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Santa Sede
BENEDETTO XVI
Angelus
Solennità di Tutti i Santi
Piazza San Pietro
Lunedì, 1° novembre 2010
Cari fratelli e sorelle!
la solennità di Tutti i Santi, che oggi celebriamo, ci invita ad innalzare lo
sguardo al Cielo e a meditare sulla pienezza della vita divina che ci attende. «Siamo figli di Dio, ma
ciò che saremo non è stato ancora rivelato»1: con queste parole l’apostolo Giovanni ci assicura la realtà
del nostro profondo legame con Dio, come pure la certezza della nostra sorte futura. Come figli
amati, perciò, riceviamo anche la grazia per sopportare le prove di questa esistenza terrena – la
fame e sete di giustizia, le incomprensioni, le persecuzioni2 – e, nel contempo, ereditiamo fin da ora
ciò che è promesso nelle beatitudini evangeliche, «nelle quali risplende la nuova immagine del
mondo e dell’uomo che Gesù inaugura»3. La santità, imprimere Cristo in sé stessi, è lo scopo di vita del cristiano. Il beato Antonio Rosmini scrive: «Il Verbo aveva impresso se stesso nelle anime dei
suoi discepoli col suo aspetto sensibile … e con le sue parole … aveva dato ai suoi quella grazia …
con la quale l’anima percepisce immediatamente il Verbo»4. E noi pregustiamo il dono e la bellezza
della santità ogni volta che partecipiamo alla Liturgia eucaristica, in comunione con la “moltitudine immensa” degli spiriti beati, che in Cielo acclamano in eterno la salvezza di Dio e dell’Agnello5.
«Alla vita dei Santi non appartiene solo la loro biografia terrena, ma anche il loro vivere ed operare
in Dio dopo la morte. Nei Santi diventa ovvio: chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma
si rende invece ad essi veramente vicino»6.
Consolati da questa comunione della grande famiglia dei santi, domani commemoreremo tutti i
1.
1Gv 3,2.
2.
Cfr Mt 5,3-11.
3.
BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano 2007, p. 95.
4.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, Roma 1983, vol. 2, p. 265-266.
Ndr.: esattamente si tratta del Libro IV: L’uomo santificato, Parte seconda: Dei Sacramenti della legge di grazia in specie,
Capitolo secondo: Del sacramento della Confermazione, Articolo quarto: Che cosa sia l’infanzia e l’età adulta dell’uomo
spirituale. Vedi in fondo l’intero contesto della citazione.
5.
Cfr Ap 7,9-10.
6.
BENEDETTO XVI, Enciclica Deus caritas est, n. 42.
1
fedeli defunti. La liturgia del 2 novembre e il pio esercizio di visitare i cimiteri ci ricordano che la
morte cristiana fa parte del cammino di assimilazione a Dio e scomparirà quando Dio sarà tutto in
tutti. La separazione dagli affetti terreni è certo dolorosa, ma non dobbiamo temerla, perché essa,
accompagnata dalla preghiera di suffragio della Chiesa, non può spezzare il legame profondo che
ci unisce in Cristo. Al riguardo, san Gregorio di Nissa affermava: «Chi ha creato ogni cosa nella
sapienza, ha dato questa disposizione dolorosa come strumento di liberazione dal male e possibilità di partecipare ai beni sperati»7.
Cari amici, l’eternità non è «un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come
il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità»8. Alla Vergine Maria, guida sicura alla santità, affidiamo il nostro pellegrinaggio verso la patria celeste,
mentre invochiamo la sua materna intercessione per il riposo eterno di tutti i nostri fratelli e sorelle
che si sono addormentati nella speranza della risurrezione.
ARTICOLO IV
CHE COSA SIA L’INFANZIA E L’ETÀ ADULTA DELL’UOMO SPIRITUALE
Abbiamo mostrato che la grazia del Redentore si comunica in due modi: l’uno per l’immediata
comunicazione del Verbo: l’altra per l’immediata comunicazione dello Spirito Santo9.
Il Verbo si percepisce quando si comunica con un’azione diretta dell’anima. Lo Spirito Santo è
quello che muove la riflessione ed opera mediante un’operazione riflessa dell’anima stessa. Questo
noi l’abbiamo osservato là dove spiegammo quelle parole di Cristo «Vi ho detto queste cose mentre
sono ancora presso di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»10. Dunque il Verbo parlò per primo, lo Spirito
Santo suggerì di nuovo le cose dette dal Verbo; e il suggerire cose già ascoltate, non è altro che un
muovere vivacemente la riflessione sopra le cose udite. Lo Spirito Santo dunque a cui Cristo attribuisce il compito di suggerire le cose da lui insegnate, opera mediante la riflessione dell’anima,
dando perciò a questa riflessione una vista soprannaturale.
Ora il Verbo, col suo aspetto sensibile che aveva la capacità, come dicemmo, di illuminare soprannaturalmente l’anima, e colle sue parole aveva impresso se stesso nelle anime dei suoi discepoli; così aveva dato ai suoi quella grazia che si chiama verbiforme, con la quale l’anima percepisce
immediatamente il Verbo. Tutti e due questi mezzi, dell’aspetto di Cristo e delle sue parole, sono
indicati da Cristo stesso nel colloquio ch’egli tenne con Filippo. La cui comprensione non ha bisogno che d’una sola avvertenza perché tutto sia chiaro; ed è questa: la persona del Verbo non si conosce se non si conosca la relazione di generato e di generante che ha col Padre; perché questa relazione è quella che costituisce la distinzione di una persona dall’altra.
Ascoltiamo ora le parole di Cristo. Interrogato da Filippo perché gli mostrasse il Padre, risponde: «Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre»11. In queste indica il primo mezzo, cioè il suo aspetto
visibile che aveva la potenza di far conoscere il Verbo, perciò anche il Padre giacché l’una persona
senza l’altra non si conosce. Poi il secondo mezzo, che era la potenza delle sue parole, dicendo:
«Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?» che viene a dire: non conoscete il Verbo e conse7.
GREGORIO DI NISSA, De mortuis oratio, IX,1, Leiden 1967, p. 68
8.
BENEDETTO XVI, Enciclica Spe salvi, n. 12.
9.
Cfr. Antropologia Soprannaturale, Libro IV: L’uomo santificato, Parte seconda: Dei Sacramenti della legge di grazia in specie, Capitolo primo: Del battesimo, Articolo decimo: Della grazia sacramentale del battesimo, Vol. 2, p.258-259.
10.
Gv 14,25-26.
11.
Gv 14,9.
2
guentemente il Padre? «Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso»12; cioè oltre l’aspetto, anche le mie parole vi debbono far percepire me, persona divina, ed il Padre in me. E alle parole aggiunge un terzo mezzo, che erano le sue opere, dicendo: «Se non altro credetelo per le opere stesse»13; una di queste opere erano i Sacramenti.
In questi modi dunque il Verbo imprime se stesso nelle anime, facendo loro vedere la propria
luce divina rifulgente nel suo aspetto, nelle sue parole, e nelle sue opere.
12.
Gv 14,10.
13.
Gv 14,11.
3
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