzioni della parte posteriore di ciascun segmento sono rimpiazzate da duplicazioni della regione
anteriore del segmento successivo.
Lo sviluppo del piano normale si basa sul fatto che una sola fila di cellule di ciascun parasegmento
può esprimere la proteina del gene hedgehog e una sola fila di cellule di ciascun parasegmento può
esprimere la proteina del gene wingless. La chiave di questo piano è l'attivazione del gene engrailed
nelle cellule che esprimeranno la proteina hedgehog. Il gene engrailed viene attivato nelle cellule
che presentano livelli elevati dei fattori di trascrizione even-skipped, fushi tarazu, o paired. Viene,
inoltre, represso nelle cellule con livelli elevati della proteina runt. Di conseguenza, engrailed è
espresso in 14 strisce lungo l'asse anteroposteriore dell'embrione (figura 5). Nelle mutazioni in cui
l'embrione manca di fushi tarazu sono espresse soltanto sette bande di engrailed.
Queste strisce di trascrizione di engrailed contrassegnano il confine anteriore di ciascun
parasegmento (e il margine posteriore di ciascun segmento). Il gene wingless è attivato nelle cellule
che ricevono in quantità scarsa (o nulla) la proteina even-skipped o la proteina Fushi tarazu,. Questo
modello fa sì che wingless sia trascritto soltanto nella fila di cellule direttamente anteriori a quelle in
cui è trascritto engrailed .
La suddetta attivazione dà, inoltre, inizio a un'altra parte di questa via reciproca. La proteina
engrailed attiva la trascrizione del gene hedgehog nelle cellule che esprimono engrailed. La
proteina hedgehog può legarsi al recettore del gene hedgehog (la proteina patched) sulle cellule
vicine. Quando si lega alle cellule adiacenti posteriori, stimola in esse l'espressione del gene
wingless. Il risultato è un concatenamento reciproco in cui le cellule che sintetizzano engrailed
secernono la proteina hedgehog, la quale mantiene l'espressione del gene wingless nelle cellule
vicine, mentre le cellule che secernono wingless mantengono, a loro volta, l'espressione dei geni
engrailed ed hedgehog nelle loro vicine. In tal modo viene stabilizzato il modello di trascrizione di
questi due tipi di cellule (figura 6).
Figura 5 – Espressione di engrailed in 14 strisce lungo l’asse antero-posteriore dell’embrione.
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Figura 6 – Schema di stabilizzazione del modello di trascrizione di due tipi di cellule.
I geni selettori omeotici
Dopo che sono stati stabiliti i confini dei segmenti, vengono specificate le strutture caratteristiche di
ciascun segmento. Tale specificazione è operata dai geni selettori omeotici La maggior parte di
questi geni omeotici è contenuta in due regioni del cromosoma 3 della Drosophila. Uno di questi, il
complesso antennapedia, contiene i geni omeotici labiali (lab), il gene antennapedia (Antp), il gene
dei pettini sessuali ridotti (sex combs reduced, Scr), il gene deformed (dfd) e proboscipedia (pb). I
geni lab e dfd specificano i segmenti del capo, mentre Scr e Antp contribuiscono a conferire
l'identità ai segmenti toracici. Il gene proboscipedia appare agire soltanto negli adulti, ma in sua
assenza i palpi labiali della bocca sono trasformati in zampe .
La seconda regione di geni omeotici è il complesso bithorax. In questo complesso si trovano tre
geni codificanti proteine: ultrabithorax (Ubx), necessario per l'identità del terzo segmento toracico,
e i geni abdominal A (ab dA) e Ab, dominal B (Ab dB), responsabili dell'identità segmentale dei
segmenti addominali .
Poiché i geni selettori omeotici sono responsabili della specificazione di parti del corpo del
moscerino, loro mutazioni portano a fenotipi bizzarri. Nel 1894 William Bateson chiamò mutanti
omeotici questi organismi, che affascinarono i biologi dello sviluppo per decenni. Per esempio, il
corpo del moscerino adulto normale comprende tre segmenti toracici, ciascuno dei quali forma un
paio di zampe. Il primo segmento toracico non forma altre appendici, mentre il secondo segmento
toracico, oltre alle zampe, forma un paio di ali. Il terzo segmento toracico forma un paio di zampe e
un paio di bilancieri. In mutanti omeotici, queste specifiche identità dei segmenti possono essere
modificate. In caso di delezione del gene ultrabithorax, il terzo segmento toracico (caratterizzato
dai bilancieri) è trasformato in un altro secondo segmento toracico; il risultato è un moscerino con
quattro ali.
Similmente, la proteina antennapedia specifica di solito il secondo segmento toracico del
moscerino. Ma quando il moscerino reca una mutazione, in cui il gene antennapedia viene espresso
nel capo (oltre che nel torace), dalle fossette del capo crescono zampe invece che antenne. Nel
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mutante recessivo per antennapedia, manca l'espressione del gene nel secondo segmento toracico e
si formano antenne al posto delle zampe I domini iniziali di espressione dei geni omeotici sono
influenzati dai geni gap e pair-rule. Per esempio, l'espressioni dei geni abdA e AbdB è repressa
dalle proteine (codificate da geni gap) hunchback e kriippel. Tale inibizione impedisce a questi geni
che specificano l'addome, di essere espressi nel capo e nel torace.
L'espressione dei geni omeotici è un processo dinamico.
Il gene antennapedia per esempio, per quanto inizialmente sia espresso nel presuntivo
parasegmento 4, si esprime ben presto nel parasegmento 5. Con l'estendersi della stria germinativa,
si osserva l'espressione di Antp nel presuntivo tubo neurale in direzione posteriore fino al
parasegmento 12. Nell'ulteriore sviluppo il dominio di espressione di Antp si restringe di nuovo e i
trascritti di Antp sono fortemente localizzati nei parasegmenti 4 e 5. Come quella di altri geni
omeotici, l'espressione di Antp è regolata in negativo da tutti i prodotti dei geni omeotici espressi
posteriormente ad esso. In altre parole, ciascun gene del complesso bithorax reprime l'espressione di
Antennapedia. Se c'è una delezione del gene ultrabithorax, l'attività di Antp si estende per tutta la
regione che normalmente avrebbe espresso Ubx e si arresta dove comincia la regione Abd. Ciò
permette al terzo segmento toracico di formare ali, come il secondo segmento toracico. Se la
delezione interessa l'intero complesso bithorax, l'espressione di Antp si estende a tutto l'addome.
Una larva di questo tipo non sopravvive, ma per tutto l'addome il modello della cuticola è quello del
secondo segmento toracico.
I geni omeotici agiscono attivando o reprimendo un gruppo di "geni realizzatori", che sono i
bersagli delle proteine dei geni omeotici e che funzionano formando specifici tessuti o abbozzi di
organi. Per esempio, antennapedia (il gene che controlla il posizionamento delle antenne
dell'insetto) è espresso nella formazione del secondo segmento toracico. La proteina di
antennapedia si lega, reprimendoli, agli enhancer di almeno due geni, homothorax e eyeléss,
codificanti fattori di trascrizione critici per la formazione, rispettivamente, dell'antenna e
dell'occhio.
Confronto della suddivisione in segmenti della larva e dell'adulto
Il piano generale del corpo della Drosophila è lo stesso nell'embrione, nella larva e nell'adulto con
un distinto estremo cefalico ed uno caudale tra i quali si trovano unità segmentarie ripetute.
La formazione dei segmenti ed il modello corporeo di base.
La formazione dei segmenti inizia a livello di espressione genica allo stadio di blastoderma
sinciziale ma appare a livello morfologico solo quando il mesoderma si divide in gruppetti e
compaiono fessure nell'epitelio esterno ectodermico. Nello schema esterno del corpo sono
riconoscibili 14 segmenti, inizialmente uniformi (omonomi) ma che diventano dissimili
(eteronomi).
La banda germinale si suddivide in tre gruppi principali (thagmata) di segmenti. Esaminando la
larva di Drosophila, i vari segmenti e gruppi di segmenti si possono riconoscere solo identificando
le numerose specializzazioni visibili della cuticola larvale, come i peli dorsali, i dentelli ventrali, le
fessure spiracolari delle trachee e gli organi di senso. Dopo la metamorfosi, le differenze che si
riscontrano nell'adulto sono notevoli. La fusione dell'acron (arco) terminale probabilmente con sette
segmenti cefalici forma la testa. Il numero dei segmenti fusi, sette, è stato dedotto dallo schema di
espressione di geni come engrailed e wingless, che avviene normalmente lungo i bordi dei segmenti
(vedi più avanti la trattazione dei geni della polarità segmentale). Tutti e sette i segmenti cefalici
(tre pregnatali e quattro gnatali) forniscono neuroblasti per formare il sistema nervoso centrale
(SNC). Il SNC è formato dal ganglio sopra-esofageo (cervello) e dal ganglio sotto esofageo. I tre
segmenti posteriori (gnatali), chiamati mandibolare, mascellare e labiale (rispettivamente Mb, Mx e
Lb), costruiscono attorno alla bocca le strutture dell'apparato boccale. Nella larva, tuttavia, la testa è
ritratta all'interno del corpo. Nel suo aspetto esterno, il corpo della larva inizia con tre segmenti
toracici: il protorace (Ti), il mesotorace (T2) e il metatorace (T3). Nel moscerino adulto ogni
segmento toracico porta un paio di zampe, il mesotorace porta un paio di ali e il metatorace un
secondo paio di strutture che un tempo erano ali, ma sono state ora ridotte dall'evoluzione ad
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appendici oscillanti, dette bilancieri, provviste di organi di senso per controllare le tensioni
aerodinamiche durante il volo.
L'addome del moscerino o della sua larva è formato da 8 segmenti (da Al a A8). Il telson, (dal
greco: "estremità") estremità terminale posteriore non viene classificato, allo stesso modo
dell'acron, estremità anteriore, con i segmenti veri o completi.
La formazione dei segmenti o metameri
Inizia la formazione dei segmenti o metameri, il corpo inizia a dividersi in unità ripetute ad
intervalli regolari. Nello schema esterno del corpo sono riconoscibili 14 segmenti, inizialmente
uniformi (omonomi) ma che diventano dissimili (eteronomi).
Lo stadio 11 è caratterizzato dalla formazione dei solchi dei parasegmenti (psf) che suddividono la
banda germinale in unità metameriche. I primi tre segmenti (md, mandibola; mx, maxilla, lb,
labium) compaiono come protuberanze cospicue dei corpi gnatali. Il clipeolabbro (cl) ed il lobo
ipofaringeo (hy) sono protuberanze del procefalo (pro) che contrassegna il primo ed il terzo
segmento della testa. Le fossette tracheali (tp) compaiono nei segmenti da T2 ad A8. La parte
dorsale di A8 da origine ad un'ulteriore invaginazione da cui si sviluppa lo spiracolo posteriore
(figura 7).
Figura 7 - Formazione dei segmenti.
Lo stadio 12 inizia quando la banda germinale incomincia a retrarsi e finisce con la completa
retrazione della banda germinale. Le strutture che contraddistinguono l'ectoderma (i solchi
metamerici, i corpi gnatali e le fossette tracheali) che erano comparse allo stadio 11 rimangono
fondamentalmente simili negli stadi 12 e 13. Una caratteristica peculiare del capo di un embrione
allo stadio 12 è il lobo ottico (Lo) che si va invaginando e la plica dorsale (Pd), una protuberanza
formata dalla parte dorsale dei segmenti gnatali (figura 8). Durante lo stadio 12 avvengono
importanti eventi morfogenetici nell'endoderma e nel mesoderma.
Figura 8 - Stadio 12.
Figura 9 - Stadio 14.
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L'involuzione della testa è un complesso movimento durante il quale la maggior parte delle strutture
della testa (procefalo e corpi gnatali) scompaiono dalla superficie spostandosi nella parte più interna
dell'embrione. La plica dorsale (figura 8), presente in corrispondenza del piano sagittale, si sposta
anteriormente creando un ripiegamento dorsale (df) in cui scompare l'epidermide della testa. Il
clipeolabbro si retrae. A mano a mano che i corpi gnatali si spostano anteriormente e centralmente, i
solchi profondi, che avevano separato precedentemente queste strutture, si appiattiscono. La
chiusura dorsale progredisce. La banda germinale si suddivide in tre gruppi principali (thagmata) di
segmenti.
Con riferimento all'aspetto della larva, esaminando la larva di Drosophila, i vari segmenti e gruppi
di segmenti si possono riconoscere solo identificando le numerose specializzazioni visibili della
cuticola larvale, come i peli dorsali, i dentelli ventrali, le fessure spiracolari delle trachee e gli
organi di senso. Dopo la metamorfosi, le differenze che si riscontrano nell'adulto sono notevoli. La
fusione dell'acron terminale probabilmente con sette segmenti cefalici forma il capo. Tutti e sette i
segmenti cefalici (tre pregnatali e quattro gnatali) forniscono neuroblasti per formare il sistema
nervoso centrale (SNC). I tre segmenti posteriori (gnatali), chiamati mandibolare, mascellare e
labiale (rispettivamente Mb, Mx e Lb), costruiscono attorno alla bocca le strutture dell'apparato
boccale. Nella larva, tuttavia, la testa è ritratta all'interno del corpo. Nel suo aspetto esterno, il corpo
della larva inizia con tre segmenti toracici: il protorace (T1), il mesotorace (T2) e il metatorace
(T3). Nel moscerino adulto ogni segmento toracico porta un paio di zampe, il mesotorace porta un
paio di ali e il metatorace un secondo paio di strutture che un tempo erano ali, ma sono state ora
ridotte dall'evoluzione ad appendici oscillanti, dette bilancieri.
L'addome del moscerino o della sua larva è formato da 8 segmenti (da Al a A8). Il telson, (dal
greco: "estremità") estremità terminale posteriore non viene classificato, allo stesso modo
dell'acron, estremità anteriore, con i segmenti veri o completi. La polarità anteroposteriore
dell'embrione, della larva e dell'adulto ha le sue origini nella polarità antero-posteriore dell'uovo
(figura 10).
Figura 10 – Correlazione fra le varie aree dell'embrione e la formazione
dei segmenti e la corrispondenza dei segmenti nella larva.
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Nomenclatura genetica
I geni che prendono il nome da alleli recessivi hanno l'iniziale minuscola, mentre gli alleli
dominanti hanno l'iniziale maiuscola. I geni che prendono il nome dalla proteina prodotta hanno
l'iniziale maiuscola. I nomi dei geni sono solitamente scritti in corsivo. La convenzione di scrittura
dei genotipi è X/Y; 2nd/2nd; 3rd/3rd.
Nella comunità dei biologi molecolari la nomenclatura genetica della Drosophila è nota per i nomi
fantasiosi associati alle mutazioni genetiche scoperte. Le mutazioni del lievito di birra o di altri
organismi, microscopici e non, hanno solitamente nomi come "cdc4" e "cdk4"; nella Drosophila
invece sono frequenti nomi come "cheap date" (letteralmente "appuntamento economico", una
mutazione che rende il moscerino più sensibile all'effetto dell'etanolo) o "snafu" (una mutazione che
provoca anomalie anatomiche grottesche).
Per la loro peculiarità di rinnovare l’esoscheletro (ecdisi) e per caratteristiche molecolari, sempre
legate al rDNA 18S, i panartropodi vengono accomunati ad altri phyla nel gruppo degli Ecdysozoa
(Giribet et al., 1996; Aguinaldo et al., 1997). Il primo motivo di grande interesse per questi animali
è rappresentato dalla loro assai probabile condivisione della prima parte del percorso evolutivo
utilizzato dagli Artropodi. Questi ultimi hanno sfruttato la presenza di metameria e la duttilità
dell’esoscheletro (assieme alla sua capacità di arricchirsi di sali di calcio, o scleroproteine, e di
articolarsi) per adattarsi in pratica ad ogni tipo di ambiente (mare, acqua dolce, ambiente terrestre
ed aereo) e ad un’infinità di habitat, esprimendo di gran lunga il massimo della diversità a livello di
numero di specie. I tardigradi, invece, si sono specializzati a vivere negli interstizi di sedimenti o di
organismi vegetali, ottimizzando il loro corpo a svolgere tutte le funzioni vitali con dimensioni
microscopiche ed un numero limitato (e spesso costante) di cellule.
Vengono di seguito indicate alcune ulteriori caratteristiche della classe dei Tardigrada, che sono
messe a confronto con le altri classi superphylum dei Panarthropoda, che servono a meglio
caratterizzare quest’ultimo.
I tardigradi (figura 11) sono un phylum di invertebrati protostomi celomati che comprende poco più
di un migliaio di specie animali finora classificate (2007). La loro capacità di sopravvivere in
condizioni avverse è particolarmente elevata.
Figura 11 – Un tardigrado le cui dimensioni lineari degli adulti
sono 0,1-1,5 mm. Sono organismi eutelici (hanno
un numero di cellule costante durante il corso della
vita; gli individui possono accrescersi solo per
volume e non per mitosi.
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Essi sono in molti casi incolori, ma non di rado appaiono pigmentati di giallo, arancio, rosso,
verde, o bruno.
La cuticola, come si è detto solitamente sottile e di natura chitinosa, è formata da tre strati. Può
apparire liscia o variamente ornamentata; negli eterotardigradi semiterrestri è quasi sempre
rinforzata dorso-lateralmente da piastre cuticolari. In questi minuscoli animali la cuticola è
sufficiente a garantire gli scambi gassosi. Su di essa, all’estremità di ogni zampa sono solitamente
inserite unghie (talvolta sostituite da “dita” in qualche genere marino), quattro o più (raramente
meno) negli eterotardigradi, due e di norma provviste di due rami (diplounghie) negli eutardigradi
(pochissime specie di questa classe ne sono prive). Cuticola e unghie sono sostituite con la muta; la
nuova cuticola è secreta da sottostanti cellule epidermiche particolarmente appiattite; le unghie sono
prodotte da apposite ghiandole pediali all’interno di ogni zampa. Internamente, l’epitelio
pavimentoso epidermico è a contatto con l’ampia cavità del corpo, chiaramente di natura
pseudocelomatica e quindi omologabile all’emocele degli Artropodi. Tale cavità è indivisa, ripiena
di liquido e di cellule passivamente fluttuanti, dette globuli cavitari, con funzione di accumulo di
sostanze di riserva. Nella stessa cavità sono presenti fibre muscolari longitudinali, o trasversali
(queste ultime collegate alle zampe), ma mai circolari; queste fibre si inseriscono sulla cuticola e
consentono la sola contrazione, con movimento antagonista dovuto alla risposta dello scheletro
idrostatico (liquido pseudocelomatico) ed all’elasticità della cuticola. Come vedremo qui di seguito,
altra muscolatura è presente nell’apparato orofaringeo e attorno all’intestino medio.
L’apparato digerente è completo e suddiviso in tre parti:
• intestino anteriore,
• medio,
• posteriore.
L’intestino anteriore, di origine ectodermica, è formato dall’apparato orofaringeo, seguito
caudalmente da uno stretto esofago.
Il primo inizia con la bocca, anteriore o sub-terminale, seguita da un tubo boccale cuticolare che si
inserisce in un bulbo faringeo di natura mio-epiteliale. Ai lati del tubo boccale sono posizionati due
stiletti di carbonato di calcio sostenuti da supporti cuticolari e disposti obliquamente che, attraverso
apposite fessure nel tubo boccale, possono essere protrusi all’esterno. Gli stiletti sono mossi da
muscoli protrattori e retrattori, gli unici che consentono un movimento antagonista di natura
muscolare. L’apparato orofaringeo è quindi un apparato pungente-succhiante: gli stiletti perforano
cellule, o cuticole; il bulbo faringeo, contraendo le proprie cellule disposte a raggiera, dilata la
propria cavità interna, creando una depressione che consente di risucchiare fluidi o cibo particolato.
In questo modo i tardigradi si nutrono di cellule vegetali, di ife, oppure di fluidi di altri animali,
compresi talvolta altri tardigradi. La muta del tardigrado inizia con l’espulsione delle parti
sclerificate dell’apparato orofaringeo, per cui l’animale resta temporaneamente incapace di nutrirsi
(stadio “simplex”). Contemporaneamente alla nuova cuticola, queste parti vengono ricostituite dal
bulbo faringeo e da due grosse ghiandole, dette ghiandole boccali, che iniziano ai lati della bocca,
ma che si sviluppano in forma di sacche soprattutto caudalmente al bulbo faringeo e che si portano
anteriormente a questo durante la muta.
L’intestino medio, di origine endodermica, è una grossa struttura sacciforme che fa seguito
all’esofago ed entro la quale si attuano i processi digestivi. É formato da grosse cellule ed è
circondato da una serie di fibre muscolari longitudinali. Ad esso fa seguito l’intestino posteriore,
rappresentato dal retto che termina in un ano (eterotardigradi), o in una cloaca (eutardigradi). Nel
retto degli eutardigradi sboccano tre ghiandole escretrici (ghiandole malpighiane). Nelle rare specie
marine di eutardigradi (secondariamente marine) queste ghiandole appaiono fortemente ingrossate,
evidenziando un loro ruolo anche nell’osmoregolazione. Gli organi escretori degli eterotardigradi
sono in gran parte sconosciuti; in alcuni casi sono note ghiandole ventrali di natura epidermica.
12
Il sistema nervoso centrale dei tardigradi è relativamente complesso. Nel segmento cefalico vi è un
cerebro plurilobato collegato attraverso un anello nervoso ad un ganglio sottoesofageo ventrale;
questo, a sua volta è connesso tramite due cordoni nervosi paralleli ad una serie di quattro gangli
ventrali, uno per segmento provvisto di zampe. Come organi di senso possiamo trovare due
macchie oculari (talvolta assenti) connesse con le terminazioni posteriori dei lobi del cerebro. Altre
strutture sensoriali sono rappresentate da filamenti e papille cuticolari (negli eterotardigradi) che
spesso ricoprono strutture di natura ciliare, e bottoni cuticolari negli eutardigradi.
I tardigradi si riproducono esclusivamente attraverso gameti. I sessi sono spesso separati ma,
specialmente in ambiente non marino, non mancano specie ermafrodite (Bertolani, 2001). In
entrambi i sessi (e negli ermafroditi) la gonade, l’unico residuo di sacchetti celomatici che si
formano durante lo sviluppo embrionale, è sacciforme, posta dorso-caudalmente e più o meno
allungata in avanti a seconda del contenuto in gameti. Nei maschi, al testicolo fa seguito una coppia
di deferenti (a volte terminanti con vescicole seminali), mentre nelle femmine e negli ermafroditi vi
è un solo gonodotto, in modo da non creare problemi al passaggio delle uova. Nelle femmine di
alcune specie è presente una spermateca. Negli eutardigradi i gonodotti terminano in una cloaca,
negli eterotardigradi in un gonoporo. Gli spermatozoi dei tardigradi sono sempre provvisti di
flagello ed assumono forme alquanto differenti. In alcune specie hanno la testa e l’acrosoma
particolarmente allungati, tanto da far raggiungere al gamete anche i 100 µm di lunghezza (circa un
quarto della lunghezza dell’intero animale. Le uova hanno caratteristiche particolari; alcune sono
provviste di guscio con ornamentazioni specie specifiche (Figura 4). Altre hanno un guscio liscio,
ma vengono deposte all’interno dell’esuvia (vecchia cuticola) al termine della muta. I maschi sono
talvolta semelpari (cioè si accoppiano una sola volta nella vita), mentre le femmine e gli ermafroditi
sono sempre iteropari, deponendo uova (da una a più di 30) più volte nella loro vita.
Le modalità riproduttive rappresentano un secondo motivo di grande interesse dei tardigradi
(Bertolani, 2001). Se da un lato la totalità delle specie marine si riproduce per anfimissi (unione di
un uovo e di uno spermatozoo), la maggioranza delle specie limniche e semiterrestri si riproduce
per partenogenesi, ovvero producendo prole attraverso lo sviluppo di un uovo non fecondato, anche
se l’anfimissi non è del tutto persa in ambiente non marino. Inoltre, nelle specie ermafrodite la
riproduzione avviene per autofecondazione. I tardigradi, pertanto, rappresentano un vero
campionario di modalità riproduttive, anche perché la partenogenesi può essere attuata con modalità
dal significato genetico alquanto differente. La partenogenesi sembra essere sempre obbligatoria e
continua (quando è presente, nelle popolazioni non si individuano mai maschi; partenogenesi
telitoca), ma può essere attuata attraverso una maturazione ameiotica (apomissia), o meiotica
(automissia) dell’ovocita e può essere realizzata sia in popolazioni diploidi, che poliploidi
(Bertolani, 2001). Nel caso di apomissia si ottengono dei veri e propri cloni, mentre nel caso di
automissia si può avere ricombinazione nella profase meiotica che, tuttavia, perde di significato con
il permanere nelle generazioni della partenogenesi, perché vi è la tendenza a raggiungere col tempo
una completa omozigosi. La stessa situazione si ottiene con il permanere dell’autofecondazione
nelle popolazioni ermafrodite sufficienti. Tale omozigosi è stata effettivamente osservata
analizzando alcuni allozimi in una popolazione diploide automittica (Rebecchi et al., 2003). Il
successo dell’autofecondazione e soprattutto della partenogenesi in ambiente non marino (in mare
la partenogenesi è estremamente rara in qualsiasi organismo) è giustificato dal vantaggio che questo
tipo di riproduzione offre ad organismi che, come i tardigradi, sfruttano la dispersione passiva per
colonizzare nuovi territori. Un organismo che raggiunge passivamente un substrato a lui idoneo è
certamente avvantaggiato se è in grado di riprodursi senza dover ricercare un partner. Lo svantaggio
è rappresentato da una forte riduzione della variabilità genetica, limitata agli effetti di eventi
mutazionali, svantaggio che potrebbe essere mitigato dalle capacità criptobionti di questi animali
(vedi dopo). Ulteriore motivo di interesse della partenogenesi in questi animali è rappresentato dalla
presenza del fenomeno sia in linee evolutive che comprendono anche popolazioni (o specie affini)
anfimittiche, sia in linee evolutive (anche intere famiglie) in cui i maschi sono sconosciuti (Guidetti
et al. 2005). La prima situazione ci consente comparazioni tra anfimissi e partenogenesi; la seconda
13
ci dice che la partenogenesi è presente da un tempo decisamente lungo, tale da permettere un
differenziamento in specie ed in generi senza l’intervento della ricombinazione, ma solamente su
base selettiva, similmente a quanto si verifica nei Rotiferi Bdelloidei. L’uovo dei tardigradi è
omolecitico. Il modo di formazione del celoma è discusso; in ogni caso, le cinque paia di sacchetti
celomatici che si formano poco dopo si dissolvono, tranne i due più caudali che, fondendosi
formano la gonade. Lo sviluppo è diretto negli Eutardigrada, indiretto (mancanza di ano e
gonoporo, numero minore di unghie rispetto all’adulto) negli Heterotardigrada. Alla nascita, ogni
individuo presenta lo stesso numero di cellule che avrà da adulto (costanza cellulare), per cui
l’accrescimento avviene soltanto per aumento del loro volume. Tuttavia, anche dopo la nascita si
verificano divisioni cellulari, sia nella gonade, sia in alcuni tessuti somatici, che servono però
soltanto a rimpiazzare cellule andate perdute. Questi organismi miniaturizzati cercano quindi di
ottenere la massima resa con organi costituiti dal numero minimo di cellule possibile.
La vita di un tardigrado, a seconda delle specie, può durare da qualche settimana di vita attiva fino
ad oltre un anno (518 giorni), come verificato in allevamenti controllati (Altiero et al., 2006). La
vita effettiva diventa poi, in termini di tempo, molto più lunga se si sommano ai momenti di vita
attiva quelli di dormienza.
La dormienza, appunto, è il terzo motivo di grande interesse dei tardigradi. Essa riguarda
soprattutto, ma non esclusivamente, i tardigradi semiterrestri e può essere distinta in due fenomeni:
diapausa e quiescenza. La diapausa è dovuta a stimoli endogeni, può essere solo indirettamente una
risposta a modificazioni ambientali e non termina con il variare di tali condizioni. La quiescenza,
invece, è una risposta diretta a fenomeni esterni all’animale e cessa con la fine della condizione
ambientale che l’ha provocata. La diapausa è rappresentata dall’incistamento e dalle uova di durata.
Il tardigrado, quando forma la cisti, non perde acqua, ma forma a protezione nuovi involucri
cuticolari, modificando anche alcuni apparati interni. Per moltissime specie però il fenomeno non è
noto; non è nemmeno chiaro cosa provochi questo stato, anche se recentemente sono state
individuate correlazioni con la stagionalità (Guidetti et al., 2008). Le uova di durata, scoperte molto
recentemente, sono prodotte da femmine che depongono anche uova con tempi di sviluppo normali;
per far proseguire il loro sviluppo è necessario uno stimolo rappresentato da una disidratazione,
seguita da una reidratazione. Il significato adattativo di questa plasticità fenotipica va individuato
nella possibilità di non far nascere tutti gli individui con le stesse condizioni ambientali (che
potrebbero anche essere sfavorevoli), mantenendo una quota di uova per momenti successivi
(Altiero et al., 2010).
La quiescenza dei tardigradi è rappresentata dalla criptobiosi (= vita nascosta) nelle sue varie
manifestazioni, accomunate da un rallentamento (sospensione?) del metabolismo senza la
produzione, come nell’incistamento, di nuove strutture, ma al più con modificazioni di forma. In
particolare, l’anidrobiosi è dovuta a perdita della massima parte dell’acqua per disidratazione; la
criobiosi è la capacità di sopravvivere al congelamento; l’anossibiosi (o stato asfittico) è causata
dalla carenza di ossigeno nell’acqua che provoca una distensione completa e immobilità
dell’animale; l’osmobiosi è dovuta a forti variazioni della pressione osmotica nel liquido circostante
l’animale. La criptobiosi può essere attuata dai tardigradi in qualsiasi fase del loro ciclo vitale, uovo
compreso, per tempi a volte molto lunghi (almeno nell’anidrobiosi e nella criobiosi) e comunque
dipendenti dalle specie e dalle modalità di conservazione del materiale. Non è senza sorpresa che
pochissimo tempo fa, nel nostro laboratorio, è stato esaminato un campione di muschio conservato
da 10 anni in un freezer (a -80°C) dal quale sono usciti animali che, dopo breve tempo dallo
scongelamento, sono risultati decisamente attivi. L’anidrobiosi è stata inizialmente studiata e ben
caratterizzata già dallo Spallanzani che riteneva il fenomeno una vera resurrezione (da lui fu
chiamata reviviscenza) ed è ancor oggi molto indagata per le sue possibili applicazioni, per cui è la
forma più conosciuta di criptobiosi. Quando l’acqua inizia a mancare, l’animale si contrae
formando la cosiddetta “botticella” (tun; Figura 5) perché è importante che la disidratazione sia
lenta e consenta a tessuti e cellule di organizzarsi opportunamente in vista dell’essiccamento. In
questo momento inizia la sintesi di uno zucchero, il trealosio, in grado di sostituirsi all’acqua,
14
impedendo la rottura delle citomembrane (Westh e Ramløw 1991; Wrigth 2001). In anidrobiosi i
tardigradi possono restare per mesi e a volte per anni. La notizia che possano sopravvivere per più
di un secolo, apparsa su alcune riviste di divulgazione scientifica, non ha supporto scientifico; per
alcune specie sono stati superati i quattro anni di sopravvivenza in stato essiccato in condizioni
normali di presenza di ossigeno nell’aria (Rebecchi et al., 2006). I tardigradi in anidrobiosi
aumentano notevolmente la loro resistenza ad agenti fisici e chimici. In questo stato possono infatti
meglio superare periodi di congelamento, ma anche sopportare dosi di radiazioni UV e ionizzanti
che ucciderebbero organismi attivi, temperature molto basse o elevate (fino a –273°C e a +151°C),
elevatissime pressioni atmosferiche (600 MPa) e sostanze chimiche (come etanolo, H2S, OsO4,
bromuro di metile), vuoto (5 x 10-4 Pa) (Rebecchi et al. 2007, 2009; Horikawa et al. 2008; Jönsson
et al. 2008; Ono et al. 2008).
L’anidrobiosi termina con il ritorno dell’acqua. E’ sufficiente aggiungerne un poco al substrato e in
un tempo variabile dalla mezz’ora a poco più di un’ora (in relazione a quanto è durata l’anidrobiosi)
l’animale riprende a muoversi, come ebbe già occasione di osservare lo Spallanzani. La capacità di
attuare l’anidrobiosi ha consentito ai tardigradi di occupare le terre emerse, probabilmente assieme
alle Briofite, e non solo; la criptobiosi nelle sue varie modalità ha consentito ai tardigradi di
colonizzare gli ambienti cosiddetti estremi (per noi, più che per loro), o ostili alla vita, quali quelli
di elevate latitudini e altitudini e i deserti. In questi ambienti, così come nei muschi e nei licheni
esposti a ripetuti essiccamenti e reidratazioni, i tardigradi, assieme ai nematodi ed ai rotiferi, sono
spesso gli unici Metazoi presenti. La capacità di attuare l’anidrobiosi offre quindi il vantaggio di
sfuggire alla maggior parte dei predatori.
La notevole capacità di resistenza dei tardigradi ha portato diversi studiosi, soprattutto in questi
ultimi anni, ad approfondire le conoscenze del fenomeno ed in particolare a tentare di capire cosa
possa permettere questa quasi incredibile sopravvivenza. A tal proposito, si sta indagando il ruolo
svolto da determinate molecole biologiche. Tra queste devono essere citate le proteine da shock
termico, Hsps (Heat shock proteins), una famiglia di proteine con diversi pesi molecolari il cui
ruolo riguarda non soltanto la resistenza al calore, ma anche ad altri tipi di stress quali la
disidratazione, le radiazioni UV e quelle ionizzanti (Goyal et al., 2005; Jönsson e Schill, 2007;
Schill et al., 2004). Altre molecole oggetto di studio, perché potrebbero essere coinvolte, sono le
proteine LEA, Late Embryogenesis Abundant (Battista et al., 2001; Hoekstra et al., 2001;
Tunnacliffe et al., 2005; Kikawada et al., 2006). Anche gli enzimi antiossidanti svolgono un ruolo
molto importante nel rimuovere radicali liberi dall’ambiente intracellulare e quindi proteggere dai
danni derivanti da processi ossidativi (Rizzo et al., 2010).
Recentemente i tardigradi, proprio per le loro sorprendenti caratteristiche di resistenza agli stress fin
qui descritte, sono stati selezionati come modello di organismi pluricellulari da impiegare per
esperimenti nello spazio. Nel Settembre 2007, durante la missione FOTON M3 (dal nome del
modulo spaziale utilizzato, in orbita per 12 giorni) sono stati sviluppati due progetti che avevano
come modello i tardigradi, uno all’esterno del modulo con animali essiccati (progetto TARDIS,
promosso dall’ESA, European Space Agency; Jönsson et al., 2008), un altro all’interno della
navicella, con animali attivi ed essiccati (progetto TARSE, promosso dall’ASI, Agenzia Spaziale
Italiana; Rebecchi et al., 2009). Nel progetto TARDIS animali essiccati erano esposti al vuoto,
schermati, o esposti alle radiazioni solari e cosmiche. Parallelamente venivano effettuati controlli a
terra nell’ambiente di un laboratorio. Nel solo vuoto la sopravvivenza era del tutto comparabile con
quella di controlli tenuti a terra; quando esposti all’azione combinata di vuoto e radiazioni solari la
sopravvivenza dei tardigradi c’era, ma per gli animali era minima, per le uova (anche quelle,
ovviamente, essiccate) elevata e comparabile con i controlli. Il progetto TARSE ha avuto lo scopo
di analizzare la resistenza a fattori di stress quali microgravità e radiazioni, confrontando le risposte
di tardigradi attivi ed essiccati all’interno del modulo spaziale, esaminati al ritorno dal volo, con
controllo a terra. É stata evidenziata un’ottima sopravvivenza, fino al 94%, dei tardigradi secchi e al
60 % dei tardigradi attivi.
15
La microgravità e le radiazioni (queste ultime presenti, anche se l’ambiente era parzialmente
schermato) non hanno provocato danni al DNA dei tardigradi, né secchi, né attivi. Inoltre,
l’ambiente spaziale ha indotto (nei soli tardigradi secchi) l’espressione di proteine Hsps (Hsp70 e
Hsp90). Nei tardigradi attivi, invece, è stata evidenziata una risposta antiossidativa.
Infine, nonostante sia noto che in altri animali (quali l’anfibio Xenopus laevis) la microgravità
influenza negativamente lo sviluppo embrionale (Rizzo et al., 2002), nei tardigradi non è stato così.
Durante il volo gli esemplari attivi sono stati in grado di riprodursi, deponendo uova che si sono
schiuse originando prole con normale morfologia e comportamento. I nati da queste uova, allevati
in laboratorio, sono stati a loro volta in grado di riprodursi.
Queste serie di esperimenti hanno consentito di incrementare le nostre informazioni sulle
eccezionali capacità dei tardigradi, iniziando a focalizzare l’attenzione sugli aspetti biochimici che
consentono la sopravvivenza in ambienti a noi così ostili. Essi dimostrano, fra l’altro, che non solo i
batteri e i protozoi, ma anche organismi pluricellulari possono rappresentare un valido strumento
per studiare le strategie adattative e i meccanismi molecolari che consentono la vita nello spazio.
Carpire il segreto di questa straordinaria capacità di sopravvivenza attraverso l’individuazione delle
molecole e dei processi che la permettono rappresenta un obiettivo da perseguire che, se raggiunto,
potrà certamente essere di grande aiuto all’uomo, ad esempio nella preservazione di tessuti ed
organi e nella stabilizzazione di vaccini, cellule, piastrine e lisosomi.
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