APPUNTI DI ANTROPOLOGIA TEOLOGICA
ANTROPOLOGIA TEOLOGICA
corso semestrale
ISSR – sez. “Beato Giovanni Tavelli” di Ferrara
“In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di
Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e
del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima
vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la
loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è « l'immagine dell'invisibile Iddio »
(Col1,15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio,
resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è
stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi
innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo
modo ad ogni uomo” (GS 22).
Prof. Finotti don Saverio
Appunti ad uso
esclusivo degli
alunni del corso
Programma di
ANTROPOLOGIA TEOLOGICA
ISSR “B. G. Tavelli” di Ferrara
Anno Accademico 2009/10
1. Luogo tematico e questioni epistemologiche
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
2.
C0s’è l’Antropologia Teologica …………………………………………………………………………………….. 4
La dialogicità come fondamento e metodologia …………………………………………………………….. 4
Dottrina della grazia in san Tommaso …………………………………………………………………………. 6
Il concetto di “immagine” ………………………………………………………………………………………….. 10
Sacra Scrittura ed Antropologia Teologica
2.1. Il libro del genesi e le sue provocazioni antropologiche ………………………………………………. 13
2.2. Commento patristico di Gen 1,26 ……………………………………………………………………………… 15
2.3. Commento patristico di Gen 2,7 ………………………………………………………………………………. 21
3. Teologia e Antropologia
3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
3.5.
3.6.
3.7.
2
Antropologia in San Paolo: …………………………………………………………………………………….. 24
Il dualismo antropologico di Paolo …………………………………………………………………………
Le componenti antropologiche ……………………………………………………………………………….
L’uomo immagine di Dio ……………………………………………………………………………………….
L’uomo figlio di Dio ………………………………………………………………………………………….
Gesù Cristo uomo perfetto ……………………………………………………………………………….
Accessibilità dell’uomo alla conoscenza di Dio ………………………………………………………
Per Antropologia Teologica s’intende
il tentativo riflesso dell’uomo
volto a raggiungere la comprensione di sé
per mezzo della Rivelazione.
4 risposte (modelli) di Antropologia Teologica:
- BULTMANN: “Se la Teologia parla di Dio, questa deve partire dall’esistenza umana” Ragionando
sull’uomo si arriva a Dio. Può essere pericoloso perché può ridurre Dio all’autocomprensione dell’uomo.
- RAHNER: Per mettere in rilievo la dimensione antropologica usa il metodo trascendentale, cioè far vedere
la condizione di possibilità, a priori, di un determinato fenomeno. Dimostra così la possibilità che l’uomo sia
l’uditore della Parola di Dio.
- BARTH: Riduce – da non intendersi con accezione negativa – l’antropologia nella cristologia; per conoscere
l’uomo bisogna conoscere Gesù, vero uomo.
- TILLECH: Parla del metodo di correlazione. Alle domande antropologiche si da una risposta secondo le
fonti teologiche che passano attraverso l’esperienza umana.
3
I. LUOGO TEMATICO E QUESTIONI EPISTEMOLOGICHE
1.1 Che cos’è l’Antropologia Teologica
L’antropologia teologica è una disciplina che, in quanto antropologica, pone l’uomo al centro del suo
interesse ed, in quanto teologica, riconosce Dio come fondamento dell’indagine, infatti pone le sue
radici proprio nella Sacra Scrittura e specialmente nella Rivelazione. Il legame tra Sacra Scrittura e
Rivelazione si mostra presto necessario e mutualistico non in conseguenza di una logicità sostenibile
dell’annuncio cristiano ma per ovvia e naturale evoluzione dell’uno nell’altro. La Sacra Scrittura ci
offre il luogo nel quale Dio si fa conoscere; la Rivelazione traduce questa conoscenza rendendocela
accessibile!
L’antropologia teologica è ,dunque, quella disciplina che espone in modo unitario e sistematico la
visione cristiana dell’uomo partendo dai dati della Rivelazione. Da qui la giustificazione
dell’atteggiamento dei teologi di ogni epoca, sapendo, essi, che la Rivelazione va ben oltre alle Sacre
Scritture stesse, o meglio, le sviluppa in un contesto più ambio del luogo a cui fanno riferimento:
1. tensione dei teologi ad entrare nei circuiti della cultura a loro contemporanea
2. affermazione del cristocentrismo in teologia.
La cristologia costituisce il fondamento e il compimento dell’antropologia teologica. L’uomo creato
ad immagine e somiglianza del Dio unitrino, è costituito tale in relazione all’immagine per eccellenza
(Cfr. Col 1,15; Eb 1,1-2) che è il Logos incarnato: in realtà, solo nel mistero del verbo incarnato trova vera
luce il mistero dell’uomo … (GS 22; EV 1/1385s.).
L’aggettivo teologica dinnanzi ad antropologia, indica e qualifica la materia stessa che ha in Dio
(Theos) la sua sorgente, il suo fine ma pure il suo continuo punto di riferimento nell’indagare;
l’antropologia filosofica, invece, riferisce alla mediazione sull’uomo per mezzo della filosofia.
Tra cristologia ed antropologia esiste una reciprocità ermeneutica:
1.
la rivelazione piena dell’uomo proviene da Cristo
2.
nella sua esperienza singolare l’uomo sperimenta e vive la storicità stessa del Cristo: ogni
persona fornisce un codice degli aspetti antropologico-esistenziali del mistero dell’incarnazione.
Questa relazione tra la storia di Dio nel Figlio e la storia di ciascuno di noi ci permette di concludere
che nella verità del Logos incarnato, nella realtà della sua croce e nel mistero della sua resurrezione si gioca,
attraverso la nostra libertà, il senso della nostra vita.
In Gv 19 individuiamo il pensiero di Dio per contrapposizione a quello dell’uomo (Rif. Il senso di
regalità; il concetto di verità …); qui il dinamismo amante che connota la vita trinitaria del Figlio si
fa a noi accessibile attraverso la storia del Verbo stesso. Ma sbagliato sarebbe dire che Cristo si offra
quale proposta per l’uomo, Egli è piuttosto la vocazione ultima dell’uomo: Con l’incarnazione il Figlio di
Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo …. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo
è effettivamente una sola, quella divina … (Cfr. GS 22). È lo Spirito Santo che rende universale questa
chiamata concreta e divina: ciò non vale solamente per il cristiano ma anche per ogni uomo di buona volontà,
nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia (GS 22). Ora, la relazione amorosa in seno alla vita
trinitaria è un’espressione di carità che trova nella stessa tra gli uomini il suo riflesso riprodotto:
questa è la Chiesa, intesa come luogo di chiamati-vocati dalla Spirito per mezzo della grazia
battesimale. Qui la vita di fede è un cammino di svelamento progressivo e storico della nostra vita
divina alla cui chiamata tutti i fedeli e uomini sono candidati.
1.2. La dia logicità come fondamento e metodologia
Possiamo definire l’antropologia teologica come quella disciplina che verte ad investigare
razionalmente il mistero del Verbo incarnato per conoscere teologicamente il mistero dell’uomo.
Attraverso il Concilio Vat. II la Chiesa riconosce come fondamento dell’identità divina e di quella
umana il mistero; tale punto fondamentale d’indagine va rispettato e considerato negli
atteggiamenti che gli sono propri, quali il silenzio e la possibilità.
In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.
4

Mistero del Verbo Incarnato e Mistero dell’uomo: la Chiesa del Concilio riconosce come
fondamento dell’identità divina ed umana il mistero, quindi non un luogo accessibile nel profondo
dalla ragione ma una dimensione che esige necessariamente rispetto e disponibilità all’attesa.
Cristo, […] rivelando il mistero del Padre […] svela anche pienamente all'uomo [la sua] altissima vocazione.

È Cristo che rivela che Dio è mistero! L’altissima vocazione dell’uomo è l’accettare
d’immergersi in quel mistero che diventa ed è anche il suo.
Egli è «l'immagine dell'invisibile Iddio» (Col1,15) […] che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con
Dio […].

Cristo viene a dare alla storia futura di ogni uomo l’ottimismo dell’eternità e a quella passata
il riscatto che apre alla speranza, poiché la salvezza portata da Cristo è per tutti gli uomini: giudeo e
greco, … passato e futuro.
Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata […].

Questo concetto – già affermato dal Concilio Costantinopolitano II (553) – ci aiuta a capire la
difficoltà di Gesù nell’accettare la croce: lì è la sofferenza che umanamente si apre alla speranza
della resurrezione; anche per l’uomo è possibile vivere la sofferenza ma è impossibile – come per
Gesù – risorgere senza l’intervento del Padre. La natura di umana di Gesù, in quanto umana, era
incapace di concepire la sua resurrezione.
Fatte queste premesse andiamo a collocare l’ATE sia da un punto di visto storico che di contributo
inter-disciplinare. Innanzi tutto essa è una scienza piuttosto recente poiché risale all’epoca
dell’illuminismo e la si è subito associata alle tematiche della creazione (rif. a Gen) per confermare
questo principio – vero ma non del tutto!! – condiviso: l’uomo è il centro del creato! Ma già verso la
fine del secolo scorso, Otto H. Pesch affermava che coi dati acquisiti dalle scienze recenti 1 intorno
alla persona non è più possibile per l’ATE partire da lì; ora occorre coinvolgere il concetto di Grazie
e di Giustificazione presente nella dinamica della Rivelazione intesa, quest’ultima, non tanto come
la storia del popolo d’Israele quanto come il contenuto del rivelarsi di Dio e del conoscersi nella
verità dell’uomo. La forma con cui la Rivelazione prende espressione è quella del dialogo; in
manifestarsi di Dio esige necessariamente la possibilità per l’uomo: tale metodo è proprio della
modalità dialogica!
La necessità della dialogicità come fondamento e metodo stesso per l’ATE nasce quindi prima come
applicazione di un principio scientifico corretto ed in secondo luogo come appartenenza ad una
consolidata prassi teologica. Ma la Rivelazione non è un biglietto da visita con cui l’ATE si propone
al dialogo con le altre discipline; il procedere al confronto con esse, infatti, premette un accoglienza
vera ed onesta dei risultati raggiunti da altri campi del sapere intorno all’uomo, per applicare poi ad
essi il principio della Rivelazione! La chiave ermeneutica che giustifica, quindi, il procedere
scientifico di tale disciplina si trova proprio nel Λóγος (parola, verbo) incarnato che è l’uomo Gesù:
è Dio che si fa parola per farsi uomo. Ora è più che evidente che la parola si giustifica col dialogo! Se
prendiamo il prologo di san Giovanni e lo confrontiamo con l’incipit del Genesi vediamo
chiaramente che l’intenzione dell’evangelista è quella di comunicare che con l’incarnazione del
Verbo ha inizio una nuova creazione non nella struttura della forma ma nel contenuto esistenziale
del creato che per Grazia entra e partecipa del mistero di Dio [v. Gv 1,1-18]. In questo mistero di
Dio, ancora, è il dinamismo trinitario stesso che impone il metodo dialogico come forma di
conoscenza e di relazione … Da qui, capiamo che la valenza teologico-relazionale propria del Λóγος
plasma e dà forma non solo all’ontologia dell’essere ma anche a tutti i dinamismi autenticamente
antropologici che si esprimono nella ricerca onesta della verità in ogni relazione. Ricordiamo anche
che la radice tematica del termine Λóγος risale al verbo λεγο che significa dire, parlare, ma anche
legare, collegare; Giovanni usa il termine con un’originale accezione semantica, una sorta di valenza
1
Per recenti intendiamo sia come novità disciplinare in campo scientifico come la psicologia, la sociologia ecc. e sia come applicazione di
nuove metodologie d’indagine in scienze affermate quali la medicina, la filosofia ecc.
5
sim-bolica letterale. Il Λóγος divino, ad immagine del quale è stato costituito l’uomo, imprime in
quest’ultimo proprio questa capacità logica e dia-logica attraverso la quale ogni forma di relazione e di
dialogo può essere autentica espressione della propria dimensione divina che, con l’incarnazione del
Verbo, ci è stata costituzionalmente conferita. La dimensione dialogica, insita nel Λóγος segue il
principio paolino del nesso tra i saperi che riconosce nell’uomo – immagine del Verbo incarnato – la
sua convergente unità. Con straordinaria ispirazione, il teologo ebreo M. Buber dà la definizione di
dialogo in riferimento alla storia dell’Alleanza; il dialogo è il principio secondo cui a partire da un tu,
l’identità dell’io si precisa2. Da qui viene ribadito il principio dinamico, cioè di confronto e di dialogo,
a livello scientifico come assolutamente necessario per l’onestà dei risultati della conoscenza - la
teologia da sola non può avvalersi di autonomo determinismo di definizioni, così pure le altre
scienze - inoltre si evince che a livello teologico, l’applicazione consapevole di questo principio, è il
rendersi conto che l’uomo raggiunge la sua pienezza ontologica solo nell’atto di riconoscere ovunque
i segni della verità del creato e della presenza contenuta di Dio creatore. Nella GS troviamo
l’affermazione che l’incarnazione è il centro su cui costruire la verità dell’uomo e di tutto il creato;
solo in Cristo, infatti, abbiamo la certezza di una sanata relazione tra l’uomo e l’intero creato, perché
basata sulla realizzazione del Regno di Dio. Così a livello teologico, in ogni διά-λóγο (dialogo) vero
ed onesto è presente una concentrazione cristologica propria del procedere del Verbo – Λóγος che
qualifica tutte le relazioni. Il termine metodo (μετά-οδóς) indica l’opzione di una via che sembra più
conducente all’obiettivo che ci si è imposto, rispetto ad altre possibili. Secondo una precisa
indicazione barthiana [rif., cioè, a K. Barth], il metodo scientifico deve corrispondere all’oggetto;
applicando questo alla teologia, la via da seguire non è tanto una struttura argomentativa, quanto
una persona: Gesù Cristo (Cfr. Gv 14,6). Tre sono i livelli applicativi propri della dia logicità come
metodo in teologia:
1.
livello scientifico: previene uno studio troppo circoscritto entro i confini specialistici della
proprio disciplina prendendo consapevolmente atto che se da una parte la Rivelazione accade unica
nel suo genere è pur sempre aperta e coinvolgentemente possibile a tutti. È soprattutto a questo
livello di lavoro che l’ATE applica la capacità di ascolto e di ricerca cogliendo l’indicazione
metodologica propria della logica dell’incarnazione che vuole l’uomo assunto in tutte le sue
manifestazioni ed espressioni per armonizzarlo col patrimonio della fede.
2.
livello pastorale: è relativo alla vita della chiesa ed alla formazione dei credenti poiché esprime
uno stile di relazione nello spirito del Concilio (rif. GS) creando condizioni sempre più favorevoli
per l’instaurarsi di un έτος sociale che abbia in vista il bene comune, definito tale in quanto bene più
ampiamente condiviso.
3.
livello culturale: questo livello va al di là della fede e si pone a quello della laicità,
coraggiosamente proiettato alla ricerca della verità complessa in modo assoluto a prescindere da
vincoli di appartenenza.
Riconosciamo come specificità peculiare del procedere teologico il fine salvifico della persona
umana; tale proporsi all’intero mondo scientifico altro non è che l’esposizione sistematica dell’opera
della Grazia divina e della giustificazione dell’uomo.
1.3 Dottrina della grazia in san Tommaso
L’essere salvi vuol dire essere giustificati, resi giusti tramite l’opera di Dio; Dio soltanto ci fa giusti, ci
salva! La giustificazione è l’opera mediante la quale Dio separa l’uomo dal peccato e questo accade
solo nella Pasqua di Cristo dalla quale sgorga ogni sorgente di grazie. Dalla giustificazione l’uomo è
reso giusto come all’origine e, anzi, ancora di più: ora è amato come figlio nel Figlio. Il primo
Adamo era una creatura giusta, il nuovo Adamo - ed in lui tutti i giustificati - sono chiamati e sono
realmente figli. La prima opera della grazia è la conversione dell’uomo che da creatura, soggetta al
peccato, si riscopre figlio, redento e riscattato da Cristo del quale è pienamente immagine e
somiglianza. Nella Pasqua Dio separa il peccato dal peccatore; nella Pasqua Cristo permette di
guardare Dio con occhio rinnovato. Ma se tutto questo è vero a cosa servono allora le nostre opere?
2
M. BUBER, il principio dialogico
6
Lutero dice che soltanto la fede basta, non serve altro; l’unica opera è credere: credere che Dio ti salva.
Lutero cita a testimonianza una lunga collezione di versetti di S. Paolo nei quali si ribadisce con
forza questo concetto che di per sé non è errato, ma solo incompleto! Dobbiamo considerare
innanzitutto che Paolo aveva a che fare con la fede ebraica: il fariseismo che riponeva molta
confidenza nella legge, nelle opere; egli stesso proveniva da questa fede di stampo un legalistico e la
scoperta della gratuità assoluta che proveniente dalla fede in Cristo aveva fatto irruzione nella sua
vita in modo indelebile, lasciandone traccia in tutti i suoi scritti. Sant’Agostino, che viene prima di
Lutero e del quale Lutero subisce l’influenza in qualche modo, per confutare la dottrina di Pelagio che affermava una bontà naturale originaria nella creatura e, quindi, di per sé redenta - dimostra
come nessuno può dirsi non bisognoso della grazia battesimale legata alla Pasqua di Cristo. Pelagio
non diceva delle sciocchezze: tentava di riscattare la bontà originaria e la potenza della libertà
umana e cercava di dimostrare l’efficacia della libertà che l’uomo possiede. Agostino nega le tesi di
Pelagio e dice che non ci si può salvare da soli, senza Cristo e la sua insistenza su questo punto ha
fatto sì che chi ha letto i testi di Agostino in modo troppo ristretto è finito nell’eccesso opposto.
Secondo queste tesi esasperate l’uomo non può fare niente, fa tutto Dio. Ma la ricezione di Agostino
non è stata così univoca: in altri scritti infatti egli sottolinea quanto la libertà umana non è annullata
dalla grazia, anzi è vero l’opposto, l’obbiettivo della grazia è liberare la libertà e la libertà più piena è
quella di non peccare. L’attrazione operata dalla grazia rende possibile, crea lo spazio per l’azione
della libertà umana, perché la grazia richiede la risposta umana. Bisogna quindi tenere conto del
contesto nel quale Agostino scrive. É chiaro che quando si rivolge a Pelagio insiste su questo punto,
svalutando apparentemente l’azione umana, ma in altri testi e in altre situazioni non è così e si
afferma l’importanza della libertà umana. Ma in questo dibattito c’è un’idea di fondo sbagliata. Noi
mettiamo quello che fa Dio e quello che fa l’uomo sui due piatti della bilancia. Se metto su un piatto
della bilancia quello che fa Dio, l’altro si alza e viceversa. Azione dell’uomo e azione di Dio sono
così in contrasto e l’una diminuisce o esclude l’altra. Usando questo modello, se diciamo che fa tutto
Dio ne consegue che l’uomo, non potendo sostenere il confronto, non fa niente! Pelagio dice che,
essendo il libero arbitrio dell’uomo la reale sua ricchezza, finisce per rendere accessorio Dio.
L’obiettivo di Dio non è schiacciare l’uomo, ma è proprio liberare l’uomo. San Tommaso che vive
nel 1300, grande teologo sistematico, introduce l’idea di grazia creata per dire che l’uomo è chiamato
ad un fine che eccede le capacità dell’uomo stesso. Nei suoi commentari biblici e nelle opere
sistematiche san Tommaso ha illustrato gli aspetti costitutivi della mens fidei dell’uomo, chiamato
alla beatitudine della comunione trinitaria in Cristo. Sono, infatti, le Persone trinitarie che fondano
nello spirito umano la capacità di relazionarsi a ciascuna di loro in conoscenza d’amore: il Padre manda
lo Spirito perché operi nei cuori umani la docilità al Cristo nella cui umanità le persone sono
rigenerate nella Sua vita e messe in condizioni di contraccambiare liberamente a questa relazione.
Questa donazione-relazione a ciascuna delle Persone divine per mezzo del Cristo è, secondo san
Tommaso, la ricchezza e la pienezza del bene umano. Dio ama rendendo amanti e la sua grazia
fonda nello spirito umano la volontà di corrispondere a tale rapporto d’amore come luogo naturale
della propria umana realizzazione. Questa trasformazione della persona si verifica nella sua identità
ontologica di immagine di Dio, creata per essere genitrice della propria perfezione attraverso Cristo
e mediante le opere virtuose, che hanno nella grazia divina la loro sorgente stimolante ed il proprio
fine come realizzazione. Da questa sorgente di grazie scaturiscono e ad essa tendono, tutti i
dinamismi delle opere di virtù che, purificati così delle loro imperfezioni, manifestano l’operare
stesso di Dio. Ogni iniziativa che il Padre in Cristo e attraverso lo Spirito opera nella creazione e
nella storia tende a ricondurre tutto a Sé: è questa la grazia divina che opera nell’uomo attraverso la
speranza e fonda in esso la certezza, attraverso la fede, dell’amore di Dio tanto che possiamo
affermare, insieme a san Tommaso, che ogni donazione divina, sia implicita che esplicita, è
espressione della grazia e manifestazione del Suo amore: il Padre, attraverso il Verbo e lo Spirito missionari dell’economia di salvezza - riconcilia l’umanità intera nel disegno del Suo amore che si
rivela in pienezza nell’era della Legge Nuova del Cristo Risorto che effonde lo Spirito; ad essa ogni
era della storia tende ed in essa acquista valore salvifico. Il breve trattato sulla grazia, che conclude
la I-II della Summa Theologiae - l’opera sistematica più importante del santo dottore angelico - è
ritenuta da molti esperti la parte più originale, ma anche quella che più sorprende la teologia
7
contemporanea - certamente dal Vaticano II - che considera la grazia un trattato eminentemente
dogmatico. Le motivazioni di questa collocazione scaturiscono dalla riflessione sull’essenza stessa
della grazia così come Tommaso la concepisce: non una riflessione sul mistero trinitario o la natura
umana e divina di Cristo - temi propri del contesto dogmatico, appunto - ma il suo aspetto
applicativo che potremo definire etico. San Tommaso mette in risalto, infatti, come l’amare con
coerenza è la più contrastata e controversa prerogativa della natura umana e come il peccato e i vizi
che la rendono concreta, evidenziano altresì a quale punto l’impegno dell’uomo ad amarsi nel bene, a
volersi per il Bene, sia radicato in modo naturale nel suo spirito. Non c’è dubbio, però, che l’orizzonte
della riflessione sulla grazia è Dio Trinità. Egli che crea per la sola iniziativa d’amore, per amore
prende anche l’iniziativa di unire a Sé l’umanità, offrendogli un rapporto pieno e appagante di
reciprocità, dove Dio e uomo raggiungono la loro ragione di esistere come Creatore l’uno e creatura
l’altro. Dio non violenta le persone, che sono create per amore nella libertà, ma tale beatitudine può
essere a dimensione propria della creatura soltanto se questa accoglie, per via virtuosa, l’amore
affettivo ed effettivo di Dio come fine dei propri atti e della propria ragione d’esistere. Questa
rivelazione ispira sia la struttura del trattato sul fine ultimo sia di quella sulla grazia. Entrambi
esplicitano l’economia trinitaria nella storia ordinata alla partecipazione di tutta la creazione nella
beatitudine divina. La rivelazione sulla visione di Dio, fine ultimo dell’umanità nella creazione, è
inseparabile da quella del dono nel quale il Padre unisce l’umanità nella partecipazione a Sé
attraverso la beatitudine della speranza. Questa unione cresce e si perfeziona attraverso le
operazioni, gli atti propri della vita quotidiana, in forza dei quali la persona esprime la volontà di
camminare consapevolmente nella via del sommo fine. Le operazioni beatificanti secondo l’ordine
della divina sapienza sono molteplici e sono denominate meriti. Tutti coloro che rispondono alla
chiamata dell’unione con Dio - vocazione universale dell’uomo - saranno premiati nella
misericordia di Dio proporzionatamente al grado di carità ed al livello di virtù proprie applicate con
cui hanno vissuto suddetto rapporto. Il desiderio insito negli uomini di godere di questa beatitudine
appagante, conseguenza benevola della misericordia di Dio, è frutto dello Spirito Santo effuso nei
loro cuori; tale Spirito rigenera l’umanità nella speranza della vita eterna, come conseguenza della
nuova creazione instaurata dal Figlio di Dio Risorto e, attraverso la docilità espressa nella sua
missione, conduce l’uomo alla visione della storia giustificata dall’annuncio di Cristo e dalla sua
opera. Di conseguenza è la stessa Trinità che si svela nella storia dell’umanità e realizza il suo
progetto salvifico, sempre attraverso l’azione dello Spirito Santo, di amore manifestato all’uomo e
stimolando, attraverso la grazia divina, lo stesso amore da parte dell’uomo in modo proporzionato,
specifico e corrispondente. La carità è la radice del merito in senso proprio; esso è denominato
codegno, distinto da quello congruo che deriva non dalla giustizia ma dalla misericordia la quale, tra
l’altro, impetra molte cose che la persona non merita secondo giustizia. Ogni persona è mossa da
Dio mediante la grazia in modo che possa per se stessa pervenire alla vita eterna. Il merito codegno non si
estende oltre questa nozione; soltanto l’anima di Cristo è mossa da Dio non solo perché Egli pervenga
alla gloria della vita eterna - che gli è propria - ma anche per condurre altri ad essa in quanto capo
della Chiesa e mediatore della salvezza. Una caratteristica del merito, dice san Tommaso, è quella di
essere la conseguenza della preghiera d’intercessione da parte delle anime in grazia di Dio, che
vediamo avere una dinamica totalmente diversa dal concetto di merito mediato dalla giustizia; in
una sorta di auto-comunicazione da parte della Spirito Santo, questo agisce attraverso l’anima
ospitale alla sua azione. Ciò detto, però, non esclude, nel pensiero del Santo, la possibilità del
processo connaturale di merito mediato dalla giustizia retributiva; merito accordato all’uomo e
riconosciutogli nel contesto di un suo atto positivo dettato dal libero arbitrio. La caratteristica della
grazia divina, quale manifestazione della Sua potenza, è quella di invadere ogni luogo della persona
umana; nessun aspetto delle vicende dell’uomo è escluso dalle relazioni amicali con Dio in Cristo,
attraverso lo Spirito. La potenzialità che la grazia opera attraverso tutti i dinamismi umani è fonte
di ammirazione e di ringraziamento per l’uomo, stupito da questo privilegio di amicizia col Padre.
Proprio la gioia dell’amicizia è frutto dell’inventiva di Dio che corrisponde all’amore donato al
mondo nella persona del Suo Figlio Gesù; sottrarre l’umano alla grazia e la grazia all’umano è non
riconoscere la ragione stessa sufficiente dall’unione con Dio, in quanto solo in Cristo è realizzabile.
Nell’ordinario rapporto di amicizia, presunzione e disperazione contrastano la fedeltà del rapporto,
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negano la libertà, che ha il potere su ciò che rende possibile la veritiera espressività umana e creano
relazioni ambigue tra i soggetti coinvolti. Il pericolo di un rapporto alterato di amicizia è più che
una certezza, considerando la precarietà e la debolezza di rettitudine dell’uomo, ma in Cristo tale
rapporto di amicizia acquista una dimensione duratura e salda in quanto da lui proposta per primo
all’uomo e mantenuta attraverso le grazie concessegli. Accogliersi creata e adottata è, per la persona,
la sola maniera di essere se stessa e di crescere nell’essere in cui è costituita. Il Padre, nel proporre
l’unica via di salvezza nel Figlio, non sminuisce l’impegno e la partecipazione dell’uomo nel
percorrere questa Via, in quanto egli stesso, divenendo l’umanità in Cristo, si trasforma in mezzo di
salvezza da personale ad universale. Così concepito il rapporto tra Dio e uomo, il merito altro non
può essere che il riflesso dell’amore del Padre fedele a se stesso che per salvare il servo dona il suo
Figlio; la persona non può intervenire in questa suprema volontà di Dio ma accondiscendere a
divenire membra del Cristo nella comunione con Lui. Così il merito è una partecipazione di riflesso
al dono di Cristo, proporzionata al grado di coinvolgimento del suo mistero di morte e resurrezione,
fondato sulla giustezza tra l’opera umana ed il disegno attuato dalle persone santificate dall’opera
dello Spirito nell’amicizia con il Padre e nel desiderio espresso di dimorare in Lui e di compiacere al
suo amore. Le opere che meritano presso Dio nascono dalla partecipazione con l’uomo della natura
divina e dell’amore di carità che è la vita di comunione in Cristo e perciò delle persone che ne fanno
parte. In questo processo di donazione di Sé da parte di Dio, che rende l’uomo capace e meritevole
per dignità creaturale della sua amicizia, il referente umano di questo rapporto rimane comunque
libero e capace di risposta propria, tanto che spesso, con l’indifferenza, la trascuratezza, il disordine, non
si rende disponibile a sostenere e a comprendere questa proposta di Dio nei suoi confronti.
D’innanzi a questa possibilità degeneratrice del rapporto amichevole tra Dio e uomo, la caparbietà di
Dio nel volerlo comunque sostenere crea la possibilità della grazia santificante che, insieme alla carità
che da essa fluisce, è per l’uomo sanante; guarendolo dalle ferite del peccato, alimentando in lui la
nostalgia di Dio attraverso le opere della verità, gli ri-propone quel rapporto delle origini,
compromesso dal suo peccato ma mai reiterabile da parte di Dio. L’esperienza di questa
corrispondenza all’amore di Dio, segnata dalle dinamiche sopra esposte, costituisce la realtà di ogni
esistenza. Il mezzo che Dio dona all’uomo per corrispondere con verità ed intelligenza a questo
rapporto sono le virtù umane, specifiche e personali ma ciascuna tendente a rendere capace attraverso la grazia - il dialogo di amicizia con Lui. Nel De gratia, la distinzione tra grazia
nell’essenza dell’anima e grazia delle virtù che scaturiscono dalla prima e ne fondano l’efficacia e la
consistenza è determinata non dal grado virtuoso di un’azione ma dalla sua necessità al dialogo con
Dio. La persona, anima e corpo una, è, nella sua essenza, il luogo nel quale il Padre ci unisce
pienamente a Sé accogliendo il dono di noi stessi a Lui che lo riconosciamo come fine ultimo; in
questa grazia donata, accolta e divenuta rendimento di grazie, Dio vive in noi e noi viviamo in Lui
ed il fine riconosciuto, per mezzo della grazia, si rivela essere il fine stesso della grazia, il motivo per
cui essa esiste e ci è donata. È dal fondo rigenerato di essa che scaturiscono i sensi nuovi i quali hanno
la loro piena attuazione nella vita nascosta. La corrispondenza all’iniziativa trinitaria che si manifesta
nel dono di grazia santificante, ammette l’uomo alla partecipazione della propria vita in modo pieno
e lo abilita a crescere attraverso le proprie azioni espresse attraverso la sua libertà ed intelligenza.
Sebbene libero arbitrio e dominio di sé sono doni costituzionali della persona e godono del privilegio
sommo di essere caratteristiche determinanti della sua immagine similmente divina, esse non
devono avere la pretesa di soddisfare da sole a sostenere il dialogo con Dio; se così fosse, cadremo
ancora nell’errore pelagiano di cui abbiamo parlato sopra! Il Verbo fatto carne e lo Spirito Santo
sono i missionari del Padre che nelle loro iniziative portano al riconoscimento e al desiderio di
dimorare nella vita trinitaria che è, appunto, il fine ultimo dell’agire e del pensare dell’uomo, la
grazia di sorgente da cui derivano le virtù ed i doni che ne perfezionano il dinamismo; esse
conducono nella sempre più intensa e piena unione col Padre.
La teologia della grazia di san Tommaso d’Aquino è fondata sulla figura del Padre; la ragione sta nel
fatto che il dottore angelico sottolinea ampiamente che sia la funzione della grazia è quella di
chiarire nell’uomo il fine ultimo della persona e della creazione, che è appunto Dio Padre, e sia
affermare decisamente che la grazia è, nell’uomo, elemento innato e costitutivo della persona stessa.
Il Padre opera attraverso i tempi e decide i modi della sua manifestazione per la realizzazione del
9
suo Regno: in Cristo ci dona lo Spirito affinché l’uomo possa essere aiutato a crescere nell’unione
con lui, al fine di renderci capaci della Sua visione nel Figlio a tempo opportuno. La mediazione del
Figlio è comunque fondamentale e pedagogica, in quanto nella sua umanità, che rimane sempre tale,
opera in modo umano ed esemplare la grazia di Dio Padre che ha come fine la contemplazione della
beatitudine divina. Sia la relazione a Dio Padre che la beatitudo spei, sono frutto del consenso
dell’uomo all’iniziativa preveniente di Dio. Tale azione divina, che anticipa e stimola quella umana,
indirizza l’uomo ad una risposta sia di fede in quanto lo fa certo di Dio che opera, sia di carità in
quanto fa amare Dio con cuore indiviso ed il prossimo come se stessi; inoltre fonda il desiderio di
agire perché ogni manifestazione del vivere diventi espressione e contesto di intenzione dell’unione
perenne con Lui nel desiderare solo di conoscere e fare la volontà di Dio. É attraverso il Cristo e
nello Spirito che il Padre unisce l’umanità al suo Verbo e la pone in condizione di essere soggetto
intelligente e libero dell’unione con Sé; tale capacità umana di cogliere queste dinamiche divine sono
la conseguenza della grazia infusa nell’essenza della propria anima che sola può operare la
trasformazione della mentis et cordis della persona. La grazia nell’essenza dell’anima è, secondo san
Tommaso, da considerarsi una forma - sebbene non di quelle definibile nel genere degli esseri creati la cui caratteristica è quella di stimolare il desiderio della vita stessa di Dio, è inchoatio della vita
trinitaria nell’uomo e dello stesso alla vita trinitaria. La cooperazione dell’uomo alla soddisfazione di
questa vocazione provocata dalla grazia è attuata dallo stesso per mezzo del libero arbitrio ed è
supportata dalla relazione con Dio vissuta per mezzo dello Spirito. Per questo motivo, la grazia
infusa nell’anima della persona non è da considerarsi tanto come un habitus, quanto come un
habitudo, ossia non un qualcosa concesso da Dio, quanto una relazione fondata dall’iniziativa della
Trinità che attira a Sé l’uomo rivelandosi come ultimo fine e bene supremo della persona e
dell’intera umanità.
1.4 Il concetto di “immagine”
Quando la Chiesa dei primi secoli si pone la domanda fondamentale di cosa è l’uomo, non cerca una
risposta in ambiente filosofico ma nella Bibbia, nella quale è contenuta la ricerca di questo
interrogativo già da parte di scribi particolarmente ispirati. La filosofia greca, infatti, aveva
postulato l’esistenza dell’uomo come un dato di fatto, pur rimanendo affascinata dal suo mistero;
essa, indubbiamente era più concentrata sulla vita, sull’essere in quanto tale e non esclusivamente
sull’essere nell’uomo, considerato una forma, una manifestazione dell’Essere.
La posizione della filosofia greca intorno all’uomo è tuttavia interessante e per molti versi
fondamentale per la sua considerazione relativamente al N.T. ed alla produzione patristica. … ce ne
occuperemo in seguito!
La Sacra Scrittura, invece, ne ha formulate addirittura due di risposte, in quanto tale interrogativo si
è evidenziato e riproposto a distanza di secoli, ognuna delle quali ha proprie spiegazione che
sembrano scontrarsi e, nello stesso tempo, completarsi a vicenda nel libro dell’Inizio, che noi siamo
soliti chiamare con il suo nome greco: Genesi. I racconti che parlano della creazione dell’uomo dalla
polvere del suolo, del paradiso terrestre, dalla cacciata da questo Eden3, si rifanno ad un’epoca non
storicamente definita di Israele, durante la quale questo popolo vive la deportazione e l’esilio 4. Dopo
questi tragici eventi, intorno al 6oo a.C., grazie all’editto di Ciro, gli Ebrei ritornarono e
ricostruirono l’altare degli olocausti ed il nuovo Tempio a Gerusalemme. In questo nuovo contesto
storico, Israele conosce un nuovo splendore ed una produzione letteraria maturata attraverso secoli
di esperienza religiosa; qui, un altro redattore, spinto da intenti apologetici, descrive la creazione del
mondo5, individuandone l’artefice, tracciandone le tappe, classificando le creature in una gerarchia
ascendente6. Il giudaismo rabbinico al tempo di Gesù commenta proprio Gn 1, 26 in due direzioni,
l’una più etica e l’altra più speculativa. Per la prima, la somiglianza è intesa essenzialmente come
fedeltà alla legge in quanto solo il popolo eletto, in quanto possiede ed osserva la Torah gode della
3
Rif. Gn 2.
Gli studiosi chiamano questo primo livello redazionale il documento Y; esso risale al sec. X a.C.
5 Rif Gn 1.
6 Questo secondo documento è indicato col termine E.
4
10
categoria di immagine di Dio7; per la seconda, invece, l’Adamo primitivo, immagine e somiglianza
di Dio, è il modello dell’essere umano. Studi recenti convergono proprio sulla necessità di tenere
presente il sostrato giudaico e rabbinico della letteratura evangelica anche intorno a questo
argomento antropologico; non è certo un caso che al tempo di Gesù troviamo un documento sulla
Genesi fra gli scritti di Qumrân.
La parola di Dio è come un seme gettato nel cuore dell’uomo e che si nutre di tutto ciò che ha
proporzionatamente a che fare con essa. La rivelazione dell’uomo immagine di Dio può perciò
assimilare tutto ciò che la mente umana ha pensato sull’immagine, tutto ciò che hanno provato
l’esperienza e l’esistenza dell’uomo intorno a questo concetto.
È necessario, pertanto, esaminare il senso umano della categoria “immagine”, scoprire ed analizzare
l’esperienza umana primitiva sottostante al termine, individuare l’uso linguistico derivato da tale
esperienza primaria, rendendosi conto realmente della loro continuità, unità.
Tra le molteplici esperienze umane del fenomeno immagine è legittimo riconoscerne due – come ci
suggerisce B. Schreiber8 – come fondamentali, sia a causa del loro carattere primitivo, sia perché
chiaramente presenti nei testi biblici. Questa duplice radice sarà sempre motivo di tensione, ma
anche fondamento della complessità delle costruzioni nella tradizione teologica, in una duplice linea
di interpretazione e di applicazione semantica. Queste due esperienze sono da una parte la
riproduzione della figura degli oggetti che si formano sullo specchio dell’acqua, pertanto
un’immagine fisica e naturale, e dall’altra l’oggetto o una figura plasmata dalla mano dell’uomo,
quindi un’immagine artificiale. La prima è la più primordiale ed elementare, poiché richiede
soltanto l’osservazione, mentre la seconda suppone inoltre un lavoro creativo. Chiamiamo
immagine speculare la prima ed immagine artefatta, o plastica, la seconda. Come abbiamo visto, i
testi della Sacra Scrittura rispecchiano ora l’una ora l’altra di queste due esperienze. Difatti, l’uomo
fu creato a immagine di Dio (Gen 1, 26; Sir 17, 3), uomo formato dalla terra (Gen 2, 7; 1 Cor 15, 49) ed
allo stesso tempo riflette come una specchio la gloria del Signore (2 Cor 3, 18); così anche Cristo,
riflesso della luce perenne, specchio senza macchia (Sap 7, 26), irradiazione della gloria de Padre (Eb
1, 3), è Verbo fatto di carne, apparso in forma di servo (Fil 2, 7).
Il contatto con questi due tipi d’immagine costituisce per l’uomo una esperienza che lo porta a
considerare come un oggetto si possa sdoppiare e ripetersi sia in un secondo oggetto preesistente che
in se rimane immutato9 - immagine speculare – sia originando un nuovo essere dopo mutazione di
una materia preesistente – immagine plastica. In ambedue i casi notiamo come qualcosa di proprio e
diventato comune: avviene una comunicazione di qualcosa ad un altro, in modo che sono uno sotto
l’aspetto comunicato e due in quanto si distinguono come principio e termine, soggetto ed oggetto.
Ciò che viene comunicata è la figura con la quale e nella quale il soggetto si esprime: l’immagine è la
figura del soggetto comunicata ad un altro e presente in esso. La differenza tra i due tipi d’immagine
qui descritti è sostanziale: nell’immagine speculare accade che ad un essere già costituito si aggiunge
la forma di un altro, inoltre, con questa aggiunta, non muta di essenza in quanto solo la sua
superficialità ne è coinvolta; ancora va detto che il modello stesso si riproduce per sua propria virtù
sotto l’azione della luce e la sua dipendenza attuale è continua e permanente, infine è
bidimensionale e soggetta a deformazioni.
Nell’immagine plastica, invece, una certa quantità di materiale prende la forma di un altro, se tale
materiale è informe, o muta la propria forma per assumere quella del modello; avviene altresì
un’unità profonda ed intima tra materia ed immagine che non nell’immagine speculare in quanto
tutta la materia coinvolta è chiamata a rappresentare il modello il quale si riproduce per azione di un
terzo – nel caso di un oggetto, appunto l’uomo – che con esso instaura un rapporto almeno in fase di
elaborazione. Ancora va aggiunto che nell’immagine plastica la figura realizzata può essere
tridimensionale e comunque soggetta a corruzione. In entrambi i casi però abbiamo la figura di un
oggetto riprodotto, derivata da un principio che possiede la propria figura in un modo superiore,
anteriore o primitivo: questo giustifica in un qualche modo la comunanza delle due esperienze
7
Cf. P. SACCHI (a cura di), Il Libro dei Giubilei, in Apocrifi dell’Antico Testamento, Torino, 1981, p.295.
B. SCHREIBER, L’uomo immagine di Dio, Roma, 1984, p. 16.
9 Cf. Gv 1, 3.
8
11
descritte sotto un solo concetto. Si crea un rapporto analogico e specifico tra due esseri: l’uno, il
primitivo o originale, da cui si forma l’immagine (detto esemplare, modello, principio, soggetto,
termine a quo, tipo) e l’altro, quello che riceve l’immagine o si costituisce come immagine (detto
anche copia, esemplato, termine ad quem, oggetto). Perciò per immagine si può intendere non solo la
figura concretamente riprodotta, ma anche questo rapporto o relazione tra i termini del confronto.
La relazione è detta comunemente di somiglianza o di similitudine o, ancora, di imitazione. Tale
rapporto, però, non è pienamente reciproco in quanto è l’immagine a riceve la figura dal modello; la
causa di questa relazione è una azione-attività del modello stesso o di un terzo con la quale la figura
del modello viene comunicata, data, partecipata, impressa. L’oggetto modellato che riceve tale
comunicazione rappresenta, riproduce, ripete, imita, raffigura, copia, esprime il modello.
2. SACRA SCRITTURA E ANTROPOLOGIA TEOLOGICA
2.1 Il libro del genesi e le sue provocazioni antropologiche
12
L’oggetto dell’antropologia teologica abbiamo visto essere lo studio dell’uomo nella sua relazione
dialogica con Dio. I temi dell’antropologia comprendono, oltre allo studio dell’uomo, anche la
riflessione sulla Creazione (non solo degli esseri umani, ma di tutto quello che esiste) e sulla Grazia,
come l’uomo è salvato. In mezzo abbiamo tutti i grandi temi: la creazione dell’uomo a immagine e
somiglianza di Dio, la libertà, la caduta, il peccato, il dubbio della fede. Il testo che tutta la storia
della fede ha usato per riflettere sull’antropologia è la Genesi, soprattutto i primi capitoli. Non è
l’unico testo della Bibbia che parla di antropologia però è vero che la Bibbia, Gesù, i primi Padri,
tutta la storia della teologia richiamano sempre la Genesi. C’è qualcosa a proposito dell’uomo anche
nel Siracide, nei libri sapienziali, in San Paolo - come vedremo - però la Genesi è il testo principale
da cui la storia della fede ha costruito i temi dell’antropologia teologica, quello che si può dire
dell’uomo dal punto di vista di Dio. Nel raccontare la creazione dell’uomo faremo tante volte
riferimento alla Genesi, il testo fondamentale per dire qualcosa dell’uomo. La fede si dà alla Parola
di Dio nella sua integralità, cioè alla Rivelazione di Dio che noi conosciamo attraverso la Scrittura e
la Tradizione (la lettura della Scrittura attraverso i secoli, la lettura non “secondo me”, ma “secondo
noi”, dove il noi comprende anche lo Spirito Santo, cfr. DV 9). La Genesi è il primo libro della
Bibbia, ma non è il primo cronologicamente scritto, risale all’incirca al VI secolo a.C. (la sua
datazione precisa è discussa). Il re Nabucodonosor occupa Gerusalemme ed il popolo è deportato a
Babilonia (598-538). E’ un grande scandalo per la fede del popolo di Israele: “Come mai è successo
questo? Noi siamo il popolo eletto eppure viviamo questo dramma della deportazione!” Sorgono così
tante domande: Come mai esiste il male? Perché gli uomini peccano? Ma è colpa di Dio? Perché...? Sono le
domande che vengono anche a noi. Quando il male ci colpisce ci chiediamo: come mai? Gli autori
del libro della Genesi cercano nel passato le ragioni di quello che sta succedendo e le raccontano con
il linguaggio che è loro proprio. Non inventano nulla. Questi uomini di Israele compongono questo
testo ispirato, è lo Spirito Santo stesso che accompagna tutta la storia della salvezza dalle origini
fino a quando tornerà Cristo glorioso, risorto e concluderà la storia. Fino a quel tempo lo Spirito
Santo guiderà la storia, ma la sua opera è cominciata quando è comparso l’uomo sulla terra, anzi,
prima ancora, fin dall’inizio della Creazione.
Gli autori dei Libri della Bibbia sono sì ispirati, ma sono veri autori, che raccontano a modo loro gli
avvenimenti. Dio compie la sua Rivelazione attraverso la libertà dell’uomo. La Genesi racconta
perciò con categorie del tempo in cui è stata scritta qualcosa che altrimenti non sarebbe narrabile. Il
genere usato è quello dell’ “eziologia metastorica”. Si cerca cioè di spiegare le cause di quello che
succede adesso, rifacendosi ad un linguaggio che non è storico-cronachistico. Non sono mai esistiti
Adamo ed Eva esattamente come li descrive la Genesi, non c’è mai stato un serpente su un albero,
né c’è mai stato l’albero del Bene e del Male. Non sono mai esistiti l’Eden e l’arca di Noè. E’ solo un
modo di raccontare qualcosa che non si potrebbe spiegare altrimenti, perché fa parte del mistero
dell’origine dell’uomo, della sua libertà, della storia, dell’universo. Eppure dietro queste immagini
c’è una profonda verità, rivelataci da Dio stesso. E’ reale ciò che è accaduto e che viene descritto da
immagini, da simboli. Per cui ogni volta che diremo “quando Dio crea l’uomo”, non stiamo
riferendoci ad un momento storico preciso che possiamo indicare con una cronologia ma un luogo
nel suo vero senso. Ma come conciliare il dato rivelato con la scienza? Quello che dice la scienza che
valore ha rispetto a quello che noi crediamo? L’uomo viene dalla scimmia seguendo un percorso
evolutivo? La Genesi dice che Dio ha creato l’uomo. Dobbiamo innanzitutto dire che la Genesi, la
Bibbia (non solo la Genesi, ma anche molti libri sapienziali e profetici: Ger 27,4 ss; Is 22,11 ss; Sal
138,13; Pro 8,22; Gb 10,8), la Rivelazione intera, non hanno la pretesa di dire come siano nati il cosmo
e l’uomo, dal momento che questo è compito della scienza; piuttosto intendono dire il perché,
annunciarne il senso. Un fatto non è mai un fatto-tutto-in-sé, come vorrebbe la scienza oggi... Ogni
fatto è l’oggetto più l’interpretazione soggettiva di esso; certo non si può pensare che la scienza dica
come avvengono le cose, la Scrittura perché e che questi due elementi restino completamente staccati
l’uno dall’altro. Ma cominciamo a prendere in esame alcune teorie sulla nascita del cosmo e
dell’uomo. All’inizio è stata la filosofia a tentare di spiegare le nostre origini (Platone, Aristotele,
Dualismo, Monismo...). Pensiamo alle teorie cosmologiche. C’era chi immaginava all’origine
dell’universo due principi opposti: il bene ed il male, il caldo ed il freddo. C’era chi adottava la teoria
monistica secondo la quale tutto l’universo fa parte di Dio, c’era invece chi aveva posto Dio da una
13
parte e la materia dall’altra. Successivamente è stata la scienza a tentare di comprendere come può
essere nato il cosmo. La teoria più famosa è quella di Lamaitre (1930): il Big-Bang. Secondo questa
teoria, da un iniziale punto molto piccolo e denso di energia sarebbe nato l’intero universo, mediante
un’esplosione avvenuta 15 miliardi di anni fa circa. Questa teoria è credibile: durante un esperimento
sulle comunicazioni telefoniche si è scoperto un rumore fossile nell’universo, rilevabile da una
radiazione residua di 2,7 °K (lunga 3,7 cm), che potrebbe essere ciò che è rimasto dei 10 15 °K iniziali
dell’esplosione di 15 miliardi di anni fa (avvenuta in un decimo di milionesimo di miliardesimo di
miliardesimo di miliardesimo di secondo: 10 -34 secondi). Una sorta di eco dell’esplosione iniziale.
Secondo questa teoria l’universo è in continua espansione, sta rallentando sempre di più ma
continua ad espandersi. Secondo altre teorie il processo di espansione terminerà e l’universo si
contrarrà nuovamente. Ci sono tante ipotesi, pensate agli studi di Stephen Hawking. Pio XII in
un’allocuzione all’accademia delle scienze nel 1951 spiegò che se la teoria del Big Bang si fosse
dimostrata vera, questo non sarebbe stato in contrapposizione con la fede: gli scienziati avrebbero lo
stesso potuto considerare Dio come Creatore che fa partire il Big-Bang. La ragione, infatti, può
conoscere che c’è un inizio nell’universo (sia esso il Big Bang o la scienza si spinga ancora più
indietro nel tempo): ad ogni effetto corrisponde una causa. Non si può andare a ritroso in modo
illimitato, ci si deve fermare ad un punto, ad un’origine non causata, una causa iniziale. Ma questo
non basta per noi cristiani, non è sufficiente credere che il mondo viene da qualcosa. La Rivelazione
si assume l’onere di dare un volto a questo inizio. La Genesi non si limita a dire che c’è un inizio,
ma dice che questo inizio è libero, è volontario. E’ una Persona che dà origine all’universo. Il Dio
biblico non è un Semplice-inizio. Tutta la storia, Gesù compreso, dice quanto tutto ciò che esiste
viene non dal nulla, non da una causa cieca, ma da un Creatore volente e libero. Israele conosce le
cosmologie delle culture vicine, da cui la Genesi eredita l’idea di creazione (Westermann). Ma dopo
la creazione Dio come governa il mondo? La teologia medioevale, rifacendosi alla filosofia greca
(Aristotele), cerca di spiegare come questo avviene parlando di cause prime e cause seconde. Dio
non solo “fa partire” il mondo ma anche lo sorregge, lo governa, lo trae istante per istante dal nulla,
ma tutto questo non direttamente come causa prima, ma per mezzo delle cause seconde. Le cause
prime sono quelle dirette, le cause seconde agiscono in modo indiretto. La creazione dal nulla viene
tematizzata più chiaramente con S. Agostino. Dire che Dio crea dal nulla significa attestare la sua
assoluta libertà, indipendenza. Significa anche che non c’è alcun intermediario tra Dio e la materia.
Perché la difficoltà era proprio nel conciliare Dio - che è tutto quello che non è materiale, non ha
spazio, non ha forma - con quello che esiste in concreto nel mondo.
La Rivelazione annuncia che l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio, ma in che senso se
Dio non ha forma? Noi siamo abituati ad ascoltare questa frase, ma cosa vuol dire? Un famoso
teologo protestante, Barth, rilegge Gen 2,4b (testo più antico rispetto a Gen 1) in parallelo con gli
schemi dell’alleanza. Nella Bibbia compaiono più volte delle alleanze tra Dio ed il popolo e questo
testo ha una forma che è simile ad uno schema dell’alleanza.
Rispetto a tutte le altre creature l’uomo è l’unico che Dio ha voluto per sé (GS 12; CCC 356); ovvero
non è una cosa fra le cose, ma è capace di autocoscienza e decisione libera. È una persona, capace di
relazione con le altre persone. In questo sta la immagine-somiglianza con Dio: non siamo una cosa
inglobata nelle leggi del cosmo (pensate all’evoluzione che porta alla presenza dell’uomo: circa 3
miliardi di anni), ma abbiamo coscienza, libertà, possiamo interpretare questo nostro essere al
mondo dandogli un senso. Nel secondo racconto biblico della creazione (Gen 2,4a-25) l’uomo (adam)
è tratto dalla polvere (adamah), in cui Dio soffia il suo alito di vita (neshamah), che lo rende un essere
vivente (nefesh). Ciò che fa la differenza tra noi e le altre creature è lo spirito, la capacità di essere
liberi, di attribuire un significato al fatto che siamo qualcosa.
I Padri della Chiesa hanno da subito affermato decisamente la destinazione relazionale dell’uomo:
creato per entrare e vivere in comunione con Dio. L’uomo, anima e corpo, è orientato alla beatitudine
eterna. Dire che l’uomo è ad immagine e somiglianza di Dio è riferito proprio a questi due elementi:
l’uomo è capace di attribuire un senso a ciò che esiste, è una creatura libera, non inserita nella
sequenza delle cause ed è destinato ad entrare in relazione con il suo Signore. Solo partendo da
questa premessa si può parlare dell’uomo come corpo, anima e spirito. L’essere dell’uomo come
anima e la destinazione ad entrare in comunione con Dio sono due cose coincidenti. Per il fatto che
14
Dio vuole entrare in comunione con noi ci crea in un determinato modo. E l’anima è appunto la
capacità di entrare in dialogo con Dio. Lo Spirito poi è la realizzazione di questa potenzialità.
Questo ci fa pensare che l’uomo “semplicemente naturale” non è mai esistito, ma è solo una
categoria necessaria per dire della gratuità della comunicazione dello Spirito.
La predestinazione dell’uomo è una sola (Sir 17,1; Sap 2,23; 1Cor 11,7; 2Cor 4,4; Ef 3,1-7): “Benedetto sia
Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in
Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella
carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua
volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la
redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia”.
L’uomo così appare come il vertice della creazione, il punto in cui il creato diventa cosciente e
capace di risposta libera a Dio, capace di relazione. La relazione non è un appendice della natura
umana, ma l’espressione più piena dell’essere persona. L’uomo è orientato ad una crescente
relazionalità, all’uscire da se stesso per entrare in dialogo con il cosmo, con i suoi simili ed,
ultimamente, con Dio. La Scrittura racconta questo fatto nell’emblematico racconto della creazione
della donna: tratta dall’uomo perché fosse un aiuto a lui simile.
2.2 Commento patristico di Gen 1,26
Soffermiamoci intorno ad alcune riflessioni patristiche di Gen 1, 26-27:
“E Dio disse:
facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza
e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame,
su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.
Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò”.
Proprio questi versi sono, probabilmente, quelli più commentati dai Padri nell’Antico Testamento.
La dottrina della creazione dell’uomo a immagine di Dio è il fondamento dell’antropologia
patristica; la menzione di questa somiglianza con Dio giustifica il destino della sua santificazione e
glorificazione. Su questa base comune i Padri sviluppano il testo in modi, però, differenti. Molti
interpretano il fatto che Dio si rivolga a se stesso al plurale come un riferimento alla Trinità e tra
questi Prudenzio.
Lo storico ispirato Prudenzio, afferma chiaramente che all’alba della terra il Padre non da solo né
senza Cristo formò la sua nuova creazione:
“Dio plasmò l’uomo e gli diede il volto di Dio. Che altro si può dire se non che egli non fu solo e che Dio fu
al fianco di Dio quando il Signore fece l’uomo ad immagine del Signore?”10.
Gran parte dei Padri antichi e dei Padri greci successivi considerano l’immagine, secondo la quale
l’uomo viene creato, come Cristo stesso, tanto che l’essere umano viene definito un’immagine
dell’immagine; afferma Clemente Alessandrino:
“Infatti l’immagine di Dio è il suo Verbo (e il Verbo divino, la luce che è l’archetipo della luce, è un vero
figlio della Mente [Padre]); e un’immagine del verbo è il vero uomo, cioè la mente dell’uomo, che in questo
senso è detta essere stata creata a immagine di Dio e a sua somiglianza, poiché attraverso il suo cuore
comprensivo, egli è fatto come il verbo divino o Ragione [Logos], e così razionale [logikós]”11.
Un po’ meno macchinoso appare il pensiero di Mario Vittorino:
“ Mosè dice ciò che fu detto da Dio: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. Dio dice questo.
Dice: Facciamo come ad un cooperatore, necessariamente Cristo. E dice: a immagine. Pertanto l’uomo non
10
11
Prudenzio, Apoteosi 302.
Clemente Alessandrino, Protrettico 10, 98, 4.
15
è l’immagine di Dio, ma è a immagine, cioè immagine dell’immagine. Ma dice: a nostra immagine.
Pertanto sia il Padre che il Figlio sono un’unica immagine”12.
Fra gli autori greci esiste generalmente una distinzione tra l’immagine e la somiglianza: l’uomo è
creato secondo l’immagine e il suo destino nella libertà è quello di ottenere la somiglianza con Dio;
così Origene:
“Nel riferire la creazione dell’uomo, Mosè prima di ogni altro dice: E Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra
immagine e somiglianza. Poi di seguito aggiunge: E Dio fece l’uomo; a immagine di Dio lo fece; maschio e
femmina li fece e li benedisse. Il fatto che egli dica: a immagine di Dio lo fece, mentre non fa menzione
della somiglianza, non ci suggerisce altro che questo, cioè che l’uomo riceve l’onore dell’immagine di Dio
nella sua prima creazione, mentre la perfezione della somiglianza a Dio era riservata a lui solo alla fine dei
tempi. Lo scopo di ciò è che l’uomo acquisisca tale somiglianza per mezzo dei suoi sforzi di imitare Dio, in
modo che, mentre la possibilità di raggiungere uno stato di perfezione gli era stata data fin dal principio
grazie all’onore dell’immagine, egli possa però alla fine, per mezzo delle opere da lui compiute, ottenere per
se la perfetta somiglianza”13.
Un’altra interessante posizione è sostenuta da Diadoco traduce la distinzione imponendo la libertà
come elemento discriminante:
“Tutti noi uomini siamo ad immagine di Dio; ma l’essere a sua somiglianza è solo di coloro che con grande
amore hanno asservito la loro libertà a Dio. Quando infatti non siamo più nostri ma di Dio, allora siamo
simili a colui che ci ha trasformati in se per amore. Ma tale meta nessuno raggiungerà, se non indurrà la
propria anima a non lasciarsi muovere dalla povera gloria del mondo”14.
Agostino, invece, suppone che l’anima umana sia direttamente creata a immagine di Dio e, di
conseguenza, essa è immagine del Dio trino, pertanto, la sua caratteristica è quella di essere
intrinsecamente trinitaria:
“In che senso nostra infatti, dato che il Figlio è immagine soltanto del Padre? È a motivo, come abbiamo
detto, di una rassomiglianza imperfetta, che l’uomo è detto a immagine e si aggiunge nostra perché l’uomo
fosse immagine della Trinità, come il Figlio al Padre, ma accostandosene per una certa rassomiglianza,
come abbiamo detto, nel modo in cui degli esseri lontani sono vicini non per contatto spaziale, ma per
imitazione”15.
Essendo intrinsecamente trinitaria, l’anima, dunque, possiede la capacità di godere direttamente
della presenza di Dio in sé:
“Certamente non tutto ciò che nelle creature è, in qualche modo, simile a Dio si deve chiamare anche
immagine di Lui; ma quella sola alla quale Egli solo è superiore. Perché l’immagine, che è espressione
diretta di Lui, è quella tra la quale e Lui stesso non si interpone alcuna creatura”16;
“Infatti Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. E poco dopo è detto: E Dio fece
l’uomo ad immagine di Dio. La parola nostra, essendo un plurale, sarebbe impropria, se l’uomo fosse stato
fatto a immagine di una sola persona, sia quella del Padre, del Figlio o dello Spirito Santo. Ma poiché
veniva fatto ad immagine della Trinità, per questo si ha l’espressione: ad immagine nostra. Al contrario,
per evitare che ritenessimo dover credere che ci sono tre dei nella Trinità, dato che questa stesso Trinità è
un solo Dio, la Scrittura dice: E Dio fece l’uomo ad immagine di Dio; come se dicesse: a sua [Trinità]
immagine”17.
Sulla stessa linea trinitaria è il pensiero di Fulgenzio di Ruspe, il quale, però, aggiunge la
specificazione dell’accezione di immagine, riferita, secondo questo Padre della chiesa, all’essenza di
Dio trino, ossia alla sua ousia:
“Pertanto riteniamo che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano per natura un unico Dio; ma né il Padre
è ciò che è il Figlio, né il Figlio è ciò che è il Padre, né lo Spirito Santo è ciò che è il Padre o il Figlio.
Infatti l’essenza, ciò che i greci chiamano ousia, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è una, e in tale
12
Mario Vittorino, Contro Ario, IA.20.
Origene, Sui Principi, 3, 6, 1.
14 Diadoco, Cento considerazioni, 4.
15 Agostino, La Trinità, 7, 6,12.
16 Ibid., 11, 5, 8.
17 Ibid., 12, 6, 6.
13
16
essenza il Padre non è una cosa, e il Figlio un’altra e lo Spirito santo ancora un’altra, sebbene nella
persona il Padre sia differente, il Figlio differente e lo Spirito Santo differente. Tutto ciò ci viene
dimostrato nella maniera più evidente all’inizio della Sacra Scrittura, quando Dio dice: Facciamo l’uomo a
nostra immagine e somiglianza. Quando, usando il singolare, dice immagine, mostra che la natura è una,
nella cui immagine l’essere umano fu fatto. Ma quando dice nostra al plurale, mostra che lo stesso Dio
nella cui immagine l’essere umano fu fatto non è uno nella persona. Infatti se in quella unica essenza del
Padre, Figlio e Spirito Santo ci fosse stata un’unica persona, non si sarebbe detto a nostra immagine, ma a
mia immagine; né si sarebbe detto Facciamo, ma Farò. Se in realtà queste tre persone tre sostanze
dovevano essere comprese o credute, non si sarebbe detto a nostra immagine ma piuttosto secondo le nostre
immagini, perché non ci sarebbe potuta essere un’unica immagine per tre nature ineguali. Ma mentre
l’essere umano è detto essere fatto secondo l’unica immagine dell’unico Dio, la divinità della Santa Trinità
è annunciata in un’unica essenza. Subito dopo, in luogo di ciò che aveva detto sopra: Facciamo l’uomo a
nostra immagine e somiglianza, la Scrittura ci parla della creazione dell’essere umano in questo modo: E
Dio creò l’uomo a sua immagine; nell’immagine di Dio lo creò”18.
Per quanto riguarda l’elemento che costituisce l’immagine di Dio nell’uomo, Ireneo sostiene che
esso comprende sia l’aspetto corporeo che quello spirituale e che tale co-assimilazione di questi due
aspetti sono portati a termine per mezzo dell’incarnazione del Verbo:
“In tempi passati, è vero, l’uomo fu detto essere stato fatto secondo l’immagine di Dio, ma non fu rivelato
come tale. Infatti il Verbo, secondo la cui immagine l’uomo fu creato,era ancora invisibile. Pertanto anche
l’uomo perse facilmente la sua somiglianza. Infatti da una parte mostrò nella realtà l’immagine diventando
ciò che era la sua immagine; dall’altra stabilì fermamente la somiglianza per mezzo della co-assimilazione
dell’uomo al Padre invisibile attraverso il Verbo visibile”19.
Tuttavia, non sono pochi i Padri della chiesa nei quali si trova l’idea che l’uomo sia assimilato alla
somiglianza divina soltanto nella sua dimensione spirituale:
“Quindi questo uomo, che (la Scrittura) dice fatto a immagine di Dio, non lo intendiamo in quanto
corporeo: giacché non la figura del corpo contiene l’immagine di Dio, né e detto dell’uomo corporeo che è
stato fatto, bensì plasmato, come sta scritto in seguito. Dice infatti: E Dio plasmò l’uomo, cioè la modellò,
dal fango della terra (Gn 2, 7); questo poi, che è stato fatto ad immagine di Dio, è il nostro uomo interiore,
invisibile, incorporeo, incorruttibile, immortale: in tali aspetti, infatti, si vede più convenientemente
l’immagine di Dio. Se invero qualcuno ritiene che sia stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio questo
uomo corporeo, sembra indurre che Dio stesso sia corporeo e di forma umana: concetto di Dio
manifestamente empio”20;
“Postolo in mezzo ai fratelli, gli chiese come la Chiesa di tutto l’Oriente interpretassero ciò che è detto
nella Genesi: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. Allora spiegò che l’immagine e
somiglianza di Dio erano considerate da tutti i capi delle Chiese non secondo l’umile suono della lettera,
ma in modo spirituale, e provò ciò con un lungo discorso e molti esempi dalla Scrittura, mostrando che
nulla dell’immagine materiale può avere a che fare con quell’incommensurabile e incomprensibile e
invisibile maestà, poiché essa non poteva essere circoscritta in una forma e somiglianza umana, e che una
natura che era incorporea e non composta e semplice non poteva essere percepita dagli occhi o afferrata
dalla mente”21;
“Ma spieghiamo con maggiore precisione cosa sia a immagine di Dio. Forsi il corpo è a immagine di Dio?
Dunque in Dio c’è terra, perché il corpo è terra; dunque Dio è materiale, dunque è debole come il corpo è
soggetto alle passioni. Forse il capo potrà sembrarti a somiglianza di Dio perché sta in alto o gli occhi
perché vedono o gli orecchi perché odono. Se badi alla stature, sembriamo forse alti, perché con la sommità
della testa ci innalziamo un po’ sopra la terra? Ma non provi vergogna che si dica che siamo simili a Dio
perché siamo più alti di statura dei serpenti e di altri rettili o delle gazzelle o delle pecore o dei lupi? Sotto
questo aspetto quanto sono più alti di noi i cammelli e gli elefanti! È davvero una capacità straordinaria
quella vista che ci consente di contemplare gli elementi di cui è fatto il mondo, di conoscere le cose che
nessuno ti comunica, ma che il tuo sguardo riesce a cogliere; ma quant’è quel che vediamo per dire che per
esso noi siamo a somiglianza di Dio che vede tutto, contempla tutto, coglie i sentimenti nascosti, scruta i
segreti del cuore? E non hai vergogna a parlare così, dal momento che non posso vedere interamente me
18
FULGENZIO DI RUSPE, A Pietro sulla Fede, 5.
Ireneo, Contro le Eresie, 5, 15, 1.
20 Origene, Omelie sulla Genesi, 1, 13.
21 Giovanni Cassiano, Conferenze, 10, 3, 2-3.
19
17
stesso? Vedo ciò che mi sta davanti ai piedi, non posso vedere ciò che sta alle mie spalle. Non so come sia
fatta la parte posteriore della mia testa, non so come sia la mia nuca, non posso vedere le mie reni.
Ugualmente quant’è bello che udiamo, dal momento che non posso vedere e udire ciò che è a qualche
distanza? Se si frappongono le pareti, è impedita la vista, è impedito l’ascolto. Inoltre il nostro corpo
rimane fisso in un sol luogo, è ristretto in uno spazio limitato; tutte le fiere esigono maggiore spazio
dell’uomo, tutte sono anche più veloci. Dunque il corpo non può essere ad immagine di Dio, bensì l’anima
nostra, che libera vaga qua e là con i suoi pensieri e i suoi propositi, che tutto contempla con le sue
riflessioni. Ecco, ora noi siamo in Italia e pensiamo a quelle cose che sembrano riguardare le regioni
occidentali e orientali e ci sembra di intrattenerci con loro che si trovano in Persia e vediamo quelli che
vivono in Africa, se quella terra ospita persone da noi conosciute; li seguiamo mentre partono, li
accompagniamo nei loro viaggi, ci uniamo a loro sebbene siano lontani, rivolgiamo loro la parola sebbene
siano separati da noi; risuscitiamo persino i nostri morti per parlare con loro, li abbracciamo stretti stretti
come se fossero vivi e usiamo loro le consuete attenzioni come a persone viventi. È dunque a immagine di
Dio la nostra anima che non si valuta per la forza fisica, ma per quella dello spirito, che vede gli assenti,
raggiunge con la vista le regioni al di là del mare e le percorre con lo sguardo, scruta le zone nascoste, in un
istante porta in giro qua e là i suoi sentimenti per i confini di tutta la terra e per i luoghi più appartati del
mondo. Essa si unisce a Dio, si accompagna a Cristo, discende sotto terra e ne risale e dimora libera nel
cielo. Ascolta infine la Scrittura che dice: La nostra dimora è nei cieli (Fil 3, 20). Non è ad immagine di
Dio quella in cui Dio abita sempre? Ma ascolta perché è a immagine di Dio. Dice infatti l’apostolo: Noi
tutti dunque, riflettendo senza veli sul nostro volto la gloria del Signore, veniamo trasformati secondo
quella medesima immagine di gloria in gloria dallo Spirito del Signore (2Cor 3, 18)”22.
Un’altra interessante impostazione dell’argomento è posta da Sahdona, secondo il quale la
somiglianza al divino assume una connotazione prevalentemente etica, in quanto soltanto quando
l’uomo è rinnovato nella fede cristiana può acquisire tale somiglianza:
“Ci sono le virtù che l’uomo acquisisce considerando e controllando i propri sensi. Egli si spoglia dell’uomo
vecchio, che si era corrotto nelle spire del suo errore (Ef 4, 22), e si riveste del nuovo, che è rinnovato nella
conoscenza dell’immagine del suo creatore (Col 3, 10), e diventa come una effige completa, somiglianza e
immagine del suo Dio. Come un sacrificio vivente, degno e gradito a Dio, egli impegna il suo corpo per il
suo servizio razionale. Consacra e, in un certo senso, presenta a Dio i voti e le offerte di tutte le sue
membra, e offre sacrifici adatti all’azione della grazia, che sono i frutti delle labbra di coloro che
confessano il suo nome celebrando incessantemente Dio nel corpo e nell’anima, Dio a cui appartengono ora
come definitive oblazioni”23.
Un punto di vista particolare viene espresso da Potamio di Lisbona, il quale vide il corpo materiale
dell’uomo come una rappresentazione completa della Trinità:
“Al fine che l’unità della maestà trina e il suo marchio potessero incontrare la nostra comprensione, la
maestà divina stessa afferma: Facciamo l’uomo a nostra immagine e secondo la nostra somiglianza. Vedi!
Ha dimostrato ciò che noi crediamo. Dio ha impresso la sua immagine sul volto dell’uomo e ha detto: a
nostra immagine. La conoscenza del Padre e del Figlio è impressa sul volto dell’uomo; e i lineamenti stessi
del suo volto, per mezzo dell’argilla di cui siamo formati, rilevarono nel modello umano originario come
erano il Padre e il Figlio, così che l’uomo potesse ammirare Dio nell’uomo”24.
In generale la somiglianza dell’uomo con Dio si riferisce sia al nostro rapporto con Dio sia al nostro
essere collocati al di sopra dell’ordine creato; è questo che costituisce il nostro stato di regalità e si
manifesta nel nostro possesso della ragione che ci fa desiderare Dio, nella nostra libertà, nella nostra
immortalità, virtù e giustizia:
“Aggiungiamo pure che la creazione [dell’uomo] nell’immagine della natura che governa ogni cosa
dimostra precisamente che egli ha dall’inizio una natura regale. Come infatti, secondo l’uso umano, coloro
che costruiscono immagine dei potenti plasmano il tratto della forma e descrivono con vestimenti di
porpora la dignità regale e a causa della rassomiglianza per abitudine anche l’immagine si chiama il re,
così anche l’umana natura, poiché era formata per il governo delle altre creature, per somiglianza con il re
di tutto, fu fatta come un’immagine vivente che ha comunanza con il suo archetipo per la dignità e per il
22
Ambrogio, I sei giorni della creazione, 6, 8, 44-45.
Sahdona, Libro della perfezione, 3, 145.
24 Potamio di Lisbona, Epistola sulla Sostanza, 256-64.
23
18
nome. Non è ornata di porpora, né significa la sua dignità per mezzo di scettro o diadema (l’archetipo,
infatti, non sta in queste cose), ma al contrario è rivestita della virtù che è il più regale di tutti i vestimenti
e invece che lo scettro si appoggia sulla beatitudine dell’immortalità, invece che del diadema regale è
ornata della corona della giustizia, di modo che tutto in essa manifesti la sua dignità regale per la precisa
somiglianza con la bellezza dell’archetipo”25;
“Dio crea l’uomo per nessun’altra ragione che il fatto che Dio è buono; ed essendo tale, ed avendo tale
ragione per essersi dedicato alla creazione della nostra natura, non ha voluto mostrare il potere di questa
bontà in modo imperfetto, dando alla nostra natura alcune delle cose a sua disposizione, e negandoci una
partecipazione in altre: ma la forma perfetta di bontà è qui in evidenza nel fatto che egli ha creato l’uomo
dal nulla e l’ha provvisto di tutti i beni. Ma siccome la lista dei beni individuali è molto lunga, è fuor di
questione stilarla numericamente. Il linguaggio della Scrittura, pertanto, la esprime concisamente con una
frase pregnante, dicendo che l’uomo è a immagine di Dio, poiché questo è come dire che egli fece
partecipare la natura umana ad ogni bene; infatti, se la Divinità è la pienezza del bene, e questa è la sua
immagine, allora l’immagine trova la sua rassomiglianza all’archetipo nell’essere riempita di tutto il
bene”26;
“Poiché queste cose stanno così, dalla natura visibile e da quella invisibile Dio crea l’uomo con le sue
proprie mani, a sua immagine e somiglianza, plasmando il corpo dalla terra e dandogli, attraverso il suo
soffio, un’anima razionale e intelligente, il che noi chiamiamo appunto immagine divina: infatti,
l’espressione a sua immagine indica l’intelligente e il libero, quello a sua somiglianza indica la somiglianza
della virtù per quanto è possibile”27;
“Questo ci mostra che Dio poteva dare vita non solo ad una natura vicina alla sua, ma anche ad una del
tutto estranea a lui. Infatti sono vicine alla Divinità quelle nature che sono intellettuali e possono essere
comprese solo con la mente; ma tutte quelle che possono essere viste solo coi sensi sono del tutto estranee ad
essa, e fra queste quelle più lontane sono tutte quelle che sono completamente prive di anima e di capacità
di movimento. La mente, quindi, e i sensi, distinti così l’una dagli altri, erano rimasti nei loro limiti e
portavano in sé la magnificenza del Creatore-Verbo come silenziosi ammiratori e straordinari messaggeri
della sua potente opera. Non c’era ancora mescolanza di questi due principi, né alcuna mistura di questi
opposti, pegni di una più grande sapienza e generosità nella creazione delle nature; né ancora erano state
rese note tutte le ricchezze del bene. Ora il Creatore-Verbo, stabilendo di esibire ciò e di produrre un
singolo essere da entrambi questi principi (cioè la creazione visibile ed invisibile), crea l’uomo; e prendendo
da un corpo da una materia già esistente, e ponendo in esso un soffio preso da sé (che il Verbo sapeva
essere un’anima intelligente e l’immagine di Dio), come una sorta di secondo cosmo grande nella sua
piccolezza, lo collocò sulla terra, un nuovo angelo, un adoratore misto pienamente iniziato alla creazione
visibile ma solo parzialmente a quella intellettuale; re di tutta la terra ma soggetto al Re celeste; terrestre e
celeste; temporaneo e insieme immortale; visibile e insieme intellettuale; a metà fra grandezza e piccolezza;
combinando in una sola persona lo spirito e la carne: spirito per il favore a lui concesso, carne per l’altezza
a cui era stato sollevato; l’uno affinché potesse continuare a vivere e glorificare il suo benefattore; l’altra
affinché potesse soffrire e mediante la sofferenza potesse ricordare ed essere corretto se fosse divenuto
arrogante nella sua grandezza; una creatura vivente, istruita qui e poi spostata in un altro luogo; e per
completare il mistero, resa divina dalla sua inclinazione verso Dio”28.
La posizione intorno alla differenza dei sessi è trattata dai Padri con singolare acutezza e, senza il
timore di esagerare, con un velato sofismo che in alcuni, come in Giovanni Crisostomo, assume una
mirabile costruzione logica che marca la differenza senza alterare eccessivamente una sopportabilità
ontologica di entrambi:
“Altri si basano sui nostri argomenti asserendo che Dio possiede un’immagine in comune con noi, ma non
capiscono correttamente quanto è stato detto. Noi non parlavamo di un’immagine di essere, ma di
un’immagine di comando, come spiegheremo più in basso. Infatti, come prova del fatto che la divinità non
ha forma umana, ascolta le parole di Paolo: Per un uomo non è lecito avere la testa coperta, dal momento
che è immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell’uomo. Per questo – egli dice – la donna deve
portare un velo sulla testa (1Cor 11, 6). E in verità in questo passo egli ha chiamato immagine questa
assenza di differenza di forma nei confronti di Dio, e l’uomo è chiamato immagine di Dio perché anche Dio
possiede questo aspetto: secondo loro, dunque, non si dovrebbe dire che solo l’uomo è immagine di Dio, ma
25
Gregorio di Nissa, Sull’opificio dell’uomo, 4.
Ibid., 16, 10.
27 Giovanni Damascno, La fede ortodossa, 2, 12.
28 Gregorio di Nazianzo, Or. 45, seconda sulla Pasqua, 6-7.
26
19
anche la donna. Infatti uomo e donna hanno in comune un medesimo aspetto, carattere e rassomiglianza.
Perché allora l’uomo è chiamato immagine di Dio , mentre la donna non lo è? Perché Paolo non si riferisce
all’immagine che appare nelle forma, ma all’immagine che concerne il comando, che fu data all’uomo, e non
alla donna. L’uomo infatti è soggetto a nessuna creature, mentre la donna è soggetta all’uomo, in accordo
con le parole di Dio: I tuoi movimenti saranno verso tuo marito ed egli ti comanderà (Gn 3, 16). Questo è
il motivo per cui l’uomo è l’immagine di Dio. Egli non ha creature sopra di lui, non c’è nessuno sopra Dio;
comanda su ogni cosa. La donna, invece, è la gloria dell’uomo, perché è soggetta all’uomo”29.
Sia l’uomo che la donna, comunque, sono creati ad immagine di Dio; questo terreno comune
esprime unanime consapevolezza ontologica, ma con tratti diversi. Per Gregorio di Nissa, l’immagine
divina trascende la differenza dei sessi:
“Ricerchiamo, dunque, con acribia su queste parole e troveremo che altro è ciò che è secondo l’immagine e
altro ciò che si mostra nel presente affanno: Dio disse: “Facciamo l’uomo”, ad immagine di Dio lo fece. Ha
qui la sua perfezione colui che è stato creato secondo l’immagine. Poi la Scrittura riprende il discorso
intorno alla creazione: maschio e femmina li creò. Da tutti, infatti, ritengo sia conosciuto che è fuori del
prototipo. In Cristo Gesù, come dice l’Apostolo, non c’e né maschio né femmina (Gal 3, 28). Ma la
Scrittura dice essere l’uomo diviso in queste due situazioni. Dunque duplice è la creazione della nostra
natura, quella che è ad immagine di Dio e quella che è divisa in queste diversità. Questo suggerisce il
discorso con l’ordine stesso degli argomenti. Dicendo per prima cosa: Fece l’uomo, secondo l’immagine di
Dio lo fece, e aggiungendo poi le parole: maschio e femmina li creò, è chiaro che ciò è estraneo alle cose che
si conoscono intorno a Dio”30.
La complementarietà riconosciuta del maschio e della femmina è rappresentata in diversi modi: la
femmina era già nel maschio quando Adamo fu creato e costituiva in lui un’unica creatura dotata di
spirito, simboleggiato dal maschio, e anima, rappresentata dalla parte femminile:
“Le parole: Maschio e femmina li creò stanno a significare che Eva era già in Adamo, cioè dalla costola da
cui fu estratta. Sebbene ella non fosse in lui come mente, lo era come corpo. E non solo era con lui come
corpo, ma anche come corpo e anima: Dio non aggiunse nulla alla costola che estrasse tranne l’ornamento e
la struttura. E se tutto ciò che serviva ad Eva, che venne alla luce da quella costola, era completamente
nella costola e proveniva da essa, fu detto giustamente: Maschio e femmina li creò.”31;
“Il nostro corpo interiore consta di spirito e anima: si dice maschio lo spirito, l’anima si può denominare
femmina; se essi hanno mutua concordia e consenso, unendosi scambievolmente, crescono e si moltiplicano,
e generano figli: i buoni sentimenti, le idee e i pensieri utili, mediante i quali riempiono la terra e la
dominano; cioè assoggettano a se il sentimento della carne, lo volgono a migliori disposizioni, e lo
dominano, s’intende quando in nulla la carne insolentisce contro il volere dello spirito”32.
La Scrittura usa l’espressione maschio e femmina li creò, anticipando ciò che sarebbe accaduto in
seguito, dopo che la benedizione di crescere e moltiplicarsi, consenti agli esseri umani di riprodursi
attraverso l’unione del maschio e della femmina:
“Sembra conveniente, in questo punto, ricercare, secondo la lettera, come, non essendo ancora stata fatta la
donna, la Scrittura dica: Li fece maschio e femmina. Forse, penso io, a motivo della benedizione, con cui li
ha benedetti, dicendo: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra, prevedendo quel che sarebbe accaduto,
dice: Maschio e femmina li fece, giacché in verità l’uomo non poteva crescere e moltiplicarsi senza la
donna. Dunque, affinché si credesse che la sua benedizione senza dubbio si sarebbe attuata, dice: Maschio
e femmina li fece. In questo modo l’uomo, vedendo che il crescere e moltiplicarsi conseguiva dal fatto che
gli veniva unita la donna, poteva avere una speranza più sicura nella benedizione divina. Infatti, se la
Scrittura avesse detto: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra, e dominate su di essa, non
aggiungendo: Maschio e femmina li fece, [l’uomo] sarebbe stato per lo meno incredulo della benedizione
divina”33.
29
Giovanni Crisostomo, Sermoni sulla Genesi, 2, 1.
Gregorio di Nissa, op. cit., 16.
31 Efrem, Commento sulla Genesi, 1, 29.
32 Origene, Omelie sulla Genesi, 1, 15.
33 Ibid., 1, 14.
30
20
Il parallelismo tra immagine e somiglianza e tra uomo e donna rivelano all’essere umano la sua duplice
natura che rivendica una coabitazione tra questi aspetti-elementi e che, in modo profondo e
riflessivo, da Giovanni Crisostomo è ritenuta - tale coabitazione - successiva alla caduta:
“Considera quando questo fatto avvenne. Dopo la loro disobbedienza, dopo la perdita del giardino, allora
l’unione carnale ebbe il suo inizio. Invece, come hai visto, prima della loro disobbedienza avevano avuto
un’esistenza simile a quella degli angeli, e non c’era stato accenno all’unione carnale. E come avrebbe
potuto esserci quando essi non erano soggetti ai bisogni del corpo? Fin dall’inizio, dunque, la verginità ebbe
la palma del primato; ma quando, attraverso la loro indifferenza, la disobbedienza entrò in scena e le vie
del peccato furono aperte, la verginità si dileguò per il fatto che si erano mostrati indegni di un tale grado
di beni, e al suo posto venne l’unione carnale per il futuro”34;
“Credo infatti, che delle parole della divina Scrittura ci sia data una grande ed elevata dottrina: essendo
due cose estremamente lontane tra loro, l’uomo è mezzo tra la natura divina e incorporea e la vita senza
ragione degli animali. E nel composto umano sono da vedersi i due ordini: del divino , la ragione e
l’intelligenza non ammettendo la distinzione tra maschio e femmina, e dell’irrazionale cui partecipa la
distinzione somatica divisa in maschio e femmina; l’uno e l’altro di questi caratteri sono integralmente
nella natura umana. Ma tiene il primo posto l’intelligenza, come abbiamo imparato, nell’ordine della
creazione dell’uomo ed è successiva la comunanza e la familiarità con l’irrazionale. […] Egli formò per la
nostra natura quell’impulso all’accrescimento che ben si adatta a coloro che erano caduti nel peccato,
impiantando nella razza umana, al posto della maestà angelica della natura, quel modo animale ed
irrazionale per mezzo del quale ora gli esseri umani succedono gli uni agli altri”35.
2.3 Commento patristico di Gen 2,7
Passiamo ora ad esaminare le riflessioni patristiche di Gen 2,7.
“[Queste le origini] del cielo e della terra quando vennero creati.
Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba
campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava
il suolo [e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo] – allora il Signore Dio plasmò
l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”.
Mosè ritorna a narrare come la creazione fu abbellita sin dall’inizio (Efrem). Cielo e terra
comprendono tutte le creature, sia spirituali che fisiche (Giovanni Crisostomo). La vegetazione
della terra e la pioggia possono essere viste come metafore del nutrimento e della crescita dell’anima
umana nel campo di questo mondo (Agostino), mentre la sorgente è un simbolo della grazia della
Trinità (Mario Vittorino).
Dio forma il corpo di Adamo dal fango mentre per le altre creature basta la Parola. Nella creazione
dell’uomo l’anima è mescolata con la polvere della terra (Gregorio di Nazianzo). L’anima è creata; la
carne è plasmata (Gregorio di Nissa); la grandezza e la fragilità dell’umanità si rivelano nell’atto di
soffiare un anima vivente nella polvere che forma un’unità vivente (Gregorio di Nissa, Giovanni
Crisostomo). Quando Dio soffia nelle narici dell’uomo, unisce l’anima al corpo e pone una parte
della sua grazia nell’uomo (Tertuliano, Agostino, Ambrogio, Gregorio di Nissa, Basilio), ma la
natura di Dio non viene trasfusa nell’anima umana (Agostino).
Ancora adesso, quando Dio ci forma nel seno materno, egli soffia su di noi come fece all’inizio
(Tertuliano); Gesù soffiò su di noi una seconda volta e perciò creò una nuova umanità (Agostino).
L’umanità non deve essere ridota ad un’esistenza animale (Gregorio di Nissa). L’anima umana
razionale fa uso – e non è vittima – delle membra e delle passioni del corpo.
L’anima non era preesistente alla creazione (Giovanni Damasceno).
Dio forma l’uomo dal fango …:
“Innanzi tutto, che Dio plasmò l’uomo dalla polvere della terra suole far sorgere il seguente
quesito: di che specie era quel fango o qual materia è indicata col nome di fango? Gli avversari
dell’Antico Testamento [i Manichei], poiché considerano tutto con occhio carnale, e perciò
34
35
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, 12, 4.
Gregorio di Nissa, op. cit., 16-17.
21
sbagliano sempre, sono soliti criticare aspramente che Dio plasmò l’uomo col fango. Dicono
infatti: Perché mai Dio fece l’uomo col fango? Gli mancava forse una materia più nobile e celeste,
per formarlo tanto fragile e mortale con la sozzura della terra? … Costoro non capiscono
innanzitutto in quanti sensi il termine terra o acqua è usato nelle Scritture; il fango infatti è una
mescolanza di acqua e di terra. Orbene, noi diciamo che il corpo umano divenne fiacco, fragile e
destinato alla morte solo dopo il peccato. Costoro infatti, riguardo al nostro corpo, hanno in orrore
soltanto la condizione per cui esso è soggetto alla morte, da noi meritata per castigo. Ora, anche se
Dio fece l’uomo col fango di questa terra, quale cosa straordinaria tuttavia o difficile sarebbe
stata per lui rendere il corpo dell’uomo tale da non essere soggetto alla corruzione, qualora l’uomo,
osservando i precetti di Dio, non avesse voluto peccare? Noi infatti diciamo che la bellezza dello
stesso cielo fu creata dal nulla o a partire dalla materia informe, poiché crediamo che il Creatore è
onnipotente; che c’è allora di strano se il corpo fu creato dall’Artefice onnipotente in modo che
nessuna molestia, nessuna indigenza tormentasse l’uomo prima del peccato e non si decomponesse
per causa di alcuna corruzione?”36
… formato con la polvere delle mani di Dio:
Quando vediamo gli scritti di Mosè descrivere come Dio prese la polvere dal suolo con le sue
mani al fine di plasmare l’uomo, cerchiamo di comprendere che cosa possa significare un tale
linguaggio. Significa questo: l’interezza di Dio aveva un interesse speciale nella creazione della
natura umana. Il grande profeta dichiara proprio questa cosa, poiché tutto il resto della creazione
era stato fatto per mezzo di un comando verbale. L’uomo invece fu fatto dalle mani di Dio 37.
La carne è plasmata e l’anima creata:
Dio fece la persona interiore e plasmò quella esteriore. Plasmare è adatta all’argilla, ma fare è
appropriato ad un’immagine. Così da una parte plasmò la carne e dall’altra fece l’anima38.
Come Adamo divenne un’anima vivente:
Era gradito all’amore di Dio [per l’umanità] che questo essere creato dalla terra avesse l’essenza
dell’anima razionale, attraverso la quale potesse diventare un essere vivente assoluto e perfetto. E
soffiò sulla sua faccia l’alito della vita, cioè il soffio comunicò a colui che era stato creato dalla
terra il potere della vita, e così la natura dell’anima fu formata. Perciò Mosè aggiunse: E l’uomo
divenne un anima vivente; colui che era stato creato dalla polvere, avendo ricevuto il soffio, cioè
l’alito della vita, divenne un’anima vivente. Che significa: un anima vivente? Un anima attiva,
che ha le membra del corpo come completamento delle sue attività, sottomesse al suo volere39.
Grandezza e piccolezza del genere umano:
Dio prese un po’ di polvere della terra e plasmò l’uomo: in questo modo ho trovato le due
affermazioni secondo cui l’uomo è nulla oppure è grande. Se consideri la natura in sé egli è nulla e
non ha valore, ma se tu osservi l’onore con cui è stato trattato, l’uomo è qualcosa di grande40.
Dio pone una parte della sua grazia nell’anima umana:
Ed egli soffiò nelle sue nari, cioè, pose nell’uomo un po’ della sua grazia, al fine per cui lui potesse
conoscere la somiglianza per mezzo della somiglianza. Nondimeno, essendo intanto onore per
essere stato creato ad immagine del creatore, viene onorato al di sopra dei cieli, al di sopra del
sole, al di sopra dei cori e delle stelle. Infatti quale mai dei corpi celesti è stato definito come
immagine di Dio l’Altissimo?41.
36
Agostino, La Genesi difesa contro i Manichei, 2,7,8.
Teodoreto di Cirro, Compendio sui miti degli eretici 5,9.
38 Gregorio di Nissa, Sulla creazione dell’uomo 2,44.
39 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, 12,5.
40 Gregorio di Nissa, Sulla … 2,42.
41 Basilio, Omelie sul salmo 48.
37
22
La natura di Dio non fu trasfusa nell’anima umana:
In conseguenza questo passo della Scrittura che dice: “Dio infuse in lui il soffio vitale e l’uomo
divenne un anima vivente” dobbiamo interpretarlo in modo di credere che quella – chiamiamola così
– parte della natura di Dio si fosse trasformata nell’anima umana … La natura di Dio è
immutabile, non erra e non è corrotta dalle macchie dei vizi e dei peccati … La scrittura dice
chiaramente che l’anima fu fatta da Dio onnipotente e che quindi non è parte di Dio o della natura
di Dio42.
Quando Dio ci forma nell’utero, soffia su di noi.
Leggi dunque la Parola di Dio detta a Geremia: “Prima che ti formassi nell’utero ti conobbi” (Ger
1,5). Se Dio ci forma nell’utero, soffia anche su di noi come fece all’inizio: E Dio formò l’uomo e
soffiò su di lui il soffio della vita. Infatti Dio non avrebbe potuto conoscere l’uomo nell’utero se non
fosse stato un uomo completo43.
L’umanità rigenerata per mezzo del soffio divino.
Dopo la sua resurrezione, invece, la prima volta che apparve ai suoi discepoli, il Signore disse loro:
“Ricevete lo Spirito Santo”. È in riferimento a questo fatto che l’evangelista dice: “Non era stato
ancora dato lo Spirito Santo, perché ancora Gesù non era stato glorificato. E alitò su di essi” (Gv
20,22), colui che col soffio animò le membra del corpo, mostrando col gesto di alitare loro in faccia,
di volerli rialzare dal fango e liberarli dalle opere del fango44.
Dio creò gli essere umani in modo diverso da come ha creato le altre creature!
[fin d’ora] il testo [Sacro] dice che Dio creò; qui dice come Dio creò. Se il versetto avesse
semplicemente detto che Dio creò, avresti potuto credere che egli creò l’umanità allo stesso modo
degli animali, delle bestie selvatiche, delle piante e dell’erba. Questo è il motivo per cui, affinché tu
non lo ponessi alla stregua delle bestie selvatiche, la parola divina ti ha fatto conoscere l’arte
particolare che Dio ha usato per te: Dio prese la polvere della terra45.
3. TEOLOGIA E ANTROPOLOGIA
3.1 Antropologia in San Paolo
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Agostino, La Genesi difesa contro i Manichei 2,8,11.
Tertuliano, L’Anima, 26,5.
44 Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 32,26.
45 Gregorio di Nissa, Sulla creazione dell’uomo, 2,44-45.
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[ricordando proprio la prima lezione che abbiamo avuto, parlando del nostro modo di definire Dio]
così anche in Paolo la sua antropologia riflette inevitabilmente il suo trascorso, la sua storia
personale che è fondamentalmente quella di convertito!
La sua concezione di fondo intorno all’uomo coincide con la mentalità veterotestamentaria, ma
presenta anche delle caratteristiche sue proprie e delle diversità.
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Bibliografia (incompleta)
AGOSTINO, La Trinità
SAHDONA, Libro della perfezione
AMBROGIO, I sei giorni della creazione
CLEMENTE ALESSANDRINO, Protrettico
DIADOCO, Cento considerazioni
EFREM, Commento sulla Genesi
FULGENZIO DI RUSPE, A Pietro sulla Fede
GIOVANNI CASSIANO, Conferenze
GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi
GIOVANNI CRISOSTOMO, Sermoni sulla Genesi
GIOVANNI DAMASCNO, La fede ortodossa
GREGORIO DI NAZIANZO, Or. 45, seconda sulla Pasqua
GREGORIO DI NISSA, Sull’opificio dell’uomo
IRENEO, Contro le Eresie
MARIO VITTORINO, Contro Ario
ORIGENE, Omelie sulla Genesi
ORIGENE, Sui Principi
POTAMIO di Lisbona, Epistola sulla Sostanza
PRUDENZIO, Apoteosi
TOMMASO D’AQUINO, In Librum Boëthii De Trinitate
TOMMASO D’AQUINO, Contr. Gent., III, 25; IV, 1; in Symbolum expositio, 1.
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae
B. SCHREIBER, L’uomo immagine di Dio
M. BUBER, il principio dialogico
M. D. CHENU, Introduction à l’ètude de Saint Thomas d’Aquin, Montréal
P. NICOTRA, L’uomo alla ricerca di Dio: il pensiero di San Giovanni della Croce
P. SACCHI (a cura di), Il Libro dei Giubilei, in Apocrifi dell’Antico Testamento
Testi di consultazione suggeriti:
I. SIVIGLIA, Antropologia Teologica in dialogo, EDB, Bologna, 2007
S. FINOTTI, L’uomo immagine di Dio in San Giovanni della Croce, ed. Graphe, Perugia 2009
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