La predisposizione per le lingue. Che cos`è?

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LA PREDISPOSIZIONE PER LE LINGUE – Di1 che cosa si tratta, che cosa fare per aumentarla.
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LA PREDISPOSIZIONE PER LE LINGUE
DI CHE COSA SI TRATTA, CHE COSA FARE PER AUMENTARLA
INTRODUZIONE
Predisposizione: due aspetti di un unico problema
0.1 Primo aspetto del problema: recezione e produzione di suoni
0.1.1 Prima risposta
0.2 Secondo aspetto del problema: volontà di comunicare
0.2.1 Seconda risposta
0.3 Un aiuto: l’audio-psico-fonologia
1. LA CAPACITÀ UDITIVA
1.1 La magia del canto
1.1.1 Quale canto?
1.2 Cantare: valenza acustica e valenza antropologica
1.3 Audio-psico-fonologia: schema riassuntivo
2. LA CAPACITÀ RELAZIONALE
2.1 Che ogni persona sappia accettare se stessa
2.2 Che ogni persona sappia accettare l'altra così com'è
2.3 Che ogni persona sappia dare e ricevere informazioni
3. TRA CAPACITA’ UDITIVA E CAPACITA’ RELAZIONALE:
L'IMPORTANZA DELLA VOCE
3.1 La voce
3.2 Tre passi dentro se stessi
3.2.1 Percepirsi come voce
4. APPENDICE
5.BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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LA PREDISPOSIZIONE PER LE LINGUE
DI CHE COSA SI TRATTA, CHE COSA FARE PER AUMENTARLA
"Non sono portato per le lingue..." "Una seconda lingua? La capisco, se devo leggerla, ma
quando si tratta di parlare, non ci riesco proprio..."
Quante volte chi insegna una seconda lingua si è trovato davanti a discorsi di questo tipo...
Ma che cosa significa "non essere portati per le lingue straniere"?
In questo articolo cercheremo di vedere in che cosa consiste la predisposizione per le lingue e
vedremo attraverso quali tecniche l'insegnante la può favorire.
INTRODUZIONE
Predisposizione: due aspetti di un unico problema
Partiamo da alcuni dati di fatto per sviscerare il problema “predisposizione”.
0.1 Primo aspetto del problema: recezione e produzione di suoni
Una persona nata e cresciuta in un paese di lingua slava non avrà generalmente grosse
difficoltà ad imparare i suoni della lingua italiana, una persona nata e cresciuta in Spagna
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troverà probabilmente molto difficile captare e ripetere nelle sfumature più precise i suoni
della lingua Inglese; Spagnoli, Italiani e Inglesi, poi, trovano generalmente proibitivo accostare
lingue come il giapponese o le varie derivazioni del cinese.
Il dott. Alfred Tomatis (Parigi)1 spiega tutto ciò dal punto di vista dell'analisi sonora delle
diverse lingue:
vediamo in sintesi alcuni punti – chiave:
- una persona può riprodurre con la propria voce solo i suoni che è in grado di percepire e di
discriminare; in altre parole “posso ripetere solo i suoni che sento” e “non ripeto bene questi
suoni? Non me ne accorgo…”
- la parlata delle lingue slave copre una gamma di frequenza estremamente ampia (da 125 a
12.000 Hz come suoni principali), quella spagnola è basata su una gamma di suoni
estremamente limitata (da 125 a 2500 Hz circa); di conseguenza, chi è nato in un paese slavo
ed è cresciuto in un ambiente acustico ricco di frequenze ad ampio spettro ha una capacità di
discriminare i suoni molto maggiore di chi è nato in un paese la cui lingua madre è basata su
una gamma di frequenze più ristretta;
- in estrema sintesi, per chi è nato ad esempio a Mosca, è più facile imparare le lingue che non
per chi è nato a Madrid.
0.1.1 Prima risposta
Quindi, per una prima risposta alla nostra domanda di partenza si potrebbe dire: essere portati
per le lingue è prima di tutto un fatto uditivo. Si è portati per le lingue quando il nostro
ALFRED TOMATIS, “L’orecchio e la Vita”, ed Baldini & Castoldi 1992, capitolo 4
e A.TOMATIS, “L’Orecchio e la Voce”, ed Baldini & Castoldi 1993
1
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orecchio è capace di captare una ampia gamma di suoni, non si è portati quando la gamma di
suoni percepiti dal proprio orecchio è più stretta di quella usata dalla lingua che si vuole
studiare.
0.2 Secondo aspetto del problema: volontà di comunicare
Va detto però che il luogo in cui si nasce e la parlata in cui si è stati immersi fin dall’inizio non
è di per sé garanzia di una recettività acustica basata su una gamma di frequenza determinata;
alcuni fattori possono intervenire a bloccare la piena recettività di certe frequenze acustiche:
traumi infantili, tanto fisici quanto psicologici, atteggiamenti inibitori e specifici momenti di
inibizione – umiliazione, così come altri fattori possono ampliare la recettività di una persona
rispetto alla gamma di frequenza della propria zona linguistica: un’abitudine all’ascolto della
musica, incoraggiamenti ad andare verso l’altro fin da bambini e soprattutto, come vedremo,
l’incoraggiamento a cantare, da soli e insieme2.
Inoltre, l'aspetto uditivo, da solo non risolve il problema: vediamo infatti come sia possibile
utilizzare con successo una seconda lingua senza necessariamente saper pronunciare
perfettamente tutti i suoni della parlata madrelingua, basta voler comunicare.
Che si voglia comunicare non è sempre così scontato.
Esiste in molte persone, sia bambini che adulti, una certa incapacità di volersi mettere in
relazione; questa incapacità di cui il soggetto non sempre è consapevole: il più delle volte lo
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vive come un inconsapevole atteggiamento di difesa.
0.2.1 Seconda risposta
Ed ecco allora una seconda, risposta al problema “predisposizione”: si è tanto più portati per le
lingue straniere quanto più ci si sente liberi di vivere relazioni comunicative serene, dove la
mente non sente il bisogno di costruire meccanismi di difesa dai giudizi degli altri e dalla
propria ricerca di dare sempre e solo il massimo.
0.3 Un aiuto: l’audio-psico-fonologia
Combinando insieme varie ricerche nei settori dell'audiologia e della fonologia, Alfred
Tomatis ha creato una nuova disciplina: l'audio-psico-fonologia; attraverso di essa, Tomatis
riesce a dimostrare come tra capacità uditiva e capacità relazionale esistano connessioni
profondissime: è possibile infatti leggere con accuratezza la capacità relazionale di una
persona dal risultato di una particolare prova audiometrica eseguita sull'orecchio e sulla
struttura ossea della testa.
Tomatis ha dimostrato che i vantaggi di un orecchio in grado di ascoltare, ossia di percepire i
suoni passivamente e di analizzarli attivamente, si ripercuotono in altri settori, in quanto la
persona utilizza più a fondo il suo potenziale fisico e intellettuale. Migliorando la relazione
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Cf. A.TOMATIS, L’Orecchio e la Vita, ed Baldini & Castoldi 1992, passim, a partire dal 5 capitolo.
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con se stessi e con il mondo, vengono ottimizzate la comunicazione, la creatività, l'attenzione,
la concentrazione, la memoria e la ricarica energetica. 3
Grazie alla sua parte interna, l'orecchio è responsabile dell'equilibrio e dello schema corporeo;
tramite il nervo auricolare, il nervo vago si inserisce sul timpano. Questo nervo, chiamato
anche "nervo dell'angoscia", risente e reagisce ad ogni situazione conflittuale e di stress,
generando disturbi specifici carico degli organi o apparati da lui innervati (sistema digerente,
respiratorio,
cardiaco).
Per questo motivo, gli studi di Tomatis non trovano realizzazioni pratiche solo nel campo
linguistico; senza la pretesa di affrontare globalmente lo studio dell’audio-psico-fonologia,
cerchiamo di cogliere alcuni aspetti strettamente collegati alla pratica didattica.
Senza addentrarci in disquisizioni mediche, cercheremo di esaminare alcuni dati essenziali per
poi capire come un insegnante possa, attraverso queste conoscenze,
favorire la
predisposizione allo studio delle lingue straniere nei suoi allievi; cercheremo di vedere, in altre
parole, come si possono migliorare la capacità uditiva e la capacità relazionale degli studenti
che lavorano con noi.
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Con effetti benefici per funzioni vitali quali il sonno e l'appetito, oltre a quelli per le funzioni linguistiche che in
questa sede prendiamo in esame. Tuttavia non è un caso che la predisposizione allo studio delle lingue, cioè la
predisposizione ad una capacità di comunicare, non si attui se in un quadro olistico.
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1. LA CAPACITÀ UDITIVA
Secondo le teorie di Tomatis, una delle grandi funzioni dell'orecchio è caricare di stimoli il
cervello, in modo che esso possa beneficiare di una grande energia. L'organo dell'udito si
comporta dunque come una vera e propria centrale di energia. Perché il cervello si ricarichi , ci
vogliono in effetti una enorme quantità di stimoli sensoriali al secondo, e per molte ore al
giorno.
Gli stimoli possono provenire da fonti esterne, ma possono anche essere prodotti dal soggetto
stesso quando parla e soprattutto quando canta: chi canta è il primo ascoltatore di se stesso, e,
come vedremo, lo è sia a livello uditivo che a livello fisico-acustico.
Si diceva della differente gamma di frequenza usata dalle varie lingue:
oltre la base di frequenza fondamentale comune ad ogni lingua (50 / 125 Hz.), ogni lingua ha
una sua gamma di frequenze armoniche:
l'Inglese Britannico si muove intorno a suoni che vanno dai 2500 e arrivano fino ai 12.000 Hz,
l’Italiano dai 1500 Hz fino ai 3000 (4000) Hz,
lo Spagnolo al massimo fino ai 2.500,
il Tedesco fino ai 3500,
il Francese utilizza suoni fino ai 2000Hz, con un “buco” intorno ai 6 / 700Hz
il Russo e le altre lingue slave in genere, coprono tutta la gamma di frequenze dai 125 ai
12.000 Hz e oltre, in qualche caso.
Questo per quanto riguarda il parlato.
1.1 La magia del canto
Nel caso del canto le cose cambiano, e di molto!
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Si è visto infatti che la voce umana cantata, in buone condizioni di ascolto e di posizione
del corpo, ha una caratteristica utilissima agli insegnanti di lingua: fornisce una alta
carica di frequenze acute, muovendosi da 800 a 8.000 Hz e oltre, se l’azione del canto
viene ripetuta con assiduità; queste frequenze acute sono percepite da chi canta
soprattutto tramite trasmissione ossea; questa caratteristica rende il canto una fonte
primordiale di stimoli corticali.
In sintesi: dal punto di vista medico appare chiaro che il canto usato con sistematicità nella
nostra didattica è una prima risposta , importante, ai problemi uditivi di chi non è portato per le
lingue straniere.
Altro che riempitivo da usare di tanto in tanto!
1.1.1 Quale canto?
I benefici fin qui elencati si ottengono già con il canto in genere; va da sé però che
nell’insegnamento di una lingua straniera, le attività di canto devono avere una valenza
didattica ed educativa ben marcata e definita.
Verifichiamo in tal modo, se ve ne fosse bisogno, l’importanza di saper scegliere le musiche e
i canti adatti ai nostri allievi: adatti per estensione vocale, per un buon rapporto tra testo e
musica, per un mixaggio accattivante.4
Per gli studenti che si sentono poco portati allo studio delle lingue, il canto è perciò uno
strumento di importanza capitale.
Per sviluppare il tema del “come scegliere i canti in rapporto alla classe e alle esigenze didattiche” si veda
PAOLO IOTTI, "How to choose and use songs in Language Teaching" in Resource n.2 European Language
Institute, Recanati, 1996, pagg.11-12
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Ma dobbiamo prendere atto di altri dati medici per far progredire il nostro lavoro: se vogliamo
che ciò che gli studenti apprendono riescano a trattenerlo e riutilizzarlo, la nozione di memoria
è fondamentale.
Si è osservato che mediante gli stimoli delle frequenze acute sulla rete cibernetica
complessa (del sistema neuro-fisiologico), le tracce che costituiscono la memoria si
moltiplicano. La memoria stessa, contrariamente a quanto si pensa, non è localizzata
esclusivamente nel cervello, ma è distribuita in tutto il corpo, attraverso i vari circuiti
nervosi.
Sappiamo tutti per esperienza che, più intensamente il nostro corpo prende parte ad un
apprendimento, più la memorizzazione risulta efficace. (vedi TPR di Asher5). Abbiamo tutti
constatato che è più facile ricordare un testo se è stato musicato e se lo cantiamo.
Non c'è da stupirsi, perché è la musica che si imprime per prima: il corpo, e quindi la
memoria della persona, ne ha già la memoria grazie all'azione diretta dell'orecchio
vestibolare (nell'orecchio interno); le parole arrivano soltanto dopo, e si imprimono sulle
cadenze ritmiche sottostanti. Insomma, la musica è la trama, lo sfondo, il supporto: le parole
vengono ad aggiungersi.
Il canto, dunque, mette in azione tutto quanto il nostro corpo attraverso l'orecchio interno, il
quale è in relazione reciproca e globale con tutto il corpo.
Detto questo, vediamo ora di esaminare gli effetti specifici del cantare sulla persona, pensando
alla nostra didattica, ai nostri allievi. Ancora qualche nozione di carattere medico, subito
5
Vasta la possibilità di documentarsi sulle tecniche di TPR (Total Physilac Respons); tra i testi più diffusi si
segnala il classico J. ASHER, Learning Another language Through Actions. The complete Teacher’s Guidebook,
Sky Oaks, Los Gatos, California, 1979
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portata a conseguenze pratiche.
Il canto agisce sull'apparato vestibolo-cocleare (orecchio interno) e si spinge fino a
determinare la posizione del corpo, vale a dire la verticalità. In posizione verticale, più
adatta di altre ad un ascolto attivo e consapevole, l'auto-controllo della voce raggiunge il
massimo dell'efficacia. In queste condizioni, una sorta di 'circolo audio-vocale' permette
di gestire bene la voce. Questo circolo si attua tra la laringe e l'orecchio destro,
attraverso
la trasmissione ossea. Con questo processo vengono eliminati certi suoni gravi (suoni di
scarico) e si ottiene una migliore percezione dei suoni fondamentali, arricchiti da una
massa di suoni acuti quanto mai densa.
Non lasciamoci intimorire da terminologie complesse; in pratica, questo significa che,
attraverso una serie di reazioni a catena, il canto fornisce una notevolissima carica di energia,
in grado di risvegliare i circuiti della memoria. Da un certo livello di stimoli in poi, grazie
alle frequenze acute, lo stimolo stesso arriva a zone sempre più profonde della memoria,
fino a "scomparire", si direbbe, nel “serbatoio della memoria”.
Riassumendo, il canto favorisce la percezione di se , favorisce la memoria mettendo in
risonanza il corpo, che della memoria è la vera e propria sede operativa; aumenta la recettività
sonora delle diverse frequenze, fornisce il substrato psicologico e relazionale nel quale inserire
una proficua attività di apprendimento linguistico.
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1.2 Cantare: valenza acustica e valenza antropologica
Alla luce di quanto esposto fin qui, cerchiamo di analizzare ciò che avviene di fatto in una
classe quando si canta insieme: ciascuno sente la propria voce e quella degli altri: come
abbiamo visto, questo produrrà in tutti i presenti una carica corporea (corticale) molto intensa
e una posizione verticalizzata, adatta all'ascolto attivo e consapevole. Nello stesso tempo libera
la memoria, favorisce l'auto-coscienza e pone tutti in situazione di maggior creatività.
Da parte mia ho verificato come far precedere i momenti dell'ascolto di materiale registrato da
madrelinguisti da momenti di canto collettivo in L2, porti a risultati sorprendenti per
l'acquisizione di una pronuncia incredibilmente ben impostata.
Ho notato come siano necessari almeno 4-5 minuti di canto; se infatti si propone un canto
troppo breve, questo non consente di mettere in moto tutti i fenomeni sopra citati.
Da non sottovalutare in chiave didattica è la valenza antropologica dell’atto di cantare insieme:
se l’insegnante è disposto a compromettersi cantando in prima persona insieme agli alunni, e
lascia comunque a chi non se la senta la possibilità di non unirsi al canto attivo, la valenza
antropologica è ricca di implicazioni, tra queste, certamente, il cantare contribuisce a fare
gruppo, a passare da un gruppo di “singoli” individui ad un gruppo – classe. Questo risultato è
raggiunto in maniera ancora più profonda se si canta in cerchio o comunque in una posizione
nella quale ci si possa reciprocamente vedere e, in un certo senso, “cantare addosso”, facendo
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dono agli altri del proprio suono (o della propria Per-Sonalità)6
Possiamo allora formulare una osservazione fondamentale per il nostro tema iniziale che è
anche una prima traccia operativa per favorire la “predisposizione” alle lingue straniere:
nell'atto del cantare, e soprattutto del cantare insieme, vengono a crearsi alcune condizioni
eccezionalmente favorevoli all'interiorizzazione, all'ascolto e all'agire in gruppo, sentendosi
parte di esso. Il tutto in un contesto nel quale l’orecchio degli alunni è aperto a recepire
frequenze che normalmente, senza l’apporto del canto, non sarebbe in grado di ricevere e
discriminare in maniera così ampia e precisa. In breve: durante e dopo l’atto del canto, ci si
sente di più e ci si sente meglio.
Chiediamoci: non è quello che ogni insegnante di lingua spera che si verifichi durante le sue
lezioni?
1.3 Audio-psico-fonologia: schema riassuntivo7
- La voce contiene ciò che l'orecchio sente, ossia la persona non può riprodurre con la voce
le frequenze che non sente.
La predisposizione per le lingue passa perciò attraverso un ampliamento delle proprie capacità
di discriminazione a livello di frequenze; il canto è uno strumento indispensabile
Approfondimenti su questo punto in PAOLO IOTTI, “Voce e Persona” in “Dare Voce alla Scrittura”,
Edizioni Dehoniane, Bologna, 1996, pag.16 - 22
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simili informazioni anche al sito http://neapolis.net/tomatis/metodo.htm
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- Se si dà all'orecchio la possibilità di intendere correttamente le frequenze che sono state
poco o per nulla percepite, si migliora istantaneamente e inconsciamente l'emissione
vocale; queste frequenze ricompaiono nella voce.
Di nuovo appare l’importanza di cantare in lingua
- La stimolazione acustica, ripetuta oltre un determinato periodo di tempo, porta a
mutazioni definitive nell’ascolto e perciò a mutazioni stabili della fonazione.
2. LA CAPACITÀ RELAZIONALE
Essere portati o meno per lo studio delle lingue, abbiamo detto all'inizio non è però solo un
problema di tipo acustico, ma anche relazionale.
Dove ci fosse una buona percezione dei suoni, ma non vi fosse una volontà di mettersi in gioco
come persone, l'apprendimento delle lingue sarebbe incompleto e poco funzionale.
In altre parole: il canto eseguito in maniera sistematica e alle condizioni sopra esposte prepara
l’orecchio, ma un buon orecchio non è ancora, da solo, sinonimo di predisposizione per le
lingue straniere. Le lingue sono un sistema elaborativo intrapersonale e uno strumento
comunicativo intrapersonale, perciò per “essere portato per le lingue” occorre, oltre ad un
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orecchio pronto, una identità che si senta a proprio agio da un lato nel pensare e dall’altro nel
dare e ricevere comunicazioni.
Come dire, se prepariamo l’orecchio ma non abbiamo i contenuti di identità è come preparare
un terreno per la semina senza poi effettivamente procedere con la semina vera e propria.
Non c’è predisposizione per le lingue se non c’è la voglia di comunicare; non c’è la voglia di
comunicare se per i più svariati motivi, consciamente o inconsciamente non ci si sente degni di
vivere una relazione, sia intrapersonale che interpersonale.
Entriamo così di prepotenza nel campo della costruzione di una relazionalità soddisfacente.
Per costruirla, verso sé stessi e verso gli altri occorre che si tenda alla realizzazione di tre
condizioni:
- che ogni persona sappia accettare se stessa
- che ogni persona sappia accettare l'altra così com'è
- che ogni persona sappia dare e ricevere informazioni
2.1 Che ogni persona sappia accettare se stessa
Vivere un rapporto relazionale, a qualunque livello, vuol dire mettere in gioco qualcosa di se
stessi, che lo si voglia o no, che lo si sappia o no.
L'accettazione di se stessi passa attraverso la percezione e la conoscenza di se come corpo
fisico e come portatore/portatrice di qualità significative.
C'è gente che non si sente portata per le lingue perché si percepisce inconsciamente non degna
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di comunicare in maniera libera, a causa di una non accettazione piena della propria corporeità
o di un pessimismo di fondo che impedisce di vedere in se stessi la presenza di qualità
positive.
Mancando una piena accettazione di sé, manca anche la predisposizione all’elaborazione
linguistica intrapersonale, primo stadio verso un utilizzo pieno e consapevole di una lingua
(ma questo è vero solo per la seconda lingua?)
Non si chiede all'insegnante di diventare psicologo, ma di tenere presente che, per uno
studente, magari nell'età dell'adolescenza, basta un cattivo rapporto con il proprio corpo per
avere un apparentemente inspiegabile calo nell'interesse e dei risultati nello studio della lingua
straniera; basta avere intorno un ambiente con cui non c'è affinità per non sentirsi all'altezza di
usare la lingua straniera per comunicare.
Non bisogna poi dimenticare che tanto più gli studenti sono giovani - scuole elementari,
soprattutto- tanto più la percezione che essi hanno di se stessi passa attraverso l'accettazione e
l'affetto che l'insegnante comunica loro, soprattutto con il linguaggio non verbale e col tono di
voce8.
Da parte dell’insegnante, il primo passe per favorire nei propri allievi una piena accettazione di
sé è riscoprire la propria accettazione, o almeno tendere decisamente e positivamente verso di
essa.
Approfondimenti su questo tema in RENZO TITONE, “I fattori affettivi nell’apprendimento precoce della
seconda lingua” in “L’insegnante di Lingua nella Scuola Elementare”, Editrice La Scuola, Brescia,1993,
pagg.128 - 130
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Per ogni insegnante, imparare a conoscere i propri pregi e i propri difetti, in una parola, saper
accettare se stessi, è una tappa determinante nel successo professionale; e il linguaggio non
verbale rivela (e in qualche caso forse tradisce) il livello di accettazione di sé.
In sintesi, per favorire una predisposizione allo studio della lingua degli studenti, è necessario
che ognuno di loro si senta accettato per come è, all’interno di un sistema relazionale nel quale
l’insegnante per primo ha superato i problemi legati all’accettazione di sé, o almeno tende
decisamente in questa direzione.
2.2 Che ogni persona sappia accettare l'altra così com'è
Una relazione è vera e profonda quando ho una idea reale della persona o delle persone che
vivono la relazione con me. Non ci può essere comunicazione se sono abituato a costruirmi
idee sulle persone prima di conoscerle. Questo vale per i bambini e per gli adulti.
Nella mia esperienza didattica, pur non ancora lunghissima, ho avuto a che fare con persone
adulte che hanno migliorato considerevolmente la loro predisposizione per le lingue quando
hanno riconosciuto, dopo un attenta autocritica, di essere più interessati a parlare e dire la
propria che disporsi ad un “faticoso” (per loro) atteggiamento di ascolto.
Si parte dal pregiudizio che “io so che cosa dire”, si finisce con l'incapacità di mettersi in
relazione: a che cosa serve, perciò, imparare ad usare una lingua straniera, se non si è in grado
di cominciare? e anche a livello inconscio, scatta un blocco.
Altra tappa fondamentale per un insegnante che voglia favorire la predisposizione allo studio
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delle lingue straniere, è prendere atto che accettare gli studenti così come sono è decisamente
difficile; perché l’accettazione di ogni studente implica una conoscenza delle potenzialità di
cui è portatore, delle attitudini e delle specifiche modalità di apprendimento,.
Tenere presente a questo proposito quanto dice Gardner9 sulle intelligenze multiple: i sistemi
educativi tradizionali tendono a premiare solo gli allievi che imparano attraverso modalità
logico matematiche e linguistiche in senso stretto; vi sono tuttavia alunni che non imparano se
non vedono, se non fanno, se non riflettono o se non hanno il tempo di rielaborare le
conoscenze a livello immaginativo.
Nel mio modo di insegnare, io tendevo istintivamente a trascurare la presenza di spazi dove gli
studenti potessero rielaborare le conoscenze proposte a livello visivo, intrapersonale e
immaginativo. Gli studenti che imparano prevalentemente secondo queste modalità erano da
me involontariamente trascurati e considerati poco dotati per l'apprendimento delle lingue.
Anche se inconsciamente, ho senza dubbio trasmesso loro questo messaggio: "non siete portati
per le lingue", e ho contribuito a costruire in loro questa percezione poco positiva del se,
proiettando questa immagine anche sul gruppo - classe.
La verità è che io non avevo studenti poco predisposti o poco dotati, era il mio modo di
insegnare che non teneva conto delle loro modalità di apprendimento...
Pensando soprattutto agli allievi della scuola elementare, bastano pochi passi in un senso o
nell'altro per favorire o inibire una positiva accettazione di sé; ma questo è vero solo per gli
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studenti più giovani?
Molto spesso, gli allievi, imparano ad accettarsi se stessi e gli altri, almeno per ciò che
riguarda l’ambiente e la situazione – scuola, attraverso l’accettazione che l’insegnante
trasmette in prima persona, consciamente o no.
2.3 Che ogni persona sappia dare e ricevere informazioni.
Questa terza dinamica è la conseguenza diretta del lavoro sulle due precedenti: tanto più si
lavora verso l'accettazione di sé stessi, tanto più si sarà in grado di relazionare in maniera
libera da falsi scopi; quanto più si cammina nell'accettazione dell'altra persona, tanto più si
aumenta la capacità di ascolto attivo del pensiero degli altri senza pregiudizi.
La comunicazione inizia a funzionare, prerequisito perché la relazione educativa e didattica dia
i suoi frutti, e non solo in campo linguistico – comunicativo.
3. TRA CAPACITA’ UDITIVA E CAPACITA’ RELAZIONALE:
L'IMPORTANZA DELLA VOCE
Elemento comune sia alla stimolazione acustica degli alunni, sia alla costruzione di un
ambiente relazionalmente positivo è la voce dell’insegnante.
Tra la voglia di comunicare dell’insegnante e l'efficacia o meno della comunicazione, c'è di
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HOWARD GARDNER, Educare al comprendere. Stereotipi infantili e apprendimento scolastico, Milano,
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mezzo la voce.
Indipendentemente dal contenuto delle singole parole che ogni insegnante utilizza con i propri
allievi, ognuno comunica ulteriori contenuti e significati attraverso il suono della voce,
attraverso le modalità - modulazioni che utilizza, consciamente o inconsciamente.
La domanda da cui partire è: che consapevolezza ho dei significati ulteriori che trasmetto con
la mia voce?
3.1 La voce
La voce dipende dal respiro, ma bisogna subito aggiungere che il respiro, a sua volta, è
inscindibilmente collegato alla capacità di identificare, affrontare e gestire le proprie tensioni
interiori; se non sono ancora in grado di accettarmi e volermi bene come persona, difficilmente
il mio respiro sarà abbastanza profondo da consentirmi una voce sicura: in certi casi la mia
voce sarà arrogante, altre volte sarà arrendevole, ma mai sicura e sostenuta.
Va detto altresì che se so controllare il mio respiro sono in grado di equilibrare il battito
cardiaco e so gestire meglio le mie tensioni: e chi ha insegnato, anche per poco tempo, sa che
le tensioni sono piuttosto frequenti, in un rapporto didattico...
Ecco quindi come dal lavoro lungo e paziente su noi stessi alla ricerca di un respiro profondo e
regolare possa dipendere in parte quella che comunemente viene detta "predisposizione degli
studenti allo studio delle lingue"...
Questo perché, in sintesi, la voce di ogni persona è direttamente collegata, oltre che alla
propria conformazione fisica, anche al rapporto con se stessi e con il proprio corpo.
Feltrinelli, 1993
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La nostra voce dice - anche a livello inconscio - gran parte di ciò che abbiamo dentro e che
siamo: per certi aspetti, la nostra voce è la nostra persona.
Certo all'origine della voce c'è anche una conformazione fisica: un naso schiacciato, piccolo e
privo di spazi tra naso e faringe difficilmente riuscirà ad amplificare i suoni gravi; tuttavia,
dire che la propria voce non si può modificare è un dato non vero: nella nostra voce c'è molto
del nostro equilibrio interiore e della nostra capacità di ascolto. Su questi aspetti non solo è
possibile, ma è doveroso lavorare.
3.2 Tre passi dentro se stessi
Un modo efficace, per cominciare, è chiedersi spesso: "con quale suono vocale ho detto
questo? che significarti ha detto in più la mia voce oltre alle mie parole?"
E ancora: "il mio tono di voce, che cosa ha rivelato all'altra persona - anche inconsciamente della considerazione e della stima che ho nei suoi confronti?"
(quante volte gli insegnanti rispondono agli allievi con un tono di voce che tende a inibire o
mettere in ridicolo?)
Passo ulteriore: "che cosa dice il mio modo di essere voce della mia autostima? in positivo o in
negativo, il mio modo di porgermi come voce rivela che immagine voglio che le altre persone
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abbiano di me..."
3.2.1 Percepirsi come voce
Cominciare a pensare al proprio essere-voce in questi termini vuol dire liberarsi da falsi scopi,
da messaggi impliciti che a volte invalidano le nostre comunicazioni. Incominciare a fare dono
a se stessi della propria attenzione vocale è un primo, determinante passo sia verso una voce
"migliore", sia verso un migliore rapporto con se stessi.
Percepire se stessi come voce potenzialmente in grado di dire se e come stimiamo le altre
persone è un grande dono da fare a se stessi, e non è per nulla un fatto scontato, sempre più
presi, come siamo, a vivere su ritmi di lavoro dis-umanizzanti.
Possono tornare utili tecniche di training autogeno, di yoga o altro, ma molto più
semplicemente, al di là delle varie tecniche, si tratta di ritagliarsi a livello personale di
ritagliarsi degli spazi "giusti" per se in mezzo agli affanni della vita, così da recuperare
una maggiore serenità: la predisposizione a studiare le lingue dei miei allievi dipende
anche dalla mia capacità di darmi pace.
Approfondire il modo di dire "essere portato per lo studio delle lingue straniere" è per chi le
insegna, una sfida entusiasmante: costringe a rivedere se stessi, i propri valori, il proprio modo
di percepirsi come persona, come voce-che-comunica; costringe anche rivedere elementi
teorici e tecniche operative.
Si presenta così all’attenzione dell'insegnante un universo da esplorare incredibilmente ricco,
che costringe a studiare.
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Altro che dire semplicemente "quei miei studenti non sono portati per le lingue..."
Nota Bene:
Le parti in grassetto sono tratte da testi di A.Tomatis, in particolare da "La nuit utérine" ed.
Stock; ho tenuto presente anche la relazione che il prof. Michel Corsi dell'Università di
Marsiglia ha tenuto a Gazzada (Varese, Italia) nell'ambito del congresso del gruppo
internazionale di Studio Universa Laus tenuto nel 1983; detta relazione si può reperire presso
la Segreteria di Universa Laus a Sion (CH) o in Italia, presso la Curia di Milano
4. APPENDICE
Aggiungo in appendice un estratto di un testo molto recente di psicologia dell’apprendimento;
in parte sorregge e in qualche aspetto integra le argomentazioni fin qui esposte; in ogni caso
è un utile e interessante sorgente di stimoli operativi.
TABELLA 1
Come un insegnante può distruggere
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la voglia di imparare dell'alunno10
l.
Assumere un atteggiamento arrogante e intollerante.
2.
Svalutare l'alunno o ricorrere a offese personali.
3.
Ricorrere frequentemente a minacce e a punizioni.
4.
Incoraggiare un clima competitivo in cui qualcuno emerge a scapito degli altri.
5.
Trascurare di valorizzare l'alunno e di incoraggiarlo.
6.
Far apparire una materia la più difficile e la più impegnativa di tutte.
7.
Caricare di compiti per casa superflui.
8.
Ignorare i piccoli sforzi e i piccoli successi dell'alunno.
9.
Fare continui paragoni e confronti tra gli alunni.
10.
Ricorrere all'ironia umiliando e mettendo in ridicolo l'alunno.
11.
Trattare in modo non equo gli alunni privilegiando i propri “pupilli”.
E’ importante tenere presente che un'eccessiva tensione emotiva interferisce negativamente
con l'efficacia di molte prestazioni. Ciò significa che se il bambino è troppo teso e coinvolto,
il suo rendimento diminuirà in qualsiasi attività, non solo in quelle strettamente scolastiche,
ma anche in attività sportive, artistiche o di altro tipo. Quindi, se è bene che vi sia un certo
coinvolgimento, è altrettanto utile evitare un eccessivo stress.
Le emozioni, inoltre, interferiscono con le attività mentali. Certi meccanismi cognitivi quali la capacità
di concentrazione, la capacità mnestica e l'attenzione, sono influenzate negativamente da un'eccessiva
LUIGI TUFFANELLI (a cura di) “Intelligenze, emozioni e apprendimenti – le diversità nell’interazione
formativa”Erickspn, Trento, 1999, pagg. 174 - 177
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tensione emotiva. Diventa quindi difficile focalizzare bene la propria mente su ciò che si deve
apprendere quando si è troppo agitati o turbati.
Le emozioni influenzano anche i rapporti interpersonali. Bambini che ad esempio manifestano un
livello eccessivo di aggressività riceveranno spesso risposte altrettanto aggressive, oppure tenderanno a
essere evitati, rifiutati, allontanati. Se invece è presente un'eccessiva timidezza nei rapporti
interpersonali, il bambino avrà difficoltà a inserirsi nel gruppo e potrebbe trovarsi socialmente isolato.
E’ inoltre da considerare il fatto che le emozioni dominanti finiscono per determinare il clima
psicologico della classe. Se qualche insegnante ha avuto l'infelice esperienza di trovarsi in una stessa
classe quattro o cinque bambini con un elevato livello di iperattività, con un'accentuata aggressività e
con la tendenza a disturbare i compagni, probabilmente sarà arrivato esausto alla fine dell'anno
scolastico. Questo per il fatto che determinate emozioni negative, se si manifestano con elevata
frequenza e intensità, possono creare un clima di classe piuttosto negativo che logora gli insegnanti e
rende difficile il processo di apprendimento.
Rimane infine da tenere presente che le emozioni più frequenti diventano modalità di risposta abituali.
Quindi se abbiamo bambini che spesso provano ansia di fronte a interrogazioni o compiti in classe, è
molto probabile che tale ansia, in assenza di un intervento specifico, si consolidi anche negli anni
successivi. Lo stesso vale anche per altre emozioni quali, ad esempio, l'ostilità o la tristezza che, se non
vengono affrontate adeguatamente, finiranno per diventare parte stabile dei repertorio emozionale del
bambino.
Tipologia dei disturbi emotivi
Quando consideriamo i disturbi emotivi e comportamentali dell'età evolutiva può essere utile
differenziarli in due ampie categorie. Una prima categoria riguarda i disturbi emotivi esteriorizzati.
Come il termine può far supporre si tratta di disturbi nei quali il disagio del bambino si manifesta
soprattutto verso l'esterno. Essi si caratterizzano come tendenza a esigere che i propri bisogni personali
vengano immediatamente soddisfatti e che abbiano la precedenza sui bisogni degli altri. E’ inoltre
frequente il ricorso all'aggressività per conseguire i propri scopi, oppositività, tendenza alla
trasgressione di norme sociali e a volte anche legali. Tipici disturbi esteriorizzati sono i disturbi della
condotta e le sindromi ipercinetiche.
L'altra categoria è costituita dai disturbi interiorizzati, caratterizzati da una sofferenza che viene vissuta
interiormente e che spesso passa inosservata a un'osservazione superficiale. Tipici disturbi interiorizzati
sono l'ansia e la depressione. E’ interessante notare che per quanto concerne le segnalazioni che gli
insegnanti rivolgono ai servizi specialistici per alunni in difficoltà, esse riguardano quasi
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esclusivamente i disturbi di tipo esteriorizzato. E’ molto raro che un insegnante segnali a uno psicologo
o a un neuropsichiatra infantile bambini che hanno problemi di ansia o problemi depressivi, in quanto si
tratta di soggetti che di solito non disturbano e non creano problemi nella classe. Si tratta di alunni che
tendono a isolarsi, a chiudersi in se stessi, e che rimangono passivi e sottomessi nei confronti degli altri.
In effetti un deficit nelle abilità relazionali è una costante di molti disturbi emotivi. Se il bambino è
ansioso, ma ancor più se è depresso, manifesterà una certa inadeguatezza nel modo in cui si rapporta
con i propri coetanei.
Si è potuto constatare che la maggior parte dei disturbi emotivi sono influenzati da alcune modalità
distorte con cui il bambino o l'adolescente rappresenta mentalmente se stesso e il proprio mondo. Si
tratta della tendenza a ingigantire gli aspetti negativi della realtà, ricorrendo a modalità di pensiero
rigide e assolutistiche, ad esempio con un'eccessiva frequenza di termini quali sempre, mai, nessuno;
oppure considerazioni del tipo «Non me ne va mai bene una»; «Tutti ce l'hanno con me»; «Nessuno mi
vuole bene»; «Non ne faccio mai una giusta». La tendenza a categorizzare in modo estremo influisce
negativamente sull'umore e quando si consolida, diventando il modo abituale di considerare se stessi e
il proprio mondo, può condurre a disturbi emozionali quali ansia e depressione.
Per molto tempo una parte della psicologia ha cercato di spiegare le cause del disagio emotivo
andando alla ricerca di ipotetiche cause nascoste, negando gli aspetti più ovvi dei
comportamento e delle emozioni. Per cui se un bambino manifestava rabbia voleva dire che
era angosciato, se appariva depresso significava che era arrabbiato con se stesso. Attratti dal
fascino dell'occulto e del misterioso molti psicologi hanno negato all'individuo la sua storia
personale perdendosi nei meandri di un ipotetico inconscio. Purtroppo questa è la linea teorica
che ancora prevale nelle facoltà di psicologia italiane.
I più recenti contributi nell'ambito della prospettiva cognitivo-comportamentale hanno evidenziato che i
meccanismi psichici che governano le reazioni emotive sono da identificare come meccanismi
cognitivi, cioè modalità di pensiero, rappresentazioni mentali. Ed è proprio aiutando il bambino a
correggere gli errori presenti nel suo modo di rappresentarsi la realtà che possiamo metterlo in grado di
superare emozioni spiacevoli. In pratica, per toccare il cuore del bambino dobbiamo passare per la sua
mente, aiutandolo a cambiare gli elementi disfunzionali
dei suo dialogo interno. Dentro la nostra mente parliamo in continuazione a noi stessi, sia che ne siamo
consapevoli, sia che non ne siamo consapevoli. Quando non ne siamo consapevoli non è che questi
meccanismi siano inconsci, ma semplicemente non siamo abituati ad ascoltare la nostra mente. Si è
visto che se un bambino viene allenato fin da piccolo con apposite procedure, può essere in grado di
ascoltare se stesso ed essere cosciente di quali sono i contenuti mentali che influenzano il suo stato
emotivo. Per questo, la maggior parte dei programmi di prevenzione messi a punto in questi ultimi
dieci anni prende in considerazione il rapporto esistente tra pensiero e emozione. L'educazione
razionale-emotiva muove appunto dalla constatazione che è possibile favorire il benessere emotivo del
bambino insegnandogli, quanto prima possibile, a pensare in modo corretto.
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5. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
J. ASHER, Learning Another language Through Actions. The complete Teacher’s Guidebook,
Sky Oaks, Los Gatos, California, 1979
HOWARD GARDNER, Educare al comprendere. Stereotipi infantili e apprendimento
scolastico, Milano, Feltrinelli, 1993
RITA GATTI, Saper sapere – la motivazione come obiettivo educativo, Edizioni La Nuova
Italia Scientifica, Roma, 1992
P. IOTTI, "How to choose and use songs in Language Teaching" in Resource n.2 European
Language Institute, Recanati, 1996, pagg.11-12
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RENZO TITONE, “I fattori affettivi nell’apprendimento precoce della seconda lingua” in
L’insegnante di Lingua nella Scuola Elementare, Editrice La Scuola, Brescia,1993
ALFRED TOMATIS, “L’orecchio e la Vita”, ed Baldini & Castoldi 1992
ALFRED TOMATIS, “L’Orecchio e la Voce”, ed Baldini & Castoldi 1993
CLOTILDE PONTECORVO,ANNA MARIA AJELLO, CRISTINA ZUCCHERMAGLIO,
Discutendo si impara, interazione sociale e conoscenza a scuola, Edizioni La Nuova Italia
Scientifica, Roma, Terza ristampa, 1995
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