UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 1 – Le teorie evoluzionistiche Approfondimento - La teoria evoluzionistica degli esseri viventi secondo Lamarck Jean Baptiste de Lamarck (1744-1829) [fig. 1] nella sua teoria evoluzionistica afferma che gli organismi subiscono una modificazione graduale e continua dell’organismo causata dall’ambiente in cui vivono. I cambiamenti determinati dall’ambiente vengono ereditati e, con il trascorrere del tempo e il susseguirsi delle generazioni, le variazioni diventano così profonde da portare alla nascita di nuove specie. La teoria lamarckiana è nota come la teoria della variazione delle specie per mezzo dell’eredità dei caratteri acquisiti determinata dall’uso e disuso di un organo. Consideriamo un esempio dell’applicazione di tale teoria: i mammiferi hanno mascelle provviste di denti atti alla masticazione, ma, se Fig. 1. Jean Baptiste de determinate circostanze ambientali porteranno un animale di una data Lamarck articola una teoria classe a non far uso dei denti e a inghiottire il cibo intero e se la pratica evoluzionistica come si estenderà a tutta la prole per numerose generazioni, secondo conseguenza dell’adattamento dei viventi all’ambiente. Lamarck si arriverà a un punto in cui alle generazioni successive non serviranno più i denti che per questo motivo scompariranno. È il caso del formichiere, mammifero sdentato. La stessa argomentazione viene estesa agli uccelli che non masticano il cibo ma lo inghiottono, dopo averlo lacerato o sminuzzato con il becco. Ecco allora che il disuso modifica un organo, riducendolo fino a provocarne la scomparsa, anche se esso costituiva una caratteristica propria della specie. Se il disuso porta alla riduzione di un organo, l’uso continuo porta al suo sviluppo o alla sua modificazione con comparsa di organi nuovi. Sempre secondo tale teoria, uccelli acquatici come i cigni, per esempio, che vivono nell’acqua catturando pesci per la loro nutrizione, per potersi spostare velocemente in essa allargano le dita dei piedi; per questa ragione, la pelle che unisce la base delle dita, sollecitata dal battito continuo sull’acqua, comincia a crescere formando le membrane interdigitali che caratterizzano tutti gli uccelli acquatici come i cigni e le anitre [fig. 2]. Gli stessi “sforzi” nel nuoto, secondo la teoria lamarckiana, hanno provocato analoghe modificazioni negli anfibi, come le rane, o nelle tartarughe acquatiche. Tutte queste modificazioni vengono ereditate dagli organismi che le Fig. 2. Un esemplare di Sula trasmettono alle generazioni successive. Quando le modificazioni Piediazzurri. Secondo la acquisite sono molte, le specie sono talmente differenziate che possono teoria di Lamarck lo sforzo nel nuoto ha prodotto lo dar luogo a due specie diverse. sviluppo della membrana In conclusione, la teoria di Lamarck si basa sui seguenti principi: interdigitale in alcuni uccelli • le specie nel corso del tempo si modificano andando incontro a acquatici. evoluzione e perciò non sono fisse; • l’evoluzione è un processo graduale e continuo; • l’evoluzione è determinata direttamente dall’ambiente che ha un ruolo attivo nell’adattamento di ogni specie, facendo insorgere le variazioni che vengono acquisite per ereditarietà dai viventi. 1 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 1 – Le teorie evoluzionistiche Approfondimento - George Leopold Cuvier enuncia la teoria delle catastrofi George Leopold Cuvier (1769-1832) [fig. 1] all’inizio del 1800, da ricerche effettuate su ritrovamenti fossili, dimostrò che in passato sulla Terra erano vissute specie che si sono poi estinte. Notò anche che nei diversi piani di stratificazione che contraddistinguono i depositi sedimentari fossiliferi, organismi più semplici si alternavano a quelli più complessi. Partendo dai piani di stratificazione più profondi e antichi e portandosi verso quelli posti più in superficie e quindi più recenti, erano evidenti delle discontinuità relativamente alle varie forme di fossili presenti. Su questa base ipotizzò l’avvicendarsi di catastrofi naturali nella storia dei viventi che avevano condotto all’estinzione di tutte le forme di vita di una data area e alla sostituzione, ad opera di un nuovo atto creativo divino, con forme via via più complesse. La sua teoria era in accordo con quanto riportato nella Bibbia: i fossili erano di quelle specie che non erano salite sull’arca di Noè e quindi non erano sopravvissute al diluvio universale. Fig. 1. George Leopold Couvier ha elaborato la teoria delle catastrofi. 2 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 2 – La nascita di una nuova specie e l’origine dell’uomo Approfondimento - Convergenza evolutiva e coevoluzione La convergenza evolutiva è un processo che porta due classi di viventi ad assumere caratteristiche simili poiché condividono un dato ambiente in cui quelle caratteristiche sono indispensabili per la vita. L’esempio tipico è rappresentato dai pesci e dai mammiferi come i cetacei. In questo caso questi mammiferi hanno subito pressioni selettive che hanno favorito solo quelle variazioni genetiche molto particolari, a carico dell’arto di un antenato vertebrato, che permettevano l’adattamento al nuoto [fig. 1]. Fig. 1. La convergenza evolutiva si verifica per adattamenti a particolari ambienti di vita in cui certe caratteristiche ben precise sono indispensabili. Ne sono esempi gli organismi adattati all’ambiente acquatico, e cioè al nuoto, che devono avere particolare uniformità nella forma del corpo. La stessa cosa succede ai volatili: per conquistare l’ambiente aereo tutti gli organismi devono avere le ali. La coevoluzione è un processo per cui due specie sono legate strettamente tra loro tanto che qualsiasi modificazione evolutiva si verifichi su una specie determina, a sua volta, una modificazione evolutiva su un’altra. Un esempio significativo di coevoluzione si ha fra gli insetti impollinatori e le piante a fiore. Gli insetti, come sappiamo, trasportano il polline da un fiore a un altro. Molti milioni di anni fa comparve in alcuni insetti una variazione genetica che permetteva loro di nutrirsi del nettare di alcune piante con fiori. Gli insetti si vedevano così assicurato il cibo, le piante impollinate la riproduzione. In molti casi queste strutture del fiore si sono modificate a seguito della selezione naturale e si sono evolute in concomitanza all’evoluzione degli insetti impollinatori, che svilupparono così apparati succhiatori capaci di estrarre il nettare dalle parti più profonde del fiore. La pianta sviluppò, in seguito, anche i cosiddetti apparati vessillari: foglie vistosamente colorate per il richiamo visivo (petali), emanazione di profumi, meccanismi a scatto e a bilanciere ecc [fig. 2]. Vi sono, poi, anche altri espedienti che le piante hanno sviluppato per aumentare le probabilità di visita degli insetti, come i meccanismi a trappola (con la pianta che trattiene l’insetto fino a 3 impollinazione avvenuta). Nelle orchidee vi sono addirittura fiori che simulano per forme e colori insetti impollinatori femminili, attirando così i maschi. Quando si verifica la coevoluzione si manifestano, a seguito della selezione naturale, variazioni sia nell’animale sia nella pianta che li rendono sempre più adatti e dipendenti l’uno all’altra; questo può essere spiegato solo con il modello evoluzionistico. Fig. 2. Meccanismi usati da alcune piante a fiore per favorire l’impollinazione a opera degli insetti: A) meccanismo a bilanciere: nella salvia dei prati l’accesso al nettare è ostruito da due espansioni (1); l’ape che si introduce nel fiore urta contro questa barriera, spingendola verso l’alto, cosicchè gli stami, come in una leva, si abbassano, spolverando di polline il dorso dell’ape (2); quando l’ape si posa su un altro fiore, ne deposita il polline. B) meccanismo a trappola: il gigaro attira i moscerini emanando un odore fetido; gli insetti entrano nell’imbuto, ma non riescono più a uscire a causa dei peli a trappola. Quando i fiori maschili sono maturi i peli appassiscono, lasciando uscire gli insetti carichi di polline. 4 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - La storia della classificazione Nell’antichità, uno dei primi ad affrontare il problema della classificazione degli organismi in modo scientifico fu il filosofo-scienziato greco Aristotele (384-322 a. C.). Il suo merito maggiore fu quello di aver costruito una sorta di scala della vita in cui aveva posto nel gradino più basso il mondo inanimato - ossia suolo, aria, mare - poi il mondo delle piante, quindi il mondo degli animali e, in cima alla scala, l’uomo. Egli classificò gli animali in ovipari (uccelli, rettiti, anfibi, pesci) e vivipari (mammiferi) e li separò da un altro gruppo, animali senza sangue, gli invertebrati. Aristotele descrisse circa 500 specie di animali. I suoi studi lo portarono a riconoscere che il delfino, che vive nel mare e assomiglia a un pesce per la forma, in realtà ha sangue caldo e partorisce figli vivi che la madre allatta (caratteristiche queste che lo fanno definire un mammifero). Tuttavia Aristotele non viene considerato un sistematico poiché non si dedicò in particolare allo studio dei vari gruppi. Il suo allievo Teofrasto si dedicò invece approfonditamente allo studio delle piante e ne classificò 500 specie. L’opera di Aristotele fu continuata da Alberto Magno (1193-1280), suo divulgatore e commentatore, nelle cui opere troviamo un primo schema di classificazione. Il primo, però, che cominciò a descrivere le varie forme di vita terrestre fu il medico naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605). Al naturalista inglese John Ray (1627-1705) si deve attribuire la prima definizione scientifica di specie. Egli la considerò come insieme degli individui simili e della loro progenie. Egli descrisse ben 18 000 specie di piante e classificò pure molti animali, suddividendoli in gruppi e sottogruppi, basandosi su alcune differenze come la diversa dentatura e la forma delle dita dei piedi, distinguendo gli animali con zoccolo unico (cavalli) da quelli con zoccolo diviso in due (bovini), animali con corna permanenti (capre) da altri con corna che si rinnovano ogni anno (cervi), ecc. Ma fu soltanto nel XVIII secolo, grazie allo scienziato svedese Carl von Linné, noto con il nome italianizzato di Carlo Linneo (1707-1778), che gli esseri viventi vennero classificati scientificamente. Fin da ragazzo Linneo ebbe l’opportunità di osservare una quantità di fiori e piante in una specie di piccolo orto botanico che il padre, pastore della parrocchia, coltivava vicino a casa. A quei tempi la Botanica era praticata quasi esclusivamente dai medici che ricavavano dalle erbe le medicine per la cura dei malati. Laureatosi in Medicina per accontentare il padre, che avrebbe voluto fare di lui un brillante dottore, abbandonò quasi subito la professione per dedicarsi esclusivamente alla Botanica, raggiungendo presto fama di grande scienziato, al punto di ottenere la cattedra di Botanica nella prestigiosa Università svedese di Uppsala. La sua vita fu dedicata allo studio: infatti classificò ben 4 236 specie di piante e animali. Pubblicò le conclusioni dei suoi studi e delle sue ricerche in circa 180 opere, la più importante e conosciuta è Sistema naturae, scritta nel 1735, nella quale, per la prima volta, vengono indicati i vari gruppi, da quello più piccolo, la “specie”, a quello più grande, il “Regno”, secondo un ordine gerarchico. Istituì la classificazione delle piante basandosi sugli organi sessuali, stami e pistilli, e sui modi di riproduzione. Il suo nome resta comunque legato all’ideazione della nomenclatura binomia latina. 5 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Il Regno degli Archeobatteri Inizialmente gli archeobatteri sono stati trovati negli ambienti più estremi e inospitali della Terra, ma in seguito sono stati scoperti anche in ambienti più ospitali, ne è un esempio il plancton. Grazie alle loro strutture di rivestimento che sono molto impermeabili, la maggior parte di questi microrganismi può sopravvivere in ambienti che plancton: insieme degli che vivono presentano condizioni estreme che per altri esseri viventi risulterebbero organismi galleggianti nelle acque. insopportabili. Alcuni possiedono anche un pigmento sensibile alla luce rossa, la alorodopsina, che serve loro per ottenere energia. Gli archeobatteri sono diversi dai batteri: per esempio, hanno enzimi che non si riscontrano nei batteri, presentano una parete cellulare chimicamente diversa e il loro RNA non assomiglia a quello di nessun altro organismo. In base al loro ambiente di vita gli archeobatteri si possono distinguere in tre grandi gruppi: alofili, metanogeni, termofili estremi. Gli alofili prediligono ambienti a elevatissima salinità e possono sopportare la disidratazione, tanto da vivere in acque sature di sale (per esempio Halobacterium); sono per lo più eterotrofi. I metanogeni sono organismi chemioautotrofi anaerobi, definiti “metanogeni” perché, durante il processo che svolgono per ricavare energia, trasformano il diossido di carbonio (CO2) in metano (CH4). Vivono nei sedimenti di laghi e acquitrini e negli apparati digerenti di bovini e dell’uomo [fig 1]. I termoacidofili vivono nei suoli acidi con un pH Fig. 1. Methanopyrus sp., un esempio generalmente compreso tra 2 e 3, nelle sorgenti calde di metanogeno. solforose, nelle fessure di acqua calda a 110 °C che fuoriesce dai fondi oceanici, in sorgenti termali che raggiungono temperature elevatissime. Possono essere eterotrofi o chemiosintetici. Quelli chemiosintetici utilizzano ossidi di zolfo che trasformano in acido solfidrico (H2S). Considerate le condizioni estreme in cui possono vivere e riprodursi, gli archeobatteri presentano una particolare composizione biochimica delle loro strutture di rivestimento, che conferisce loro una notevole impermeabilità e che li differenzia sia dai batteri sia dagli eucarioti. 6 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Il Regno dei Batteri I più antichi fossili conosciuti sono costituiti dai batteri rinvenuti in rocce di 3,8 miliardi di anni fa. I batteri comprendono un vasto gruppo diversificato con più di 1600 specie. Sono organismi microscopici, le cui dimensioni vanno da 0,2 a 2 µm e i nomi di molti di essi ci sono familiari poiché sono gli agenti di temibili malattie per l’uomo. I batteri sono molto più piccoli delle cellule sia animali sia vegetali e al loro interno, essendo procarioti, non esiste il nucleo. Vivono praticamente in qualunque ambiente: Fig. 1. nell’aria a temperature bassissime, anche al di sotto di 0° C, all’interno degli organismi, nelle acque degli oceani, a pressioni elevatissime, o nelle calde acque termali, a 60-70 °C di temperatura. I batteri presentano forme diverse che servono anche come criterio di classificazione: a bastoncino (bacilli), a spirale (vibrioni o spirilli), a sfera (cocchi). In diverse specie la cellula batterica è rivestita di una capsula, formata di un materiale di natura gelatinosa, mentre al di sotto di essa si trova la parete cellulare, che conferisce rigidità alla cellula. Al di sotto della parete cellulare si può osservare la membrana cellulare. Nel citoplasma vi sono i ribosomi, mentre mancano tutti gli altri organelli presenti nelle cellule eucariotiche [fig. 1]. Il DNA è formato da un doppio filamento molto aggrovigliato, lungo mille volte la stessa cellula, che forma un unico cromosoma ad anello. Vi possono inoltre essere tratti di DNA, anch’essi circolari, i plasmidi. Generalmente si riproducono rapidamente, per scissione, e in progressione geometrica: 2-4-8-16-32. Nel loro processo di divisione il DNA si divide in parti eguali che vengono distribuite fra le cellule figlie. Molti batteri possiedono flagelli che consentono loro motilità, in modo tale che possono ancorarsi a un substrato. I batteri possono muoversi con un movimento a spirale o rimanere immobili. Alcuni vivono isolati, altri invece in colonie. Alcune specie possono superare condizioni ambientali sfavorevoli colonie: insieme di organismi ponendosi in uno stato di vita latente, sotto forma di spore: tali animali o vegetali della stessa strutture sono in grado di resistere per anni a condizioni difficili: specie, uniti fra loro in vario temperature molto basse o molto elevate (da –250 a + 100 °C), modo. periodi di eccessiva siccità. Quasi tutti i batteri sono eterotrofi e, per nutrirsi, hanno bisogno di sostanze ad alto valore energetico. Si procurano l’energia in tre modi: con la fermentazione, con la fotosintesi e con la respirazione. Vi sono batteri che vivono in simbiosi nell’intestino dell’uomo, dove trovano una grande abbondanza di cibo, e formano la cosiddetta flora intestinale. Essa produce sostanze utili alla digestione, favorisce l’assorbimento delle vitamine del gruppo B e sintetizza la vitamina K, indispensabile per la coagulazione del sangue. simbiosi: vita in comune fra due Anche nell’intestino degli erbivori vivono numerosi batteri che individui di specie diversa con permettono la digestione della cellulosa, presente nelle erbe di cui reciproco vantaggio (dal greco sin = insieme e bios = vita). si nutrono. Ve ne sono altri, inoltre, che vivono in simbiosi con le 7 radici delle leguminose e che catturano l’azoto atmosferico (N), riducendolo prima ad ammoniaca (NH3) e poi a sali nitrati: sono i rizobi [fig. 2], batteri fissatori di azoto, che servono per la costruzione delle proteine nelle piante. Molti batteri trasformano le sostanze organiche presenti nel terreno (foglie morte, rami secchi, animali morti o sostanze da loro eliminate ecc.) in humus, che lo rende assai fertile. In tal modo questi batteri, essenziali per la vita, svolgono nell’ambiente il ruolo di decompositori, formando quei sali minerali indispensabili alla crescita delle piante. Alcuni batteri, poi, si sono rivelati un materiale biologico molto prezioso per la loro utilizzazione in Ingegneria genetica, rivoluzionando la Medicina, l’agricoltura e l’industria chimica. Particolari batteri sono i cianobatteri, in grado di compiere la Fig. 2. Rizobi nelle radici di fotosintesi. Vivono riuniti in colonie nei grandi mari e negli ambienti acquatici una pianta. e umidi del nostro pianeta. I cianobatteri presentano colori diversi – azzurro, verde, rosso, giallo, blu, viola – a causa dei pigmenti che le cellule stesse contengono [fig. 3]. Il Mar Rosso, per esempio, deve il suo nome alla colorazione di cianobatteri che vivono lì. Molti cianobatteri fanno parte del plancton, altri invece del benthos. Fig. 3. Quattro esempi di cianobatteri dalle colorazioni diverse. decompositori: organismi che trasformano le sostanze organiche in sostanze minerali. benthos: insieme degli organismi acquatici che vivono fissati al substrato nelle profondità marine. 8 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Il Regno dei Protisti comprende i protozoi, le alghe unicellulari e i mixomiceti I protozoi I protozoi sono protisti, unicellulari ed eterotrofi; come gli animali, saprofita: che vive nutrendosi sono privi di cloroplasti e quindi non sono in grado di compiere la di sostanze organiche in fotosintesi. Il loro modo di nutrirsi può essere quanto mai vario: alcune decomposizione. specie si nutrono di microrganismi, altre di alghe unicellulari, altre di batteri, altre ancora di residui vegetali e animali (specie saprofite) o vivono nel corpo di altri organismi (specie parassite). parassita: che vive a spese di Fra i protozoi, assai note sono le amebe, il cui corpo può cambiare un altro organismo. continuamente di forma in seguito all’emissione di pseudopodi con cui si muovono e catturano il cibo. Sono altrettanto noti il paramecio [fig. 1] dal corpo ricoperto di ciglia, importante organismo del plancton d’acqua dolce, la vorticella, protozoo della classe dei cigliati, i foraminiferi, protozoi dal guscio calcareo che, alla morte del microrganismo, si depositano in spessi strati nei fondali marini. I nummuliti sono foraminiferi fossili, a forma di moneta, le cui dimensioni possono raggiungere qualche centimetro di diametro. Essi diedero origine ad enormi formazioni rocciose di calcare che vennero utilizzate in Egitto per costruire le famose piramidi, nelle cui pietre è possibile riconoscere tali fossili inglobati. I radiolari [fig. 2] sono protozoi assai eleganti dallo scheletro che sembra un merletto; con i loro gusci depositati sul fondo del Fig. 1. Il paramecio possiede mare nelle lontane ere geologiche costituiscono l’elemento organuli importanti, quali il fondamentale di alcune rocce silicee. citostoma per la nutrizione, il Gli sporozoi sono protozoi parassiti di animali o di altri protisti: micronucleo per la coniugazione possono generare spore infettive trasmesse da un ospite all’altro sessuata, i vacuoli contrattili per attraverso l’acqua, una puntura di insetto o il cibo [fig. 3]. regolare il bilancio idrico e altri. Fig 3. Appartiene al gruppo degli sporozoi il plasmodio responsabile della malaria, che è tuttora una delle gravi malattie che affliggono l’umanità. Nell’immagine si possono vedere dei globuli rossi a diversi livelli di infezione. Fig. 2. Radiolari visti al microscopio. 9 Le alghe unicellulari Le alghe che appartengono al Regno dei Protisti sono organismi unicellulari che contengono i cloroplasti. Si tratta perciò di organismi autotrofi, in grado di compiere la fotosintesi. Tutti i vari tipi di alghe vivono nelle acque sia dolci sia salate. Alcune vivono libere, altre si riuniscono in colonie e possono assumere la forma di filamenti, lamine e nastri. Fra le alghe unicellulari vi sono le euglene, considerate le più primitive; alcuni studiosi ritengono che esse siano il punto di partenza delle due linee evolutive che hanno dato origine agli autotrofi e agli eterotrofi. Sono frequenti nelle acque dei laghi e degli stagni e talvolta formano una pellicola verde sulla superficie dell’acqua. L’euglena è munita di una macchia oculare che contiene granuli di pigmenti fotosensibili, cioè sensibili alla luce. Questa struttura capta la luce solare e serve per orientare l’alga verso gli ambienti illuminati. Le euglene sono autotrofe fotosintetiche, ma alcune, in mancanza di luce, possono sopravvivere anche senza effettuare la fotosintesi nutrendosi di altri organismi presenti nelle acque. Le alghe unicellulari sono molto importanti per la vita sulla Terra poiché la gran parte dell’ossigeno presente nell’aria atmosferica viene prodotto soprattutto dalle alghe unicellulari del plancton [fig. 4]. Un altro importante gruppo di alghe unicellulari è quello delle diatomee, costituite da più individui riuniti tra loro da filamenti gelatinosi. Ogni individuo possiede Fig. 4. Acetabularia, esempio di alga unicellulare. una parete (frustolo) formata da due valve impregnate di silice, disposte come una scatola col proprio coperchio. Quando le diatomee muoiono, i frustoli si depositano sul fondo dei mari, dei laghi, delle paludi e, in milioni di anni, si forma una roccia bianca e friabile chiamata farina fossile. I dinoflagellati, alghe unicellulari abbondanti soprattutto negli oceani, sono per lo più autotrofi fotosintetici, ma anche eterotrofi come predatori e parassiti. I dinoflagellati (dal greco dino = mulinello) si muovono grazie a due flagelli, altri possiedono estese pareti cellulari simili a piastre corazzate. Alcuni sono luminescenti [fig. 5], altri possiedono pigmenti rossi fotosintetici, e quando si riproducono in modo abnorme il mare si colora di rosso, creando il fenomeno della marea rossa. I mixomiceti I mixomiceti o funghi mucillaginosi sono protisti simili ai funghi. Vivono su materiale vegetale in decomposizione dove si nutrono di batteri e di altri microrganismi. Essi sono formati da una massa citoplasmatica, chiamata plasmodio, che può proliferare fino a coprire superfici anche di alcuni metri quadrati. Quando il clima si fa secco e viene a mancare il nutrimento, il plasmodio produce il corpo fruttifero che porta all’apice le cellule riproduttrici, le spore. Fig. 5. Esempio di dinoflagellato: Noctiluca scintillans. 10 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Muffe e lieviti sono funghi microscopici I funghi si presentano in molti modi, anche in forme microscopiche, come i lieviti e le muffe. I lieviti sono funghi unicellulari, generalmente saccaromiceti, che ricavano l’energia per vivere dalla demolizione di sostanze organiche, tramite la fermentazione. Un esempio di fermentazione si ha con la formazione del vino (dal liquido estratto dalle uve pigiate) operata da funghi microscopici, saccaromiceti, che provocano la scissione degli zuccheri e degli amidi in alcol e biossido di carbonio. La reazione può essere così schematizzata: zucchero + lievito → alcol + CO2 + energia Un processo analogo si verifica nell’orzo per la formazione della birra. Alcuni lieviti vengono adoperati per la lievitazione della pasta da pane e dei dolci. Le muffe appartengono, di solito, agli ascomiceti, che comprendono ben 2 000 specie. Sono pluricellulari e parassite di piante, di cibi, di legnami ecc. Alcune, utilissime, vengono adoperate per la preparazione di antibiotici (penicillina) o di formaggi tipici (gorgonzola). È un ascomiceto, per esempio, il fungo che causa la segale cornuta, malattia che danneggia i chicchi di questo cereale e produce sostanze velenose assai pericolose se ingerite. La penicillina, una muffa molto preziosa La penicillina, il primo efficace antibiotico venuto ad aiutare l’umanità nella continua lotta contro certi tipi di malattie, venne scoperta quasi per caso da Alexander Fleming (1881-1955), un medico inglese professore di batteriologia a Londra, che, per questa straordinaria scoperta, fu insignito del Premio Nobel per la medicina nel 1945. Un giorno del 1928 Fleming si accorse che “malauguratamente” le sue colture di batteri, che stava studiando, erano state distrutte in parecchie zone per colpa di un tipo di muffa, il Penicillum notatum, che produceva una sostanza capace di uccidere i batteri. Solo nel 1939 però si ebbe modo di sfruttare nel suo vero significato l’osservazione di Fleming, in quanto si riuscì a dimostrare che la sostanza estratta dal Penicillum notatum era tossica solamente per i batteri e non lo era invece per gli organismi che li ospitavano. Furono iniziati esperimenti su animali e i risultati furono talmente promettenti che si decise di passare a sperimentare l’efficacia del Penicillum anche sull’organismo umano. Insieme a Fleming lavorò il biologo inglese E. B. Chain (1906-79), mentre il patologo H. W. Florey, anch’egli inglese, ne avviò la produzione industriale. Anch’essi ricevettero nel 1945 il Premio Nobel. 11 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Due vite in una: i licheni e le micorrize I licheni I licheni sono un particolare tipo di simbiosi mutualistica tra un cianobatterio o un’alga, e un fungo, in genere un ascomicete o un basidiomicete. Il compito del fungo è quello di provvedere al rifornimento di acqua, mentre le alghe provvedono con la fotosintesi a produrre zuccheri che servono al fungo come nutrimento. I licheni si possono trovare nei luoghi più disparati, siano essi umidi o secchi, soleggiati o freddi; essi possono vivere in condizioni estreme nelle regioni torride o, più frequentemente, in quelle polari. Possono anche conquistare nuovi ambienti e per questo vengono chiamati organismi pionieri. Vivono sui Fig. 1. I licheni, con le loro varietà tronchi d’albero, sulle pareti rocciose, sui sassi, sui tetti delle di forme e di colori, si trovano negli ambienti più diversi. case [fig. 1]; possono addirittura trovare dimora sulle opere d’arte vecchie di secoli, sfruttando l’umidità che si raccoglie simbiosi mutualistica: è una nelle più piccole fessure e inserendosi nelle crepe sempre più in profondità e allargandole. Ciò fa capire come i licheni siano tra i forma di convivenza fra due specie diverse che da essa maggiori responsabili del disgregamento delle rocce: indebolite traggono reciproco vantaggio. dalla loro proliferazione, esse sono maggiormente soggette all’azione dei diversi agenti atmosferici che le erodono e le frantumano ulteriormente. Il disgregamento delle rocce prepara perciò il formarsi del terreno per un futuro insediamento delle piante. Le micorrize Le micorrize (il termine significa fungo-radice) sono particolari simbiosi tra funghi e alcune specie di piante superiori, di arbusti o di erbe [fig. 2]. I miceli dei funghi si inseriscono nelle radici di queste piante formando appunto la micorriza. Con questa associazione la pianta è favorita nell’assorbimento di sostanze nutrienti dal terreno, mentre il fungo riceve in cambio dalla pianta zuccheri e altre sostanze utili per il proprio accrescimento. Ricordiamo che la maggior parte delle piante che sporgono dal terreno hanno micorrize e questo fa sì che, penetrando all’interno della radice con le ife, la micorizza ne aumenta la superficie di assorbimento, tanto che in molte zone si è provveduto alla loro inseminazione prima della riforestazione dei boschi. Si ritiene che le micorrize si trovino in più del 90% delle piante. I più antichi funghi fossili sono micorrize che probabilmente hanno reso possibile l’adattamento delle piante alla vita terrestre. Fig. 2. Simbiosi tra funghi e piante (micorrize): larice con porcino, quercia con tartufo. 12 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - La struttura della radice e del fusto delle piante superiori Il sistema radicale delle piante superiori è costituito dalle radici, organi che svolgono una duplice funzione: ancorare la pianta al terreno e assorbire l’acqua e i sali minerali dal suolo. Le radici possono avere forme assai diverse, anche se i tipi fondamentali sono due: la radice a fittone e la radice fascicolata [fig. 1]. Il primo tipo è una radice principale da cui si dipartono le ramificazioni laterali minori ed è caratteristico della maggior parte degli alberi, come il pero, il ciliegio ecc; invece, nelle radici fascicolate le ramificazioni hanno dimensioni più o meno uguali e sono caratteristiche di piante come il frumento o la palma. Le estremità delle radici sono protette dalla cuffia o pileoriza, a poca distanza dalla quale si trova la zona pilifera, caratterizzata dalla presenza dei peli radicali, responsabili dell’assorbimento delle soluzioni dal terreno. La zona di passaggio fra la radice e il fusto è chiamata colletto [fig. 2]. Il sistema vascolare delle piante superiori è costituito dal fusto che è la parte della pianta che, partendo dalla radice, tende, di solito, a svilupparsi verso l’alto. Esso ha il compito di sostenere i rami con le foglie e di trasportare l’acqua e le sostanze nutritive. Le ramificazioni, che si dipartono dai fusti, hanno una forma differente in ogni tipo di pianta e caratteristiche ben definite. In base a come si presenta, sia nell’aspetto sia nella costituzione, al fusto vengono dati nomi diversi: tronco quando è legnoso, stelo quando è erbaceo, culmo quando invece è cavo come nel frumento [fig. 3]. Inoltre, il fusto può essere eretto, ricurvo, volubile o strisciante. Esistono poi fusti sotterranei, rizomi e tuberi, che esplicano anche un’importante funzione come organi di riserva e di riproduzione della pianta [fig. 4]. Fig. 3. Vari tipi di fusto, diversi a seconda della struttura. 13 Fig. 1. Radice a fittone e fascicolata. Fig. 2. Estremità della radice con colletto e pileoriza. Fig. 4. Fusti sotterranei modificati con funzione di riserva. Nelle piante erbacee, che vivono in genere uno o due anni, la struttura del fusto è abbastanza semplice, mentre in quelle che vivono a lungo essa è molto più complessa. Se si osserva un tronco in sezione si possono notare delle zone concentriche che appaiono sulla superficie sezionata. Osservando la figura che rappresenta il tronco in sezione [fig. 5], si possono distinguere: Fig. 5. Sezione di tronco d’albero: troviamo prima la corteccia, quindi i vasi del libro o floema; c’è poi il cambio, che produce sia libro sia legno; vi è quindi la zona del legno o xilema. Fig. 6. La circolazione della linfa grezza dalle radici alle foglie e della linfa elaborata dalle foglie alle radici. ♦ la parte esterna formata dalla corteccia. Nelle piante vecchie essa è costituita per lo più da cellule morte e serve come organo protettivo della pianta; ♦ a contatto con la corteccia uno strato biancastro formato da una serie di tubicini che portano le sostanze dalle foglie alle radici e alle altre parti della pianta: sono i canali o vasi del libro che trasportano la linfa elaborata (discendente), cioè una soluzione ricca di zuccheri che le foglie producono con la fotosintesi [fig. 6]; ♦ procedendo verso l’interno una zona formata da cellule capaci di produrre nuovi vasi conduttori; è la zona del cambio; ♦ segue poi uno strato di tubi particolari, visibili nel loro insieme nella sezione del tronco anche a occhio nudo, perché formano un cerchio più scuro. Attraverso questi tubicini salgono l’acqua e i sali, dalla radice alle foglie. Si tratta dei canali o vasi del legno che trasportano la linfa grezza (ascendente), cioè acqua e sali minerali in essa disciolti che sono assorbiti attraverso le radici; ♦ nel centro del fusto e tra i vasi vi è il midollo, un tessuto meno rigido degli altri con funzione di riempimento. Ogni anno il cambio produce vasi conduttori del libro all’esterno e uno strato di vasi del legno all’interno. Sono questi ultimi che formano quei cerchi concentrici di colore più scuro, per cui noi possiamo, contandoli, stabilire con una certa approssimazione, l’età di un albero. Ma come fa l’acqua a salire fino alle foglie? L’acqua viene assorbita dalle cellule delle radici per osmosi. Queste trattengono una certa quantità di sali, mantengono il loro interno ipertonico e permettono così un flusso continuo di acqua, che sale verso le foglie attraverso lo xilema. I vasi legnosi presentano un diametro via via molto ridotto e si comportano da capillari (fenomeno della capillarità): le molecole di acqua aderiscono alle 14 pareti interne delle cellule e, poiché sono legate tra loro con legami idrogeno, man mano che le molecole salgono nel capillare trascinano anche le altre in una specie di cordata (forza di coesione). La risalita dell’acqua viene agevolata soprattutto dalla traspirazione, fenomeno che avviene nelle foglie e che consiste nell’emissione di vapore acqueo. Questa emissione richiama altra acqua dall’interno della pianta. Oggi si spiega la risalita di acqua anche in piante più alte di 100 metri come la sequoia con la teoria della traspirazione-coesione. L’acqua che traspira dalle foglie attira altra acqua in un movimento continuo che va dalle radici alle foglie, mentre la forza di coesione mantiene integra la colonna. 15 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Le foglie possono assumere molte forme e svolgere varie funzioni Una foglia, nella sua forma tipica, è formata da una lamina, o lembo, sostenuta da un picciolo. Se nella foglia manca il picciolo, come per esempio nel garofano, la foglia si dice sessile. La foglia presenta forme diverse; infatti, può essere ovata, lanceolata, cuoriforme, roncinata, pennato-composta, e così via. Anche il suo margine si può presentare liscio, dentato, seghettato, crenato, lobato ecc. [fig. 1]. Così la superficie è a sua volta liscia, vellutata, glabra... Osserviamo le nervature, cioè la prosecuzione dei vasi che provengono dal fusto e che hanno funzione di sostegno e di trasporto delle sostanze. A seconda della disposizione delle nervature, la foglia viene detta penninervia, parallelinervia, palminervia ecc. [fig. 2]. Fig. 1. Le foglie presentano vari tipi di forma e margine. Tagliando una sottile sezione trasversale di una foglia e osservandola al microscopio [fig. 3], potremo vedere, subito sotto l’epidermide, il cosiddetto strato a palizzata (parenchima clorofilliano), quindi il tessuto lacunoso, che è a contatto con gli stomi ed è formato da cellule disposte in modo tale da permettere ai gas e al vapore acqueo di circolare in ampi spazi. Gli stomi, che troviamo sulla faccia inferiore delle foglie, e spesso anche sulla superiore, sono aperture che consentono e regolano gli scambi gassosi della pianta con l’ambiente esterno. Se stacchiamo da una foglia di geranio un frammento di epidermide inferiore e vi poniamo sopra una goccia d’acqua, osservandola poi al microscopio, li possiamo vedere evidenziati. Gli stomi si aprono e si chiudono in base a un meccanismo strettamente legato allo stato di umidità dell’ambiente. 16 Fig. 2. Anche la nervatura è uno degli elementi che caratterizzano la foglia. Fig. 3. Sezione di foglia: è evidente la posizione degli stomi e dei vasi. Nelle piante esistono inoltre altri tipi di foglie che, durante le varie tappe dell’evoluzione, si sono modificate al fine di svolgere funzioni particolari: ♦ i cotiledoni, che sono le prime foglioline che avvolgono e nutrono l’embrione racchiuso nel seme; ♦ il fiore, che è formato in ognuna delle sue parti da foglie modificate; ♦ le foglie spinescenti, che sono foglie trasformate in spine, con la funzione di difendere la pianta dagli animali erbivori; negli ambienti aridi, le foglie trasformate in spine permettono di ridurre la traspirazione; ♦ i viticci, che sono necessari alla pianta per attaccarsi a qualche sostegno; ♦ le foglie delle piante carnivore, che possono catturare gli insetti e anche digerirli. 17 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - La riproduzione delle piante angiosperme: dal fiore al frutto Il fiore Il fiore è l’organo addetto alla riproduzione delle angiosperme. Da questo, infatti, si formerà il seme che racchiude in sé l’embrione di una nuova pianta. Osservando alcuni fiori come quello del melo, del mandorlo o della violacciocca possiamo distinguere all’estremità di un peduncolo, procedendo dall’esterno verso l’interno, dapprima quattro o cinque foglioline verdi, i sepali, il cui insieme forma il calice; successivamente troviamo alcune foglie variamente colorate, i petali, il cui insieme forma la corolla. Nell’interno del calice si possono vedere alcuni filamenti; sono questi gli stami e i pistilli. Gli stami ossia gli organi maschili del fiore sono formati da una parte allungata, il filamento, e da una parte Fig. 1. Le parti di un fiore. ingrossata, l’antèra. Se con l’aiuto di una pinzetta stacchiamo l’antèra e la apriamo, noteremo che essa è piena di una polvere gialla, il polline. In mezzo agli stami, nella violacciocca e in molti altri fiori, si trova, nella parte centrale, il pistillo, ossia l’organo femminile del fiore. Esso presenta una forma a fiaschetto: la parte più bassa e allargata racchiude una cavità, detta ovario, quella nel mezzo, corrispondente al collo del fiaschetto, a forma di sottile canale, viene chiamata stilo, mentre l’estremità del pistillo viene detta stimma o stigma e rappresenta l’apertura da cui entra il polline [fig. 1]. Ovario, stilo e stimma costituiscono, quindi, le parti del pistillo. Aprendo con delicatezza l’ovario potremo vedere all’interno numerosi piccoli corpiccioli bianchi: sono gli ovuli. Sepali e petali sono diversi in molti fiori; il calice si dice gamosepalo quando i sepali sono uniti fra loro, come nel garofano; si chiama invece dialisepalo se i sepali risultano separati gli uni dagli altri come nel cappero. Anche la corolla può essere gamopetala, come nel convolvolo e nella bocca di leone, o dialipetala, come nel fiore del ciliegio e del melo. Nel primo caso i petali sono uniti, nel secondo sono separati. L’impollinazione Fig. 2. Tipico esempio d’impollinazione operata da insetti. In natura accade molto raramente che il polline di un fiore si posi sullo stimma del medesimo fiore: quasi sempre va a finire sullo stimma di un altro fiore della stessa pianta o di un fiore vicino, che viene impollinato solo se è della stessa specie. Questo fenomeno, con il quale si realizza il trasporto del polline dagli stami allo stimma, prende il nome di impollinazione. L’impollinazione può avvenire ad opera degli insetti [fig. 2], che, attirati dal colore delle corolle o dai profumi, si posano sul fiore, penetrano nel suo interno e iniziano a succhiarne il nettare, una sostanza zuccherina altamente nutriente secreta dal nettario. Per raggiungere il nettare, gli insetti vengono cosparsi di polline. Questa operazione, ripetuta da un fiore all’altro, carica di polline il dorso e l’addome dell’insetto, che viene poi trasportato e sparso su altri fiori, dando luogo all’impollinazione. 18 Quando l’impollinazione è fatta dagli insetti viene detta entomofila o, più in generale, zoofila. Alcune volte l’impollinazione è operata dal vento, che trasporta il polline su fiori anche molto lontani, impollinazione anemofila. Altre volte è l’acqua che effettua il trasporto: in questo caso si parla di impollinazione idrofila [fig. 3]. Fig. 3. Le varie forme di impollinazione. La fecondazione Quando il polline maturo giunge sullo stimma germina, produce cioè il tubetto pollinico che si allunga dentro l’ovario fino a raggiungere un ovulo. Nel polline vi sono dei granuli destinati a formare i gameti maschili, cioè la parte cellulare addetta alla riproduzione sessuata o gamica, mentre il gamete femminile è contenuto nell’ovulo [fig. 4]. Fig. 4. Dall’ovario si forma il frutto; dall’ovulo si forma il seme. 19 La fecondazione avviene quando il gamete maschile contenuto nel granulo di polline si fonde con quello femminile contenuto nell’ovulo. L’ovario, a poco a poco, si trasforma in frutto e gli ovuli fecondati divengono i semi dello stesso frutto. Questi semi permetteranno la nascita di nuove piante e nuovi alberi. Per germinare dovranno però allontanarsi dalla pianta madre per avere spazio e luce a sufficienza per vivere; avviene così la disseminazione. Il seme I semi, come sappiamo, derivano dagli ovuli fecondati. Da essi nascono le nuove piante con le stesse caratteristiche della pianta di provenienza. Il fusticino spunterà dal terreno e, nel contempo, i cotiledoni, foglie embrionali ricche di sostanze, si svuoteranno e cadranno. Il nuovo fusticino produrrà sul proprio apice due foglioline verdi. A questo punto la plantula è completa ed è in grado di nutrirsi da sola. Le piante a fiore si distinguono in due classi: monocotiledoni se il loro embrione è provvisto di un solo cotiledone; dicotiledoni se l’embrione, invece, possiede due cotiledoni [fig. 5]. Fig. 5. Struttura di un seme di pianta dicotiledone e di un seme di pianta monocotiledone. Il frutto I frutti che conosciamo, per esempio i limoni, le ciliege e molti altri, derivano dalla trasformazione dell’ovario. Essi svolgono una precisa funzione; i loro semi generalmente vengono trasportati lontano dalla pianta madre in un luogo adatto con spazio e luce sufficienti per germinare un’altra volta. La forma dei frutti è quanto mai varia. La parte esterna del frutto, il pericarpo, può diventare coriacea o legnosa, come per esempio nei legumi, oppure presentarsi carnosa e succulenta, come per esempio nelle ciliege. Nel primo caso i frutti vengono chiamati secchi, nel secondo carnosi. Alcuni frutti e alcune infruttescenze (o frutti compositi) sono detti falsi frutti: per esempio, la mela nel caso di un frutto, oppure il fico o la fragola nel caso di un’infruttescenza. Come sappiamo il frutto deriva dalla trasformazione dell’ovario; nei falsi frutti, invece, anche altre parti del fiore, oltre all’ovario, partecipano alla formazione del frutto [fig. 6]. Un contributo importante, infatti, è dato dal ricettacolo, che è la parte terminale del peduncolo sulla quale s’innestano i vari verticilli del fiore. Sono falsi frutti la pera, la mela, la fragola, il fico e altri. Fig. 6. Frutti e falsi frutti. Fragola - falso frutto. Pomodoro - frutto carnoso. Noci, mandorle - frutto secco (non si aprono a maturazione). 20 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - La classificazione delle Piante Il Regno delle Piante comprende alcune alghe, le briofite e le tracheofite. Queste ultime comprendono le pteridofite e le spermatofite o fanerogame. Le fanerogame si suddividono, a loro volta, in gimnosperme e angiosperme. Le angiosperme in monocotiledoni e dicotiledoni [fig. 1]. Fig. 1. La classificazione delle piante. Le alghe pluricellulari Con questo termine si comprendono oltre 25 000 specie di organismi vegetali acquatici pluricellulari, eucarioti e capaci di fotosintesi. Essi presentano una grande varietà di strutture, di dimensioni e di colori (verdi, rosse, nere o brune) a seconda del pigmento che possiedono [fig. 2]. Le alghe pluricellulari presentano il corpo non differenziato, il tallo, e quindi sono dette tallofite. Come abbiamo già visto, le alghe B hanno notevole importanza poiché A sono i maggiori produttori di ossigeno. Pertanto, senza le alghe, la vita sulla Fig. 2. A. Chondrus crispus, alga rossa utilizzata come Terra sarebbe impossibile. La loro alimento nella cucina giapponese. origine si deve a un gruppo di batteri B. Lattuga di mare (Ulva lactuca), alga verde delle cloroficee il cui tallo ricorda per l’aspetto l’insalata. autotrofi. La loro comparsa sulla Terra risale a 600 milioni di anni fa. 21 Le briofite Le briofite sono le prime forme vegetali apparse sulla terraferma: alcune risalgono addirittura a 450 milioni di anni fa e si ritiene derivino da un gruppo di alghe. Si trovano in grande quantità nei luoghi umidi e nel sottobosco; il gruppo è formato da migliaia di specie diverse, suddivise nelle classi dei muschi, con piccolissime foglioline e fusticino eretto, e delle epatiche, con una struttura laminare o con un fusticino a foglie laterali. La diffusione delle briofite non ha limiti: infatti le troviamo sia nelle foreste caldo-umide equatoriali sia nelle zone circumpolari [fig. 3]. Le briofite non sono dotate di radici, fusti e foglie, però, a differenza delle tallofite, il loro corpo è differenziato in tessuti e organi, per questo fanno parte delle cormofite. Le briofite non vivono nell’acqua, ma dipendono strettamente da essa per la riproduzione. La riproduzione delle briofite è molto complessa, con cicli Fig. 3. Nella foto, uno dei muschi (generazioni) alternati e diversi fra loro: terricoli più comuni nei boschi una generazione è sessuata, dove del piano montano, il Polytrichum formosum. Nel l’unione dei due gameti genera lo disegno si nota lo sporofito sporofito, e una asessuata, dove la formato da seta e urna; germinazione delle spore genera il quest’ultima è ricoperta dalla gametofito. cuffia. gameti → zigote → sporofito → spore → gametofito → gameti Le pteridofite Le pteridofite sono piante vascolari primitive cormofite perché il loro corpo, detto cormo, si presenta differenziato in organi che svolgono una precisa funzione. Comprendono alcune migliaia di specie sia erbacee sia arboree e sono comparse sulla Terra circa 400 milioni di anni fa. Vi appartengono le felci, vegetali assai comuni che crescono generalmente nei luoghi ombrosi e umidi [fig. 4]. Sono molto diffuse nelle regioni equatoriali e in quelle tropicali, dove sono presenti con 11 000 specie. Nelle nostre regioni vi sono molte specie di felci che crescono abbondanti nel sottobosco di montagna e nei luoghi meno assolati di pianura. Hanno, alle volte, fronde ampie e decorative e questa loro caratteristica fa sì che vengano usate come piante ornamentali nei giardini o negli appartamenti. Fig. 4. Felce arborea del genere Dicksonia che per l’aspetto assomiglia ad una palma. 22 Le pteridofite non hanno fiori e non producono semi. La loro diffusione avviene per mezzo di spore. La spora, germinando, forma il protallo (gametofito) sul quale si formano gli organi della riproduzione maschili, o anteridi, e quelli della riproduzione femminili, o archegoni. I gameti maschili, muniti di flagello, nuotano dall’anteridio all’archegonio: avviene la fecondazione e si forma l’embrione che darà origine alla nuova pianta (sporofito). Il ciclo può essere così schematizzato: Le spermatofite In questo gruppo sono comprese tutte le piante a seme, che rappresentano i vegetali più evoluti. Linneo le chiamò fanerogame (dal greco phaneros = visibile e gamos = matrimonio) che significa “nozze evidenti”, fiori manifesti, proprio per l’evidenza con cui appare la fecondazione che ha luogo nel fiore, organo specializzato per questa funzione. Tuttavia, non tutte le fanerogame hanno fiori appariscenti, per cui i botanici usano distinguere in due grandi categorie le piante terrestri fornite di fiore: le gimnosperme [fig. 5] (dal greco gymnos = nudo e sperma = seme) o piante a seme nudo (conifere e cicadine) e le angiosperme (da angeion = vaso) con semi all’interno di un frutto. Le gimnosperme sono per la maggior parte piante arboree, cioè si presentano sotto forma di albero, ma talvolta sono anche arbusti: caratteristiche distintive di queste piante sono: ♦ le foglie aghiformi (eccetto per Ginkgo e cicadee); ♦ la presenza di particolari organi riproduttivi che sono le pigne dette anche coni o strobili. Le angiosperme si suddividono a loro volta in monocotiledoni e dicotiledoni. Le monocotiledoni sono piante dal cui seme spunta una sola foglia embrionale; hanno radici affastellate e spesso sviluppate dagli organi di riserva sotterranei. Presentano foglie quasi sempre a nervature parallele e a margine intero e liscio. I fiori mostrano verticilli di tre pezzi o in numero ad esso multiplo. La famiglia più numerosa è rappresentata dalle graminacee (riso, frumento e mais); vi appartengono inoltre importanti famiglie quali le liliacee, le iridacee, le orchidacee, le amarillidacee, le ciperacee, le musacee e tante altre. Le dicotiledoni costituiscono il gruppo più numeroso e vario delle angiosperme. Sono dette dicotiledoni perché dal seme spuntano “due foglioline”, i cotiledoni; hanno fiori composti da quattro, cinque pezzi o multipli di tali numeri. Le foglie possono essere intere o suddivise, quasi tutte con nervature a reticolo, retinervie. Fig. 5. I pini e gli abeti sono gimnosperme. 23 Vi appartengono il faggio, il castagno, la quercia, la barbabietola, il ranuncolo, la vite, la rosa, le leguminose, la primula, la bocca di leone, la patata ecc [fig. 6]. Fig. 6. Principali differenze fra monocotiledoni e dicotiledoni. 24 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - In molte specie animali i maschi e le femmine presentano un aspetto diverso La procreazione è una funzione indispensabile per il mantenimento della specie, quindi qualsiasi animale è interessato a tramandare le proprie caratteristiche. La natura ha sviluppato dei meccanismi per rendere tale funzione facilmente attuabile. Per esempio, per favorire l’accoppiamento quando i gameti sono maturi, la natura spinge, in vario modo, individui di sesso diverso ad attrarsi attraverso stimoli olfattivi, come la produzione di sostanze fortemente odorose nei gatti, o visivi, come il colore del piumaggio di certi uccelli, o attraverso particolari comportamenti che costituiscono il cosiddetto “corteggiamento”. Spesso gli animali differiscono nei due sessi per l’aspetto fisico. A volte il maschio è più grande della femmina, oppure presenta piumaggio o pelliccia più vistosi. Tale fenomeno è detto dimorfismo sessuale. Ecco alcuni esempi: ♦ il maschio può essere più grande della femmina, come in molti mammiferi e uccelli, o le femmine più grandi del maschio, come negli insetti, negli aracnidi, nei pesci e in alcuni uccelli (falchi) e mammiferi (iena maculata) [figg. 1-2-3]; ♦ il maschio o la femmina può presentare piumaggio o pelliccia più vistosi e colorati rispetto all’altro sesso; ♦ il maschio o la femmina può possedere determinate 1. La mantide religiosa strutture, come corna o zanne, che sono assenti Fig. femmina presenta dimensioni nell’altro sesso; maggiori rispetto al maschio. ♦ uno dei due sessi può manifestare determinati comportamenti (istinto parentale, aggressività innata ecc.) che sono assenti nell’altro sesso. Spesso il dimorfismo sessuale si manifesta con più di una delle caratteristiche elencate. Fig. 2. Il leone maschio ha dimensioni maggiori rispetto alla femmina e presenta la criniera. 25 Fig. 3. Il pavone maschio ha dimensioni maggiori della femmina, presenta un piumaggio più colorato e piume più lunghe sulla coda, che apre come un ventaglio durante il corteggiamento. UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - In alcune specie di insetti le femmine generano nuovi individui senza il contributo dei maschi Molte specie di insetti, come le api e i pidocchi delle piante (afidi), sono in grado di far sviluppare regolarmente i gameti femminili senza che questi vengano fecondati. Questo tipo di riproduzione si chiama partenogenesi e viene alternato con la normale fecondazione. La fillossera della vite e gli afidi, per esempio, adottano la partenogenesi stagionale attraverso la quale, durante l’estate, vengono generati individui per partenogenesi, mentre in autunno avviene la fecondazione [fig. 1]. Le api, invece, usano una partenogenesi facoltativa. L’ape regina, ovidotto: condotto genitale dopo l’accoppiamento, conserva gli spermatozoi in una sacca, detta femminile per l’emissione spermateca, posta vicino all’ovidotto. Quando passano le uova la delle uova prodotte negli spermateca può essere contratta favorendo la fecondazione. Da tali ovari. uova nasceranno individui femmine. Nel caso contrario le uova non fecondate genereranno individui maschi. Fig. 1. Gli afidi, o pidocchi verdi delle piante, si riproducono per partenogenesi nel periodo che va dalla primavera all’estate, quando le piante sono piene di germogli e quindi la presenza di cibo costituisce una condizione favorevole alla nascita di nuovi individui. Le femmine senza ali generano nuove femmine senza ali che vanno a invadere le piante. Se qualche pianta è sovrappopolata, e quindi il cibo non risulta sufficiente per tutti gli insetti, per partenogenesi, dalle femmine senza ali, si generano femmine con le ali, che spostandosi su altre piante le colonizzano. In autunno, però, quando le condizioni ambientali cominciano a essere meno favorevoli, nascono individui maschi e femmine che si accoppiano, generando uova fecondate dalle quali, nella primavera successiva, si svilupperanno femmine alate e partenogenetiche. 26 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - La lenta e lunga storia evolutiva degli animali La struttura pluricellulare rappresenta un vantaggio per la sopravvivenza dell’individuo perché è altamente differenziata sia nelle cellule sia nei tessuti e con diverse finalità. Il passaggio dalle forme unicellulari, ossia dal progenitore comune, un protista flagellato, a quelle pluricellulari è avvenuto molto presto nel corso della storia dei viventi [fig. 1]. Già 500 milioni di anni fa esistevano molti invertebrati attualmente presenti; tuttavia i reperti fossili a disposizione non consentono una ricostruzione della maggior parte dei progenitori delle specie attuali. Gli scienziati ritengono, come abbiamo detto più volte, che la vita degli organismi abbia avuto inizio nel mare, prendendo l’avvio da forme semplici. Gli antenati di tutti gli organismi erano quindi marini; alcuni però, si estinsero perché non furono in grado di sopportare grandi variazioni di salinità. Nel passaggio dall’acqua salata del mare a quella dei fiumi e dei laghi, è stato necessario l’adattamento alla diversa composizione chimica delle acque. Infatti, le acque marine Fig. 1. Osservando l’albero evolutivo del Regno degli animali si sono ricche di cloruro di sodio, nota che da animali formati da cellule specializzate (poriferi) si quelle dolci di carbonato di passa ad altri con un’organizzazione in tessuti (celenterati), quindi ad altri ancora organizzati in organi e apparati fino ad organismi calcio. Il successivo passo evolutivo fu più evoluti, i cordati. quello della conquista della terraferma quando, in seguito al cambiamento dell’atmosfera terrestre, si formarono l’ossigeno e lo strato di ozono che fa da schermo alle radiazioni solari. Quali animali marini affrontarono la migrazione e la colonizzazione della terraferma? Nel mare esistono animali che restano fissati al substrato roccioso e agli scogli, oppure che si muovono poco: ciò riduce la possibilità di colonizzare altri ambienti. L’adattamento alla vita terrestre esige, inoltre, un robusto rivestimento come difesa contro i bruschi cambiamenti di temperatura e contro il disseccamento, e un netto cambiamento del tipo di respirazione. I primi a varcare la frontiera acqua-terra furono gli anfibi, provvisti di polmoni, da cui derivarono i rettili che hanno dato origine sia agli uccelli sia ai mammiferi. 27 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Scopriamo il vasto mondo degli invertebrati facendo conoscenza dei vari gruppi Gli invertebrati comprendono molti gruppi animali, caratterizzati dalla mancanza di colonna vertebrale. Fra questi ricorderemo soltanto i gruppi principali: i poriferi, i celenterati, i platelminti, i molluschi, gli anellidi, gli artropodi, gli echinodermi. I poriferi o spugne I poriferi o spugne formano un phylum con circa 5 000 specie. Sono organismi pluricellulari molto semplici e primitivi con dimensioni che vanno da 2 mm a 2 metri. I poriferi mancano di tessuti veri e propri, sono privi di organi e la digestione avviene direttamente nelle cellule. Il loro corpo è cavo e disseminato di pori attraverso i quali penetra una quantità enorme di acqua ricca di ossigeno e nutrimento. L’acqua poi fuoriesce da poche aperture più grandi, gli osculi, assicurando così l’escrezione e la liberazione di cellule riproduttive. Il flusso d’acqua è reso continuo grazie al movimento dei flagelli di cellule, chiamate coanociti [fig. 1]. I poriferi sono quasi esclusivamente marini: vivono per lo più ancorati Fig. 1. Disegno del corpo al bassofondo costiero, anche a notevoli profondità oceaniche, sono di un porifero. È possibile cioè forme sessili. Vi sono spugne fornite di scheletro siliceo (spugne distinguere 1) i pori silicee), che vivono negli abissi inalanti, 2) i coanociti, Fig. 2. Una spugna nel suo profondi, e sono note per la loro 3) i pori esalanti. ambiente naturale. bellezza, come la Euplectella. Nel nostro Mediterraneo è facile trovare specie di poriferi calcarei (spugne calcaree) che presentano varie forme e colori assai vivaci, rossi, verdi o gialli, vivono aderenti al substrato e somigliano a degli otri, oppure si spiegano a ventaglio; altri ancora possono essere cornei e sono simili a piccoli ramoscelli d’albero. Le spugne [fig. 2] possono riprodursi asessualmente per gemmazione, ma la maggior parte è ermafrodita, ossia ogni individuo è sia femmina sia maschio. I celenterati Sono animali che vivono, salvo poche eccezioni, in ambienti marini. Comprendono circa 10 000 specie suddivise in tre classi principali: gli idrozoi (idre), gli scifozoi ( meduse), gli antozoi (coralli e anemoni di mare). Il loro corpo presenta le cellule organizzate in tessuti ma sono privi di organi; presentano simmetria raggiata; possiedono cellule nervose che formano una rete diffusa in tutto il corpo. Esistono forme libere, come le meduse, e forme sessili, come i polipi, spesso riunite in colonie, come i coralli [fig. 3]. Sono carnivori e il loro 28 Fig. 3. Struttura di un polipo e di una medusa. Il polipo vive aderente al substrato, la medusa è invece mobile. cibo è costituito da piccoli crostacei, larve di insetti e uova. Il corpo è formato da un’unica cavità interna con la bocca circondata da tentacoli urticanti. Le cellule urticanti, detti cnidociti, espellono un minuscolo aculeo con il quale si attaccano alla preda e possono emettere sostanze anche molto tossiche. Si riproducono sia asessualmente (gemmazione) sia per riproduzione sessuata. Alcune meduse e alcuni polipi possono rigenerare per riproduzione nuovi individui perfettamente identici anche solo dai loro frammenti. Alcuni celenterati rimangono sempre con forme a polipo, altri invece sempre meduse, altri presentano un’alternanza di forme a polipo e di forme a medusa [fig. 4]. Fig. 4. Il ciclo biologico di un idrozoo. Avvenuta la fecondazione fra gli spermatozoi di una medusa maschio e la cellula uovo di una medusa femmina, si forma lo zigote; quindi una larva cigliata in grado di muoversi; quando la larva si fissa al substrato si forma il polipo. Da questo si originano infine le forme a medusa. I platelminti Fig. 5. Sistema escretore, riproduttore, nervoso in una Planaria (platelminta). I platelminti sono animali che, per la forma del corpo, vengono anche chiamati vermi piatti. Sono i primi animali che, nella scala evolutiva, presentano simmetria bilaterale, con un capo che serve per regolare i rapporti con l’ambiente. Nel capo hanno fotorecettori (macchie oculari o ocelli) e un ganglio cerebroide da cui partono due cordoni nervosi; non presentano ano, ma presentano un semplice sistema per l’escrezione, formato da una rete di canali che terminano con cellule a fiamma con ciglia vibratili [fig. 5]. Il loro ambiente può essere acquatico, sia marino, sia di acqua dolce, o terrestre, con preferenza per i luoghi caldi e umidi. Sono animali in maggioranza parassiti con forme che vivono nel sangue, nell’intestino, come la tenia, o in altre cavità del corpo di altri animali. La riproduzione avviene sia asessualmente sia sessualmente. Molti sono ermafroditi, possiedono cioè sia organi maschili sia femminili, e possono riprodursi fecondandosi reciprocamente o autofecondandosi. I molluschi Il phylum dei molluschi è un gruppo molto antico; comprende circa 100 000 specie quasi tutte acquatiche, ma possiamo trovare alcune forme terrestri e altre parassite. Sono animali a simmetria bilaterale e la loro forma larvale, abbastanza simile a quella degli artropodi e degli anellidi, ci induce a ritenerli derivati da un antenato comune. Il corpo dei molluschi presenta due strutture caratteristiche: il piede e il mantello. Il piede è un muscolo ventrale che funziona da organo locomotore, serve per strisciare, afferrare, scavare o ancorarsi a un substrato; il mantello, invece, è una piega cutanea a forma di tasca che delimita una cavità dove si trovano gli organi deputati alla respirazione. 29 I molluschi marini presentano le branchie, mentre quelli terrestri, come le chiocciole e le lumache utilizzano la cavità del mantello come polmone. Possiedono un tubo digerente con bocca e ano e la digestione viene favorita dall’epatopancreas, una ghiandola posta nella cavità viscerale che secerne enzimi digestivi. Presentano uno o due nefridi, organi escretori per eliminare i rifiuti e per regolare la concentrazione dell’acqua e dei sali. All’interno del corpo di alcuni molluschi, come le seppie e i calamari, troviamo una conchiglia. Altri invece sono dotati di conchiglia esterna, come i bivalvi (ostrica, tellina, mitilo) o come i gasteropodi marini. Tra le specie di molluschi adattate alla vita terrestre vi è la chiocciola, munita di conchiglia esterna, e la lumaca, che ne è invece sprovvista. Le più importanti classi dei molluschi sono: i gasteropodi, i cefalopodi e i lamellibranchi. I gasteropodi, anche se la maggior parte delle loro specie vive in ambiente acquatico, sono gli unici molluschi che hanno popolato la terraferma. In genere sono forniti di una conchiglia calcarea di forma variabile, a spirale, che cresce con l’aumento del corpo dell’animale. Ricordiamo tra quelli gasteropodi terrestri la lumaca (senza guscio) e la chiocciola (con il guscio), entrambe ermafrodite, e tra quelli acquatici le limnee che sono molto frequenti nelle acque dolci; si riconoscono per la conchiglia a punta e per il fatto che sono costrette a risalire periodicamente in superficie per far provvista d’aria poiché, come i gasteropodi terrestri, respirano tramite il polmone. I cefalopodi sono i più evoluti fra i molluschi. In essi la testa è ben differenziata e gli occhi, simili a quelli dei vertebrati, presentano una lente, il cristallino, la cui curvatura può variare, consentendo una buona messa a fuoco. A questo gruppo appartengono i polpi, le seppie e i calamari. Questi ultimi possiedono una conchiglia interna. I cefalopodi sono tutti carnivori e predatori. I lamellibranchi o bivalvi hanno una conchiglia che protegge il loro corpo, formata da due valve, unite mediante una. Non hanno capo, mentre molto evidenti sono il piede e le branchie. Alcuni bivalvi vivono attaccati al fondo marino come, per esempio, i mitili e le pinne; altri sono cementati al substrato, come le ostriche, altri ancora sono sprofondati nella sabbia, come le vongole, o appoggiati sul fondo, come i pettini. Fig. 6. I molluschi comprendono i gasteropodi, i Poche specie si muovono liberamente, bivalvi e i cefalopodi. utilizzando il piede o, se le dimensioni lo consentono, chiudendo e aprendo ritmicamente e velocemente le due valve (si muovono, cioè, a propulsione). Anche nei bivalvi la conchiglia cresce con il corpo dell’animale, per periodiche aggiunte di strati più ampi di cristalli di carbonato di calcio [fig. 6]. 30 Gli anellidi Gli anellidi sono i più complessi fra gli organismi comunemente denominati “vermi”. Hanno il corpo suddiviso in segmenti, detti metameri, tutti uguali sia per l’aspetto sia per l’organizzazione interna e una cavità celomatica in cui si trovano gli organi interni. Il sistema circolatorio è chiuso e hanno un sistema escretore con nefridi, per regolare la composizione e il volume dei liquidi corporei. L’organismo è attraversato da un tubo digerente continuo e il sistema muscolare è ben sviluppato; il celoma funziona da scheletro idrostatico. Si muovono mediante contrazioni e successive distensioni dei diversi segmenti del corpo, facilitati talvolta da setole disposte in file ventrali o laterali, estensioni della parete corporea. Se queste setole sono assenti, essi usano due ventose situate alle estremità del corpo. La respirazione, in genere, avviene per diffusione attraverso l’epidermide. Lacune e vasi formano l’apparato circolatorio: il vaso dorsale è contrattile e viene chiamato cuore. Sono forniti di un sistema nervoso formato da gangli, dai quali si diparte la catena gangliare ventrale, che ha tutta l’apparenza di una scala a corda. Si riproducono sessualmente e alcuni sono ermafroditi a fecondazione incrociata [fig. 7]. La maggior parte di essi vive nelle acque, dolci e marine; tra le forme terrestri ricordiamo il lombrico, instancabile divoratore di terriccio e molto importante per la formazione del terreno coltivabile (humus); tra le forme acquatiche la sanguisuga, un parassita che si nutre del sangue di molti Fig. 7. Schema dell’organizzazione mammiferi. interna di un anellide. Gli artropodi Gli artropodi, con circa un milione di specie adattate a vivere in quasi tutti gli ambienti, costituiscono il phylum più vasto fra gli animali. Sono caratterizzati dalla presenza di uno scheletro esterno, o esoscheletro, formato da più segmenti, muniti di appendici articolate (da cui il nome di artropodi che significa “arti articolati”) che costituiscono zampe, antenne ecc. La presenza dell’esoscheletro offre il vantaggio di dare protezione e di impedirne la disidratazione, ma ha lo svantaggio di impedire all’animale di crescere indefinitamente. Pertanto l’animale, quando aumenta di dimensioni, abbandona l’esoscheletro e va soggetto al fenomeno della muta. L’apparato circolatorio è costituito da un vaso dorsale, ingrossato, che forma un cuore contrattile, e da un complesso di spazi aperti, le lacune. La respirazione nelle specie terrestri avviene attraverso le trachee o i polmoni a libro, mentre nelle specie acquatiche attraverso le branchie [fig. 8]. Fig. 8. Forme respiratorie negli artropodi: A) branchie con una grande superficie di vasi sanguigni nelle forme acquatiche; B) polmoni a libro nei ragni, strutture simili alle branchie; C) trachee negli insetti, strutture che si ramificano in modo che l’aria arrivi a ogni cellula. 31 L’escrezione avviene in particolare per mezzo di organi specializzati, i tubuli malpighiani. Alcuni artropodi, come i ragni, hanno occhi semplici, altri, come gli insetti, hanno occhi composti, formati da molti occhi semplici (ommatidi). Il sistema nervoso è organizzato in gangli, dai quali si diparte una catena gangliare ventrale, con un paio di gangli per metamero. La riproduzione è sessuata e i sessi, generalmente, sono portati da individui di aspetto diverso (dimorfismo sessuale). Alcuni si riproducono, invece, per partenogenesi. Agli artropodi appartengono varie classi, fra le quali ricordiamo gli insetti, gli aracnidi e i crostacei. ♦ Gli insetti costituiscono il gruppo più omogeneo e ricco di specie: vi appartengono infatti 800 000 specie. Si trovano praticamente in tutti gli ambienti poiché non vi sono condizioni alle quali gli insetti non si siano adattati. Alcuni sono parassiti degli animali, dell’uomo e dei vegetali. Presentano il corpo suddiviso in capo, torace e addome e sono muniti tipicamente di sei zampe e uno o due paia di ali (raramente nessuna). La comparsa di ali ha consentito loro spostamenti più rapidi. Respirano per via aerea, mediante trachee che sfociano per mezzo degli stigmi. Gli occhi sono composti. Hanno apparati boccali adatti ai diversi cibi e molti di essi attuano la metamorfosi, una serie di trasformazioni che l’insetto compie nel passaggio dalla forma larvale a quella adulta. Agli insetti appartengono gruppi assai noti come i ditteri (mosche e zanzare), gli ortòtteri (locuste, blatte e cavallette), gli anoplùri (pidocchi), gli isòtteri (termiti), gli imenòtteri (formiche, api e vespe), i coleotteri (maggiolini e coccinelle) e i lepidòtteri (farfalle) [fig. 9A]. ♦ La classe degli aracnidi comprende circa 50 000 specie di artropodi terrestri fra cui scorpioni, ragni, acari, zecche. Hanno il corpo suddiviso in due parti e portano tipicamente otto zampe. Gli scambi gassosi avvengono attraverso le trachee o polmoni a libro e sono tutti a sessi separati [fig. 9B]. Fig. 9. Agli artropodi ♦ I crostacei sono, in maggioranza, artropodi marini e di acqua appartengono gli insetti (A), dolce, con forme e grandezze quanto mai varie. Essendo animali gli aracnidi (B - ragno), i marini respirano per branchie; sono muniti di due paia di antenne crostacei e altri. e di appendici in genere bifide. Vi appartengono le aragoste, i granchi d’acqua dolce, i gamberetti e i gamberi. I crostacei più grandi presentano dieci arti. Gamberi e aragoste presentano una copertura a forma di scudo, detta carapace. Gli echinodermi Sono animali esclusivamente marini che vivono, abbondanti, sui fondali di varia natura, alcuni anche negli abissi più profondi. Appartengono a questo gruppo di animali la stella marina, il riccio di mare e l’oloturia o cocomero di mare [fig. 10]. Caratteristiche principali sono la simmetria radiale, come si può ben osservare nei ricci e nelle Fig. 10. A - Riccio visto in sezione. B - Stella di mare vista in sezione. 32 stelle di mare, e l’esoscheletro, formato da placche unite tra loro. Presentano un sistema acquifero o ambulacrale per la locomozione, che ha anche funzione respiratoria [fig. 11]. Il corpo ha forma varia: globosa, allungata, a stella, a fiore. Vi si distinguono, nella parte inferiore, l’apertura della bocca e superiormente, nel polo aborale, l’ano. Gli echinodermi sono per lo più carnivori. Il loro apparato digerente è formato da bocca, esofago, stomaco, intestino e ano. La respirazione, oltre che dall’apparato acquifero, viene effettuata dai pedicelli ambulacrali e, in parte, da piccole branchie dermali. Il sistema nervoso è formato da un anello periorale e da cinque tronchi radiali, mentre non esiste un cervello. Gli echinodermi sono a sessi separati e si riproducono per uova. Fig. 11. Sistema acquifero ambulacrale di una stella marina. L’acqua entra dalla piastra madreporica, viene trasportata nel canale circolare e distribuita in ciascun braccio. Qui gonfia le ampolle che si espandono o si contraggono nei pedicelli ambulacrali per la locomozione. 33 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Un viaggio nel mondo dei cordati, dai pesciformi ai mammiferi Il gruppo dei cordati comprende gli animali caratterizzati dalla presenza, almeno nelle prime fasi dello sviluppo, di un organo di sostegno costituito da un cordone di cartilagine, la corda dorsale. Vi appartengono tre subphyla, urocordati, cefalocordati e vertebrati. I primi due contemplano animali esclusivamente acquatici; ai vertebrati, invece, appartengono sia animali acquatici, sia terrestri. I vertebrati I vertebrati rappresentano il gruppo più numeroso ed evoluto tra i cordati. Essi hanno la caratteristica di essere forniti di corda dorsale allo stato embrionale che successivamente viene sostituita dalla colonna vertebrale. Sono animali a simmetria bilaterale. Lo scheletro è sempre interno ed è costituito da un tessuto che può essere osseo o cartilagineo. Oltre che dalla colonna vertebrale, lo scheletro è formato anche dagli arti, mossi dai muscoli che ne consentono la locomozione. Gli arti sono sempre quattro, anche se talvolta, come nei serpenti, non compaiono. Il sistema nervoso è distinto in encefalo, racchiuso nel cranio, midollo spinale, protetto dalla colonna vertebrale, e nervi, che raggiungono ogni parte del corpo. La digestione del cibo e il suo assorbimento avvengono tramite l’apparato digerente e le sostanze nutritive e l’ossigeno vengono trasportati in tutte le parti del corpo dall’apparato circolatorio, formato dal cuore e dai vasi sanguigni (arterie e vene) a sistema chiuso. Gli scambi gassosi avvengono attraverso l’apparato respiratorio, costituito da una serie di membrane umide; infine l’apparato escretore provvede all’eliminazione dei cataboliti. L’apparato riproduttore è costituito dalle gonadi maschili, i testicoli, e da quelle femminili, le ovaie, portate da due individui diversi. La fecondazione può essere esterna, come nei pesci e negli anfibi, o interna, come nei mammiferi. Lo sviluppo embrionale avviene nell’ambiente esterno negli ovipari, dentro il corpo della femmina negli ovovivipari e nei vivipari. Negli ovovivipari lo sviluppo delle uova si compie nel corpo materno, ma senza che l’embrione tragga nutrimento dalla madre, mentre nei vivipari l’embrione viene alimentato dalla madre attraverso la placenta. Nei vertebrati vi sono due sistemi di controllo e di coordinazione di tutte le funzioni biologiche: il sistema nervoso e quello endocrino, entrambi estremamente complessi. I vertebrati comprendono sette classi, di cui le prime tre raggruppano gli animali pesciformi; esse sono: i ciclostomi, i pesci cartilaginei, i pesci ossei, gli anfibi, i rettili, gli uccelli e i mammiferi. ♦ I ciclostomi o agnati sono dotati di una bocca a ventosa con la quale succhiano il sangue di altri esseri viventi. Non sono forniti di mascelle, né di pinne. Come esempio di tale classe ricordiamo la lampreda [fig. 1] ♦ I pesci sono animali acquatici, con specie sia marine sia di acque dolci; respirano tramite le branchie, sono animali ectotermi, cioè con il corpo a temperatura variabile, hanno sessi separati, si riproducono per uova e pochi sono vivipari. 34 Fig. 1. Una lampreda nel suo ambiente naturale. I pesci vengono suddivisi in due classi: i pesci cartilaginei e i pesci ossei. Ai pesci cartilaginei o condroitti appartengono le razze e gli squali. I pesci cartilaginei vivono quasi tutti in ambiente marino e sono rappresentati da circa mille specie. Possiedono uno scheletro cartilagineo che rimane tale per tutta la loro esistenza e dispongono del cosiddetto organo della linea laterale, un organo importante in quanto consente loro di orientarsi nell’acqua. La classe dei pesci ossei comprende i pesci più evoluti. Hanno un corpo estremamente adatto a muoversi nell’ambiente acquatico, con una forma affusolata che consente di penetrare la barriera d’acqua con estrema agilità [fig. 2]. Fig. 2. I pesci ossei sono caratterizzati da squame, linea laterale e vescica natatoria. Osserva all’interno l’apparato digerente, il fegato, il cuore, le branchie, il rene, e le vertebre ossee. Vi appartengono numerosissime specie sia marine sia di acqua dolce. La coda e le pinne servono per il movimento e l’orientamento. Esternamente sono quasi tutti ricoperti di scaglie. L’apparato circolatorio viene definito semplice e chiuso: semplice in quanto formato da un cuore, con un atrio e un ventricolo con un’unica circolazione, e chiuso poiché il sangue scorre sempre in vasi chiusi. Un organo tipico ed esclusivo dei pesci ossei è la vescica natatoria: essa serve a regolare il sistema di galleggiamento. È formata da un sacco ripieno di una miscela di gas molto simile alla comune aria, che svolge funzione idrostatica [fig. 3]. ♦ Gli anfibi sono animali che possono vivere sia in ambiente terrestre, al quale si sono adattati, sia in ambiente acquatico, al Fig. 3. La vescica natatoria è quale restano legati. Molti passano buona parte della loro vita in un organo idrostatico che acqua poiché non riescono a sopravvivere che per poco tempo segnala al sistema nervoso, in ambiente asciutto o arido. riempiendosi o svuotandosi, le Il legame degli anfibi con l’acqua è retaggio della prima parte variazioni di pressione in della loro esistenza, visto che in ambiente acquatico depongono rapporto alla profondità. I gas contenuti hanno una le uova. composizione simile all’aria. Gli anfibi sono, in genere, ovipari con sessi separati e la fecondazione delle uova è esterna. Caratteristica degli anfibi è la metamorfosi: le forme larvali, i girini, hanno aspetto pisciforme, respirano per mezzo di branchie e la circolazione è semplice e chiusa; da adulti cambiano 35 Fig. 4. Ciclo vitale della rana: i girini vivono solo in acqua, gli adulti anche sulla terra. totalmente la loro forma, la loro respirazione diventa polmonare e la circolazione doppia e incompleta [fig. 4]. Doppia perché il sangue passa due volte attraverso il cuore, e incompleta perché il sangue venoso dell’atrio destro, proveniente dalle varie parti del corpo, si mescola con quello arterioso dell’atrio sinistro, proveniente dai polmoni, a livello dell’unico ventricolo. Il cuore, quindi, presenta tre cavità [fig. 5]. Riassumendo le caratteristiche principali potremo dire che gli anfibi: ♦ hanno circolazione semplice e completa nei girini, doppia e incompleta negli adulti; ♦ la respirazione è branchiale nei girini, polmonare e cutanea negli adulti; ♦ sono animali eterotermi; ♦ molti compiono la metamorfosi; ♦ i sessi sono separati e la fecondazione è esterna. Appartengono alla classe degli anfibi le rane, i rospi, le salamandre, i tritoni. Fig. 5. Nell’anfibio adulto il cuore presenta tre cavità e la circolazione è doppia e incompleta in quanto il sangue venoso si mescola, nell’unico ventricolo del cuore, con quello arterioso. ♦ I rettili sono animali ectotermi, che respirano per mezzo di polmoni. Essi sono particolarmente sviluppati, come numero e anche come dimensioni, nelle regioni calde tra i tropici e l’equatore. La presenza dei rettili, infatti, e le loro dimensioni diminuiscono con l’allontanarsi da tali zone e solo un limitato numero di specie è rappresentato nelle regioni montuose (vipere), mentre sono del tutto assenti nelle aree molto fredde e in quelle polari. Il corpo dei rettili è ricoperto di squame che, talvolta, possono essere rinforzate da piastre ossee che formano una vera e propria corazza, come nelle tartarughe. I rettili presentano sulle cellule 36 cutanee dei cromatofori che conferiscono colorazioni alquanto tipiche, come nei vari serpenti o nel camaleonte che, in caso di pericolo, può cambiare colore e mimetizzarsi con l’ambiente. Presentano una circolazione sanguigna doppia e incompleta [fig. 6]: infatti, gli atri del cuore sono completamente separati, ma il ventricolo presenta un setto mediano che lo divide in modo incompleto. I rettili presentano un sistema nervoso più evoluto rispetto agli anfibi, con un maggiore sviluppo degli emisferi cerebrali e del cervelletto. La loro fecondazione è interna in quanto il maschio deposita gli spermatozoi direttamente nel corpo della femmina. I rettili si riproducono per uova, ma esistono anche specie vivipare e ovovivipare come la vipera, in cui lo sviluppo dell’uovo si compie in parte nel corpo materno. I rettili, nelle lontane epoche geologiche, rimasero per molti milioni di anni i dominatori assoluti. Fig. 6. La circolazione dei rettili è doppia e Questa loro affermazione fu dovuta in massima parte alla comparsa incompleta con un cuore dell’uovo amniotico, un uovo costituito da guscio rigido e poroso con quattro cavità e i (che protegge l’embrione e consente nello stesso tempo lo scambio ventricoli fra loro comunicanti. gassoso con l’atmosfera), contenente una riserva di liquido che evita la disidratazione e fornisce materiale nutritivo all’embrione medesimo [fig. 7]. I rettili possiedono una cloaca, ossia un’apertura per l’ingresso e l’uscita per il sistema digerente, il sistema urinario e il sistema riproduttore. Oltre ai normali organi di senso, quasi tutti i serpenti usano la lingua per perlustrare l’ambiente e alcuni sono in grado di percepire anche una minima fonte di calore e, quindi, di individuare una preda anche al buio. Riassumendo, possiamo dire che le caratteristiche principali dei rettili sono: la fecondazione interna, l’uovo amniotico, la respirazione esclusivamente polmonare e la circolazione doppia e incompleta. Appartengono ai rettili serpenti, tartarughe, lucertole, ramarri ecc. Fig. 7. L’uovo amniotico dei rettili e degli uccelli possiede: un guscio che evita la disidratazione, l’amnios che mantiene l’embrione in un ambiente liquido, l’allantoide per lo scambio dei gas e per l’immagazzinamento dei prodotti di rifiuto, il sacco vitellino con il tuorlo ricco di sostanze nutritive, il corion, che racchiude l’embrione con le sue membrane, l’albume ricco di proteine. ♦ Gli uccelli possiedono una struttura che li rende particolarmente adatti al volo. Lo sterno ha una forma carenata per fendere l’aria; le ossa sono dette pneumatiche perché presentano all’interno molte cavità, dette sacchi aerei, piene d’aria; i muscoli pettorali per muovere le ali sono estremamente robusti. Il cranio è piuttosto piccolo rispetto alle dimensioni del corpo, mentre la bocca è fornita di becco, una struttura leggera che presenta forma diversa a seconda del tipo di nutrimento dell’uccello. Gli arti anteriori si sono trasformati in ali per adattamento al volo. 37 Il corpo è ricoperto di penne e di piume. Penne per volare e piume per il riscaldamento vengono tenute lubrificate da una sostanza secreta dalla ghiandola dell’uropigio [fig. 8]. Gli uccelli sono omeotermi per cui possono vivere in tutti i climi e abitano anche le zone fredde d’alta montagna e le rigide regioni polari. Presentano una circolazione sanguigna doppia e completa, poiché il sangue arterioso non si mescola con quello venoso; la respirazione è polmonare. I sessi sono separati e la riproduzione avviene per uova. Come per i rettili, le uova sono ricche di liquido amniotico. L’intestino termina in una cloaca, nella quale sfociano i canali escretori e quelli che portano i gameti. Riassumendo, i caratteri più importanti degli uccelli sono: ♦ l’adattamento al volo; ♦ l’omeotermia; ♦ la circolazione doppia e completa; ♦ la riproduzione per uova; ♦ la presenza della cloaca. Fig. 8. Gli uccelli sono vertebrati adattati al volo. Presentano ali, sterno carenato, ossa cave con sacchi aerei che le alleggeriscono. ♦ I mammiferi sono animali forniti di speciali ghiandole, dette mammarie (per questo vengono chiamati mammiferi), che forniscono alle femmine il latte con cui possono nutrire la prole nei primi giorni di vita. Sono quasi tutti animali terrestri, con poche eccezioni, che vivono in ambiente acquatico e aereo. Tranne la balena e il capodoglio (cetacei), il corpo ricoperto è di peli e, inoltre, può essere provvisto di ghiandole sudoripare e sebacee. Come gli uccelli, anche i mammiferi sono omeotermi. Un altro carattere distintivo dei mammiferi è la dentatura specializzata, che, per la presenza di denti incisivi, canini, premolari e molari, rende loro possibili i più svariati tipi di alimentazione. La circolazione è doppia e completa, con un apparato costituito da un cuore diviso in quattro cavità, due atri e due ventricoli, e da un efficiente complesso di vasi arteriosi e venosi, che distribuiscono e raccolgono il sangue in ogni parte del corpo. La respirazione viene effettuata attraverso i polmoni e un muscolo, chiamato diaframma. Lo scheletro si presenta in forma estremamente varia con strutture che dipendono dall’ambiente dove vive l’animale. Per esempio, lo scheletro dei cetacei (balena) ha gli arti posteriori molto ridotti e quelli anteriori trasformati in pinne. Quello dei chiròtteri (pipistrello) ha gli arti trasformati in organi per il volo: essi sostengono, infatti, insieme a collo e coda, un’ampia membrana cutanea alare, il patàgio. Sono animali a sessi separati e, salvo alcune specie primitive, sono vivipari. Inoltre le femmine della maggior parte dei mammiferi presentano due organi per portare avanti lo sviluppo 38 dell’embrione, all’interno del corpo: l’utero, a forma di sacco che contiene l’embrione, e la placenta, che permette un’efficiente connessione nutritiva fra la madre e l’embrione [fig. 9]. Un caso particolare è rappresentato dall’ornitorinco che, insieme a pochi altri, che dobbiamo considerare mammiferi primitivi, depone le uova. Quando, però, i piccoli vengono alla luce, ricevono come nutrimento il latte materno. I marsupiali, invece, sono mammiferi senza placenta; essi sviluppano l’embrione in parte all’interno dell’uovo, nell’utero della madre, in parte nel marsupio. La prole partorita dai mammiferi deve essere allevata e curata per un certo periodo dopo la sua nascita e viene definita, pertanto, prole inetta. Riassumendo, i caratteri principali dei mammiferi sono: le ghiandole mammarie, i peli, due serie di denti, il diaframma. I mammiferi attuali vengono suddivisi in tre sottoclassi: placentati (cavallo, elefante, topo, cetacei, primati ecc), marsupiali (canguro e koala), monotremi (ornitorinco) [fig. 10]. Ai mammiferi placentati appartiene anche l’uomo. Fig. 9. L’uomo e la maggior parte dei mammiferi sono placentati. La placenta rappresenta un efficiente connessione nutritiva fra l’utero e l’embrione; inoltre il feto nell’utero trova protezione e raggiunge uno stadio avanzato prima della nascita. Fig. 10. I principali ordini rappresentativi dei mammiferi. 39 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - Alcuni virus possono provocare i tumori nei vertebrati Alcuni virus, detti oncogeni, possono trasformare le cellule che leucemia: tumore del tessuto infettano in cellule cancerogene e così provocare tumori in emopoietico (midollo) che produce numerosi vertebrati. Nell’uomo, per esempio, possono generare le cellule del sangue. una forma di leucemia. Il primo che intraprese delle ricerche su questo campo fu un medico americano, Francis Peyton Rous, che studiò una forma tumorale nel pollo. Egli suppose che questi tumori potessero essere provocati da un’infezione e per avvalorare la sua ipotesi inoculò del siero, prelevato da cellule tumorali di un pollo ammalato, in polli sani e notò che anche questi si ammalavano. Rous dedusse, quindi, che fosse un agente infettivo a provocare il tumore. Per queste sue ricerche gli fu assegnato il premio Nobel nel 1966. In seguito si scoprì che l’agente infettivo che provocava nei polli il sarcoma di Rous era un virus a RNA, appartenente al gruppo dei retrovirus, e fu chiamato virus del sarcoma di Rous [fig. 1]. Nel 1960 Renato Dulbecco, medico e ricercatore italiano, scoprì un altro virus oncogeno, il poliomavirus, che gli valse nel 1975 il premio Nobel. La maggior parte dei virus oncogeni appartiene al gruppo dei retrovirus: loro caratteristica principale è quella di possedere, oltre a un filamento di RNA, anche l’enzima trascrittasi inversa. Fig. 1. Virus del sarcoma di Rous. Questo enzima catalizza una reazione che avviene in modo contrario a quella di trascrizione tra il DNA e l’RNAm: si forma, in pratica, del DNA dall’RNA. Quando il retrovirus sarcoma: tumore maligno che ha inietta il proprio RNA nella cellula ospite, sulla copia origine da un tessuto connettivo. dell’RNA virale si forma, grazie alla trascrittasi inversa, una molecola di DNA virale. Quindi, il DNA si duplica e si inserisce nei cromosomi della cellula infettata. Ma qual è il meccanismo che permette al virus di trasformare la cellula ospite in una cellula tumorale? Purtroppo non si conoscono ancora bene i meccanismi intimi di questo processo, ma, studiando il virus del sarcoma di Rous, si è potuto notare che alcuni di loro non generano tumori nei polli. Confrontando l’RNA di questi virus con l’RNA dello stesso ceppo di virus, però oncogeni, si è potuto costatare che l’RNA dei virus oncogeni possiede un gene in più, il cosiddetto gene scr, che sarebbe in grado di trasformare cellule sane in cellule cancerogene. La ricerca, in ogni modo, ha finora scoperto che i virus oncogeni agiscono soprattutto negli animali e non direttamente nell’uomo. Esistono, però, anche virus oncogeni che agiscono per via indiretta nell’uomo: essi, cioè, creano quelle condizioni che favoriscono l’insorgenza del tumore; per esempio, il virus dell’epatite B può favorire l’insorgere del tumore del fegato, mentre il papilloma virus quello del collo dell’utero. La ricerca in questo campo continua e il suo prossimo traguardo sarà trovare una terapia che permetta di bloccare l’azione dei virus oncogeni. 40 UNITÀ 4 – L’EVOLUZIONE Lezione 3 – La biodiversità Approfondimento - I prioni sono proteine modificate nella struttura che possono provocare malattie anche nell’uomo I prioni sono particelle proteiche, dette anche proteine prioniche o PrP, che vengono normalmente prodotte dalle cellule dei mammiferi, uomo compreso, e possono causare gravi malattie infettive che colpiscono il sistema nervoso. I prioni diventano patogeni quando si trovano in una forma modificata che presenta la stessa struttura primaria, cioè la stessa sequenza di amminoacidi, ma diversa struttura tridimensionale. Le malattie provocate dai prioni, dette anche prioniche o EST (encefalopatie spongiformi trasmissibili), si manifestano con una progressiva degenerazione del tessuto cerebrale che assume un aspetto spugnoso (da qui l’aggettivo “spongiforme”). I primi sintomi della malattia si presentano dopo una lunga incubazione, che può durare anche dieci anni, e consistono in disordini della memoria, difficoltà di locomozione e demenza; se i sintomi si aggravano possono portare l’individuo anche alla morte. La BSE (encefalopatia spongiforme bovina) è una malattia prionica che colpisce i bovini e si manifesta con disturbi locomotori che provocano i tipici barcollamenti che hanno ispirato il popolare nome di “mucca pazza” assegnato alla malattia. Purtroppo questa malattia è divenuta famosa, dopo la metà degli anni ottanta, a seguito di una vasta epidemia propagatasi tra i bovini. Infatti, furono individuate come possibile fonte di contagio le farine animali usate per alimentare il bestiame e, fatto più grave, fu appurata la possibilità che il contagio si trasmettesse all’uomo, attraverso l’ingestione di carne bovina infetta (soprattutto cervello e midollo). Il primo che nel 1967 ipotizzò che semplici elementi proteici potessero essere agenti di malattie fu il matematico statunitense J.S. Griffith; spetta però al virologo statunitense Stanley Prusiner (Cincinnati, 1943) il merito di aver ripreso, nel 1982, le ipotesi di Griffith e di averle verificate sperimentalmente, arrivando alla conclusione che tali elementi proteici, che egli chiamò prioni, erano gli agenti responsabili di malattie neurovegetative. Le malattie prioniche sono di tipo infettivo; ciò significa che la patologia può essere trasmessa da un individuo all’altro attraverso il prione modificato. L’infezione si può trasmettere anche tra specie diverse di mammiferi, però in modo diverso a seconda dell’affinità esistente tra le specie: infatti, tanto più la sequenza di amminoacidi delle PrP con struttura alterata di una specie risulta somigliante a quella delle PrP normali della specie ospite, tanto più è probabile che si avvii il processo di alterazione dei prioni e si sviluppi la malattia. Comunque molti aspetti del processo d’infezione da prioni risultano ancora sconosciuti. 41