l~x hurnili polens: potere e urnanità nella biografia di ()razl<) Giuseppe Mario Pizzuti Si stenta a credere che sia vissuto duemila anni or sono l'alunno delle Muse e della sapienza, nostro conterraneo assurto ai vertici della letteratura mondiale, di cui celebriamo la memoria bimillenaria: l'altezza della sua opera è pari soltanto alla freschezza della sua modernità, alla sconcertante attualità della sua esperienza civile e politica. Si sarebbe dovuta attendere l'irruzione del Cristianesimo perché la cultura occidentale si imbattesse in una trasfusione integrale e perfetta della soggettività di un poeta nella sua stessa opera (pensiamo a Petrarca), che fosse paragonabile alla simbiosi realizzata da Orazio tra poesia e vita interiore; pur calata nel pieno del turbine politico dei suoi brevi anni. espelta delle onde minacciose aizzate c scagliate dagli eventi e dalle trasformazioni politico-sociali di quegli anni così decisivi per la storia di Roma e del mondo, la poesia orazÌana ci appare lo scoglio contro cui vanno ad infrangersi le onde tempestose della vita esteriore, posto a difesa dell' io dagli accadimenti esterni, dalla 'diversità' degli altri (pensiamo con insistenza alla 'solitudine' di Kierkegaard e di Nietzsche), a custodia della vita che il poeta considerava la sola autentica e degna di un uomo libero: l'interiorità, l'i ntrospezione, l'incessante avventura nei meandri della soggettività; con una espressione, che avrebbe avuto fortuna molti secoli dopo in un contesto culturale e spirituale totalmente diverso, potremmo dire: la storia della sua anima. La storicità dello spirito umano sarebbe stata una conquista che soltanto il cristianesimo avrebbe consentito all'uomo occidentale: non potremmo trovame traccia nell'esperienza e nell'opera di Orazio~ il quale, tuttavia, al pari dei sommi dell'antichità, ha colto e vissuto un altro complementare e precorritore aspetto della dialettica dello spirito, già intuÌto dalla grande ritlessione presocratica e oggi ri-scoperto da Heidegger: ogni autentico pro-gresso non puc\ che risolversi in un essenziale re-gresso, in un ritorno alle radici. Nella struttura della personalità umana e letteraria di Orazio, la memoria delle radici svolge un ruolo essenziale e creativo, coestensivo alla biografia intellettuale e interiore del poeta: al mondo della sua infanzia, indissolubilmente legato al borgo natìo, il poeta ritornò con frequente e struggente memoria, DicaI; qua violens obstrepit Aufidus / et qua pauper aquae Daunus agrestium / regnavit popu!orum, ex humili potens / princeps Aeolium carmen ad Italos / deduxisse tnodos; c con amore, sostenuto da una enorn1e ammirazione, nel ricordo di Venosa Orazio cercò sempre la figura paterna, qui macm pauper agello (... ) ipse mihi cuslOS incorruptissimus omnes / circum doclOres aderat, al punto da confessare ehe se, per ipotesi assurda, la natura gli avesse concesso di seegliersi altri genitori, egli non avrebbe avuto alcuna esitazione: suo padre sarebbe stato ancora il suo ideale, avrebbe avuto la sua scelta. La perfetta capacità, mai venuta meno, di ritornare alle origini e di rispecchiarvisi pienamente, anehe quando il poeta ebbe raggiunto i vertici della fama e la familiarità con i vertici del potere, nell'intimità di Augusto e di Mecenate, costituisce il segno più persuasivo del perfetto equilibrio raggiunto dalla sua personalità. Su questo equilibrio originario, coestensivo alla parabola della sua biografia intellettuale, prima ancora 141. che della sua opera poetica, genninò e si alimentò la caratteristica che ancor oggi ci rende Orazio un modello altissimo di vita: la ricerca e la contemplazione della sapienza; da autentico amante della sapienza, cioè filosofo nell 'accezione socratica. Orazio. più che ansioso di porsi alla scuola di questo o quel maestro, cercò da solo, nei meandri della propria interiorità e nel culto delle piccole quotidiane virtù il gusto e il senso deIl' esistenza: 1a ri cerca di verità, di onestà, di pace ri empie il mondo interiore del Vena sino e ne struttura la biografia etica e intellettuale. Certamente non piccolo fu l'influsso esercitato sulla maturazione e l'orientamento del suo pensiero dalle grandi correnti della filosofia greca trapiantate a Roma, nella temperie culturale e civica del centro cosmopolita, capitale dell'Impero: soprattutto l"epicureismo, che Orazio conobbe non solo nell' Accade mia di Atenc, ma anche - soprattutto - nel Gi ardino epicureo di Napo li; c'è da dire al riguardo che la filosofia a Roma non fu la copia del pensiero ellenistico, come una diuturna tradizione storiografica ha voluto sostenere, ma ebbe una proptia originalità. uno spessore autoctono che forse finora non è stato adeguatamente valutato e che in ogni caso non ha consentito di cogliere fino in fondo la grandezza di personalità come appunto il nostro Orazio. Insieme all'epicureismo c'era lo stoicismo, al quale il Nostro si avvicinò negli ultimi anni, in particolare nelle Epistole, al punto che non è mancato chi ha voluto parlare di conversione: certo. è innegabile una evoluzione nella tiflessione esistenziale del poeta, così come una diversificazione nell'accentuazione sull'uno o l'altro modello filosofico: ma, nell'insieme, le tematiche non mutano. La filosofia di Orazio è la filosofia del "vivere contento del poco", quale summa della sapienza, evitando gli eccessi, le ambizioni, le passioni che sono la causa del dolore e dell'infelicità umana; una poesia filosofica, diremmo, umile e piana, che il poeta non dibatteva nelle accademie o con titolati interlocutori, ma nella sua villa Sabina, con persone umili: dal compaesano Ofelio, allo schiavo Davo a cui, in occasione delle libertà concesse dai Saturnali, il poeta permetteva che gli facesse per così dire il processo, cioè un esame di coscienza rinfacciandogli debolezze e mancanze: da uomo moderno ante litteram, Orazio faceva ricorso allo strumento della maschera, che avrebbe poi assunto un'importanza enorme nella struttura della personalità dell'uomo moderno. In effetti la sapienza, cioè l'investigazione filosofica era, in quel tempo, il massimo ideale dell'alta cultura romana: basti pensare al contemporaneo più illustre di Orazio, il grande mantovano, Virgilio; tuttavia, l'amore della sapienza Orazio non l' avev a certame nte attinto dagli epicurei, ma l' aveva per così dire respirato nella casa paterna, gli era stato trasmesso dalla figura del padre, un povero schiavo che, affrancato, aveva sognato per il figlio l'ideale esistenziale che a lui la vita aveva negato, pur senza infierire. Nel giovane Orazio si era conservata tenace, coniugandosi strettamente con l' amore della filosofia, il disgusto della grande vita politica, della città cosmopolita; le sue attenzioni andavano alla gente del popolo, alle prese con i problemi della vita quotidiana, alle "cose che giovano all'interiorità", "quod me tacitum iuvet": perciò il suo ideale rimase la vita del "topo di campagna". o rus, quando te adspiciam... O campagna, quando ti rivedrò? e quando mi sarà concesso di trascorrere la triste vita in un piacevole oblio, ora tra i libri degli antichi, ora nel sonno e nel dolce far niente?". Ecco l'aspirazione suprema di Orazio: in essa c'è tutta la sua filosofia, si annuncia la resa della grande cultura classica di fronte al mistero dell'esistenza, ma c'è anche tutta intera la straordinaria modernità del poeta, precorritrice e paradi gma dell' approdo dell'uomo contemporaneo. Dai foschi orizzonti delle guerre civili, so1cati dai lampi della lotta fratricida. alla distensione dei 142 tempi nella quiete aurea della pax romana finalmente ricomposta nell'impero pacificato, l'esperienza politica di Orazio si dipana con un impegno di partecipazione etica e politica che ci si offre ancora, dopo duemila anni, come una lezione altissima di libertà interiore ed esteriore. raggiunta e mantenuta senza demonizzare 1'impegno politico: una lezione di perenne attualità, ma paIticolarmente pertinente nella presente congiuntura politico-istituzionale che attraversa !'Italia. Non sarà superfluo sottolineare che 1'anelito di Orazio alla libertà, la sua incrollabi le scelta per la libertà abbiano radice e giustificazione nella prima educazione ricevuta dal padre: contro i condizionamenti della nascita, contro i limiti posti dalI'ordinamento sociale del tempo, la tenace determinazione del poeta, sollecitato dal padre, a pareggiare con l'impegno personale di studio il proprio livello di vita con quello delle classi più elevate, costituisce un esempio altissimo di libertà essenziale. Un uomo il quale riesca in un intento di tal genere è certamente e sarà per tutta la vita un uomo gratificato, pronto a confermare in ogni occasione quella iniziale e - diremmo - archetipica vittoria, appassionatamente legato ai suoi inizi; è quanto riscontriamo in Orazio, figlio di un liberto, assurto ben presto, unicamente grazie alle proprie capacità, ai livelli più alti della società romana. Ma la scelta di Orazio per la libertà ebbe una grande sollecitazione dall'incontro con l'epicureismo: nella versione romanizzata, l'antico precetto di "vivere in segreto", cioè nella propria privacy, si coniugava con un interesse profondo per la vita dello Stato, che le passioni umane avrebbero potuto travolgere al pari dell'individuo: in tal senso. tutti coloro che anteponevano il proprio interesse alla sicurezza dello Stato erano considerati da Orazio i 'tiranni' da combattere; questo spiega anche la iniziale opzione del Venosino, negli anni del conflitto tra Cesare e Pompeo, per la Repubblica, condivisa in generale dall'ambiente epicureo, e ancor di più dopo la morte di Cesare, nella lotta dei 'liberatori' contro Antonio e Ottaviano: una scelta per la quale Orazio avrebbe pagato un alto prezzo personale: nominato da Bruto - lui, liberto - tribuno militare, gli costò molto la sconfitta di Filippi, con la conseguente confisca delle terre e di ogni proprietà personale. Ma l'altezza della Musa oraziana si dimostrò ben più efIicace di qualsiasi ragione politico-militare, se la presentazione a Mecenate ad opera di Virgilio e Vario segnò l'inizio dell'ascesa del Venosino alla familiarità con i vertici del potere politico, e una profonda mutazione nel suo orientamenlo politico: i risultati ampiamente positivi dell'opera di Augusto, la restaurazione e la pacificazione dello Stato, la grande stagione delle opere di pace inaugurata dal Princeps, convinsero Orazio - soprattutto dopo la definitiva vittoria di Azio - che Ottaviano, già magnanimo nei suoi confronti e ora divenuto Augusto, incarnava ormai il destino e il futuro di Roma. Il favore esplicito e crescente del Princeps, il corteggiamento di cui il figlio del li berto era fatto oggetto da Augusto e Mecenate, furono corrisposti in termini di riconoscenza con composizioni poetiche di valore immortale, ma non poterono minimamente scalfire la scelta del Venosino per la libertà, anche esteriore; le insistenze di Augusto, che per il tramite di Mecenate gli oflriva di diventaI'e suo segretario, rimasero vane, né pregiudicarono il favore imperiale che rimane intatto nonostante il 'superbo rifiuto'. Orazio aveva accompagnato il proprio rifiuto con una bellissima e profonda giustificazione, contenuta in una stupenda ode: Crescentem sequitur cura pecuniam / maiorumque fames... Con il crescere dell'oro crescono le ansie e la fame di beni più grandi ... Quanto più l'uomo sarà sobrio, tanto più riceverà dagli dei. Nudo m'avvio all'esercito di quelli che non desiderano nulla, e preferisco abbandonare come un disertore le file dei ricchi. .." I suoi desideri, la sua aspirazione consistono in "un ruscello 143 di limpida acqua e un boschetto di pochi iugcri e la certa promessa di un raccolto mio", Paradossalmente, la rinuncia di ispirazione epicurea gli metteva a portata di mano quella felicità che ricchezze colossali non riuscivano ad offrire: gli assicuravano la quiete, ma non l'indiflerenza; quanto più profondamente entrava nell' ordine di idee di quella filosofia, tanto più gli appariva vergognosa la società: il grande strumento dell' azione politica di Orazio fu la "satira", diretta a colpire e a smascherare le illusioni, i pregiudizi, la vanità delI' agire umano. La scelta interiormente liberatrice gli consenti va di gUlli"darc cl al di fuori, o clall' alto, l' agirarsi di que11a società che stava affogando in una farro a di consumismo ante litteram e che avrebbe finito con soccombervi. 144