LA FALSA TEOLOGIA DI VITO MANCUSO
IL TIMONE - N. 75 - ANNO X - Lug/Agosto 2008 - pag. 30-31
di Antonio Livi
Il libro L'anima e il suo destino (Cortina, 2007) ha purtroppo imposto
all'attenzione del pubblico Vito Mancuso come «teologo cattolico».
Dico «purtroppo» perché il caso è emblematico di quanto la cultura di oggi
disconosca (volutamente o per mera ignoranza) lo statuto epistemologico
(cioè la natura e i compiti) della teologia cristiana. L'autore è teologo nel
senso che insegna Teologia moderna e contemporanea alla Facoltà di
Filosofia dell'Università San Raffaele (Milano), ma l'effettivo contenuto e
l'impianto metodologico del suo libro sono in netta contraddizione con
l'idea stessa di teologia.
Il suo saggio vorrebbe essere un «moderno» trattato di escatologia, e infatti
i nove capitoli che compongono il libro trattano dell'esistenza dell'anima, della sua origine e della sua immortalità, della speranza di salvezza,
della morte e del giudizio, dell'aldilà (purgatorio, paradiso, inferno) e infine della «parusia» (la seconda venuta di Cristo alla fine della storia) e
del giudizio universale.
Gli argomenti di per sé sono certamente suscettibili di una trattazione teologica, ma l'autore li affronta in un modo che non è quello della
teologia, come non è quello della filosofia né di alcuna altra scienza. Da un punto di vista formale, Mancuso non rispetta le più elementari
esigenze della logica in generale e in particolare dell'epistemologia; da un punto di vista materiale, poi, dimostra una superficialità scandalosa
nel trattare temi ai quali un teologo dovrebbe accostarsi con rispetto, con attenzione e soprattutto con le dovute competenze storiografiche,
esegetiche e critiche. È facile pensare di poter «ridefinire» o «riproporre in termini nuovi" le verità rivelate che sono oggetto della dottrina della
Chiesa: occorre però intenderle nel loro vero senso e accettarle come verità rivelate da Dio, sapendo che hanno come premesse le verità che
l'uomo può raggiungere con le sue forze naturali.
La questione della verità è la questione essenziale, non solo in filosofia ma anche e soprattutto in teologia, e chi pretende di fare teologia deve
scoprire le proprie carte, facendo vedere da quali presupposti di verità parte, altrimenti le sue argomentazioni sono dei veri e propri sofismi,
utili non a fare scienza, ma a imporre in altri modi la ben nota «dittatura del relativismo».
Non si può ignorare, ora che siamo già nel terzo millennio del cristianesimo, che la teologia cristiana è la riflessione scientifica di un credente
sulla propria fede, assunta non come ipotesi da «verificare» ma proprio come verità rivelata da Dio, nei termini precisi con i quali essa è
proposta dalla Chiesa, che ha l'autorità e il dovere di custodire e interpretare la Rivelazione. Quando il discorso su Dio e su temi religiosi
cristiani non è svolto a partire dalla fede come verità creduta, non si fa più teologia cristiana ma filosofia della religione cristiana o
semplicemente filosofia di Dio, cioè «teologia» nel senso aristotelico, come culmine della metafisica. È lo stesso Mancuso a squalificare il suo
lavoro fin dall'inizio quando spiega che esso mira alla «costruzione di una "teologia laica", nel senso di rigoroso discorso su Dio, tale da poter
sussistere di fronte alla scienza e alla filosofia». Che significato può avere l'aggettivo «laico» applicato alla teologia? Se per «laico» si intende
un fedele cristiano che non è membro della gerarchia, l'aggettivo non aggiunge nulla allo statuto epistemologico della teologia, che oggi è
coltivata con frutto da tanti laici, uomini e donne. Se invece per La buona filosofia ha saputo dimostrare, fin dall'antichità (Platone), la natura
spirituale, cioè immateriale, dell'anima umana, in quanto capace di atti (le intuizioni intellettive e le volizioni libere) che trascendono i limiti
della materialità.
La Chiesa ha poi fatto proprie queste acquisizioni della filosofia, non in quanto legate a una particolare epoca storica o a una particolare scuola
filosofica, e nemmeno in quanto sostenute dalle indagini delle scienze empiriche, ma solo perché la loro evidenza appartiene alla retta ragione,
cioè al senso comune.
Ignorando sia il senso comune e la filosofia, sia il significato del dogma, Mancuso parla di «materia» riferendosi alla corrispondente nozione
einsteiniana, senza accorgersi che quest'ultima è in funzione della teoria fisico-matematica e nulla ha a che vedere con la nozione metafisica
di «materia», incomprensibile senza quella di «forma». Già in Aristotele, infatti, la materia è il sostrato della forma, è ciò che ha la capacità di
ricevere la forma e quest'ultima è ciò che configura e organizza la materia, è il principio di organizzazione e di configurazione della materia
intrinseco alla materia stessa.
Ma, anche a proposito di "forma", egli ignora che essa costituisce l'uomo singolo come «sostanza», tanto che arriva invece a scrivere che la
dottrina cattolica concepisce l'anima come «sostanza»; in realtà, per la dottrina cattolica, come per la metafisica classica, sostanza è la
persona, nell'unità di corpo (materia) e anima (forma).
D'altronde, Mancuso aveva dichiarato nelle premesse la sua incondizionata adesione all'ideologia dell'evoluzionismo cosmico (Teilhard de
Chardin), che è quanto di più lontano dalla vera filosofia e - proprio per questo - quanto di più incompatibile con la verità rivelata, sia nei
capisaldi teoretici che nelle conseguenze morali, specialmente bioetiche. Basti pensare che, da un principio scientificamente errato come
quello che Mancuso enuncia dicendo che «non c'è più (nel caso di una vita colpita da una grave malattia o da senilità acuta) l'anima razionalespirituale» (p. 107), deriva niente meno che la legittimità dell'eutanasia indiscriminata di malati e di anziani; Mancuso non capisce che la
facoltà di intendere e di volere (ciò che ci fa vedere che c'è l'anima immateriale) è permanente e costituisce la persona umana con i suoi
inalienabili diritti, anche quando il suo esercizio attuale è accidentalmente impedito da fattori materiali di vario genere. Anche in questo caso,
la mancanza di categorie metafisiche (che sono le uniche compatibili con il senso comune e con la Rivelazione) non consente né di intendere
né di rispettare la verità sull'anima, che è innanzitutto verità dell'uomo che si sa creato da Dio «a sua immagine e somiglianza», e poi verità di
Cristo che «rivela pienamente l'uomo all'uomo».