Istituzioni di Matematiche - A. A. 2000/2001. (Corso Serale) Argomenti trattati nel periodo 24 aprile - 8 maggio. 24/4/01 (martedì, 1 ora) Massimi e minimi relativi. I teoremi di Fermat e di Rolle. Osservazioni 26/4/01 (giovedì, 1 ora) Il Teorema di Lagrange e le sue conseguenze: funzioni crescenti (decrescenti) in un intervallo, massimi e minimi relativi, caratterizzazione delle funzioni costanti (in un intervallo). 3/5/01 (giovedì, 1 ora) Figure (piane) convesse. Funzioni convesse (e concave): definizioni, caratterizzazini, esempi ed applicazioni (massimi e minimi relativi). 7/5/01 (lunedì, 3 ore) La regola di de l’Hôpital, esempi, contro-esempi e applicazioni. Asintoti (verticali, orizzontali ed obliqui) al grafico di una funzione, regole per la loro determinazione. Studio del grafico di una funzione. Polinomi di Taylor (e di MacLaurin), formula di Taylor. Resto secondo Peano. Applicazioni della formula di Taylor al calcolo dei limiti. 8/5/01 (martedì, 1 ora) Valutazioni del resto della formula di Taylor. Resto secondo Lagrange. Applicazioni della formula di Taylor per la determinazione di massimi e minomi relativi. Polinomi di Taylor di alcune funzioni elementari. 1 Teoremi fondamentali del Calcolo Differenziale. La prima semplice considerazione che segue dice che una funzione derivabile non può avere massimi o minimi relativi nei punti interni al suo insieme di definizione se in questi punti la derivata è diversa da zero. Teorema 1 (di Fermat) Sia f : [a, b] → R e sia x0 ∈ (a, b) un punto di massimo o di minimo relativo per f . Allora se f è derivabile in x0 risulta f 0 (x0 ) = 0. Questo Teorema viene spesso detto Principio di annullamento della derivata nei punti di estremo relativo. Osservazione 2 Si noti che gli estremi dell’intervallo a e b possono essere punti di massimo o minimo relativo senza che necessariamente le due derivate f+0 (a) e f−0 (b) (se esistono) risultino nulle, si pensi per esempio a f (x) = x in [0, 1]. Ricordiamo inoltre che l’esistenza di un punto di massimo o di minimo relativo per una funzione f nel punto x0 non implica né la derivabilità né la continuità di f in (x0 ), come mostrano i seguenti esempi: f (x) = |x| , −1 ≤ x ≤ 1. Nell’ origine f ha un minimo (assoluto), ma non è ivi derivabile. ½ 0 se x è razionale (funzione di Dirichlet). In ogni x0 ∈ R la funzione assume un f (x) = 1 se x è irrazionale massimo oppure un minimo, ma f è discontinua ovunque. Il teorema che segue, facile conseguenza dei teoremi di Fermat e di Weierstrass, è il primo di una catena che permette di passare da uno studio qualitativo delle funzioni di variabile reale alla possibilità di darne una approssimazione numerica. Teorema 3 (di Rolle) Sia f : [a, b] → R una funzione 1. continua nell’intervallo chiuso [a, b] 2. derivabile nell’intervallo aperto (a, b) 3. tale che f (a) = f (b) Allora esiste almeno un punto ξ in (a, b) tale che f 0 (ξ) = 0. 2 Osservazione 4 I seguenti esempi mostrano che basta che una sola delle tre le ipotesi non sia verificata perché non si possa più garantire l’esistenza di un punto a tangente orizzontale. Da un punto di vista grafico il Teorema di Rolle assicura che esiste almeno un punto in (a, b) in cui la retta tangente al grafico di f è parallela al segmento [(a, f (a)) , (b, f (b))] e l’ultima ipotesi impone che questi siano orizzontali. Se togliamo in questo Teorema l’ipotesi f (a) = f (b) possiamo ancora garantire l’esistenza di un punto in cui vale la condizione di parallelismo (uguaglianza tra i coefficienti angolari) tra la retta tangente al grafico della funzione e la corda [(a, f (a)) , (b, f (b))] . Questa è l’interpretazione geometrica del Teorema 5 (di Lagrange) Sia f : [a, b] → R una funzione 1. continua nell’intervallo chiuso [a, b] 2. derivabile nell’intervallo aperto (a, b) Allora esiste un punto ξ in (a, b) tale che f 0 (ξ) = f (b) − f (a) . b−a Osservazione 6 Si osservi che sia per il Teorema di Rolle che per quello di Lagrange non è richiesta l’esistenza di f+0 (a) e f−0 (b). Prima di dare importanti applicazioni dei teoremi precedenti, concludiamo enunciando una ulteriore generalizzazione di interpretazione geometrica meno immediata, ma che ci permette di dimostrare l’importante Teorema di de l’Hôpital. Teorema 7 (di Cauchy) Siano f e g due funzioni continue in un intervallo chiuso [a, b] e derivabili nell’intervallo aperto (a, b). Supponiamo inoltre che g 0 (x) 6= 0 per ogni x in (a, b). 3 Allora esiste un punto ξ interno ad [a, b] tale che f (b) − f (a) f 0 (ξ) = 0 . g(b) − g(a) g (ξ) Osservazione 8 Si osservi che ponendo, nel Teorema di Cauchy, g(x) = x si ritrova il teorema di Lagrange, che è stato enunciato separatamente, sia per il suo frequente utilizzo sia per la sua evidenza geometrica. Dimostrazioni. Dimostrazione del Teorema di Fermat (Teorema 1). Supponiamo che x0 sia un punto di massimo relativo (nel caso del minimo si procede in modo analogo). Per definizione di massimo relativo esiste un δ > 0 tale che, per |h| < δ, è ∆f (x0 , h) = f (x0 + h) − f (x0 ) ≤ 0 quindi ∆f (x0 , h) ≥ 0 se h −δ <h<0 , ∆f (x0 , h) ≤ 0 se h 0 < h < δ. Passando al limite per h → 0 (limite che certamente esiste perché f è derivabile in x0 ) si ottiene che f−0 (x0 ) ≥ 0 mentre f+0 (x0 ) ≤ 0 quindi, dovendo essere f−0 (x0 ) = f+0 (x0 ), risulta f 0 (x0 ) = 0. Dimostrazione del Teorema di Rolle (Teorema 3). Per il Teorema di Weierstrass ogni funzione continua su un intervallo chiuso e limitato assume ivi un valore massimo e un valore minimo (assoluti). Siano c e d rispettivamente il punto di massimo e quello di minimo. Se almeno uno tra c e d è interno ad [a, b], in questo punto, per il Teorema di Fermat, f ha derivata nulla: questo punto è uno degli ξ cercati. Se invece il punto di massimo e quello di minimo si trovano entrambi agli estremi dell’intervallo, poiché f assume valori uguali negli estremi essa è costante e quindi ha derivata nulla in ogni punto, in questo caso ξ è un punto qualsiasi dell’intervallo (a, b) . Dimostrazione del Teorema di Lagrange (Teorema 5). Ci riportiamo al Teorema di Rolle mediante una funzione ausiliaria h costruita per differenza tra f e la funzione il cui grafico è la retta passante per i punti di coordinate (a, f (a)) e (b, f (b)). Sia dunque ¶ µ f (b) − f (a) (x − a) . h(x) = f (x) − f (a) + b−a Ovviamente h(a) = h(b) = 0, e h, somma di funzioni continue e derivabili, soddisfa tutte e tre le ipotesi del Teorema di Rolle. Pertanto esiste ξ interno ad [a, b] tale che h0 (ξ) = 0, poiché h0 (x) = f 0 (x) − f (b) − f (a) b−a si ha 0 = h0 (ξ) = f 0 (ξ) − f (b) − f (a) b−a da cui la tesi. Per motivi di completezza diamo la Dimostrazione del Teorema di Cauchy. Osserviamo innanzitutto che g(a) 6= g(b): se, per assurdo, così non fosse dovrebbe esserci almeno un punto in (a, b) in cui g 0 si annulla. 4 Come per il Teorema di Lagrange si tratta ora di costruire una funzione ausiliaria alla quale applicare il Teorema di Rolle. A tale scopo scegliamo una combinazione lineare di f e g suggerita dalla tesi del Teorema. Poniamo h(x) = [g(b) − g(a)] f (x) − [f (b) − f (a)] g(x). h è continua e derivabile, inoltre h(a) = h(b) = g(b)f (a) − f (b)g(a), dunque esiste un punto ξ in cui 0 = h0 (ξ) = [g(b) − g(a)] f 0 (ξ) − [f (b) − f (a)] g 0 (ξ). da cui la tesi. Conseguenze del Teorema di Lagrange. Al Teorema di Lagrange vengono anche dati i nomi di Teorema dell’incremento finito e di Teorema della media per la derivata. Il significato del primo è ovvio: viene data una valutazione dell’incremento della funzione (cioè di f (b)−f (a)) tramite l’incremento della variabile b − a ed un opportuno valore assunto dalla derivata di f . Non è noto a priori questo valore, in ogni caso si può dare una maggiorazione dell’incremento di f : |f (b) − f (a)| ≤ |b − a| · sup {|f 0 (x)| : a < x < b} . Il secondo nome è, al momento, difficile da spiegare ed è collegato al Teorema della media integrale (si veda in seguito). Il Teorema di Lagrange fornisce dunque una relazione tra i valori che una funzione f assume e i valori che assume la sua derivata f 0 e ciò risulta di fondamentale importanza per lo studio dell’andamento del grafico di f. Vediamone alcune applicazioni. Proposizione 9 Sia f derivabile in (α, β). Condizione necessaria e sufficiente affinché f sia non decrescente in (α, β) è che risulti f 0 (x) ≥ 0 per ogni x ∈ (α, β). Condizione necessaria e sufficiente affinché f sia non crescente in (α, β) è che risulti f 0 (x) ≤ 0 per ogni x ∈ (α, β). Dimostrazione. Ricordiamo che una funzione è non decrescente in un intervallo (α, β) se e solo se per ogni coppia di punti (a, b) in (α, β) risulta f (b) − f (a) ≥ 0. b−a (1) Quindi se f è non decrescente e derivabile, f 0 risulta sempre non negativa. Viceversa se f 0 ≥ 0 in (α, β) applicando il Teorema di Lagrange si ottiene che esiste almeno un f (b) − f (a) = f 0 (ξ). Poiché in questo punto la derivata è non-negativa punto ξ in (α, β) per cui b−a la (1) è soddisfatta. In modo analogo si dimostra la seconda parte. Osservazione 10 Dalla dimostrazione precedente risulta anche che se f 0 (x) > 0 (rispettivamente f 0 (x) < 0) allora f è strettamente crescente (rispettivamente decrescente). Non vale invece il viceversa come mostra il seguente Esempio 11 f (x) = x3 in [a, b] = [−1, 1]. f è strettamente crescente ma f 0 (0) = 0. In ogni caso, se f 0 (x) ≥ 0 in (a, b) ed è f 0 (x) = 0 in un numero finito di punti, allora f è strettamente crescete. 5 Osservazione 12 Dalla Proposizione precedente si ottiene immediatamente la seguente regola per la determinazione dei punti di massimo e di minimo relativo interni all’insieme di definizione di una funzione derivabile: Regola: Sia f derivabile in un intorno del punto x0 : se f 0 (x) < 0 per x < x0 e f 0 (x) > 0 per x > x0 allora x0 è un punto di minimo relativo per f , x0 è invece un punto di massimo relativo se f 0 (x) > 0 per x < x0 e f 0 (x) < 0 per x > x0 . Una immediata conseguenza di quanto appena detto è che i punti di massimo e di minimo relativo interni all’insieme di definizione di una funzione derivabile vanno cercati nei punti in cui la derivata della funzione si annulla. Questo non esclude che vi possano essere massimi o minimi relativi nei punti di frontiera del dominio della funzione. Nel caso di funzioni non derivabili in qualche punto, questi punti devono essere presi in considerazione separatamente: per esempio la funzione f : x → |x| ha un minimo nell’origine senza essere ivi derivabile. Proposizione 13 (Caratterizzazione delle costanti) Una funzione è costante in un intervallo (α, β) se e solo se essa è derivabile ed ha ivi derivata identicamente nulla. Dimostrazione. È ovvio che ogni funzione costante su un intervallo ha ivi derivata nulla. Sia ora f 0 (x) = 0 in (α, β). Fissiamo a in (α, β) e, per ogni x in (α, β), applichiamo il Teorema di Lagrange nell’intervallo [a, x]. Otteniamo f (x) − f (a) = (x − a)f 0 (ξ) = 0 cioè f (x) = f (a) per ogni x ∈ (α, β), da cui la tesi. Osservazione 14 Le due Proposizioni precedenti riguardano solo funzioni definite su intervalli. Se l’insieme di definizione non è un intervallo gli enunciati non sono più, in generale, necessariamente veri, come mostrano i seguenti esempi: Esempio 15 La funzione tan(x) è continua e derivabile nel suo insieme di definizione con derivata 1 + (tan(x))2 > 0, ma non è crescente nel suo insieme di definizione. Esempio 16 La funzione cosı̀ definita: ½ −1 f (x) = +1 se se x < −1 x>1 è derivabile con derivata nulla in ogni punto del suo insieme di definizione, ma non è costante . Esercizio 17 Facendo uso delle derivate dimostrare che µ ¶ ½ 1 −π/2 arctan(x) + arctan = +π/2 x se se x<0 x>0 e dire perché ciò non è in contraddizione con la Proposizione 13. Proposizione 18 Sia, per qualche δ > 0, f continua in [a, a + δ) e derivabile in (a, a + δ). Allora se esiste finito lim+ f 0 (x) = ` x→a esiste anche f+0 (a) e risulta f+0 (a) = `. 6 Dimostrazione. Scriviamo il rapporto incrementale (destro) relativo ad a: f (x) − f (a) x−a e applichiamo all’intervallo [a, x] il Teorema di Lagrange: f (x) − f (a) = f 0 (ξ x ) x−a dove a < ξ x < x. Se esiste il limite per x → a+ di f 0 (x) allora esiste anche il limite per x → a+ di f 0 (ξ x ) e i due limiti sono uguali, da cui l’esistenza di f+0 (a) e l’uguaglianza f+0 (a) = l. Osservazione 19 Vale, ovviamente, una proposizione simmetrica nell’intervallo (a − δ, a] riguardante l’esistenza di f−0 (a). Osservazione 20 Da quanto detto sopra segue che, se esistono lim+ f 0 (x) e x→a lim f 0 (x) e x→a− sono diversi (o almeno uno dei due non è finito), f non può essere derivabile in a. Osservazione 21 Una funzione può essere derivabile in tutti i punti di un intervallo senza che f 0 risulti continua: si veda l’esempio 16 della parte sulle derivate. Osservazione 22 Osserviamo infine che esistono funzioni definite su tutto R ma derivabili in un solo punto per esempio la funzione ½ f (x) = x2 −x2 per x per x razionale irrazionale è derivabile (e continua) solo in x = 0, con derivata nulla. Conviene ricordare un’altra proprietà delle funzioni derivate nota come ”proprietà dei valori intermedi”. Sappiamo (vedi Teorema dei valori intermedi) che se una funzione è continua in [a, b] essa assume almeno una volta ogni valore compreso tra il massimo e il minimo. Questa affermazione è palesemente falsa se f non è continua. Qualora però f risulti essere la derivata di una funzione F , anche se f non è continua, la proprietà dei valori intermedi continua a valere. Si può infatti dimostrare la seguente Proposizione 23 Sia F derivabile in (α, β). Siano a e b due punti di (α, β). Allora F 0 (x) assume almeno una volta ogni valore compreso tra F 0 (a) e F 0 (b). Il nome di Teorema della media per la derivata dato al Teorema di Lagrange è in qualche modo connesso con questa proprietà. Teoremi di de l’Hôpital Il Teorema di Cauchy ha applicazioni immediate allo studio dei limiti nelle forme di indecisione 0 ∞ . Occupiamoci prima del caso più semplice: del tipo e 0 ∞ 7 Teorema 24 (di de l’Hôpital per la forma 0/0) Siano f e g due funzioni continue e derivabili su un intervallo (a, b). Supponiamo che inoltre g 0 (x) 6= 0 su (a, b) e che lim f (x) = lim+ g(x) = 0. x→a+ x→a Allora se esiste (finito o infinito) il limite lim+ x→a esiste anche il limite lim+ x→a f 0 (x) g 0 (x) f (x) e i due limiti sono uguali, cioè risulta g(x) lim+ x→a f (x) f 0 (x) = lim+ 0 . g(x) x→a g (x) Dimostrazione. Cominciamo con l’osservare che f e g sono prolungabili con continuità ad [a, b) ponendo f (a) = g(a) = 0; le considereremo quindi definite su [a, b) . Dal Teorema di Cauchy segue che ad ogni x ∈ (a, b) si può associare uno ξ x ∈ (a, x) per cui f (x) f (x) − f (a) f 0 (ξ ) = = 0 x . g(x) g(x) − g(a) g (ξ x ) Quando x tende ad a anche ξ x tende ad a, ed applicando il Teorema di composizione di limiti si ottiene la tesi. Osservazione 25 Risultati del tutto analoghi si ottengono se f e g tendono a zero per x → b− anziché ad a+ . Osservazione 26 Si osservi che il Teorema di de l’Hôpital non asserisce che l’uguaglianza lim+ x→a f (x) f 0 (x) = lim+ 0 g(x) x→a g (x) vale sempre ma che ogni volta che esiste il limite del rapporto tra le derivate esiste anche quello del rapporto tra le funzioni e in questo caso i due limiti sono uguali; non può quindi capitare che esistano entrambi i limiti e siano diversi. Può però capitare che esista f (x) lim+ x→a g(x) ma non esista f 0 (x) lim x→a+ g 0 (x) come mostra il seguente Esempio 27 Sia µ ¶ 1 x sin f (x) = x 0 2 se x 6= 0 se x=0 Abbiamo già visto (esempio 16 della parte sulle derivate) che µ ¶ µ ¶ 1 1 2x sin − cos per 0 f (x) = x x 0 per 8 x 6= 0 x=0 e che in particolare che lim f 0 (x) non esiste. D’altronde, se poniamo g(x) = x, è facile verificare x→0 che µ ¶ f (x) 1 lim = lim x sin =0 x→0 g(x) x→0 x mentre f 0 (x) lim 0 = lim f 0 (x) x→0 g (x) x→0 non esiste. Osservazione 28 Se f e g, nulle in x0 , sono derivabili in x0 e g 0 (x0 ) 6= 0, allora si ha sempre lim x→x0 f (x) f 0 (x0 ) = 0 . g(x) g (x0 ) Infatti, per la derivabilità di f e di g in x0 , si ha f (x) f 0 (x0 ) (x − x0 ) + o(x − x0 ) f 0 (x0 ) = 0 → 0 . g(x) g (x0 ) (x − x0 ) + o(x − x0 ) g (x0 ) Si noti che questo non contraddice quanto detto in precedenza, si sono poste differenti ipotesi. Il Teorema di de l’Hôpital si estende facilmente al caso in cui f e g tendano a zero per x → +∞ o per x → −∞: vale infatti il Corollario 29 Siano f e g derivabili in un intervallo del tipo (α, +∞) e sia lim f (x) = lim g(x) = 0. x→+∞ Sia inoltre g 0 (x) 6= 0 per x > α. x→+∞ Allora se esiste f 0 (x) x→+∞ g 0 (x) lim esiste anche f (x) x→+∞ g(x) lim e risulta f 0 (x) f (x) = lim 0 x→+∞ g (x) x→+∞ g(x) lim f (x) . x→−∞ g(x) Un analogo risultato vale , con ovvie modifiche, per lim Dimostrazione. Ci limitiamo al caso µ x¶→ +∞ essendo µ ¶l’altro del tutto analogo. 1 1 1 Poniamo x(t) = e siano F (t) = f e G(t) = g . Allora F e G risultano continue e t t t µ ¶ 1 derivabili nell’intervallo 0, , α lim F (t) = lim+ G(t) = 0 t→0+ e t→0 µ ¶ 1 1 6 0. = G (t) = −g t t2 0 0 9 Poiché µ ¶ µ ¶ 1 1 1 0 f −f 0 2 f 0 (x) F (t) t t t µ ¶ µ ¶ = = = 1 1 1 G0 (t) g 0 (x) 0 −g 0 g t t2 t 0 esiste lim+ t→0 F 0 (t) G0 (t) e, applicando il Teorema appena dimostrato, si ottiene f 0 (x) F 0 (t) F (t) f (x) = lim = lim = lim . 0 0 x→+∞ g (x) x→+∞ g(x) t→0+ G (t) t→0+ G(t) lim Occupiamoci ora del caso in cui f e g tendono a +∞ per x → a+ . Volendo essere pignoli ci sarebbero parecchi altri casi da considerare: almeno una tra f e g può tendere a −∞ ed x può tendere a b− , a +∞ o a −∞, tuttavia questi casi possono essere riportati facilmente al caso in 1 esame mediante semplici considerazioni sui segni o mediante il cambiamento di variabile x = . t Vale ancora un risultato simile al precedente, ma la dimostrazione è molto più complicata di quella per la forma 0/0 e viene omessa. Teorema 30 (di de l’Hôpital per la forma ∞/∞) Siano f e g due funzioni derivabili in (a, b) e sia g 0 (x) 6= 0 per ogni x ∈ (a, b). Supponiamo che lim f (x) = lim+ g(x) = +∞ x→a+ x→a supponiamo inoltre che esista lim+ x→a Allora esiste anche il limite del rapporto lim+ x→a f 0 (x) . g 0 (x) f e g f (x) f 0 (x) = lim+ 0 . g(x) x→a g (x) sin x 1+ x + sin x x Esempio 31 È immediato verificare che lim = lim cos x = 1 x→+∞ x + cos x x→+∞ 1+ x 1 + cos x limite del rapporto tra le derivate lim non esiste. x→+∞ 1 − sin x mentre il Derivate di ordine superiore al primo Sia I un intervallo di R, e sia f una funzione derivabile in I. L’applicazione che associa ad ogni x ∈ I il valore f 0 (x) è a sua volta una funzione definita su I a valori in R che indicheremo col simbolo f 0 . La funzione f 0 può essere a sua volta derivabile in un certo punto x0 ∈ I o addirittura in tutto l’intervallo I. In tal caso diremo che f è derivabile due volte in x0 (rispettivamente in I) e denoteremo con il simbolo f 00 (x0 ) la derivata di f 0 calcolata in x0 e con f 00 la funzione che ad ogni x ∈ I associa il valore f 00 (x). Il procedimento può essere iterato, si definiranno quindi in modo analogo la derivata terza, quarta, n−esima, dove si è posto, per 10 ¡ ¢0 ricorrenza, f (n) (x) = f (n−1) (x) per n ≥ 1. Anche per indicare le derivate n−esime sono usate diverse notazioni, riportiamo qui quelle più comunemente usate: Dn f , dn f dxn , dn y ; dxn f 0 , f 00 , f 000 sono simboli frequentemente usati per le prime tre derivate, così pure in Fisica ed in • •• Meccanica si indicano le derivate prima e seconda di f con f ed f rispettivamente. Osservazione 32 La funzione f 0 (o qualunque altra derivata successiva di f ) non può essere una qualunque funzione, ma è vincolata ad avere alcune proprietà di ”regolarità”, per esempio non può avere discontinuità a salto poiché per essa (si veda la Proposizione (23)) deve valere la proprietà dei valori intermedi. Nel seguito tornerà utile la seguente Definizione 33 Per ogni n intero non negativo diremo che f è di classe C (n) in un intervallo aperto I (e scriveremo f ∈ C (n) (I)) quando f è derivabile n volte in I e tutte queste derivate sono continue in I; in questa definizione si conviene che C (0) (I) indichi l’insieme delle funzioni continue su I. Diremo infine che una funzione f è di classe C (∞) (I) se f è di classe C (n) (I) per ogni intero positivo n. Esempi. I polinomi e le funzioni esponenziali sono tutti di classe C (∞) (R). Le funzioni razionali, logaritmiche e trigonometriche sono di classe C (∞) su ogni intervallo contenuto nel loro insieme di definizione. Ogni funzione ottenuta componendo le funzioni sopra citate è ancora di classe C (∞) su ogni intervallo contenuto nel suo insieme di definizione. Questo dipende dalla regola di derivazione delle funzioni composte e dal fatto che le derivate di queste funzioni sono ancora ”dello stesso tipo”. Se k è un intero positivo la funzione f (x) = |x|k risulta definita e continua in R ma se k è dispari risulta di classe C (k−1) (R) e non di classe C (k) (R) , mentre per ogni k pari f risulta (ovviamente) di classe C (∞) (R) . Si noti inoltre che per ogni k la funzione in oggetto, ristretta all’intervallo (0, +∞) o all’intervallo (−∞, 0) risulta di classe C (∞) . Esercizio 34 Se f e g sono due funzioni derivabili n volte in un intervallo, allora f · g è derivabile n volte e vale n ³ ´ X n (k) (n−k) (n) f g . (f · g) = k k=0 La dimostrazione si fa per induzione su n (si veda anche la dimostrazione dello sviluppo della potenza del binomio). 11 La formula di Taylor Veniamo ora alla formula più importante del Calcolo Differenziale. Scopo di tale formula è di ”approssimare” una funzione f di classe C n (I) con un polinomio Pn di grado al più n. Il termine ”approssimare”, è molto vago e non esiste, in generale, la ”migliore approssimazione”: anche restando in un ambito polinomiale si potranno trovare polinomi diversi che costituiscono la miglior approssimazione della stessa funzione, in relazione al problema che si sta trattando. Nell’ambito delle funzioni di classe C n troveremo la migliore approssimazione ”locale” cioè determineremo un polinomio Pn , di grado al più n, tale che lim x→x0 f (x) − Pn (x) = 0. (x − x0 )n Questo generalizza ciò che abbiamo ottenuto nel caso lineare (cioè con n = 1) (si veda quanto segue la prima proprietà delle funzioni derivabili). Inoltre, sotto opportune ipotesi, il polinomio così trovato darà anche una ”buona approssimazione” globale (si veda il Teorema 43). Polinomi di Taylor. È noto dall’algebra che fissati nel piano n + 1 punti di coordinate (xi , yi ) con xi 6= xj per i 6= j esiste un unico polinomio P di grado al più n tale che P (xi ) = yi . Le n+1 condizioni P (xi ) = yi n X ck xk determinandone i coefficienti determinano quindi univocamente il polinomio P (x) = k=0 c0 , c 1 , · · · , c n . Una cosa analoga accade quando si dànno opportune n + 1 condizioni inerenti uno stesso punto x0 . Vale infatti il seguente Teorema 35 Fissati n + 1 numeri nomio P di grado al più n tale che b0 , b 1 , · · · , b n P (k) (x0 ) = bk per ed un punto x0 ∈ R esiste un unico polik = 0, 1, · · · , n. Dimostrazione. Supponiamo, per semplicità, x0 = 0. Da P (x) = n X ck xk otteniamo k=0 P (0) = c0 , P 0 (0) = c1 , P 00 (0) = 2c2 , · · · , P (s) (0) = s!cs , · · · , P (n) (0) = n!cn Il polinomio cercato è quindi Pn (x) = n X bk k=0 k! xk . Nel caso generale, tenendo conto che k µ ¶ X k k−i x = (x − x0 + x0 ) = x0 (x − x0 )i i i=0 k k conviene scrivere il polinomio di grado n nella forma Pn (x) = n X ck (x − x0 )k = c0 + c1 (x − x0 ) + c2 (x − x0 )2 + · · · + cn (x − x0 )n . k=0 12 Poiché la derivata s-esima di Pn vale Pn(s) (x) = n X i (i − 1) · · · (i − s + 1) ci (x − x0 )i−s i=s (s) si ha che Pn (x0 ) = s! cs , per ogni s = 0, 1, · · · , n. Il polinomio cercato è quindi Pn (x) = n X bk k=0 k! (x − x0 )k . Si osservi che le n + 1 condizioni date determinano univocamente Pn . Corollario 36 Sia f ∈ C (n) (I) e sia x0 ∈ I. Il polinomio Pn,f,x0 (x) = n X f k (x0 ) k=0 k! f ”(x0 ) f n (x0 ) 2 (x−x0 ) = f (x0 )+f (x0 )(x−x0 )+ (x−x0 ) +· · ·+ (x−x0 )n 2! n! k 0 è l’unico polinomio di grado al più n tale che (k) Pn,f,x0 (x0 ) = f (k) (x0 ) per k = 0, 1, · · · , n. Definizione 37 Il polinomio Pn,f,x0 viene chiamato Polinomio di Taylor di f di grado n centrato nel punto x0 . Indicheremo Pn,f,x0 semplicemente con Pn , omettendo quindi la dipendenza da f e da x0 ogniqualvolta questo non dia luogo a equivoci. Osservazione 38 Se f è un polinomio di grado k, per ogni n ≥ k si ha Pn = f. Attenzione: se, per esempio f (x) = x5 allora i Polinomi di Taylor di f con centro in x0 = 0 di grado 0, 1, 2, 3, 4 sono identicamente nulli, mentre quelli di grado maggiore o uguale a 5 sono sempre x5 . Per quanto riguarda i Polinomi di Taylor di f con centro in x0 = 1 poiché x5 = {1 + (x − 1)}5 = 1 + 5 (x − 1) + 10 (x − 1)2 + 10 (x − 1)3 + 5 (x − 1)5 + (x − 1)5 si ha P0 (x) = 1 , P1 (x) = 1 + 5 (x − 1) , P2 (x) = 1 + 5 (x − 1) + 10 (x − 1)2 , · · · , P5 (x) = 1 + 5 (x − 1) + 10 (x − 1)2 + 10 (x − 1)3 + 5 (x − 1)5 + (x − 1)5 , Pn (x) = P5 (x) ∀n > 5 e non è il caso di disfare tutto svolgendo le potenze. Osservazione 39 Poiché il polinomio di Taylor di una funzione viene costruito utilizzando le derivate della funzione stessa, valgono per questi polinomi proprietà di linearità direttamente deducibili dalle regole di derivazione. In particolare: Pn,λf +µg,x0 = λPn,f,x0 + µPn,g,x0 13 , 0 Pn,f,x = Pn−1,f 0 ,x0 (f 0 , x0 ). 0 Valutazioni dell’errore (o resto). Data una funzione f , n volte derivabile in x0 , si può sempre scrivere f (x) = Pn (x) + (f (x) − Pn (x)) . Allora Rn (x) = f (x) − Pn (x) risulta essere l’errore che si commette quando si sostituisce ad f (x) il valore Pn (x). Si conoscono diversi tipi di valutazione per Rn (x); il problema che si sta trattando in genere ne suggerisce la scelta; noi ci limiteremo a riportarne due, particolarmente significative per i problemi che affronteremo. Vale a proposito il seguente Teorema 40 (Formula di Taylor con resto di Peano) Sia f : I → R derivabile n volte in un punto x0 ∈ I. Allora risulta lim x→x0 Rn (x) =0 (x − x0 )n La dimostrazione si basa sulla seguente, semplice, considerazione: se ϕ è una funzione derivabile n volte in x0 allora ϕ (x) = o ((x − x0 )n ) ⇐⇒ ϕ(k) (x0 ) = 0 per k = 0, 1, · · · , n. Infatti la funzione Rn (x) = f (x) − Pn (x) ha derivate nulle fino all’ordine n per come è stato costruito il polinomio di Taylor. Osservazione 41 Nel polinomio di Taylor ogni termine è infinitesimo di ordine superiore rispetto ai precedenti (purché compaiano con coefficiente diverso da zero) ed il resto è un infinitesimo di ordine ancora superiore. Osservazione 42 Questa valutazione del resto, dovuta a G. Peano, risulta significativa solo quando si è in presenza di qualche processo di limite e non permette di ricavare alcuna stima numerica dell’errore. Questo dipende essenzialmente dal fatto che abbiamo fatto ipotesi su f solo nel punto x0 (che coinvolgono il comportamento di f in un opportuno intorno di x0 ). Vediamo ora come, ponendo su f ipotesi in un intero intervallo (a, b) si possa trovare una espressione del resto che ne permetta anche una valutazione numerica. Teorema 43 Sia f ∈ C (n+1) (I) e sia x0 ∈ I. Allora per ogni x ∈ I esiste un punto ξ x compreso tra x0 e x (cioè ξ x = x0 + θ (x − x0 ) per un opportuno θ ∈ (0, 1)) tale che Rn (x) = (x − x0 )n+1 (n+1) f (ξ x ) . (n + 1)! La dimostrazione è basata sull’applicazione ripetuta n volte del teorema di Cauchy partendo dalle due funzioni F (x) = Rn (x) e G(x) = (x − x0 )n+1 . 14 Osservazione 44 L’unica informazione che la formula dà sul punto ξ x è che questo è compreso nell’intervallo di estremi x0 e x; comunque risulta evidente che, da una stima della derivata di ordine (n + 1) di f in tutto l’intervallo I, si possono ottenere maggiorazioni dell’errore,cioè ¯ ©¯ ª |x − x0 |n+1 sup ¯f (n+1) (t)¯ : t ∈ (x0 , x) . |Rn (x)| = (n + 1)! Vediamo ora qualche esempio. ³ π π´ ¯ ¯ Sia f (x) = sin x , I = − , , x0 = 0. Poiché, per ogni n, ¯f (n) (x)¯ ≤ 1 abbiamo in questo 4 4 caso che ¯ ¯ (n+1) ³ π ´n+1 ¯ n+1 ¯f |x|n+1 1 (ξ ) 1 x ¯ |x| ≤ ≤ ≤ |Rn (x)| = ¯¯ ¯ (n + 1)! (n + 1)! 4 (n + 1)! (n + 1)! ³ π π´ da qui si ricava che P10 (x) dà una approssimazione di sin x in − , a meno di 10−7 . Si 4 4 ³ π π´ osservi anche che per il calcolo approssimato delle funzioni trigonometriche l’intervallo − , 4 4 è più che sufficiente, poiché ci si può sempre ricondurre a questo intervallo. La formula di Taylor è quindi uno strumento efficace per la tabulazione di tali funzioni. x ¯Sia(n)ora ¯f (x)x = eM , I = (−M, M ) , x0 = 0. Poiché, per ogni x ∈ I e per ogni n risulta ¯f (x)¯ = e < e si ha ¯ ¯ n+1 ¯ eξx ¯ n+1 M M ¯ |x| ¯ . (2) |Rn (x)| = ¯ ≤ e (n + 1)! ¯ (n + 1)! Nel caso M = 1, ci dà una approssimazione di ex nell’intervallo (−1, 1) a meno di 10−7 . P10 M n+1 = 0 segue immediatamente che per ogni n→∞ (n + 1)! x ∈ (−M, M ) , il resto Rn (x) tende a 0 per n → ∞. Di conseguenza, per ogni x ∈ R, vale l’uguaglianza N X xn x e = lim . N →∞ n! 0 Dalla valutazione in (2), poiché lim eM Formula di MacLaurin. Come abbiamo visto negli esempi precedenti capita spesso di scrivere la formula di Taylor con centro nell’origine. In questo caso si parla di Formula di MacLaurin e questa assume la forma n X f k (0) f n (0) n f ”(0) 2 x + ··· + x + Rn (x) = xk + Rn (x) f (x) = f (0) + f (0)x + 2! n! k! k=0 n o(x ) resto secondo Peano dove Rn (x) = . f n+1 (ξ x ) n+1 x resto secondo Lagrange (n + 1)! 0 Riportiamo qui per comodità del lettore le formule di MacLaurin di alcune funzioni elementari 1. 1 = 1 + x + x2 + x3 + · · · + xn + Rn (x) 1−x 15 2. 1 = 1 − x + x2 − x3 + · · · + (−1)n xn + Rn (x) 1+x 1 1 xn 3. log (1 + x) = x − x2 + x3 + · · · + (−1)n+1 + Rn (x) 2 3 n 1 1 xn + Rn (x) 4. ex = 1 + x + x2 + x3 + · · · + 2 3! n! 5. sin x = x − 1 3 1 5 1 x2n+1 x + x − x7 + · · · + (−1)n + R2n+1 (x) 3! 5! 7! (2n + 1)! 2n 1 2 1 4 1 6 n x 6. cos x = 1 − x + x − x + · · · + (−1) + R2n (x) 2 4! 6! (2n)! 7. sinh x = x + x2n+1 1 3 1 5 1 7 x + x + x + ··· + + R2n+1 (x) 3! 5! 7! (2n + 1)! 1 1 1 x2n 8. cosh x = 1 + x2 + x4 + x6 + · · · + + R2n (x) 2 4! 6! (2n)! 9. arcsin x = x + 135 (2n − 1) x2n+1 1 x 3 1 3 x5 1 3 5 x7 + + + ··· + ··· + R2n+1 (x) 2 3 24 5 246 7 246 (2n) (2n + 1) π − arcsin x = 2 π 1 x3 1 3 x5 1 3 5 x7 135 (2n − 1) x2n+1 = −x− − − − ··· − ··· + R2n+1 (x) 2 2 3 24 5 246 7 246 (2n) (2n + 1) 10. arccos x = 1 1 x2n+1 1 + R2n+1 (x) 11. arctan x = x − x3 + x5 − x7 + · · · + (−1)n 3 5 7 2n + 1 ³α´ ³α´ ³α´ ³α´ 12. (1 + x)α = 1 + x+ x2 + x3 + · · · + xn + Rn (x) 1 2 3 n ³α´ α (α − 1) (α − 2) · · · (α − k + 1) dove = . Si osservi che se α è intero positivo questi k k! coefficienti sono tutti nulli per k > α: si riottiene cosı̀ la formula del binomio di Newton; se α = −1 si riottiene la seconda formula riportata nell’elenco. Esercizio 45 Mostrare che x = x + 2x2 + 3x3 + 4x4 + · · · + nxn + Rn (x) . 2 (1 − x) Applicazioni. Osservazione 46 La rappresentazione di una funzione f nella forma f (x) = c0 + c1 (x − x0 ) + c2 (x − x0 )2 + · · · + cn (x − x0 )n + o ((x − x0 )n ) (3) è ovviamente unica: se f ammette n derivate nel punto x0 allora dalla formula di Taylor segue f (k) (x0 ) necessariamente che ck = . k! 16 Vediamo ora come si possano ricavare, senza calcoli di derivate, i polinomi di Taylor di alcune funzioni elementari. 1 xn+1 xn+1 = (1 + x + x2 + · · · + xn ) + e poiché = o (xn ) si ha lo sviluppo (1). 1−x 1−x 1−x Lo sviluppo (2) si ottiene nello stesso modo. Analogamente, 1 1 = (1 + x2 + x4 + · · · + x2n ) + o (x2n ) da cui la formula di Taylor per . 2 1−x 1 − x2 1 1 tn Ricordando che log(1 + t) = t − t2 + t3 + · · · + (−1)n+1 + o(tn ) si ha che 2 3 n 3n 1 1 x log(1 + x3 ) = x3 − x6 + x9 + · · · + (−1)n+1 + o(x3n ) 2 3 n abbiamo cosı̀ la formula di Taylor per log(1 + x3 ). È chiaro a questo punto come possa essere utilizzata l’osservazione precedente per ottenere nuove formule di Taylor da formule note. Si noti che se Pn è il polinomio di Taylor di grado n di una funzione f, allora Pn0 è il polinomio di Taylor di grado n − 1 di f 0 . In particolare dalla formula (3) si ricava immediatamente la (2) e dalla (5) la (6). In seguito vedremo che una relazione analoga vale anche per le primitive. Vediamo ora come la formula di Taylor col resto secondo Peano possa essere utilizzata per il calcolo dei limiti. ex − x2 − sin x − cos x Si consideri lim . Sostituendo i termini al numeratore con le rispettive x→0 x3 espressioni date dalla formula ¶ di Taylor µ si ha che il limite¶precedente si può scrivere come µ µ ¶ 2 3 3 2 x x x x 1+x+ + + o (x3 ) − x2 − x − + o (x3 ) − 1 − + o (x3 ) 2 6 6 2 lim = x→0 x3 x3 + o (x3 ) 1 3 = lim = . 3 x→0 x 3 Procedendo in modo analogo si ottiene µ ¶ x4 2 2 4 µ ¶ x + −x − + o (x ) 1 1 x2 + log(1 − x2 ) 1 2 lim + = lim 2 = lim = . 2 2 2 2 2 2 x→0 x→0 x log(1 − x ) x→0 x log(1 − x ) x (−x + o (x )) 2 µ ¶ µ ¶ x3 x5 x6 5 2 6x x − + + o(x ) − 6 x − + o(x6 ) + x4 x sin x − sin (x2 ) − x2 6 120 6 µ ¶ √ lim = lim = x→0 x→0 x2 x4 x2 x4 1 − x2 − cos x 4 4 1− − + o(x ) − 1 − + + o(x ) 2 8 2 24 21 6 x + o(x6 ) 20 = lim = 0. x→0 x4 4 − + o(x ) 6 Vediamo infine come, anche per il calcolo dei limiti per x → ∞, si possano ancora utilizzare gli sviluppi di Taylor operando prima la trasformazione x = 1/t : Ãr ! ³√ ´ ´ 2 1 ³√ 2 1/x2 2 1/x2 4 t2 4 2 2 lim x x + 2x − x e = lim x 1+ 2 −e = lim 4 1 + 2t − e = x→∞ x→∞ t→0 t x à µ ¶! 2 4 −t4 + o(t4 ) 2t2 (2t2 ) t 1 = lim − + o(t4 ) − 1 + t2 + + o(t4 ) = −1. = lim 4 1 + t→0 t→0 t 2 8 2 t4 17 Convessità. In questo paragrafo vedremo come il segno della derivata seconda di una funzione reale caratterizzi alcuni aspetti del suo grafico. Introdurremo a questo proposito il concetto di funzione convessa e studieremo in qualche dettaglio alcune proprietà di questa classe di funzioni; ciò perché, al di là della immediata applicazione di queste proprietà allo studio dei grafici, la convessità gioca un ruolo fondamentale in molti problemi di applicazione pratica, per esempio quelli di ottimizzazione. Una figura piana (non necessariamente limitata, si pensi per esempio ad un angolo) viene detta convessa quando • Per ogni coppia di punti della figura il segmento che li congiunge sta ancora nella figura. • Per ogni coppia di punti sul bordo della figura il segmento che li congiunge sta ancora nella figura. • Per ogni punto sul bordo della figura si può trovare almeno una retta che passa per quel punto e che lascia tutta la figura nello stesso semipiano. È ovvio che le prime due condizioni sono equivalenti, si può verificare che anche la terza lo è, e se la figura non presenta spigoli la retta è unica ed è la tangente. Basandoci su queste premesse diremo che una funzione è convessa (o concava verso l’alto) su un intervallo se la figura costituita dai punti che si proiettano sull’intervallo e stanno sopra al grafico della funzione è una figura convessa, diremo invece che la funzione è concava (o concava verso il basso) se la figura sotto al grafico è convessa (in altre parole: f è concava se −f è convessa). Ricordiamo ora alcuni fatti di geometria elementare. Il generico punto xλ del segmento [x1 , x2 ] ha ascissa xλ = x1 + λ (x2 − x1 ) = (1 − λ)x1 + λx2 al variare di λ in [0, 1] . Inoltre poiché la retta congiungente i punti (x1 , f (x1 )) , (x2 , f (x2 )) ha equazione f (x2 ) − f (x1 ) (x − x1 ) y = f (x1 ) + x2 − x1 il punto di ascissa xλ sulla retta ha ordinata yλ = f (x1 ) + λ (f (x2 ) − f (x1 )) = (1 − λ) f (x1 ) + λf (x2 ) . Da quanto detto sopra otteniamo Definizione 47 Sia f una funzione definita in un intervallo I a valori reali. Diremo che f è convessa in I se per ogni coppia di punti x1 , x2 di I e per ogni numero reale λ ∈ [0, 1] accade che f ((1 − λ)x1 + λx2 ) ≤ (1 − λ) f (x1 ) + λf (x2 ) . (4) 18 Questa definizione traduce in termini formali il fatto che una funzione è convessa su un intervallo I se per ogni coppia di punti x1 , x2 di I il grafico di f ristretto all’intervallo (x1 , x2 ) si trova non al di sopra del segmento che unisce i punti (x1 , f (x1 )) e (x2 , f (x2 )). Per quanto detto nel terzo punto Proposizione 48 f è convessa in I se e solo se per ogni x0 ∈ I risulta f (x) ≥ f (x0 ) + m (x − x0 ) per ogni x ∈ I e per almeno un m = m (x0 ) ∈ R. Osservazione 49 La somma di funzioni convesse è ancora una funzione convessa. Di conseguenza per verificare se una funzione è convessa è sufficiente vedere se è convessa la funzione f (x) + mx. Verso della concavità per funzioni derivabili. Si può dimostrare che una funzione convessa su un intervallo I è continua nei punti interni, non è detto che sia derivabile in ogni punto (si pensi a |x|), però deve ammettere in ogni punto sia derivata destra che sinistra. Nel seguito supporremo che f sia derivabile in ogni punto di I. Sotto questa condizione la proposizione precedente diventa il Teorema 50 Sia f derivabile in I. Allora f risulta convessa se e solo se per ogni x0 di I si ha che f (x) ≥ f (x0 ) + f 0 (x0 ) (x − x0 ) (5) In altre parole il grafico di una funzione convessa si trova sempre al di sopra della retta tangente al grafico stesso in un qualunque suo punto. 19 Da un punto di vista grafico questa affermazione è evidente: se la corda sta sopra al grafico, le due semirette oltre la corda devono stare sotto e la posizione limite (la retta tangente) sta tutta sotto. Il Teorema seguente fornisce un criterio per stabilire la convessità di funzioni derivabili. Teorema 51 Sia f derivabile in I. Allora f è convessa se e solo se la derivata prima è monotona non decrescente in I. Dimostrazione. Sia f convessa in I e sia x0 ∈ I. Si può sempre pensare che sia f 0 (x0 ) = 0 (per l’osservazione 49 basta sostituire ad f la funzione f (x) − (x − x0 ) f 0 (x0 )). Se (per assurdo) esistesse un x1 > x0 con f 0 (x1 ) < 0 allora il punto (x0 , f (x0 )) starebbe sotto alla tangente in x1 (perché f (x1 ) > f (x0 )). Per il viceversa, se f non fosse convessa esisterebbero tre punti x1 , x2 , x3 tali che x1 < x2 < x3 con f (x2 ) sopra la corda [(x1 , f (x1 )) , (x3 , f (x3 ))] . Possiamo ancora pensare, sempre per l’osservazione 49 che sia f (x1 ) = f (x3 ) = 0 qiondi f (x2 ) > 0. Per il teorema di Lagrange (Teorema 5) devono esistere un punto in (x1 , x2 ) in cui f ha derivata positiva ed un punto in (x2 , x3 ) in cui f ha derivata negativa: assurdo. Ricordando le relazioni tra il segno della derivata prima di una funzioni e la sua monotonia si ottiene immediatamente il Corollario 52 Sia f derivabile due volte in I. Allora f è convessa se e solo se la derivata seconda f 00 è non negativa in I. Per le funzioni concave valgono teoremi e caratterizzazioni analoghe alle precedenti, in particolare se f è derivabile due volte in I, allora f è concava (verso il basso) se e solo se la derivata seconda f 00 è non positiva in I. Per le funzioni derivabili i punti in cui la concavità ”cambia verso” vengono detti ”punti di flesso”, diciamo cioè che x0 è un punto di flesso per f se f è derivabile in x0 e per un opportuno δ > 0, f ha concavità differenti nei due intervalli (x0 − δ, x0 ) , (x0 , x0 + δ) . Di conseguenza la retta tangente nei punti di flesso attraversa il grafico della funzione. Nel caso la funzione ammetta derivata seconda continua, per quanto detto sopra, quest’ultima deve annullarsi nei punti di flesso. Osservazione 53 In molti problemi di approssimazione risulta utile la seguente, semplicissima considerazione: se f è convessa su un intervallo I allora per ogni k ∈ R l’equazione f (x) = k non può avere più di due soluzioni. Da quanto detto sopra segue anche che i grafici di due funzioni, una concava e l’altra convessa sullo stesso intervallo I hanno al più due intersezioni. Osserviamo infine che questo non accade per funzioni con la stessa concavità: basta considerare le due funzioni f1 (x) = x2 , f2 (x) = x2 + sin x entrambe convesse e i cui grafici hanno infinite intersezioni. 20 Massimi e minimi di funzioni derivabili. Sia A un intervallo o una unione di intervalli e sia f : A → R. Ricordiamo che per il teorema di Fermat (teorema 1) i punti di massimo e di minimo (relativi ed assoluti) per f vanno cercati tra • i punti interni ad A in cui f è derivabile con derivata nulla • i punti interni ad A in cui f non è continua o non è derivabile • i punti sulla frontiera di A. Per gli ultimi due casi è necessario un esame diretto del comportamento di f in un opportuno intorno di questi punti. Per il primo caso invece, se x0 è un punto interno ad A, f 0 (x0 ) = 0 ed f è derivabile in un intorno di x0 , il teorema di Lagrange (Teorema 5) assicura che f è crescente in ogni intervallo in cui f 0 > 0, decrescente in ogni intervallo in cui f 0 < 0. Quindi se se f 0 (x) > 0 per x < x0 f 0 (x) < 0 per x < x0 e f 0 (x) < 0 per x > x0 e f 0 (x) > 0 per x > x0 allora allora se se f 0 (x) > 0 per x < x0 f 0 (x) < 0 per x < x0 e f 0 (x) > 0 per x > x0 e f 0 (x) < 0 per x > x0 o allora x0 è un punto di massimo x0 è un punto di minimo x0 non può essere né un punto di massimo né di minimo. Lo studio del segno di f 0 può essere particolarmente complicato; se f ammette derivata seconda in un intorno di x0 e questa è di segno costante allora f 0 (nulla in x0 ) è monotona e deve essere positiva prima di x0 e negativa dopo o viceversa, dunque se se f 0 (x0 ) = 0 e f 0 (x0 ) = 0 e f ” (x) < 0 in U (x0 ) allora f ” (x) > 0 in U (x0 ) allora x0 è un punto di massimo x0 è un punto di minimo. Questa condizione è abbastanza ovvia: il grafico di f ha retta tangente orizzontale in (x0 , f (x0 )) e, per motivi di concavità, deve stare sotto (rispettivamente sopra) la retta tangente. In ogni caso per stabilire se x0 è un punto di massimo o di minimo è sufficiente conoscere il segno di f ” (x0 ) : vale la regola se se f 0 (x0 ) = 0 e f 0 (x0 ) = 0 e f ” (x0 ) < 0 allora f ” (x0 ) > 0 allora x0 è un punto di massimo x0 è un punto di minimo. Infatti f 0 (x0 ) = 0 e f ” (x0 ) < 0 significa lim x→x0 f 0 (x) f 0 (x) − f 0 (x0 ) = lim <0 x→x0 x − x0 x − x0 e questo implica che (in un opportuno intorno di x0 ) il segno di f 0 (x) è opposto a quello di (x − x0 ) dunque f 0 (x) > 0 per x < x0 e f 0 (x) < 0 per x > x0 . Naturalmente, nel caso f ” (x0 ) = 0, nulla si può dire sulla presenza di massimi o minimi: in tal caso sono necessari studi più approfonditi, per esempio lo studio del segno di f ” con le sue implicazioni sulla monotonia di f 0 . Se per esempio fosse f ” (x) ≥ 0 in U (x0 ) allora f 0 (nulla 21 in x0 ) sarebbe non decrescente, quindi negativa prima di x0 e positiva dopo; in questo caso x0 sarebbe punto di minimo. In generale, se f è derivabile n volte in x0 con f 0 (x0 ) = f ” (x0 ) = · · · = f (n−1) (x0 ) = 0 e f (n) (x0 ) 6= 0 allora se n è pari e f (n) (x0 ) < 0 allora x0 è un punto di massimo se n è pari e f (n) (x0 ) > 0 allora x0 è un punto di minimo. se n è dispari allora x0 non è un punto di massimo né di minimo. Questa proprietà può essere dimostrata con le stesse argomentazioni usate in precedenza nel caso f ” (x0 ) 6= 0, studiando il segno delle derivate successive in U (x0 ) . Molto più semplice e risolutivo è però l’utilizzo della formula di Taylor con resto secondo Peano: f (x) = n X f (k) (x0 ) k=0 k! (x − x0 )k + o ((x − x0 )n ) = f (x0 ) + quindi ½ n f (x) − f (x0 ) = (x − x0 ) f (n) (x0 ) (x − x0 )n + o ((x − x0 )n ) n! ¾ f (n) (x0 ) + o (1) n! f (n) (x0 ) + o (1) mantiene il n! segno di f (n) (x0 ) , a seconda che n sia pari o dispari, f (x)−f (x0 ) si mantiene, rispettivamente, di segno costante (caso del massimo o del minimo) oppure cambia segno. e tenendo conto che, in un opportuno intorno di x0 la quantità Si era detto all’inizio che i punti di massimo e di minimo di f andavano cercati, oltre che tra i punti in cui la derivata prima si annulla, anche tra i punti interni ad A in cui f è non derivabile e tra i punti sulla frontiera di A. Non è, ovviamente, detto che questi punti debbano necessariamente essere di massimo o di minimo: ogni punto deve essere considerato singolarmente. Tuttavia in qualche caso una analisi del tipo precedente funziona ancora: supponiamo f : [a, b] → R, allora, come si può facilmente dimostrare, f+0 (a) > 0 =⇒ f+0 (a) < 0 =⇒ f−0 (b) > 0 =⇒ f−0 (b) < 0 =⇒ a è a è a è a è di di di di minimo massimo massimo minimo inoltre se x0 ∈ (a, b) e f−0 (x0 ) < 0 , f−0 (x0 ) > 0 , f+0 (x0 ) > 0 =⇒ f+0 (x0 ) < 0 =⇒ x0 è di minimo x0 è di massimo. Esempio. Sia f : [0, 1] → R la funzione così definita: f (0) = 0 , 1 f (x) = x + 2x2 sin . x Risulta f+0 (0) = 1 e, per x 6= 0 è f 0 (x) = 1 − 2 cos x1 + 4x sin x1 . L’origine è un punto di minimo (di frontiera) ed è anche punto di accumulazione di massimi e di minimi relativi, infatti f 0 (x) cambia di segno infinite volte in ogni intorno dell’origine. Possiamo osservare che la condizione f 0 (x0 ) 6= 0 non implica che debba esistere un intorno di x0 in cui f è monotona. 22