Le manipolazioni che fanno male alle imprese

ANGOLO SOFT
Le manipolazioni
che fanno male
alle imprese
di Laura Borgogni
D
a diversi anni nella letteratura
internazionale è stato approfondito il concetto di organizational politics. Con esso ci si riferisce
a comportamenti “manipolatori”
messi in atto dai membri dell’organizzazione per il perseguimento di
interessi personali. Essi possono essere riconducibili a comportamenti
informali adottati da una persona
o da un gruppo all’interno dell’organizzazione e volti a influenzare
gli altri per il raggiungimento di
uno scopo personale, senza prestare
attenzione alle conseguenze che essi
potrebbero produrre. In altre parole,
rappresentano dei veri e propri giochi di potere e includono il ricorso
a tattiche d’influenza, spiegando in
tal senso l’attributo di “politici”. Tali
comportamenti sono radicati nella
cultura organizzativa e funzionali
alla regolazione dei rapporti interpersonali all’interno delle organizzazioni. Un passaggio ulteriore di
approfondimento riguarda la percezione delle organizational politics,
ovvero quanto le persone, all’interno
dell’organizzazione, percepiscono la
presenza e l’influenza di tali comportamenti, la promozione di interessi personali, i favoritismi da parte
di altre persone. Cosi è attraverso la
loro percezione che vengono rilevate
tali manipolazioni e la loro presenza dentro uno specifico contesto
organizzativo. Le condizioni che
favoriscono la messa in atto di tali
comportamenti sono: la presenza
di processi di influenza sociale, la
ricerca di un vantaggio personale
in condizioni di scarsa disponibilità
di risorse e il coinvolgimento di
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almeno due parti di cui una ha più
potere di un’altra.
Quanto pesano sulla valutazione delle persone
Per questa ragione, recentemente
si è visto il rilievo che assumono
le organizational politics nel performance management. Infatti il performance management rappresenta
un processo di influenza sociale in
cui una delle due parti ha più potere
di un’altra e può intervenire nella
distribuzione di importanti risorse.
Le organizational politics nel performance management sono definite
come le manipolazioni consapevoli
delle valutazioni di un collaboratore da parte di un capo. Questi
comportamenti politici riguardano
il “gonfiare” le valutazioni ovvero
attribuire valori più alti rispetto a
quelli effettivi (ad esempio, dare
valutazioni più alte per non doversi
esporre con feedback negativi evitando così il conflitto col collaboratore, oppure per acquisire vantaggi
personali, o ancora per motivare il
collaboratore o per mostrare di avere
persone molto capaci nella propria
squadra) o abbassare le valutazioni
(ad esempio, dare valutazioni più
basse per esercitare un controllo o
un potere personale, per trattenere i
best performer nel proprio team, per
evitare di creare aspettative che non
possono essere soddisfatte).
Uno strumento di potere
Queste forme di manipolazione
possono rappresentare per il capo
uno strumento utile a esercitare un
controllo sul proprio gruppo di lavo-
ro, premiando coloro che hanno accesso a importanti fonti di informazioni aziendali oppure uniformando
le valutazioni al fine di mantenere
un clima positivo e non competitivo
all’interno del team, che potrebbe
altrimenti risultare difficile da gestire. Misurarle non è tuttavia facile.
Anche se si tratta di manipolazioni
consapevoli, difficilmente possono
essere dichiarate apertamente da chi
le mette in pratica, e tuttavia possono inquinare il processo di valutazione e il suo effettivo significato.
Nel performance management gli
effetti delle organizational politics
sono particolarmente rilevanti. Infatti, dal momento che esso è volto
a migliorare la prestazione entro un
percorso di sviluppo costante che
passa attraverso la relazione capocollaboratore, se il capo vi fa ricorso,
tutto il processo ne può risultare interessato e condizionarne gli effetti.
La percezione di tali comportamenti influenza la credibilità che viene
attribuita alla valutazione ricevuta
e dunque può compromettere la
possibilità di aderire a un piano di
sviluppo e di messa alla prova nel
quale impegnarsi effettivamente.
Gli effetti sull’organizzazione
La rilevanza che i comportamenti
politici e le loro percezioni hanno
assunto nelle organizzazioni diventa
evidente considerando poi le conseguenze negative ad essi connesse,
come l’aumento del turnover e dei
comportamenti controproduttivi,
nonché le ricadute negative sul clima di gruppo, sui comportamenti di
cittadinanza organizzativa e, soprat-
tutto, sulla prestazione. Infatti, se le
persone percepiscono la presenza di
queste manipolazioni, nella loro valutazione saranno meno motivate a
lavorare al meglio e meno coinvolte
e fiduciose nei confronti dell’organizzazione. Inoltre, la percezione di
manipolazioni politiche influenza
negativamente la soddisfazione e il
commitment organizzativo. La loro
presenza causa ansia e tensione negli
individui, generando un sentimento
di incertezza dovuto al fatto di non
sapere quali azioni saranno ricompensate, punite o riconosciute. O,
viceversa, possono creare una condizione di indifferenza e di ridotta
spinta alla prestazione, dal momento
che le valutazioni prodotte risultano
indipendenti dai comportamenti effettivamente messi in atto.
Come agire sui leader
Allora un primo passaggio, utile ai
fini di un’efficace implementazione del performance management
potrebbe essere quello di rilevare la
percezione delle persone delle organizational politics applicate alla valutazione. Questo potrebbe aiutare a
capire se la loro diffusione è pervasiva a livello organizzativo e dunque
fa parte della cultura o se invece
riguarda qualche capo che ricorre
ad essi per sue debolezze gestionali.
In relazione ad esse è possibile fare
un piano per intervenire e ridurne
l’entità. A questo proposito, il leader e le sue caratteristiche giocano
un ruolo importante nel ricorrere
a queste manipolazioni e alla loro conseguente percezione. È stato
dimostrato che se il capo è auto
efficace nel gestire la relazione con
il collaboratore, ovvero è convinto di
essere capace di assegnare i feedback
negativi e di utilizzarli come motivi
di sviluppo del collaboratore, è convinto di saper assegnare obiettivi di
crescita e di messa alla prova in cui
il collaboratore può cimentarsi, è
convinto di saper gestire le conflittualità che possono scaturire da una
valutazione negativa e viceversa di
saper contenere le aspettative che
si possono generare da una valutazione positiva, viene percepito come
meno propenso a ricorrere alle organizational politics. Si potrà dunque
immaginare un piano formativo o
un coaching finalizzato a rafforzare
queste convinzioni di efficacia del
capo in modo che indirettamente
si riducano anche i suoi comportamenti politici.
Come rafforzare il leader
agentico
Inoltre, se si tratta di un “leader
agentico”, ovvero di un leader in
grado di agire proattivamente sul
contesto, identificandone le opportunità e utilizzandole per determinare e attivare un cambiamento,
contribuendo contemporaneamente
alla messa in gioco, allo sviluppo e
alla crescita dei propri collaboratori,
questo sarà percepito come meno
incline a utilizzare manipolazioni
comportamentali. La leadership
agentica, infatti, include aspetti relativi alle gestione e allo sviluppo delle
attività e dei collaboratori, enfatizzando al tempo stesso le capacità
del leader rispetto alla gestione di
sé, determinanti per uno stile di leadership efficace. Il leader agentico
è in grado di riflettere su di sé e di
autoregolarsi, di riconoscere e gestire le proprie emozioni e impulsi,
di ricercare feedback e stimoli per
migliorarsi, di convincere i collaboratori trasmettendo entusiasmo
e fiducia, di mantenere la propria
integrità morale e agire secondo
l’etica personale. Anche a questo
proposito è possibile impostare un
piano di sviluppo rivolto al capo per
rafforzare il suo stile di leadership,
il suo orientamento ai collaboratori
e alla sua azione di coach nei loro
confronti, e attraverso questo è possibile ridurre la messa in atto delle
organizational politics.
Laura Borgogni
è professore straordinario
di Psicologia del Lavoro e
delle Organizzazioni presso “La Sapienza” Università di Roma. Si
occupa di ricerca applicata e intervento
nell’ambito dei processi di performance
management, valutazione e sviluppo
del potenziale, gestione per obiettivi e
motivazione delle persone
La parola
disvelata
COMPETENZE, tra obiettivo
e riconoscimento. La parola
“competenza” è di origine latina
e deriva dal verbo cum-petere che
sta a indicare, da un lato, l’azione
di “andare insieme, far convergere
in un medesimo punto”, dall’altro,
la finalizzazione e il gareggiare per
raggiungere un medesimo obiettivo. Contemporaneamente, l’aggettivo “competente” indica colui che
ha autorità in un certo ambito ed è
riconosciuto come adeguato e che
“se ne intende”.
Di fatto, in entrambe le accezioni,
la competenza mira a fornire elementi descrittivi di una persona o
in sé (come più o meno competente) o in relazione al compito o
obiettivo da realizzare e, pertanto,
in termini di efficacia della prestazione.
La competenza permette anche
di valutare quanto e in che modo
si è distanti piuttosto che pronti a
ricoprire un ruolo organizzativo in
termini di comportamenti attesi. Di
fatto, il ruolo definisce le modalità
corrette di svolgimento delle attività: rilevare il livello di copertura del
ruolo significa identificare il grado
di possesso di quell’insieme di conoscenze, competenze e capacità
che sono in grado di assicurare
che quel comportamento (tipico di
quel dato ruolo) sarà effettivamente manifestabile.
Essere consapevoli del livello di
possesso delle diverse competenze presenti in azienda rende
possibile comprendere quali sono
i comportanti che possiamo ragionevolmente aspettarci e comprendere se e quanto le competenze
presenti e i risultati generali sono
in linea con le sfide che l’azienda
si è data e con l’evoluzione del suo
business.
MARTA TROTTA
è consulente e formatrice
sui temi del change management, dello sviluppo
organizzativo e della comunicazione interna e istituzionale
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