La Chiesa apostolica primitiva norma e fondamento della Chiesa di

LA CHIESA APOSTOLICA PRIMITIVA:
NORMA E FONDAMENTO DELLA CHIESA DI TUTTI I TEMPI1
Introduzione e nocciolo teologico
Se il Concilio Vaticano I non cita mai Gesù Cristo, la DV gli dedica due numeri il 2 e il 4, che
Joseph Ratzinger vede come forti concentrazioni cristologiche. Nel 2 Cristo è visto come mediatore
e pienezza della Rivelazione, nel 4 come Colui che conferma e completa la Rivelazione. Non basta
dunque vedere in Gesù un mediatore, ma vedere in lui la pienezza e la novità. Questi concetti sono
ripresi dalla “Mit brennender sorge” (Con viva ansia) di Pio XI, scritta contro il nazismo. Ed il
numero 4 termina dicendo che «L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e
definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun'altra Rivelazione pubblica prima della
manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo». Si noti, che non si aspetta nessun’altr
rivelazione pubblica, ma non si dice alcunché sulle private. Come mai dunque la Chiesa primitiva è
norma e forma definitiva della Chiesa di tutti i tempi? Perché la Rivelazione pubblica cristiana,
finisce con la fine della Chiesa primitiva. Se infatti l’enciclica di Pio X “Lamentabili” diceva che la
Rivelazione era finita con l’ultimo degli apostoli, DV 4 sta più sullo sfumato.
Il punto di partenza del nostro corso è questo tema ecclesiologico che sta all’incrocio tra la
fondamentale e la dogmatica, perché tutti i dogmi sono già lì. Ultimamente poi questo tema è anche
abbastanza alla moda in campo biblico, perché la third quest, ha messo di nuovo l’importanza sulla
forma storica di Gesù e quindi anche sui testi della chiesa primitiva. Ma questo tema non è solo
biblico, è anche ecumenico, epistemologico e teologico. Con tutta probabilità il documento del NT
che è stato redatto per ultimo, risale al 130-135 o 150 con la 1 Pt. Perciò il NT non finisce nel ’60’66 con Pietro, Paolo e Giacomo, ma la tappa apostolica si allunga fino all’ultima redazione. Così
anche gli studi sociologici sulla chiesa primitiva sono molto importanti. Come capire dunque che la
Rivelazione finisce con gli “Apostoli”? Cosa è questo prolungamento di circa 80 anni, se in questa
parola si vede luce ed orientamento per sempre? La pienezza di Cristo si vede infatti nel NT.
Distinzione tra teologia dogmatica e teologia fondamentale
Se la teologia dogmatica argomenta a partire da ciò che si crede per mostrare la fede della Chiesa
presente nella Tradizione ecclesiale; la teologia fondamentale argomenta per mostrare (e non
dimostrare!) che quanto si crede è credibile, sia a livello teologico, che storico, che antropologico e
come tale è una disciplina teologica (e non filosofica, perché parte sempre dalla fede della Chiesa!)
di frontiera, di dialogo, tra ciò che si crede e il mondo, ma è anche una dimensione permanente
della teologia in generale. Se in quest’ultima la parola d’ordine per la gregoriana è “credibilità”, per
i tedeschi è “fondamenti”, il DTF è il manifesto dei primi, e l’Handbuch dei secondi.
STORIA DELL’ECCLESIOLOGIA FONDAMENTALE
Nel primo millennio della Chiesa non esisteva la teologia accademica che nasce con le università.
Fino al XII-XII secolo infatti, i primi abbozzi di teologia si facevano nei monasteri o nelle scuole
cattedrali, ed era una teologia molto sapienziale, fatta a partire dalla lectio divina. Le prime
università sorgono a Parigi e Bologna, sotto il patrocinio del papato che concedeva la licentia
ubique docendi per insegnare in esse, che diventano un luogo eccellente dove fare una riflessione
accademica e scientifica. Teologia e diritto sono l’asse portante di questa università. In questo
ambiente parigino sorgono quattro grandi che segneranno la teologia accademica e scolastica: due
domenicani (Alberto Magno e Tommaso d’Aquino) e due francescani (Bonaventura e Alessandro di
Halles). Cosa fanno questi? Delle dispense degli appunti dei loro corsi, le summae. Tommaso ne fa
una particolarmente moderna, in cui unisce Bibbia, Padri e filosofia aristotelica, che era pagana!
Centrale e fondamentale è la sua prima quaestio, dove si mette in luce come la teologia sia scienza
non per l’oggetto, ma per la metodologia. In lui non si trova né la fondamentale, né l’ecclesiologia,
perché lui fa tutta la teologia in medio ecclesiae, Chiesa dunque che più che un testo è un contesto.
1
Il corso segue il libro si S. Piè-Ninot, L’ecclesiologia.
Nel ‘300 due italiani canonisti, Egidio Romano e Giacomo di Viterbo, fanno il primo trattato sul
papa e sulla chiesa, che però è appunto un trattato canonico e tutto centrato sulla potestà, sul potere!
Se questo può anche starci, bisogna fare attenzione che trattare solo questo è fatale.
Un’ecclesiologia più teologica comincia con la riforma protestante, che mette in discussione la
“vera Chiesa” e invoca un ritorno al Vangelo e alle Scritture. Così nel XVI secolo inizia il trattato
apologetico sul “De Vera Ecclesia”, che è visto come disciplina introduttiva alla teologia. Questo
trattato affronta il tema secondo tre forme di dimostrazione:
 Via historica. Essa ha molto influenzato la nascita della storia ecclesiastica e spesso si è
ridotta a sola Via primatus, per vedere se la Chiesa cattolica ha la continuità di Pietro.
 Via notarum. I Luterani insistevano molto sulle proprietà che la Chiesa doveva avere e
lentamente ne emergono 4, quelle del Credo: una, santa, cattolica e apostolica.
 Via empirica. Essa va emergendo nel XVIII-XIX secolo, sulla scia dell’empirismo, anche se
era già cominciata a livello predicativo (es. Savonarola), perché con la gente semplice era
meglio partire da ciò che si vede, dall’ammirazione che la chiesa crea, il miracolo morale
che essa è. Questa via sarà quella usata nel Vaticano I, grazie al card. Deschamps. Stupisce
dunque che un concilio “razionalista” si affidi a questa via così “empirista”.
Prima del Vaticano II sono ancora queste tre vie che caratterizzano l’ecclesiologia, che in gran parte
era ancora apologetica, e si faceva con la fondamentale, con un taglio agguerrito e dimostrativo.
Con il Concilio Vaticano II si ha un grande cambiamento, perché si parte nell’approcciarsi alla
Chiesa innanzitutto come mistero e quindi va guardata come si vedono i misteri, con gli occhi della
fede. Ed essendo mistero essa appare in una forma paradossale, tanto che se uno non ha la fede, non
lo può vedere in essa. Ora nell’accostarsi ai documenti del concilio, va chiarito che esso è un
concilio di riforma e quindi si deve cercare di sviluppare un’ermeneutica della riforma, inoltre la
dottrina conciliare è dottrina cattolica e quindi ci si deve accostare ad essa con l’ossequio religioso
dell’intelletto e della volontà. Ora lo stesso Concilio ci aiuta in quest’ermeneutica e in questa
lettura, perché in DV 10 si dice che il magistero possiede il munus authenticae interpretandi e in
LG 25 si riprende il concetto di magistero straordinario, di infallibilità (papale e conciliare) e si
accenna a quello ordinario. Nel 1998 Giovanni Paolo II, con la Ad Tuendam Fidem, suddividerà il
magistero ordinario in definito e non definitivo. Nell’accostarsi al magistero bisogna sempre
ricordarsi che si deve vedere come un elemento ecclesiale, come una realtà di fede.
Dopo il Concilio nasce così l’ecclesiologia, o meglio le ecclesiologie, perché a differenza delle altre
discipline essa non ha tradizione teologica e poi attinge a diversi bacini (storico, sociologico ecc.)
Communio hierarchica
Questo concetto è la novità del Concilio Vaticano II, che ha tentato una sintesi tra il primo e il
secondo millennio, tra l’esperienza dell’ecclesiologia di comunione e quella gerarchica. Esso si
trova in LG 21-22, CD 4-5 e PO 7.15 e nella Nota Esplicativa Previa relativa al terzo capitolo di
LG, che cerca di mostrare la continuità con il Concilio Vaticano I.
LG 21 ad un certo punto dice «Docet autem Sancta Synodus», a rimarcare l’importanza di ciò che si
dice, che «la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell'ordine» e
questa era una grandissima novità anche teologica, perché l’espiscopato viene finalmente visto
come la pienezza dell’ordine. E per far ciò ci si basa su tre testi del primo millennio: la Traditio di
Ippolito, il Sacramentale Leonino e il Liber Sacramentorum Ecclesiasticum. E ciò permetterà anche
la definizione della chiesa locale, la nascita del sinodo dei vescovi ecc. e si noti bene, che ciò che
configura il vescovo con i suoi tria munera, è la consacrazione episcopale, è il sacramento.
LG 22 parla della relazione tra papa e vescovi, dicendo che uno diventa membro del corpo
episcopale in forza della consacrazione episcopale E mediante la comunione gerarchica con il papa
e gli altri vescovi. Si noti per altro che questo vale anche per i preti, che sono tali per l’ordinazione
E per la comunione gerarchica con il vescovo. Questi due poli non sono con-cause, come qualcuno
ha accennato, ma la prima (ereditata dal primo millennio) è causa ed origine e la seconda (ereditata
dal secondo millennio e legata all’importanza del papa) è condizione del suo esercizio. Proprio per
questo le ordinazioni degli ortodossi sono valide, perché rispettano la prima, ma non sono in
comunione piena, perché non rispettano la seconda. Si noti che non si usa mai il termine
“giurisdizione”, visto come troppo frainteso e sociologico, ma “gerarchica”.
Questo termine sta ad indicare dunque la pluralità e l’unità della chiesa e che questa comunione non
è un qualcosa di vagamente spirituale, ma una realtà organica. Essa tiene insieme un’ecclesiologia
sacramentale e comunionale ed una giuridica. Certo il Concilio le ha messe insieme, ma non ha
proposto una sintesi creativa, sintesi che spetta fare alla Chiesa con l’aiuto della teologia.
Chiesa nel primo millennio
Il primo millennio non ha libri, ma si deve guardare alla prassi, ed in fondo il punto di inizio può
essere visto nel Credo e in particolare in quello battesimale, quello degli apostoli, in cui c’è la
Chiesa che non è articolo a sé, ma legato al terzo, quello sullo Spirito Santo.
LG si rifà in particolare a tre autori di questo periodo: Ignazio di Antiochia (per cui la Chiesa di
Roma presiede nella carità ed anche perché egli parla di vescovo, presbiteri e diaconi), Cipriano
(nel suo “L’unità della Chiesa” è il primo a parlare della Chiesa come sacramento universale di
salvezza, di cui il simbolo dell’unità e il papa, e parla di tutti i vescovi come vicari di Cristo) ed
Agostino (che vede la Chiesa come Madre che ci nutre con la Parola ed i Sacramenti e della quale
facciamo parte, anche se noi siamo peccatori).
Va notato poi che le questioni ecclesiologiche del primo millennio, in cui Maria ha sempre un posto
speciale, diventano questioni mariologiche del secondo, ed ecco dunque perché la scelta del
Concilio di concludere con il capitolo mariano la LG.
Altro aspetto importante del primo millennio è che la lex orandi stabiliva e guidava la lex credendi
e così si ha un’ecclesiologia battesimale, una eucaristica ed una relativi agli ordini, ma il ministero
era sempre visto come l’impegno a stare attenti alla communio, all’ordine della comunione e la
comunione tra le varie chiesa era strettamente legata all’eucaristia. La grande scolastica vedrà la
chiesa più come un contesto, un mezzo per la grazia, farà un’ecclesiologia più indiretta, teologica,
perché i sacramenti fanno possibile il corpo di Cristo ecclesiale.
Chiesa nel secondo millennio
Tommaso egli vede la Chiesa come opera della grazia per disporre ad essa. La definizione che egli
usa di più è dunque quella di congregatio fidelium, per sottolineare il carattere credente della
Chiesa. Per questo anch’egli sottolinea come essa inizi con Abele il giusto, come grande disegno in
Cristo. I cristiani aderiscono così solo a Dio, aderiscono ai ministri solo perché essi aderiscono a
Cristo: è l’evangelismo tommasiano, in cui molti vedono una preparazione dell’evangelismo
luterano. Tommaso diceva che l’ultimo pezzo del credo significa “Credo nello Spirito Santo che
santifica la Chiesa”. La Trinità è vista dunque come verità di fine e la Chiesa come verità di mezzo.
E poi anche il Catechismo Romano distingue tra “credere la Chiesa” e “credere nella Chiesa” e
anche il CCC. Questo dato può dunque essere inteso come un “credere ecclesialmente”, la Chiesa è
cioè non il testo, ma il contesto in cui invocare Dio ed è per questo che essa è anche pellegrina. La
Chiesa non è mai oggetto di fede e bisogna fare attenzione a non cadere nell’ecclesiocentrismo 2!
Con Tommaso finisce la via antiqua ed inizia la via nova, la via accademica-.moderna, che spesso
diventa via nominalista. Il vantaggio di questa via è che si fonda su ciò che si può verificare e
controllare, le parole, ma il suo difetto è che manca il riferimento all’ortoprassi, alla vita di fede!
Così molti cominciarono a vedere la Chiesa con questi occhi “nuovi” e che Lutero avesse una
concezione nominalista di molti elementi della Chiesa, lo si evince da molti discorsi. Il Concilio di
Trento ed il Vaticano I sono espressione di questo tipo di teologia, anche se cercano di rispondere al
dilagante soggettivismo (personale, sociale, statale, ecclesiale) con l’esaltazione dell’oggettivo, ma
rimanendo sempre sul piano di una teologia formale. Il cambio di rotta del Vaticano II, che recuperò
la via antiqua, e che non fu dogmatico, ma pastorale, fu tale che nel periodo post-conciliare molti
teologi fecero fatica a recepirlo, perché continuavano a leggerlo con categorie formali.
2
Così Giovanni Paolo II mise in guardia alla fine del sinodo dei vescovi del 1985.
Verso una sintesi dei due millenni
I primi tentativi di integrare la via nova e la via antiqua furono di alcuni autori francesi e inglesi, ma
soprattutto della scuola di Tubinga che tenta un recupero della visione patristica (biblica era ancora
troppo presto!). Il movimento di recupero di questa via antiqua si allarga fino ad essere scandito da
tre encicliche di Pio XII: Mystici Corporis (1943) che era un primo tentativo magisteriale di fare
una lettura comunionale della Chiesa; Divino Afflante Spiritu (1943), che permise di tradurre la
Bibbia a partire dagli originali ebraico e greco e non solo dalla Vulgata e ciò portò ad un risveglio
della teologia biblica e quindi della teologia in genere; Mediator Dei (1947), sulla liturgia, di cui si
mette in rilievo il contenuto ecclesiologico. Esse incentivano per altro anche il dialogo ecumenico,
perché portano per all’ascolto del mondo protestante (la seconda) e di quello ortodosso (la terza).
Alla soglia del Concilio quali erano i temi ecclesiologici discussi?
 Il nome/titolo più importante da dare alla Chiesa: Popolo di Dio o Corpo di Cristo? Il primo
era visto più come luterano ed il secondo più cattolico. Il Concilio scelse il primo per
recuperare l’importanza del Battesimo e per evitare il corporativismo a cui il secondo
prestava il fianco. Ratzinger tenterà una conciliazione dei due, dicendo che la Chiesa può
essere Popolo di Dio, perché è Corpo di Cristo (ndr ed è ciò perché Tempio dello Spirito!)
 Chi sono i membri della Chiesa? Solo quelli della Chiesa Cattolica? Il concilio non cita mai
il termine “membra”, ma dice che la pienezza si ha nella Chiesa Cattolica, in cui la Chiesa
sussiste. E anche i non cristiani sono comunque orientati ad essa.
 Va prendendo piede l’idea della sacramentalità della Chiesa, per uscire dalla prima querelle.
Essa è legata alla liturgia, ma allo stesso tempo è più ampia, perché è legata alla comunità, e
mette in luce l’aspetto misterico della Chiesa e l’importanza di approcciarsi ad essa con la
fede. Questa categoria comporta però un cambiamento eccclesiologico non facile.
 Va notato che nel XIX-XX secolo è andata sviluppandosi anche un’ecclesiologia filosofica,
che pastoralmente ha notevole impatto sulla gente. Il primo a farla è il protestante Kant in
La religione entro i limiti della ragione: egli mette in luce come la Chiesa debba essere una
comunità etica, manifestazione dell’invisibile vera Chiesa, che deve essere universale, pura,
libera ed immutabile. Dopo di lui anche Schelling in Filosofia della religione, in cui egli fa
una filosofia della Rivelazione e Kasper fece la sua tesi su ciò. Molti altri tedeschi la
provarono e questo spiega perché l’apologetica tedesca continui a ritenere il trattato sulla
Chiesa quanto mai importante. Altri filosofi non tedeschi furono Blondel e Zubiri.
IL CONCILIO VATICANO II
Lumen Gentium 1-4
La LG comincia dicendo che la Chiesa è veluti sacramentum, perché essa è segno (aspetto
simbolico che si rifà al primo millennio) e strumento (aspetto della grazia che si rifà al secondo
millennio), ed ha una duplice finalità ben precisa: l’unione con Dio e del genere umano. Si tenta
dunque di spiegare la presenza divina nella Chiesa, come ha fatto anche Mediator Dei, che parla
della presenza di Cristo nella comunità, nei sacramenti e nella preghiera; il tutto ripreso da SC 7 che
ci aggiunge anche la presenza nell’annuncio della parola di Dio; il tutto ripreso dalla Mysterium
Fidei di Paolo VI, che ci aggiunge la presenza nelle opere di misericordia. Tutte queste, come Paolo
VI dice bene, sono presenze reali, anche se solo quella eucaristica è sostanziale. Ecco perché veluti.
A questo punto il testo passa a parlare dell’origine della Chiesa e lo stupore è che essa viene fatta
risalire addirittura a Dio, al suo disegno divino dall’inizio del mondo e alla struttura trinitaria di
questo disegno che si è sviluppato e sta sviluppandosi :
@ LG 2 parla del Padre. Si noti che il disegno è salvifico è in considerazione di Cristo
Redentore. Si dice poi che «I credenti in Cristo, li ha voluti chiamare a formare la santa
Chiesa» e c’è un gioco di parole, perché Ekklesia significa letteralmente comunità dei
chiamati. Chiesa che è stata: annunciata in figure (creazione)… preparata (AT) … stabilita
(Gesù) … manifestata (Pentecoste) … avrà glorioso compimento (escatologia). Perciò si
mostra mirabilmente il disegno salvifico di cui la Chiesa è sacramento e che il Concilio fa
cominciare con Adamo, mentre i Padri si limitavano ad Abele e fa terminare alla fine,
quando tutti i giusti «saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale»!
@ LG 3 parla di Cristo. In Cristo ogni uomo è stato scelto fin dalla creazione del mondo e tutto
sarà ricapitolato in Lui. Per compiere la volontà del Padre, Cristo «ha inaugurato in terra il
Regno dei Cieli e ci ha rivelato il mistero di lui, e con la sua obbedienza ha operato la
redenzione». Questo Regno è presente “in mistero” nella Chiesa, e questa formulazione
riesce ad uscire dalle strettezze della teologia pre-conciliare per cui Chiesa e Regno di Dio
erano la stessa cosa, ma anche della teologia protestante per cui Chiesa e Regno di Dio sono
due cose diverse. Questo grazie anche ai lavori fatti da Schnackenburg. La Chiesa patristica,
come disegno universale, sì coincide con il Regno, ma quella concreta ne è sacramento.
L’inizio e la crescita della Chiesa vengono “significati” dal sangue e dall’acqua usciti dal
costato di Cristo (Gv 19,34), a riprova del fatto che la Chiesa è mistero che nasce dal
mistero della croce, da cui nascono i sacramenti “maggiori”: Battesimo ed Eucaristia 3. La
Chiesa è vista dunque come sacramento, perché nasce sacramentalmente! Per altro si fa
riferimento al fatto che con la morte in croce Cristo attira tutti a sé (Gv 12,32): siamo
dunque convocati dal sacrificio della croce ed è per questo che è l’Eucaristia, celebrazione
di questo mistero, a convocare e a formare la Chiesa.
@ LG 4 parla dello Spirito Santo che «dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un
tempio … introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella
comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la
abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo la
fa ringiovanire, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo».
Se si è dunque accusato il Concilio di parlare poco dello Spirito Santo, qui si mette bene in
chiaro come la Chiesa sia inserita all’interno di una dimensione pneumatologica.
@ Alla fine di LG 4 ‘sta la sintesi di questa visione, riprendendo Cipriano, Agostino e san
Giovanni Damasceno: «Così la Chiesa universale si presenta come “un popolo che deriva
la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”», dove Chiesa universale
va intesa non tanto in senso fenomenologico, quanto appunto di disegno divino. L’unità
della Chiesa viene dunque dall’unità della Trinità che emerge dalla storia della salvezza e
così la Chiesa è da sempre e da sempre se ne fa parte in vari modi.
Questa ouverture ha più sottofondi che è bene guardare:
 Patristico. Si noti che la Chiesa universale qui citata va intesa nel senso con cui la introdusse
Gregorio Magno e cioè per mostrare il disegno del Padre, perciò non coincide con la Chiesa
storica, ma con il Regno di Dio! La Chiesa universale, in questo senso ontologico, è così
prioritaria a quelle particolari, mentre nel senso “visibile” la chiesa universale (governata dal
papa) e quella particolare sono sullo stesso livello ed il loro rapporto può essere analogo a
quello delle tri-unità delle persone divine: la Chiesa universale “visibile” esiste infatti solo
nella e a partire dalla comunione delle chiese particolari, anche se sarebbe meglio dire locali.
 Biblico. Gv 19,35 ne è un esempio, in cui l’acqua è vista come elemento di purificazione ed
il sangue come elemento sacrificale. Tromp nel 1932 ha fatto una monografia, De nativitate
ecclesiae, su tutte le citazione biblico-patristiche relative all’ermeneutica simbolica della
Chiesa. Questo aspetto è molto importante, perché la Bibbia più che tramandare la storicità
dei fatti, ne tramanda il senso, come DV 11 ha rimesso in luce, quando dice che «tutto ciò
che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo,
bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza,
fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata
nelle sacre Scritture». Si noti che il tema dell’ispirazione è moderno ed il primo a parlarne è
il Concilio Vaticano I, a seguito dell’impostazione illuminista che esaltava la priorità della
parola in noi. Inizialmente ‘sto tema era però legato all’inerranza, ma poi con la Divino
Che tutti i sacramenti non siano uguali lo ricorda il Concilio di Trento e si faccia ben attenzione che nell’acqua va
visto anche lo Spirito (vedasi opere giovannee) e quindi la Cresima.
3
Afflante Spiritu del 1943 si aprirono degli spiragli sulle traduzioni e sui generi letterari, che
portarono però al dibattito sul fatto se tutto fosse ispirato o se si fossero livelli di ispirazione
e si iniziò a porre molta attenzione all’oggetto formale della Rivelazione, che in DV 11
venne indicato nella salvezza. Strettamente legato a questo tema c’è quello del Canone
Scritturistico, vissuto per dodici secoli e tematizzato però per la prima volta al Concilio di
Firenze. DV 11 dice anche che la Bibbia ha Dio per autore, ma che ha anche dei veri autori,
anche se non prova ad articolare questo rapporto, perché ciò spetta ai teologi.
LG 5 – Regno e fondazione “implicita” della Chiesa
Nei primi quattro numeri non c’è mai la parola “fondazione”, che invece appare qui, parlando del
Regno di Dio, due volte. Questa parola è moderna ed appare nei manuali per parlare dell’origine
della Chiesa con un linguaggio giuridico, ma visto il relativo silenzio del Concilio sul tema, molti
hanno iniziato a dire che non è vero che Cristo ha fondato la Chiesa e anche tra coloro che
parlavano di fondazione, alcuni la vedevano solo come evento post-pasquale e sociologico. Così ora
è bene aprire un altro capitolo, quello della fondazione della Chiesa
LA FONDAZIONE DELLA CHIESA
Documento della CTI del 1985
La commissione teologica internazionale, nel 1985 ha così messo in rilievo proprio il tema della
fondazione, perché se è vero che la Chiesa appare pienamente dopo la Pasqua, che lì appaia in senso
pieno, ciò non vuol dire che non ci siano elementi di Chiesa pre-pasquali (riprendendo un tema caro
a Schnackenburg). La commissione mette così in risalto come la fondazione sia da vedere come un
processo che si sviluppa in particolare in dieci punti: 1. Promesse dell’AT sul popolo di Dio → 2.
Ampio invito che Gesù fa a tutti gli uomini, di convertirsi e di credere in Lui → 3. La chiamata ed
istituzione dei dodici, quale segno del futuro ristabilimento di tutto il Regno → 4. L’imposizione
del nome a Pietro ed il posto precipuo a lui riservato nella cerchia dei discepoli → 5. Il rifiuto di
Gesù da parte di Israele, che porta alla spaccatura tra il popolo giudaico e i discepoli di Gesù → 6.
L’ultima cena e l’istituzione dell’Eucaristia → 7. La ricostituzione della comunità dei discepoli,
infranta dopo la Pasqua, e la loro introduzione nella vita propriamente ecclesiale → 8. L’invio dello
Spirito Santo che della Chiesa una creatura di Dio → 9. La missione ai pagani → 10. La definitiva
rottura tra il “vero Israele” ed il giudaismo. Il documento continua poi dicendo che nessuna tappa
presa da sola può costituire il tutto e che quindi la fondazione della chiesa va intesa come un
processo storico inserito all’interno della storia della rivelazione e così la Chiesa terrena è già essa
stessa un germe del regno di Dio in terra.
Documento della CTI del 1986
Per alcuni non era però ancora chiaro se Gesù voleva o no la Chiesa e così nel 1986 la CTI, in un
documento sull’autocoscienza di Gesù, ha ribadito come Egli abbia voluto riunire con atti concreti
la Chiesa, che verrà costituita definitivamente nella Pasqua/Pentecoste e che quindi Cristo ha voluto
fondare la Chiesa. Il documento cerca poi di spiegare questa tesi dicendo che le parole e le azioni di
Gesù comportavano un’ecclesiologia implicita, analogamente ad una cristologia implicita. Così se
Gesù voleva salvare gli uomini ed il popolo di Dio, la Chiesa è la forma in cui Egli vuol fare ciò,
Chiesa che Egli vede comunque sempre a servizio del Regno di Dio. La predicazione del Regno di
Dio non è infatti solo avvenimento escatologico, ma invito ad entrarvi, a seguire Gesù e i discepoli
sono coloro che vi entrano e così costituiscono la città sul monte, la famiglia di Gesù. Dicendo che è
volontà di Cristo istituire la Chiesa, non si intende attribuire a Lui la volontà espressa di ogni
aspetto della Chiesa, ma che Egli ha voluto donare alla sua comunità, che ha riunito intorno a sé,
una struttura e questo si vede nella chiamata dei dodici, nella comunanza dei discepoli della sua
sorte, nell’ultima cena, nell’invito ad agire in maniera nuova ecc.
Fondazione e “Ecclesiologia implicita”
Ma da dove sorge quest’idea di “ecclesiologia implicita”? Il primo a parlarne senza approfondire
troppo il discorso fu R. Bultmann, ma chi lo ha esposto ed analizzato è stato l’esegeta W. Trilling in
“La luce di Gesù”. Questo concetto è introdotto per risolvere il problema che sorge dicendo che con
la Pasqua c’è pienezza della comprensione, ma ciò non vuol dire che prima non ci sia, anzi! La
Chiesa è così strettamente legata all’annuncio del Regno, ne fa parte, perché se non c’è un popolo
questo regno è pura utopia, puro idealismo. Ecco allora che i binomi diretto/indiretto,
implicito/esplicito si inseriscono nel tema della continuità della Chiesa prima e dopo la Pasqua.
Così Dio con la Chiesa da seguito all’inizio del suo Regno posto con Gesù ed iniziato con
l’annuncio di questo a cui alcuni rispondono, Dio resta così fedele all’inizio della vicenda di Gesù
di Nazareth e ne affida le sorti alla Chiesa, anche se il Regno non coincide con lei, pur essendone lei
il germe. Caratteristiche di questo Regno e quindi della Chiesa sono poi soprattutto tre: il
geocentrismo di Gesù, perché Dio è il centro e non lui; la nuova formulazione dell’amore, perché
peccatori e nemici hanno un ruolo privilegiato; disponibilità al servizio che si vede in Gesù in tutta
la vita e soprattutto nell’ultima cena e nella morte in croce.
La categoria di ecclesiologia implicita aiuta così a mettere in luce la intentio Jesu, che la Chiesa
deve custodire altrettanto gelosamente come le parole e i fatti di Gesù, e che è in fondo l’anima
della Tradizione. La storia in generale infatti non è solo fenomenologica, perché ciò che passa per i
cuori delle persone in un momento preciso è altrettanto (e forse più) importante dei fatti visibili! E
questo discorso si inserisce nella discussione della third quest che più che al Gesù storico presta
attenzione al Gesù reale. Esponenti moderati di questa scuola sono il cattolico Meier, il luterano
Theissen e l’anglicano Wright. Essi mettono in rilievo il giudaismo di Gesù e più che sottolineare il
“nuovo” guardano la “plausibilità storica” del suo operato, a partire dall’immagine globale che è la
croce. Il tema chiave, tanto del parlare su Gesù che sulla Chiesa, è dunque la comprensione della
storia. Questo tema dell’ecclesiologia implicita è però ecumenicamente difficile, anche perché
strettamente legato alla visione sacramentale della Chiesa che i protestanti fanno fatica ad accettare.
È curioso comunque che uno degli autori che ha raccolto dell’eredità di Trilling e che attualmente
abbia composto la miglior monografia sulla Chiesa sia proprio un luterano: J. Roloff. Egli parla
dell’ecclesiologia implicita come di un cammino da vedere nella continuità.
“Pre-figurazione” delle questioni fondative fino al XVIII secolo
Fino al XIV secolo non si è mai parlato direttamente di fondazione, ma nei fatti ne si parlava
simbolicamente e in legame all’acqua e al sangue che escono dal costato di Cristo. Il tema emergerà
poi esplicitamente a partire dalla crisi modernista. E in questi 500 anni? Dal XV secolo in poi due
saranno i punti chiave che in fondo indirettamente trattano del tema: il rapporto Scrittura e
Tradizione, che arriverà fino al Vaticano II in cui fu il tema più difficile da trattare (dopo il Concilio
sarà quello dell’ecclesiologia), e il tema dello Ius Divinum.
Scrittura e Tradizione
Trento si trovò alle strette perché il sola scriptura invocato da Lutero era ben attestato nella
Tradizione, per cui la Scrittura ha ciò che è sostanziale alla fede, contiene la regola di fede (che non
a caso nella liturgia eucaristica si dice dopo l’omelia). Il problema però era che la conoscenza
teologica di Lutero era quella nominalista, la via nova, per cui erano importanti le parole e la
quantità, perciò era una teologia formale che non teneva più conto del soggetto e così il sola
scriptura luterano era in fondo un cercar di recuperare il “per me”, era funzionale più che
ontologico, egli lo intendeva più come sequela che non come contenuti. Comunque Lutero nella sua
Confessio Augustana al n°7 parlava di puritas evangelii ed il Tridentino, nel decreto sui libri sacri e
le tradizioni da accogliere, esordisce dicendo di sapere bene «di dover conservare nella chiesa, una
volta tolti di mezzo gli errori, la stessa purezza del Vangelo» (DH 1501) Oggi si sarebbe forse
messo Rivelazione al posto di Vangelo. Il Concilio poi continua dicendo che questo Vangelo è
«fonte di ogni verità salvifica e di ogni norma morale (morum disciplinae)», perciò la verità è
legata alla sua funzione salvifica (DV 11 lo riprenderà) e riguardo alla “norma morale” il testo
latino fa riferimento non solo alle questioni etico-morali, ma anche vitali quali sacramenti, strutture
ecclesiastiche e vissuto. Proprio per difendere questi ultimi, il Concilio dovette però ricordare che
non solo la Scrittura, ma anche la Tradizione era altrettanto costitutiva ed interpretativa e così ecco
che nel documento finale si disse che il Vangelo è contenuto nella Scrittura E nella Tradizione.
Questo et è quanto mai ambiguo perché può essere interpretato in due modi: partim partim, cioè
una visione parziale; et iterum, cioè una visione equivalente. Dagli atti del Concilio si vede come
questo et sia stato a lungo discusso e che la scelta finale sia stata indirizzata a far capire come
Scrittura e Tradizione siano legate e soprattutto come la prima abbia senso solo all’interno della
seconda. La recezione nella teologia e nella vita cattolica propese però più che altro per la visione
parziale. Il primo che sfondò quest’uniformità e rileggendo l’et nel senso di Trento fu Y. Congar e
andando a vedere gli atti conciliari ci si accorse che aveva ragione.
Così si arrivò al Concilio e al documento sul rapporto Scrittura e Tradizione che inizialmente si
intitolava “De fontibus revelationis” e che propendeva smaccatamente per la visione parziale. Il
documento fu il più travagliato, tanto che nella terza sessione non venne neanche trattato, ma Paolo
VI volle che fosse ripreso e ci mise pure del suo facendo varie proposte. Va detto però che proprio
nel periodo conciliare uscirono tesi su questo tema e la più famosa fu quella di Geiselman, che
asseriva come il Concilio di Trento sostenensse che tutta la verità salvifica era nei libri sacri, per
quanto riguarda la fede ciò che c’è nelle Scritture è materialmente necessario e la Tradizione è
interpretativa; per quanto riguarda invece i costumi, i morum disciplinae, la Scrittura non è invece
materialmente sufficiente e la Tradizione è in questo caso costitutiva. Anche grazie a questa tesi si
abbandonò lo schema delle due fonti e ci si incamminò verso l’attuale schema. DV 9 dice così che
«La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti.
Poiché ambedue, scaturendo dalla stessa sorgente divina, formano in certo qual modo una cosa
sola e tendono allo stesso fine». Va subito notato che non è presente il termine “fonte”, e poi un
elemento tipico del Vaticano II che quasi sempre mette prima la Tradizione. Il testo poi continua
dicendo che «Infatti la sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto è messa per scritto sotto
l’ispirazione dello Spirito Santo» e fin qui, ma ora attenzione «la sacra tradizione invece trasmette
integralmente la parola di Dio» (!!!) così si conclude «accade così che la Chiesa attinga la sua
certezza su tutte le verità rivelate, non dalla sola sacra Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono
essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e con riverenza» e si noti che non si parla
per nulla di contenuti! Contenuti di fede che sono dunque nella Scrittura, ma per la certezza non
basta ed ecco così la Tradizione ed il ruolo del Magistero, sviluppato nel n°10, che ha l’ufficio di
interpretare autenticamente, e che ha servizio della Rivelazione. Al n° 21 si dice così che la
Tradizione e la Scrittura formano la regula fidei, infatti la Scrittura ha senso solo nella Chiesa, tanto
che al n°8 dice «La Chiesa nella sua vita, nella sua dottrina e nel suo culto, perpetua e trasmette a
tutte le generazioni tutto ciò che essa è e crede», perché, per dirla con Mohler, la Chiesa è la
Tradizione vivente. E così ecco che alla fine del n°8 si arriva ad una frase importantissima «È
questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più
profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture. Così Dio,
il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito
Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa
nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la
sua ricchezza». Curioso che anche in questo testo, la frase sottolineata sia una citazione di Lutero,
arricchita però dall’azione dello Spirito Santo e dalla dimensione ecclesiale.
Proprio questa formulazione precisa sul rapporto tra Scrittura e Tradizione, ha fatto sì che nel dopo
Concilio il tema si chetasse. I luterani stessi, oggi dicono che se la Tradizione è questo, allora si può
parlare. La Scrittura è infatti figlia della Chiesa (verrebbe da dire “figlia della tua figlia”
parafrasando Dante) e dunque va interpretata in medio ecclesiae. Il padre Benoit su un numero di
Concilium dell’anno ’65 aggiunse che si dovrebbe parlare anche di ispirazione della Tradizione, che
sarebbe il fondamento per poter dire, come fa il Concilio, che trasmette integralmente la Parola di
Dio; certo si dovrebbe parlare di un’ispirazione “pastorale” diversa da quella delle Scritture, ma che
aiuterebbe a capire che la Scrittura è ispirata perché la Tradizione e la Chiesa lo sono.
Ius divinum
Tema questo già citato da Cicerone, che lo vedeva come fondamento di tutti i diritti. Sarà ripreso in
campo cristiano prima da Ambrogio e poi con più forza da Agostino per cui la Chiesa aveva la sua
base nelle norme che Dio le aveva dato, che sono contenute nella Scrittura e che non si possono
cambiare, lo ius Divinum appunto. Nel XIII secolo ci fu un fiorire del diritto canonico che organizzò
anche il cosiddetto ius ecclesiasticum, che ha senso però solo se fondato su quello divino. Lutero
esasperò questa distinzione per proporre una riforma, per avere una chiesa più evangelica, con il
risultato però che per i luterani, papato e cinque dei sette sacramenti hanno la loro base non nel
diritto divino, ma solo in quello ecclesiastico4. Ora, che Battesimo ed Eucaristia siano i più
importanti anche Tommaso lo diceva, ma un conto è dire che sono i più importanti, un conto è dire
che sono gli unici5! Il Concilio di Trento non usò il termine ius divinum, ma ordinatio divina, che
ha lo stesso senso, ma si pone in scia con il documento su Scrittura e Tradizione. Lo usò invece il
Vaticano I e per i due dogmi papali! Il Vaticano II, proprio parlando del papato, ritornerà invece
alla terminologia tridentina ed è curioso notare che i maggiori tentativi di rilettura teologica sul
papato, in seguito alla Ut unum sint, siano di matrice anglicana! Il Vaticano II per i patriarcati parla
poi di Divina Provvidentia, termine questo interessante, a ribadire come anche nelle cose strutturali,
di ordo ecclesialis, ci sia lo zampino della Divina Provvidenza.
Il tema della fondazione a partire dal XVIII secolo
Reimarus
Il primo autore che trattò teologicamente il tema della fondazione fu il luterano Reimarus (16941768), nell’opera “Sullo scopo di Gesù e dei suoi discepoli” edita però dal suo discepolo Lessing
nel 1778, e lo fa dicendo che Gesù non aveva fondato la Chiesa! Ciò che colpisce di quest’opera è
che è la prima a trattare la questione del Gesù storico in ambito teologico (a livello narrativo c’era
già stata l’opera che il gesuita Girolamo Saverio, nipote di Francesco, aveva fatto per l’imperatore
di Persia). La sua lettura è però critica, sarcastica e sprezzante, perché dice che l’intento di Gesù
era quello di re-instaurare il regno teocratico davidico-politico e in Gesù i discepoli hanno visto
proprio questo, un liberatore terreno. Avendo però egli fallito, dopo la sua morte in croce l’hanno
nascosto, dicendo che era Risorto. Così il Cristianesimo era stato fondato su di un grande inganno!
Ed è stato fondato prendendo dall’apocalittica e rileggendo il messaggio di Gesù in chiave
spiritualista e siccome la fine del mondo, cioè l’instaurazione del regno teocratico davidico-politico,
non era arrivata ecco che la Chiesa va a colmare questa lacuna.
Se l’idea di Reimarus è stata superata sotto il profilo storico-critico, il tema della Chiesa non voluta
da Gesù o come una soluzione di riparazione per il ritardo della parusia, c’è ancora oggi.
Lessing e i modernisti
Nel mondo luterano si ha così un boom di “vite di Gesù” sia devozionali che teologiche di cui
alcune molto critiche, ma essendo tutte scritte da credenti, alla fine presentano sempre un Gesù
affascinante, etico, romantico e questo grazie anche all’influsso kantiano. In campo cattolico
gireranno solo “vite di Gesù” devozionali, perché ai teologi cattolici era proibito studiare sui testi
biblici originali e poi perché era andato sviluppandosi il problema del modernismo. Quest’ultimo
era il tentativo di sottolineare la storicità della verità contro una lettura troppo statica, anche se ciò
ha condotto spesso al relativismo, perché per loro era difficile che una verità storica potesse portare
una verità assoluta, insomma cercava di tenere insieme storia e verità avendo però un piccolo
concetto di cosa la storia fosse … ma d’altronde eravamo agli inizi! Lessing sarà quello che, proprio
riferendosi a Gesù di Nazareth, farà il famoso assioma “non è possibile trovare una verità eterna a
partire da un fatto storico”. Per lui (kantiano fino al midollo), e per i modernisti in casa cattolica, le
verità della storia non portano alle verità di ragione, dalle verità particolari non si può risalire alle
verità universali; non è possibile un assoluto nella storia, perché la storia non ha importanza,
l’importante è la fede e non se una cosa sia accaduta o no ed infatti Kierkegaard rispose a Lessing
A dire il vero Lutero pensava fosse di ius divinum anche la penitenza, ma poi si ricredette, e soprattutto l’episcopato
anche se purtroppo nessun vescovo aveva aderito alla sua Riforma, e ciò era una notfal nello ius divinum (concetto
simile a quello di epicheia in diritto), una situazione di emergenza, concetto che Lefebvre usò anche per ordinare i suoi
vescovi e che Ratzinger ha proposto di usare per parlare del concilio di Basilea. I riformati parlano di questi due ius
ancora oggi e sull’episcopato c’è ancora spaccatura perché c’è una parte più vicina a Lutero e un’altra (maggioritaria) in
linea con i trattati di concordia, che sono più duri di Lutero! Pannenberg, del primo gruppo, ha risollevato la questione.
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Curioso per altro che Tommaso strutturi i sacramenti attorno al principio dell’essere, come Cristo, propter homines, e
dunque danti senso a sette situazioni umane decisive.
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dicendo che uno deve credere anche se è assurdo, perché la fede è dono. Per questa gente non è
importante il “das” cosa sia accaduto, ma il “vi” il come sia accaduto e la riflessione esistenziale su
tutto ciò. In fondo anche Barth è un po’ in scia … Per tutti loro la base della fede non può essere la
storia. Ecco perché Giovanni Paolo II in Fides et Ratio e in Tertio millennio adveniente parla
dell’importanza della storia per il cristianesimo.
Cattolicamente la risposta a Lessing venne da H. U. von Balthasaar nel suo “Teologia della storia”
in cui, prendendo spunto dalla formulazione di Cusano per cui Gesù è l’universale concreto
personale, dice che la storia ha la possibilità di portare l’assoluto.
Si noti che questa difficoltà tra assoluto e storia è molto presente ancora oggi.
La tesi di O. Linton: Chiesa confederazione di credenti
Nel 1932 il luterano O. Linton fa una testi sul punto delle ricerche sulla chiesa primitiva. Egli,
ponendosi in linea con i suoi predecessori ed influenzato dai lavori di Bultmann e von Harnack,
dice che la Chiesa non era stata prevista da Gesù, ma che si era venuta formando come
confederazione di credenti in lui ed in maniera ellenista, argomentando teologicamente ciò che il
modernista Loisy disse con un aforisma “Gesù annunciava il Regno di Dio, ma venne la Chiesa”.
La tesi di Brown o.p.: la Chiesa escatologica
Nel 1942 il domenicano cattolico Brown in un libro aggiorna la situazione sugli studi tenendo
presenti i nuovi lavori di Ieremias, Taylor ecc. Egli dice che la Chiesa era stata prevista da Gesù, ma
come realtà escatologica che si sarebbe realizzata alla fine dei tempi.
Il tema dell’escatologia, cioè della salvezza definitiva, è bello, ma non facile da gestire. A Cristo
sono infatti legate varie pienezze (rivelativi, divinità, storica ecc.) perciò l’escatologia è realizzata
anzitutto in lui e nella sua vicenda, in lui si ha la salvezza definitiva. E dopo di lui? Cosa è il tempo
intermedio tra lui e il suo ritorno? Per Brown la Chiesa di questo momento è una congregazione di
cedenti, ma non sacramentale, in attesa della vera Chiesa.
Trattando dell’escatologia bisogna poi ricordarsi che è un tema tipicamente protestante
sottolinearla, mentre è tipico dei cattolici sottolineare il momento attuale.
Sarà O. Cullman che risolverà la questione formulando il concetto di escatologia realizzata “già e
non ancora”, per cui abbiamo la pienezza operante, ma non ancora totalmente.
Anche chiarito ciò rimane il problema: la Chiesa è solo congregazione, unione umana o è un
sacramento? Questo tempo è solo di attesa o si trova già il Regno di Dio in germe? E il tema è tanto
cruciale che ancora oggi i teologi luterani (ad es. Jungel) non sanno come rispondere, o meglio
dicono che è solo una congregazione ed attaccano il concetto di chiesa-sacramento portato avanti
dalla teologia cattolica e dal Concilio Vaticano II, perché dicono che non tiene conto della parusia.
Il problema è quale sia il loro concetto di sacramento e quale era quello di Lutero: quello
nominalista che punta più sulla visione quantitativa che su quella qualitativa, come invece ha fatto il
Concilio, per cui la Chiesa-sacramento è un tema più vicino alla cristologia che non alla
sacramentaria e che tiene in gran conto il concetto di memoriale, di riattualizzazione nell’attesa
della parusia. Congar infatti dice che è meglio parlare di “Chiesa comunità sacramentale”.
La tesi di Kasemann: Chiesa carismatica “nocciolo” di quella istituzionale
Intorno agli anni ’60 il luterano Kasemann prova una nuova sintesi nella sua tesi su “Il Nuovo
Testamento come canone” in cui chiedendosi come dal Sola Scriptura si arrivi al canone, formula
l’ipotesi di un canone all’interno del canone neo-testamentario. Egli vede infatti nel NT due
ecclesiologie: una carismatica, che si rifà a Mt, Mc e alcune lettere, ed una istituzionale, protocattolica, che si rifà a Lc e alcune lettere, soprattutto le pastorali. Egli vede la Chiesa come fondata
da Gesù, ma nella prima forma ecclesiologica, quella carismatica, che è il canone “nascosto”,
“nucleare”. Egli spiega la compresenza delle due ecclesiologie relativamente al tema dell’attesa: il
cristianesimo primitivo, l’ecclesiologia carismatica, era fortemente segnato dalla parusia, ma non
arrivando ecco il proto-cattolicesimo, il passaggio dalla cristianità primitiva alla Chiesa antica,
passaggio che non è stato contemporaneo in tutte le Chiese. La Chiesa antica, il proto-cattolicesimo
è così per lui il risultato della risposta ad una domanda legata al ritardo della parusia.
Questa tesi è stata sposata anche da molti cattolici, come ad es. Kung e L. Boff.
Viene da chiedersi se abbia senso fare questa contrapposizione tra carisma e istituzione, se il
processo di istituzionalizzazione sia solo una sovrastruttura.
I primi a criticare la posizione di Kasemann sono stati due luterani: Schweitzer nel ’71 e
Konzelmann nell’articolo “carisma” nel Kittel (“Lexicon nel NT”). Quest’ultimo fa notare come la
distinzione carisma/istituzione-ministero non abbia senso perché entrambi vengono dallo Spirito.
Anche H. Shlier, luterano diventato cattolico, nel Mysterium Salutis si pone nella stessa scia
dicendo che la tesi di Kasemann non ha fondamento nel NT. Il cattolico Vanhoye alla voce
“carisma” nel Nuovo Dizionario di Teologia Biblica dice che l’opposizione tra chiesa carismatica e
chiesa istituzionale non ha fondamento nel NT. I commentari delle lettere pastorali oggi dicono che
il modello “familiare” va formandosi nel contatto con le prime eresie e più che di tappe si parla di
un’evoluzione dinamica e complessa già visibile nel NT e a partire dalla vicenda di Gesù. R. Brown
ne “Le Chiese degli apostoli” dice che ci sono accenti diversi che possono essere in tensione tra di
loro, ma non in contraddizione e poi tutto il NT è parola di Dio! Anche le attuali sociologie poi,
dicono che se un carisma non si da un’istituzione, non si organizza, non ha semplicemente futuro.
Se dunque da un lato non si devono fare facili concordismi formali, dall’altra bisogna fare
attenzione quindi alle semplificazioni nel trattare l’argomento!
Le tesi di Schnackenburg e Vogtle: Gesù e gli atti di fondazione della Chiesa
A questo punto è la volta dei cattolici con due grandi studi sul Regno di Dio e che avranno grande
influsso sul Concilio Vaticano II. Per essi la Chiesa non è il Regno di Dio e però si parla anche di
atti di fondazione di Chiesa da parte di Gesù, come la chiamata dei dodici, l’ultima cena, il primato
di Pietro ecc. ma la Chiesa si manifesta pienamente a Pentecoste.
Legame Chiesa e vita di Gesù
Da questi passi è chiaro che il tema della Chiesa e della sua comprensione e della sua fondazione è
sempre legato alla questione della vita di Gesù a cui conviene dare un’occhiata.
La new quest
Bisogna notare che Kasemann era discepolo di Bultmann e che lo critica proprio sulla non necessità
della ricerca del Gesù storico, così nel ’53 esordisce dicendo che «Se non è importante il Gesù
storico, ma solo la riflessione teologica e l’atto di fede, perché i quattro vangeli? È necessario
riprendere a parlare del Gesù della storia» che anche se non è la base della fede (per un luterano) ne
è comunque la narrazione. Egli cerca insomma di trovare un nuovo criterio di ricerca e di autenticità
e lavorando con Jeremias lo conia, dando così inizio alla new quest, cioè alla seconda ripresa
dell’attenzione alla storia di Gesù, dopo la prima ondata romantica.
Il criterio base per questa nuova ricerca era la ricerca delle dissomiglianze/dissimilutidini tra la vita
e le parole di Gesù rispetto a quelle del momento, così si considerava autentica una parola-opera di
Gesù se era dissimile dalla tradizione ebraico-ellenica. Es. le donne testimoni della risurrezione,
l’Abbà nella preghiera, il maestro che chiama i discepoli ecc. Decisiva insomma è la novità di Gesù.
Questo modo di approcciarsi a Gesù fu molto in voga fino al 1985-1990.
La third quest
È poi iniziata una terza ondata di interesse per la vita di Gesù caratterizzata da tre elementi:
 Mentre la new quest era di tipo storico-letterario e centrata sul “soggetto” Gesù, in questa è
di tipo storico-sociologico e centrata sul contesto (sociale, religioso, culturale ecc.) in cui
Gesù è vissuto e in cui i testi scritturistici sono maturati. Questo anche grazie agli studi non
solo di Weber, ma anche di Lukmann e soprattutto di P. Berger (attualmente il più grande
sociologo della religione, protestante), e inoltre agli studi sulla cultura mediterranea di quel
periodo ecc. Tutto insomma molto importante per capire molti testi, facendo attenzione però
che essi non si “mangino” il testo! Come abbiamo già visto per questo tipo di approccio la
fondazione della Chiesa non è un problema, anzi è scontata.
 L’inserimento di Gesù nel giudaismo. Soprattutto l’anglicano Sanders inizierà a parlare di
Gesù come di un giudeo che vuole purificare il giudaismo, più che creare una nuova entità.
L’evento cardine che spiega questa finalità è l’istituzione dei dodici, chiara manifestazione
dell’intento ricostruttore di Gesù. Si mette così in luce anche la matrice giudaica della
Chiesa, intesa come nuovo Israele, nel senso che inizialmente Gesù voleva radunare Israele
(paradigmatico in tal senso il pianto su Gerusalemme in Mt 23,37 e Lc 13,34), ma che in
seguito al rifiuto di questo si manifesta come tale, come l’Israele che ha riconosciuto il
tempo in cui è stato visitato.
 L’attenzione alle fonti non canoniche come i vangeli apocrifi, soprattutto per conoscere
meglio e delineare i contorni della ipotetica fonte Q.
Il vangelo di Tommaso è molto usato, perché essendo una collana di detti è visto come una
tappa verso la formazione della fonte Q, immaginata come una raccolta di logia Jesu. Il
problema è che questo testo ha una visione fortemente gnostica e forse anche per questo non
ebbe gran diffusione nella Chiesa. Gli gnostici ieri come i relativisti oggi, sono infatti molto
pericolosi per il loro strano senso del mistero e per la disconoscenza della storia.
Famoso è anche il vangelo di Giacomo, segnato da una forte visione docetista, ma che è
stato mooolto influente nella storia della pietà mariana e in quella legata al Natale.
Idem vale per il vangelo di Pietro, anch’esso docetista, ma che è famoso perché contiene
l’unico tentativo di descrizione della Risurrezione.
Ci sono infine agrapha, testi non contenuti negli apocrifi, ma negli Atti o nelle
prediche/catechesi dei Padri della Chiesa, e che sono riferiti a Gesù. A dire di Ieremias, che
li ha analizzati uno ad uno, non portano comunque grandi novità.
Esistono però due modi di avvicinarsi alle fonti non canoniche:
o Quello più radicale dello Jesus Seminar, che decide l’autenticità dei testi di Gesù ad
alzata di mano. I fondatori sono Funk e Crossan (che si definisce ex-cattolico).
Questa “scuola” ha la caratteristica di essere a-confessionale, di essere segnata da
una visione fortemente storicista, perché con una visione della storia non aperta alla
trascendenza, e molto apologetica. Il libro di riferimento è The five gospels, in cui
sono riportati i testi dei cinque vangeli (il quinto è quello di Tommaso) il cui
carattere è in rosso se è sicuramente di Gesù, in rosa se si è in dubbio, in nero se non
lo è. Crossan per altro ha anche scritto un libro sulla chiesa primitiva. Va detto che
questa istituzione è mal vista dalle università USA che non vi partecipano.
o Quella più moderata, presente anche tra i cattolici, il cui libro di riferimento è quello
del cattolico J.P. Meier A marginal Jew per sottolineare come Gesù fosse un giudeo
difficilmente inquadrabile. Questa linea è fortemente in difesa dei miracoli di Gesù
(come tutti quelli della third quest) visti come grandi segni provvidenziali per i
contemporanei di Gesù. Altro grande rappresentante è l’anglicano Wright, che si
pone nella scia si Sanders. Il terzo rappresentate di questa scuola è G. Theissen con il
suo Il Gesù Storico, egli è uno specialista degli aspetti sociologici, il primo ad aver
detto che Gesù aveva in fondo generato un movimento intra-giudaico di
rinnovamento, che con la Pasqua aveva ricevuto una forza nuova. Egli sottolinea che
la plausibilità degli eventi cristologici va considerata nell’ambito di un’immagine
globale, immagine che per lui è la morte è in croce. Tutto ciò che dei detti e
dell’operato di Gesù, spiega e porta alla croce è dunque plausibile.
Entrambe le posizioni non hanno comunque problemi ad affermare che la Chiesa è stata
creata/fondata da Gesù con un intento di rinnovare, restaurare il popolo di Dio, Israele e che
possiede dunque una ecclesiologia implicita, che diventa esplicita quando c’è la scissione
dal giudaismo ufficiale.
Gli Atti degli apostoli
Per continuare è importante vedere come approcciarsi a questo testo così importante e che in fondo
è una prima “ecclesiologia”. Per Bultmann essi sono solo un resoconto simbolico, senza alcun
interesse storico e molti tedeschi la pensano così, anche tra i cattolici, tanto che M. Hengel ha detto
che non si può continuare così e bisogna cercare di rivalutarli.
Un tentativo di approccio diverso viene soprattutto dal mondo anglosassone, più favorevole alla
storicità degli Atti. In particolare importante è l’apporto di D. Marguerat, nel suo “La prima storia
del cristianesimo: gli Atti degli Apostoli”. Lui sottolinea che il problema degli Atti è capirne il
genere letterario e comprendere dunque in che senso essi intendano la parola “storia”. Della Bibbia
si sottolinea spesso la radice giudaica, essena ecc. radice però poco riscontrabile negli Atti, il cui
testo è invece molto più vicino al mondo ellenico (come per altro anche i libri dei Maccabei, testi
scritti in greco). Bisogna dunque vedere come il mondo ellenico intenda la storia ed un grande aiuto
ci viene dal lavoro di Luciano di Samosata, scrittore greco pagano che nel 166 d.C.
(successivamente agli Atti dunque, ma di poco) edita il suo “Come si deve scrivere la storia”. Egli
indica una serie di punti importanti:
 Essa deve essere stesa a mo’ di racconto, in cui è importante il moralismo, il far sì che esso
aiuti ad orientare la vita, e quindi deve essere una storia esemplare.
 Questa storia deve servire poi a spiegare la propria identità di popolo (cf le saghe).
 Ci devono essere dei discorsi, in cui più che la veracità è importante il senso.
 Questa storia deve poi sottolineare l’intervento di Dio nella storia.
La storiografia ellenica è dunque funzionale e non neutrale e guardando a questi punti si vede come
gli Atti non ne siano tanto distanti. Per Marguerat gli Atti sono così una “storia confessante” della
prima chiesa e per la Chiesa nascente. È senza senso creare dunque spaccature tra Paolo e gli Atti
come faceva Bultmann, perché sono generi letterari diversi, anche se poi non più di tanto, quando si
vanno a guardare i racconti di vocazione di Paolo.
Molto importante nell’approccio alla storia è poi l’ermeneutica e soprattutto quella di Ricoeur, che
ha sottolineato molto le differenze del racconto storico. Per lui la storia dei sinottici e degli Atti è
infatti poetica-narrativa e non storiografica, ma d’altronde la Rivelazione si può narrare solo così,
solo poeticamente e simbolicamente e non concettualmente, proprio perché la storia religiosa ha
senso solo entro il limite dei simboli, che hanno una forte radicalità poetica. E la Bibbia non ha caso
ha molto di questo linguaggio, di simboli carichi di storia e di realtà, perciò è molto importante
accostarsi ad essa con una lettura poetico-narrativa. Certo questo tipo di lettura esige che chi legge
sia interpellato da essa, non esiste una lettura neutra: un testo poetico o crea sintonia o non è
leggibile. L’anno decisivo per il suo ingresso in teologia è il 1971, anno in cui Castelli lo invita ad
uno dei suoi colloqui interdisciplinari (resoconto sulla rivista “archivio di filosofia”). Lì egli fece
una relazione sulla testimonianza, introducendo una triplice distinzione: testimonianza pratica (ho
visto ecc.); testimonianza giudiziale (“giuro …”); testimonianza etico-antropologica, come autotestimonianza. Egli ha poi approfondito soprattutto quest’ultimo aspetto, perché quando uno dice in
cosa crede, si espone, raccontando si racconta e questo tipo di testimonianza per il cristianesimo è
quanto mai importante. Proprio per questo la forma massima di auto-testimonianza è il martirio, che
mostra come essa abbia un valore metafisico profondo, che ne fa un luogo teologico. Questa sua
riflessione ci aiuta a capire anche l’ultimo Ricoeur e le sue riflessioni sulla distinzione tra
informazione e memoriale, che è un far presente ciò che si racconta, e così dice che la Bibbia è un
memoriale più che un resoconto informativo, è un racconto per suscitare la fede, la sequela Christi.
Proprio l’importante apporto filosofico di Ricoeur mette in luce come ciò che manchi oggi alla
teologia sia una filosofia solida e globale. Fino ad ora infatti la teologia si era ben trovata con il
platonismo, l’aristotelismo, l’illuminismo e il romanticismo, perché erano sistemi globali, completi,
ma oggi la filosofia che ci si trova davanti è frammentaria ed è proprio vero che i “buchi” aiutano
come sostiene Vattimo? Questo problema si riflette anche pastoralmente, perché non si sa più come
trasmettere la fede. Oggi viviamo nella cultura del Carpe Diem, del tutto subito, che è un elemento
veramente nuovo e disarmante, come affrontarlo? Il professore sottolinea due elementi importanti in
essa, su cui investire: la novità (come far sperimentare il Vangelo come buona novità?) e la gratuità
(su cui il Vangelo tanto insiste!). Unita a questa c’è la globalizzazione, che ha tanti vantaggi, ma
che ha il grande difetto di misconoscere i luoghi concreti, così importanti per la fede.
Legame tra “quelli di Gesù” e Israele
Due sono dunque gli elementi-chiave nel rapporto tra Chiesa e Israele:
 Il raduno escatologico operato da Gesù aveva di mira tutto Israele, non solo il “resto” che
era la Chiesa, quindi aveva di mira il rinnovo interiore per tutti i giudei.

La Chiesa era in fondo un movimento intra-giudaico, il cui scopo era la restaurazione
dell’unico popolo di Dio.
Per Mt è chiaro che la nuova realtà dopo la Pasqua sarà il vero Israele, non a caso Gesù è visto
come il nuovo Mosè con i suoi cinque discorsi (penta-teuco) il cui primo è la magna charta del
nuovo popolo: le beatitudini. E solo perché Israele non capisce ecco che la Chiesa che emerge come
il nuovo-vero Israele. Mt è anche l’unico che cita il nome “Chiesa” (16,18) e non a caso in
riferimento al futuro. Chiesa che per altro è un termine che si trova nella traduzione greca dei LXX
ed usato per indicare l’assemblea dei convocati. Mt fa dunque una critica molto forte ai giudei, ma
lui sa che sono loro ad avere per primi ricevuto la promessa che non è stata cancellata neanche dal
loro rifiuto e che l’universalità dell’annuncio di Gesù è tramite i giudei6.
D’altronde Gesù predicava il Regno di Dio, ma un regno senza popolo non ha semplicemente
senso! E il popolo a cui si rivolge è anzitutto Israele e poi, tramite lui al mondo: paradigmatico è Mt
8,11ss che in fondo realizza la promessa di Dio ad Abramo in Gn 12. Ma cosa accade nella storia di
Gesù? Il rifiuto costante che arriva fino alla croce. In quest’ottica l’istituzione dei 12 e l’ultima cena
sono molto importanti, soprattutto l’ultima cena, perché alleanza definitiva ed escatologica: se Mc e
Mt ne sottolineano il carattere di Alleanza, Lc e Paolo ne sottolineano il carattere di novità.
“Alleanza” che è legata alla formazione ufficiale di un popolo, “novità” che richiama la novità di
Ezechiele e che sta nell’interiorità e che si manifesterà nel non legame ad un popolo preciso.
Il tema per altro era già stato messo a fuoco da Paolo in Rm 9-11 e se Mt vede la salvezza
universale tramite i giudei, Lc invece mostra come il Vangelo, data la sua portata universale,
naturalmente passi da Gerusalemme a Roma, centro dell’universalità di allora. Certo nel Vangelo
tutto va verso Gerusalemme che è indicato come il centro della salvezza, visto il rifiuto essa cade ed
ecco allora che negli Atti, storia della Chiesa universale, l’attenzione “scivola” spontaneamente
verso Roma a mostrare la struttura universale della Chiesa.
Ma la raccolta operata da Gesù cosa ha portato? E quale legame si può istituire tra movimento
gessano e Chiesa post-pasquale? Almeno quattro sono i segni di continuità:
o Dimensione comunitaria. Se essa è già presente nella dimensione comunitaria del Regno e
nel seminario itinerante dei 12, essa dopo la Pasqua diventa fondamentale. Comunitarietà
che però non è un pio sentimento abbandonato al caso, ma fondato su due elementi
fondamentali, due pilastri, due principi che hanno il compito di fare un memoriale della
presenza viva di Gesù e di legare a Lui: professione di fede e Battesimo.
o Pasto comune. Inizialmente avveniva di sabato sera, quando i cristiani erano ancora giudei e
legati alla vita giudaica, la novità cristiana era infatti che la Torah era Cristo, Lui era il
nuovo Mosè, il nuovo interprete. Dopo queste letture c’era dunque il pasto che era un
elemento tipico giudeo-pasquale, ma memoriale vivo del mistero della croce. Ecco perché
Paolo parla tanto di Corpo di Cristo eucaristico e del suo legame con il corpo ecclesiale,
perché la partecipazione al pasto non era solo formale, ma indicava una comunione profonda
con Gesù e con la comunità cristiana, comunione sacramentale e proprio per questo anche
oggi il tema della inter-comunione è un tema delicato e difficile da affrontare.
o Segno di salvezza per tutti. Qui si inserisce il difficile tema della spaccatura tra giudei e
cristiani, che più che legata alla figura di Gesù, è stata legata all’universalità della “pretesa”
cristiana, universalità che era legata alla novità della sua alleanza, che era del cuore, il posto
dove avveniva l’unica vera circoncisione.
o Ruolo dei Dodici, che prima della Pasqua è segno di raccolta e in cui Pietro ha un posto di
preminenza. Dopo Pasqua, quando gli apostoli vanno sparendo, ecco comparire i
“successori” degli apostoli, intesi nel senso di capi di comunità e custodi della Rivelazione.
Il legame tra Dodici e successori è molto importante ed è una continuità strutturale.
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E non è un caso che se la Santa Sede abbia sempre difeso innanzitutto i palestinesi, nel dialogo teologico abbia inserito
quello con gli ebrei all’interno della commissione per il dialogo con i cristiani e non con le altre religioni!
Chiesa apostolica come norma e fondamento di tutti i tempi
Ma perché questa normatività e fondamentalità? E come queste sono state vissute? Non esiste un
dogma in materia, ma è un tema che la fede della Chiesa ha vissuto da sempre.
Testo base è Col 2,20, che parla della Chiesa fondata sugli apostoli. È dunque una tradizione antica
vedere il legame all’apostolicità come fedeltà a Cristo. Il primo a parlare di apostolicità è Ireneo,
che così è il primo testimone della spaccatura tra tappa apostolica e patristica. Tutto questo fu
sistematizzato da Tommaso e Bonaventura. Tommaso parlandone, e riferendosi a Gal 4,4, diceva
che la pienezza è Cristo e gli apostoli sono coloro che han conosciuto più pienamente i misteri della
fede, proprio per questo tutta la fede ecclesiastica si fonda sulla fede degli apostoli.
Un primo problema avviene con i dogmi mariani, perché ci si chiede se essi siano patrimonio della
chiesa primitiva. La cosa si complica ancor più con la crisi modernista, movimento di fine XIX
secolo, che tentava una sintesi storica ed una lettura storica, scadendo però nel relativismo
dogmatico che contestava l’evoluzione omogenea dei dogmi. Essi non sono però una nuova
rivelazione, anche se detti con parole culturalmente e teologicamente nuove. Tutto ciò ha influito
molto la stesura di DV per quanto riguarda il rapporto tra Scrittura e Chiesa.
Cosa accade però in questi anni sul tema apostolicità?
- Si è mostrato come l’apostolicità sia un concetto post-pasquale e fondante per la chiesa
- I vescovi sono “successori” degli apostoli e come tali punto centrale delle chiese locali.
L’apostolicità non è dunque tema del passato, ma elemento presente oggi e a cui partecipano
anche preti e diaconi (per il sacerdozio i primi e per il servizio i secondi).
- Il NT non è opera di una sola generazione, perché il suo documento, la 2 Pt, è del 120-150
d.C. Questa pluralità generazionale è però importante perché ci mostra già un’intraevoluzione teologica al NT che è tutto parola di Dio! La discussione oggi verte sul fatto se i
vangeli siano iniziati ad essere scritti dopo la caduta del tempio o prima.
Detto questo il periodo apostolico può essere diviso in due tappe, come propose la CTI (anche se ci
sono altre proposte di suddivisione): quella apostolica e quella post-apostolica. Per la ricostruzione
storica grande è l’assenza di materiale proveniente dall’est, dove la prima chiesa si estese, che ci
aiuterebbe a capire molte cose, ma li turchi hanno spazzato tutto. Le visioni sociologiche che
guardano a questo periodo sono principalmente due: funzionalista (conservatrice) e marxista.
Attualmente è più diffusa la prima, ed ha permesso di guardare gli Atti degli Apostoli in visione più
storica, nel senso ellenico del termine. Storicità che si pone, secondo la proposta del luterano
Hengel, nella linea del fidens quaerens veritatem historicam, e che come tale non è tesa a
dimostrare qualcosa, ma a mostrare la plausibilità di un evento, di modo che le conclusioni a cui si
giunge, non siano formalmente contraddicibili. In questo senso la ricerca storica si muove seguendo
tre criteri: critico-letterario, sociologico e critico-storico.
Tappa apostolica
In questa tappa la presenza di Pietro, Giacomo e Paolo è molto significativa.
Il testo cardine per la caratterizzazione della comunità è At 2,42: ascolto dell’insegnamento degli
apostoli, la koinonia, la frazione del pane e le preghiere; senso di timore, condividere tutto,
frequentazione del tempio a cui seguivano pasti in comune.
Tra i nomi con cui questa comunità è chiamata va affermandosi “chiesa” e forte è il senso della
fraternità che per Vaticano II è il segno dell’unione con Dio e con tutti gli uomini.
In questa tappa comincia il problema degli “stranieri – non ebrei” che chiedono di entrare nella
chiesa ed ecco il “concilio” di Gerusalemme con Giacomo e Paolo ai due lati opposti e Pietro in
mezzo a mediare. Questa riunione è la base di tutta la sinodalità/conciliarità della chiesa, tanto che
la prima Scolastica ha sempre visto i concili come avvenimenti ispirati. La categoria “sacramento”
aiuta molto in questo senso, perché sta a dire che ogni atto di chiesa ha un suo grado di ispirazione,
non è solo un atto “societario”, certo cosa questo voglio dire e cosa implica è allo studio.
Curiosa una cosa … Pietro non è mai stato vescovo di Gerusalemme, perché il responsabile era
Giacomo e questo ci deve far pensare e non poco. In fondo gli apostoli a Gerusalemme ci sono
sempre stati un po’ stretti: erano galilei loro; lì la situazione era decisamente difficile; Roma era un
centro universale, molto più in sintonia con la portata universalistica del nuovo movimento
giudaico, anche se esso era decisamente più esteso in Asia minore. Detto questo Gerusalemme è e
resta una chiesa importante, tanto che Paolo organizza per lei la colletta.
Intermezzo sul passo di At 2,42
Molto importante per l’interpretazione di un testo è la sua storia degli effetti, la sua
virkungeschichte. Il testo di At 2,42 è sempre stato legato ad una certa nostalgia delle origini, ed è
forte la tensione storicità (a tal proposito curioso come, nelle forme, la prima comunità cristiana
abbia molto in comune con la comunità di Qumran) ed idealità (oggi ad esempio sta riprendendo
piede anche il discorso di un “comunismo cristiano”, nel senso etimologico del termine), tanto che
almeno tre sono state le linee interpretative della tradizione ecclesiale: ecclesiologica (schema
parola/fede, liturgia/sacramenti e comunione), spirituale-individualista (come stare con Dio tenendo
conto della Chiesa) e fraternità monastica. Riguardo alla prima, Tommaso aveva mostrato come i
primi due fossero i fondamenti e come il terzo fosse a servizio, ciò fu mal interpretato da Lutero che
minò, nella sua visibilità, il terzo aspetto (la vera chiesa è lì dove si annuncia il vangelo puramente e
si amministrano rettamente i sacramenti) e i protestanti poi, anche il secondo, e anche per questo
Bellarmino li sistematizzò nella sua celebre formula. Certo poi che la Tradizione insiste molto sulla
testimonianza da rendere nel servizio, ma non è la mancanza di questa ad invalidarlo: la chiesa non
è fatta di santi, ma di persone che vogliono esserlo e che sono in cammino. Tra i tre elementi c’è
quindi in fondo una pericoresi, un’ermeneutica circolare, l’uno sta in piedi grazie all’altro.
Pericoresi che sta in piedi perché il servizio stesso è una realtà sacramentale, e quindi è una realtà
ontologico-relazionale-funzionale.
Tappa post-apostolica
Dopo il 66 d.C. inizia la seconda tappa in cui inizia la cosiddetta istituzionalizzazione che va però
vista anche bene, in senso positivo! Pure questa fase fa infatti parte del NT, del periodo apostolico,
è guidata dallo Spirito Santo e i testi in essa prodotti sono Parola di Dio! La storia va infatti vista
con gli occhi della fede e così anche quella interna allo stesso NT.
La transizione che qui emerge come rottura, soprattutto quella verso l’universalità, è già cominciata
prima. Elementi che la facilita è la presa di Gerusalemme, unita al conseguente sinodo giudaico di
Pella, in cui si stabilisce il canone ebraico (sono accettati solo i testi scritti in ebraico, non a testi in
greco ed aramaico) e in cui si comincia a strutturare la Mishnah, testo di commenti della Torah e di
tradizioni pratiche, che ha in fondo una funzione simile a quella del NT cristiano, anche se per gli
ebrei non ha la stessa importanza. Ciò avviene parallelamente nella chiesa primitiva che però:
riconosce la versione greca della Bibbia, quella dei LXX (che contiene una miglior base per
l’economia della Nuova Alleanza) e cominciano (in maniera più forte) a girare i testi che andranno
a formare il NT. Tutto ciò aiuta questa grande transizione verso i gentili e l’autonomia della chiesa
dal mondo giudaico. In fondo il periodo è ben scandito dalla cronologia delle lettere paoline:
 Le grandi lettere di Paolo: 1 (e 2?) Tess, 1 e 2 Cor, Rom e Gal. Siamo in pieno momento
kerygmatico, quando avviene anche l’istituzione/fondazione delle varie chiese, la creazione
delle prime comunità. La chiesa è vista ancora come una setta giudaica, tanto che formano
un gruppo a sé stante nelle sinagoghe e si sottolinea molto l’identità, come è tipico delle
nuove realtà sociali. L’identità chiara di questa nuova realtà è Cristo. Il ruolo di padre è qui
quello di essere padre e fondatore. Si parla poco di altri ministeri, ma molto di carismi,
anche perché c’è ancora l’apostolo presente, che per altro è inteso in senso itinerante: il
punto di riferimento è così Paolo.
 Alla morte di Paolo ecco le lettere ai Colossesi, Filippesi ed Efesini, dette della “prigionia” o
deutero-paoline. Qui c’è il momento chiave del processo di istituzionalizzazione, perché si
pensa a stabilizzare le comunità già esistenti, sulla base del modello familiare. Siccome poi
il momento più importante della famiglia è il ritrovarsi a tavola a mangiare, ecco l’emergere
anche la centralità dell’Eucaristia. Come poi in famiglia è il nonno a presiedere la famiglia e
i pasti e che è il riferimento alla tradizione famigliare, ecco l’importanza degli anzianipresbiteri-episcopi. Anche per questo la patristica parlerà molto della famiglia come piccola
chiesa, come chiesa domestica, non per un vago sentimentalismo, ma perché lo strutturarsi
della chiesa avviene prendendo a modello la struttura famigliare. Ed ecco quindi anche i
riferimenti alla vita famigliare in queste lettere.
 Vengono lentamente a mancare le figure itineranti che tengono unite la chiesa ed iniziano le
prime eresie ed ecco allora la terza tappa, quella di protezione di ciò che Paolo ha fondato e
lasciato in custodia. La visione famigliare cede lentamente il passo a quella famigliare ed
ecco così la ministerializzazione dei presbiteri (citati sempre al plurale) e dei diaconi,
incaricati per la organizzazione della carità. Emerge poi l’episcopo (citato sempre al
singolare), un ministro che ha l’incarico di sorvegliare il gregge e che tiene i contatti con le
altre comunità: è aperto il dibattito se fosse semplicemente un presbitero con delega o
qualcos’altro. Se l’apostolo è il fondatore di chiese, l’episcopo è suo “successore” nel senso
di custodire e supervisionare.
Questa tripartizione, con tutte le sfumature che ci vogliono da un passaggio all’altro, aiutano a
capire i passaggi e come siano per intero normativi.
Temi paralleli
La successione apostolica
Tenendo conto della saggia affermazione di LG 28, che dice che il tema affonda le radici
nell’antichità, tre sono le testimonianze a proposito della strutturazione del ministero ordinato:
 Prima lettera di Clemente ai Corinzi (96-98 d.c), in cui parla della successione apostolica
come di vescovi e diaconi istituiti in ogni città dagli apostoli itineranti.
 Ignazio d’Antiochia (110 d.C) parla dei tre gradi del ministero, della chiesa locale e dice che
la chiesa di Roma presiede nella carità. Per carità spesso intende Chiesa.
 Ireneo di Lione (130-200 d.C) parla di “tradizione secondo successione” per quanto riguarda
i vescovi (successione personale) e la lega alla trasmissione della fede. Anche lui cita la
Chiesa di Roma che vede come potentior principalitas.
Questa testimonianza sono importanti, anche se non biblica, e dicono qualcosa di importante ed
essenziale per la fondazione della Chiesa: il ministero ordinato è per successione, è triplice e
strettamente legato alla tradizione della fede. Questo va detto oggi più che mai, in cui la visibilità
della chiesa è importante e pure la visione istituzionale che ha il grande compito di socializzare la
dimensione comunitaria, di renderla accessibile a tutti. Certo questo come segno e con la sua
complessa realtà, perché non si deve mai dimenticare che la chiesa, come l’incarnazione, è
paradosso, tanto più che per lei non si può parlare di unione ipostatica, ma con questa ha comunque
una «non debole analogia» (LG 8), perché come l’umanità è legata al Verbo incarnato, così anche
l’umanità della Chiesa è legata, in qualche modo, allo Spirito Santo. Di questo, soprattutto della
realtà sacramentale di papa e vescovi, dobbiamo ricordarcene soprattutto nei problemi. La Chiesa è
santa perché ha doni santi e peccatrice, perché siamo tutti peccatori.
Il canone
Attuale più che mai è la correlazione tra chiesa primitiva e formazione del Nuovo Testamento ed in
particolare del Canone. Quando è emersa la coscienza che il Nuovo Testamento era la seconda parte
della Scrittura e costitutiva della Chiesa? Il discorso è difficile, ma di sicuro si deve tener conto
della Regula Fidei, già citata in At 8,37 «Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio», oppure le altre
presenti nelle lettere come «Gesù è il Cristo» o «Gesù è il Signore». Essa, che è diventata poi
Simbolo degli apostoli, è dunque fortemente cristologica e deve aver giocato un ruolo non
indifferente nel discernimento dei testi canonici.
I primi documenti che parlano del canone con la struttura attuale sono: il codice muratoriano, per
cui Cristo è il principio della Scrittura; Atanasio (367) in Oriente; il sinodo di Cartagine (397) in
Occidente. Non può non colpire come soprattutto gli ultimi due siano poco dopo il Concilio di
Nicea, concilio decisamente cristologico appunto!
Per approfondire
Guardare anzitutto la sterminate note bibliografiche del libro. Tra le tante:
@ Sulla lacerazione tra giudei e cristiani: Marguerat e Dunn
@ Sul primo cristianesimo: Gnilka (“I primi cristiani”), Penna (“Le origini del cristianesimo”),
Thyssen (“La religione dei primi cristiani”), Context group.
@ Sulla chiesa primitiva come famiglia Helermann
@ Letture sociologiche: Crossan (il più distruttivo); Malina (uso moderato della sociologia
funzionale) e Elliot.
È bene chiudere come Thyssen chiude il libro dove paragona l’uso di una chiesa all’approccio al
suo lavoro di ecclesiologia: ci entri chi vuole, a lui spiegare ogni elemento dell’edificio, ricordando
però che tutto ciò è per pregare ed utilizzato anzi tutto per questo.