“Interventi selvicolturali sperimentali in boschi di faggio della Val Sessera” REGIONE PIEMONTE Direzione Opere pubbliche, Difesa del suolo, Economia Montana e Foreste Settore Gestione Proprietà Forestali Regionali e Vivaistiche (MARCO RAVIGLIONE, ALBERTO COLLATIN) UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO DIP. AGRO.SELVI.TER . (RENZO MOTTA, ANTONIO NOSENZO, ROBERTA BERRETTI, FABIO MELONI) PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Ufficio Pianificazione e Selvicoltura (ALESSANDRO WOLYNSKI) In Piemonte, tra le categorie forestali, la faggeta risulta la seconda per superficie dopo i castagneti, con un totale di 135770 ha pari al 16% della superficie forestale regionale (Gottero et al. 2007). La faggeta di proprietà pubblica ammonta al 48% della superficie totale e su oltre un 40% di questa sono previsti in futuro interventi di gestione attiva finalizzati al completamento o all’avvio alla conversione dei cedui invecchiati (Gottero et al. 2007). I programmi di “miglioramenti boschivi” intrapresi a partire dagli anni ’90 (Regolamento CEE 2081/93obbiettivo 5b) a livello regionale hanno privilegiato le faggete, soprattutto attraverso interventi di conversione all’alto fusto che hanno interessato una superficie complessiva di 3811 ha (Gottero et al. 2007). Il problema che si pone oggi per i popolamenti che sono stati oggetto di questi interventi e che hanno già raggiunto 50-70 anni di età è come procedere con i diradamenti che seguono i tagli di avviamento ad alto fusto (Wolynski 2002). In letteratura, sia per le faggete pure da seme che per quelle derivate da conversione, il trattamento di riferimento è il taglio successivo uniforme (Del Favero 1998) o a gruppi (Hoffmann 1991). L’esperienza maturata in questi anni, per i popolamenti derivanti da cedui nelle aree montane, dimostra come tale trattamento spesso non sia l’unico riferimento (Wolynski 2002). La variabilità delle faggete in termini di caratteristiche stazionali, di dinamica strutturale e condizionamenti dovuti ai trattamenti passati permette di differenziare le modalità di intervento (Wolynski et al. 2006). Tali considerazioni assumono ulteriore importanza se la gestione selvicolturale si pone tra i diversi obbiettivi anche quello della produzione di assortimenti legnosi di qualità. Nei popolamenti derivanti da conversione accade sovente che la qualità tecnologica delle piante non sia delle migliori e soprattutto la distribuzione nello spazio delle piante di discreto valore sia piuttosto irregolare (Wolynski 2002). 1 Interventi di diradamento uniformi impedirebbero quindi di attuare una selezione fenotipica degli individui cosa possibile adottando tagli più irregolari attraverso diradamenti di intensità variabile (trattamento irregolare delle faggete). Le faggete si caratterizzano per una elevata variabilità fenotipica dei popolamenti e per una bassa percentuale media degli individui di elevato valore (Wolynski 2002). La gestione selvicolturale può però operare in senso positivo migliorando il valore di un popolamento poiché in questa specie si ha uno scarso determinismo genetico sulla forma dei fusti e sulla tendenza alla ramificazione (Schütz 1997). L’intervento selvicolturale diviene quindi un’importante strumento soprattutto nella fase di “qualificazione” del soprassuolo forestale ossia nella fase durante la quale si mira alla creazione di fusti privi di rami e dritti (educazione). La conoscenza della qualità del materiale legnoso ritraibile dalle piante e della fertilità possono quindi divenire un utile strumento conoscitivo per la differenziazione dei trattamenti da adottare in futuro nelle faggete provenienti dalla conversione del ceduo (Wolynski et al. 2006). Queste conoscenze di base possono divenire quindi un importante supporto conoscitivo alla gestione forestale poiché, individuando le faggete con potenzialità produttive di qualità, consente di definire i possibili obbiettivi produttivi, le scelte selvicolturali più appropriate e di concentrare e pianificare gli investimenti nel medio-lungo periodo. Tale base conoscitiva diviene particolarmente importante quando la gestione mira alla produzione di assortimenti qualità poiché il raggiungimento di questo obbiettivo richiede una selvicoltura intensiva che prevede frequenti cure colturali (Nosenzo et al. 2007). Il progetto di ricerca “Interventi selvicolturali sperimentali in boschi di faggio della Val Sessera” sviluppato dal Dip. AGROSELVITER (Università di Torino) in collaborazione con la Regione Piemonte (Direzione Opere pubbliche, Difesa del suolo, Economia Montana e Foreste Settore Gestione Proprietà Forestali Regionali e Vivaistiche) vuole essere un esempio di applicazione di una selvicoltura multifunzionale orientata alla qualità all’interno della foresta del demanio regionale della Val Sessera. 2 L’area di studio è stata insediata all’interno della particella forestale n°3 del Piano Forestale Aziendale (validità 2004-2013), in località Canale Asciutto (Comune di Callabiana) (Figura 3). La particella ha una superficie complessiva di 20.8 ettari ed il tipo forestale presente è una faggeta oligotrofica (FA60X). La particella ha una prevalente esposizione nord, si sviluppa longitudinalmente sul medio e basso versante e presenta una pendenza prevalente del 20-30%. La particella si caratterizza per una elevata uniformità sia compositiva che strutturale; il popolamento presente è una giovane fustaia transitoria ottenuta da una conversione di cedui invecchiati. I tagli di conversione sono stati effettuati nel 1978 e nel 1996. La copertura è colma e le chiome compresse; la rinnovazione di faggio è assente. Il piano forestale aziendale prescrive per questa particella un diradamento nel terzo triennio del piano, da effettuarsi con una intensità pari al 25-30% della massa, intervenendo per gruppi. L’area di studio ha una superficie complessiva di 1.5 ettari ed è localizzata alle quote superiori della particella. Area di studio 3 I dati dendrometrici, ottenuti con cavallettamento totale dell’area (sogli di rilievo: 7.5 cm di diametro ad 1.3 m), sono riassunti nella tabella. dati area n° p/ha 2 G/ha (m /ha) 3 V/ha (m /ha) diametro medio (cm) altezza media (m) 846 27.4 271.3 20.3 19.5 La distribuzione diametrica è una gaussiana che vede raccolte nelle classi diametriche dei 15 cm e 20 cm circa il 70% delle piante presenti. Le poche piante di diametro maggiore sono rappresentate dalle vecchie matricine provenienti dalla passata gestione a ceduo e non eliminate con il taglio di avviamento all’alto fusto. distribuzione diametrica 300 250 faggio n°/ha 200 altre latifoglie 150 100 50 0 10 15 20 25 30 35 40 45 50 classe diametrica (cm) 4 In una sottoarea di circa mezzo ettaro è stata condotta la caratterizzazione qualitativa delle piante sia attraverso la classificazione del fusto sia attraverso la classificazione della chioma. La classificazione tecnologica del fusto avviene sulla base di una serie di parametri quali curvatura, inclinazione, fibratura torta, presenza di rami o cicatrici, ferite. Tale valutazione viene effettuata nei primi 3 metri di fusto (misura minima necessaria per avere un assortimento di qualità commerciabile) e prevede 4 classi in qualità A (la migliore), B, C o D (la peggiore). La chioma viene classificata sulla base del suo aspetto visivo attraverso una tavola di confronto di “chiome tipo” suddivise in 5 classi, considerando di migliore qualità le piante a chioma più espansa e regolare (classe 5). Nel caso di chiome asimmetriche si è aggiunto un attributo alla classificazione. 5 L’analisi della qualità del fusto effettuata nella sottoarea ha interessato un totale di 336 piante pari a 690 piante ad ettaro. Un numero complessivo di 60 piante ad ettaro (9% in numero di piante e 10% in area basimetrica) risulta avere caratteristiche del fusto rientranti nella classe A e B mentre 630 presentano difetti tali da essere classificate in classe C e D (Tabella 3). La distribuzione diametrica delle piante in base alla qualità dei fusti evidenzia una concentrazione delle piante di buona qualità per il fusto nelle classi diametriche 20 e 25 centimetri anche se non mancano soggetti nelle classi superiori 30 e 35 centimetri. Il difetto più frequente che causa il declassamento dei fusti nelle classi di qualità peggiori è indubbiamente il numero dei nodi o delle cicatrici dei nodi presenti. qualità fusto % A B C D 1.2 7.4 14.6 76.8 distribuzione diametrica qualità 250 a+b n°/ha 200 c+d 150 100 50 0 10 15 20 25 30 35 40 45 50 diametro 6 Per quanto riguarda la qualità della chioma, si osserva una uniforme distribuzione delle piante nelle tre principali categorie di qualità: il 37% delle piante ricade in classe 4 e 5 (buona vitalità), il 33% in classe 3 ed un rimanente 31% nelle classi peggiori 1 e 2 (scarsa vitalità). L’asimmetria di chioma è particolarmente frequente interessando il 72% delle piante e risulta essere uniformemente distribuita nei diversi gruppi di vitalità. La presenza di chiome asimmetriche è da imputarsi principalmente all’origine agamica del popolamento ed alla pendenza del terreno. Delle 60 piante individuate per qualità del fusto circa il 54% presenta anche buone caratteristiche della chioma (classe 4 e 5) mentre il 37% presenta chiome classificate nella classe intermedia 3 e solo il 6% in classe 2. La mappatura sul terreno delle piante di qualità individuate una mancanza di uniformità nella distribuzione spaziale di queste con una settore dell’area a maggior concentrazione di piante candidate ed un settore pressoché privo di piante di qualità. Nella Tabella sottostante sono riportate le percentuali di piante appartenenti alle 4 categorie di fusto e alle 5 categorie di chioma. Gli individui nell’area rossa sono i probabili candidati, in quanto caratterizzati da buona qualità tecnologica e buona vitalità della chioma. Le piante dell’area verde sono vigorose ma con qualità scadente del fusto; sono queste le principali concorrenti delle candidate. Le piante comprese nell’area arancione hanno un futuro incerto poiché, se liberate, potranno passare alla classe superiore per la chioma o risultare comunque piante perdenti in caso contrario. Nell’area azzurra si concentrano le piante con scarsa capacità concorrenziale e scarsa qualità tecnologica; il loro prelievo è tendenzialmente poco utile per valorizzare le candidate e possono assolvere ad un ruolo di fasciatura e protezione dei fusti delle candidate dalla luce diretta. Le piante presenti nel settore giallo, pur presentando buone caratteristiche del fusto, risultano avere scarsa vitalità di chioma. Qualità chioma Qualità fusto 5 4 3 2 1 a b c d 0.3 0.0 0.9 0.0 0.0 1.5 3.0 2.4 0.6 0.0 1.5 3.3 4.2 3.6 2.1 10.1 17.9 24.4 13.1 11.3 candidate (fusto + e chioma +) principali concorrenti (fusto + e chioma -) possibili candidate future (fusto + e chioma ±) indifferenti – educatori (fusto - e chioma -) piante con scarsa vitalità (fusto + e chioma -) 7 L’area di studio è stata utilizzata per una giornata di formazione sulla gestione delle faggete rivolta sia al personale della Regione Piemonte che al Corpo Forestale dello Stato che ai liberi professionisti. Il corso, avente come titolo “Selvicoltura multifunzionale orientata alla qualità in faggete nella Foresta Regionale della Val Sessera” è stato tenuto dal dott. Alessandro Wolynski funzionario della Provincia Autonoma di Trento (Uff. Pianificazione e Selvicoltura della Provincia Autonoma di Trento e presidente di Pro Silva Italia). La tabella di seguito mostra in sintesi i dati del prelievo e le caratteristiche del popolamento prima e dopo l’intervento. dati area dati pre taglio dati post taglio prelievo prelievo % n° p/ha 2 G/ha (m /ha) 3 V/ha (m /ha) 846 27.4 271.3 671 21.7 214.9 175 5.7 56.4 20.6 20.7 20.8 distribuzione diametrica piante prelevate 70 n° piante/ha 60 50 40 30 20 10 0 10 15 20 25 30 35 40 45 50 classe diametrica (cm) I popolamento all’interno dei quale si è intervenuto si trova alla fine della fase di qualificazione ossia quando la lunghezza di fusto desiderata è già stata raggiunta e il fenomeno della risalita della chioma inizia a produrre porzioni di fusto di qualità D o C, riducendo la capacità fotosintetica delle piante migliori; tale fenomeno ha raggiunto attualmente un valore medio di 2 m, dato che conferma la necessità di arrestare la mortalità dei rami con un intervento immediato. Chioma persa 8 L’intervento proposto si è caratterizza quindi principalmente per essere un diradamento dall’alto attuati spesso con la modalità del “détourage” delle piante candidate ossia attuati allo scopo di liberare la chioma di una pianta candidata su tutta la sua circonferenza in modo da consentire alla stessa una crescita libera e un conseguente allargamento regolare della chioma. Nel caso di piante filate o con chioma asimmetrica si è spesso ricorso ad “détourage parziale” intervenendo in maniera più progressiva liberando solo una porzione della chioma. Il timore maggiore risiede nella possibilità che il rilascio di piante esili e con chiome non simmetriche se eccessivamente isolate porti al verificarsi di piccoli schianti negli anni immediatamente successivi al taglio. Si auspica che il rilascio di un maggior numero di piante, spesso in gruppi dove le piante si sostengono a vicenda, possa ridurre tale eventualità e comunque rendere meno gravi i danni per il soprassuolo nel suo insieme. Per tale motivo le martellate hanno sempre cercato di assicurare la struttura principale del popolamento individuando e mantenendo le piante caratterizzate da buoni valori di stabilità quali coefficienti di snellezza bassi e chiome profonde oltre che equilibrate. La distribuzione diametrica delle piante martellate evidenzia come percentualmente le piante del piano dominato siano state prelevate in modo limitato intervenendo per gruppi o su singole piante, particolarmente scadenti, o troppo vicine a piante candidate. Obiettivi generali delle martellate sono stati quindi la riduzione della densità, la stabilizzazione delle piante migliori e il mantenimento di una struttura articolata, per quanto possibile data la densità e la struttura attuali. Questa prima indagine, condotta su un popolamento che ha terminato la fase di qualificazione e sta iniziando quella di dimensionamento ha consentito di ottenere una serie di dati capaci di caratterizzare in senso quantitativo interventi di questo genere in popolamenti simili sia da un punto di vista qualitativo che di fertilità. La ripetizione dei rilievi negli anni consentirà inoltre di comprendere quale sia la reazione del popolamento al taglio e quindi di poter meglio modulare le tempistiche degli interventi selvicolturali nel tempo. L’individuazione delle piante candidate all’interno dell’area di studio ha evidenziato le potenzialità produttive, in termini di qualità, del popolamento e posto l’attenzione su questo aspetto nella futura gestione della proprietà demaniale data l’elevata rappresentatività dell’area scelta. 9 La ricerca di una struttura più articolata del popolamento forestale inoltre, tenuto conto che esso entra a far parte di un SIC, ne aumenta il valore sia per la stabilità ecologica sia per le possibili positive influenze sulla biodiversità. 10 BIBLIOGRAFIA DEL FAVERO R., 1998 – La vegetazione forestale e la selvicoltura. Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. GOTTERO F., EBONE A., TERZUOLO P. CAMERANO P., 2007- I boschi del Piemonte, conoscenze ed indirizzi gestionali. Regione Piemonte, Blu Edizioni, pp.240. HOFMANN A., 1991 – Il faggio e la faggeta in Italia. Collana verde, n.81. M.A.F. NOSENZO A., BERRETTI R., MELONI F., 2007 – Analisi della biomassa e degli assortimenti legnosi ritraibili da boschi cedui di faggio del Piemonte. L’Italia Forestale e Montana, anno LXII, n. 5/6. SCHÜTZ J.Ph., 1997 – Sylviculture 2. Les Presses Polytechniques et Universitaires Romandes. WOLYNSKI A., 2002 – Sul trattamento irregolare delle fustaie di faggio. Sherwood, n.74. WOLYNSKI A., BERRETTI R., MOTTA R., 2006 – Selvicoltura multifunzionale orientata alla qualità. Sherwood, n.118 Pubblicazioni disponibili su internet: http://www.prosilva.it/files/documenti/Fustaie_faggio_1.pdf http://www.prosilva.it/files/documenti/Fustaie_faggio_2.pdf http://www.prosilva.it/files/documenti/Articolo_Sherwood_Vallarsa.pdf 11