I SOLIDI PLATONICI: ORIGINE E STORIA “In primo luogo è chiaro a chiunque che fuoco, terra, acqua e aria sono corpi: e ogni specie di corpo ha anche profondità. Ed è assolutamente necessario che la profondità includa la natura del piano; e la superficie piana e rettilinea è formata da triangoli” Platone Il Timeo di Platone Lo storico Proclo (V sec. d.C.) attribuisce a Pitagora la scoperta di questi poliedri, ma ad oggi non sono pervenuti frammenti delle sue opere e quindi quest’ipotesi non è verificabile. I poliedri regolari compaiono per la prima volta nel Timeo di Platone e proprio per questo sono anche detti “solidi platonici”. Quello che segue è il famoso passaggio del Timeo platonico (capitolo XX), in cui il filosofo greco illustra la costruzione dei solidi e il loro legame con i quattro elementi fondamentali, terra, aria, acqua e fuoco Nell’opera Platone racconta l’origine del mondo che avviene per opera del Demiurgo, il divino artefice, che plasma la materia partendo da una situazione di caos, in cui la materia è informe, sul modello della perfezione del mondo iperuranico (in particolare delle idee matematiche). Il primo livello d’ordine della materia viene quindi effettuato attraverso i 4 elementi naturali fondamentali: acqua, aria, terra, fuoco, che Platone associa a 4 dei poliedri regolari, ad indicare l’ordine matematico-geometrico che il cosmo e la natura possiedono. Platone racconta come inizialmente l’universo fosse composto di fuoco e di terra, necessari affinché tutto ciò che esisteva fosse rispettivamente visibile e tangibile; poi, affinchè l’universo fosse perfettamente proporzionato, occorrevano altri due elementi da interporre tra i primi due: acqua e aria. «In primo luogo è chiaro a chiunque che fuoco, terra, acqua e aria sono corpi: e ogni specie di corpo ha anche profondità. Ed è assolutamente necessario che la profondità includa la natura del piano; e la superficie piana e rettilinea è formata da triangoli. Tutti i triangoli derivano da due triangoli, ciascuno dei qual ha un angolo retto e due acuti; e di questi triangoli l’uno ha dall’una e dall’altra parte, una parte uguale di angolo retto diviso da lati uguali, l’altro due parti disuguali di angolo retto diviso da parti disuguali. Questo è il principio che noi stabiliamo per il fuoco e per gli altri corpi, procedendo secondo un ragionamento necessario e verosimile: quanto ai principi superiori a questi, li conosce il dio, e, fra gli uomini, chi a lui è caro. Ora bisogna dire quali sono i quattro bellissimi corpi, fra di loro dissimili, di cui alcuni possono, dissolvendosi generarsi reciprocamente: se scopriamo questa cosa, abbiamo la verità intorno alla nascita della terra e del fuoco e di tutti gli altri elementi che secondo una proporzione stanno nel mezzo. […] lasciando da parte gli altri triangoli, stabiliamo dunque che fra i molti triangoli uno sia il più bello, e cioè quel triangolo che ripetuto forma un terzo triangolo, cioè l’equilatero. […]» Riprendendo la concezione atomistica sviluppata da Democrito nel secolo precedente Platone spiega come tutti questi elementi presenti in natura, proprio in quanto corpi solidi e quindi con una profondità, debbano essere formati da piccole “particelle” piane triangolari. In particolar modo da due tipi di triangoli, entrambi rettangoli: quello isoscele, con angoli di 45°, che permette di costruire un quadrato, e quello, come preciserà in seguito, con gli angoli di 30° e 60° che permette di costruire un triangolo equilatero “che fra i molti triangoli … sia il più bello”. «Ora definiamo meglio quello che prima si è detto in modo oscuro. Infatti ci sembrava che i quattro elementi traessero tutti origine uno dall’atro, ma questa visione non era corretta. I realtà i quattro elementi derivano dai triangoli che abbiamo scelto, e cioè tre si formano da quello che ha i lati disuguali, mentre il quarto è formato esso soltanto al triangolo isoscele. Non possono dunque dissolversi tutti quanti reciprocamente, in modo che da un grande numero di corpi piccoli nasca un piccolo numero di corpi grandi, e viceversa, ma questo vale soltanto per i primi tre: poiché derivano tutti da un solo triangolo, quando i più grandi si dissolvono, se ne formeranno molti e piccoli, i quali accolgono le figure a loro appropriate, e quando, invece numerosi corpi piccoli si dividono nei triangoli, derivando un solo numero di una sola massa, costituiranno un’altra grande specie. Dunque, quanto si è detto sula loro reciproca generazione sia sufficiente.» Tutti gli elementi presenti in natura derivano dai due triangoli scelti; ma mentre uno, il cubo, è formato dal triangolo rettangolo isoscele (con angoli di 45°) gli altri tre (tetraedro, ottaedro e icosaedro) prendono origine dal triangolo rettangolo con gli angoli di 30° e 60°. Quindi non è possibile che un elemento che prenda origine dal triangolo rettangolo isoscele si dissolva in un altro elemento che prenda origine dall’altro triangolo. Ma Platone ammette la possibilità che elementi che prendono origine dallo stesso tipo di triangolo (quello con angoli di 30° e 60°) si dissolvano e si trasformino in elementi che prendono origine dallo stesso triangolo; quindi, come vedremo in un passo successivo dell’opera, tetraedri, ottaedri e icosaedri possono scomporsi nei loro triangoli costitutivi e dare origine ad elementi (poliedri) diversi. «Quello che si deve qui di seguito spiegare è come si sia formata ciascuna specie di essi, e dalla combinazione di quanti numeri. Si comincerà dalla prima specie, che è ordinata nel modo più semplice: elemento di essa è il triangolo che ha l’ipotenusa lunga il doppio del lato minore. Se si accostano due triangoli di questo tipo secondo la diagonale, e per tre volte si ripete l’operazione, e le diagonali e i lati piccoli convergono nello stesso punto, come in un centro, dai sei triangoli nasce un solo triangolo equilatero: e se si compongono insieme quattro triangoli equilateri, formano per ogni tre angoli piani un angolo solido che segue immediatamente il più ottuso degli angoli piani. Formati questi quattro angoli, abbiamo la prima specie di solidi[…].» Nella prima parte di questo brano Platone precisa le caratteristiche del triangolo rettangolo con i lati diseguali, di cui ha prima parlato: si tratta del triangolo rettangolo con angoli di 30° e 60°, perché è l’unico che ha l’ipotenusa doppia del cateto minore. Poi ci fornisce la spiegazione di come formare un triangolo equilatero: non viene pensato, come noi siamo abituati, come quel triangolo formato da due triangoli rettangoli con angoli di 30° e 60° simmetrici rispetto al cateto maggiore; esso nasce come risultato dell’accostamento lungo le rispettive ipotenuse di sei triangoli rettangoli, secondo la figura sopra riportata. Osserviamo che se il triangolo equilatero fosse formato nella prima maniera, non si conserverebbe il gruppo di simmetrie. Così invece, qualunque solido si formi con questi triangoli, comunque lo si ruoti, sempre poggiando su una base, risulta essere simmetrico. Se si compongono assieme quattro triangoli equilateri, in modo che si formino quattro angoloidi – nel testo presenti sotto il nome di “angoli solidi” – e ogni angoloide sia formato da tre angoli piani, otteniamo la prima specie di solido che è appunto il tetraedro. Osserviamo che questo solido è formato da triangoli rettangoli con angoli di 30° e 60° «La seconda specie si forma dagli stessi triangoli, riuniti insieme in otto triangoli equilateri, in modo da formare un angolo solido da quattro angoli piani: e quando vi siano sei angoli di questo tipo, il corpo della seconda specie è così compiuto.» Platone parla ora della seconda combinazione possibile con i triangoli rettangoli di 30° e 60°. Sei si accostano otto triangoli equilateri, in modo che si formino sei angoloidi, ciascuno dei quali formato da quattro angoli piani, si ottiene la seconda specie di solido, l’ottaedro. Questa specie è formata da triangoli rettangoli con angoli di 30° e 60°. «La terza specie è formata da centoventi triangoli connessi insieme, da dodici angoli solidi, compresi ciascuno da cinque triangoli equilateri piani, e ha per base venti triangoli equilateri. E l’uno dei due elementi, dopo aver generato queste figure, terminò la sua funzione.» Se infine si considerano 20 triangoli equilateri, in modo che accostati formino dodici angoloidi, ciascuno formato da cinque angoli piani, si ottiene la terza specie di solido, ovvero l’icosaedro. Questa specie è formata da triangoli rettangoli con angoli di 30° e 60°. Qui si conclude la serie di elementi e di poliedri che si possono ottenere a partire dai triangoli rettangoli scaleni. «Il triangolo isoscele generò la natura della quarta specie, che è formata da quattro triangoli isosceli con gli angoli retti congiunti nel centro, così da formare un tetragono equilatero: sei di questi tetragoni equilateri, accostati insieme, formano otto angoli solidi, ciascuno dei quali è formato dall’armonica combinazione di tre angoli piani eretti. La figura del corpo che così è formata è quella cubica, ed ha per base sei tetragoni equilateri piani. Vi era ancora una quinta combinazione, di cui il dio si servì per decorare l’universo.» Platone esaurisce infine il discorso dando origine al cubo che descrive a partire dal triangolo rettangolo isoscele. Infatti, questo triangolo ripetuto due volte dà origine al quadrato che Platone chiama tetragono regolare. Accosta quindi sei di questi tetragoni, in modo da formare otto angoloidi ciascun dei quali è formato da tre quadrati tutti perpendicolari tra loro. Questa è chiamata “armonica combinazione” poiché è l’unica perfetta, con angoli definiti di 90°. Poi Platone fa un accenno anche al dodecaedro, dicendo che servì al dio per “decorare l’universo”. Il dodecaedro viene associato all’etere, con cui appunto sono fatti gli astri e le stelle. Questo è l’unico passaggio in cui Platone menziona il dodecaedro. Secondo alcune interpretazioni sceglie il dodecaedro perché è il poliedro che meglio approssima la sfera, cosa già teorizzata dai pitagorici. Osserviamo che il dodecaedro è formato da pentagoni che non prendono origine da nessuno dei due triangoli di cui ha parlato in precedenza; in questo modo Platone differenzia nettamente gli elementi del mondo terrestre, terra, aria, acqua e fuoco, corruttibili, imperfetti, che prendono origine dai due triangoli sunnominati, da quello del mondo extraterrestre, perfetto, incorruttibile, l’etere ha un’origine a sé, non riducibile a triangoli terrestri. Ma come Platone associa i poliedri agli elementi? Nel capitolo successivo del Timeo, Platone spiega il criterio delle associazioni. «… alla terra diamo la figura cubica; perché delle quattro specie la terra è la più immobile, e dei corpi il più plasmabile. Ed è soprattutto necessario che tale sia quel corpo che ha le basi più salde. Ora dei triangoli posti da principio, è più salda naturalmente la base di quelli a lati uguali che di quelli a lati disuguali, e quanto alle figure piane che compone ciascuna specie di triangoli, il tetragono equilatero, tanto nelle parti che nel tutto, è di necessità più solidamente assiso del triangolo equilatero… e poi all’acqua la forma meno mobile delle altre (icosaedro), al fuoco la più mobile (tetraedro), e all’aria l’intermedia (ottaedro): e così il corpo più piccolo al fuoco, il più grande all’acqua, e l’intermedio all’aria, e inoltre il più acuto al fuoco, il secondo per acutezza all’aria, e il terzo all’acqua. Ora di tutte queste forme quella che ha il minor numero di basi è necessariamente la più mobile per natura, perché è la più tagliente e in ogni sua parte la più acuta di tutte, ed è anche la più leggera, essendo costituita dal minor numero delle medesime parti, così la seconda ha in secondo grado tutte queste qualità, e in terzo grado la terza. Sia dunque conforme e retta e verosimile ragione la figura della piramide elemento e germe del fuoco, e diciamo la seconda per generazione quella dell’aria e la terza quella dell’acqua…….E quanto poi ai rapporti dei numeri, dei movimenti e della altre proprietà, il dio, dopo aver compiuto queste cose con esattezza, fino a che lo permetteva la natura della necessità spontanea o persuasa, collocò dappertutto la proporzione e l’armonia.» Platone, nei capitoli XXI e XXII del Timeo, spiega le associazioni, partendo dalla terra che viene associata al cubo. Questo perché “la terra è la più immobile” e in effetti il cubo da un certo senso di immobilità, anche per il fatto che gli angoli sono tutti di 90°. Ma soprattutto è quel “corpo che ha le basi più salde” e il quadrato, da cui è formato il cubo, rappresenta benissimo questa stabilità, meglio di un triangolo. Platone associa poi il fuoco al tetraedro, l’aria all’ottaedro e l’acqua all’icosaedro. Le motivazioni di queste associazioni sono da ricercarsi nell’aspetto geometrico e algebrico di questi solidi, ovvero nella loro forma e nel loro volume. Infatti, l’elemento più leggero viene associato al solido più leggiero e così con gli altri elementi. Inoltre, Platone fa leva sulla mobilità dell’elemento e del solido dicendo che il poliedro con minor numero di basi (facce), quindi il tetraedro, è necessariamente più mobile e quindi va associato all’elemento più mobile, il fuoco. Quello mobile in maniera intermedia, l’ottaedro, è associato all’aria, meno mobile del fuoco, ma più mobile dell’acqua, cui viene associato il poliedro meno mobile, ovvero l’icosaedro. Poi Platone pone attenzione anche all’acutezza degli angoli. Infatti, il solido con gli angoli più acuti, il tetraedro, viene associato all’elemento più “acuto”, ovvero il fuoco. Infine. Dopo aver creato un insieme ordinato, dio diede il tocco finale a tutto il creato, inserendo proporzione ed armonia «La terra, incontrandosi col fuoco e disciolta dall’acutezza di esso, errerebbe qua e là fino a che le sue parti incontrandosi si riunissero di nuovo, perché esse non potrebbero mai passare in altra specie. Ma l’acqua, disgregata dal fuoco o anche dall’aria, può darsi che ricomponendosi divenga un corpo di fuoco o due di aria. E se l’aria è in dissoluzione, dai frammenti d’una sola delle sue parti possono nascere due corpi di fuoco […]. E viceversa due corpi di fuoco si ricompongono insieme in una sola specie d’aria. E se l’aria è soverchiata da due parti e mezzo d’aria, si comporrà una parte intera d’acqua.» Platone riprende a parlare della dissoluzione e dell’aggregazione degli elementi, precisando una sorta di “chimica geometrica”. Innanzitutto, fuoco e terra se si scontrano rimarranno fuoco e terra; non possono interagire perché sono formati da due specie di triangoli diversi. Viceversa, ad esempio, l’acqua disgregata dal fuoco può trasformarsi in due parti d’aria: infatti una “particella” di acqua, rappresentata dall’icosaedro, è formata da120 triangoli rettangoli scaleni, che possono ricombinarsi tra loro in modo diverso formando due “particele” di aria, ciascuna formata da 48 di tali triangoli, e una di fuoco, formata da 24 triangoli ( . Oppure, se l’aria ad esempio è circondata da due parti e mezzo di aria, si formerà una parte di acqua. Dall’Ellenismo al Rinascimento L’opera di Platone suscitò un profondo interesse nel mondo ellenistico. In particolare Euclide ed Archimede svolsero un ruolo fondamentali per la teorizzazione delle proprietà dei poliedri. Nei libri XI, XII e XIII dei suoi Elementi, Euclide (fine IV, inizi III sec. a.C.) si occupa di geometria solida, determinando tra l’altro le relazioni che riguardano lo spigolo e il raggio della sfera circoscritta ad un poliedro e dimostrando che i poliedri regolari sono solo cinque. Archimede (287-212 a.C.) invece si occupa dei poliedri semiregolari chiamati anche poliedri archimedei. Essi hanno le facce costituite ancora da poligoni regolari, ma non tutti dello stesso tipo (ad esempio triangoli equilateri e ottagoni), che devono essere disposte nello stesso modo attorno ad ogni vertice; questi solidi nascono dal troncamento dei poliedri regolari e anche in questo caso c’è un numero limitato di possibili combinazioni: si dimostra infatti che i poligoni semiregolari sono solo 13. L’immagine qui riportata è un particolare de “La scuola di Atene” di Raffaello. Si vede un matematico che sta facendo una dimostrazione con il compasso; secondo alcuni studiosi si tratterebbe di Euclide, secondo altri del suo degno “successore” Archimede. La matematica greca, dopo i notevoli risultati del III secolo a.C., subisce un secolare declino interrotto solo dalle opere di Tolomeo. Si assiste ad una sua rinascita solo nel III sec. d.C., con gli studi di Pappo e del grande algebrista greco Diofanto. Pappo, vissuto tra il III e IV sec. d. C. scrisse alcuni commentari agli Elementi di Euclide e nella sua opera più importante, la Collezione matematica, espone in modo completo e sistematico le conoscenze matematiche dell’epoca, riportando talvolta interi brani di opere che sono poi andate perdute. In particolare Pappo studia in modo nuovo, attraverso lo studio delle sezioni circolari, le caratteristiche dei poliedri inscritti in una sfera. Nel Rinascimento, con la riscoperta della filosofia platonica, riprende lo studio dei poliedri da parte di matematici, pittori e scultori, tanto che risulta difficile distinguere gli studi scientifici da quelli artistici. Piero della Francesca (1416/17-1492) nel suo “De quinque corporibus regolaris” si occupa dei cinque solidi platonici, anche se ne pala in termini artistici e non matematici; egli sostiene che qualsiasi corpo naturale, all’apparenza complesso e senza forma, è in realtà riconducibile a questi cinque poliedri regolari, eterno modello di perfezione. Luca Pacioli (1471-1514), studente di Piero della Francesca, traduce in volgare l’opera del maestro nel suo “De divina proportione", pubblicato a Venezia 1509. L’intera seconda parte della sua opera è dedicata ai solidi platonici e al loro legame con la sezione aurea. Pacioli era affascinalto dal rapporto aureo senza il quale “…moltissime cose de admiratione dignissime in philosophia, nè in alcun altra scientia mai a luce poterono pervenire” , da metterlo in relazione con la Divinità: "Poichè Dio portò in essere la virtù celestiale, la quinta essenza, e attraverso di essa creò i quattro solidi ... la terra, l'aria, l'acqua e il fuoco ... così la nostra sacra proporzione diede forma al cielo stesso assegnando al dodecaedro ... il solido costruito con dodici pentagoni, che non può essere costruito senza la nostra sacra proporzione." Pacioli stesso ci informa che "il più accreditato pittore in prospettiva, architetto, musicista e uomo di tutte vertu doctato, Leonardo da Vinci, dedusse ed elaborò una serie di diagrammi di solidi regolari ..."; all’interno dell’opera troviamo infatti oltre sessanta illustrazioni su poliedri di Leonardo da Vinci. Giovanni Keplero e il Mysterium cosmographicum Giovanni Keplero (1571-1630) ha dato contributi importanti allo studio dei solidi platonici, scoprendo, a partire da essi, altri due solidi regolari concavo-convessi noti come solidi stellati. Nel 1810 il matematico francese Louis Poinsot elaborò il modello degli gli altri due poliedri stellati oggi conosciuti. Keplero è noto soprattutto come astronomo, per le sue famose Tre Leggi. Egli aveva una concezione del mondo pitagorico-platonica, sullo stile del Timeo, che prende nuovamente piede intorno al 1600 dopo il predominio dell’aristotelismo. L’approccio pitagorico vede il mondo come sistema geometrico e la geometria, poichè esisteva prima del mondo, è da considerarsi divina. Keplero aveva la «convinzione di una struttura del mondo matematicamente definibile, che trovava la sua formulazione teologica nella credenza che nella creazione del mondo Dio fosse guidato da considerazioni matematiche, l’irremovibile certezza che la semplicità sia anche un segno di verità e che la semplicità matematica si identifichi con l’armonia e la bellezza, e infine che l’utilizzazione della sorprendente circostanza che esistono esattamente cinque poliedri che soddisfano le più alte esigenze di regolarità e che devono pertanto avere necessariamente qualcosa a che fare con la struttura dell’universo» (cit. Il meccanicismo e l’immagine del mondo, E.J.Dijksterhuis). Keplero cercava una teoria che spiegasse da un lato i dati che erano stati raccolti sulle dimensioni delle orbite dei pianeti e dall’altro giustificasse perché ci fossero solo 6 pianeti (terra inclusa); questa spiegazione la trovò proprio nei cinque solidi platonici. Egli riuscì a trovare una correlazione tra le distanze dei pianeti dal Sole e i raggi delle sfere, che rappresentavano le orbite dei pianeti, in cui potevano essere inscritti e circoscritti i cinque poliedri regolari. Nell’opera giovanile “Mysterium cosmographicum” (1596) Keplero descrive un modello eliocentrico di Universo chiuso e armonico, e fissa, in accordo con le dimensioni dei poliedri, il numero delle sfere celesti, le loro proporzioni e le relazioni tra i loro movimenti «… La sfera della Terra è la misura di tutte le altre orbite. Le si circoscriva un dodecaedro. La sfera che lo circonda sarà quella di Marte. Si circoscriva un tetraedro attorno a Marte. La sfera che lo circonda sarà quella di Giove. Si circoscriva un cubo a Giove. La sfera che lo circonda sarà quella di saturno. Ora si inscriva un icosaedro nell’orbita della Terra. La sfera inscritta sarà quella di Venere. Si inscriva un ottaedro dentro Venere. La sfera inscritta sarà quella di Mercurio. Ecco la base del numero dei pianeti.» Al centro dell’universo c’è il Sole, attorno al quale sono circoscritte una serie di sfere, su cui sono “incastonati” i cinque pianeti noti. La sfera più esterna è quella su cui è situata l’orbita di Saturno, circoscritta al suo cubo, in cui è inscritta a sua volta la sfera dell’orbita di Giove. Procedendo verso l’interno, inscritto in tale sfera, troviamo il tetraedro, che inscrive al suo interno la sfera dell’orbita di Marte. Troviamo poi inscritto in essa il dodecaedro, in cui è inscritta la sfera dell’orbita della Terra. Inscritto in tale sfera troviamo l’icosaedro, che contiene la sfera dell’orbita di Venere. Infine inscritto in tale sfera troviamo l’ottaedro, nella cui sfera inscritta troviamo l’orbita dell’ultimo pianeta, che è Mercurio. Immaginando che la prima sfera, quella di Saturno, abbia il raggio uguale all’orbita del pianeta, allora anche tutte le altre sfere, teorizza Keplero, hanno il raggio pari all’orbita del proprio pianeta. La Terra, sostiene Keplero, è stata scelta come punto intermedio, spartiacque tra i solidi stabili (cubo, tetraedro, dodecaedro), che sono esterni all’orbita terrestre, e quelli più instabili (ottaedro, icosaedro), che invece sono interni all’orbita terrestre. Keplero pensò proprio di “aver guardato nella mente del creatore”. In seguito Keplero si accorse che il suo modello non corrispondeva ai risultati delle osservazioni ( si può dimostrare che le distanze reali differiscono da quelle ipotizzate da Keplero con errori fino al 40%) e perciò abbandonò questo modello, giungendo poi a formulare le sue famose Tre Leggi, da cui Newton prenderà l’avvio per dimostrare la Legge di Gravitazione Universale. Cartesio ed Eulero Numerosi sono stati i matematici che, dopo Keplero, hanno dato importanti contributi allo studio delle proprietà dei poliedri regolari, tra cui René de Cart, più comunemente noto con il nome di Cartesio, filosofo e matematico francese del XVII sec, e Leonhard Euler, noto con il nome di Eulero, matematico e fisico svizzero del XVIII. Nel suo De Solidorum elementis, ritrovato solo a metà del secolo scorso, Cartesio intuisce alcune relazioni tra spigoli, vertici e facce dei poliedri, ma solo un secolo dopo Eulero riuscirà a trovare la relazione, V+F-S=2 nota come la Relazione di Eulero. Dalla seconda metà del 1800 fino ai nostri giorni, la bellezza e armonia dei poliedri continua a rivivere in numerose opere di artisti, come Salvator Dalì, Maurits Cornelis Escher, Lucio Saffaro o Mimmo Palatino e a stimolare il loro studio tra i matematici.