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Le vignette satiriche de
(1927-1934)
Intervento di
Franco Franchi
27 novembre 2010 - 30 gennaio 2011
Museo della Satira e della Caricatura - Forte dei Marmi
Sulla via dell’esilio Turati, Rosselli, Pertini e Parri appena sbarcati in Corsica.
(Da “La Libertà”, 8 maggio 1927)
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È sempre motivo di arricchimento personale ripercorrere i drammi della storia, siano pure filtrati attraverso l’iconografia satirica.
Tanto più, che la mostra «Le vignette satiriche de La Libertà» rievoca gli anni difficili e carichi di ideali del fuoriuscitismo antifascista
parigino, a cavallo tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta,
a noi particolarmente cari per le figure politiche ineguagliabili che
seppero esprimere.
In quel momento, nulla sembra ostacolare in Italia la dittatura mussoliniana, e la via dell’esilio appare come l’unica possibile
per tanti perseguitati, desiderosi di continuare la battaglia aldilà del
confine.
Il giornale La Libertà costituisce dunque un motivo di aggregazione e di espressione politica per uomini di alto valore, e l’uso
in prima pagina di una vignetta satirica, impraticabile in Italia in
quegli anni, sottolinea la modernità del messaggio di libertà e democrazia che saliva da quelle colonne.
In questo senso, ancora una volta, il Museo della Satira e della
Caricatura – grazie alle ricerche del dott. Franco Franchi - diviene
protagonista di un’operazione di riscoperta in grado di coniugare
sapientemente il sorriso con l’approfondimento storico.
Ci auguriamo, naturalmente che il sorriso amaro che susciteranno «Le vignette satiriche de La Libertà», come è giusto che sia, costituisca anche lo spunto per una più profonda riflessione.
Il Sindaco
Il Presidente del Comitato
Umberto Buratti
Enrico Ceretti
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Marcolon, Fascismo, La Libertà, 12 febbraio 1928
Le squadre d’azione, guidate da un Ras, avevano come simbolo un gagliardetto nero
che recava il nome o un motto assieme al teschio – già effigie degli Arditi della Prima
Guerra Mondiale – e compivano spedizioni punitive contro sedi politiche, sindacali e
abitazioni di antifascisti. Nel 1922 ricevettero un inquadramento paramilitare e furono denominate “Milizia” e nel 1923 divennero parte della struttura dello Stato.
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La Satira nel Giornale “La Libertà”
di Franco Franchi
“Compagni ed amici, col Primo Maggio di quest'anno i Partiti Socialisti d'Italia: Partito Socialista Italiano e Partito Socialista dei Lavoratori italiani, entrambi emigrati a Parigi, il Partito Repubblicano Italiano, la Lega dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, La Confederazione
Generale del Lavoro Italiano, associazioni tutte che hanno trasferito a
Parigi il loro centro, iniziano la pubblicazione del loro comune settimanale: “La Libertà”, organo della Concentrazione Antifascista...”.
Così Filippo Turati in una lettera inviata nel marzo 1927 a partiti ed organizzazioni antifasciste presenti in Francia dava notizia
dell'imminente uscita del periodico.
Il fallito attentato Zaniboni a Mussolini del 4 novembre 1925
aveva dato al regime fascista il primo pretesto per l'adozione di leggi eccezionali che soppressero nel corso di un anno la legalità democratica in Italia. L'atto definitivo venne compiuto nel novembre
1926, quando si poterono sciogliere i partiti politici, introducendo
anche il Tribunale Speciale e il confino di polizia.
Già in precedenza alcuni uomini politici avevano colto l'occasione per espatriare legalmente, ma la gran parte dei parlamentari e
responsabili di partito fuoriuscirono clandestinamente tra gli ultimi
mesi del 1926 e i primi del 1927, per lo più in Francia, ove quasi
tutte le formazioni ad eccezione dei Popolari e dei Liberali si ricostituirono. In Francia esisteva una grande comunità di lavoratori
italiani e dal 1922 era già presente la Lega per i Diritti dell'Uomo:
un'associazione organizzata a modello dell'omonimo organismo
francese, il quale ebbe parte nella battaglia antiautoritaria dell'Affaire Dreyfus e contribuì all'alleanza tra Radicali e Socialisti nel cartello
delle sinistre uscito vittorioso nelle elezioni del 1924.
Furono Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario, e Luigi
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Campolonghi, ex corrispondente del Secolo, rispettivamente presidente e segretario della LIDU, a proporre nell'ottobre 1926 a Nerac
una Concentrazione tra tutte le forze antifasciste presenti in Francia: i fuoriusciti avrebbero dovuto iscriversi singolarmente in una
sorta di organizzazione sovrapartitica, poi, invece prevalse l'idea del
cartello di partiti antifascisti; così nel febbraio 1927 la direzione
del Partito Socialista Italiano rivolse l'appello alla “Concentrazione
d'Azione”. Tra i partiti ricostituiti non aderì il Partito Comunista
d'Italia il quale, essendo legato al Komintern, perseguiva una propria
prospettiva rivoluzionaria.
La Concentrazione Antifascista nacque ufficialmente a Parigi il
28 marzo 1927 con sede in Rue Labat n. 50 e si sciolse nel maggio
1934.
Nel novembre 1930 aderì alla Concentrazione anche il movimento Giustizia e Libertà, di Lussu, Rosselli e Tarchiani, che si impegnava a mettere a disposizione la propria rete clandestina in Italia.
La Concentrazione, prosecuzione dell'Aventino, ebbe il limite di
non comprendere sino in fondo che il fascismo non era un fenomeno transitorio della storia italiana ed europea, ma ebbe l'indiscusso
pregio di essere un presidio democratico intorno al quale maturarono molte delle idee del futuro Partito d'Azione, formazione nella quale si incontrarono uomini di ispirazione liberale, socialista e
cattolica.
Finita male l'esperienza del quotidiano Corriere degli Italiani, caduto nelle mani di agenti provocatori, la Concentrazione Antifascista si propose di sostituirlo con La Libertà, ma la scarsità di fondi indusse alla pubblicazione di un foglio settimanale, che tramite
emissari giungeva anche in Italia nonostante lo spionaggio fascista
riuscisse ad intercettare molte delle spedizioni clandestine provenienti dai nuclei antifascisti di Nizza e Marsiglia. Lo scopo de La
Libertà era enunciato nella citata lettera di Turati:
“Il giornale La Libertà, oggi settimanale, ma che aspira a diventare
quandochessia quotidiano... intende fornire all'emigrazione antifascista
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italiana la conoscenza esatta della situazione in Italia, e a fare di ogni
emigrato, politico o no, intellettuale od operaio, un milite attivo della
battaglia redentrice... La Libertà, se riesce a diffondersi – il suo nome
è un programma – e a diventare voce quotidiana, ascoltata e influente,
sarà lo strumento primo e più essenziale di questa riscossa... il fascismo
non è soltanto l'antisocialismo, ma l'antidemocrazia, l'antiliberalismo,
l'anticiviltà...”.
Il Primo Maggio 1927 La Libertà uscì puntualmente con una tiratura di 15 mila copie, e a meno di un anno dal suo primo numero
furono sottoscritti 1.700 abbonamenti; 6.000 copie venivano spedite in America. Negli anni 1931-32 la tiratura arrivò addirittura a
20.000 copie.
Primo direttore de La Libertà fu Claudio Treves, a cui si affiancò,
con l'ingresso di Giustizia e Libertà nella Concentrazione, Alberto
Cianca. A partire dal giugno 1933, morto Treves, l'organo di stampa fu diretto da Cianca, Giuseppe Saragat e Randolfo Pacciardi. Sin
dall'inizio scrissero su La Libertà Gaetano Salvemini, Luigi Campolonghi, Filippo Turati, Angelo Crespi, Antonio Labriola e Pietro
Nenni, ma tra i collaboratori vi furono anche dei cattolici.
Le relazioni tra i Popolari e la Concentrazione Antifascista furono
problematiche, soprattutto a causa della convergenza crescente tra
Papato e Fascismo, che culminò con i Patti del Laterano; ma non
mancarono rapporti personali di amicizia e stima, in modo particolare con gli esponenti di Giustizia e Libertà; ad esempio Carlo Rosselli ebbe un ricco carteggio con Luigi Sturzo. Nel febbraio del 1928
il liberale Luigi Zanetti, il socialista Arturo Labriola e il popolare
Luigi Ferrari dettero vita al Comité Italien de Bruxelles: un'associazione politica che si proponeva, tra l'altro, di pubblicare una rivista
in cui avrebbero dovuto scrivere anche Sturzo e Salvemini, ma i
Patti Lateranensi acuirono l'anticlericalismo di buona parte della
Concentrazione e l'esperienza di Bruxelles non ebbe seguito.
Salvemini, avverso alle gerarchie ecclesiastiche, mostrava invece
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grande attenzione per il clero parrocchiale ed ebbe intensi rapporti
di collaborazione proprio con Ferrari, che scrisse tre articoli per La
Libertà sulla relazione tra Stato e Chiesa: il primo apparve il 17
febbraio 1929, i restanti due furono pubblicati postumi nel giugno e luglio del 1931, con lo pseudonimo “Odardo Fiordibello”.
Non è da escludere che il “silenzio” di Ferrari avesse trovato una
motivazione anche nelle vignette al vetriolo pubblicate dal giornale, che mettevano in discussione la moralità di Pio XI. Questa
situazione non poteva essere accettata di buon grado da un cattolico osservante, anche in considerazione del fatto che dal 1870 i
pronunciamenti in materia di morale del Pontefice erano divenuti dogma di fede. Il cattolico Giuseppe Donati, già direttore del
Corriere degli italiani e poi collaboratore de La Libertà, tacciò i
concentrazionisti di giacobinismo e di anticlericalismo volgare, il
giornale della Concentrazione rispose seccamente con un articolo
del 17 marzo 1929 accusandolo di essersi posizionato accanto ai
clerofascisti. Che La Libertà si avvalesse di caricaturisti non costituiva in sé niente di nuovo se pensiamo alla presenza fissa di
Giuseppe Scalarini sulle pagine dell'Avanti!, oppure al fatto che i
cinque principali quotidiani francesi dell'epoca riportavano una
caricatura giornaliera, ma ciò che colpisce è la conoscenza approfondita che questi disegnatori francesi mostravano dei fatti politici
e storici italiani, al punto che è del tutto plausibile una collaborazione stretta tra la redazione giornalistica e gli stessi disegnatori;
del resto nel 1929 Henry Paul Gassier e Pierre Dukercy costituirono la prima Associazione Professionale dei Disegnatori Giornalisti,
legata all'Associazione dei Giornalisti Parlamentari, e nell'ottobre
1935 fu costituito il Sindacato dei Disegnatori dei Giornali.
I vignettisti che comparvero su La Libertà appartenevano ad una
nuova generazione di artisti engagés che aveva reagito al consenso
generale sulla Grande Guerra e gravitavano a sinistra intorno a
quotidiani come Le Matin, l'Humanité, Le Journal du Peuple, ma
soprattutto a periodici politici e satirici come L’Oeuvre, Le Canard
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Enchaîné, Le Carnet de la Semaine, Les Hommes du Jour, Candide,
Cyrano, Voltaire, Le Grand Guignol.
Pierre Dukercy, militante del Partito Radical Socialista Francese, collaborò con La Libertà nelle sue primissime uscite assieme
a Marcolon, altro caricaturista di grande talento, che pubblicò la
sua ultima vignetta il 12 novembre 1928, quando venne sostituito
da Evariste, autore più vicino all'arte del disegno comico ma con
spunti assai velenosi in modo particolare verso il clero. Mussolini
e il Papa non furono i soli bersagli di questi vignettisti, vennero
infatti “degnamente” affiancati da Vittorio Emanuele III, il “Re
piccolo”.
La Libertà ospitò anche vignette provenienti da altri giornali
europei e americani che perseguivano la battaglia internazionale
contro le molteplici versioni del fascismo; tra essi si distinse Il
Becco Giallo che Alberto Giannini, costretto all'esilio, riprese a
pubblicare a Parigi nell'agosto 1927 al fianco di Alberto Cianca.
Altri caricaturisti francesi che apparvero in seconda battuta su
La Libertà furono Henry Monier, Pedro, S. Tick, Paul Ordoner,
Robert Fuzier.
Su La Libertà apparvero vignette satiriche sino alla metà del
1931, quando ormai la deriva totalitaria si era conclusa, i rapporti
tra l'alto clero cattolico e il Regime si erano stabilizzati, e quando
si era già affacciato lo spettro del nazionalsocialismo.
Il proposito di questa mostra è raccontare attraverso una selezione di disegni dei vignettisti i fatti di un periodo cruciale della
Storia d'Italia, nel quale il Fascismo, preso il potere, piegò le istituzioni democratiche ed iniziò a riprodursi in Europa.
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Dukercy, I becchini della libertà, La Libertà, 8 maggio 1927
Il 3 aprile 1927 presso la sede dell’American Friends of Italian Liberty di Washington,
Gaetano Salvemini tenne una conferenza in cui propose di costituire un ufficio di
informazioni italiano che contrastasse la propaganda fascista. Il 10 giugno 1927 La
Libertà dette notizia che i Repubblicani di New York avevano lanciato un appello per
la Costituzione di una Concentrazione Antifascista nel Nord America.
Nella vignetta di Dukercy il Duce e Vittorio Emanuele III si sforzano di seppellire la libertà degli italiani, rappresentata dalla nota statua che la Francia donò agli Stati Uniti
nel centenario dell’indipendenza. La libertà con le spalle e la forza di un solo braccio si
oppone alla caduta della lapide, riuscendo a far risplendere la sua luce.
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Marcolon, Sul Calvario, La Libertà, 22 maggio 1927
L’Italia sofferente il flagello di Mussolini e defraudata del suo araldo comunale, la corona turrita, porta la sua croce: il Fascismo. E’ un richiamo alle responsabilità dell’alto
clero, che predica la pace e la fratellanza ma viene a patti con Mussolini, rappresentato
da Marcolon come un malfattore di sapore disneyano.
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Marcolon, Aquile Romane, La Libertà, 22 maggio 1927
Tra i simboli della gloria antica adottati dal regime fascista vi fu l’aquila, già emblema
dell’esercito romano e segno del potere imperiale con Ottaviano Augusto. La simbologia
del regime prevedeva un’aquila con le grinfie salde sul fascio littorio, anch’esso mutuato
dall’Antica Roma. Mussolini, nella vignetta di Marcolon, impersona l’aquila legionaria munita di ali e denti di pipistrello, che incombe nella notte di luna piena sull’Italia
con intenti sanguinari.
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Marcolon, La Festa dello Statuto, La Libertà, 5 giugno 1927
La festa dello Statuto Albertino era stata istituita con una disposizione del 1861, indicando però la prima domenica di giugno anziché il 4 marzo, giorno dell’emanazione
della Costituzione. La subalternità di Vittorio Emanuele III nei confronti del Duce viene rimarcata da Marcolon proprio nel giorno in cui il sovrano avrebbe dovuto ribadire
la sua potestà sulla Nazione.
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Dukercy, Politica Imperiale, La Libertà, 10 giugno 1927
Mussolini faceva intendere al popolo italiano di essere il fautore di un nuovo impero; nei
fatti, però, con le scarpe rotte e le brache corte, era costretto a porgere il cappello allo “Zio
Sam”, vero imperatore economico e militare. Dal punto di vista americano i prestiti concessi al regime di Mussolini erano fondati sulla considerazione che l’Italia poteva essere
utile per la stabilizzazione del quadro europeo dopo la Prima Guerra Mondiale.
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Marcolon, L’altra faccia della politica imperiale, La Libertà, 19 giugno 1927
La politica estera di Mussolini a partire dal 1926 fu di tipo concorrenziale rispetto alla
Francia sullo scacchiere europeo e mediterraneo. La politica balcanica fu esemplificativa
della strategia fascista e finì per compromettere i già delicati rapporti con la Jugoslavia.
La tensione si fece rovente nel marzo 1927 quando una nota del Governo italiano richiamò le potenze europee su supposti preparativi militari iugoslavi al confine albanese.
La Francia corse in aiuto della Jugoslavia stipulando un trattato di amicizia e l’Italia
siglò un nuovo trattato italo-albanese con cui i due Stati si sarebbero dovuti salvaguardare reciprocamente per venti anni.
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Marcolon, L’Italia nell’Anno V, La Libertà, 19 giugno 1927
Nel 1925 il deficit dell’Italia era di 7 miliardi di lire. Nelle varie misure adottate per
superare il momento critico si ridussero fortemente i salari, si limitò la circolazione
della moneta e si convertirono i Titoli di Stato fino a sette anni in debito consolidato
con rendita annuale al 5%.
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Marcolon, Il Belgio socialista eleva un monumento a Matteotti, La Libertà, 4 settembre 1927
Marcolon nel settembre 1927 annuncia l’imminente inaugurazione in Belgio di un
monumento in ricordo di Matteotti, ucciso dalla polizia politica segreta fascista o Ceka
il 10 giugno 1924.
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Evariste, Il Nemico Uno e Trino, La Libertà, 24 febbraio 1929
L’11 febbraio 1929 furono firmati i Patti Lateranensi tra lo Stato Italiano e la Santa
Sede. Con i Patti si riconosceva allo Stato Pontificio la pertinenza territoriale nella Città del Vaticano; si sanciva il pagamento di un’indennità allo Stato Vaticano e si regolava nel dettaglio l’esercizio della religione cattolica entro i confini dello Stato Italiano.
A seguito della firma di tali Patti il lavoratore fuoriuscito, traguardando le Alpi, osserva
i tre compari. Il vicario in terra, accordandosi con Mussolini e il Re, diviene attore di
un ribaltamento dei valori: crede di elevarsi a Dio, ma si fa nemico il popolo.
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Evariste, Et diviserunt vestimenta mea, La Libertà, 3 marzo 1929
Il tono corrosivo e antipapale di Evariste trova conferma anche in questa vignetta con
la personificazione dell’Italia crocifissa, mentre il Papa si associa a Mussolini e Vittorio
Emanuele III per contendersi la corona turrita.
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Evariste, Il Grande Elettore, La Libertà, 24 marzo 1929
Nelle elezioni del 24 marzo 1929 si poteva votare solo Sì o NO in un listone di 400
deputati preparato dal Gran Consiglio del Fascismo. Il voto era visibile e il risultato
scontato, viste le condizioni di intimidazione e coercizione da parte del Regime e degli
appelli al voto favorevole al Governo da parte della Chiesa. Si assistette anche a veri
brogli elettorali tanto che in molte sezioni risultarono più Sì che iscritti.
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Evariste, Trionfo Macabro, La Libertà, 31 marzo 1929
Evariste rappresenta la macabra marcia trionfale del Duce a cavallo, seguito dal Re e
dal Papa a dorso d’asino; il “Trionfo” si tiene sul lastricato fatto dalle bare delle vittime
dello squadrismo, come Matteotti, Amendola, Don Minzoni e molti altri.
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Evariste, Il «Duce» non è tranquillo, La Libertà, 7 aprile 1929
Tra gli aspetti disciplinati dal Concordato vi era quello concernente il matrimonio
religioso al quale venivano ora riconosciuti gli effetti civili. La vignetta, apparsa pochi
giorni prima delle elezioni plebiscitarie, mostra Pio XI che celebra il “matrimonio concordatario” tra il Duce e il nuovo Parlamento di “nominati”, istituzione ridotta alla
condizione di meretricio.
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Evariste, Come si vuole organizzare l’emigrazione, La Libertà, 8 settembre 1929
Nel 1926 il Fascismo rese l’emigrazione senza permesso un delitto punibile e nel ’27 la
consentì solo agli intellettuali e professionisti di provata fede fascista perché fungessero
da agenti di propaganda.
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Evariste, Il «duce» incita alla violenza, La Libertà, 17 novembre 1929
La ritorsione nei confronti dei fuoriusciti per motivazioni politiche si attuò con la
Legge del 31 gennaio 1926 che comminava la perdita della cittadinanza, il sequestro
e la confisca dei beni di coloro che commettevano all’estero un fatto diretto a turbare
l’ordine pubblico nel Regno o da cui poteva derivare danno agli interessi e al prestigio
internazionale dell’Italia, anche se il fatto non costituiva reato.
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Evariste, L’Antitalia e i suoi amici , La Libertà, 24 settembre 1930
Il disegnatore Evariste sottolinea che il vero anti-Italiano era proprio Mussolini, le cui
scelte in politica estera ne davano ampia prova: prima i Patti Lateranensi, poi l’alleanza con i nazionalisti austriaci nostalgici degli Asburgo, e infine con i pangermanisti
hitleriani.
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Evariste, L’ultima trincea fascista, La Libertà, 7 maggio 1931
Il 25 novembre 1926 furono approvati dalla Camera dei Deputati i “Provvedimenti
per la difesa dello Stato” con la quale si istituiva il Tribunale Speciale per la Difesa dello
Stato. Il Tribunale aveva un potere vastissimo e piena autonomia nella decisione delle
condanne, compresa quella alla pena capitale. A partire dal 1931 ebbe la competenza
sui reati politici e dal 1934 anche quella sui reati comuni. La violenza di Stato era
ormai esplicita. Evariste interpreta il terrore distribuito dai miliziani al Tribunale
speciale come l’ultimo avamposto del Regime.
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Evariste, Lo Stato sono io!, La Libertà, 23 luglio 1931
La massima mussoliniana “Ogni cosa all’interno dello Stato, niente al di fuori dello
Stato, niente contro lo Stato” viene interpretata da Evariste come la frase attribuita a
Luigi XIV “Lo Stato sono io”. Mussolini è visto come il Re Sole, fulcro di uno Stato
carcerario i cui raggi sono i padiglioni di Regina Cœli.
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Evariste, La Libertà, 10 settembre 1931
I circoli e le federazioni universitarie cattoliche - in competizione, dopo il Concordato,
con le organizzazioni giovanili fasciste, e per questo accusati di cospirazione – vengono
sciolti nel maggio del 1931, alimenndo lo stato di tensione tra il Regime e la Chiesa.
Solo il 2 settembre arriverà l’accordo per il quale i circoli dell’Azione Cattolica si sarebbero dedicati, di lì in poi, solo alla formazione spirituale dei giovani. In contemporanea
fu rimosso il divieto per i giovani cattolici di aderire al PNF.