EMATOLOGIA 1 direttori della collana Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO Paolo Corradini Dipartimento di Medicina ed Oncologia Sperimentale Divisione Universitaria di Ematologia Azienda Ospedaliera S. Giovanni Battista Torino 3 EMATOLOGIA DIRETTORI DELLA COLLANA Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati Ematologia Dipartimento di Biopatologia Umana Università “La Sapienza” Roma REDAZIONE P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova Tel. 010/5458611 - Fax 010/541761 COORDINAMENTO EDITORIALE Gabriella Allavena, Maresa Piccardo IMPAGINAZIONE Maria Grazia Granata, Giorgio Prestinenzi PROMOZIONE Luisa Baggiani PROGETTO GRAFICO Firma Service - C.so Dogali, 3a - 16136 Genova STAMPA Leonard - Via Corfù, 12 - 37100 Verona ACCADEMIA NAZIONALE DI MEDICINA Forum per la Formazione Biomedica DIREZIONE SCIENTIFICA Luigi Frati - Leonardo Santi DIREZIONE DIDATTICA Stefania Ledda © 1996 Forum Service Editore s.c.a r.l. 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Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa senza il permesso scritto dell'editore E M A T O L O G I A INDICE GENETICA MOLECOLARE DEL MIELOMA MULTIPLO 1 IMMUNOFENOTIPO DELLE CELLULE MIELOMATOSE 2 RUOLO DEI LINFOCITI T NEL MIELOMA MULTIPLO 3 FATTORI PROGNOSTICI 4 TERAPIA 5 BIBLIOGRAFIA GENERALE 6 LE DIAPOSITIVE MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO ABBREVIAZIONI ABMT trapianto autologo di midollo osseo BM sangue midollare CDR regioni determinanti la complementarietà clg immunoglobuline citoplasmatiche CNTF ciliary neurotrophic factor CRP proteina-C reattiva D diversità G-CSF granulocyte colony-stimulating factor GM-CSF granulocyte macrophage colony-stimulating factor IFN interferone Ig immunoglobulina IgH catene pesanti delle immunoglobuline IL interleuchina J giunzione LI indice di proliferazione LIF leukemia inhibitory factor MGUS gammapatie monoclonali di significato sconosciuto MP melphalan prednisone NK cellula natural killer OSM oncostatin M PB sangue periferico PCR polymerase chain reaction slg immunoglobuline di superficie SSCP polimorfismi di conformazione del DNA a singola elica TCR recettore delle cellule T TNF tumor necrosis factor V variabile VAD doxorubicina, vincristina e desametasone VAMP vincristina, doxorubicina e metilprednisolone VBAP vincristina, bleomicina, doxorubicina e prednisone VMCP vincristina, melphalan, ciclofosfamide e prednisone E M A T O L O G I A GENETICA MOLECOLARE DEL MIELOMA MULTIPLO La patogenesi molecolare del mieloma multiplo rimane in gran parte sconosciuta. E' ipotizzabile che la trasformazione neoplastica abbia inizio in una cellula B o in un plasmoblasto, e possa avvenire attraverso un processo a più fasi che coinvolge sia alterazioni genetiche, quali l'attivazione di oncogeni e/o l'inattivazione di geni oncosoppressori, sia la deregolazione del network citochinico (Tabella 1). Nonostante le difficoltà dovute alla bassa attività mitotica delle plasmacellule, l'analisi citogenetica ha evidenziato anomalie cariotipiche nel 40% dei pazienti (1). L'anomalia citogenetica 14q+ appare la lesione cariotipica più comune nei mielomi. Tabella 1 Alterazioni genetiche descritte nel mieloma multiplo Oncogene Cromosoma coinvolto Incidenza (%) Meccanismo di attivazione c-myc bcl-1 bcl-2 N-ras K-ras p53 8q24 11q13 18q21 1p11-13 12p11-12 17p13 0-5 0-4 0-5 9-27 0-7 6-13 Rb1 13q14 3-15 Riarrangiamento Riarrangiamento Riarrangiamento Mutazione puntiforme Mutazione puntiforme Mutazione puntiforme/ delezione Delezione 1.1 ATTIVAZIONE DI ONCOGENI ■ Il gene c-myc Il gene c-myc codifica per una proteina che agisce come fattore trascrizionale e viene attivato da una traslocazione che collega il suo locus di appartenenza sul cromosoma 8, con uno dei geni delle immu- MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 1 1 noglobuline (Ig) sui cromosomi 2, 14 o 22. L’oncogene c-myc è stato il primo ad essere studiato nel mieloma multiplo sia per il suo frequente coinvolgimento in altre neoplasie umane sia, soprattutto, per la sua costante deregolazione nel plasmocitoma murino. L'analisi in Southern blot del locus di c-myc mediante l'impiego di una sonda derivata dal terzo esone del gene, ha però dimostrato la presenza di riarrangiamenti solo in una minoranza dei casi. Un'iperespressione dell'mRNA di c-myc è stata osservata da Selvanaygam et al. (2) nel 25% dei mielomi in assenza di alterazioni della dimensione del trascritto. Tale iperespressione risulta, però, difficilmente spiegabile a livello genico, tenuto conto della rarità dei riarrangiamenti e dell'assenza di mutazioni puntiformi a livello delle sequenze di verosimile significato regolatorio, situate a livello della giunzione tra il primo introne ed il primo esone del gene, che risultano costantemente alterate nel linfoma di Burkitt. ■ Il locus bcl-1 Il locus bcl-1 era stato inizialmente identificato come il sito di rottura a livello del cromosoma 11 nell'ambito della traslocazione t(11;14)(q13;q32) presente in circa il 50% dei linfomi mantellari. L'ipotetico oncogene coinvolto in questa traslocazione è il CCND1 o PRAD-1 che presenta delle omologie con le cicline, una famiglia di geni implicati nella regolazione del ciclo cellulare. Alcuni studi hanno dimostrato la presenza, seppur sporadica, della traslocazione t(11;14) nel mieloma multiplo. La sua incidenza su grandi casistiche è risultata intorno al 3% (4 casi su 136). Tale traslocazione è stata osservata anche in due linee cellulari derivate da pazienti con mieloma o leucemia plasmacellulare (3). Riarrangiamenti del locus bcl-1 sono stati descritti in 5 mielomi su 120. Pertanto, il coinvolgimento di bcl-1 nel mieloma multiplo appare molto raro. ■ La famiglia degli oncogeni ras H-ras, K-ras, ed N-ras compongono la famiglia dei geni ras e codificano per proteine ad attività GTP-asica che sono coinvolte nei meccanismi di trasduzione di alcuni segnali di tipo proliferativo. Il loro potenziale trasformante viene acquisito mediante mutazioni puntiformi dei codoni 12, 13 e 61, che danno origine a singole sostituzioni aminoacidiche. Negli ultimi anni, lo studio delle mutazioni di questi geni è stato semplificato dall'introduzione di nuove tecniche di analisi delle mutazioni somatiche che risultano estremamente sensibili e di facile applicazione. La più usata è l'analisi dei polimorfismi di conformazione del DNA a singola elica (SSCP). Tale tecnica è in grado di rilevare la presenza di mutazioni puntiformi in base alla diversa mobilità della catena mutata durante una corsa elettroforetica in condizioni non-denaturanti. Le mutazioni di N-ras e K-ras sono tra le lesioni E 2 M A T O L O G I A genetiche meglio documentate nel mieloma multiplo (Figura 1). La loro incidenza varia dal 9 al 31% a seconda delle casistiche (3, 4). Esse sono assenti nelle gammopatie monoclonali benigne, nei plasmocitomi solitari e nei mielomi di stadio I, mentre la loro presenza è tipica dei pazienti con malattia avanzata e con fattori prognostici sfavorevoli (30%). Figura 1 • Sequenza nucleotidica dei geni ras, M27, M19, M88: tre casi rappresentativi di pazienti con mieloma e mutazioni dei geni ras G = guanina; A = adenina; T = timina; C = citosina MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 3 1 Anche nella leucemia plasmacellulare la loro frequenza è di circa il 30%. Non ci sono differenze di incidenza tra diagnosi e recidiva. Ciò consente di escludere un eventuale ruolo dei farmaci ad azione alchilante come causa delle mutazioni. La lesione più frequentemente descritta è la mutazione del codone 61 dell'oncogene N-ras. Il ruolo patogenetico di ras è suggerito anche da studi di trasfezione in vitro. Esso è, infatti, in grado di conferire, quando trasfettato in cellule rese immortali con il virus di Epstein Barr, sia la trasformazione maligna che l'espressione di una morfologia differenziata di tipo plasmacellulare. Tale effetto è peculiare dei geni della famiglia ras, mentre altri geni come c-myc inducono la trasformazione tumorale, senza particolari alterazioni del fenotipo delle cellule trasfettate (5). Questi dati appaiono particolarmente rilevanti alla luce delle peculiari caratteristiche delle plasmacellule mielomatose che associano una spiccata malignità ed un quadro morfologico differenziato. 1.2 GENI ONCOSOPPRESSORI L'inattivazione o la delezione di geni oncosoppressori rappresenta un elemento ben definito nella patogenesi di numerosi tumori solidi ed ematologici dell'uomo. Il possibile coinvolgimento dei due più importanti geni oncosoppressori, p53 e Rb1, è stato di recente analizzato anche nel mieloma multiplo. ■ Il gene p53 Il gene oncosoppressore p53 codifica per una fosfoproteina nucleare che è coinvolta nella regolazione del ciclo cellulare, attraverso il controllo della trascrizione di altri geni e, verosimilmente, anche attraverso un effetto diretto sulla replicazione del DNA. L'inattivazione di p53 deriva dalla perdita di un allele associato alla presenza, sull'altro allele, di mutazioni puntiformi che possono dare origine sia a sostituzioni aminoacidiche che a codoni di stop. La maggioranza delle mutazioni avvengono nella regione del gene compresa tra il codone 110 e il codone 307 a livello degli esoni da 5 a 9. Questa porzione del gene codifica per le regioni della proteina che sono maggiormente conservate nel corso della filogenesi. Mutazioni puntiformi a livello dei codoni 5 e 8 sono state riscontrate in 8 linee cellulari di mieloma su 10. La frequenza di mutazioni nei pazienti con mieloma varia dal 10 al 20% a seconda degli studi (6, 7). Sono tipicamente associate a malattia avanzata e risultano più frequenti nelle leucemie plasmacellulari (22%). In tre E 4 M A T O L O G I A pazienti, negativi in fase cronica, è stata documentata la comparsa di queste mutazioni durante le fasi terminali della malattia (7). La presenza contemporanea di mutazioni di ras e di p53 è stata descritta solo in modo sporadico. ■ Il gene Rb1 Il gene oncosoppressore Rb1 codifica per una fosfoproteina nucleare di 110 kD ad attività legante il DNA, che, nelle cellule emopoietiche, è coinvolta nel controllo del ciclo cellulare e nella soppressione della trascrizione del gene per l'interleuchina (IL)-6. Quindi una inattivazione di Rb1 può indurre una produzione autocrina di IL-6 da parte delle cellule mielomatose. Grazie alle tecniche di ibridizzazione in situ a fluorescenza sono state recentemente dimostrate la monosomia del cromosoma 13 e la delezione monoallelica di Rb1 in più del 50% dei pazienti con mieloma (8). Mediante analisi immunoistochimica, in circa il 15% dei casi di mieloma multiplo e di leucemia plasmacellulare è stata rilevata la perdita della proteina di Rb1. Siccome le plasmacellule normali esprimono la proteina di Rb1, è ipotizzabile che la sua assenza sia da attribuire alla presenza di lesioni genetiche. Solo in una minoranza di pazienti, però, essa si associa a una delezione osservabile in Southern blot, mentre negli altri l'inattivazione funzionale potrebbe essere attribuibile a mutazioni puntiformi come descritto per altre neoplasie (6). Anche la perdita di Rb1 è tipica di mielomi in fase avanzata ed in particolare di quei pazienti in cui si osservano masse mielomatose extramidollari. 1.3 IL “NETWORK” DELLE CITOCHINE L'analisi della letteratura dimostra che almeno otto citochine sono in grado di agire come fattori di crescita in vitro per le cellule mielomatose: questo gruppo di molecole comprende le citochine che esplicano la loro azione attraverso il recettore per l'IL-6 (gp130), il granulocyte colony-stimulating factor (G-CSF) che è in grado di attivare un recettore molto simile, l'interferone (IFN)-a che è capace di indurre una produzione autocrina di IL-6 nelle cellule di mieloma, e l'IL-10. L'inibizione quasi completa della proliferazione spontanea delle plasmacellule mielomatose ad opera di anticorpi anti-IL-6 indica che questa citochina è il principale fattore di crescita per il mieloma multiplo, almeno in vitro, nonostante il probabile ruolo di altre citochine (9-12) (Figura 2). Questa rilevante inibizione è verosimilmente attribuibile alla concentrazione di IL-6 che, nei sopranatanti delle colture cellulari, risulta nettamente superiore (da 500 a 5000 volte) a quella di tutti gli altri fattori di crescita attivi nel mieloma. Il gruppo di Klein ha recentemente riportato che l'IL-10 rappresenta un MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 5 1 Figura 2 • Azione dell’IL-6 nel mieloma multiplo e lesioni genetiche che intervengono nella progressione della malattia mieloma indolente mieloma in fase attiva plasmacellule mature plasmacellule mature cellula staminale mielomatosa cellula staminale mielomatosa IL-6 ras? p53 Rb1 cellule plasmoblastiche mieloma fulminante importante fattore di crescita delle plasmacellule di mieloma (12). Questo dato è particolarmente rilevante soprattutto perchè l'azione dell'IL-10 non si esplica attraverso la gp130 e non è correlata all'azione dell'IL-6, anche se non è ancora noto se una simile correlazione possa esistere tra IL-10 e le altre molecole che interagiscono con il recettore dell'IL-6. Se tale correlazione fosse dimostrata l'attivazione della gp130 dovrebbe essere considerata come lo stimolo proliferativo fondamentale per la crescita delle cellule plasmoblastiche maligne attraverso cui esplicherebbero la loro azione tutti i fattori di crescita conosciuti nel mieloma multiplo. Le altre citochine che controllano la crescita in vitro delle plasmacellule maligne agiscono attraverso tre meccanismi: 1. stimolazione della secrezione autocrina di IL-6 [IFN-a o TNF (tumor necrosis factor)]; 2. effetto sinergico con l'IL-6 (citochine emopoietiche); 3. controregolazione negativa del recettore per l'IL-6 (IFN-g). Sono ancora da valutare le eventuali interazioni tra le molecole sopraddette e gli altri fattori di crescita attivi nel mieloma multiplo [ciliary neurotrophic factor (CNTF), leukemia inhibitory factor (LIF), IL-11, oncostatin M (OSM), G-CSF, IL-10] (12, 13) (Figura 3). Siccome le citochine emopoietiche e l'IFN-a sono di uso crescente nel trattamento dei pazienti con mieloma, appare opportuno sviluppare E 6 M A T O L O G I A approfondite ed estese analisi biologiche sugli effetti di queste molecole. Questi dati suggeriscono, inoltre, che alcune di queste citochine possono essere usate per stimolare la proliferazione delle cellule mielomatose prima della chemioterapia (IL-6, IL-3) o come inibitori della crescita delle plasmacellule (IFN-g). Tutti i dati sottolineano il ruolo del recettore dell'IL-6 come segnale chiave per indurre la proliferazione delle cellule mielomatose. Il ruolo sinergico delle diverse citochine nella proliferazione plasmacellulare potrebbe essere spiegato dall'uso di recettori comuni nella trasduzione del segnale. Mutazioni della catena polipeptidica della gp130 o di altre proteine coinvolte nella cascata di attivazione stimolata da questo recettore possono rappresentare eventi capaci di conferire un vantaggio proliferativo a determinati cloni plasmoblastici. Per esempio, i geni ras e p53, che sono frequentemente mutati nei pa z ie nti c o n m alat t ia av anz at a, s o n o i n g r a d o d i i n c r e m e n ta r e i l segnale indotto della cascata di attivazione della gp130. Inoltre sono state recentemente descritte delle mutazioni nella porzione citoplasmatica della catena di gp130. Studi recenti hanno concluso che l'IL-6 è un fattore di crescita paracrino, prodotto dalle cellule midollari stromali, in particolare dai monociti. Le cellule stromali dei pazienti con mieloma sono in grado di produrre grandi quantità di IL-6. L'attivazione dello stroma Figura 3 • “Network” delle citochine ed interazioni con la differenziazione e la proliferazione dei plasmoblasti Citochine: stroma midollare ad effetto stimolatorio IL-1b, IL-6, IL-10, IL-11, LIF, OSM, CNTF IL-6 D linfociti T monociti IL-6, IL-3, IL-10, G-CSF, LIF, OSM, CNTF P ad effetto inibitorio linfociti T IFN-g inibizione della proliferazione IFN-a inibizione della secrezione P = proliferazione; D = differenziazione; = secrezione autocrina = secrezione paracrina MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 7 1 midollare sembra sia mediata dall'interazione tra le cellule tumorali e il loro microambiente midollare. Un'importante tappa per comprendere le correlazioni tra plasmacellule e stroma consiste nel chiarire quali molecole di adesione e quali citochine giochino un ruolo in questo tipo di interazione. L'IL-1b è la principale citochina coinvolta, ma anche il TNF sembra intervenire in questo processo. L'ipotesi che le cellule stromali dei pazienti con mieloma siano in grado di produrre altri fattori di crescita (IL-10, IL-11, LIF, OSM, CNTF), oltre all'IL-6, deve essere ancora verificata, anche se è noto che queste molecole sono secrete dai monociti attivati e dalle cellule ossee. E' essenziale comprendere quali di queste citochine siano coinvolte nello sviluppo della malattia mielomatosa in vivo e come sia possibile antagonizzare l'effetto di queste molecole. Le terapie con anticorpi anti-IL-6 non consentono di postulare per questa citochina un ruolo in vivo simile a quello che riveste in vitro. Questo trattamento è risultato, infatti, efficace solo in quei pazienti in cui la produzione di IL-6 era sufficientemente scarsa da essere neutralizzata con l'uso di questi anticorpi. L'eventuale ruolo in vivo delle altre citochine che attivano la gp130 (CNTF, IL-11, LIF, OSM) deve essere ancora chiarito. Nei pazienti con mieloma, appare essenziale mantenere la produzione di citochine infiammatorie al livello più basso possibile, eventualmente utilizzando la proteina-C reattiva (CRP) come indicatore della produzione di IL-6. Negli ultimi due anni svariati agenti sono stati adoperati nell'intento di inibire la produzione di queste citochine, tra cui ricordiamo gli steroidi, gli estrogeni, l'IL-4 e gli inibitori della prostaglandina-E2. Alcuni di questi agenti si sono dimostrati utili nel trattamento del mieloma. Inoltre nuovi antagonisti dell'IL-6, utili ad inibire la proliferazione delle plasmacellule mielomatose saranno presto disponibili. Questo tipo di indagine richiede l'identificazione di quelle porzioni della molecola dell'IL-6 che sono importanti nell'interazione con la gp130. L'eventuale impiego di inibitori del recettore dell'IL-6 deve essere attuato tenendo conto degli elevati livelli di IL-6 solubile nei pazienti con mieloma. E' verosimile che questo tipo di indagini sulle interazioni tra IL-6 e il suo recettore, nei soggetti normali e nei pazienti con mieloma, possano condurre ad interessanti applicazioni terapeutiche. 1.4 PRECURSORI B CELLULARI DELLE PLASMACELLULE MIELOMATOSE Vi sono numerosi dati sperimentali che hanno suggerito l'esistenza di un precursore B cellulare delle plasmacellule mielo- E 8 M A T O L O G I A matose. Inizialmente, è stata descritta la presenza, nel sangue midollare (BM) e periferico (PB), di linfociti B o addirittura pre-B esprimenti lo stesso idiotipo della paraproteina mielomatosa. In seguito, sono state osservate plasmacellule maligne esprimenti antigeni di superficie tipici di popolazioni pre-B. Infine, nelle cellule mononucleari del PB sono stati dimostrati gli stessi riarrangiamenti dei geni delle catene pesanti delle immunoglobuline (IgH), presenti nelle plasmacellule midollari. Nonostante queste osservazioni, l'esistenza di un tale precursore rimane controversa, soprattutto a causa di alcuni limiti tecnici degli studi sopracitati. Va infatti sottolineato che: a. la paraproteina mielomatosa è citofilica e può legarsi in modo non specifico ai linfociti B che vengono, in tal modo, riconosciuti erroneamente come neoplastici dagli anticorpi anti-idiotipo; b. la specificità di questi anticorpi non è assoluta, in quanto possono riconoscere più di una paraproteina e reagiscono anche con diversi cloni di linfociti B normali; c. la presenza nel PB di cellule caratterizzate da un riarrangiamento dei geni delle IgH uguale a quello presente nelle plasmacellule maligne, non può essere considerato una prova assoluta dell'esistenza di un precursore linfocitario, in quanto tale riarrangiamento potrebbe essere attribuito alla presenza di plasmacellule circolanti. Di recente, una strategia sperimentale basata sull'analisi molecolare dei geni delle IgH, ha consentito di superare questi problemi tecnici con un'analisi del "problema precursore" sotto una diversa prospettiva. Il riarrangiamento dei segmenti "variabile" (V), "diversità" (D) e "giunzione" (J) dei geni delle catene pesanti delle IgH genera le tre regioni determinanti la complementarietà (CDR) che codificano per il sito legante l'antigene. Queste regioni sono specifiche per ogni clone B-linfocitario e possono essere utilizzate come marcatore genetico per le cellule tumorali. In seguito alla stimolazione antigenica, i linfociti B maturi che esprimono le catene IgM e IgD vanno incontro alla commutazione dell'isotipo, che provoca la delezione del gene Cm senza però modificare la specificità idiotipica codificata dalla VDJ. La diversa espressione delle catene pesanti può pertanto essere utilizzata per discriminare le cellule che precedono, da quelle che seguono la commutazione dell'isotipo. Nei pazienti con mieloma multiplo, è stato possibile dimostrare la presenza, sia nel midollo che nel sangue periferico, di una piccola popolazione di cellule B che esprimevano la VDJ delle plasmacellule tumorali ancora collegata alla catena Cm. Tali cellule rappresentano dei potenziali candidati al ruolo di precursori delle plasmacellule tumorali (14) (Figura 4). MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 9 1 Siccome le sequenze VDJ di tali precursori non hanno variazioni intraclonali e possiedono le stesse mutazioni somatiche delle plasmacellule, è probabile che si tratti di una popolazione di cellule B mature identificabile con plasmoblasti o cellule B memoria (15, 16). Il ruolo che queste cellule B hanno nella patogenesi del mieloma rimane da chiarire, anche perchè sono ancora da dimostrare la loro capacità di essere clonogeniche e la loro malignità. Una simile dimostrazione avrebbe, infatti, importanti implicazioni cliniche, in quanto l'eliminazione di tali cellule potrebbe rappresentare uno degli obiettivi della terapia del mieloma. Figura 4 • Patogenesi molecolare del mieloma Precursore B cellulare compartimento plasmacellulare automantenimento differenziazione Trascritto dei geni delle immunoglobuline V D J mRNA dei linfociti B Cm V D J C-g/a mRNA delle plasmacellule L’esistenza di trascritti delle immunoglobuline con la stessa VDJ delle plasmacellule tumorali, ma con regione costante Cm, suggerisce l’esistenza di un precursore B-cellulare E 10 M A T O L O G I A 2 IMMUNOFENOTIPO DELLE CELLULE MIELOMATOSE Gli antigeni espressi sulle plasmacellule si possono dividere in 4 gruppi: 1. Ig e antigeni associati alla differenziazione B cellulare (sIg, cIg, CD10, CD19, CD20, CD23, CD38, CD73, B-B4); 2. antigeni non correlati alla linea differenziativa B siano essi mieloidi o T cellulari (CD33, CD14, CD2, CD4); 3. molecole correlate ai meccanismi di adesione e "homing" dei linfociti (integrine e selectine tra cui CD56, CD54, CD49e, CD49d); 4. antigeni coinvolti nei segnali tra cellula e cellula (HLA-DR, CD28, CD40, CD80, CD95, CD100, CDw101, B7, ecc). Le plasmacellule mielomatose "classiche" esprimono le immunoglobuline citoplasmatiche (cIg) e gli antigeni di superficie CD38 (il più tipico antigene plasmacellulare), Han-PC1, B-B4 (non classificati tra i CD), il CD44 ed il CD54 (Tabella 2). Un altro gruppo di antigeni risulta espresso solo in una parte dei casi e tra essi ricordiamo le immunoglobuline di superficie (sIg), il CD10, il CD23, il CD32, il CD19, il CD20 e l'HLA-DR. Le plasmacellule maligne possono esprimere anche alcuni antigeni che sono specifici di linee differenziative diverse da quella Bcellulare quali la linea mielomonocitica (CD13, CD14, CD15, CD33, CD41 e la glicoforina A), la linea T-cellulare (CD2 e CD4), le cellule natural killer (NK) (CD56), nonchè il CD25, il CD37, il CD39, il CDw40 e il CD45R (17, 18). Sebbene la maggior parte dei laboratori concordi su quale sia il fenotipo "classico" delle plasmacellule mielomatose, esistono notevoli discrepanze sulla percentuale di mielomi che esprimono antigeni atipici. Attualmente si sta cercando di raggiungere un consenso generale, anche perchè l'espressione di alcuni antigeni può avere un significato prognostico. La costante espressione del CD38 e dell'antigene Han-PC1 sulle plasmacellule mielomatose è stata descritta da San Miguel et al. (19). Nel loro studio, meno di un terzo dei pazienti è risultato positivo per il CD10, il CD20 e l'HLA-DR. Occasionalmente le plasmacellule sono risultate debolmente positive per alcuni marcatori mielomonocitici (CD13, CD14 e CD15). L'espressione del CD10, del CD19, del CD20, dell'HLA-DR e degli antigeni mieloidi è stata associata ad una morfologia plasmacellulare immatura. Tuttavia non è stato possibile correla- MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 11 Tabella 2 Molecole espresse sulle plasmacellule normali, mielomatose e sulle linee di mieloma Antigene Plasmacellule normali Plasmacellule maligne Linee di mieloma slg clg CD9 CD10 CD19 CD20 CD23 CD38 B-B4 CD56 CD54 CD49e CD49d HLA-DR CD44 Han-PC1 CD32 – + • – + – • + + – + + + – + + – ± + ± ± – ± ± + + + + ± + ± + + • • • + – – – – + + ± + – + ± + • – + positivo; – negativo; ± espressione variabile; • risultati contraddittori o non disponibili re l'espressione di nessuno di questi antigeni (con l'eccezione del CD20) con l'attività della malattia. L'espressione di antigeni T-cellulari (CD4,CD3,CD2) è stata documentata in circa il 5% dei mielomi. La sopravvivenza a partire dal riscontro dell'espressione di questi antigeni è stata molto breve, con una mortalità a 5 mesi dell'80%. Omedè et al. (20) hanno riportato che il 40% dei mielomi possiedono un fenotipo plasmacellulare immaturo che identifica un sottogruppo di pazienti con caratteristiche cliniche e biologiche aggressive. In questi mielomi, la maggioranza delle cellule tumorali coesprimono antigeni plasmacellulari e linfocitari (cIg, CD38, CD56 e sIg) e sono da considerare come plasmacellule immature. Negli altri pazienti le cellule tumorali esprimono solo antigeni plasmacellulari e sono da considerare plasmacellule mature. Nel PB dei pazienti con plasmacellule immature è stata riscontrata la presenza di cellule clonotipiche sIg + , CD38 + CD56 + e CD19 – . La valutazione dei fattori prognostici quali la b2-microglobulina, la CRP e la neopterina ha confermato che i pazienti con fenotipo pla- E 12 M A T O L O G I A smacellulare immaturo appartengono ad un gruppo a cattiva prognosi. Uno dei principali problemi è che la maggioranza degli antigeni plasmacellulari non sono specifici per le plasmacellule e, a maggior ragione, per le plasmacellule tumorali (Tabella 2). Per superare questa difficoltà, da un lato sono stati messi a punto dei nuovi anticorpi monoclonali e dall'altro sono stati fatti dei tentativi per identificare dei fenotipi "tumore-specifici", caratterizzati, per esempio, da un'associazione anomala di antigeni standard. Harada et al. (21) hanno esaminato il fenotipo delle plasmacellule normali e mielomatose, mediante un'analisi citofluorimetrica a due colori, paragonando l'espressione di CD38, CD49d (VLA-4), CD49e (VLA-5), CD44, CD56, CD19, CD20, CD24 e CD10. Le plasmacellule normali sono risultate costantemente CD49d + , Cd49e + , CD44 + , CD19 + e CD56 – , mentre le plasmacellule tumorali "mature" (12 casi su 20) sono risultate CD49d+ , CD49e + , CD56 + e CD19 – . E' stato concluso che l'analisi del CD19 e del CD56 è in grado di discriminare le plasmacellule normali da quelle mielomatose (Tabella 2) e consente di identificare le plasmacellule maligne anche nelle MGUS e nelle forme precoci di mieloma (21). 2.1 ESPRESSIONE DI MOLECOLE DI ADESIONE Diversi gruppi di ricerca hanno analizzato l'espressione delle molecole di adesione sulle plasmacellule maligne. Siccome una delle caratteristiche peculiari del mieloma multiplo è quella di svilupparsi nel BM e di invadere il PB solo nelle fasi terminali della malattia, è stato ipotizzato che tale colonizzazione potesse dipendere da alterazioni nell'espressione delle molecole di adesione. E' stato anche ipotizzato che una diversa espressione di alcune di queste molecole potesse permettere di discriminare le plasmacellule maligne da quelle normali. La più importante molecola di adesione espressa dalle plasmacellule maligne è il CD56 (conosciuto anche come N-CAM). Nel lavoro originale di van Camp (22) la positività per questo antigene nel mieloma è risultata del 78%, mentre nessun caso di MGUS è risultato positivo. Le cellule maligne CD56 + non coesprimevano il CD57 e il CD16, e la negatività per il CD56 è risultata associata ad un quadro di malattia aggressiva e all'istotipo micromolecolare kappa. Van Riet e van Camp (23) hanno anche condotto un'analisi sull'espressione del CD49d (VLA-4), del CD49e (VLA-5), del CD49f (VLA-6), del CD51 (o recettore per la vitronectina), del CD54 (ICAM-1) e del CD44 sulle plasmacellule normali e maligne. Entrambe le popolazioni sono risultate fortemente positive per il CD54, il CD49d e il CD44, ma solo le plasmacellule tumorali hanno dimostrato una debolissima positività per il CD49e, CD49f (VLA-6) e CD51. MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 13 2 Kawano et al. (24) hanno fornito ulteriori dati sull'espressione del CD49e, dimostrando che le plasmacellule tumorali CD38 + potevano essere suddivise in due sottogruppi in base all'espressione di questo antigene: le plasmacellule CD49e – avevano una morfologia plasmoblastica, una maggiore attività proliferativa e rispondevano allo stimolo con IL-6, mentre le CD49e + presentavano un aspetto differenziato, incorporavano poco la timidina triziata ed erano irresponsive all'IL-6, anche se erano in grado di secernere maggiori quantità di componente monoclonale. Questi dati suggeriscono l'ipotesi che le cellule CD49e– costituiscano una popolazione plasmacellulare immatura e le CD49e + una popolazione matura. E 14 M A T O L O G I A RUOLO DEI LINFOCITI T NEL MIELOMA MULTIPLO E' possibile dimostrare la presenza di cellule T esprimenti recettori con specificità idiotipica nel PB dei pazienti con mieloma e, in un primo tempo, era stato anche riportato che potessero sintetizzare attivamente tali recettori. Si era pertanto ipotizzato che queste cellule appartenessero al clone tumorale o, in alternativa, che fossero espressione di una profonda deregolazione del network idiotipico. In seguito l'espressione di una specificità idiotipica fu associata alla presenza di cellule T capaci di esprimere un recettore di superficie per l'Fc corrispondente all'isotipo della catena pesante idiotipica. Quando divenne disponibile l'analisi di clonalità delle catene a e b del recettore delle cellule T (TCR), fu possibile dimostrare l'assenza di cellule T clonali nel PB e nel BM dei pazienti con mieloma (25). E' stato osservato che le cellule T dei pazienti con mieloma aderiscono a piastre di coltura su cui era stato adsorbito l'idiotipo autologo, dimo strando che nel mieloma sono presenti delle popolazioni T cellulari non idiotipo-positive ma idiotipo-reattive. Queste popolazioni idiotipo-reattive erano caratterizzate dalla espressione dell'antigene HLA-DR. La presenza di cellule T idiotipo-reattive è stata successivamente confermata dimostrando la presenza, in Southern blot, di cloni predominanti di cellule T, nel PB di un paziente con mieloma indolente. La presenza di queste popolazioni T oligoclonali è stata successivamente confermata, su un ampio numero di pazienti, mediante analisi citofluorimetrica con anticorpi monoclonali specifici per le regioni Va e Vb del TCR. La presenza di interazioni specifiche tra le plasmacellule maligne e le cellule T, ha fornito una base molecolare per spiegare la varietà di alterazioni fenotipiche e funzionali descritte da Massaia et al. (26) nei linfociti T dei pazienti con mieloma. Particolare attenzione è stata posta all'espansione delle cellule T positive per l'HLA-DR, la cui presenza era stata anche correlata con il tipo di discrasia plasmacellulare e con lo stadio di malattia. Esse sono, infatti, in numero minore nelle MGUS rispetto ai mielomi, e in quest'ultima patologia tendono a diminuire fino a livelli comparabili con le MGUS nei pazienti trattati con successo, ma non in quelli con progressione di malattia. Inoltre, nei mielomi alla diagnosi la presenza di un elevato numero di cellule circolanti positive per il CD38 (antigene fortemente espresso dalle cellule T attivate) è correlata con una cattiva prognosi. MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 15 3 In definitiva, tenuto conto della correlazione tra cellule T HLADR + , funzionalità difettiva delle cellule T ed evoluzione tumorale si può ipotizzare che, da parte del sistema immunitario, ci sia un tentativo di controllare la malattia, anche se tale tentativo appare chiaramente inefficace. 3.1 SIGNIFICATO CLINICO DELLE ANOMALIE DELLE CELLULE T Oltre all'espansione delle cellule T che sono HLA-DR+ , numerose altre disfunzioni delle cellule T sono correlate allo stadio clinico o hanno implicazioni prognostiche nei pazienti con mieloma. Il numero di cellule CD73 + CD8 + (cellule CD8 vergini) è correlato con la percentuale di plasmacellule midollari e con l'indice proliferativo. Il deficit nella generazione delle attività citotossiche è risultato più evidente nei mielomi a cattiva prognosi e sembra risolversi parzialmente nelle fasi di remissione. Anche il sistema dell'IL-2 e del suo recettore (IL-2R) appare correlato con dati clinici relativi alla sopravvivenza e all'attività della malattia. Cimino et al. (27) hanno infatti dimostrato che esiste una correlazione tra elevati livelli sierici di IL-2 (> 10 U/ml) e una elevata sopravvivenza attuariale. Questi dati sono stati anche confermati mediante analisi multivariata che ha dimostrato che un elevato livello sierico di IL-2 rappresenta un valido indicatore prognostico nei pazienti con mieloma. E' stata inoltre osservata una correlazione inversa con i valori di b2 microglobulina ed è stato possibile, utilizzando questi due parametri, identificare tre gruppi di pazienti caratterizzati da una diversa sopravvivenza globale. Queste correlazioni hanno rafforzato l'ipotesi che le cellule T non siano spettatori passivi dello sviluppo della popolazione tumorale, ma che siano profondamente influenzate dall'evoluzione del malattia mielomatosa. Recenti studi hanno sottolineato il ruolo dell'apoptosi nella deregolazione del compartimento T nel mieloma multiplo. In questi pazienti, infatti, oltre ad un maggior numero di cellule T attivate (HLA-DR + ) si osserva anche un maggior numero di cellule positive per fas e un minor numero di cellule positive per bcl-2, rispetto ai controlli normali. La percentuale di cellule attivate risulta inoltre direttamente proporzionale alla quota di cellule fas + e inversamente proporzionale alla quota di cellule bcl-2 + . L'analisi citofluorimetrica a due colori ha potuto confermare, sulle singole cellule, che la positività per HLA-DR+ si associava all'espressione di fas e alla negatività di bcl-2. E' stata pertanto valutata la suscettibilità all'apoptosi delle cellule T dei pazienti con mieloma per valutare le conseguenze funzionali della deregolazione di E 16 M A T O L O G I A fas e bcl-2 ed è stato osservato che sia l'apoptosi spontanea (in terreno di coltura semplice) che quella indotta (da metilprednisolone o da anticorpi monoclonali anti-fas) era significativamente più elevata nei mielomi rispetto ai controlli e coinvolgeva specificamente le cellule HLA-DR + . Questi dati consentono di postulare l'esistenza di un nuovo meccanismo attraverso cui le cellule T attivate dei pazienti con mieloma risultano compromesse in modo tale da perdere la capacità di esercitare un’efficace risposta immunitaria in vivo contro le plasmacellule tumorali. MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 17 3 FATTORI PROGNOSTICI Il mieloma multiplo è una malattia clinicamente eterogenea. La sopravvivenza media è di circa 3 anni; in alcuni pazienti la sopravvivenza è di pochi mesi mentre in altri può raggiungere i 10 anni. Ne deriva l'esigenza di appropriati criteri prognostici per impostare la strategia terapeutica (28). I principali fattori prognostici possono essere suddivisi in fattori correlati alla massa tumorale, alla aggressività biologica, e fattori dipendenti dalle interazioni tumore-ospite. 4.1 FAT T O R I P R O G N O S T I C I C O R R E L AT I A L L A MASSA TUMORALE La stadiazione clinica secondo lo schema di Durie e Salmon (Tabella 3), è basata su parametri clinici e consente di suddividere i pazienti in tre categorie: a bassa, intermedia ed alta massa tumorale (rispettivamente stadio I, II e III), ulteriormente definite in base alla presenza o meno di insufficienza renale in sottogruppi A e B. Il principale limite di questa stadiazione sta nell'estrema eterogeneità dello stadio III (che rappresenta circa il 70% dei soggetti affetti da mieloma); il 25% di questi pazienti hanno infatti una sopravvivenza inferiore all'anno e il 25% una sopravvivenza addirittura superiore ai 6 anni. La b2 microglobulina è un importante fattore prognostico ed è espressione della massa tumorale. Valori di b2 microglobulina superiori a 4 o 6 mg/l sono correlati ad una cattiva prognosi (29). Un limite della b2 microglobulina è rappresentato dal non essere un parametro sufficientemente preciso delle variazioni della massa tumorale: nel decorso clinico dei singoli pazienti le variazioni della massa tumorale sono più precisamente valutabili mediante semplici determinazioni della componente monoclonale sierica e/o urinaria. 4.2 FATTORI PROGNOSTICI CORRELATI ALLA AGGRESSIVITÀ BIOLOGICA DELLE CELLULE TUMORALI E' ormai generalmente ammesso che l'indice di proliferazione (LI) MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 19 4 Tabella 3 Stadiazione del mieloma in base alla massa tumorale (Secondo lo schema di Durie-Salmon) ■ Massa tumorale elevata (Stadio III) (> 1.2 x 1012/m2•) se presente almeno una delle seguenti caratteristiche – Emoglobina < 8.5 g/dl – Calcemia > 12 mg/dl – Elevati livelli di componente monoclonale sierica od urinaria (picco IgG > 7g/dl, picco IgA > 5 g/dl, proteinuria di Bence-Jones > 12 g/24 ore) – Presenza di tre o più lesioni osteolitiche ■ Massa tumorale ridotta (Stadio I) (< 0.6 x 1012/m2•) se presenti tutte le seguenti caratteristiche – Emoglobina > 10.5 g/dl – Calcemia nella norma – Bassi livelli di componente monoclonale sierica od urinaria (picco IgG < 5 g/dl, picco IgA < 3 g/dl, proteinuria di Bence-Jones < 4 g/24 ore) – Assenza di lesioni osteolitiche ■ Massa tumorale intermedia (Stadio II) (0.6-1.2 x 1012/m2•) tutti i pazienti che non rientrano nelle precedenti categorie • Stima del numero di plasmacellule maligne delle cellule mielomatose midollari costituisca un affidabile parametro prognostico. I pazienti possono essere così stratificati in tre gruppi di rischio: 1. gruppo ad alto rischio, con LI >2 2. gruppo a rischio intermedio, con LI tra 1 e 2 3. gruppo a basso rischio con LI <1. Le sopravvivenze nei tre gruppi, indipendentemente dalla massa tumorale, sono rispettivamente 16, 31 e 55 mesi. L'attività proliferativa influenza anche la rapidità di risposta alla chemioterapia: la maggioranza dei pazienti con LI >2 ottengono una riduzione della massa tumorale >50% entro 3 mesi. In questo sottogruppo di pazienti se non si interviene con terapie molto intensive la rapida riduzione è generalmente seguita da un'altrettanto rapida riespansione che condiziona una bassa sopravvivenza (30, 31). E 20 M A T O L O G I A 4.3 FATTORI PROGNOSTICI CORRELATI ALLE INTERAZIONI TUMORE-OSPITE Comprendono varie alterazioni fenotipiche e funzionali a carico delle sottopopolazioni linfocitarie e vari parametri determinabili a livello sierico quali l'IL-6 e il suo recettore, la CRP, l'a1-antitripsina, la neopterina, IL-2 e il suo recettore, la timidinchinasi e la lattato-deidrogenasi. Tra questi assume particolare rilevanza prognostica la concentrazione sierica della CRP, che riflette la secrezione di IL-6, considerata il principale fattore di crescita per la popolazione mielomatosa. L'IL-6, come citochina pleiotropica, è anche attiva sulle cellule epatiche, regolando, tra l'altro, la produzione delle proteine della fase infiammatoria acuta, come la CRP e l'a1-antitripsina. La concentrazione sierica della CRP riflette così l'"attività" in vivo dell'IL-6. Alti valori di CRP sono spesso osservati alla diagnosi, bassi valori in fase di remissione e alti valori in fase di riespansione. In uno studio su 162 pazienti, un valore di CRP superiore a 6 mg/l ha consentito di separare due gruppi di rischio ben definiti: i pazienti con CRP >6 mg/l hanno mostrato una sopravvivenza di 21 mesi, mentre quelli con valori <6 mg/l hanno mostrato una sopravvivenza mediana di 48 mesi. In analisi multivariata, secondo il modello di Cox, i livelli sierici di CRP sono risultati indipendenti da quelli sierici di b2 microglobulina. Sono stati così stratificati tre gruppi di pazienti secondo i livelli sierici di CRP e b2 microglobulina: 1. mieloma a basso rischio con CRP e b2 microglobulina <6 mg/l; 2. mieloma a rischio intermedio con CRP o b2 microglobulina ³6 mg/l; 3. mieloma ad alto rischio con CRP e b2 microglobulina ³6 mg/l. Le sopravvivenze nei tre gruppi sono state di 54, 27 e 6 mesi (32). Un'altra espressione di "attivazione stromale" è rappresentata dalla neopterina. La neopterina è prodotta dai monociti e dai macrofagi dietro stimolazione dell'IFN-g, a sua volta prodotto dai T linfociti attivati. Nel paragone con soggetti normali la neopterina sierica è aumentata nelle MGUS e ancor più nei mielomi. La sopravvivenza media dei pazienti con alti valori di neopterina (>11 nmol/l) è sui 20 mesi e di ben 63 mesi per i pazienti con bassi valori (<11 nmol/l). In conclusione, la caratterizzazione prognostica di routine può includere: la stadiazione clinica (con emoglobinemia, creatininemia e calcemia), il performance status, l'età, la b2 microglobulina e la CRP. L'associazione dei parametri di massa ed aggressività della malattia consente oggi una valida stratificazione prognostica ed in particolare di identificare i pazienti che possono richiedere trattamenti di tipo intensivo e/o mieloablativo. MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 21 4 5 TERAPIA Negli ultimi 25 anni la chemioterapia con melphalan e prednisone per os è stata la terapia di scelta per il mieloma multiplo. Sono state sviluppate nuove strategie terapeutiche che utilizzano svariate combinazioni di farmaci, e la terapia dei pazienti con malattia resistente è stata migliorata. Le terapie mieloablative si sono imposte come promettenti alternative specialmente per i pazienti giovani con malattia resistente o ad alto rischio. 5.1 CHEMIOTERAPIA CONVENZIONALE NEI PAZIENTI ALLA DIAGNOSI La chemioterapia intermittente per via orale con melphalan/prednisone (melphalan 6 mg/m 2 e prednisone 60 mg/m 2 per 7 giorni, ripetibili ogni 4-6 settimane per complessivi 6-12 cicli) è stata per lungo tempo il trattamento di riferimento per il mieloma multiplo. Essa è in grado di indurre una risposta, definita come riduzione della componente monoclonale di più del 50%, in circa la metà dei pazienti con mieloma alla diagnosi. La durata mediana della risposta è di circa 18 mesi, le remissioni complete sono piuttosto rare e la sopravvivenza mediana si aggira sui tre anni (28, 30). Diversi studi hanno cercato di migliorare i risultati ottenuti con questo schema attraverso lo sviluppo di nuovi programmi terapeutici che impiegavano combinazioni di svariati agenti alchilanti o associazioni comprendenti la doxorubicina e la vincristina. La maggior parte degli studi randomizzati, non ha però potuto dimostrare la superiorità di nessuno di questi regimi rispetto al melphalan/prednisone (30, 31) (Figura 5). Tale dato è stato confermato anche da una meta-analisi condotta su 18 studi randomizzati comprendenti un totale di 3814 pazienti. In tutti questi studi, uno dei bracci era costituito da melphalan/prednisone e l'altro da un trattamento polichemioterapico che differiva da studio a studio: la sopravvivenza a due anni è risultata del 55.5% con la polichemioterapia e del 57.5% con melphalan/prednisone (33). L'assenza di un vantaggio terapeutico nell'uso della polichemioterapia rispetto al melphalan/prednisone consente di formulare due importanti osservazioni. In primo luogo, la polichemioterapia è stata spesso considerata un trattamento aggressivo, mentre in realtà essa MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 23 Figura 5 • Curve di sopravvivenza dei pazienti trattati con terapia standard (MP) o con chemioterapia di combinazione (VMCP/VBAP) 1.0 0.9 0.8 Sopravvivenza 0.7 0.6 0.5 VMCP/VBAP MP 0.4 0.3 n.s. 0.2 0.1 0.0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Mesi non risulta maggiormente aggressiva del melphalan/prednisone, come si evince dai livelli di tossicità ematologica che risultano simili per i due bracci nella maggioranza degli studi. In secondo luogo, la meta-analisi ha dimostrato che mentre il melphalan/prednisone è più efficace nei pazienti a buona prognosi, gli approcci polichemioterapici lo sono nei pazienti ad alto rischio, suggerendo l'opportunità di adottare questi nuovi trattamenti soprattutto in questo gruppo di pazienti. Negli ultimi tempi sono stati elaborati nuovi programmi terapeutici caratterizzati dall'uso di alte dosi di corticosteroidi, come ad esempio il VAD che include doxorubicina, vincristina e desametasone. Nei pazienti alla diagnosi la percentuale di risposta è stata del 55% e la sopravvivenza è risultata simile a quella dei pazienti trattati con schemi classici. Il desametasone da solo è risultato anch'esso efficace, anche se la percentuale di risposte è risultata inferiore del 15% rispetto al VAD. Il ruolo dei corticosteroidi nel mieloma multiplo è pertanto di grande rilievo tenuto conto che, con regimi terapeutici diversi (MP, VMCP/VBAP, VAD), è stato possibile osservare una correlazione positiva tra dose di steroidi somministrata e sopravvivenza (34). Un incremento della dose di steroidi somministrata sembra, pertanto, uno dei più importanti approcci per migliorare l'efficacia dei trattamenti chemioterapici combinati. E 24 M A T O L O G I A 5.2 INTERFERONI Molteplici studi in vitro hanno sottolineato l'importante ruolo inibitorio svolto dagli interferoni nei confronti delle plasmacellule tumorali. IFN-g è il più importante inibitore della proliferazione plasmacellulare, mentre IFN-a sembra esplicare i suoi effetti più sulla secrezione della componente monoclonale che sull'attività proliferativa delle plasmacellule (35, 36). L'efficacia dell'IFN-a nella terapia di induzione del mieloma multiplo, in associazione con il melphalan/prednisone o con altri schemi terapeutici (VMCP, VAD), è stata valutata in diversi studi randomizzati: in alcuni di questi studi si è osservato un maggior numero di risposte obiettive nei pazienti trattati con IFN-a (37, 38). L'IFN-a è stato anche impiegato (al dosaggio di 3.000.000 di unità per via sottocutanea, tre volte la settimana) come terapia di mantenimento, una volta ottenuta la risposta (39). In alcuni studi randomizzati è stato osservato un prolungamento della durata della risposta. Non tutti gli studi sono concordi sul beneficio in termini di sopravvivenza globale. E' anche stata studiata l'efficacia dell'IFN-a come mantenimento post-autotrapianto, per valutare la sua azione sulle plasmacellule residue dopo la marcata citoriduzione indotta dalla chemioterapia submieloablativa. Il gruppo di pazienti che avevano effettuato il mantenimento con IFN-a hanno avuto una mediana di sopravvivenza libera da malattia di 39 mesi, rispetto ai 25 dei pazienti che non sono stati sottoposti ad alcun mantenimento, suggerendo che l'efficacia dell'IFN-a si manifesti pienamente solo in presenza di una piccola massa tumorale residua. I risultati più significativi si sono, però, osservati associando l'IFN-a con i corticosteroidi. Questa terapia di mantenimento intensificata è stata in grado di indurre un'ulteriore riduzione della componente monoclonale (>50%), nei pazienti che già avevano risposto alla terapia convenzionale. In uno studio in cui questa associazione veniva usata solo in seconda remissione, si è osservata una maggior durata di questa seconda remissione rispetto alla prima (32 mesi contro 14). In un altro studio l'IFN-a associato ai glucocorticoidi è stato utilizzato in quei pazienti che non avevano risposto alla terapia di induzione mentre i pazienti rispondenti erano stati trattati con solo IFN-a: nel gruppo in cui venivano impiegati anche i corticosteroidi la sopravvivenza mediana è stata di 48 mesi mentre nell'altro gruppo è stata di soli 34 mesi, sottolineando come l'impiego di questa associazione sia in grado di migliorare significativamente la sopravvivenza (40). Resta, peraltro, ancora da chiarire se questo marcato vantaggio di sopravvivenza sia da attribuire all'associazione dei due farmaci o all'effetto della sola terapia steroidea. MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 25 5 5.3 TERAPIE DI SALVATAGGIO Le cosiddette "terapie di salvataggio" sono quei trattamenti che vengono adottati quando la malattia risulta resistente al trattamento di prima scelta o quando si assiste alla recidiva di pazienti che, in precedenza, avevano ottenuto una remissione. I due quadri sopradescritti differiscono sostanzialmente tra di loro e richiedono trattamenti diversi. I pazienti in recidiva hanno una prognosi infausta con una sopravvivenza mediana che si aggira sui 12 mesi. Quando la recidiva si manifesta ad una distanza maggiore di 12 mesi dalla terapia di induzione, l'impiego dello stesso trattamento che aveva indotto la risposta risulta efficace nel 50% dei pazienti e rappresenta pertanto la terapia di scelta. Lo schema VAD risulta efficace in circa il 40% dei pazienti, con una durata mediana di remissione di 9 mesi. Il consolidamento, mediante chemioterapia submieloablativa, non è in grado di indurre alcun miglioramento in termini di durata della remissione (41). Al contrario, nei pazienti con malattia resistente, il VAD ed il desametasone ad alte dosi risultano efficaci solo nel 25% dei pazienti, mentre l'approccio mieloablativo è in grado di indurre una risposta nel 79% dei pazienti e conferisce un significativo vantaggio in termini di sopravvivenza globale. Quando la malattia diventa resistente sia al melphalan per os che ai cicli a base di doxorubicina, la sopravvivenza mediana si abbassa a circa sei mesi. In questi pazienti l'uso della ciclofosfamide a dosi intermedie (3.6 g/m 2 ) o dell'associazione ciclofosfamide (3 g/m 2 ) ed etoposide (900 mg/m 2 ) è in grado di ottenere un 50% di risposte con una mediana di sopravvivenza di circa 12 mesi. Pertanto questo trattamento sembra essere il più adatto nei pazienti con malattia resistente al VAD. Nello stesso gruppo di pazienti, invece, l'uso di alte dosi di melphalan (90-100 mg/m 2 ) è in grado di indurre una risposta nel 40% dei pazienti, a spese però di una mortalità correlata al trattamento del 15% e senza vantaggi in termini di sopravvivenza (42). L'impiego di dosaggi più ridotti di melphalan (20-40 mg/m2 ) sembra, invece, un approccio più facilmente attuabile in pazienti già a lungo trattati, soprattutto per la minor tossicità ematologica e per la maggior facilità con cui è possibile ripetere il trattamento. Lo scopo di questa terapia non è quello di indurre un'elevata percentuale di risposte, ma piuttosto di controllare la malattia e di prolungare la sopravvivenza con una qualità di vita accettabile. La terapia di mantenimento intensificata con IFN-a e corticosteroidi rappresenta il trattamento di scelta per la seconda o la terza remissione, come già descritto in precedenza. In uno studio recente, pazienti con malattia refrattaria ed età inferiore ai 70 anni sono stati trattati con ciclofosfamide (3 g/m 2 , il giorno 0) seguita da G-CSF (10 mg/kg/die dal giorno +3 al giorno +9) e melpha- E 26 M A T O L O G I A lan (60 mg/m 2 il giorno +11) con raccolta dei progenitori emopoietici circolanti il giorno +10, conservazione delle cellule a +4°C, e successiva reinfusione il giorno +12. Il periodo di marcata neutropenia e trombocitemia è stato rispettivamente di 5 e 2 giorni. Tale schema è risultato ripetibile senza alcun incremento della tossicità ematologica. Le risposte complete dopo due cicli sono state il 33% e le risposte maggiori con riduzione di almeno il 75% dei livelli di paraproteina alla diagnosi, il 58%. Questo trattamento è stato somministrato in regime di day-hospital con un supporto medico simile a quello richiesto per altri cicli polichemioterapici (43). 5.4 CONDIZIONI CLINICHE PARTICOLARI E TERAPIE DI SUPPORTO La presenza di insufficienza renale acuta o cronica è abbastanza frequente nei mielomi alla diagnosi e la sua incidenza oscilla intorno al 18% (Figura 6). L'impiego di agenti alchilanti, nonostante una riduzione di dosaggio apparentemente adeguata, sortisce spesso degli effetti imprevedibili ed alcuni pazienti vanno incontro a prolungate neutropenie. Sia il ciclo VAD che il VAMP sono da preferire in questo gruppo di Figura 6 • Manifestazioni cliniche del mieloma multiplo Osteolisi Fratture patologiche Ipercalcemia Anemia Infiltrazione midollare Riassorbimento osseo Mieloma multiplo Immunoglobuline monoclonali Sangue Iperviscosità Crioglobuline Neuropatie Riduzione delle immunoglobuline policlonali Urine Insufficienza renale Infezioni Tessuti Amiloidosi MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 27 5 pazienti, tenuto conto che nessuno dei farmaci che li compongono viene eliminato per via renale e pertanto possono essere somministrati a dosaggio pieno. Nei pazienti già estesamente trattati in cui vi è una ridotta riserva midollare, la terapia di scelta è senz'altro il desametasone ad alte dosi che, oltre ad essere privo di tossicità ematologica acuta (mielosoppressione) ha una buona attività antitumorale. Le fratture della colonna vertebrale associate o meno a compressioni spinali e/o radicolari sono complicanze non infrequenti che richiedono un trattamento precoce. La terapia di scelta prevede il desametasone associato alla radioterapia locale evitando, quando possibile, la laminectomia chirurgica. L'ipercalcemia è un'altra frequente complicazione che richiede come trattamento di prima linea il desametasone ad alte dosi (con furosemide), in considerazione della specifica azione di questo farmaco sul bilancio del calcio e della sua rapidità d'azione. E' stato riportato, recentemente, che l'uso del pamidronato (90 mg per infusione endovenosa) a cicli mensili diminuisce il numero di fratture patologiche ed il dolore nei pazienti con mieloma stadio III. Lo stesso farmaco si è rivelato anche efficace nel controllare l’ipercalcemia (44). L'eritropoietina umana ricombinante, al dosaggio di 150-300 U/kg tre volte la settimana è stata utilizzata per migliorare i valori di emoglobina nei pazienti con mieloma. E' stata riportata una risposta in circa il 70% dei pazienti con aumenti di emoglobina maggiori a 2 g/l , con un sensibile miglioramento della qualità di vita. 5.5 TRAPIANTO MIDOLLARE AUTOLOGO Negli ultimi anni, numerosi pazienti sono stati trattati con chemioterapia ad alte dosi seguita dall'infusione di BM o, più recentemente, da progenitori emopoietici periferici (45, 46). L'uso di tali progenitori, associato all'impiego dei fattori di crescita emopoietici (GM-CSF o G-CSF), ha permesso di ridurre la mortalità trapiantologica dal 30% a meno del 5%, con una marcata riduzione del periodo di aplasia che attualmente risulta inferiore a due settimane (47). La maggior parte degli studiosi sostiene che il trapianto autologo non sia attuabile nei pazienti con più di 65 anni o con gravi patologie internistiche. In un vasto studio la fattibilità del trattamento è stata dell'82% nei pazienti con meno di 60 anni ma solo del 56% nei pazienti con più di 60 anni. Tenuto conto che l'età mediana di insorgenza del mieloma è di 69 anni E 28 M A T O L O G I A nell'uomo e 71 nella donna, risulta evidente che una consistente fascia di pazienti non può accedere a questo tipo di trattamento. Da un'analisi, di un'esperienza mondiale, su 571 pazienti avviati a terapia mieloablativa entro un anno dalla diagnosi (età mediana 50 anni) risulta che le remissioni complete sono state il 42%, la sopravvivenza libera da malattia è stata di 30 mesi e la sopravvivenza globale intorno ai 4-5 anni (48). Un'analisi multivariata è stata condotta su 686 autotrapianti effettuati in 8 centri: il breve intervallo dalla diagnosi (minore di 12 mesi), l'età inferiore a 50 anni e l'isotipo IgG sono risultati essere le principali variabili capaci di influenzare positivamente la sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale. I risultati pubblicati recentemente di uno studio francese randomizzato in pazienti con mieloma multiplo di età < 65 anni che confronta l'efficacia della terapia mieloablativa (melphalan 140 mg/m 2 + total body irradiation), rispetto alla polichemioterapia convenzionale (VMCP-VBAP), dimostrano che l'autotrapianto migliora oltre alla percentuale di risposte anche la sopravvivenza libera da malattia (28 contro 10% a 5 anni) e la sopravvivenza globale (52 contro 12% a 5 anni) (49). In uno studio che paragonava un gruppo di pazienti ad elevata attività proliferativa (valori di LI>2) trattati con autotrapianto con un controllo storico di pazienti con le stesse caratteristiche trattati con lo schema VMCP-VBAP, si è potuto osservare, nei pazienti trapiantati, un’elevata percentuale di remissioni complete (77%) ed una mediana di sopravvivenza globale (56 mesi) significativamente superiore rispetto ai controlli (26 mesi) (47) (Figura 7). Nella maggior parte degli studi, l'uso delle terapie mieloablative si è dimostrato molto efficace nei pazienti trattati in fasi precoci di malattia, ma non in quelli con malattia avanzata. L'efficacia della terapia mieloablativa, come terapia di salvataggio nei pazienti con malattia resistente o come consolidamento in quelli con una buona risposta, è stata valutata su di un gruppo di mielomi trattati da meno di un anno e confrontata con pazienti trattati con terapia convenzionale. L'approccio mieloablativo non ha migliorato la sopravvivenza nei pazienti che avevano ottenuto la remissione, ma si è dimostrato molto efficace nei pazienti con malattia resistente. Nei pazienti con malattia resistente da più di un anno tale vantaggio non è più evidente. In conclusione, l'approccio mieloablativo sembra offrire i migliori risultati nei pazienti con elevata attività proliferativa e in quelli con malattia resistente all'esordio. Di recente, sono stati avviati protocolli di doppio autotrapianto con cellule periferiche che sembrano in grado di aumentare ulteriormente la percentuale delle remissioni complete, e di migliorare la sopravvivenza libera da malattia. MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 29 5 Figura 7 • Pazienti con LI>2 trattati con lo schema VMCP/VBAP o con trapianto autologo. Curve di sopravvivenza, con significativo vantaggio per il trapianto autologo 1.0 0.9 Sopravvivenza 0.8 0.7 0.6 ABMT 0.5 0.4 0.3 p = 0.02 VMCP/VBAP 0.2 0.1 0.0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Mesi 5.6 MALATTIA MINIMA RESIDUA E SELEZIONE POSITIVA DELLE CELLULE CD34 + NEL TRAPIANTO AUTOLOGO La chemioterapia ad alte dosi seguita dal trapianto autologo di cellule emopoietiche periferiche e/o midollari ha aumentato la percentuale di remissioni complete ed ha migliorato la sopravvivenza libera da malattia in alcune categorie di pazienti. Nonostante questi incoraggianti risultati, la maggior parte dei pazienti trapiantati va incontro alla recidiva della malattia. Uno dei problemi ancora da risolvere, nelle procedure di trapianto autologo, è quello della reinfusione di cellule mielomatose dopo il trattamento mieloablativo. E' stato recentemente riportato che sia le raccolte di progenitori emopoietici periferici sia gli espianti midollari, usati per il trapianto autologo, sono virtualmente sempre contaminati da plasmacellule tumorali. Tale contaminazione è stata documentata anche con l'uso di metodiche molto sensibili e specifiche come la polymerase chain reaction (PCR) per i riarrangiamenti dei geni delle IgH. Questa malattia residua è presente anche quando i pazienti effettuano le leucoaferesi dopo trattamenti intensivi di chemioterapia ad alte dosi (50). Basandosi su tali dati, sono stati avviati studi di purging in vitro, finalizzati a ridurre la contaminazione tumorale delle cellule E 30 M A T O L O G I A usate per l'autotrapianto. Le metodiche di purging si basano sulla selezione negativa con antigeni specifici per le cellule B, o in alternativa sulla selezione positiva delle cellule CD34 + . Le plasmacellule non esprimono l'antigene CD34 (antigene caratteristico delle cellule staminali), e ciò ha reso possibile la messa a punto di metodiche di selezione positiva. La selezione positiva può essere effettuata sulle cellule emopoietiche periferiche, è più semplice e meno costosa della selezione negativa, ed inoltre garantisce una rapida ricostituzione della e m o p o i e s i p o s t - t r a p i a n t o ( 5 1 ) . L a s e l e z i o n e d i c e l l u l e C D 3 4 +, mediante sistemi tipo avidina/biotina, si è dimostrata efficace nel ridurre le plasmacellule tumorali di 2-4 logaritmi. In alcuni casi, le raccolte di CD34 + non contenevano plasmacellule residue ad una analisi mediante PCR. Tali risultati sono senza dubbio interessanti, ma devono essere valutati con prudenza, tenendo conto che il mieloma è una malattia estremamente resistente alla eradicazione in vivo, e che la persistenza in vivo della malattia rimane il problema principale per arrivare ad una eventuale cura. 5.7 TRAPIANTO MIDOLLARE ALLOGENICO Il trapianto allogenico è attualmente di uso limitato nel mieloma multiplo in quanto i pazienti con età inferiore ai 50 anni che dispongono di un donatore HLA-compatibile sono solo il 5%. Da un'analisi dei principali studi sul trapianto allogenico nel mieloma multiplo si è osservato che la mortalità ad un anno dal trapianto è di circa il 50%, il numero di remissioni complete è dell'ordine del 40%, mentre la sopravvivenza libera da recidiva per i pazienti che hanno raggiunto la remissione completa è del 34% a 6 anni. La sopravvivenza globale è del 28% a 7 anni (48, 52). Alcuni pazienti si sono mantenuti in remissione per più di 5 anni suggerendo la possibilità di una guarigione. Tra i fattori prognostici favorevoli occorre ricordare la piccola massa tumorale, il trattamento precoce e l'ottenimento della remissione completa dopo il trapianto. In generale nel trapianto allogenico vi sono due fattori che concorrono alla eradicazione della malattia: la terapia mieloablativa, e l'azione antitumorale esercitata dai linfociti T e dalle cellule NK del donatore. E' interessante notare che, la possibilità di una risposta immunologica anti-tumorale, tipo graft-versus-myeloma, è stata recentemente descritta in un paziente che, in recidiva dopo trapianto midollare allogenico da donatore non consanguineo, ha ottenuto una nuova remissione completa dopo la reinfusione di cellule periferiche mononucleate del donatore MIELOMA MULTIPLO: RECENTI PROGRESSI IN CAMPO BIOLOGICO E TERAPEUTICO 31 5 (53). Questo sembra aprire nuove prospettive terapeutiche basate più sulla immunoterapia che sulla intensificazione della chemio-radioterapia. E 32 M A T O L O G I A 6 BIBLIOGRAFIA GENERALE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. Barlogie B et al., Blood 73: 865-879; 1989. Selvanaygam P et al., Blood 71: 30-35; 1988. Durie BGM, Hematol Oncol Clin North Am 6: 463-477; 1992. Corradini P et al., Blood 81: 2708-2713; 1993. Seremetis S et al., Science 243: 660-663; 1989. Corradini P et al., Leukemia 8: 758-767; 1994. Neri A et al., Blood 81: 128-135; 1993. Dao DD et al., Leukemia 8: 1280-1284, 1994. Kawano M et al., Nature 322: 83-85; 1988. Klein B et al., Blood 73: 517-526; 1989. Hata H et al., Blood 81: 3357-3364; 1993. Klein B., Semin Hematol 32: 4-19; 1995. Zhang XG et al., Blood 76: 2599-2605; 1990. Corradini P et al., J Exp Med 178: 1091-1096; 1993. Bakkus MHC et al., Br J Haematol 87: 68-74; 1994. 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