All’interno dell’atomo In questa lezione impareremo a: • descrivere la natura delle particelle elementari compongono l’atomo • comparare i modelli atomici di Thomson e Rutherford • identificare gli elementi mediante il numero atomico Cominciamo con un «banale» esperimento! che Per descrivere una parola che Questo perché gli oggetti di elettrizzano e come pagliuzze questi fenomeni utilizziamo il termine elettricità, deriva dal greco elektron e significa «ambra». già dal VI secolo a.C. i Greci avevano scoperto che ambra, se strofinati con un panno di lana, si acquistavano la capacità di attrarre corpi leggeri o pezzi di carta. Gli atomi della materia sono dotati di una proprietà chiamata carica elettrica che può essere trasferita da un oggetto all’altro attraverso lo strofinio. Inoltre, esistono due tipi di cariche elettriche: Due corpi elettricamente carichi si: • respingono se le cariche da essi possedute sono dello stesso tipo (entrambe positive o entrambe negative); • attraggono se le cariche sono opposte. Attraverso esperimenti condotti da Thomson e Goldstein alla fine dell’800 si dimostrò l’esistenza di due tipi di particelle elementari di natura elettrica che sono contenute all’interno dell’atomo e pertanto vengono chiamate particelle subatomiche: protone e elettrone. Si scoprì, pertanto, che l’atomo non è la particella ultima di cui è costituita la materia e che dagli e- dipendono le proprietà chimiche degli elementi. Più tardi Chadwick scoprì l’esistenza della terza particella atomica: il neutrone. Poiché le particelle subatomiche hanno la stessa natura in tutti gli atomi, questi si distingueranno tra loro unicamente per il loro numero. I MODELLI ATOMICI Dopo aver stabilito che un qualsiasi atomo è costituito sempre dalle stesse tre particelle elementari, gli studiosi cercarono di scoprire in che modo queste particelle fossero distribuite all’interno dell’atomo. Nel corso del 1900 vennero proposti una serie di modelli atomici (anche sbagliati) che hanno poi portato a quello attuale. In realtà già nel 1808 Dalton propose un semplice modello a sfera in grado di spiegare le leggi ponderali della chimica, ma non i fenomeni elettrici. 1903 – Modello atomico di Thomson (fisico britannico) Propone un modello di atomo che prevede un’omogenea distribuzione di particelle positive e negative, sparse come le uvette nel panettone (modello atomico “a panettone” o “plum pudding model”, dal dolce natalizio inglese con le uvette. 1913 – Modello atomico di Rutherford (fisico neozelandese) Propone il modello planetario sulla base di un esperimento condotto 2 anni prima che, interpretato in maniera geniale, lo portò a comprendere che l’atomo era uno spazio quasi del tutto vuoto! “È come sparare un proiettile da 14 pollici contro un foglio di carta e vederselo tornare indietro” 1913 – Modello atomico di Rutherford (fisico neozelandese) L’esperimento consisteva nel bombardare una sottile lamina di oro con particelle α (costituite da 2 p+ e 2 n0 e dotate perciò di carica positiva 2+), prodotte da un materiale radioattivo. Le particelle α erano dotate di un’energia tale da oltrepassare la lamina, ma l’esperimento dimostrò il contrario: la maggior parte delle particelle emesse dalla sorgente radioattiva attraversava la lamina di oro ma, con grande sorpresa dello scienziato, alcune particelle venivano deviate e altre ancora respinte dalla lamina. La maggior parte delle particelle alfa aveva attraversato la lamina d’oro perché queste colpivano una parte «vuota» molto grande e caratterizzata dalla presenza di particelle con carica opposta (gli e-). Al contrario, quelle poche particelle α deviante o respinte, colpivano una regione molto densa, il nucleo, molto più piccolo (circa 100.000 volte) dell’atomo stesso e costituita da particelle con carica uguale (p+). “È come sparare un proiettile da 14 pollici contro un foglio di carta e vederselo tornare indietro” Il modello planetario Queste osservazioni portarono Rutherford a proporre un modello di atomo diverso rispetto a quello di Thomson: • l’atomo era composto da un nucleo centrale in cui erano concentrate tutta la carica positiva e la massa dell’atomo; • gli elettroni occupavano lo spazio vuoto intorno al nucleo; • il diametro del nucleo doveva essere centomila volte più piccolo (10-15 m) del diametro dell’atomo (10-10 m); • gli elettroni, carichi negativamente, ruotavano intorno al nucleo come pianeti intorno al Sole, ed erano in numero tale da bilanciare esattamente la carica positiva del nucleo. Limiti del modello di Rutherford Presentava una forte contraddizione rispetto alla fisica classica secondo la quale una particella carica in movimento perde continuamente energia per cui gli elettroni, essendo cariche elettriche in movimento, avrebbero dovuto collassare (precipitare) sul nucleo distruggendo quindi la materia, eventualità che nella realtà non si verifica. Questa contraddizione venne risolta da Bohr (fisico danese) che si avvalse delle teorie proposte agli inizi del ‘900 da Planck e Einstein sulla quantizzazione dell’energia secondo i quali l’energia non varia in modo continuo potendo assumere qualsiasi valore, ma in modo discontinuo secondo valori quantizzati. Bohr suggerì quindi che gli e- ruotano attorno al nucleo non ad una distanza qualsiasi, ma su orbite che si trovano a distanze ben definite di energia chiamate livelli energetici. Il modello atomico di Bohr si basa sui seguenti punti: 1. l’elettrone percorre solo determinate orbite circolari quantizzate, nelle quali ruota senza assorbire né emettere energia (orbite stazionarie); 2. se all’atomo viene somministrata energia (riscaldamento, scarica elettrica) l’elettrone assorbe energia e passa dallo stato fondamentale ad uno stato eccitato cioè da un’orbita ad energia minore ad un’orbita ad energia maggiore. 3. se l’elettrone torna allo stato fondamentale emette una quantità di energia pari a quella necessaria per il salto energetico l’energia emessa o assorbita, è uguale alla differenza di energia (ΔΕ) delle due orbite. Ogni orbita appartiene ad un livello energetico indicato con la lettera n chiamato numero quantico principale. IL NUCLEO ATOMICO L’identità di ogni elemento va ricercata nel nucleo infatti ogni atomo contiene un caratteristico numero di p+ che equivale sempre al numero di e- per cui la materia risulta elettricamente neutra. Questo prende il nome di Numero atomico Z ed è il n° di identificazione dell’atomo stesso. Nonostante le sue dimensioni, nel nucleo è concentrata la maggior parte della massa dell’atomo (circa il 99,98%). Il nucleo oltre ai p+ contiene anche i n0 che insieme costituiscono i nucleoni e la loro somma prende il nome di Numero di massa A. LA NOTAZIONE ATOMICA Z = p+ (= e-) A = p+ + n 0 n0 = A - Z La maggior parte degli elementi presentano un numero di n0 variabile pertanto è possibile avere atomi dello stesso elemento, ma che differiscono tra loro esclusivamente per il numero dei n0 quindi questi elementi avranno lo stesso numero atomico Z, ma differente numero di massa A. Questi elementi prendono il nome di isotopi e differiscono tra loro per le proprietà fisiche, ma non per quelle chimiche, per questo possono essere rappresentati con lo stesso simbolo. Esempio il 99,9% dell’H presente si trova sotto forma di idrogeno, lo 0,1% sotto forma di deuterio e trizio. I neutroni sono di fondamentale importanza nel nucleo perché hanno il compito di disporsi in modo tale da annullare le forze repulsive tra p+ e e-. Esiste quindi un rapporto ottimale Z/A che conferisce al nucleo stabilità, ma se questo è sbilanciato il nucleo risulterà instabile e ciò si verifica per esempio per tutti gli elementi con Z > 82. Il nucleo di un elemento instabile tenderà a trasformarsi nel tempo in un nucleo stabile emettendo però radiazioni in un processo chiamato decadimento radioattivo. Esistono 3 tipi di decadimento radioattivo: • Studiare pagg 57-63 • Completare i 4 «Prima di continuare» e la mappa a pag 64 • Es. pag 65-66 dal 17 al 30 più «Parole chiave»