a Mario Coltorti e Camillo Del Vecchio Blanco I.S.B.N. 88-7327-041-7 I edizione: gennaio 2007 Seconda Università di Napoli Facoltà di Medicina e Chirurgia Cattedra di Gastroenterologia © GIUSEPPE DE NICOLA EDITORE - NAPOLI 80121 Napoli – Via del Parco Margherita, 33 Sito web: www.denicolaeditore.it E-mail: [email protected] Tutti i diritti riservati. La riproduzione di questo volume, o di parte di esso, e la sua diffusione in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo (elettronico, meccanico, fotocopie, microfilms, registrazioni o sistemi di archiviazione di informazioni) sono vietate senza speciale autorizzazione dell’Editore. Per ogni eventuale controversia è competente il Foro di Napoli. Nota dell’Editore: Nonostante la grande cura posta nel compilare e controllare il contenuto di questa pubblicazione, l’Editore non sarà ritenuto responsabile per ogni eventuale utilizzo della stessa, nonché per eventuali errori, omissioni od inesattezze. 2 Carmela Loguercio – Gaetano Cotticelli Alcol e fegato Un connubio difficile 3 Nelle nozioni esposte si riflette “lo stato dell’arte” come poteva essere delineato al momento della stesura in base ai dati desumibili dalla Letteratura internazionale più autorevole. È soprattutto in materia di terapia che si determinano i mutamenti più rapidi: sia per l’avvento di farmaci e di procedimenti nuovi, sia per il modificarsi, in rapporto alle esperienze maturate, degli orientamenti sulle circostanze e sulle modalità di impiego di quelli già in uso da tempo. Gli Autori, l’Editore e quanti altri hanno avuto parte nella preparazione o nella pubblicazione del volume non possono essere ritenuti responsabili degli errori concettuali dipendenti dall’evolversi del pensiero clinico e, neppure, di quelli materiali di stampa in cui possono essere incorsi, nonostante tutto l’impegno dedicato ad evitarli. 4 © Giuseppe de Nicola Editore Introduzione Aa uesta monografia è dedicata a chi, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, vuole sapere qualcosa in più sui rapporti fra alcol e fegato, cercando di sfatare pregiudizi, vecchie teorie ed affermazioni categoriche spesso frutto di tradizioni e credenze popolari. Lo scopo, inoltre, è di fornire – a coloro che avranno la pazienza di leggerla – uno strumento utile a modificare comportamenti della pratica clinica quotidiana sul rapporto alcol-soggetto, nonché un pungolo ad intraprendere iniziative volte a prevenire la patologia epatica alcol-correlata mediante un’informazione pacata all’utente. Le domande ricorrenti nella pratica quotidiana sono le seguenti: 1. È proprio vero che l’alcol fa male al fegato? 2. Quale è la famosa dose-soglia da non superare? 3. Tutte le bevande alcoliche procurano lo stesso tipo di danno? 4. Perché l’alcol fa male al fegato? 5. Perché non tutti i forti bevitori sviluppano danno epatico? 6. Come si fa la diagnosi di epatopatia alcolica? 7. Si può curare o arrestare il danno epatico alcol-correlato? 8. Si può prevenire la cirrosi da alcol? Cercheremo di chiarire questi punti attraverso la decodifica del “viaggio” di un bicchiere di alcol a partire dalla bevanda che lo contiene, da chi lo consuma, da come e quando viene bevuto fino a giungere al fegato, analizzando tutto quello che incontra nel tragitto e nei suoi luoghi di smaltimento. Q 5 Alcol e fegato: un connubio difficile © Giuseppe de Nicola Editore Capitolo 1 È proprio vero che l’alcol fa male al fegato? Aa Definizione internazionale di epatopatia alcolica: “Malattia cronica di fegato in pazienti con uso abituale di grandi quantità di alcol in assenza di altri fattori eziologici” uesta definizione compare ancora in molti libri di medicina, mentre un vecchio aforisma s’interroga dicendo: “L’alcol è tossico per il fegato? Sì, ma forse ciò non è del tutto vero”. Questa affermazione, apparentemente contrastante, riflette la confusione insita già nella stessa definizione della malattia epatica da alcol; infatti, mentre per altre cause note di danno epatico (ad esempio: i virus epatitici maggiori) è possibile stabilire un nesso diretto fra causa e malattia, viceversa, il ruolo dell’alcol nel determinismo delle malattie epatiche può essere interpretato solo come variabile continua e per lo più dipendente da diversi cofattori. Si può escludere un danno epatico alcol-correlato solo in chi non beve e non ha mai bevuto; in tutti gli altri casi, anche in presenza di altre cause note di danno epatico (virus, steatosi non etilica, ereditarietà, farmaci, etc.) basse dosi di consumo possono rappresentare la concausa primaria del danno epatico. In Italia negli ultimi anni si è assistito ad una variazione sostanziale delle modalità di uso delle bevande alcoliche. Infatti, a fronte di una diminuzione del consumo pro-capite di alcol – ridottosi di oltre il 30-35% – si è verificato un aumento del numero dei consumatori, mentre è rimasta stabile la quota dei consumatori a rischio o alcol-dipendenti. Nondimeno è aumentato il numero di giovani il cui approccio alle bevande alcoliche avviene all’età di 1011 anni e delle donne che “scelgono” di bere. Q 7 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Al moderato consumo del vino ai pasti è via via subentrato un uso lontano dai pasti, con una tipologia di bevande diverse dal vino, elicitato fondamentalmente dal gusto del bere in virtù degli effetti euforizzanti o, addirittura, da “sballo” legati all’etanolo. I tassi di ospedalizzazione per patologie alcol-attribuibili negli ultimi anni sono aumentati in Italia di circa il 3% e si è registrata la presenza di dimissioni ospedaliere per patologie totalmente attribuibili all’alcol anche per la classe di età 0-14 anni in tutte le nostre regioni. A partire dagli anni ‘80 la mortalità per patologie croniche legate all’abuso di alcol (cirrosi epatica, cancro dell’esofago e cardiopatia ischemica) ha mostrato un trend decrescente, mentre quella per patologie acute (incidenti stradali e domestici, intossicazione etilica, cadute accidentali) non ha subito variazioni significative [59]. Se si valutano su una popolazione generale i rapporti fra consumo alcolico e malattia, la cirrosi epatica detiene ancora il primo posto come malattia legata all’alcol [11,63](Figura 1). Da una metanalisi condotta da Corrao et al. [15] sui principali studi atti a valutare i rapporti fra il consumo alcolico ed il rischio di 15 malattie – per un totale valutabile, in base alla correttezza metodologica degli studi, di 116.702 soggetti – emerge una stretta relazione fra alcol e cancro della cavità orale, dell’esofago e della laringe, ipertensione, cirrosi, pancreatite cronica e danni da violenze; viceversa, una correlazione meno forte è stata trovata fra consumo alcolico e cancro del colon, del retto, del fegato e della mammella, condizioni per le quali il rischio aumenta progressivamente quando il consumo eccede i 25 g/die. In particolare, è stato dimostrato che un consumo maggiore di 80 g/die di alcol per almeno 10 anni aumenta di 5 volte il rischio di cancro del fegato, anche in assenza di cirrosi ed anche se il soggetto è divenuto astinente dopo gli anni di abuso. La contemporanea presenza di un’infezione da HCV raddoppia tale rischio [13,14]. Figura 1: Frazioni di rischio attribuibile all’alcol nella popolazione generale. Da: WORLD HEALTH REPORT, 2002. 8 Alcol e fegato: un connubio difficile Figura 2: Rischio attribuibile per epatocarcinoma nella popolazione generale. Da: MORGAN TR, et al. Gastroenterology 2004. La figura 2 riassume il rischio di epatocarcinoma attribuibile sulla popolazione generale in Italia e negli Stati Uniti; da essa emerge che l’alcol rappresenta il principale fattore di rischio, in misura tuttora maggiore rispetto alla malattia epatica da HCV [39]. Studi condotti sulla popolazione generale volti a valutare il rischio attribuibile all’alcol da solo o come cofattore di danno epatico cronico in Italia hanno dimostrato, sia al Nord che al Sud, che esso rappresenta ancora oggi la prima causa di danno (Tabella I) [7,8,47]. Nello studio di Bellentani et al. gli astemi sono risultati il 38,3% della popolazione esaminata (n. 6534) mentre il 4,4% dei soggetti consumava più di 100 g/die di alcol. Diversi sono i risultati quando si considerano gli studi condotti sui pazienti che si rivolgevano alle strutture sanitarie per il sospetto di epatopatia cronica. Tabella I: Prevalenza di alterazione dei test di danno epatico nella popolazione generale italiana e distribuzione dei fattori etiologici. Fattori etiologici Nord Italia % Sud Italia % Alterazione tests HBV HCV Alcol Virus + Alcol Malattie rare NAFLD 17,5 6,8 16,4 58,3 2,6 nc 15,8 12,7 1,0 18,6 45,6 8,8 2,0 24,0 Da: BELLENTANI, Hepatology 1994, J Hepatology 2001; da PENDINO, Hepatology 2005 9 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Lo studio S.I.DE.CIR. (acronimo con cui viene identificato lo Studio Italiano dei Determinanti della Cirrosi Epatica), di tipo caso-controllo – realizzato negli anni 1989-1996 in 23 centri italiani sotto l’egida dell’A.I.S.F. (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato)– ha arruolato 462 pazienti con cirrosi al primo episodio di scompenso e 651 non affetti da epatopatia, utilizzando per ogni categoria di consumo il rischio relativo, espresso come odds ratio, per valutare la forza con la quale quel consumo si associa al rischio di sviluppare la malattia. Dai dati desunti è stato possibile stimare il rischio attribuibile di cirrosi epatica scompensata rispetto ai principali fattori eziologici nella realtà italiana. La stima comprende anche il ruolo dell’alcol nell’ambito dell’interazione con altri fattori. I dati hanno mostrato che l’alcol, da solo o in interazione con i virus epatitici, nella metà degli anni ‘90, era ancora la prima causa di malattia cronica di fegato nel nostro paese (Tabella II) [17,18]. Tabella II: Rischio attribuibile di cirrosi epatica scompensata in Italia nel 1996. Fattore Alcol HCV HBV Rischio attribuibile 67,9% 40,1% 4,4% IC 95% 53,8 – 79,4 35,3 – 45,2 2,5 – 7,6 Da: Studio SIDECIR, CORRAO et al., 1998 I dati più recenti pubblicati in Italia sull’eziologia delle malattie epatiche sono quelli di Sagnelli e Stroffolini [52,58]; si tratta di studi che hanno arruolato oltre 6000 soggetti affetti da epatite cronica in 79 centri italiani (sia come casi prevalenti che come casi incidenti) in un periodo di 6 mesi dell’anno 2001. Da essi è emerso che l’HCV è al primo posto come agente eziologico di malattia epatica (76,5% dei casi), risultando nel 62,6% l’unico fattore. L’infezione da HBV è risultata presente nel 12,2% dei pazienti (nel 9,2% quale unico fattore) mentre l’abuso di alcol (> 30-40 g/die) è risultato presente nel 19,2% dei pazienti (nel 5,5% come unico fattore). È interessante, tuttavia, evidenziare la differenza esistente fra casi prevalenti e casi incidenti, sia per quanto attiene alle varie cause, sia più specificamente per l’alcol in tutto il territorio nazionale (Figura 3). Nella figura 4 sono messi a confronto i dati ottenuti sulla popolazione generale con quelli ottenuti nelle strutture sanitarie; da essi emerge la notevole differenza, statisticamente significativa, fra coloro che si rivolgono a strutture sanitarie e popolazione generale, ad indicare che, mentre per i virus epatitici vi è la massima attenzione, il danno epatico da alcol è fortemente sottostimato dalla classe medica. 10 Alcol e fegato: un connubio difficile p <0.01 Figura 3: Rapporto prevalenza /incidenza per l’etiologia delle malattie epatiche in Italia. Da: STROFFOLINI, et al. Dig Liver Dis 2004 – modificata. Figura 4: Distribuzione dei diversi fattori eziologici di ipertransaminasemia nella popolazione generale e nei pazienti ospedalizzati. Da: PENDINO, et al. Hepatology 2005; da: SAGNELLI, et al. J Med Virol 2005. Take home messages 1. I dati epidemiologici indicano che l’alcol da solo o con altre cause è fattore di rischio per la malattia epatica cronica. 2. La cirrosi è la prima causa di morbilità alcol-correlata: negli anni 19902000 sembrava in calo; attualmente, invece, se si osservano i rapporti prevalenza/incidenza risulta in crescita. 3. Negli ambulatori di epatologia l’eziologia alcolica della malattia di fegato è sottostimata. 11 © Giuseppe de Nicola Editore Capitolo 2 Quale è la famosa dose-soglia da non superare? Aa ttualmente le linee guida nutrizionali nazionali ed internazionali non identificano più una dose “sicura” di consumo alcolico, bensì si preferisce parlare di quantità di consumo a “basso rischio”, specificando che il rischio di malattia d’organo alcol-correlata esiste per qualunque livello di consumo – anche se minimo – ed aumenta progressivamente con l’incremento della quantità di alcol consumata. In Italia 2-3 drinks/die per i maschi ed 1-2 per le donne sono considerati quantità a basso rischio purché in presenza di condizioni ottimali di salute e in assenza di circostanze che ne sconsigliano l’assunzione (guida di autoveicoli, uso di farmaci, gravidanza, minore età, etc.) [26,59]. Per drink o unità alcolica si intende un quantitativo di etanolo puro pari a 12 g, che può essere contenuto nelle seguenti tipologie di bevande: – 1 bicchiere da 125 ml di vino a 12° – 1 boccale di birra da 330 ml – 1 bicchierino di superalcolici da 40 ml. Tale standardizzazione rappresenta il frutto di numerosi Tabella III: Rapporto dose di alcol-cirrosi. studi svolti nel corso degli anni RR (IC 95%) di cui si è già discusso nel capi- Alcol (g/die) tolo 1. 25 2,90 (2,71-3,09) Lo studio svolto da Corrao 50 7,13 (6,35-8,0) [13] et al. nel 1998 su un totale di 100 26,52 (22,26-31,52) 2202 casi di cirrosi ha analizzato il rischio relativo di cirrosi per Da: CORRAO et al., J Hepatology 1998 quantitativi crescenti di etanolo A 13 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli (Tabella III). Da altri studi di Bellentani et al. [7,8] la dose-soglia associata al rischio di danno epatico cronico è risultata essere di 30 g di alcol al giorno. Ad analoghe conclusioni è pervenuto lo studio di Pendino et al., condotto su una popolazione del Sud Italia. Anche il nostro gruppo, in uno studio condotto sulla popolazione adulta della provincia di Caserta, ha confermato le osservazioni degli altri Autori dimostrando che la probabilità di contrarre un danno epatico si concretizza allorquando la dose di alcol supera i 25 g/die (2 drinks) (Tabella IV); infine, va sottolineato che l’uso di alcol aumenta il rischio di complicanze nell’epatopaziente (Tabella V) influenzandone in maniera significativa la sopravvivenza. Tabella IV: Probabilità di avere transaminasi alterate in rapporto al consumo etilico nella popolazione generale. Consumo etilico 0R * Astemi 15-25 g/die 26-50 g/die 51-85 g/die 86-120 g/die 1.0 1.0 1.4 2.4 3.9 * Modificati per BMI ed età. Da: LOGUERCIO, et al. 2006, in press. Tabella V: Alcol e complicanze della malattia cirrotica. Consumo etilico RR * 0 < 50 g/die > 100 g/die > 100 g/die 1 2 9 31.2 Da: CORRAO, et al. J Hepatology 1998. Take home messages 1. Non esiste una dose-soglia sicura per evitare il danno alcol-correlato. 2. Allo scopo di ottenere dati comparabili è stato coniato il concetto di “drink” con cui si individua una dose di g 12 che risulta essere contenuta in un bicchiere di vino da 125 ml oppure in una lattina da 330 ml di birra, in un bicchierino di 40 ml di un aperitivo o di un superalcolico. 3. La cosiddetta dose-soglia “a basso rischio” è di g 25 in un individuo esente da patologia. 14 © Giuseppe de Nicola Editore Capitolo 3 Tutte le bevande alcoliche procurano lo stesso tipo di danno? Aa stato suggerito da alcuni Autori che tanto le modalità del bere quanto il tipo di bevanda introdotta, a parità di consumo alcolico, influenzano in maniera diversa il rischio di cirrosi. Becker et al. [6], su una popolazione danese di oltre 30.000 soggetti, hanno dimostrato che l’uso della birra o del vino si associa ad un più basso rischio di cirrosi rispetto all’uso dei superalcolici. Parimenti in uno studio effettuato da Kerr et al. [27], in cui è stata valutata la mortalità per cirrosi rapportata al consumo di alcol dal 1953 al 1993 in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Inghilterra, si è visto che la quantità totale di alcol consumata è significativamente correlata alla mortalità per cirrosi e che l’uso di superalcolici, a parità di etanolo introdotto, costituisce un rischio maggiore (41% per i superalcolici, 13% per il vino e 8% per la birra) ed, ancora, che l’aumento di un litro/anno di alcol consumato si associa ad un incremento del 16% della mortalità per cirrosi. Pelletier et al. [46] hanno invece smentito tali dati, dimostrando che è solo la quantità di alcol, indipendentemente dal tipo di bevanda, a condizionare lo sviluppo di cirrosi. Il gruppo italiano GESIA della Società Italiana di Alcologia ha condotto numerosi studi sull’argomento ed ha i risultati sono in accordo con tali ultime osservazioni (Tabelle VI, VII, VIII) [13,15,17]. Studi osservazionali sulla popolazione generale hanno documentato che: – l’inizio di forti bevute condiziona il rischio di cirrosi (esso aumenta significativamente se si comincia a bere dopo i 45 anni); – altro fattore importante è rappresentato dalla tipologia di assunzione (forti bevute occasionali si associano ad un maggiore rischio di cirrosi rispetto ad un uso continuo); – il rischio è influenzato anche dalla costituzione fisica (magri o grassi). È 15 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Tabella VI: Effetto del tipo di bevanda sulla relazione dose-risposta tra consumo di alcol e rischio di cirrosi epatica scompensata. Unità alcoliche/Die Astinenti Vino: 0.1-2 2.1-4 4.1-6 6.1-8 >8 OR IC 95% 1.0 Riferimento 1.4* 3.1* 3.7* 15.0* 18.9* 0.6-3.2 1.3-7.1 1.3-10.7 5.1-44.0 5.6-63.9 Birra: <1 >1 0.9* 6.2* 0.5-1.4 2.2-17.5 Superalcolici: <1 >1 1.5* 4.8* 0.9-2.5 2.2-10.2 Odds ratio (e intervallo di confidenza al 95%) stimato con un modello di regressione logistica condizionato; le stime sono corrette per lo status di anti-HCV e HBsAg.p < 0.05. Da: CORRAO, J Hepatology, 1998. Tabella VII: Effetto delle modalità di assunzione sulla relazione dose-risposta tra consumo di alcol e rischio di cirrosi epatica scompensata. Unità alcoliche/Die Fuori pasto Ai pasti <4 >4 1.0*(Rif) 1.0*(Rif) 1.3*(0.6-2.8) 0.7*(0.4-1.3) <4 >4 Consumo saltuario 1.0*(Rif) 1.0*(Rif) Consumo quotidiano 2.5*(1.2-5.5) 2.4*(1.0-15.4) Odds ratio (e intervallo di confidenza al 95%) stimato con un modello di regressione logistica condizionato; le stime sono corrette per lo status di anti-HCV e HBsAg* p < 0.05. Da: CORRAO, J Hepatology, 1998. Tali risultati sono spiegabili anche sulla base del fatto che le modalità di assunzione, l’età, il BMI, etc., sono tutti fattori che condizionano la biodisponibilità e quindi il tempo di persistenza dell’alcol stesso nei vari organi (vedi capitoli successivi). Va ricordato, inoltre, che anche le abitudini alimentari, il fumo e l’attività fisica regolano il metabolismo dell’etanolo mentre il tipo di bevanda condiziona, a sua volta, la tipologia dei cibi: ad esempio chi preferisce il vino mangia anche frutta e verdure, usa l’olio di oliva e fuma meno [6,12,27,59] . 16 Alcol e fegato: un connubio difficile Tabella VIII: Consumo di alcol in tutta la vita e rischio relativo di cirrosi epatica scompensata. Unità alcoliche/Die 0 0.1-2 2.1-4 4.1-6 6.1-8 OR 1.0 2.0* 3.5* 6.3* 22.9* IC 95% Riferimento 0.8-5.1 1.3-9.5 2.0-19.5 6.6-79.3 Odds ratio (e intervallo di confidenza al 95%) stimato con un modello di regressione logistica condizionato; le stime sono corrette per lo status di anti-HCV e HBsAg* p < 0.05. Da: CORRAO, J Hepatology, 1998. Take home messages 1. Una dose di alcol > di 2 drinks al giorno si associa al rischio di cirrosi nel soggetto sano. 2. Nel paziente malato di fegato la persistenza del bere aumenta il rischio di complicanze e di mortalità. 3. Il tipo di bevanda non condiziona significativamente il rischio di cirrosi, che è invece legato anche allo stile globale di vita del soggetto. 17 © Giuseppe de Nicola Editore Capitolo 4 Perché l’alcol fa male al fegato? Il destino di un bicchiere di vino e il suo potenziale tossico sul fegato Aa danni d’organo legati all’alcol sono fondamentalmente di due tipi: danni dipendenti dal suo metabolismo e quindi dalla dose consumata in un giorno, un mese o durante la vita; danni principalmente legati alla concentrazione che l’alcol raggiunge in circolo e nei fluidi corporei dopo una bevuta occasionale. L’alcol ingerito passa nell’esofago e da qui raggiunge lo stomaco. Durante il suo percorso l’alcol-deidrogenasi (ADH) produce l’acetaldeide che viene ossidata in loco dall’acetaldeide-deidrogenasi (ALDH). L’attività di questi due enzimi differisce nell’esofago e nello stomaco: infatti, mentre l’esofago ha un’attività 4 volte maggiore per l’ADH rispetto allo stomaco, quest’ultimo, viceversa, possiede un’attività cinque volte maggiore dell’ALDH. Questo cosiddetto “first pass metabolism” influisce sul metabolismo dell’etanolo in una misura non superiore al 30%, per cui riveste un ruolo marginale nel determinismo della concentrazione ematica dell’alcol. Una volta giunto a livello intestinale non vi è uno specifico trasporto attivo dell’alcol che passa, pertanto, per semplice diffusione lungo tutto il tratto gastrointestinale, anche se in misura maggiore a livello del duodeno e del digiuno. La flora batterica, a sua volta, contribuisce ad arricchire la quantità di etanolo attraverso la fermentazione degli zuccheri introdotti con la dieta. Una volta assorbito, l’alcol diffonde rapidamente attraverso i capillari e da qui passa nei vari tessuti, raggiungendo velocemente un equilibrio fra sangue e liquidi extracellulari. Dopo l’assorbimento ed il first pass metabolism si assiste ad una distribuzione dell’etanolo nell’acqua corporea totale e da qui una piccola parte (1-2%) viene eliminata attraverso il respiro, il 20% viene metabolizzato in vari organi, mentre la gran parte (70-80%) raggiunge il fegato, concentrandosi in tale organo. I 19 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli INGESTIONE DI ALCOL ESOFAGO-STOMACO (first pass metabolism) INTESTINO TENUE Flora batterica DISTRIBUZIONE ATTRAVERSO L ACQUA CORPOREA Eliminazione con il respiro (1-2%) Eliminazione con urine e sudore (1-2%) Metabolismo in altri tessuti (20%) FEGATO (70-80%) Figura 5: Il percorso dell’alcol nell’organismo umano. L’ALDH è anche presente negli eritrociti e nel cervello, al fine di ridurre in circolo ed in loco i livelli di acetaldeide (Figura 5). La farmacocinetica dell’alcol dipende, pertanto, dai seguenti fattori: – l’assorbimento da parte del tratto gastrointestinale; – la distribuzione corporea; – l’eliminazione, che avviene in modo prioritario attraverso il metabolismo epatico. Su tale farmacocinetica numerosi altri fattori possono intervenire, influenzando il volume di distribuzione dell’alcol prima del suo metabolismo epatico; fra questi, segnaliamo: età, sesso, infezione da Helicobacter Pylori, tempo di svuotamento gastrico, composizione corporea, massa magra, volume del fegato, composizione degli alimenti, razza, polimorfismo genetico, fumo, storia di alcolismo, etc.. Ad esempio, l’ingestione di 30 g di alcol al giorno o di una quantità corrispondente al 5% delle calorie introdotte porta ad un aumento del rapporto vita-fianchi secondario ad una maggiore distribuzione di grasso addominale in entrambi i sessi e indipendentemente dal BMI. Le donne, tuttavia, possiedono una minore quantità di acqua corporea, più massa grassa e meno massa magra, con ampie fluttuazioni dell’acqua corporea in rapporto al ciclo mestruale. Queste differenze di composizione corporea non sono presenti nei bambini, compaiono alla pubertà e scompaiono sorprendentemente quando entrambi i sessi svolgono intensa attività fisica. La percentuale di acqua corporea si riduce anche con l’età e perciò, a parità di etanolo introdotto, le donne e gli anziani mostrano un picco ematico più elevato. 20 Alcol e fegato: un connubio difficile Donne ed anziani presentano, inoltre, uno svuotamento gastrico più lento rispetto ai maschi giovani, un più basso volume di distribuzione e nel contempo un più alto e persistente picco ematico. Il fumo e gli alimenti riducono i tempi di svuotamento gastrico in maniera direttamente proporzionale al loro valore calorico. Taluni alimenti aumentano, altresì, il flusso splancnico, che contribuisce a mantenere il gradiente di diffusione attraverso la superficie mucosa ai capillari sottomucosi. Negli alcolisti il 50% delle calorie introdotte è supplito dall’alcol, con conseguente soppressione dell’appetito e riduzione dello svuotamento gastrico in virtù dell’alto valore calorico dell’alcol. Accanto a ciò si possono verificare malassorbimento, alterato transito oro-cecale, pancreatite, alterato metabolismo intraepatico dei nutrienti; tutti fattori capaci di influenzare la biodisponibilità dell’alcol ed il suo metabolismo intraepatico. Infine, è stato dimostrato nell’uomo che l’infezione da Helicobacter riduce l’attività alcol-deidrogenasica gastrica ed il first pass metabolism dell’etanolo. Volendo schematizzare il destino dell’alcol in un individuo adulto normale possiamo dire che esso, se viene assunto in piccole quantità, non produce alcun effetto; viceversa, l’aspetto cambia per quantità maggiori. Possiamo, quindi, affermare che: a) piccole quantità in un soggetto sano non provocano effetti: l’etanolo viene utilizzato come fonte energetica. Da ricordare che l’ossidazione dell’etanolo produce 7,1 kcal per grammo, b) ingestione acuta di maggiori quantità in un soggetto sano: assoluta priorità ad essere metabolizzato a spese degli altri metabolismi. Si verificherà la soppressione dell’ossidazione dei lipidi e l’aumentata lipogenesi nel fegato. La produzione di acetato inibirà, altresì, la lipolisi e la mobilizzazione dei grassi dal tessuto adiposo contribuendo ad una netta diminuzione dell’ossidazione totale dei lipidi, con conseguente obesità. Negli alcolisti assisteremo, invece, ad una diminuzione della massa grassa per aumento della spesa energetica e all’aumentata ossidazione dei lipidi, in quanto tali soggetti hanno una preferenziale ossidazione lipidica a fini energetici, con riduzione dell’ossidazione dei carboidrati [2]. Nella tabella IX viene illustrato il valore calorico delle principali bevande alcoliche. Una volta raggiunto il fegato, Tabella IX: Valore calorico di alcune bevande il metabolismo dell’etanolo avalcoliche. viene per lo più negli epatociti della regione pericentrale del lo- Bevanda Quantità ml Calorie bulo, che rappresenta la zona a minore tensione di O2; e questo Vino 12° 85 125 330 100 spiega la localizzazione centrolo- Birra Vermouth 75 115 bulare del danno da etanolo. 120 75 Aperitivi / Amari I principali fattori che in40 95 fluenzano il metabolismo intrae- Cognac / Whisky 21 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli patocitario dell’alcol sono la sua concentrazione e la sua persistenza. Quando l’ingestione di alcol è modesta od occasionale il principale sistema di detossificazione è rappresentato dall’ossidazione intracitoplasmatica ad opera dell’alcol-deidrogenasi (ADH). Se l’ingestione è maggiore – e quindi foriera di etanolemie più elevate e/o persistenti – vengono attivati due sistemi alternativi, fortemente “inducibili” anche da altre sostanze o situazioni metaboliche: il sistema dei citocromi P450 (MEOS) e delle catalasi (Figura 6). Il sistema ADH L’ADH ossida l’etanolo ad acetaldeide, generando NADH dal NAD. L’ossidazione dell’acetaldeide produce altro NADH (1/1). In questa ossidazione è primariamente interessata l’ALDH citoplasmatica; il NADH così prodotto necessita di essere trasportato nei mitocondri, cosa che si verifica attraverso lo shuttle malato-aspartato; tale trasporto, a sua volta, è influenzato sia dalla disponibilità dei substrati presenti che dal digiuno e dallo stato di malnutrizione. Da due NADH prodotti per ogni mole di etanolo e di acetaldeide ossidati sono generate 6 molecole di ATP attraverso la fosforilazione ossidativa. Il sistema MEOS Quando l’etanolo raggiunge livelli di concentrazione maggiori di 10mM, il MEOS produce acetaldeide attraverso le monossigenasi dei citocromi P450, generando NADP dal NADPH. A differenza dell’ossidazione citoplasmatica, ADH-ALDH dipendente, l’ossidazione mediata dal MEOS consuma 3 moli di ATP per ogni molecola di etanolo ossidato ed è 10 volte più veloce ed auFigura 6: Il metabolismo dell’etanolo Ø Concentrazioni plasmatiche di etanolo basse e non continuative CH 3COH + NADH + H + CH3CH2OH + NAD ADH Ø Concentrazioni plasmatiche di etanolo alte o continuative Ø CH3CH2OH +NADPH + H + O 2 v CH3CH2OH + NADP+ + H2O2 MEOS 2H2O + CH3COH catalasi NADPH+ H+ + O2 (NADPH-ossidasi) v In tutti casi (1o2) CH3COH ALDH 2 22 CH3COH +NADP+ + 2H2O ipoxantina + H2O + O2 (xantina-ossidasi) acetato 2CO 2+ H2O Alcol e fegato: un connubio difficile menta ancora di più in quei soggetti in cui il MEOS è già attivato. Nell’animale da esperimento, dopo 4 settimane di consumo alcolico, l’attività degli enzimi deputati al metabolismo dell’alcol rimane immodificata eccetto che per il citocromo P4502E1, che aumenta del 42% nei maschi e dell’88% nelle femmine. Il CYP2E1 possiede, inoltre, il compito di convertire i chetoni in glucosio e quindi la sua funzione dipende, oltre che dalla sua attivazione, anche dallo stato nutrizionale e dalla dieta. Il sistema catalasi L’ossidazione attraverso la catalasi si verifica quando sono state prodotte grandi quantità di H2O2; è attiva principalmente in altri tessuti più che nel fegato. Comunque determinatasi l’ossidazione dell’etanolo porta a: – produzione di acetaldeide, – consumo di NADH con aumentata produzione di H+ e alterato rapporto NAD/NADH, – spostamento dell’equilibrio ossido-riduttivo. Dall’acetaldeide, infine, deriva l’acetato che verrà successivamente ossidato a CO2 ed H2O. I principali effetti prodotti dall’acetaldeide a livello dell’epatocita sono rappresentati dalla: – riduzione dell’ossidazione degli acidi grassi nel mitocondrio – riduzione dell’attività degli enzimi B6-dipendenti – formazione di addotti con le proteine dei microtubuli intraepatocitari – stimolazione della sintesi di collagene. L’acetato, invece, possiede diversi effetti sistemici (vedi dopo) mentre nell’epatocita aumenta i livelli di Acetil-CoA. Poiché, come già esposto, il metabolismo dell’etanolo si verifica principalmente nella zona perivenulare, che risulta essere a più bassa tensione di ossigeno, si assiste ad un potenziamento dello shift redox prodotto dall’etanolo con aumento della discrepanza lattato/piruvato. L’ipossia aumenta il NADH che, a sua volta, inibisce l’attività della NAD+-dipendente xantina-deidrogenasi, favorendo l’attività della xantina-ossidasi. L’attivazione di tale via porta ad ulteriore produzione di acetaldeide. ALCOL E STRESS OSSIDATIVO L’alcol induce stress ossidativo attraverso i seguenti meccanismi: – alterazione del potenziale redox – produzione di acetaldeide – danno mitocondriale – effetto diretto dell’etanolo sulle membrane (l’etanolo è idrofobico) – consumo di O2 e conseguente ipossia – effetto sul sistema immune 23 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli – – – – – aumentata produzione di citochine induzione del CYP2E1 mobilizzazione del ferro deplezione di glutatione ossidazione dell’etanolo a radicale 1-idrossietilico. CYP2E1 e stress ossidativo L’etanolo attiva il CYP2E1 soprattutto attraverso un meccanismo post-trascrizionale che coinvolge gli enzimi stabilizzanti il citocromo. Il CYP2E1 genera ROS come O2 attivato e H2O2 durante il suo ciclo catalitico. In presenza di ferro si producono molti ossidanti come i radicali idrossilico, ferrilico e idrossietilico. Inizialmente la cellula risponde aumentando i fattori trascrizionali per gli enzimi antiossidanti; successivamente, venendosi ad esaurire tale capacità, queste sostanze ossidano proteine, enzimi, DNA ed inducono perossidazione lipidica, con produzione di MDA e 4-HNE. Gli organelli più colpiti risultano essere i mitocondri, soprattutto della zona pericentrale, che aumentano la permeabilità di membrana perdendo GSH e causando, pertanto, un rilascio di fattori proapoptotici, quali il citocromo C, capace di attivare le caspasi. La deplezione di ATP porta invece a necrosi. L’etanolo è altresì uno scavenger del radicale idrossilico; il prodotto di interazione fra alcol e radicale idrossilico è il radicale idrossietilico (HER). I microsomi dell’epatocita ossidano l’etanolo a HER via NADPH. Il meccanismo coinvolge la produzione di superossido e H2O2 da parte dei citocromi P450, seguita da un legame ferro-mediato fra radicale idrossilico e ossidanti. L’HER, a sua volta, si lega immediatamente alle proteine per formare addotti che sono immunogenici ed, inoltre, interagisce con GSH e vitamina E portando ad inattivazione degli enzimi antiossidanti. Ferro L’ingestione acuta e cronica di alcol aumenta l’uptake del ferro da parte degli epatociti. È stato altresì segnalato che il ferro ha un diretto effetto agonistico nello stimolare l’NFKB. Ossido nitrico L’alcol attiva l’iNOS con incremento di NO nell’epatocita; l’NO reagisce con l’anione superossido formando perossinitrito, che è responsabile dell’accentuarsi del danno ipossico. Ma l’alcol attiva anche l’eNOS e sembrerebbe dimostrato che la produzione di NO a partenza dall’endotelio abbia un valore protettivo nei confronti dell’etanolo stesso e soprattutto dell’acetaldeide. Molte delle specie radicaliche derivate dall’attivazione del CYP2E1 sono diffusibili, per cui dagli epatociti passano ad altre cellule del fegato come, ad esempio, le cellule stellate – o cellule di Ito – o alle cellule endoteliali. L’alcol facilita, altresì, il passaggio di endotossine di derivazione batterica dall’intestino al fegato attraverso il sistema portale; queste, a loro volta, atti- 24 Alcol e fegato: un connubio difficile vano le cellule di Kupffer che, stimolate, producono ulteriori specie reattive attraverso l’NADPH-ossidasi. Tali radicali attivano il fattore nucleare NFkB, con conseguente aumentata produzione di TNF-α. Il ferro aumenta questi pathways. La stimolazione delle cellule di Kupffer diminuisce quando si manipola il contenuto in flora batterica Gram– attraverso l’uso di antibiotici o lattobacilli [3,9,20,49,53,54] . Conseguenze metaboliche dell’uso di alcol Sul piano metabolico l’aumento di H+ che si viene a determinare in seguito all’ossidazione dell’etanolo causa: – sintesi di trigliceridi a partire dall’α-glicerofosfato – aumento dell’acido lattico a partire dall’acido piruvico – diminuzione della gluconeogenesi – consumo di ATP con conseguente aumentati livelli di purine, che sono poi trasformate in acido urico. Ciò spiega perché il bevitore presenta un’alterazione dei parametri ematici del metabolismo costituiti principalmente da: – ipertrigliceridemia – iperalattacidemia – ipoglicemia – iperuricemia. I livelli di acetato produrranno inoltre effetti metabolici sistemici costituiti essenzialmente da: – aumento del flusso portale – riduzione dell’attività muscolare – riduzione della lipolisi. Take home messages Il metabolismo completo dell’etanolo porta a: – modificazione dello stato redox intracellulare – aumento di acetaldeide e poi acetato – danno delle membrane mitocondriali – consumo di O2 e ATP – attivazione del CYP2E1 – accumulo di prodotti di lipoperossidazione delle membrane, principalmente malondialdeide (MDA) e 4-idrossinonenale (4-HNE) – deplezione di antiossidanti. A ciò vanno aggiunti gli effetti tossici “diretti” sia dell’etanolo che dell’acetaldeide. Quest’ultima ha, altresì, la capacità di legarsi alle proteine dei microtubuli e del sistema microsomiale, compreso i citocromi ed in parti- 25 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli colare il CYP2E1, formando addotti proteici che causano rigonfiamento degli epatociti (swelling) ed innescano una risposta immunitaria. Ad alte e costanti concentrazioni l’acetaldeide riduce la capacità dei mitocondri a metabolizzarla, sia bloccando la funzione dell’ALDH sia attraverso un danno diretto delle membrane mitocondriali. Tale ultimo evento si traduce in rilascio di citocromi (in particolare il citocromo C), produzione di specie radicaliche, deplezione di ATP e ulteriore deplezione di glutatione mitocondriale. L’acetato che deriva dall’ossidazione dell’acetaldeide attraverso l’enzima ALDH, se in eccesso e poco metabolizzato dai mitocondri danneggiati, riduce ulteriormente l’ossidazione degli acidi grassi e ne aumenta la sintesi attraverso un’aumentata produzione di acetil-CoA. L’uso continuo o eccessivo di alcol, nonché lo stesso acetato derivante dall’acetaldeide, attivano il MEOS e in particolare il citocromo CYP2E1. Questa attivazione fa sì che il sistema funzioni a velocità sempre crescenti (fenomeno della “tolleranza” all’etanolo) per cui, oltre all’accelerato metabolismo dell’etanolo, saranno metabolizzati più velocemente anche farmaci e sostanze tossiche, aumenterà la produzione di radicali liberi, sarà minore la possibilità di ripristinare l’equilibrio redox cellulare, le riserve di ATP e antiossidanti ed anche il tempo disponibile per ossidare gli acidi grassi o per riequilibrare il metabolismo del glucosio e dell’acido piruvico. Questi eventi nel loro complesso sono rappresentati nella figura 7. Figura 7: Conseguenze del metabolismo dell’etanolo nell’epatocita NAD- NADH MEOS Produzione di acetaldeide Aumentato consumo energetico Aumentata produzione radicalica Aumentata produzione di H+ Aumentata sintesi di acidi grassi a partire dal glicerofosfato Alterato rapporto lattato/piruvato Riduzione della gluconeogenesi Accelerato metabolismo dell etanolo Aumentata produzione radicalica Aumentata produzione di chetoni Attivazione di P4502E1 Addotti proteici con il CyP2E1 ACETALDEIDE ACETATO 26 Mitocondri Alterazione membrane Perdita glutatione Rilascio citocromo C Consumo ATP Ridotta esterificazione e ossidazione degli acidi grassi Diminuita mobilizzazione lipidi periferici Ridotta ossidazione acidi grassi Aumentata produzione di acetil CoA e nuova sintesi trigliceridi Alcol e fegato: un connubio difficile IL DANNO EPATICO Il danno cagionato da un consumo improprio dell’alcol può dar luogo ad un variegato spettro di condizioni anatomo-cliniche, quali: — La steatosi Con il termine “steatosi” indichiamo un accumulo di trigliceridi nel citoplasma dell’epatocita; questo può verificarsi attraverso diverse vie: – aumentata sintesi; – ridotta ossidazione; – ridotta escrezione. L’ossidazione completa dell’etanolo interferisce con ciascuna di queste tre vie (Figura 8): 1. all’aumentata sintesi concorre principalmente l’alterazione del potenziale redox cellulare e l’alterato rapporto NAD/NADH. L’aumentata produzione di NADH e di acetato rappresentano, infatti, un substrato per la sintesi di acidi grassi, cui concorre anche l’aumento dei chetoni prodotti nel mitocondrio; 2. la ridotta ossidazione degli acidi grassi dipende dal danno ossidativo mitocondriale, con conseguente inibizione dell’attività degli enzimi responsabili della ß-ossidazione degli acidi grassi; 3. la ridotta escrezione è cagionata dal rigonfiamento cellulare, dall’alterazione del citoscheletro nonché dalla ridotta sintesi di apoliproteina B indotti dall’acetaldeide. L’acetato, inoltre, riduce ulteriormente l’ossidazione degli acidi grassi e ne aumenta la sintesi attraverso un’aumentata produzione di acetil-CoA; infatti, Figura 8: Rapporti etanolo – steatosi epatica STEATOSI Accumulo trigliceridi nell’epatocita SINTESI OSSIDAZIONE ESCREZIONE ETANOLO 27 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli i metaboliti dell’etanolo interferiscono con la funzione di alcuni importanti recettori, come il PPAR-α, che regola il trasporto, dal mitocondrio al citoplasma e viceversa, di vari enzimi implicati nel metabolismo dei lipidi e dei carboidrati. L’acetaldeide, inoltre, aumenta l’attività trascrizionale dei geni controllati dalla proteina SREBP1 che controlla la sintesi di acidi grassi e trigliceridi via acetil-CoA. Il metabolismo dell’acetato via acetil-CoA porta anche ad un aumento dell’AMP, che è metabolizzato ad adenosina, potente vasodilatatore capace di legarsi ai recettori endoteliali per le purine e di indurre la sintesi di NO che determinerà, a sua volta, un aumento del flusso portale. Ciò spiega il motivo per cui, in caso di danno epatico da etanolo, l’ipertensione portale (facilitata anche dalla sclerosi perivenulare) si può manifestare anche in assenza di cirrosi. La comparsa di steatosi è piuttosto rapida ma può essere suscettibile di regressione dopo alcune settimane di astinenza. — L’epatite alcolica e la steatoepatite Lo stress ossidativo che si verifica nell’ossidazione dell’etanolo, la perossidazione delle membrane cellulari, la deplezione di ATP e l’elevato consumo di ossigeno possono portare l’epatocita a morte, che può avvenire per apoptosi o necrosi (Figure 9, 10). Alla morte cellulare concorre anche l’innesco di un’aumentata produzione di citochine pro-infiammatorie, fra cui IL1, IL6, IL8, TNF-α, TGF-ß, prodotte direttamente dall’epatocita sotto lo stimolo dei prodotti di perossidazione lipidica (4-idrossinonenale) e dalle cellule di Kupffer attivate sia dagli Figura 9: Alcol e danno cellulare Perossidazione lipidica citoplasma Accumulo di iCa++ Consumo di ossigeno nucleo P450-sistema di detossificazione GSH-transferasi Ossidazione DNA Perossidasi Reduttasi Reazioni di transitrossilazione Attivazione del gene NF-kB Trascrizione gene Citokine Alterato stato redox intracellulare Morte 28 Deplezione di ATP mitocondri Stabilità di membrana Ridotta riserva energetica Regenerazione Alcol e fegato: un connubio difficile ROS Citocromi P450 Sequestro e deplezione di GSH Mitocondri Deplezionedi ATP Citosol Risposta immune ↑Accumulo di lipidi ↑ Permeabilità di membrana APOPTOSI NFkB ↑↑ IFNγ, TNF α, IL-1, IL-6, IL-8 ↑ ROS iNOS ↓ IL-10 NECROSI Figura 10: Meccanismi coinvolti nella necrosi e nell’apoptosi. stessi prodotti di lipoperossidazione, sia dalle endotossine (LPS) provenienti dall’intestino. La LPS si lega ad una proteina (LPBP) e in questa forma, dopo essersi coniugata con il recettore Toll Like Receptor 4 (TLR-4), attiva una cascata di segnali intracellulari che includono MAP kinase-erk1/2, ed NF-kB, con conseguente produzione di TNF-α. La morte cellulare, infine, è favorita anche dall’attivazione delle caspasi ad opera delle specie radicaliche, del citocromo C rilasciato dai mitocondri e dal TNF-α, nonché dal perpetuarsi dello stress ossidativo e dalla secondaria alterazione del citoscheletro dell’epatocita (“swelling”) in una zona del fegato a bassa tensione di O2. La necrosi/apoptosi degli epatociti, l’alterazione delle membrane cellulari, l’attivazione citochinica e lo stress ossidativo sono tutti fattori capaci di richiamare i neutrofili, con ulteriore produzione radicalica. Tali eventi attivano, infine, le cellule di Kupffer che perpetuano il danno attraverso la produzione di ulteriori citochine. Attraverso tali meccanismi si instaura la steatoepatite [5,11,14,46] (Figura 11). — La fibrosi, la cirrosi e l’epatocarcinoma Con il perpetuarsi del consumo alcolico il danno epatico progredisce fino alla fibrosi e alla cirrosi. La fibrosi inizia con l’attivazione delle cellule stellate che, da quiescenti, assumono capacità contrattile miofibroblasto-simile, proliferano e producono collagene. L’attivazione delle cellule stellate avviene ad opera dell’acetaldeide prodotta dagli epatociti, che attiva direttamente i geni del collagene I attraverso il 29 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Epatociti Apoptosi Cellule di Kupffer Necrosi Risposta immune Steatosi Steatoepatite Fibrosi Neutrofili Cellule stellate Cellule endoteliali Cirrosi HCC Figura 11: Meccanismi di progressione della steatosi al carcinoma epatico. PPAR-γ. L’acetaldeide aumenta altresì direttamente l’espressione di TGF-ß che, a sua volta, attiva i geni per la produzione di collagene e blocca l’azione delle metalloproteinasi, deputate alla degradazione del collagene. All’attivazione delle cellule stellate concorrono anche, attraverso meccanismi di tipo paracrino, le specie radicaliche prodotte negli epatociti, l’MDA e il 4-HNE. Anche l’attivazione delle cellule di Kupffer induce fibrosi attraverso l’aumento di TNF-α che, a sua volta, porta a morte gli epatociti per apoptosi; è noto che i corpi apoptotici stimolano di per sé le cellule stellate. Infine, sul processo di fibrogenesi intervengono: – l’aumento di Vascular Endothelial Growt Factor (VEGF), secondario all’ipossia indotta dall’etanolo; – un’ulteriore aumentata produzione di citochine proinfiammatorie da parte dei T linfociti attivati dall’acetaldeide e dalle molecole di adesione vascolari, endoteliali e intercellulari (VCAM-1 e ICAM-1 e 2), a loro volta prodottesi in seguito allo stress ossidativo. La fibrosi dell’epatopatia alcolica è tipicamente pericellulare e perivenulare e, soprattutto quest’ultima, è considerata altamente predittiva della progressione verso la cirrosi. Alla patogenesi del danno da etanolo contribuisce, inoltre, l’attivazione del sistema immunitario, come documentato dalla presenza di anticorpi contro addotti acetaldeide-proteine e proteine citocromo CYP2E1. La cirrosi rappresenta lo stadio finale della malattia, quale conseguenza dei processi rigenerativi messi in atto per contrastare il danno. Come per la cirrosi da altre cause, anche in questo evento il sovvertimento strutturale del fegato rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza dell’epatocarcinoma, 30 Alcol e fegato: un connubio difficile sebbene non sia del tutto stabilito il ruolo patogenetico dell’alcol nell’ambito della trasformazione neoplastica del fegato. L’alcol potrebbe agire anche come carcinogeno diretto attraverso i prodotti del suo metabolismo: infatti, l’acetaldeide può legarsi al DNA e, a causa della sua elevata reattività, può agire come sostanza mutagenica e carcinogenetica diretta. Recentemente è stato dimostrato che in presenza dell’allele ALDH2*2 dell’aldeide deidrogenasi, dotata di minore capacità di trasformare l’acetaldeide in acetato, si osserva una maggiore prevalenza di epatocarcinoma. Il coinvolgimento del CYP2E1 nella cancerogenesi epatica, invece, potrebbe essere correlato alla generazione dei radicali idrossietilici e successivamente dei perossidi, capaci di reagire rapidamente con i costituenti cellulari, compreso il DNA [24,39,55]. L’alcol, inoltre, può interferire sulla proliferazione e differenziazione cellulare attraverso i processi di metilazione così come attraverso la riduzione intracellulare di acido retinico; infatti, sia le metilazioni che l’acido retinoico controllano i numerosi processi di rigenerazione e differenziazione epatocitaria. L’etanolo riduce l’attività della same-sintetasi, inibisce l’attività della DNA-metilasi, induce bassi livelli di acido folico indispensabile per le metilazioni; inoltre, l’induzione del CYP2E1 da parte dell’etanolo aumenta il catabolismo dell’acido retinico ed è stata dimostrata anche un’interferenza dell’alcol sull’attività degli enzimi di sintesi dello stesso. Da ultimo, gli stessi meccanismi immunitari precedentemente descritti per la patogenesi della cirrosi possono avere un ruolo anche nell’insorgenza dell’epatocarcinoma; infatti, sia la presenza di neoantigeni, sia la malnutrizione, che può complicare un abuso alcolico, sono entrambi fattori che possono interferire con il sistema immune e quindi favorire lo sviluppo di tumore [24,39,55] . Take home messages Il danno epatico da alcol va dalla semplice steatosi fino alla cirrosi e all’epatocarcinoma. La via del danno passa attraverso la steatoepatite e la fibrosi in un arco di tempo variabile da 10 ad oltre 40 anni. La tipologia del danno è fortemente influenzata dalla quantità dell’etanolo usato e dalla persistenza dell’uso ed è legata alle perturbazioni del metabolismo intermedio intraepatocitario indotta dall’alcol. Il metabolismo completo dell’etanolo, inoltre, porta anche a vari effetti generalizzati di tipo metabolico. L’alcol può avere effetti carcinogenetici indiretti, legati principalmente alle interferenze fra i suoi metaboliti e le strutture cellulari. 31 © Giuseppe de Nicola Editore Capitolo 5 Perché non tutti i forti bevitori sviluppano danno epatico? Aa di comune riscontro che su un campione di 100 persone che abusano di alcol almeno 90 di esse presenteranno una steatosi ma, fortunatamente, non più del 20% svilupperà una cirrosi e, in tale evenienza, solo dopo un periodo di tempo lungo molti anni (Figura 12). Tale osservazione indica che nella patogenesi del danno cronico da alcol (così come da altre cause) certamente intervengono più cofattori, capaci di modularne la progressione nel tempo. Recentemente sono stati identificati alcuni fattori di rischio che associati all’uso di alcol ne potenziano l’effetto epatotossico; essi sono: È Figura 12: Spettro ed evoluzione della patologia epatica di origine etilica Abuso cronico di etanolo 100 soggetti Steatosi: 90 Steatoepatite: 40 Cirrosi: 20 HCC: 4 33 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli – – – – – – – – consumo alcolico giornaliero > 30 g/die consumo quotidiano consumo lontano dai pasti uso di superalcolici infezione da HCV fumo di sigaretta scarso uso di caffè obesità e malnutrizione. Ad essi vanno sicuramente aggiunti possibili fattori genetici. Abbiamo visto come la farmacocinetica dell’alcol determina il tempo della concentrazione ematica ed il grado di esposizione degli organi ai suoi effetti. Il sesso, la composizione corporea, la massa magra, il volume del fegato, la composizione degli alimenti, la razza, il polimorfismo genetico degli enzimi che metabolizzano l’alcol sono tutti fattori che influenzano non solo il tempo di eliminazione dell’alcol stesso ma anche le regioni promoter dei geni per i suddetti enzimi. Accanto a questi, nella patogenesi del danno epatico da alcol sono implicati altresì altri geni, quali quelli che regolano la: – sintesi degli enzimi deputati alla neutralizzazione dei metaboliti tossici, o dei prodotti intermedi – sintesi delle citochine proinfiammatorie e antinfiammatorie – risposta immune – sintesi e degradazione del collagene. La tabella X riassume i principali geni per i quali è stata documentata una diretta implicazione nella modulazione del danno epatico alcol-correlato. Come abbiamo già detto, la variante ADH3*1 risulta essere un importante fattore di rischio per lo sviluppo di epatocarcinoma nei bevitori, anche se non sembra avere un ruolo nello sviluppo della cirrosi. Differenze di fenoTabella X: Geni candidati per la progressione del danno epatico da alcol. Fisiopatologia Mediatori Geni Tossicità alcool Acetaldeide ADH, ALDH, CYP2E1 Stress ossidativo ROS, endotossine CYP2E1, MNSOD, MPO, GST Risposta immune/ infiammazione Citochine TNFα, IFNγ, IL-10, IL-1ß, CD14 Attivazione cellule stellate Fattori profibrogenici TGFß, angiotensinogeno, leptina, CTGF Sintesi e degradazione collagene TIMP’s collagenasi TIMP1-2, MMPs Da: STICKEL et al., Alcohol Alcohol 2006. 34 Alcol e fegato: un connubio difficile tipo funzionale per CYP2E1 potrebbero poi costituire un fattore di rischio per la progressione dell’epatopatia alcolica, così come mutazioni a carico di geni che codificano per gli enzimi con funzioni anti-ossidanti (variante 16-alanina della Mn-superossido dismutase (ala-SOD2) e forme delete di glutatione Stransferasi di classe µ e τ (GSTM1 e GSTT1). I dati, tuttavia, sono contrastanti mentre più rilevanti sembrano le possibili varianti geniche legate al TNF-α e comunque alla via della flogosi. Anche un polimorfismo che modifica l’espressione sulla membrana dei linfociti T del recettore CTLA-4 (Cytotoxic T Lymphocyte Associated Antigen-4), che è coinvolto nel controllo negativo della risposta dei linfociti T, sembra essere associato ad un maggior rischio di cirrosi. Occorre ricordare, infine, che polimorfismi a carico di geni coinvolti nella regolazione dei processi di rimodellamento della matrice extracellulare sono stati proposti avere un ruolo nel condizionare l’insorgenza di cirrosi epatica. I dati finora disponibili circa il ruolo di varianti dei geni per TGFß1 e delle metallo-proteinasi della matrice (MMP) indicano una possibile associazione fra il rischio di cirrosi alcolica e la presenza di forme mutate di MMP3 [19,24,57,64]. Anche il genere maschile/femminile influenza il danno epatico da etanolo. Oltre l’aspetto legato alla differente biodisponibilità e distribuzione corporea nell’animale da esperimento, dopo 4 settimane di consumo alcolico, l’attività degli enzimi deputati al metabolismo dell’alcol rimane immodificata eccetto che per il citocromo P4502E1, che aumenta del 42% nei maschi e dell’88% nelle femmine; inoltre, nella femmina è stata documentata maggiore diffusione di endotossine con conseguente maggiore produzione di TNF-α. Tutti questi effetti non sono riscontrabili in caso di soggetti sottoposti ad ovariectomia. L’attività dell’alcol-deidrogenasi è significativamente ridotta nelle donne giovani e in quelle con età > 60 anni rispetto alle donne di età adulta; negli uomini, invece, l’attività dell’ADH diminuisce progressivamente con l’età (50% in meno nella fascia di età 60-80 anni rispetto ai maschi di 40 anni). Il sistema delle catalasi responsabile del metabolismo dell’etanolo è in genere considerato meno importante ed è limitato in condizioni normali dai bassi livelli di H2O2. Questo sistema è molto sensibile a diverse condizioni dietetiche e metaboliche: la presenza di emocromatosi o l’eccesso di ferro nella dieta, l’obesità e/o la malnutrizione e il deficit di micronutrienti – fra cui, soprattutto, lo zinco – sono tutti fattori capaci di influenzare negativamente la progressione del danno epatico. Viceversa, di recente è stato documentato il ruolo di fattore protettivo del caffè (da una a 5 tazzine/die) [4,16,36,41,45,51]. La suscettibilità al danno epatico, inoltre, risulta potenziata dalla contemporanea presenza di altri fattori capaci di interferire sia sulla funzione dei citocromi, sia sullo stress ossidativo. L’uso cronico di numerosi farmaci così come l’esposizione a tossici ambientali – tipico l’esempio degli idrocarburi che attivano i citocromi P450 – 35 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli induce interferenza fra i vari metabolismi, con possibile sviluppo anche di procarcinogeni o sostanze capaci di ossidare le basi del DNA. Fra i virus epatitici maggiori è nota la capacità dell’HCV di indurre stress ossidativo intraepatocitario, per cui in presenza di alcol questo fatto si traduce in un danno epatico maggiore ed a più rapida evoluzione [45,51]. La tabella XI e le figure 13 e 14 sintetizzano i rapporti virus C-alcol nel determinismo del danno epatico cronico. Tabella XI: Interazione tra determinanti sierologici di infezione da HCV e consumo di alcol sul rischio di cirrosi epatica scompensata Unità alcoliche/Die OR IC 95% 0 HCVAb– HCVAb+ 1.0* 20.0* Riferimento 9.3-42.8 <4 HCVAb– HCVAb+ 2.2* 44.4* 0.9-5.2 8.8-223.3 >4 HCVAb– HCVAb+ 13.1* 261.8* 5.0-34.3 46.5-999.9 Odds ratio (e intervallo di confidenza al 95%) stimato con un modello di regressione logistica condizionato. *p < 0.05 Figura 13: Rapporti fra alcol ed istologia epatica in pazienti con epatite cronica da HCV. Da: RIGAMONTI et al., Hepatology 2003. 36 Alcol e fegato: un connubio difficile Figura 14: Consumo di alcol e risposta alla terapia con IFN. Da: LOGUERCIO et al., Alcohol Alcohol, 2000. Take home messages Numerosi fattori possono interagire nel determinare l’induzione e la progressione del danno alcol-correlato; fra questi, un ruolo importante è svolto da possibili variazioni genetiche per i geni che sottintendono alla sintesi degli enzimi implicati nel metabolismo dell’alcol e/o ai mediatori del danno quali, ad esempio, alcune citochine. Altresì importante è il ruolo svolto dalla biodisponibilità dell’etanolo e quindi dalla composizione corporea e dallo stato nutrizionale dell’individuo, a loro volta influenzati dal sesso e dall’età. Cofattori sono anche farmaci, ferro, virus epatitici, malattie metaboliche quale il diabete. 37 © Giuseppe de Nicola Editore Capitolo 6 Come si fa diagnosi di epatopatia alcolica? Aa bbiamo detto che l’alcol può essere nel contempo fattore unico o cofattore di danno epatico e che certamente la quantità giornaliera di consumo rappresenta l’elemento degno di maggiore considerazione. Per tale motivo appare chiaro che una corretta anamnesi alcologica è fondamentale per l’approccio diagnostico; essa dovrebbe sempre tendere a valutare: – la tipologia del bere (quantità, qualità e durata) – l’approccio al bere (abitudine voluttuaria, dipendenza, tossicomania) – il momento del consumo (in compagnia, ai pasti, da soli, con uso di altre sostanze, etc.) – il rapporto con il lavoro e con la guida. Questi sono soltanto alcuni degli aspetti da considerare ed è chiaro che, come per qualunque altra raccolta anamnestica corretta, tutte queste informazioni si possono desumere solo attraverso un colloquio “empatico” con il paziente e non attraverso un interrogatorio. Qualunque persona tenderà a sminuire in tutti i sensi il proprio rapporto con una sostanza, anche se usata a piccole dosi, e dovrà essere cura del medico identificare – attraverso, appunto, un buon rapporto medico-paziente – quanto quella sostanza sia “patologica” in quel momento della vita di quel particolare paziente. Da ricordare che la bevanda alcolica può essere considerata in vario modo: – molecola “edonica” (rischio: dipendenza) – molecola “energetica” (rischio: obesità/malnutrizione) – molecola “tossica” (rischio: danno d’organo). Alcuni questionari ben strutturati e validati possono aiutare a porre diagnosi di “bere patologico” (vedi appendice). Tuttavia, a parte il problema dipendenza, nella pratica clinica quotidiana può servire un approccio come riportato nel questionario n. 4; in alternativa si può anche fare un’anamnesi al- A 39 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli cologica attraverso i questionari di storia alimentare, come da noi ampiamente documentato [17,18]. È importante sottolineare che tutti i questionari devono essere somministrati e registrati per iscritto, al fine di aumentare la loro accuratezza diagnostica. La diagnosi di epatopatia alcolica non segue percorsi differenti da quelli utilizzati per altri tipi di epatopatia cronica; l’esame clinico del paziente, al di là dell’epatosplenomegalia, offrirà reperti quali spider naevi, eritema palmare, retrazione dell’aponeurosi palmare (segno di Dupuytren), atrofia testicolare, ginecomastia. Altri segni che esulano dalla patologia epatica potranno orientarci verso un abuso alcolico, quali: congiuntiva iniettata o “acquosa”, arco senile, bruciature di sigarette tra il dito indice e medio e sul petto, contusioni, lividi ed altri traumi, acne rosacea, sudorazione eccessiva, alterazioni della sensibilità degli arti inferiori (indice di iniziale neuropatia periferica), sensazione di calore agli arti inferiori, tremori grossolani agli arti superiori, alterazioni della postura e della deambulazione (atassia), difficoltà di concentrazione; riduzione del campo visivo; deficit cognitivi; tremori fini; fino alla presenza di segni e sintomi di astinenza rappresentati: 1. dopo 6-12 ore dall’ultima assunzione da: ansia, irrequietezza, tremori, insonnia, sudorazione, ipertensione, tachicardia; 2. dopo circa 24 ore da: allucinazioni uditive, tattili e olfattive, 3. dopo 12-48 ore: convulsioni, 4. dopo 2-3 giorni: delirium tremens. Potranno altresì essere presenti segni di interessamento multiorgano (pancreas, cuore, anemia, etc.). Sul piano laboratoristico non esiste un’indagine sensibile e specifica di uso/abuso di alcol. L’insieme di più alterazioni biochimiche tuttavia aumenta la sensibilità diagnostica; distinguiamo, pertanto: • Indicatori di consumo recente – Alcolemia e alcoluria: sono utili quali strumenti diagnostici utilizzabili per problematiche legali o in medicina d’urgenza ma non nelle diagnosi di patologia d’organo da alcol, essendo l’emivita dell’etanolo mediamente di un’ora (da 30 a 120 minuti circa). Hanno, tuttavia, sensibilità e specificità di circa il 98-100%. – Rapporto 5-idrossitriptofolo/5-idrossi-indolacetico (5-HTOL/5-HIAA): è un buon marcatore di consumo alcolico recente poiché individua l’avvenuta ingestione anche di modeste quantità di etanolo nelle precedenti 24 ore. Altri marcatori di uso recente di alcol sono l’Etilglucuronide, l’Etilsolfato e gli Esteri Etilici degli Acidi Grassi (Fatty Acid Ethyl Esters, FAEE). • Indicatori di consumo cronico – CDT test: la determinazione della transferrina desialata (CDT test), entrata nell’uso più recentemente, ha un valore diagnostico discutibile, con una sensibilità di circa il 20-30% nella popolazione generale, del 50% nei 40 Alcol e fegato: un connubio difficile bevitori a rischio e dell’80% solo negli alcolisti cronici. La sua specificità è alta (80-95%) ma diversi fattori ne possono influenzare i livelli fra cui, in particolare, proprio la presenza di un danno epatico cronico. Esiste, inoltre, una significativa differenza di sensibilità del test fra maschi e femmine (nella donna la sensibilità è minore), rispetto all’età (maggiore sensibilità oltre i 50 anni); i suoi livelli aumentano progressivamente in 7-8 giorni con un uso costante di etanolo di almeno 60-80 g/die e persistono elevati per 15-20 giorni anche dopo la sospensione. Falsi negativi si potranno riscontrare in caso di terapia marziale, sindrome metabolica, gravidanza, consumo di vino rosso; viceversa, falsi positivi potranno verificarsi per il concomitare di iposideremia, fumo di sigaretta, uso di estroprogestinici. La sua sensibilità aumenta se è contemporaneamente presente aumento di γGT. Altri marcatori biologici di abuso cronico sono la ß-esosaminidasi e gli addotti dell’acetaldeide con l’emoglobina e l’indice di acido sialico dell’Apo J. La loro determinazione, tuttavia, non è ancora entrata nell’uso corrente. • Esami di routine (non strettamente specifici) – γGT: è un’indagine di primo livello, con una sensibilità del 20-30% (aumenta nell’etilismo cronico fino al 90%). Enzima “inducibile” per eccellenza, è influenzato dal sesso (sensibilità lievemente maggiore nei maschi), dall’età (la sensibilità decresce con l’età), dai farmaci, dal diabete, dall’obesità, dalla pacreatite, etc.. Anche la specificità è bassa (30-40%). Ha un’emivita di circa 15 giorni e torna ai valori normali dopo 1-2 mesi di astinenza. – AST/ALT: l’aumento delle AST (transaminasi mitocondriali) rispetto alle ALT (transaminasi intracitoplasmatiche) depone per una necrosi “tossica” dell’epatocita e quindi possono essere considerate indice di danno epatico da etanolo in presenza di uso/abuso di alcol. La loro sensibilità e specificità tuttavia è molto bassa (20-50%). – MCV: l’etanolo interferisce con l’assorbimento dei folati e della Vitamina B12, mentre l’acetaldeide circolante ha un’azione tossica diretta sia sulle membrane eritrocitarie che a livello midollare; pertanto, un aumento del volume corpuscolare medio degli eritrociti è considerato indice di abuso alcolico, con una specificità del 90% ma con bassa sensibilità (40-50%), più marcata nelle donne. Tale alterazione persiste oltre tre mesi dall’astinenza. – Parametri metabolici: come già detto, l’uso/abuso di etanolo induce una serie di alterazioni metaboliche quali ipertrigliceridemia, iperlattacidemia, ipoglicemia, iperuricemia. L’insieme di uno o più di tali alterazioni è un ulteriore indice di aumentato consumo di alcol. A tutti questi si può aggiungere anche un aumento delle immunoglobuline IgA, per interferenza dell’alcol sulla loro sintesi intestinale. È stato recentemente suggerito che la sensibilità di tutti questi rilievi aumenta quando si registra anche una risposta positiva ad uno dei questionari precedentemente descritti [7]. 41 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli L’esame ecografico del fegato mostrerà quasi sempre un aspetto iperriflettente o “brillante”. Possono, altresì, essere presenti segni ecografici di ipertensione portale che, nel caso di danno cronico da etanolo, possono comparire anche senza cirrosi (per la precoce fibrosi pericentrale e la steatosi diffusa). Il quadro clinico dell’epatite acuta alcolica è relativamente più modesto rispetto a quello di un’epatite virale acuta: l’ipertransaminasemia raramente è superiore a 10 volte i valori normali; può essere presente ittero. Le forme più gravi possono manifestarsi in circa il 60% dei casi con: ascite, ittero, encefalopatia, emorragie da varici esofagee, frequentemente febbre, dolore e leucocitosi neutrofila. La mortalità in questi casi può arrivare fino al 50%. Sul piano istologico le alterazioni caratteristiche del danno epatico da etanolo sono: – steatosi micro/macrovescicolare con presenza anche di lipogranulomi – presenza di cellule “balloniformi” e corpi di Mallory – infiltrato neutrofilo – fibrosi perivenulare (segno prognostico indicativo di evoluzione del danno). Per i principali aspetti istologici vedi figure 15-19. Figura 15: Steatosi micro-macrovescicolare 42 Alcol e fegato: un connubio difficile Figura 16 (a, b): Degenerazione palloniforme degli epatociti 43 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Figura 17: Corpi di Mallory 44 Figura 18: Scleroialinosi centrolobulare Alcol e fegato: un connubio difficile Figura 19: Epatite cronica Take home messages La diagnosi di epatopatia alcolica si basa soprattutto su una corretta anamnesi alcologica. Questa può essere effettuata attraverso il colloquio clinico non strutturato e si può avvalere dell’aiuto derivante dall’uso di strumenti codificati per la valutazione dell’alcol-dipendenza (tests quali Audit, CAGE, etc.). Sul piano umorale non esiste un’unica indagine specifica e sensibile. La contemporanea presenza di più alterazioni umorali, più o meno i risultati ottenuti dai questionari somministrati, aumenta la potenza diagnostica. 45 © Giuseppe de Nicola Editore Capitolo 7 Si può curare o arrestare il danno epatico alcol-correlato? Aa a prima terapia da attuare in corso di danno epatico da alcol, anche quando l’alcol è considerato solo un semplice cofattore di danno, è rappresentata dall’astinenza assoluta dall’uso di qualunque tipo di bevanda alcolica. Gli specialisti in dipendenze dicono che l’alcolismo è fatto di periodi di astinenza e di relapse, per cui essi tendono a considerare più realistico il prolungamento del periodo di astinenza anziché tentare di avere l’astinenza assoluta; secondo Fuller: “Nell’alcolismo, come nel diabete, una parziale risposta è meglio che una non risposta”. È buona norma, tuttavia, non sottovalutare anche i danni epatici causati da un’astinenza acuta; infatti, accanto ai ben noti sintomi neurologici, non va dimenticato che durante un’astinenza acuta si verifica un’ipossia generalizzata ed un danno epatico per un aumento degli ormoni dello stress che stimolano la produzione di citochine proinfiammatorie e di radicali liberi dell’ossigeno e dell’ossido nitrico; il danno viene poi aggravato dalla riperfusione successiva all’ischemia indotta dal cortisolo e dalle catecolamine. È ampiamente dimostrato che la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti affetti da cirrosi alcolica compensata è del 90%, mentre scende al 70% se il paziente continua a bere ed al 30% se il paziente è scompensato e continua nell’uso di bevande alcoliche. Il conseguimento dell’astinenza e, soprattutto, il suo consolidamento nel tempo non possono essere raggiunti con un mero approccio individuale ed occasionale sia pur svolto con il medico curante o con il supporto dello specialista, ma devono essere sempre il risultato di interventi multidisciplinari che coinvolgano l’internista, il gastroenterologo, il neurologo o lo psichiatra, lo psicologo, i gruppi territoriali di auto-aiuto, etc.. L 47 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Possiamo schematicamente analizzare le terapie proposte per i vari quadri di danno quali: – epatite acuta alcolica – steatosi e steatoepatite – cirrosi epatica – emergenze EPATITE ACUTA ALCOLICA Il presidio terapeutico più efficace rimane tuttora un adeguato supporto nutrizionale che, calcolato sulla base delle singole esigenze, deve essere attuato soprattutto sotto forma di una corretta alimentazione e/o di integrazione entrale, riservando la via parenterale solo a taluni casi particolari [48]. – Corticosteroidi: il rationale per il loro uso è legato al documentato effetto di tali farmaci come anti-infiammatori e regolatori della risposta immune; essi, inoltre, riducono la formazione di addotti dell’acetaldeide. Varie metanalisi hanno documentato un loro beneficio nel trattamento dell’epatite acuta alcolica (in termini di guarigione e sopravvivenza); tuttavia il loro uso deve essere evitato nei pazienti con controindicazioni assolute e relative (ad esempio: co-presenza di sepsi, di emorragie digestive, di insufficienza renale, etc.). Recentemente è stato dimostrato che 30 mg/die di prednisone sono l’approccio migliore per i pazienti con epatite acuta alcolica, mentre nessun effetto significativo è stato raggiunto con l’utilizzo di una miscela di antiossidanti (vitamina C, E, selenio, metionina, allopurinolo, desferrioxamina, N-acetil-cisteina) [41]. – AntiTNF-α: nella sezione relativa alla patogenesi del danno epatico da alcol abbiamo già posto l’accento sul ruolo chiave svolto dalle citochine proinfiammatorie e soprattutto dal TNF-α quale mediatore di necrosi e flogosi. Recentemente due trials hanno suggerito l’utilizzo di anticorpi anti-TNFα (Infliximab) nel trattamento dell’epatite acuta alcolica; essi sono stati oggetto di numerose critiche, motivate soprattutto dai rischi legati agli effetti collaterali (infezioni/sepsi) e pertanto, oggi, tali farmaci non possono essere inclusi nell’armamentario terapeutico di tale patologia [37,53]. – Pentossifillina: il suo impiego nella terapia dell’epatite acuta alcolica è legato alla capacità di tale sostanza di inibire la trascrizione del gene per il TNF-α. Alcuni trials ne hanno documentato l’efficacia nel prevenire le complicanze della malattia ma allo stato attuale i dati necessitano di una più ampia verifica [54]. STEATOSI E STEATOEPATITE Gli obiettivi del trattamento sono: – ridurre la steatosi; 48 Alcol e fegato: un connubio difficile – ridurre la progressione verso la steatoepatite; – bloccare o ridurre la fibrosi. Presidio cardine per raggiungere questi tre obiettivi è, ovviamente, l’astinenza dall’uso di bevande alcoliche, associata ad una corretta impostazione nutrizionale. Tuttavia, poiché non sempre è possibile sapere quando e in che entità la steatosi è già complicata dall’innesco della flogosi e della fibrosi, sono stati avviati numerosi tentativi terapeutici con diversi farmaci [30,32]. Fra questi, i più studiati sono stati la vitamina E, da sola o associata ad altre miscele di antiossidanti, la colchicina, la fosfatidilcolina e la sillimarina. – La Vitamina E, utilizzata per i suoi effetti antiossidanti, non ha in realtà risposto alle aspettative nei vari trials effettuati; viceversa, risultati più incoraggianti sono stati ottenuti con l’impiego della fosfatidilcolina. Questa molecola, derivata dalla lecitina, è stata utilizzata in quanto capace di ridurre l’attivazione delle cellule stellate e di aumentare l’attività della collagenasi. Essa, inoltre, sembrerebbe in grado di diminuire l’attivazione del citocromo P450 2E1 e la produzione di TNF-α. Nonostante queste premesse, un trial condotto in America su pazienti con epatopatia alcolica non ha mostrato effetti significativi sull’istologia epatica [54]. – La Sillimarina è stata per anni una molecola utilizzata nel trattamento delle epatopatie croniche a varia etiologia, soprattutto in quelle di origine etilica; le prime notizie relative all’uso di cardo mariano, di cui la sillimarina è un costituente fondamentale (70-80%), risalgono a Teofrasto (IV secolo a.C.) e successivamente a Plinio (I secolo a.C.). Nel corso dei secoli questo antico “rimedio” ha continuato ad essere identificato come presidio “antitossico” nelle varie malattie del fegato [25]. Nonostante ciò, una recente metanalisi condotta su vari lavori pubblicati dal 1996 al 2003 e relativi all’uso di sillimarina in pazienti con epatopatia cronica [43] ha documentato che su 1833 voci bibliografiche solo 13 erano riferite a trials in doppio cieco. Di questi, alcuni erano anche di scarsa qualità e in sostanza documentavano un possibile effetto terapeutico di sillimarina, ma non riuscivano a trarre risultati sicuramente conclusivi. Tali considerazioni suggeriscono che, verosimilmente, l’uso spontaneo di un antico rimedio ne ha impedito, nel corso degli anni, almeno in parte, una corretta valutazione farmacologia. La sillimarina è, in realtà, un composto di vari principi attivi, fra cui il principale è rappresentato dalla silibina, a sua volta costituita da due isomeri. Gli effetti della silibina sono stati invece studiati, soprattutto negli ultimi decenni, particolarmente in vitro. In vivo, infatti, essa presente bassa solubilità, e per tale motivo è stata variamente coniugata al fine di aumentarne la biodisponibilità. Gli effetti di questa molecola sono molteplici ed includono, principalmente, un effetto antiossidante ed uno antifibrotico, verosimilmente fra loro 49 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli non collegati. La silibina, infatti, inibisce la perossidazione lipidica delle membrane e l’attivazione delle cellule stellate; inibisce, altresì, l’attivazione dell’NFkB, del TNF-α, delle caspasi e del citocromo P-450. Inoltre, è spiccata l’azione pro-apoptotica, per la quale la silibina è stata ampiamente studiata quale possibile antitumorale, specialmente nel caso di tumori cutanei e della prostata. Coniugata con fosfolipidi e Vitamina E, la silibina ha mostrato effetto migliorativo di alcuni parametri di danno epatico e di fibrosi anche in vivo nell’uomo, mentre nell’animale da esperimento tale composto ha significativamente migliorato anche lo score di fibrosi [21,26,27,33,55]. Mancano, tuttavia, al momento, trials controllati nel paziente con epatopatia alcolica utilizzando questo nuovo composto. CIRROSI La gestione di una cirrosi etilica non si differenzia in modo sostanziale da quella di una cirrosi ad eziologia virale. Va comunque tenuto da conto che le norme di follow-up clinico e di carattere farmacologico andranno affiancate alla gestione dei problemi di carattere neuropsichico, con il contributo di specialisti di tale settore. Sono stati condotti alcuni trials controllati sul trattamento dei pazienti con cirrosi alcolica, utilizzando sia antiossidanti (principalmente sillimarina e S-adenosil-metionina) o antifibrotici diretti e indiretti (propiltiouracile e colchicina). L’effetto dei farmaci è stato valutato sulla sopravvivenza media di tali pazienti rispetto a gruppi di controllo non trattati. Pur con risultati diversi il trend globale di tali trials ha dimostrato la scarsa efficacia di ognuno di questi farmaci nella cirrosi [35]. Due aspetti di non trascurabile importanza per quanto attiene i pazienti con cirrosi etilica, soprattutto in relazione alle loro aspettative di vita, sono: – l’astinenza da almeno sei mesi è un requisito indispensabile per l’inserimento dei pazienti idonei nelle liste d’attesa per il trapianto di fegato, – fondamentale è il mantenimento di uno stato nutrizionale adeguato, attraverso la correzione sia della malnutrizione che dell’obesità. Integratori dietetici multivitaminici o con oligoelementi, oltre una dieta bilanciata, possono migliorare la compliance nutrizionale. Utile l’aggiunta di folati. QUADRI DI EMERGENZA Accanto alla terapia del quadro di danno cronico il medico può spesso essere chiamato in causa per gestire quadri acuti come il coma, un’intossicazione acuta o una sindrome da astinenza. – Coma Il coma che può verificarsi nell’epatopaziente alcolista potrà essere di diverso tipo: etilico, epatico, ipoglicemico, chetoacidosico o traumatico. 50 Alcol e fegato: un connubio difficile La diagnosi differenziale non sempre sarà agevole se non si implementeranno sia i dati clinici che quelli di laboratorio e strumentali. Essi, comunque, andranno sempre analizzati in maniera critica, ricordando che un’alitosi alcolica non indica necessariamente un coma etilico in quanto il paziente potrebbe, ad esempio, essere andato in coma per ipoglicemia o per un evento traumatico; viceversa, un’alitosi da alcol potrebbe essere mascherata da alitosi generica da cattiva igiene orale. In ogni caso i presidi fondamentali dovranno essere orientati al: – mantenimento delle funzioni vitali; – eventuale correzione degli squilibri metabolici; – uso di farmaci capaci di aiutare il risveglio quali il Naloxone (in caso di coma etilico) ed il Flumazenil (in caso di coma epatico). Gli eventuali problemi di diagnostica differenziale fra encefalopatia etilica o epatica si potranno presentare anche per gli altri stadi di encefalopatia senza coma, soprattutto per quella minima. Anche in questo caso gli esami di routine indicativi di un uso continuativo di alcol ed i tests di consumo, oltre ai classici tests psicometrici utilizzati per la diagnosi di encefalopatia minima, potranno aiutare il medico. Appare chiaro, in base a quanto detto, come in un paziente epatopatico sia rischioso continuare a bere, dato che il consumo di alcol, sia pur in quantità moderate, influenza significativamente le funzioni cerebrali oltre che epatiche e favorisce lo sviluppo o il peggioramento dell’encefalopatia [38,46]. – Intossicazione acuta Se il paziente si presenta in emergenza per un’intossicazione acuta generalmente presenterà tratti caratteriali di aggressività per cui potrebbe rendersi necessaria una sedazione, da attuare utilizzando il Diazepam o il Droperidolo per via endovenosa. In tal caso sarà necessario ricordare che tali farmaci nell’epatopaziente possono determinare un’ulteriore compromissione dello stato di coscienza fino ad innescare un coma di origine jatrogena. Risultati positivi sono stati ottenuti con l’impiego della Metadoxina [1,2]. Qualora il paziente giungesse all’ossservazione in sindrome da astinenza, le benzodiazepine (Diazepam) e il Clorodiazepossido dovranno essere utilizzati a dosi dimezzate a causa del danno epatico. Sono stati utilizzati anche il Sale Sodico dell’Acido 4-Idrossibutirrico (GHB) e il Baclofen, ma il loro impiego presenta ancora caratteri sperimentali [1]. Qualora il paziente si presenti in uno stato di delirium tremens s’impone l’uso anche di altri farmaci, quali la Tioridazina, l’Aloperidolo e il Tiapride [2] che, tuttavia, andranno impiegati a posologia ridotta a causa dei possibili danni che possono presentarsi nel paziente epatopatico. 51 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Take home messages Il primo e indispensabile presidio terapeutico dell’epatopatia alcolica è il raggiungimento e la persistenza di uno stato di astinenza. Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un approccio di tipo multidisciplinare e a “rete”, partendo dall’ospedale ed arrivando ai presidi territoriali, compreso i gruppi di terapia familiare e/o di auto-mutuo aiuto e coinvolgendo medici, psichiatri, psicologi, etc.. Indispensabile è, altresì, il controllo dello stato nutrizionale globale del paziente, eventualmente anche attraverso l’utilizzo di quei fattori che possono essere ridotti per l’uso incongruo di etanolo (acido folico, vitamina B12, microelementi, etc.). Non esistono allo stato attuale farmaci specifici, anche se l’uso di alcuni antiossidanti potrebbe sortire qualche beneficio. Da ricordare che l’epatopaziente potrà arrivare anche in emergenza per astinenza o intossicazione acuta fino al coma. In questi casi, oltre il mantenimento delle funzioni vitali, sarà importante discernere quanto della compromissione cerebrale è da insufficienza epato-funzionale e quanto da alcol, dato che tutti i farmaci del sistema nervoso possono aumentare la compromissione cerebrale aggiuntiva nell’epatopaziente. 52 © Giuseppe de Nicola Editore Capitolo 8 Si può prevenire la cirrosi da alcol? Aa a cirrosi da alcol si può e si deve prevenire. Si può e si deve prevenire anche il ruolo che l’alcol può avere come cofattore di danno. Quali sono i mezzi a nostra disposizione? Certamente il primo presidio è la corretta informazione. Il piano nazionale “Alcol e Salute” del Ministero della Salute 2006-2008 prevede che siano attuate tutte le azioni possibili a sostegno della legge 125 del 30 marzo 2001 sull’alcol, affinché vi sia una diversa percezione del bere e vi siano messaggi globali univoci. La legge quadro in materia di alcol e problemi alcol-correlati enuncia le seguenti finalità: a) tutela il diritto delle persone – in particolare dei bambini e degli adolescenti – ad una vita familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all’abuso di bevande alcoliche b) favorisce l’accesso delle persone che abusano di bevande alcoliche e dei loro familiari a trattamenti sanitari e assistenziali adeguati c) favorisce l’informazione e l’educazione sulle conseguenze derivanti dall’abuso di bevande alcoliche d) promuove la ricerca e garantisce adeguati livelli di formazione e di aggiornamento del personale che si occupa di problemi alcol-correlati e) favorisce le organizzazioni del privato sociale senza scopo di lucro e le associazioni di auto-mutuo aiuto finalizzate a prevenire o ridurre i problemi alcol-correlati. Pertanto, ogni medico è coinvolto nella prevenzione dei danni da alcol sia come operatore sanitario che come semplice cittadino. L’obiettivo cardine è convogliare in un linguaggio comune e avere rapporti stabili con le varie istituzioni e figure professionali, al fine di incrementare il significato culturale del L 53 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Tabella XII: Fattori predittivi di astinenza e consumo di alcol Astinenza Predisposizione Religione Etici Rischi nocivi Disgusto Disinteresse Tradizione di astinenza Fattori comportamentali Fumo di sigaretta Consumo familiare Consumo nella cerchia di amici Consuetudini sociali e culturali Tabella XIII: Fattori predittivi di astinenza e consumo di alcol Consumo etilico Alcolismo Ricerca del piacere Automedicazione Età Sesso Stato civile Stato sociale Occupazione Costo bevande alcoliche Restrizioni legali Norme sociali e culturali Alcolismo familiare Comportamenti antisociali Ansia Tabagismo Scarse relazioni sociali Flushing faciale bere nella società e fornire gli strumenti scientifici per un uso corretto delle bevande alcoliche. Le tabelle XII e XIII indicano, sulla base delle attuali conoscenze, i principali fattori predittivi di astinenza o dipendenza [14]. La strada del danno epatico, dalla steatosi fino alla cirrosi e all’epatocarcinoma, è lunga e si concretizza nell’arco di molti anni; ciò rappresenta un innegabile vantaggio per il medico e, in definitiva, per il paziente giacché si trasforma intuitivamente in un altrettanto lungo periodo di tempo a disposizione per poter attuare gli interventi necessari ad impedire che il danno si estrinsechi nelle sue conseguenze più catastrofiche. È necessario che nella pratica clinica di routine si quantifichi e si caratterizzi sempre l’uso delle bevande alcoliche e che si sappia interpretarne il reale significato d’uso. Spesso, infatti, l’uso non corretto o anche l’abuso rientrano in un’abitudine di vita consolidata, in assenza di una corretta informazione: si guardi l’esempio – non edificante – dell’uso di drinks da parte di bambini di 10-11 anni che, ovviamente, trovano la bevanda, magari colorata e/o alla frutta, acquistata in maniera ignara dai propri genitori. 54 Alcol e fegato: un connubio difficile In base a dati ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità la pubblicità a favore delle bevande alcoliche attraverso la televisione si verifica mediamente ogni 15 minuti su tutte le reti televisive, presentando sempre l’uso delle stesse come fattore “positivo” in termini di qualità di vita. I nostri momenti di relax sono fin troppo pieni di spots del tipo: “Che vuoi più dalla vita? Un lucano” o di sketch ipertecnologici che mostrano un uomo ed una donna, quest’ultima in carriera tra i grattacieli di New York, in collegamento webcam tra di loro e con la gocciolina di amaro che fuoriesce dal fax; di veterinari o di archeologi che dopo aver riportato alla luce un antico vaso si concedono il meritato momento di relax con il bicchierino di un noto amaro… Non esistono pubblicità, al momento, che sconsiglino o informino correttamente sui rischi del bere sbagliato. Soprattutto nelle fasce di età fra 10 e 18 anni l’alcol è la prima sostanza “trasgressiva” che i giovani incontrano e può anche rappresentare la droga di iniziazione o di accompagnamento. Attualmente in Europa circa un giovane su quattro muore a causa dell’alcol. L’alcol rappresenta indubbiamente anche un bene di consumo che necessita, tuttavia, di una regolamentazione in termini di commercializzazione, promozione e reperibilità, oltre che di qualità del prodotto. Il cittadino, in pratica, deve sapere che l’alcol è una sostanza che può cagionare danno d’organo anche se assunto a piccole dosi e, soprattutto, in talune situazioni parafisiologiche (ad esempio: età avanzata, gravidanza, contemporaneo uso di farmaci, etc.). Il livello di informazione dei cittadini sugli effetti del consumo delle bevande alcoliche non può e non deve essere riferito solo alla dipendenza dalla sostanza. La Commissione Europea, nell’ottobre del 2006, ha lanciato una “Strategia Europea sull’Alcol” che, per affrontare la preoccupante situazione descritta, e sulla base dei risultati del processo di valutazione, ha identificato i seguenti cinque temi prioritari che sono rilevanti in tutti gli Stati Membri e per i quali le azione di Comunità a complemento delle politiche nazionali e la coordinazione di azioni nazionali hanno un valore aggiuntivo: 1. Proteggere i giovani, i bambini ed il nascituro 2. Ridurre i danni e le morti da incidenti stradali alcol-correlati 3. Prevenire il danno alcol-correlato fra gli adulti e ridurne l’impatto negativo sul posto di lavoro 4. Informare, educare ed elevare la consapevolezza dell’impatto del consumo di alcol dannoso e rischioso, e dei pattern di consumo appropriati 5. Sviluppare e mantenere una base comune di evidenza a livello dell’UE. Le problematiche alcol-correlate e la prevenzione del cattivo uso vanno intesi in termini “culturali” globali. È impossibile pretendere cambiamenti dell’individuo senza aver preventivamente valutato e modificato il contesto prima familiare e poi sociale e senza che ci si ponga come obiettivo la sensibilizzazione e quindi il mutamento di abitudini, stili di vita non corretti, stereotipi, nella comunità. 55 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Il problema alcol – notoriamente già affrontato in termini proibizionistici negli Stati Uniti negli anni ‘30 – è stato recepito in maniera pressante dalle società medico-scientifiche americane ed in principal modo dall’Associazione dei Cardiologi d’oltreoceano. Le linee guida elaborate dall’American Heart Association relative all’uso di alcol includono i seguenti consigli: 1. Se tu bevi, bevi con moderazione (massimo due drinks per gli uomini ed uno per le donne). 2. I bevitori moderati hanno un più basso rischio di malattie cardiovascolari rispetto agli astemi; tuttavia, aumentando le dosi di alcol aumenta esponenzialmente il rischio di alcol-dipendenza, ipertensione, obesità, stroke, cancro, suicidio e incidenti. Pertanto l’American Heart Association avverte di non iniziare a bere se non hai mai bevuto. Consulta il tuo dottore sui rischi e benefici del bere. Sicuramente ti devi astenere dall’alcol se: a) hai una storia familiare di alcolismo, b) hai ipertensione marcata c) hai insufficienza cardiaca d) hai un danno epatico di qualunque origine e) hai o hai avuto una pancreatite f) hai una porfiria g) sei in gravidanza h) se assumi farmaci che possano interferire con l’alcol. L’OMS stima che i costi sociali e sanitari sostenuti a causa dell’alcol sono pari al 2-5% del prodotto interno lordo (PIL). Il nostro Paese, purtroppo, non è all’avanguardia nella lotta alle malattie alcol-correlate; ogni anno, infatti, circa 40.000 cittadini muoiono a causa dell’alcol per malattie, suicidi, aborti, incidenti in ambito lavorativo-domestico e della strada. Nell’anno 2000 gli incidenti stradali hanno cagionato 8.000 decessi, 170.000 ricoveri, 600.000 prestazioni di pronto soccorso e 20.000 invalidità permanenti. L’alcol rappresenta da solo la causa di circa la metà degli 8000 decessi conseguenti ad incidenti stradali, che costituiscono la prima causa di morte negli uomini di età inferiore ai 40 anni. La lettura dei quotidiani “al diman del dì di festa” recano sistematicamente la cronistoria delle stragi del sabato sera, un vero e proprio bollettino di guerra che sconvolge la vita di interi nuclei familiari. Nondimeno, l’uso dell’alcol incide in maniera significativa sul piano socio-economico se si tiene conto che le stime sul PIL dell’anno 2003 (1324 milardi di euro) hanno mostrato che i costi dell’alcol ammonterebbero a 26-66 miliardi di euro (circa 52.000-128.000 miliardi delle vecchie lire). Purtroppo si fa ancora troppo poco sia in termini di informazione che prevenzione. Non basta un semplice spot – in fasce orarie, peraltro, in cui è noto che i giovani sono latitanti – con un crash di sottofondo per scongiurare il pericolo che i nostri giovani, imbottiti di alcol e magari anche impa- 56 Alcol e fegato: un connubio difficile sticcati di talune sostanze euforizzanti, vadano a schiantarsi contro qualche palo alle prime luci dell’alba di un giorno festivo che troppo spesso si trasforma in tragedia. È necessario iniziare dalle scuole dell’obbligo, dalle comunità sociali e religiose proseguendo negli stadi di calcio, nelle trasmissioni televisive, coinvolgendo uomini di sport e spettacolo quali testimonial di una campagna di informazione che, senza demonizzare il buon bicchiere di vino dei nostri nonni e dei contadini nostrani, stigmatizzi invece i rischi degli eccessi e del modo di bere disinformato. Bisogna coinvolgere medici di ogni funzione, insegnanti, autorità civili e religiose per elaborare un messaggio comune. 57 © Giuseppe de Nicola Editore Conclusioni Aa arafrasando ciò che diceva Eugenio Montale “codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo…”, una volta giunti al termine del nostro breve percorso ci preme in primo luogo sottolineare ciò che il nostro volumetto non è. Non è una monografia tematica, di cui non ha la completezza e lo spessore né, tanto meno, l’imponenza tattile; non è una guida, esulando dai nostri intenti una trattazione sistematica del problema; è – a nostro giudizio – uno spunto, un sasso gettato nello stagno, per coloro che senza essere cultori della materia ma, comunque, operando in un contesto sociale e clinico in cui l’alcol è implicato, vogliano cercare spunti di riflessione da approfondire successivamente in opere di più ampio respiro. Non è una crociata di tipo proibizionista in quanto lungi da noi l’idea di demonizzare il buon bicchiere di aglianico che, se consumato “unum in die”, da persone esenti da patologie alcol-correlate, fornisce un utile apporto di sostanze antiossidanti. La nostra trattazione ha inteso sfatare, in primo luogo, taluni concetti o, per meglio dire, preconcetti frutto di false credenze, di nozioni derivate da credenze popolari e, pertanto, spesso prive di un fondamento scientifico. La stesura è stata impostata in forma per così dire epistolare, immaginando di rispondere – questa volta in modo organico e strutturato – alle ipotetiche domande che ogni giorno ci vengono poste dai pazienti, dai loro familiari, dai medici di famiglia; in fin dei conti da chiunque si trovi, suo malgrado, a confrontarsi nel vivere quotidiano con i problemi clinici e sociali che il consumo errato di bevande alcoliche suole cagionare. Il libello è stato inoltre corredato di un’appendice, costituta da questionari di utile e corrente impiego nella pratica clinica per valutare il consumo presunto. P 59 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Auspichiamo che esso possa costituire una sorta di vademecum tascabile per medici, specializzandi, personale socio-sanitario nel proprio percorso quotidiano e che i nostri venticinque lettori (senza voler scomodare il Manzoni) ci perdonino le inevitabili inesattezze o lacune ma… credeteci “non lo si è fatto apposta”. 60 © Giuseppe de Nicola Editore Appendice Aa CRITERI DIAGNOSTICI DI DIPENDENZA E ABUSO (DSM-IV) Per poter diagnosticare la presenza di alcol-dipendenza il soggetto deve avere presentato nel corso degli ultimi 12 mesi almeno 3 dei seguenti criteri diagnostici: 1. presenza di tolleranza, ovvero necessità di aumentare il consumo per raggiungere gli stessi effetti psichici, oppure effetti clinici ridotti mantenendo costante il consumo; 2. sintomi di astinenza (tremore grossolano alle mani, alla lingua o alle palpebre, sudorazione, nausea o vomito, astenia, iperattività autonoma, ansietà, umore depresso o irritabilità, allucinazioni transitorie, cefalea, insonnia, convulsioni epilettiformi, etc.) e assunzione della sostanza per ridurre i sintomi di astinenza; 3. assunzione della sostanza per periodi prolungati o in quantità maggiori di quelle previste dal soggetto; 4. persistente desiderio di smettere o di ridurre il consumo alcolico con ripetuti insuccessi; 5. una grande quantità di tempo spesa in attività necessarie a procurarsi l’alcol, ad assumerlo o a riprendersi dagli effetti; 6. interruzione o riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell’uso di alcol; 7. uso continuativo dell’alcol nonostante la consapevolezza di avere un problema, persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica causato o esacerbato dall’uso di alcol. È abusatore un soggetto che ha una modalità patologica di uso di bevande alcoliche con conseguenze avverse ricorrenti e correlate all’uso ripetuto. 61 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli Il DSM IV definisce l’abuso alcolico attraverso i seguenti criteri: 1. uso ricorrente di sostanze alcoliche che incide negativamente su impegni lavorativi, scolastici o quotidiani; 2. uso ricorrente di sostanze in situazioni che sono fisicamente rischiose; 3. problemi legali relativi all’uso di alcol; 4. uso continuativo di alcol nonostante vi sia evidenza di ricorrenti problemi sociali e interpersonali causati o esacerbati dall’alcol. La presenza di una o più delle citate condizioni nell’ultimo anno e l’assenza dei criteri della dipendenza permettono di porre diagnosi di abuso alcolico. CRITERI DIAGNOSTICI DI DIPENDENZA (ICD-10) L’ICD-10 definisce la dipendenza come: 1. un forte desiderio o senso di compulsione a usare una o più sostanze; 2. evidente compromissione della capacità di controllare l’uso di una o più sostanze; ciò può essere in relazione a difficoltà nell’evitare l’uso iniziale, difficoltà nel sospenderne l’uso, difficoltà di controllo del livello d’uso; 3. stato di astinenza, o uso della sostanza per attenuare o evitare sintomi di astinenza, e consapevolezza soggettiva dell’efficacia di tale comportamento; 4. presenza di tolleranza agli effetti della sostanza; 5. progressiva trascuratezza dei piaceri, comportamenti o interessi a favore dell’uso della sostanza; 6. uso persistente della sostanza nonostante la evidente presenza di conseguenze dannose. Sono richiesti almeno 3 criteri positivi. Per uso dannoso l’ICD-10 definisce la chiara evidenza che l’uso di una o più sostanze è stato responsabile degli attuali danni fisici o psichici dell’utilizzatore. TEST CAGE Ha mai sentito la necessità di ridurre (Cut down) il bere? È mai stato infastidito (Annoyed) da critiche sul suo modo di bere? Ha mai provato disagio o senso di colpa (Guilty) per il suo modo di bere? Ha mai bevuto alcolici appena alzato (Eye opener)? La risposta affermativa ad almeno due domande è indicativa di problematiche alcol-correlate. La quarta domanda del CAGE è ritenuta fortemente suggestiva di alcoldipendenza anche in assenza di altri elementi. 1. 2. 3. 4. 62 Alcol e fegato: un connubio difficile TEST AUDIT 1. Con quale frequenza consuma bevande con teneti alcol? Mai 0p Mensilmente o meno 1p Da 2 a 4 volte al mese 2p Da 2 a 3 volte alla settimana 3p 4 o più volte alla settimana 4p 2. Nei giorni in cui beve, quante bevande alcoliche consuma in media? 1o2 0p 3o4 1p 5o6 2p 7o8 3p 10 o più 4p 3. Con quale frequenza le capita di consumare 6 opiù bevande in un’unica occasione? Mai 0p Mensilmente o meno 1p 1 volta al mese 2p 1 volta alla settimana 3p Ogni giorno quasi 4p 4. Con quale frequenza durante l’ultimo anno si è accorto di non riuscire a smettere di bere una volta che aveva iniziato? Mai 0p Mensilmente o meno 1p 1 volta al mese 2p 1 volta alla settimana 3p Ogni giorno quasi 4p 5. Con quale frequenza durante l’ultimo anno non è riuscito a fare ciò che normalmente ci si aspetta da lei a causa del bere? Mai 0p Mensilmente o meno 1p 1 volta al mese 2p 1 volta alla settimana 3p Ogni giorno quasi 4p 6. Con quale frequenza durante l’ultimo anno ha avuto bisogno di bere di prima mattina per tirarsi su dopo una bevuta pesante? Mai 0p Mensilmente o meno 1p 63 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli 1 volta al mese 1 volta alla settimana Ogni giorno quasi 2p 3p 4p 7. Con quale frequenza durante l’ultimo anno ha avuto sensi di colpa o rimorso dopo aver bevuto? Mai 0p Mensilmente o meno 1p 1 volta al mese 2p 1 volta alla settimana 3p Ogni giorno quasi 4p 8. Con quale frequenza durante l’ultimo anno non è riuscito a ricordare quello che era successo la sera precedente perché aveva bevuto? Mai 0p Mensilmente o meno 1p 1 volta al mese 2p 1 volta alla settimana 3p Ogni giorno quasi 4p 9. Si è fatto male o ha fatto male a qualcuno come risultato del bere? No 0p Sì, ma non nell’ultimo anno 2p Sì, nell’ultimo anno 4p 10. Un parente, un amico, un medico o altro operatore sanitario si sono occupati del suo bere o hanno suggerito di smettere? No 0p Sì, ma non nell’ultimo anno 2p Sì, nell’ultimo anno 4p Con un punteggio da 0 a 8 il risultato è negativo; punteggio che va da 8 a 14 il pz ha un consumo a rischio, oppure ha o ha avuto problemi alcol-correlati (infortuni o forti bevute occasionali) ma, probabilmente, non si tratta di un paziente fisicamente alcoldipendente; con un punteggio pari a 16 o più il pz ha problemi alcol-correlati e/o si tratta di un alcol-dipendente. QUESTIONARIO ALCOL 1) Negli ultimi 12 mesi quante birre ritiene di aver bevuto giornalmente? Nessuna 1-2 al giorno 3-5 al giorno 64 Alcol e fegato: un connubio difficile 6-8 al giorno 9-15 al giorno 16-20 al giorno più di 20 al giorno 2) Qual’ è il maggior numero di birre che ha bevuto in un giorno in condizioni normali? 1-2 al giorno 3-5 al giorno 6-8 al giorno 9-15 al giorno 16-20 al giorno più di 20 al giorno 3) Per quanto tempo ha bevuto tale quantitativo di birra? Meno di un anno 1-5 anni 6-10 anni 11-15 anni 16-20 anni 21-25 anni 26 o più anni Non lo so Non rispondo 4) Negli ultimi 12 mesi quanti bicchieri di vino ritiene di aver bevuto in un giorno? Nessuno 1-2 al giorno 3-5 al giorno 6-8 al giorno 9-15 al giorno 16-20 al giorno più di 20 al giorno 5) Qual è il maggior numero di bicchieri di vino che ha bevuto in un giorno in condizioni normali? Nessuno 1-2 al giorno 3-5 al giorno 6-8 al giorno 9-15 al giorno 16-20 al giorno più di 20 al giorno 65 Carmela Loguercio, Gaetano Cotticelli 6) Per quanto tempo ha bevuto tale quantitativo di vino? Meno di un anno 1-5 anni 6-10 anni 11-15 anni 16-20 anni 21-25 anni 26 o più anni non lo so non rispondo 7) Negli ultimi 12 mesi quanti “bicchierini” di super alcolico (es whiskey) ritiene di aver bevuto in un giorno? Nessuno 1-2 al giorno 3-5 al giorno 6-8 al giorno 9-15 al giorno 16-20 al giorno più di 20 al giorno 8) Qual è il maggior numero di “bicchierini” di superalcolico che ha bevuto in un giorno in condizioni normali Nessuno 1-2 al giorno 3-5 al giorno 6-8 al giorno 9-15 al giorno 16-20 al giorno più di 20 al giorno 9) Per quanto tempo ritiene di aver bevuto tale quantitativo di superalcolico? Meno di un anno 1-5 anni 6-10 anni 11-15 anni 16-20 anni 21-25 anni 26 o più anni Non lo so Non rispondo 10) Si è mai sentito abbattuto dopo aver bevuto? Sì 66 Alcol e fegato: un connubio difficile Non lo so No Non rispondo 11) Le persone l’annoiano criticando quando beve? Sì Non lo so No Non rispondo 12) Si è mai sentito triste o in colpa dopo aver bevuto Sì Non lo so No Non rispondo 67 © Giuseppe de Nicola Editore Bibliografia Aa 1. ADDOLORATO G, et al. Baclofen: a new drug for the treatment of alcohol dependence. Int J Clin Pract 2006; 60: 1003-8 2. ADDOLORATO G, et al. Relationship between ghrelin levels, alcohol craving, and nutritional status in current alcoholic patients. Alcohol Clin Exp Res 2006; 30: 1933-7 3. ARTEEL GE. Oxidant and antioxidant in alcohol-induced liver disease. Gastroenterology 2003; 24: 770-80 4. BARAONA E, et al. Gender differences in pharmacokinetics of alcohol. Alcohol Clin Exp Res 2001; 25: 502-7 5. BATAILLE V, et al. Joint use of clinical parameters, biological markers and CAGE questionnaire for the identification of heavy drinkers in a large population-based sample. Alcohol Alcohol 2003; 38: 121-7 6. 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