Chimica analitica generale

A03
20
Mario Vincenzo Russo
Chimica
analitica generale
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88–548–0868–7
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di riproduzione e di adattamento anche parziale,
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 2006
PREFAZIONE
La Chimica Analitica richiede la conoscenza di concetti
di termodinamica, di spettroscopia, di elettrochimica, di chimica
generale, chimica organica e praticamente da tutti i campi della
chimica-fisica. Questo testo è rivolto agli studenti di Chimica e
Chimica Industriale, di Chimica e Tecnologia Farmaceutiche e
di Scienze e Tecnologie Alimentari con poche conoscenze di
chimica-fisica, inizia con una rapida introduzione per inquadrare
qualche concetto sull’equilibrio chimico, sull’attività, sullo stato
solido e delle soluzioni. Si è cercato di evitare il più possibile la
ripetizione di quanto lo studente deve già conoscere dagli studi
precedenti. Nella trattazione degli argomenti fondamentali, acidi
e basi, ossidanti e riducenti, complessi, solubilità, ecc.., si è fatto
uso di diagrammi e calcoli, che costituiscono un mezzo efficace
di espressione e di lavoro. Non si troverà eccessiva una certa
insistenza nel trattamento matematico, peraltro molto semplice,
dedicato al calcolo degli equilibri e dei diagrammi. Si osserverà
che nel testo, salvo qualche riferimento, si ignorano le tecniche
strumentali di analisi. Questo non va considerato come
sottovalutazione delle tecniche strumentali, la cui importanza
aumenta di giorno in giorno e diventa indispensabile in ogni
campo dell’analitica. Proprio per la sua indiscutibile rilevanza, è
necessario trattare, in modo adeguato, in corsi a se stanti, la
chimica analitica strumentale.
In questo testo di analitica generale, l’autore ha ritenuto
opportuno, limitare lo studio agli argomenti di carattere
fondamentale e formativo, che costistuiscono la base culturale
indispensabile di ogni chimico analitico o di chi vuole affrontare
temi di chimica analitica, indipendentemente dalle tecniche
strumentali che dovrà utilizzare.
Il chimico analitico, come qualsiasi altro sperimentatore,
deve avere costantemente presente che ogni operazione empirica
5
6
Prefazione
è, in qualche modo, una “materializzazione della teoria” e,
d’altra parete, deve “sentire” , con la sensibilità che gli proviene
da una adeguata preparazione teorica, fino a che punto il sistema
reale consenta di ritenere valide le ipotesi sulle quali è stata
costruita la teoria.
Prof. Mario Vincenzo Russo
CAPITOLO I
I SOLVENTI
L’acqua
L’acqua è il solvente più comune e poiché gran parte
delle reazioni analitiche si svolgono in fase acquosa è di
fondamentale importanza comprendere le proprietà delle
soluzioni acquose alla luce della struttura dell’acqua stessa, di
confrontarle con quelle in altro solventi e di comprendere il
fenomeno della solubilità.
E’ noto che l’acqua possiede delle caratteristiche
particolari e singolari: allo stato solido ha un peso specifico
minore che allo stato liquido; riscaldata al di sopra del punto di
fusione diminuisce di volume fino a raggiungere il massimo
valore di densità a 4°C, mentre al di sopra di questo valore si
espande come qualunque altro liquido.
Il calore specifico dell’acqua è maggiore di quello di
qualunque altro liquido, e per quanto la molecola dell’acqua sia
di piccole dimensioni ed abbia un basso peso molecolare,
l’acqua ha una temperatura di fusione e di ebollizione
particolarmente elevate.
Più che il valore assoluto di tali grandezze è importante
confrontale con quelle relative agli idruri degli elementi che si
trovano adiacenti all’ossigeno nel sistema periodico e cioè
l’acido fluoridrico e l’ammoniaca (vedi Tab I-1).
È molto significativo il confronto della temperatura di
ebollizione dei composti idrogenati degli elementi del VI e del
IV gruppo, riportato in Fig. I-1.
7
8
Capitolo I
Tabella I-1. Caratteristiche di NH3, H2O, HF
Peso Molecolare (PM)
Punto di fusione (°C)
Punto di ebollizione (°C)
Calore di vaporizzazione (cal/g)
Costante dielettrica (a 0°C)
NH3
17
-78
-33
327
19,6
H 2O
18
0
100
540
88,0
HF
20
-83
20
360
83,6
°C
100
• H2O
H2Te
•
0
H2Se
•
•SnH
4
H2 S •
SiH4
-100
•GeH
4
•
CH4•
-200
10
20
30
40
50
60
Numero di elettroni per molecola
Figura I-1. Temperatura di ebollizione di alcuni idruri degli
elementi del IV e VI gruppo.
Si osserva per questi composti un andamento del tutto
similare, e cioè la temperatura di ebollizione aumenta al crescere
del numero degli elettroni per molecola. Se, prendendo come
riferimento l’idrogeno solforato, si estrapolasse il grafico per
ricavare il valore del punto di ebollizione dell’acqua, si
otterebbe un valore pari a circa (-110°C), molto diverso dal
valore reale osservato (+100°C). La proprietà che più nettamente
E
I solventi
9
differenzia l’acqua dagli altri solventi è la sua costante
dielettrica; il significato ed il valore di questo parametro appare
evidente dalla legge di Coulomb:
q ×q
F = 1 22
D×d
La forza (F) che si esercita tra due cariche q1 e q2 alla
distanza d è tanto più elevata quanto più piccola è la costante
dielettrica (D); e cioè il lavoro per separare due cariche uguali
ad una distanza d, nell’acqua è circa 1/80 del lavoro eseguito
nell’aria, 1/2,27 nel benzene, 1/20 nell’acetone e 1/24
nell’alcool etilico. I reciproci dei valori indicati rappresentano i
valori delle costanti dielettriche.
L’acqua ha quindi un valore di costante dielettrica più
elevata di quella dei solventi organici, generalmente compreso
fra 2 e 10. Questo valore elevato dimostra che la forza che si
stabilisce fra gli ioni in soluzione acquosa è molto debole, e che
di conseguenza gli ioni hanno in questo solvente una particolare
libertà. Nella Tab. I-2 sono riportati i valore della costante
dielettrica di alcuni solventi a 25°C.
La costante dielettrica diminuisce all’aumentare della
temperatura e ciò equivale a dire che il lavoro necessario per
allontanare le particelle cariche, l’una dall’altra, é maggiore a
temperatura più elevata. Molte proprietà, particolari, dell’acqua
sono dovute alle interazioni che si stabiliscono tra di esse; e tali
interazioni sono comprensibili dall’esame della struttura
molecolare.
È noto che la formazione di una molecola di acqua
avviene perché si formano due legami covalenti (s-p) fra
l’idrogeno (1s1) e l’ossigeno (1s22s22p4) e che la molecola
dell’acqua ha una struttura tetraedrica: due coppie di elettroni
“solitari”, (che non partecipano alla formazione del legame), e
due coppie di elettroni di legame che occupano, infatti, i quattro
orbitali orientati verso gli spigoli di un tetraedro Fig. I-2.
10
Capitolo I
Tabella I-2. Costante dielettrica di alcuni solventi a 25°C
Composto
Diossano
Benzene
Nitrobenzene
Etere di etilico
Acetato di etile
Acetone
Alcool etilico
Alcool metilico
Acqua
Acido cianidrico
Tetracloruro di carbonio
Cloroformio
n-Esano
Formula
C4H8O2
C6H6
C6H5NO2
C4H10O
C4H8O2
C3H6O
C2H5OH
CH3OH
H2O
HCN
CCl4
CHCl3
C6H14
Costante
2,213
2,27
34,8
4,23
6,02
20,7
24,3
32,6
80,4
107
2,2
4,8
1,9
Poiché la stereochimica di una molecola é determinata
dalle coppie di elettroni di legame e dalle coppie di elettroni
solitari, l’angolo di legame H-Ô-H nell’H2O risulta di 104°45’
invece del teorico 109°47’.
Ciò può comprendersi in base alle interazioni
elettrostatiche che si stabiliscono fra le varie coppie di elettroni.
I due orbitali delle coppie di elettroni solitari sono più vicini al
nucleo dell’atomo da cui provengono ed esercitano l’uno su
l’altro una elevata repulsione; gli orbitali dovuti agli elettroni di
legame sono invece orientati fra i due atomi e la loro mutua
repulsione é comparativamente più bassa.
La diminuzione dell’angolo di legame di circa 5° é
dovuta proprio alla diversa interazione elettrostatica fra gli
elettroni dei vari orbitali. In conseguenza di queste
caratteristiche strutturali la molecola può essere rappresentata
con differenti schemi.
Nello schema a il cerchio aperto corrisponde al nucleo
dell’ossigeno ed i cerchi chiusi agli atomi d’idrogeno e le
distanze riportate indicano le distanze di legame O-H (0,97 Å) e
H-H (1,54 Å). In b, c, d, ed e è mostrata la molecola dell’acqua
E
I solventi
11
secondo gli schemi a nube carica, a biglie e a bastoncini secondo
differenti orientamenti; in f si ha lo schema della molecola
dell’acqua con gli elettroni rappresentati con punti ed in g ed h il
diagramma con gli orbitali che mettono in evidenza la struttura
tetraedrica della molecola dell’acqua.
Figura I-2
Molecole Polari
È noto che le molecole nelle quali i centri delle cariche
positive e negative occupano posizioni differenti formano dei
dipoli elettrici e che le molecole in cui é presente un dipolo
viene indicata come molecola polare.
La molecola dell’acqua è, quindi, una molecola polare:
in essa infatti l’atomo d’idrogeno e d’ossigeno differiscono per
il valore di elettronegatività e c’è, pertanto, uno spostamento
degli elettroni nei legami verso il più elettronegativo (atomo di
12
Capitolo I
ossigeno): ne consegue che il legame O-H è, quindi, polare.
Inoltre, come, si può osservare dalla Fig. I-2 (g e h), la carica
negativa dovuta alle coppie di elettroni solitari è localizzata
molto al di sopra del nucleo dell’ossigeno. Per far risultare
questa caratteristica la molecola dell’acqua può essere
rappresentata anche con uno dei seguenti schemi: in Fig. I-3 a le
frecce piccole mostrano lo spostamento delle cariche
elettroniche nella molecola e le frecce lunghe rappresentano il
momento risultante dell’intera molecola; nello schema b in
modo semplificato viene messa in evidenza la natura polare
della molecola dell’acqua
.
-
+
H
H
a
b
Figura I-3
Una misura quantitativa della polarità di un composto è
fornita dal momento dipolare (m). Se si considera un dipolo
costituito da 2 cariche opposte di grandezza a separate dalla
distanza d, si definisce come momento dipolare il prodotto di d
per q:
m = d ×q
che viene espresso in unità Debye. Se q è la carica di un protone
o di un elettrone e d è 1 Angstrom ( = 10-8 cm) il prodotto
risultante corrisponde a 4,8 Debye. Poiché la carica di un
elettrone è di circa 4,8×10-8 ues (unità elettrostatiche) si ha:
13
I solventi
E
1 Debye = 10-8×10-10 = 10-18 ues cm
Un legame è quindi polare se è costituito da atomi che hanno un
differente valore di elettronegatività e conseguentemente è
polare la molecola in cui è presente questo tipo di legame; sono
polari, quindi, la molecole dell’acqua (1,84 Debye), dell’acido
cloridrico (1,08 Debye), dell’acido cianidrico (2,95 Debye),
della glicocolla (15 Debye) ecc..
Una molecola, nella quale i singoli legami sono polari,
può risultare non polare se i loro legami sono disposti
simmetricamente, come nel benzene (C6H6), nel tetracloruro di
carbonio (CCl4), nell’anidride carbonica (C02), nel diossano
ecc…. Se si esaminano i momenti dipolari di alcuni idruri come
NH3
CH4
HF
H2O
1,91
1,84
1,30
0
si osserva che il momento dipolare decresce al diminuisce del
carattere di non metallo (decremento dell’elettronegatività): per
l’acido fluoridrico si ha un momento dipolare elevato, sia per la
grande elettronegatività del fluoro che attrae elettroni, sia per la
presenza di tre coppie di elettroni liberi, che contribuiscono
appunto al valore del momento dipolare; nel metano invece il
momento dipolare è uguale a zero per la simmetria tetraedrica
della molecola.
Il momento dipolare, espresso in Debye, di alcuni
solventi è riportato in Tab. I-3.
Tabella I-3. Momenti dipolari di alcuni solventi più comuni
Nitrobenzene
Acqua
Etanolo
Fenolo
Acido acetico
4,18
1,84
1,70
1,70
1,70
Ammoniaca liquida
Cloroformio
Benzene
Carbonio tetracloruro
Acetone
1,46
1,15
0
0
2,90
È da tenere presente che il momento dipolare dell’acqua
è abbastanza elevato ma non elevatissimo.
14
Capitolo I
Interazione fra molecole di acqua
La più semplice organizzazione delle molecole di acqua
si osserva nel vapore acqueo ad elevata temperatura e a basse
pressioni: le molecole in queste condizioni sono
sufficientemente distanti le une dalle altre, si muovono
disordinatamente e non si esercita fra loro alcuna forza.
In queste condizioni l’acqua si comporta come un gas
ideale e non esibisce alcuna caratteristica particolare. Se però il
sistema viene raffreddato o compresso, le molecole si muovono
con minore libertà e vengono a verificarsi numerose interazioni.
E’ noto che quando le molecole di un composto vengono fatte
avvicinare, si stabiliscono deboli attrazioni provocate dalla
reciproca distorsione delle relative nubi elettroniche. Queste
possono essere forze di dispersione, così dette perché legate alla
dispersione della luce da parte di un mezzo e sono di tipo
aspecifico perché si hanno per qualsiasi tipo di gas o vapore
(forze di London); forze attrattive si hanno anche per molecole
che hanno campi elettrici esterni permanenti (momenti dipolari)
o indotti in molecole che possiedono nubi elettroniche
orientabili sotto l’azione di un campo elettrico.
Questi tre tipi di forze di interazione molecolare, che
provocano un effetto attrattivo e che sono genericamente
chiamate forze di Van der Waals, aumentano con il numero di
elettroni nella molecola, ed è questa la ragione per cui si osserva
un costante incremento della temperatura di ebollizione fra i
composti di una serie omologa o fra composti simili di elementi
di uno stesso gruppo (vedi idruri elementi del IV e del VI
gruppo in Fig. I-1).
Queste forze attrattive diventano repulsive quando le
molecole si avvicinano a tal punto da aversi sovrapposizione
delle orbite elettroniche. Nel caso dell’acqua tali forze attrattive
sono di entità maggiore, rispetto a due molecole non polari,
proprio in conseguenza dell’interazione additiva che si stabilisce
fra i dipoli e che spiega perché le molecole di vapore acqueo
siano più facilmente condensabili rispetto alle molecole di
I solventi
15
sostanze non polari come l’azoto. Pur tenendo conto di ciò, non
e però possibile interpretare esclusivamente in base a queste
interazioni le particolari proprietà dell’acqua.
Utili informazioni si ricavano dallo studio dell’acqua allo
stato solido. Dall’esame mediante diffrazione con raggi X si
ricava che ogni molecola di acqua è circondata da altre quattro
molecole di acqua e che la distanza fra due atomi di ossigeno
contigui è di 2,75 Å. Queste unità tetraedriche, mettendo in
comune i relativi spigoli, danno luogo alla caratteristica struttura
a simmetria esagonale, che si osserva nei cristalli di neve e che
viene riportata in Fig. I-5. Il reticolo cristallino del ghiaccio ha
quindi grosse cavità e presenta una struttura aperta: ciò spiega la
bassa densità del ghiaccio; se esso fosse costituito da microsfere
del diametro di 2,76 Å, impaccate insieme, un grammo di
ghiaccio dovrebbe occupare un volume di 0,5 mL.
Poiché il suo volume specifico è di circa 1,09 mL/g,
cioè circa il doppio, le molecole presentano una bassa densità di
impaccamento. La struttura del ghiaccio è simili a quella della
tridimite, una delle forme di silice meno densa, costituita da
tetraedri di SiO4 legati mediante atomi di ossigeno.
Le forze responsabili della stabilità del reticolo del
ghiaccio sono indicate come “legami idrogeno” o “ponti
idrogeno”. Essi sono indicati in Fig. I-4 con delle linee
tratteggiate.
Nel legame idrogeno si osserva che ogni idrogeno
carico positivamente viene attratto elettrostaticamente da un
ossigeno carico negativamente. Ne risulta, pertanto, un legame
relativamente debole, in cui i piccoli atomi di idrogeno
funzionano come un ponte fra due atomi di ossigeno fortemente
elettronegativi. Il legame idrogeno è più intenso delle forze di
London o di quelle fra dipolo e dipolo ma molto più debole di
un legame covalente.
Dal punto di vista quantitativo le forze di London, sono
dell’ordine di grandezza di poche unità di kilocalorie, mentre un
legame covalente responsabile invece della formazione di una
entità molecolare è dell’ordine di grandezza di decine di
kilocalorie. Il legame idrogeno è, come il legame covalente,
16
Capitolo I
limitato solo ad alcune direzioni ed i ponti idrogeno sono dei
legami lineari: a ciò si deve la struttura aperta del ghiaccio.
Quando il ghiaccio fonde i legami idrogeno si piegano ed alcuni
di essi si rompono: la struttura aperta viene deformata per dar
luogo alla temperatura di 4°C ad una struttura meno aperta, alla
quale prendono parte un numero inferiore di legami idrogeno.
Se si innalza ulteriormente la temperatura, la densità del
liquido diminuisce, e un numero crescente di legami idrogeno
viene spezzato: ciò nonostante un notevole numero di legami
rimane inalterato con formazione di aggregati generalmente
indicati come (H2O)n. In realtà non si può attribuire all’acqua
una composizione ben definita poiché in essa sono presenti alle
varie temperature sia il monomero, che il dimero, che il trimero,
che altre forme polimeriche complesse.
L’esistenza dei legami idrogeno spiega i caratteristici
valori osservati per l’acqua: l’elevato calore specifico, l’altro
punto di fusione, l’alto punto di ebollizione, la bassa tensione di
vapore, il grande calore di fusione e di evaporazione. Il legame
idrogeno che si osserva nell’acqua è fra i più forti che si conosce
ed è pari a circa 6 kcal/mole. Alla temperatura di ebollizione
l’acqua è prevalentemente in uno stato associato ed è stato
calcolato che circa 2/3 del calore di evaporazione dell’acqua, al
suo punto di ebollizione, è utilizzato per spezzare i legami
idrogeno che esistono a quella temperatura. L’esistenza di
legami idrogeno in un composto chimico può essere desunto dal
valore della temperatura di ebollizione particolarmente alto
rispetto a quello di composti di composizione simile, dal valore
della costante dielettrica, dal calore di sublimazione o di
evaporazione, da anormalità nello spettro del liquido e da
esperienze di diffrazione.
Legami idrogeno vengono formati da molte sostanze
come ad esempio ammoniaca, acido fluoridrico, alcoli, molti
acidi, molti idrossidi e nelle proteine ecc.. Ad esempio l’acido
formico (HCOOH), l’acido acetico (CH3COOH) hanno una
temperatura di ebollizione particolare elevata ed il loro peso
molecolare in soluzione è circa doppio di quello che sarebbe da
attendersi in base alla formula riportata.
17
I solventi
E
Ciò si deve al fatto che in solventi non polari, l’acido
formico o l’acido acetico, mediante legami idrogeno forma un
dimero con la seguente formula in cui le linee tratteggiate
indicano la formazione di un legame idrogeno:
1,63 A
1,07A
H
O
C
C
H
O
O
H
H
O
H
H
H
H
H
H
••
•O
•
H
•O•
• •
H
••
O• •
••
O
••
H
••O••
H
H
H
H
•
•O•
•
H
O
•O•
••
H
H H
H
• O•
• •
H
H
••O•
•
Figura I-4.
Si osservi che in questa struttura la lunghezza dell’OH
nel legame idrogeno è maggiore della lunghezza del legame OH
in un legame covalente e ciò indica che il legame idrogeno è
assai più debole del corrispondente legame covalente. Come si è
detto i legami idrogeno nell’acqua sono particolarmente forti. Le
molecole dell’ammoniaca e dell’acido fluoridrico, per quanto
18
Capitolo I
contengano lo stesso numero di elettroni delle molecole di acqua
non danno luogo a complesse strutture spaziali analoghe a quelle
che si osservano nel ghiaccio. Ciò dipende dal fatto che nella
molecola di ammoniaca vi sono tre idrogeni che possono
formare legami con altre molecole, ma solo una coppia di
elettroni solitari e nell’acido fluoridrico vi sono invece tre
coppie di elettroni solitari, ma solo un idrogeno: le sue molecole
si associano quindi per formare anelli e catene ma non reticoli:
(-----H-F-----H-F-----H-F-----H-F-----)n
I legami idrogeno si osservano in tutti quei composti in
cui l’atomo d’idrogeno viene a trovarsi fra due atomi
elettronegativi, di solito azoto, ossigeno, fluoro e il successo
dell’idrogeno nel formare tale legame è dovuto anche alla sua
piccola dimensione e alla mancanza di orbite elettroniche, per
cui è possibile alla carica positiva del nucleo d’idrogeno di
avvicinarsi alle cariche negative degli altri atomi.
Gli altri atomi elettropositivi, come litio o sodio, non
formano ponti perché la repulsione fra le loro orbite elettroniche
e quelle degli atomi elettronegativi è molto forte. Gli esempi
finora considerati riguardano legami fra molecole differenti, ma
vi sono casi in cui i legami idrogeno hanno luogo fra gruppi
della stessa molecola: si parla in questo caso di legami idrogeno
intramolecolari.
Ad esempio nell’acido o-idrossi benzoico o nell’aldeide
salicilica la presenza di un gruppo carbossilico o aldeidico ed
ossidrilico vicini porta alla formazione di un legame idrogeno
fra questi gruppi.
I solventi
19
Figura I-5.
L’esistenza di legami idrogeno intramolecolari non porta
a valori anomali delle varie proprietà come si osserva nei
composti in cui si hanno legami idrogeno intermolecolari. Gran
parte delle reazioni che avvengono in soluzione acquosa ed i
vari processi biochimici, dalle strutture delle proteine alla
formazione di sudicio sulla pelle o sui tessuti, sono processi
dovuti, essenzialmente, alla formazione di legami idrogeno.
Relazione fra momento dipolare e costante dielettrica
L’esistenza di legami idrogeno fra le molecole di acqua
spiega un’altra particolarità: si osserva che l’acqua ha una
elevata costante dielettrica, maggiore di quella dei liquidi non
polari, come C6H6 o CCl4, per quanto non abbia un momento
dipolare molto alto. Ciò può spiegarsi tenendo conto che il
20
Capitolo I
momento dipolare di una molecola è una proprietà che dipende
dalla coesistenza di un gran numero di molecole, ed è quindi
particolarmente alto a causa dei legami idrogeno esistenti.
La relazione fra costante dielettrica e momento dipolare
può ricavarsi seguendo il comportamento di un condensatore,
cioè di una capacità elettrica. Questa è costituita da due armature
o placche parallele, isolate, collegate ad una batteria come
in Fig. I-5. Quando queste sono collegate ad una batteria gli
elettroni vengono “aspirati” da una placca, che acquista, di
conseguenza, una carica positiva e “compressi” all’altra placca,
che acquista una carica negativa. Il flusso di elettroni che si
verifica da una placca all’altra, in un tempo brevissimo si
arresta, per l’accumulo della carica sulle placche che si oppone
ad un ulteriore trasferimento di elettroni.
Maggiore è la tensione applicata dalla batteria sulle
armature più elevata è la carica su di esse e, quindi, si definisce
come capacità di un condensatore il rapporto fra la carica delle
placche e la tensione applicata. Una particella carica come uno
ione posto fra le placche di un condensatore è quindi soggetta ad
un campo elettrico e l’intensità di tale campo è proporzionale
alla carica per unità di superficie. La capacità di un condensatore
aumenta quando lo spazio fra le placche è riempito con un
liquido e se questo è polare si osserva quanto indicato in Fig. I-6
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
a
b
Figura I-6.
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
I solventi
21
Prima che il condensatore venga caricato i dipoli si
muovono in modo disordinato (6 a), ma, come il condensatore è
caricato i dipoli tendono ad orientarsi (6 b) e tendono a formare
strati di cariche positive e negative. Questo allineamento
diminuisce il campo elettrico fra le placche, poichè le cariche
distribuite su di esse tendono ad essere neutralizzate dalle
cariche alla superficie del liquido, ma la batteria riporta il campo
elettrico al suo valore originale trasferendo un numero più
elevato di cariche sulle placche.
La capacità di un condensatore aumenta, quindi,
riempiendo lo spazio fra le placche con un liquido polare e tanto
maggiore è il momento dipolare delle molecole che
costituiscono il liquido tanto più elevato è l’incremento di carica
e tanto più grande è la capacità del condensatore. In base alla
legge di Coulomb la forza che agisce su di uno ione fra le
placche di un condensatore è direttamente proporzionale alla
carica per area unitaria delle armature ed inversamente
proporzionale alla costante dielettrica del liquido. Maggiore è la
costante dielettrica, più elevata è la carica per mantenere una
data forza su di uno ione.
Se si indica con l’unità la costante dielettrica dello spazio
vuoto, la costante dielettrica di un liquido è data da:
cos t . dielettrica liquido =
capacità cond . con Liq .
capacità cond . Vuoto
La capacità di un condensatore pieno con acqua è circa
80 volte maggiore di quella di un condensatore vuoto. Anche i
liquidi non polari hanno costante dielettrica maggiore dell'unità:
ciò è dovuto al fatto che il campo elettrico induce un
temporaneo spostamento di cariche nella loro molecola e di
conseguenza il centro delle cariche positive ed il centro delle
cariche negative non coincidono. La molecola risulta quindi
polarizzata dal campo elettrico ed ha un momento dipolare
indotto. Anche nel caso dei liquidi polari si ha un momento
22
Capitolo I
dipolare indotto ma la sua entità è piccola rispetto al momento
dipolare permanente.
Le costanti dielettriche dei liquidi non polari (vedi Tab.
I-2) sono comunque molto basse, circa il doppio di quanto si
osserva nel vuoto. Le costanti dielettriche dei liquidi le cui
molecole sono legate da legami idrogeno sono particolarmente
elevate: i legami idrogeno legano infatti le molecole formando
aggregati di grandi dimensioni che hanno un momento dipolare
molto più elevato di quello di una semplice molecola. Questo è
particolarmente vero per l’acqua che contiene una rete
tridimensionale di molecole, per l’acido fluoridrico e l’acido
cianidrico costituite da lunghe catene di molecole.
Nell’ammoniaca il legame idrogeno non può formare
grandi aggregati e la costante dielettrica dell’ammoniaca, allo
stato liquido, è notevolmente più bassa rispetto a quella
dell’acqua e dell’acido fluoridrico.
Ionizzazione dell’acqua
Accurate misure eseguite da F. Kohlrausch e A.
Heydweiller dimostrarono che l’acqua, anche dopo la più
rigorosa purificazione, mostra una conducibilità di circa
4 x 10-8 Ω-1 cm-1 a 18°C. Tale conducibilità non poteva essere
spiegata che ammettendo una dissociazione elettrolitica molto
piccola dell’acqua, presenza di ioni idrossonio (H3O+) e ioni
ossidrile (OH-), che si formano nella reazione di dissociazione:
2 H 2 O ¡ê H 3O + + OH in conseguenza dello spostamento di un protone da una
molecola all’altra
H
••
O•
•
H
H
• ••
O•
(
H
H
H
••
O
+
)+(
H
• ••
O
• ••
)
-
H
(1)
I solventi
23
In acqua e in tutte le soluzioni acquose, si stabilisce un
equilibrio fra le molecole di acqua indissociate e ioni H+ e OHidradati. Note le mobilità degli ioni idrogeno e ossidrile,
Kohlrausch poté calcolare le seguenti concentrazioni:
[H+] = [OH-] = 0.8 x 10-7 eq L-1 a 18 °C
[H+] = [OH-] = 1.0 x 10-7 eq L-1 a 25°C
Col termine di ione idrossonio si intende definire lo ione
idrogeno idratato e cioè H+(aq); in realtà, tenendo conto della
complessa struttura dell’acqua e dell’esistenza di varie forme
polimeriche, mentre è da escludere in soluzione l’esistenza di
protoni liberi, H+, l’idratazione del protone dà luogo a specie
ioniche come H3O+, H5O2+, H7O3+, H9O4+ ecc… La
rappresentazione dello ione idrogeno idratato come H3O+
costituisce quindi un’approssimazione semplificata e così pure
quando il comportamento in soluzione viene descritto in termini
di H+ si deve sempre considerare come H+(aq).
La debole conducibilità dell’acqua è dovuta al
movimento degli ioni sotto l’azione di un campo elettrico e per
spiegare la notevole velocità di migrazione di questi ioni,
nonostante la loro piccola concentrazione, si ammette che il
movimento delle cariche avvenga prevalentemente mediante
trasferimento di protoni, cioè come avviene la ionizzazione
descritta nella reazione (1).
Il trasferimento del protone richiede solo 1×10-14 secondi
ed esso può aver luogo solo se ci sono molecole idonee ad
accettarlo. Se la ionizzazione è possibile mediante un semplice e
rapido trasferimento di protoni e se, inoltre, il legame acquaprotone è forte, ci possiamo chiedere perché solo una frazione
minima delle molecole di acqua si ionizza?. Ci sono, in realtà,
diverse spiegazioni: innanzitutto il legame O-H, nello ione
idrossonio, per quanto sia abbastanza forte, è più debole di
quello che si osserva nelle molecole di acqua in quanto la carica
positiva risulta distribuita su tre atomi di idrogeno fra i quali si
24
Capitolo I
manifesta un’azione repulsiva. È da tenere conto, inoltre, che è
necessario del lavoro per separare un protone, carico
positivamente da uno ione ossidrile, carico negativamente, e che
anche le molecole di acqua in vicinanza degli ioni non sono
libere di muoversi, ma sono soggette ad orientamenti specifici
dovuti all’attrazione delle cariche ioniche sui dipoli costituiti
dalle molecole di acqua.
Per quanto gli ioni idrossonio e gli ioni ossidrili abbiano
dimensioni della stessa grandezza delle molecole di acqua
viciniori come indicato in Fig. I-7.
H
H
H
O
O
H
O
H +• •
O
H
H
H
H
H
O
H
O
•
• O ••
H
H
H
O
H
H
O
H
(b)
(a)
•
H
H
Figura I-7.
a) Orientamento dei singoli dipoli dell’acqua intorno allo ione
idrossonio. La carica positiva di questo permette alle
molecole di acqua di avvicinarsi molto.
b) Disposizione di molecole di acqua intorno ad una di esse.
Alcune molecole di acqua (probabilmente tre)
circondano lo ione idrossonio occupando la sfera di idratazione
E
I solventi
25
primaria e anche per lo ione ossidrile è stato dimostrato che vi
sono sei molecole di acqua nella sua sfera di idratazione. Alcune
molecole risultano quindi “bloccate” nella sfera di idratazione
primaria ed il loro stato è simile a quello delle molecole di acqua
che vengono a trovarsi in un condensatore carico. Poiché i
sistemi chimici tendono, come qualunque altro sistema neutrale
ad acquistare il maggiore grado di libertà, questo processo di
“bloccaggio” di molecole di acqua risulta un processo
energeticamente sfavorito.
La ionizzazione dell’acqua è infatti così debole che in un
litro d’acqua, a temperatura ambiente, ci sono solo 1×10-7 moli
di ciascuno ione.
CAPITOLO II
SOLUZIONI E SOLUTI
Col termine di soluzione si intende una miscela
omogenea di due o più sostanze. Perché si possa realizzare la
dissoluzione di una sostanza in un’altra è necessario che si
verifichino fra le due specie delle interazioni, che possono
essere previste ed interpretate, analizzando le caratteristiche
delle specie in esame e dei legami che in esse sono presenti.
Il processo di solubilizzazione di un solido è molto
simile al processo di fusione: in quanto mediante energia
termica, che viene fornita ad un dato sistema, vengono superate
le forze responsabili della stabilità di un cristallo, ed
analogamente nel processo di soluzione l’ordinata distribuzione
delle interazioni che si vengono a stabilire fra il solvente e il
soluto. È, pertanto, di fondamentale importanza conoscere la
struttura di un solido.
Solidi
Le strutture dei solidi possono essere classificate secondo
i seguenti tipi fondamentali:
▪ solido molecolare: le unità strutturali di cui è costituito il
cristallo sono molecole; le forze esistenti fra le varie molecole
possono essere forze di Van der Waals (come ad es. iodio,
canfora ecc..) o legami idrogeno (come ad es. acido borico);
▪ solido ionico: se le unità strutturali sono particelle cariche e
cioè ioni come nel cloruro di sodio (Na+ Cl-), nel cloruro di
potassio (K+ Cl-);
▪ solido metallico: se gli atomi sono tenuti insieme da elettroni
esterni particolarmente mobili (rame, ferro, argento ecc.);
▪ cristallo di valenza: il cristallo può essere considerato come
27
28
b
Capitolo II
una macromolecola nella quale gli atomi sono tenuti insieme da
legami covalenti (SiO2: quarzo; C: diamante ecc.).
Gli esempi riportati in questa classificazione possono
essere considerati come dei casi limite, poiché un gran numero
di solidi presentano delle proprietà che non sono specifiche di
una delle classi sopra indicate. Ad esempio i cristalli di ioduro di
cadmio hanno proprietà intermedie fra quelle dei cristalli ionici
e quelle dei solidi molecolari ed i cristalli di pirite hanno
proprietà intermedie fra quelle dei composti ionici e quelle dei
solidi metallici. La diversa struttura dei solidi e l’entità
differente delle forze esistenti fra le particelle responsabili
dell’ordinata struttura dei cristalli spiega perché i solidi
mostrano proprietà così diverse fra loro.
Consideriamo ad esempio la loro temperatura di fusione.
Quando un solido viene riscaldato, l’energia cinetica delle
particelle che lo costituiscono cresce, e questo incremento di
energia si manifesta mediante un aumento delle vibrazioni delle
particelle, che costituiscono la struttura reticolare. Quando
l’ampiezza delle vibrazioni diventa sufficientemente ampia, le
forze che mantengono le particelle nella loro posizione sono
vinte, e gli ioni o gli atomi si muovono liberamente: si ottiene la
fusione. Se dei solidi appartengono alla stessa categoria si può
affermare che i rispettivi punti di fusione rappresentano un
indice della maggiore attrazione intermolecolare o interionica e
conseguentemente esso fornisce anche un’indicazione sulla
corrispondente solubilità.
Nel caso dei cristalli molecolari si hanno bassi punti di
fusione come ad esempio per l’argon (-189°C), per il
tetracloruro di stagno (-30°C), per il ghiaccio (0°C), per l’acido
acetico (16,6°C), per lo iodio (113,5°C) e per il cloruro
mercurico (277°C). Questi bassi punti di fusione costituiscono
una indicazione significativa delle forze deboli che esistono nei
cristalli molecolari.
Soluzioni e soluti
29
Figura II-1. Struttura cristallina del cloruro di sodio. In (a) sono
presenti i centri degli ioni ed in (b) sono riportati gli
ioni in scala rispetto alle loro dimensioni.
Nei cristalli ionici come ad esempio nel cloruro di sodio
ogni ione sodio è circondato da sei ioni cloruro perfettamente
equidistanti ed ogni ione cloruro, analogamente, è circondato da
sei ioni sodio. Non vi sono molecole di cloruro di sodio in
questo composto in fase solida e la sua struttura è cubica come
indicato in Fig. II-1.
Le unità base di un cristallo di cloruro di sodio sono
costituite, pertanto, da unità cariche e cioè dagli ioni sodio (Na+)
e dagli ioni cloruro (Cl-). La più diretta evidenza dell’esistenza
di ioni sodio e cloruro nei cristalli si ha dalle misure di
diffrazione con i raggi X. Esso fornisce una densità elettronica o
numero medio di elettroni di 9,98 nella posizione reticolare
corrispondente allo ione sodio; questi valori sono vicini ai
teorici 10 e 18 (numero di elettroni dei relativi ioni). Tutte le
proprietà del cloruro di sodio e degli altri solidi ionici sono
consistenti con la presenza di ioni; ad esempio l’apprezzabile
conducibilità in vicinanza della temperatura di fusione ed un
valore ancora più elevato allo stato fuso.
Le forze del legame ionico sono molto forti e di
conseguenza la temperatura di fusione del cloruro di sodio è
30
b
Capitolo II
molto elevata (circa 800°C), mentre la sua tensione di vapore è
molto piccola, specialmente se confrontata con quella dei solidi
molecolari. I cristalli della maggior parte dei sali sono costituiti
da ioni: il cloruro di argento ha una struttura simile a quella del
cloruro di sodio. Esso ha una simmetria cubica con sei ioni
cloruro intorno allo ione argento e sei ioni argento intorno allo
ione cloruro.
Il fluoruro di calcio ha invece un numero di ioni negativi
doppio degli ioni positivi e forma cristalli di struttura diversa,
come indicato in Fig. II-2b. Il biossido di titanio (rutilio) ed il
cloruro di cesio (Fig. II-2a, e c) sono altri esempi tipici di
cristalli ionici. Questi esempi evidenziano che le formule
chimiche, per un composto ionico, non indicano le loro
molecole bensì il semplice rapporto secondo cui gli atomi sono
fra loro combinati.
Figura II-2. Struttura di alcuni composti ionici. (a) cloruro di
cesio (CsCl); (b) fluorite (CaF2); (c) rutilio (TiO2).
Ioni poliatomici come gli ioni SO4-2, CO3-2 si riscontrano
in molti cristalli. La calcite, che è una forma cristallina del
carbonato di calcio, ha un reticolo che può considerarsi come
derivato da quello del cloruro di sodio, ma che ha subito una
Soluzioni e soluti
31
distorsione per contenere gli ioni carbonato con struttura
triangolare planare.
Nella Fig. II-3 viene presentata la struttura cristallina
della calcite e del cloruro di sodio, orientati nello stesso modo:
la struttura della calcite risulta più allargata rispetto a quella del
cloruro sodico per poter alloggiare gli ioni carbonato.
Figura II-3. Struttura cristallina di (a) calcite: O = Ca+2;
∆ = CO3-2; (b) cloruro di sodio (orientato allo stesso modo).
Alcuni cristalli contengono anioni impaccati strettamente
intorno allo ione metallico e tali anioni possono essere ioni
complessi.
Ad esempio le unità strutturali, dell’esacloroplatinato di
potassio (K2PtCl6), sono gli ioni K+ e PtCl6-2 (vedi Fig. II-4) e
dell’esacianoferrato di potassio, ioni K+ e ioni Fe(CN)6-4.
32
b
Capitolo II
Figura II-4. Struttura cristallina di K2PtCl6.
K+= O; PtCl6-2 = ottaedri.
Soluzioni
Le soluzioni si ottengono in seguito alla dispersione di
una sostanza in un’altra con formazione di una miscela
omogenea. Alcune coppie di composti risultano fra di loro
miscibili in tutte le proporzioni, mentre altre coppie sono
praticamente immiscibili. È evidente che affinché si possa
verificare la dissoluzione di una specie chimica in un’altra è
indispensabile che si stabiliscono delle interazione fra le
molecole o le particelle, che costituiscono i singoli composti e
che la forza dell’interazione deve superare le forze che
stabilizzano un liquido o un solido.
Prendiamo in esame il solvente più comune l’acqua,
tenendo presente che le considerazioni fatte su di essa possono
essere estese a qualunque altro mezzo purché si considerino la
sua struttura e le sue proprietà (costante dielettrica, momento
dipolare ecc…). L’acqua è stata descritta come un sistema ad
elevata densità, ma con una organizzazione meno regolare di
quella del ghiaccio. Le molecole in fase liquida hanno, infatti,
33
Soluzioni e soluti
una notevole libertà di movimento per quanto siano ad ogni
istante legate ad altre molecole di acqua mediante legami
idrogeno.
Qualunque molecola può inserirsi in questa struttura in
diversi modi. Se una molecola ha dimensioni piccole e forza
opportuna può disciogliersi nell’acqua in quanto essa si dispone
nei “fori” esistenti nella struttura di questa e cioè negli spazi
intermolecolari. È questo il caso di sostanze gassose come
l’azoto, il metano, l’argon ecc.. che presentano in acqua
solubilità.
Molecole di dimensioni maggiori possono invece passare
in soluzione solamente se sono in grado di modificare
l’organizzazione strutturale del liquido. Molecole di composti
non polari come il tetracloruro di carbonio, l’etano, lo iodio ecc..
risultano poco solubili, poiché hanno una scarsa interazione con
le molecole di acqua, ma se prendiamo in esame molecole di
composti polari ed in particolare di quelle che contengono atomi
di azoto, ossigeno, fluoro ecc.. osserviamo che in genere esse
presentano una solubilità elevata. La solubilità dell’acetone e
dell’alcool etilico in acqua, che sono con questa miscibili in tutte
le proporzioni è appunto spiegabile con la formazione di questi
legami (legame idrogeno):
H
CH3
••
O
••
H
H
H
H
O•
•••
••
O
••
H3C
H
H
C
••
C=O
••
CH3
H
H
••
O
••
H
H
H
••
O
••
••
••
O
H
Se prendiamo in esame un solido e lo poniamo in
contatto con l’acqua si può verificare, se esso contiene ioni o
centri di carica elettrica, un sufficiente turbamento elettrico che
può provocare la rottura dei legami idrogeno. I dipoli costituiti
34
b
Capitolo II
dall’acqua vengono attratti verso questi ioni e se queste
attrazioni sono sufficienti a vincere le attrazioni interioniche o
intermolecolari del composto solido, le particelle che
costituiscono queste sostanze saranno allontanate dalla
posizione che inizialmente occupavano nel cristallo e la sostanza
si solubilizza. Si disciolgono, quindi, in acqua tutte le sostanze
in cui le attrazioni interioniche o intermolecolari all’interno del
reticolo risultano inferiori alle attrazioni esercitate dalle
molecole dell’acqua.
Si osserva, come regola generale, che un aumento di
temperatura provoca un aumento di solubilità: ciò dipende dal
fatto che le forze elettrostatiche che si esercitano fra ioni o
molecole in un cristallo vengono indebolite da un aumento di
energia cinetica di queste particelle, permettendo quindi alle
forze attrattive delle molecole di solvente di essere più efficaci
nella demolizione del reticolo cristallino. Il processo di
dissoluzione di un reticolo ionico può essere interpretato nel
seguente modo: le molecole di acqua in conseguenza del loro
momento dipolare si dispongono con i loro centri negativi verso
gli ioni positivi, e con i centri positivi verso gli ioni negativi alla
superficie del cristallo.
Le forze dipolari delle molecole orientate indeboliscono
l’attrazione che si esercita all’interno del cristallo, cosicché
alcuni ioni passano in soluzione ed essi possono muoversi
trasportando un certo numero di molecole di acqua: si hanno,
cioè, degli ioni idrati o acquo-ioni rappresentati nella Fig. II-5.
Idratazione degli ioni
La reazione di dissoluzione di un sale ionico può quindi
genericamente rappresentarsi come segue:
M + X − + ( x + y ) • H 2 O M ( H 2 O) +x + X ( H 2 O) − y
Quando un sale anidro si scioglie in acqua i suoi ioni si idratano:
l’idratazione dà luogo ad una piccola contrazione di volume ed
Soluzioni e soluti
35
ad uno sviluppo di energia sotto forma di calore.
Figura II -5. Rappresentazione di ioni idrati.
Si verifica una contrazione poiché in conseguenza
dell’interazione fra gli ioni e i dipoli, costituiti dalle molecole di
acqua, queste si avvicinano molto allo ione entrando nella sua
sfera di idratazione. Ne consegue che il volume di una soluzione
di un sale è di solito inferiore alla somma dei volumi dell’acqua
e del sale impiegati per la preparazione del sale stesso.
Ad esempio 1000,0 mL di una soluzione al 2% di solfato
di zinco vengono preparate mescolando 5,45 mL di ZnSO4
solido con 1000,4 mL di acqua. L’interazione fra lo ione e
l’acqua provoca anche uno sviluppo di energia e quindi lo stato
energetico degli ioni idratati è minore di quella degli ioni anidri
che sono quindi più stabili. Le molecole di acqua e gli ioni in
soluzione sono in costante movimento e poiché l’interazione fra
essi è debole il numero di molecole d’acqua vicine a uno ione
metallico è di solito variabile. Si può parlare comunque di
numero di idratazione o di numero medio di molecole di acqua
legate a ioni metallici. I cationi di piccole dimensioni e di
elevata carica esercitano la maggiore attrazione sulle molecole
di acqua ed hanno quindi il maggior numero di idratazione. Così
ad esempio il numero di idratazione dello ione litio, Li+, il cui
raggio ionico è 0,68 Å è circa 4, mentre lo ione potassio, K+, il
36
b
Capitolo II
cui raggio 1,33 Å è solo 2. Lo ione Mg+2 (raggio ionico 0,65 Å)
ha un numero di idratazione maggiore, circa 10, per la sua
doppia carica, quello dello ione fluoro( F-) è fra 2 e 4 e quello
dei grossi ioni alogenati è circa 1.
I composti ionici esibiscono, generalmente, una
maggiore solubilità in solventi che hanno una elevata costante
dielettrica ed il valore di questa costituisce una indicazione della
capacità di un solvente a separare le cariche. Perché una
sostanza possa essere solubile in acqua è necessario che essa sia
in grado di indebolire i legami idrogeno in modo che le
particelle di soluto possano penetrare negli spazi intermolecolari
del solvente. Quando le molecole dell’acqua sono sottoposte al
campo elettrostatico di uno ione, c’è tendenza per il dipolo a
subire modificazioni in direzione del campo, il che porta ad una
perdita di energia potenziale da parte della molecola del
solvente: i dipoli dell’acqua vengono attratti elettrostaticamente
dagli ioni con conseguente indebolimento del legame idrogeno
nel solvente, e penetrazione da parte dello ione negli spazi
intermolecolari del solvente.
D’altra parte le forze di legame fra molecole polari di
acqua impediscono l’ingresso di molecole non polari negli spazi
intermolecolari del solvente. L’acqua scioglie, quindi, composti
ionici come il cloruro di sodio, il solfato di potassio ecc.., ma
non scioglie sostanze come le paraffine, i grassi ecc.., che non
sono né ioniche né polari. L’acqua scioglie l’ammoniaca in
quanto entrambe le sostanze sono fortemente polari, ma non
scioglie un gas non polare come il metano.
Come criterio, di carattere generale, si può affermare
che danno luogo ad una soluzione omogenea composti che
hanno strutture simili: ad esempio una paraffina o i grassi si
sciolgono in benzina essendo entrambi idrocarburi (o sostanze
apolari) e l’acqua scioglie gli zuccheri (carboidrati) in cui
l’idrogeno e l’ossigeno si trovano nello stesso rapporto che
nell’acqua (sostanze polari). Per quanto riguarda la solubilità di
liquidi polari è da tenere presente che, in conseguenza della loro
struttura associata, questi liquidi possono sciogliere molecole
polari solo se le molecole di solvente possono formare legami
37
Soluzioni e soluti
idrogeno con le molecole di soluto. Il nitrobenzene, C6H5NO2,
ha un momento dipolare della stessa entità dell’acqua, ma si
scioglie in minima parte in essa perché non forma con questa
legami idrogeno. Il fenolo, che ha una costante dielettrica
minore, è circa 40 volte più solubile, in quanto si formano
legami fra i gruppi idrossilici del fenolo e gli atomi di ossigeno
delle molecole di acqua.
Acidi anidri e basi sono sostanze molecolari che sono in
grado di formare legami idrogeno con l’acqua. L’interazione fra
l’acqua e le molecole di soluto è seguita da uno spostamento del
protone della molecola dell’acido a quella dell’acqua o
dell’acqua alla molecola della base. La ionizzazione dell’acido
cloridrico, dell’ammoniaca e dell’acido formico è di seguito
riportata:
H
••
••Cl
••
(
•
••O
•
H
••
••Cl ••
••
H +
-
) +(
)
••
H
O
H
H
H
H
H
N ••
H
•
O
•• •
(
H
H
) ++ (
N
H
H
H
•
•••O
••
-
)
H
•• O•
•
H
H C
•• O
••
H
•••O•
••
(
H
H
O
••
C
•••
O
•• •
-
) +(
H
H +
••
O
H
)
L’acqua agisce come accettore di protoni nella prima e
nella terza reazione e come datore di protoni nella seconda
reazione. L’eccellente potere solvente dell’acqua per molti sali e
38
b
Capitolo II
l’esistenza degli ioni in soluzione sono conseguenza della
elevata costante dielettrica dell’acqua che indebolisce
l’attrazione interionica e favorisce la formazione di ioni idratati
che avviene con sviluppo di energia.
Un’altra complessa forma di solubilità viene esibita da
alcuni particolari composti organici le cui molecole sono
contemporaneamente parzialmente polari e parzialmente apolari,
cioè contengono sia gruppi polari che non polari. Si può
prendere come esempio di sostanze di questo tipo il n-ottanolo,
che è costituito da una catena di idrocarburo con un gruppo
ossidrile ad un estremo. Quest’ultima parte è solubile, in quanto
penetra nella struttura dell’acqua formando legami idrogeno con
il solvente (gruppo idrofilo), mentre l’altra estremità della
molecola è invece non polare, non può quindi formare legami
idrogeno, ed è perciò insolubile in acqua (gruppo idrofobo).
Molecole di questa natura, poste in acqua, vengono
spinte alla superficie dove si orientano in modo da disporre la
parte solubile nell’acqua e la parte insolubile al di sopra della
superficie. Molecole di idrocarburi con gruppi polari -CH2OH,
-COOH, -NH2 ecc.. possono formare film unimolecolari alla
superficie dell’acqua.
L’uso dei cosiddetti “agenti bagnanti” è basato sulla
variazione della tensione superficiale in conseguenza della
formazione di tale film.
CAPITOLO III
STRUTTURA E SOLUBILITÀ DEI COMPOSTI IONICI
È stato evidenziato che alcuni composti ionici sono
particolarmente solubili in acqua e che la loro solubilità è dovuta
all’interazione degli ioni del reticolo con i dipoli costituiti dalle
molecole di acqua. Le osservazioni fatte sulla loro solubilità non
possono, però, essere generalizzate in quanto i composti ionici
possono differire notevolmente per il valore di solubilità e molti
di essi sono praticamente insolubili. La solubilità di un
composto non può, pertanto, essere correlata solo in funzione
della interazione di un solido con le molecole di solvente, ma in
funzione, anche, della natura del solido stesso.
Il fenomeno della solubilità è, in realtà, un fenomeno
molto complesso come si può dedurre, osservando che molti
composti ionici sono praticamente insolubili in acqua e che tale
comportamento non può attribuirsi solo ad una differente
struttura. In alcuni casi, anche se questa è praticamente identica,
(esempio: NaCl ed AgCl) si possono, infatti, osservare notevoli
differenze di solubilità. Si deve tenere conto, inoltre, di un fatto
apparentemente “strano” che, ioni incolori presenti in una
soluzione possono dar luogo ad un precipitato intensamente
colorato e che questo passando in soluzione dà nuovamente
luogo agli ioni incolori.
Per comprendere questi fenomeni è necessario
considerare le forze che si esercitano fra gli ioni in un reticolo e
fra uno ione e le molecole di acqua. Gli ioni esercitano fra loro
delle forze di attrazione o di repulsione, che sono direttamente
proporzionali al prodotto delle cariche ioniche ed inversamente
proporzionali al quadrato della loro distanza ed alla costante
dielettrica del mezzo in cui sono immersi. Alcune
considerazioni sulla legge di Coulomb permettono di ottenere
alcuni elementi chiarificatori; altre informazioni, invece, si
39
40
Capitolo III
ò
possono dedurre esaminando la struttura elettronica dei ioni.
Prendiamo in esame innanzitutto le interazioni fra gli ioni in
fase gassosa e, quindi, nei cristalli ed in soluzione.
Stabilizzazione degli ioni nelle molecole in fase gassosa ed in
fase solida
Consideriamo la formazione del cloruro di sodio: gli
atomi, in fase gassosa, del sodio e del cloro si combinano per
trasferimento di elettroni secondo la seguente reazione:
Na
Na+ + e-
e- + Cl Cl----------------------------Na + Cl Na+ + ClIl lavoro necessario ad allontanare un elettrone da un
atomo viene definito come potenziale di ionizzazione (P.I.); tale
valore è per il sodio di 118 Kcal/mole. Parte dell’energia
impiegata nella ionizzazione degli atomi di sodio è recuperata
nella reazione di addizione degli elettroni agli atomi di cloro, e
cioè dalla elettroaffinità (EA) del cloro, che è di 86 Kcal/gatomo.
C’è, quindi, un deficit di energia di (118-86) 32
Kcal/mole di NaCl che si forma. Una miscela costituita da ioni
sodio e ioni cloruro isolati non è, quindi, stabile ed in fase
gassosa dovrebbero invece aversi gli atomi dei due elementi.
Nella miscela gassosa, invece, non si osservano né atomi di
sodio né atomi di cloro, in quanto questi si associano e per
fenomeno si ha emissione di energia.
La più semplice associazione di ioni può avvenire
mediante coppie Na+ Cl-, convenzionalmente dette molecole,
anche se in realtà sono composte da ioni. L’energia liberata nella
formazione di una coppia può essere calcolata mediante la legge
Struttura e solubilità dei composti ionici
41
di Coulomb:
q(−q)
E=
(1)
d
dove q e -q sono le cariche degli ioni sodio e cloruro e d è la
distanza di equilibrio fra i loro nuclei nella molecola (Fig. III1a). L’energia corrispondente è di 133 Kcal/mole e cioè
maggiore di quella necessaria a stabilizzare gli ioni Na+ e Cl- ed
impedire la conversione in atomi.
2,36 A
q+
qq-
(a)
2,59 A q+
2,59√
√2 A
qq+
(b)
Figura III-1. Molecole di cloruro di sodio: (a) monomera,
(b)dimera in fase gassosa
In realtà ha però luogo una ulteriore associazione del
cloruro di sodio in molecole doppie o dimere; infatti a 750°C il
vapore è per il 35% costituito dalla forma dimera (Na+Cl-)2. La
più semplice sistemazione degli ioni è in tal caso in un quadrato
come indicato nella Fig. III-1b.
Mediante la legge di Coulomb si può calcolare l’energia
sviluppata nella formazione di una molecola dimera
42
Capitolo III
ò
stabilità
Na++Clo + e-
AE = -86.5
PI = 118.4
Na+ + Cl- ioni isolati
-130
Nao +Clo
-177
(Na++Cl-)
(Na++Cl-)2
-184.7
Na+ Cl- cristallo
energia
Figura III-2. Relazione energetica per la combinazione fra sodio
(23,0 g) e cloro (35.5 g)
[E ]dim ero = 4 q(−q) [
(− q)(− q)
+
qq
] = −2 × 1,293 q
2
(2)
d
d
d 2
d 2
Il primo termine si riferisce all’attrazione tra le cariche
opposte, il secondo ed il terzo termine alla repulsione tra le
cariche uguali. Confrontando la (1) e la (2) si può dimostrare
che l’energia ceduta nel secondo caso è per il 29,3% più elevata,
se d e uguale. E’ logico aspettarsi che una quantità di energia
ancora maggiore venga liberata quando un gran numero di ioni
si uniscono per dar luogo alla formazione di un cristallo. La
quantità di energia liberata nel formare un cristallo contenente N
Struttura e solubilità dei composti ionici
43
gruppi unitari di ioni è, per estensione della legge di Coulomb:
2
(3)
[E ]cristalli = − NAq
d
dove A, costante di Madelung, dipende solo dalla disposizione
geometrica degli ioni nel reticolo e non dalla natura degli ioni:
essa ha un valore di 1,76267 per reticoli del tipo cloruro di cesio
(cubico a corpo concentrato), 1,74756 per reticoli del tipo di
cloruro di sodio, KI, PbS (cubico a facce centrate), 5,03878 per
reticoli del tipo fluorite e 4,816 per reticoli del tipo rutilio.
Nella formazione di un cristallo di cloruro di sodio si ha,
quindi, la liberazione di una quantità di energia per il 74,8%
maggiore di quanto si osserva nella formazione del monomero
con lo stesso valore di d. La fase solida cristallina è quindi la
forma stabile del cloruro di sodio a temperatura ambiente. Le
reazioni energetiche indicate e relative alla combinazione del
sodio e del cloro sono schematizzate nel diagramma riportato in
Fig.III-2. I numeri indicano le variazioni di energia per la
combinazione di una mole di sodio (23,0 g) ed un g-atomo di
cloro (35,5 g). I valori positivi indicano l’energia assorbita dal
sistema, mentre i valori negativi indicano l’energia ceduta dal
sistema.
Energia reticolare
La forza della coesione degli ioni in un cristallo è data
dal valore dell’energia reticolare; che definisce il calore di
formazione di un reticolo cristallino risultante dalla
combinazione dei propri ioni in fase gassosa. Si deve tenere
conto del fatto che la risultante delle forze attrattive e repulsive
fra gli ioni porta ad una posizione di equilibrio degli stessi nel
reticolo cristallino a cui corrisponde la minima energia
potenziale.
Assumendo che a distanza infinita l’energia potenziale
degli ioni sia eguale a zero, l’energia potenziale minima è
numericamente eguale all’energia reticolare del cristallo. Con
44
Capitolo III
tale termine si intende, quindi, la diminuzione di energia e
quindi l’aumento di stabilità relativo all’avvicinamento degli
ioni gassosi da distanza infinita alla posizione che essi occupano
in un reticolo cristallino. Nel caso del cloruro di sodio:
Na + ( g ) + Cl - ( g ) NaCl ( cristallo )
la variazione di energia e cioè l’entalpia ∆Hcrist. é negativa
(-184,7 Kcal/mole) e quindi l’energia reticolare U è uguale a
-∆Hcrist.. In altre parole possiamo affermare: che l’energia
reticolare è uguale all’energia di dissociazione di un cristallo nei
suoi ioni in fase gassosa e che occorre, nel caso dell’esempio
citato, fornire una quantità di calore pari a 184,7 Kcal/mole per
demolire una mole di NaCl nei suoi ioni in fase gassosa,
secondo la reazione inversa a quella di formazione di NaCl(*):
U=
∆H crist = ∆H dissol crist
Tanto maggiore è il valore di U, tanto più elevata è l’energia
necessaria per demolire un reticolo cristallino nei suoi ioni in
fase gassosa.L’energia reticolare può essere calcolata tenendo
conto delle forze attrattive e repulsive fra gli ioni nella
formazione di un reticolo cristallino. Consideriamo un cristallo
costituito da cationi di valenza zc ed anioni di valenza za ad una
distanza interionica r. L’energia reticolare U, si può calcolare,
mediante la seguente espressione:
Nz z Ae 2 B
U =− c a
+ n
(4)
r
r
in cui A è la costante di Madelung, N il numero di Avogadro, e è
la carica dell’elettrone, B ed n sono delle costanti empiriche. Il
primo termine rappresenta l’energia potenziale elettrostatica che
per ioni di carica opposta è negativa poiché il prodotto (zc×za) è
negativo: esso indica l’effetto attrattivo. Il secondo termine tiene
conto dell’effetto repulsivo dovuto alla polarizzazione e ad altre
interazioni, B è un fattore empirico. L’energia di repulsione
diminuisce rapidamente con l’aumentare della distanza: il valore
n risulta quindi abbastanza elevato (sperimentalmente si è
Struttura e solubilità dei composti ionici
45
determinato per n un valore fra 9 e 12 secondo il tipo di ioni in
un reticolo). Una interpretazione grafica dell’energia reticolare
in funzione della distanza interionica è riportata in Fig. III-3.
Allo stato di equilibrio l’energia ha un valore minimo nella
curva e poiché le forze attrattive e repulsive si bilanciano ne
consegue che
Nz z Ae 2 nB
∂
U
=0=− c a
− n+1
(5)
r
∂r
r
ricavando il valore di B da questa equazione e sostituendo nella
(4) si ha l’equazione di Born-Lande, utilizzabile per il calcolo
dell’energia reticolare di un composto ionico
Nz z Ae 2
1
(1 − )
(6)
U =− c a
r
n
Distanza
Corrisponde al primo termine
(attrazione) equazione 4
Corrisponde al secondo termine
(repulsione) equazione 4
Energia potenziale
Corrisponde all’energia reticolare
ed è la somma algebrica dei due
termini (equazione 4)
Figura III-3. Energia reticolare di un cristallo ionico in funzione
della distanza interionica.
46
ò
Capitolo III
Questa equazione è stata migliorata da Born e Mayer
nella forma
Nz c z a Ae 2
ρ
U =−
(1 − )
(7)
r
r
in cui ρ è una costante, che caratterizza le forze di repulsione fra
i gusci elettronici degli ioni; essa ha le dimensioni di una
lunghezza e per la maggior parte dei cristalli è praticamente
costante, 0,345Å. Le equazioni (6) e (7) possono applicarsi solo
a quei cristalli che sono stati studiati mediante raggi X, tecnica
che permette di ricavare il valore di r, distanza interionica e di A
costante di Madelung. Tale limitazione può però essere superata
come proposto da Kapustinskii. Se si indica con v il numero di
ioni nella formula stechiometrica, ne consegue che il loro
numero in una mole del composto è Nv, l’equazione (7) può
riscriversi nella seguente forma:
A Nv Nz c z a e 2
ρ
U =−
(1 − )
r
r
( Nv / 2) 2
e sostituendo il coefficiente strutturale per uno ione,
α = A / (1/2 v), si ha
ρ
av Nz c z a e 2
(1 − )
(8)
U =−
2
r
r
La costante di Madelung, A, è ora proporzionale al
numero di ioni in una molecola. Per quanto α non sia lo stesso
per i differenti tipi di strutture, Kapustinskii ha osservato che
passando da un tipo di struttura ad un altro, la variazione di α era
eguale alla variazione di ρ per differenti numeri di
coordinazione.
(*) La convenzione sui segni è tale per cui il termine ∆H, variazione di
entalpia, è positiva quando viene assorbito calore ed è negativa quando viene ceduto
calore. Per quanto riguarda l’energia reticolare e l’affinità elettronica il loro segno è
positivo se si ha sviluppo di calore. Il simbolo U impiegato per indicare l’energia
reticolare non deve essere confuso con il medesimo simbolo talvolta impiegato per
designare l’energia interna.
Struttura e solubilità dei composti ionici
47
Ogni cristallo può quindi essere convertito in un reticolo
del tipo del cloruro di sodio (con numero di coordinazione 6)
senza variazioni del valore dell’energia reticolare se i
coefficienti α ed r vengono simultaneamente modificati da
fornire i valori corrispondenti al reticolo del cloruro di sodio.
Facendo le seguenti sostituzioni:
(somma dei raggi ionici per numero
r= rc + ra
di coordinazione 6: questi valori sono
noti per la maggior parte degli ioni)
α = A/½ v = 1,74756
(valore costante di Madelung per il
reticolo del cloruro di sodio)
ρ = 0,345 Å
(vedi sopra)
(prodotto di costanti fondamentali)
Ne2 = 332,0 Kcal Å
Si ha l’equazione di Kapustinkii che permette di
calcolare l’energia reticolare di un cristallo anche se è nota la
sua struttura, assumendo che esso possegga il reticolo del
cloruro di sodio e cioè una disposizione ottaedrica di ioni
intorno allo ione di carica opposta ed appropriati valori dei raggi
ionici.
− 290∑n z c z a
0,345
U=
(1 −
) kcal
(9)
− rc + ra
rc + ra
Energia reticolare da misure termochimiche
La determinazione sperimentale diretta dell’energia reticolare
presenta notevoli difficoltà ed essendo questa grandezza legata
ad altri valori più facilmente determinabili, l’energia reticolare
viene calcolata effettuando un ciclo di reazioni termochimiche,
che viene indicato come ciclo di Born-Haber. In questo ciclo un
sale MX si assume che venga sottoposto alle seguenti
trasformazioni rappresentate in Fig. III-4.
48
Capitolo III
ò
MX(s)
∆Η4 (iv)
∆Η1
U + 2RT*
∆Ηf
M(s)
+
1/2X2(g)
M+(g) +
-I
-S
∆Η3
X-(g)
E
∆Η2
M(g)
X(g)
Figura III-4. Ciclo di Born-Haber relativo alla formazione di un
composto MX
a) La prima operazione consiste nella demolizione di una mole
di un cristallo MX nei suoi ioni M+ ed X- in fase gassosa. Questa
reazione porta ad un aumento di entalpia, ∆H1, eguale al valore
dell’energia reticolare U.
b) La seconda operazione consiste nella conversione degli ioni
negli atomi degli elementi M ed X. Tale conversione avviene
per M+ mediante acquisto di un elettrone e per X- mediante
perdita di un elettrone. La variazione di entalpia di questa
reazione, ∆H2, è data da (E-I) dove E è l’affinità elettronica
dell’atomo X ed I il potenziale di ionizzazione dell’atomo
metallico.
c) Nella terza fase il metallo (in fase gassosa) è condensato allo
stato solido e l’atomo X si combina con un altro atomo X per
formare una molecola X2. La variazione di entalpia, ∆H3,
corrispondente alla somma dell’entalpia di sublimazione del
metallo cambiata di segno, -S, e della metà dell’entalpia di
dissociazione della specie molecolare X2 anch’essa presa con il
segno meno, -1/2D.
* Per scopi pratici la quantità 2RT può essere trascurata essendo solo 1,2
Kcal mole-1 a 25°C
49
Struttura e solubilità dei composti ionici
d) La fase finale corrisponde all’interazione del metallo solido
con le molecole gassose X2 per formare il sale MX. La
corrispondente variazione di entalpia, ∆H4, è l’entalpia di
formazione del sale cristallino MX, che indichiamo con ∆Hf e
che corrisponde al calore di formazione di un composto dagli
elementi allo stato standard. Tutte le quantità energetiche del
ciclo si riferiscono alla temperatura di 298°K.
Applicando la legge di Hess si ha:
∆H1+∆H2+∆H3+∆H4=0
ossia
U+E–I–S–1/2D+∆Hf =0
Da questa equazione si può ricavare una qualunque delle
6 quantità, se sono note tutte le altre 5.
Nel caso dell’energia reticolare si ha quindi
U=-∆Hf+1/2D+S+I–E
(10)
I valori numerici per il cloruro di sodio sono:
∆Hf calore di formazione NaCl(s)
Na(s)+1/2Cl2(g) → NaCl(s)
∆H
(kcal)
+98,2
½D energia legame Cl2
½Cl2(g) → Cl(g)
+29,0
S energia sublimazione Na
Na(s) → Na(g)
+26,0
+
I energia di ionizzazione Na
Na(g) → Na (g)+e
+118,0
E affinità elettronica
Cl(g)+ e → Cl-(g)
+86,5
Sostituendo questi valori nella (10) si calcola l’energia
reticolare del cloruro di sodio:
UNaCl = 184,7 Kcal mole-1
Come precedentemente indicato l’energia ceduta nella
formazione di questo reticolo addizionata all’energia che viene
50
ò
Capitolo III
ceduta per l’acquisto di un elettrone da un atomo di cloro è assai
maggiore di quella necessaria ad atomizzare gli elementi e a
ionizzare il sodio. E’ importante mettere in evidenza che il
fattore determinante la formazione di un composto ionico è
l'energia reticolare, più che la così detta tendenza di un atomo
ad acquistare una data configurazione elettronica. Si può vedere
dall’equazione di Kapustinkii che l’energia reticolare aumenta di
circa 3 volte passando da un composto M+X- ad uno M+2X-2 ed
anche di più se si considera che rM+> rM+2.
Considerazioni sull’energia reticolare
Mediante l’equazione di Kapustinkii (9) o quella di
Born-Mayer (7) o seguendo il ciclo di Born-Haber è possibile
ricavare valori dell’energia reticolare. I valori ricavati mediante
questo ciclo (10) sono valori sperimentali e sono indipendenti da
qualunque considerazione sulle forze coesive presenti in un
cristallo: questi sono in buono accordo con quelli calcolati dalle
equazioni (7) e (9) dimostrando la validità dell’impostazione
seguita. Secondo le equazioni di Kapustinkii e di Born-Mayer, si
assume invece che le forze coesive siano completamente
elettrostatiche; ne consegue che quando un composto è
sicuramente ionico il ciclo può essere usato per calcolare i valori
di affinità elettronica, la cui misura diretta è difficoltosa o anche
per calcolare l’entalpia di formazione di un qualunque composto
e stabilire la possibilità di esistenza e la stabilità di un dato
composto.
Dall’esame delle equazioni che permettono il calcolo
dell’energia reticolare si evidenzia che i fattori determinanti
l’energia reticolare sono, essenzialmente, la carica ionica e la
distanza internucleare.
Tanto maggiore è, quindi, la carica degli ioni e tanto
minore è la distanza internucleare, tanto maggiore è il valore
dell’energia reticolare.
Struttura e solubilità dei composti ionici
51
Tabella III-1. Relazione tra dimensione e carica degli ioni ed
energia reticolare
Somma in Å
dei raggi ra + rc
Energia reticolare
(Kcal/mole)
Osservazioni
KF
2,67
-193
Sali con anioni di
differenti dimensioni
KCl
KBr
KI
LiCl
3,14
3,29
3,52
2,57
-168
-162
-152
-202
NaCl
KCl
RbCl
SrO
2,81
3,14
3,27
2,57
-184
-168
-163
-784
Composti
Sali con cationi di
differenti dimensioni
Sali di differente
carica
Nella Tab. III-1 sono riportate le energie reticolari di una
serie di sali. Si può osservare che i sali costituiti da ioni di
piccole dimensioni e di carica elevata come KF e LiCl, hanno
energie reticolari molto grandi. L’ossido di stronzio ed il cloruro
di litio hanno la stessa distanza internucleare ma a causa della
doppia carica degli ioni stronzio e ossigeno, l’energia reticolare
di questo composto è circa quattro volte maggiore di quella del
cloruro di litio. L’ossido di stronzio è più duro ed ha un punto di
fusione (2430°C) assai più elevato del cloruro di litio (614°C) a
causa della maggiore coesione dei suoi ioni nel reticolo
cristallino; esso è inoltre assai meno solubile in acqua del
cloruro di sodio.
La durezza, l’elevata temperatura di fusione e la bassa
solubilità in acqua sono spesso conseguenze dell’elevato valore
dell’energia reticolare. Si può, quindi, comprendere perché i
composti ionici presentano temperature di fusione molto più
elevate dei composti con legami covalenti. Per poter fondere un
composto ionico si deve fornire energia per vincere le forze
coulombiane di attrazione fra gli ioni. Nei composti covalenti,
invece, non c’è interazione di forze coulombiane in quanto in
52
ò
Capitolo III
essi non vi sono ioni singoli. Per fondere i composti covalenti è
necessario solo vincere le forze di Van der Waals o i legami
idrogeno, che sono molto più deboli delle forze coulombiane. Le
stesse considerazioni sono valide per le temperature di
ebollizione.
Solubilità dei sali ionici
Dalle osservazioni fatte si potrebbe supporre che a causa
dell’elevata energia reticolare i cristalli ionici debbano essere
poco solubili. In realtà ciò è vero nel caso di solventi non polari
come il benzene, mentre invece nei solventi polari possono
presentare una notevole solubilità. Ciò dipende dall’ effetto
predominante dell’attrazione elettrostatica fra i dipoli del
composto e le molecole polari del solvente.
Come è stato detto, più volte, l’acqua è un eccellente
solvente per le sostanze polari, ed anche per molecole covalenti
come HCl o HBr non solo per l’elevato valore del momento
dipolare (1,84), ma, anche, per la capacità di stabilizzare gli ioni
in soluzione mediante la formazione di ioni idratati.
Quando un cristallo ionico si scioglie in acqua, si può
avere assorbimento di calore, con raffreddamento della
soluzione, (nel caso del nitrato di ammonio), o meno
frequentemente, sviluppo di calore, con riscaldamento della
soluzione (nel caso dell’idrossido di sodio e di calcio o del
solfato anidro di sodio).
Potremo considerare che il processo di dissoluzione di un
cristallo è rappresentabile con la seguente equazione
M+ X- (s) + H2O → M+ (aq) + X- (aq)
che comporta una variazione di energia ∆E1 = ∆Hsoluzione e che
avvenga in due stadi:
1) decomposizione del cristallo nei singoli ioni in fase gassosa
M+X- (s) → M+ (g) + X- (g)
Struttura e solubilità dei composti ionici
53
con una variazione di energia ∆E2 eguale all’energia reticolare
col segno cambiato (-U).
2) idratazione degli ioni gassosi, che passano in soluzione
M+ (g) + X- (g) + H2O → M+ (aq) + X- (aq)
con una variazione di energia ( ∆E3 = ∆H idr M + + ∆H idr X − ),
corrispondente all’energia di idratazione. Per un solvente
diverso dall’acqua si parla in generale di energia di solvatazione.
Questi processi possono essere combinati in un ciclo di
Born-Haber
∆E1
M + X-
∆E2
M+(aq) +X- (aq)
∆E3
M+(g) +X- (g)
da cui si ha
∆E1 = ∆E 2 + ∆E3
e sostituendo i valori corrispondenti alla variazione di energia, si
ottiene:
∆H soluzione = [∆H idr M + + ∆H idr X - ] − U
(11)
Il calore di soluzione di un composto risulta, quindi,
dalla differenza di due diverse energie, l’energia reticolare del
solido e la somma delle energie di solvatazione degli ioni in fase
gassosa.
Un composto è tanto più stabile quanto maggiore è
l’energia ceduta nella sua formazione, e cioè la sua energia
reticolare; e risulta tanto più solubile quanto più elevata è la
somma delle energie di idratazione. Nel caso del cloruro di
sodio ad una elevata energia reticolare (U = 184,7 Kcal/mole) si
contrappone la somma delle energie di idratazione degli ioni Cl-
54
ò
Capitolo III
e Na+, che è pari a -2,2 Kcal mole-1. Le energie reticolari e
quelle di solvatazione sono dello stesso ordine di grandezza ed
in genere, quindi, i calori di soluzione sono abbastanza piccoli.
Il procedimento con cui si esegue, di norma, la
ricristallizzazione di una sostanza, consiste nella dissoluzione in
un solvente bollente, nel quale i cristalli si depositano per
raffreddamento, indica che il processo di dissoluzione è in
genere endotermico. La dissoluzione è accompagnata però da un
aumento di entropia per cui la variazione di energia libera è
negativa nonostante che la variazione di entalpia sia positiva.
Poiché il calore di soluzione è dato dalla differenza fra l’energia
reticolare e quella di solvatazione degli ioni gassosi, è utile
considerare i fattori che determinano questa energia.
L’energia di solvatazione di uno ione di carica ze, il cui
raggio è r in un mezzo la cui costante dielettrica è ε, è data dalla
seguente espressione:
z 2e 2
l
(1 − )
H solvatazione =
2r
ε
L’energia reticolare non dipende dalla costante
dielettrica, mentre l’energia di solvatazione è tanto più elevata
quanto più alta è la polarità e ,quindi, la costante dielettrica del
solvente. Le dimensioni ioniche sono di fondamentale
importanza nel determinare l’energia reticolare di solvatazione.
Dall’equazione (4) si osserva che il valore dell’energia reticolare
decresce aumentando la distanza interionica e cioè la somma dei
raggi ionici relativi.
L’effetto dei raggi ionici sull’energia di solvatazione è
più complicato. Uno ione di piccole dimensioni, che ha
maggiore densità di carica, ha una interazione attrattiva
coulombiana con le molecole d’acqua di maggiore entità rispetto
ad uno ione di dimensioni maggiori con la medesima carica..
* Si considera sempre la stessa convenzione riguardo al segno: il segno
positivo indica che il calore è stato assorbito dal sistema.
55
Struttura e solubilità dei composti ionici
Tuttavia uno ione di dimensioni maggiori può coordinare
più molecole di acqua formando un numero maggiore di legami
dipolari. La dimensione di uno ione,inoltre, può costituire un
fattore favorevole o sfavorevole per la solvatazione. Prendiamo
in esame i calori di soluzione di alcuni alogenuri riportati nella
Tab. III-2. A parte il fluoruro, tutti gli alogenuri di litio si
sciolgono con sviluppo di calore e tale sviluppo aumenta nella
serie F>Cl>Br>I.
Poiché il calore di solvatazione dello ione litio porta un
contributo costante e poiché i calori di soluzione degli ioni
alogenici diminuiscono passando dallo ione fluoruro allo ioduro,
questa tendenza non può essere spiegata soltanto in funzione del
calore di solvatazione. Si tenga presente che le energie reticolari
degli alogenuri alcalini sono quasi inversamente proporzionali
alla somma dei raggi ionici del catione e dell’anione ma poiché
il raggio dello ione litio è piccolo (0,6 Å) rispetto a quello degli
alogenuri, l’energia reticolare varia notevolmente con la
dimensione dell’anione. L’energia di solvatazione dello ione
litio, Li+ (g), è abbastanza grande (121 Kcal mole-1) e fornisce
un contributo importante al calore di solvatazione totale degli
ioni gassosi così che nella serie LiF, LiCl, LiBr, e LiI l’energia
reticolare diminuisce più rapidamente di quanto il calore di
solvatazione aumenti con il raggio dell’anione. Ne consegue che
i calori di soluzione di questi alogenuri diventano più
esotermici.
Tabella III-2. Calore di soluzione di alcuni alogenuri di metalli
alcalini in Kcal mole-1
LiF
+0,9
NaF
+0,6
CsF
-8,4
LiCl
-8,6
NaCl
+1,1
CsCl
+4,3
LiBr
-11,7
NaBr
+0,2
CsBr
+6,3
LiI
-14,3
NaI
-1,2
CsI
+8,2
L’effetto opposto si osserva negli alogenuri di cesio dove
56
ò
Capitolo III
il catione è grande (1,69 Å) così che l’energia reticolare è meno
sensibile a variazioni di raggio anionico. Inoltre, il calore di
solvatazione dello ione cesio,Cs+(g), è relativamente piccolo (62
Kcal mole-1) e la somma per i due ioni è più sensibile alla natura
dell’anione.
Nella serie CsF, CsCl, CsBr e CsI l’energia reticolare ed
il processo di dissoluzione diventa progressivamente più
endotermico come aumenta la dimensione dello ione alogenuro.
Nel caso dello ione sodio che è di dimensione intermedia si ha
una situazione in cui i due effetti sono più o meno egualmente
bilanciati; ne risulta che i calori di soluzione degli alogenuri di
sodio anidri sono piccoli e praticamente non dipendono
dall’anione. I sali contenenti cationi di metalli alcalino-terrosi
sono meno solubili di quelli contenti cationi di metalli alcalini e
molti sali come MgO, BaSO4, CaC2O4, PbS ecc.. risultano
praticamente insolubili. Le energie reticolari di questi composti,
che contengono ioni bivalenti sono, infatti, molto elevate e non
passano quindi in soluzione.
Alcuni composti però con ioni di eguale carica come
MgSO4, FeSO4 e ZnSO4 sono invece molto solubili, ciò dipende
dal fatto che i cationi di questi sali sono piccoli e fortemente
idratati, così che l’energia di idratazione controbilancia l’energia
reticolare.
Legami parzialmente covalenti o polarizzati
L’influenza delle dimensioni e della carica, per quanto
grande, non è sufficiente per spiegare le notevoli variazioni
dell’energia reticolare che si riscontrano in composti a struttura
simile. È necessario, pertanto, esaminare la struttura elettronica
dei cationi dei differenti sali. Le regolarità finora descritte si
osservano con cationi che hanno la struttura elettronica dei gas
nobili, ma il comportamento è molto diverso quando i cationi
non presentano questa struttura. E’ interessante confrontare le
energie reticolari degli alogenuri di argento e dei metalli
alcalini. Il cloruro di sodio e il cloruro di argento hanno lo stesso
Struttura e solubilità dei composti ionici
57
tipo di reticolo cristallino e le distanze internucleari sono circa
eguali, cioè 2,18 Å per NaCl e 2,77 Å per AgCl, ma l’argento
con un involucro esterno di 18 elettroni non ha la struttura del
gas nobile. Le energie reticolari sono 184 e 216, rispettivamente,
cosicché l’energia reticolare del cloruro di argento risulta
maggiore di circa il 32. Elevate energie reticolari si osservano
negli altri alogenuri dell’argento (AgBr-AgI) e per gli alogenuri
contenenti ioni Cu+ (involucro esterno di 18 elettroni) e Tl+
(involucro esterno di 18+2 elettroni). La minore solubilità di
questi composti è dovuta sia ad una elevata energia reticolare
che ad una minore tendenza all’idratazione di questi ioni rispetto
ai corrispondenti metalli alcalini.
Per interpretare le anomali energie reticolari degli
alogenuri di argento sono state introdotte due ipotesi. Secondo la
prima, gli elettroni degli ioni nel cloruro di argento, per
esempio, non sono completamente localizzati intorno al nucleo
del cloro, ma possono trascorrere gran parte del loro tempo
intorno al nucleo dell’argento. Poiché questi elettroni sono, in
parte, in comune tra i due ioni, il legame tra di essi risulta
parzialmente covalente per quanto prevalentemente ionico.
Questo legame parzialmente covalente è più forte del semplice
legame ionico nel cloruro di sodio, e l’energia reticolare del
cloruro di argento è, quindi, maggiore (più negativa).
Secondo la seconda interpretazione, lo ione argento
polarizza lo ione cloruro, o, in altre parole, il nucleo dello ione
argento determina una distorsione nel movimento degli elettroni,
intorno al nucleo del cloro, cosicché questi trascorrono più
tempo nella direzione dello ione argento che non in quello dello
ione cloro. La caratterizzazione di questi tipi di legame viene
presentata in Fig. III-5. Entrambi le interpretazioni considerano,
quindi, una distorsione delle strutture elettroniche descritte. Non
si può dire quale delle due sia errata, poiché entrambe portano
alle stesse conclusioni sul comportamento dei composti ionici.
L’esistenza dei legami parzialmente covalenti o polarizzati può
essere dedotto in base ad osservazioni diverse.
58
ò
Capitolo III
Figura III-5. (a) ione isolato; (b) legame parzialmente covalente;
(c) legame ionico polarizzato
È già stata citata l’elevata energia reticolare degli
alogenuri di argento, paragonadola con quella dei composti in
cui i legami sono prevalentemente ionici ed è stata, anche,
menzionata la loro scarsa solubilità come una conseguenza
frequente, ma non necessaria, dell’elevata energia reticolare e
dell’esistenza di legami parzialmente covalenti. Anche il colore
di un composto può costituire una utile indicazione; un
composto ha una certa colorazione poiché alcune radiazioni
della luce bianca che lo investono sono assorbite. Per esempio,
un cristallo di CuSO4·5H2O è blu perché sottrae dalla luce
bianca principalmente la luce rossa e violetta. La luce è energia,
e le radiazioni che vengono assorbite provocano temporanee
trasformazioni nella struttura elettronica degli ioni di cui è
costituito il cristallo. Gli elettroni esterni di alcuni ioni sono
legati meno fortemente e la luce visibile è sufficiente a
provocare determinate trasformazioni elettroniche.
Struttura e solubilità dei composti ionici
59
Poiché gli elettroni degli ioni, che hanno la struttura dei
gas nobili, sono legati fortemente, solidi come NaCl o CaO, che
sono costituiti da tali ioni, sono incolori. Esistono, invece, solidi
che sono colorati pur essendo formati da ioni incolori, per es.
AgI, CdS e PbO che sono di colore giallo, HgI2 che è rosso, e
PbS e HgS che sono neri. I cationi di questi solidi non hanno la
struttura dei gas nobili, e gli anioni hanno elettroni che sono
facilmente polarizzati o distorti dai cationi con cui si legano, per
questo sono in grado di assorbire energia luminosa. L’entità
della polarizzazione degli elettroni intorno ad un nucleo e della
loro partecipazione ad un legame covalente dipende dalle forze
con cui il nucleo trattiene gli elettroni, e dall’azione esercitata su
di essi dagli altri ioni.
In generale, si può dire che la struttura elettronica degli
anioni che viene deformata e cioè polarizzata dai cationi vicini,
poiché gli anioni possiedono un maggiore numero di elettroni
meno tenacemente legati rispetto al nucleo dei cationi. Per la
valutazione di un legame in un composto è utile tenere presente
alcune regole pratiche.
a) Il carattere covalente di un legame tra cationi ed anioni
aumenta al crescere delle dimensioni dell’anione e al
diminuire delle dimensioni del catione
Ad esempio lo ione ioduro è di dimensioni maggiori ed è
più polarizzabile dello ione cloruro, quindi il legame Ag+-I- ha
un carattere più covalente del legame Ag+-Cl-. Ciò può mettersi
in evidenza attraverso numerose osservazioni: entrambi gli
alogenuri di argento hanno una energia reticolare molto elevata,
ma è maggiore quella dello ioduro. Lo ioduro di argento è giallo,
mentre il cloruro è bianco ed il primo è molto meno solubile del
secondo. Gli elettroni di valenza dello ioduro sono più lontani
dal nucleo di quelli del cloruro e possono quindi più facilmente
essere messi in comune con gli altri ioni. Altro tipico esempio è
il comportamento dello ione solfuro, molto più polarizzabile
dello ione ossigeno; ne consegue,pertanto, che i solfuri risultano,
frequentemente, meno solubili dei corrispondenti ossidi, e di
solito sono colorati più intensamente.
b) Il carattere covalente, di un legame catione-anione, aumenta
60
ò
Capitolo III
al crescere della carica ionica
Lo ione O-2 è più polarizzabile dello ione F- e, quindi, i
legami, nei fluoruri metallici, hanno un carattere più ionico dei
rispettivi ossidi. Gli ossidi, infatti, sono talvolta colorati (ad es.
HgO è rosso) mentre il fluoruro corrispondente HgF2 è incolore.
I due anioni hanno lo stesso numero di elettroni, ma lo ione
ossigeno ha una carica positiva in meno sul suo nucleo e, quindi,
un controllo minore sugli elettroni.
Lo ione solfuro è più polarizzabile dello ione cloruro e
molti solfuri sono colorati a differenza dei corrispondenti
cloruri. L’influenza della carica ionica può desumersi
esaminando il potere polarizzante dello ione Mg+2 e Li+.
Entrambi hanno all’incirca la stessa dimensione, ma il magnesio
che ha una carica doppia esercita un’azione maggiore sugli
elettroni dello ione OH-; ne consegue che Mg(OH)2 è meno
solubile dell’idrossido di litio (LiOH), inoltre, il legame nel
primo caso è parzialmente covalente.
c) Il carattere covalente di un legame fra catione ed anione è
maggiore per i cationi che non hanno la struttura dei gas
nobili
È già stato messo in evidenza il comportamento di AgCl
e di NaCl. Gli elettroni dell’ottetto del sodio Na+ penetrano
vicino al nucleo e sono, quindi, trattenuti saldamente. Il guscio
elettronico dovuto ai 18 elettroni dello ione argento, Ag+, è
legato nell’atomo in modo meno saldo e gli elettroni sono più
facilmente polarizzati dagli anioni. Questi cationi non solo
polarizzano gli anioni ma sono essi stessi polarizzati. Questo
effetto è più pronunciato quando il catione ha una piccola carica
come Ag+. E’ da tenere presente che se il catione è facilmente
polarizzabile, la prima regola non è applicabile.
Ad esempio nella serie Zn+2, Cd+2, Hg+2 si può osservare
che il piccolo ione zinco ha il maggiore poter polarizzante, ma
che lo ione Hg+2 di grandi dimensioni è di per se polarizzabile
come lo ione cloro. Tutti e tre questi ioni formano legami, con
carattere covalente, ma tale caratteristica nel mercurio è più
marcata. Ciò si riflette anche nelle caratteristiche dei solfuri: il
ZnS è bianco e moderatamente solubile, il CdS è giallo ed è
Struttura e solubilità dei composti ionici
61
meno solubile, il HgS che è nero ed è, in pratica, il solfuro meno
solubile.
Utilizzazione dei valori di energia reticolare e dell’energia di
idratazione in Chimica Analitica.
È possibile interpretare alla luce dei concetti espressi nei
paragrafi precedenti le sequenze dei vari gruppi analitici nei
procedimenti di analisi qualitativa.
I cationi del primo gruppo analitico precipitano come
cloruri insolubili. La ragione della insolubilità del cloruro di
argento è già stata discussa; per i cationi Pb+2 e Hg+2 si deve
tenere conto del fatto che essi hanno notevoli dimensioni, non
hanno struttura tipica dei gas nobili e sono, inoltre, debolmente
idratati ma molto polarizzati: essi sono, quindi, più attratti dagli
ioni cloruro che dalle molecole di acqua e danno luogo ai
rispettivi cloruri poco solubili.
I cationi del secondo gruppo analitico precipitano come
solfuri in soluzione acida (0,01-0,3 M in HCl).
CAPITOLO IV
L’EQUILIBRIO CHIMICO
Le reazioni utilizzate in chimica analitica sono,
generalmente, scelte fra quelle che raggiungono rapidamente
l’equilibrio e vanno a decorso completo, cioè presentano alla
fine un equilibrio fortemente spostato a favore dei prodotti della
reazione considerata. Altre volte è necessario condizionare gli
equilibri del sistema, mantenendo a valori prefissati il grado di
acidità, il potere ossidante, il potere riducente ecc.. Conoscere la
natura degli equilibri implicati nel processo permette di
calcolare la concentrazione all’equilibrio di determinate specie
chimiche e, perfino, di conoscere se alcune specie chimiche
possono o meno esistere nelle condizioni sperimentali
impiegate.
Il concetto di equilibrio chimico o di un sistema in
generale è abbastanza intuitivo. Infatti, se un sistema chimico è
stabile nel tempo, nel senso che conserva, inalterate, in ogni suo
punto le sue proprietà fisiche e la sua composizione chimica, si
dice che è in uno stato di equilibrio. Lo studio termodinamico e
cinetico dei sistemi, sia chimici che fisici, permette di definire le
condizioni operative che determinano lo stabilirsi di uno stato di
equilibrio.
Concetto cinetico dell’equilibrio
Consideriamo una, generica, reazione bimolecolare, allo
stato gassoso,
A+B→C+D
in sostanza la velocità della reazione dipende solo da due
63
64
Capitolo IV
fattori:
- dal numero totale delle collisioni fra le specie reagenti, A e B
nell’ unità di tempo;
- dalla frazione di collisioni efficaci al fine della reazione.
Se il numero delle collisioni raddoppia, ovviamente,
anche la velocità della reazione si raddoppierà. Se ad un dato
momento la concentrazione di A, cioè il numero di molecole di
A per un dato volume, si raddoppia, la probabilità delle
collisione raddoppierà e di conseguenza la velocità di reazione
raddoppierà. Lo stesso effetto si ottiene se, mantenendo A
costante, si raddoppia la concentrazione di B.
Si può, quindi, concludere che la velocità della reazione
(v1) può essere espressa dall’equazione:
(1)
v1= k1[A][B]
dove k1, è la costante di velocità e [A] e [B] sono
rispettivamente le concentrazioni molari di A e B. La relazione
(1) non è altro che l’espressione del postulato di Guldberg e
Waage : “in un sistema omogeneo, la velocità di una reazione
chimica è proporzionale alle masse attive delle sostanze
reagenti”, considerando la concentrazione molare di una
sostanza in soluzione o in fase gassosa una misura della “massa
attiva”.
È, anche, noto che moltissime reazioni sono reversibili,
cioè il loro decorso non è completo, ed oltre ai prodotti finali
delle reazioni si trovano quantità più o meno apprezzabili dei
reagenti.
Sia
A+BC+D
una reazione reversibile. Poiché anche alla reazione inversa si
possono estendere ed applicare gli stessi concetti sviluppati in
precedenza, cioè possiamo indicare con (v2) la velocità della
reazione inversa che sarà data dall’equazione:
(2)
v2= k2[C][D]
Se all’inizio il sistema contiene soltanto A e B, la
L'equilibrio chimico
I
I
65
reazione procederà verso destra e la velocità (v1) diminuirà,
mano a mano che le concentrazioni di A e B decrescono.
Contemporaneamente, la velocità (v2) della reazione inversa,
inizialmente nulla per l’assenza di C e D, comincerà a crescere,
gradualmente, mano a mano che i prodotti della reazione (C e
D) si accumuleranno. Quindi, prima o poi le due reazioni,
diretta e inversa, procederanno alla stessa velocità.
Da quel momento le concentrazioni di A, B, C, D
rimarranno costanti e il sistema avrà raggiunto lo stato di
equilibrio. In queste condizioni si avrà che v1= v2 e quindi:
k1[A][B] = k2[C][D]
(3)
da cui, si ottiene che
K=
k1 [ C ] × [ D ]
=
k2 [ A ] × [ B ]
(4)
dove K è la costante di equilibrio e la relazione (4) esprime la
legge dell’equilibrio chimico o dell’azione di massa.
Estendendo i concetti espressi ad una reazione generica
a A+ b B+ c C+……. l L+ m M+ n N+…..
si ricava in modo analogo che
[ L ]l × [ M ] m × [ N ] n
K=
[ A] a × [ B ]b × [ C ]c
(5)
La legge dell’equilibrio chimico afferma che,
indipendentemente dalle concentrazioni iniziali di A, B, C ecc. e
L, M, N, ecc., una volta raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni
devono avere valori tali da soddisfare la (5). Se è noto il valore
di K, date le concentrazioni iniziali delle sostanze interessate al
processo è possibile calcolare la composizione all’equilibrio. È
ovvio che anche l’inverso del rapporto della relazione (5) è una
costante, tuttavia, per convenzione universalmente accettata,
prende il nome di costante di equilibrio il rapporto in cui
66
Capitolo IV
compaiono al numeratore le concentrazioni dei prodotti della
reazione.
Questa convenzione ha il vantaggio pratico che permette
di collegare direttamente il valore numerico di K con la tendenza
della reazione a decorrere completamente; un valore grande di K
indica, infatti, che all’equilibrio, i prodotti di partenza sono
presenti a concentrazioni molto basse rispetto ai prodotti finali e
quindi la reazione si è spostata di molto verso destra. E’ chiaro,
da quanto detto, che all’equilibrio, anche se non si hanno più
variazioni di concentrazione, le due reazioni opposte continuano
a procedere a velocità costante, si ha cioè un equilibrio
dinamico.
La natura dinamica dell’equilibrio chimico, che per tanto
tempo è rimasta una pura ipotesi, è oggi dimostrabile facilmente
con delle semplici esperienze, se si hanno molecole marcate con
isotopi radioattivi.
Per esempio, se al sistema all’equilibrio
H2 + I2 2 HI
si introduce una minima quantità di I131, radioattivo, dopo un
breve tempo, si nota che la radioattività è distribuita
uniformemente fra I2 e HI. È importante tenere presente che la
legge dell’equilibrio non dà alcun ragguaglio circa la velocità
delle reazioni; non c’è alcuna relazione fra valore della costante
e velocità dei processi. È di fondamentale importanza, inoltre, il
fatto che le caratteristiche dell’equilibrio non dipendono dal
particolare meccanismo dei processi, attraverso i quali esso è
stato raggiunto.
Indipendentemente dalle complicazioni della cinetica
reale delle eventuali reazioni intermedie, che portano il sistema
all’equilibrio, si può scrivere l’espressione della costante di
equilibrio semplicemente in base alla stechiometria della
equazione chimica globale secondo la quale dai reagenti di
partenza si raggiungono i prodotti finali.
L'equilibrio chimico
67
Considerazioni termodinamiche sull’equilibrio chimico
Il trattamento precedente, basato su una visione cinetica
dell’equilibrio della reazione chimica, ha permesso di giungere
in modo semplice e diretto alla formulazione della legge
dell’equilibrio chimico. Tuttavia, basandosi su considerazioni
termodinamiche, si può arrivare allo stesso risultato col
vantaggio di giungere ad un equilibrio chimico di natura assai
più fondamentale, che permette di inserirlo più agevolmente nel
quadro, ben più vasto, dell’equilibrio chimico-fisico in generale.
Si può osservare che ogni fenomeno fisico o chimico che
decorra spontaneamente è sempre in qualche modo associato ad
una diminuzione di qualche forma di energia potenziale.
Questo principio è del tutto generale, e in un generico
sistema che non sia in equilibrio, si avrà spontaneamente il
trasferimento di energia o di materia finché, complessivamente,
il sistema non avrà raggiunto uno stato minimo d’energia. Ogni
reazione chimica può essere vista come una manifestazione di
questo principio. Un sistema materiale può essere considerato,
da un punto di vista termodinamico, una riserva di energia
potenziale, il cui ammontare è dovuto al contributo di tutti i
componenti che lo costituiscono. Ogni componente è
caratterizzato da un suo particolare contenuto energetico
(potenziale chimico).
E’ utile ed interessante l’idea introdotta da G.N. Lewis.
Egli, infatti, paragona qualsiasi equilibrio all’equilibrio termico.
Quest’ultimo si ottiene quando tutte le zone di un sistema
raggiungono la stessa temperatura. Questa condizione è
realizzata, spontaneamente, in qualsiasi corpo mediante il
trasferimento di calore dai punti più caldi verso i punti più freddi
e quando tutto il corpo ha raggiunto la stessa temperatura
uniforme, il potenziale termico è lo stesso ogni suo punto. La
temperatura, quindi, può considerarsi il fattore di livello, il
potenziale, dell’energia termica. Il calore, infatti, ha la naturale
tendenza ad abbassare il suo potenziale trasferendosi dai corpi a
temperatura più elevata a quelli a temperatura più bassa (II°
principio della termodinamica).
68
Capitolo IV
Analogamente una massa tende ad abbassare la sua
energia potenziale meccanica diminuendo il suo potenziale in un
campo gravitazionale (altezza). Un gas tende ad espandersi per
diminuire il suo potenziale chimico. Una carica elettrica tende a
diminuire il suo potenziale (tensione), trasferendosi da corpi più
carichi a corpi meno carichi, ecc.. Anche il trasferimento di
materia da una fase all’altra risponde, in sostanza, agli stessi
principi. La regola delle fasi, infatti, non è altro che
l’espressione di questo principio, quando afferma che in un
sistema all’equilibrio il potenziale chimico di ciascun
componente è lo stesso in tutte le fasi.
Se il sistema non è in equilibrio, i potenziali chimici dei
diversi componenti non sono uguali in tutte le fasi e si
manifesta, quindi, una tendenza spontanea, per ogni
componente, di passare dalla fase in cui il potenziale è più alto a
quella dove è più basso. Analoghe considerazioni servono ad
interpretare il decorso delle reazioni chimiche e tutto un insieme
di processi che sono alla base di molte operazioni di
fondamentale interesse analitico, quali la distillazione di miscele
di liquidi, le estrazioni con solventi, le varie tecniche
cromatografiche ed altri processi che fanno capo, o sono
paragonabili, alla ripartizione di un soluto fra due fasi.
Per procedere ad uno studio più dettagliato dell’equilibrio
chimico, da un punto di vista termodinamico, è necessario
ricordare alcune definizioni. L’energia libera (G), è definita
dalla funzione:
G = H – TS
(6)
dove H è il contenuto di calore o entalpia del sistema, T è la
temperatura assoluta ed S è l’entropia del sistema. In una
trasformazione isoterma finita, a pressione costante, la
variazione di energia libera del sistema è data da
∆GP,T = ∆H – T ∆S
(7)
Nella relazione (7) ogni termine ha un significato fisico ben
L'equilibrio chimico
69
preciso. Il termine ∆H corrisponde alla variazione di energia
totale subita dal sistema in seguito alla reazione chimica, esso
corrisponde alla così detta “totalità termica” a pressione
costante, cioè alla quantità massima di calore che il sistema
assorbe o perde (se ∆H < 0) in un decorso completamente
irreversibile a pressione e a temperatura costante. ∆G è la parte
di tale energia che può essere trasformata in lavoro in un
decorso reversibile ed è misurabile dal massimo lavoro netto
ottenibile. T∆S è la parte di energia totale che può essere
trasformata direttamente in lavoro, ma che il sistema assorbe o
cede all’ambiente, sotto forma di calore, in un decorso
reversibile (energia vincolata). Quindi l’espressione (7) assume
il seguente significato fisico:
Energia Totale = Energia libera + Energia vincolata
In un sistema a più componenti, l’energia libera totale
risulta dalla somma dei contributi dovuti ai singoli componenti:
G
G = ∑ ni ( ) P ,T ,n1 ,n2 ,... = ni ei
(8)
ni
G
il termine ei = ( )P ,T ,n1 ,n2 ,... è l’energia libera parziale molare
ni
del componente i e rappresenta il potenziale chimico (ei) del
componente i nelle condizioni del sistema; ni è il numero delle
moli di i presenti nel sistema, quindi, il prodotto ni×ei
rappresenta l’aliquota di energia libera totale del sistema, dovuta
al componente i. Se consideriamo un sistema gassoso ideale,
possiamo esprimere il potenziale chimico di ogni componente in
funzione della sua pressione parziale (pi) mediante l’equazione:
ei = e°i+ RT ln pi
(9)
dove e°i è una costante dipendente soltanto dalla natura del gas e
dalla temperatura.
Consideriamo, ora, un sistema chimico del tutto generico
70
Capitolo IV
a A + b B + … m M + n N +…
(10)
che abbia raggiunto lo stato di equilibrio ad una data
temperatura e ad una data pressione. In tali condizioni il sistema
non è più in grado di fornire lavoro e la sua composizione resta
costante. Si possono enunciare le condizioni di equilibrio in
termini termodinamici dicendo: in un sistema all’equilibrio, a
pressione e a temperatura costante, l’energia libera resta
costante.
(∂G)T,P = 0
(11)
Ciò significa che, in condizioni di equilibrio, un eventuale
avanzamento infinitesimo della reazione, a T e P costante, non
comporterebbe una variazione di energia libera. Se in una
infinitesima trasformazione si avesse la scomparsa di dnA moli
di A, dnB moli di B, ecc e una formazione di dnM moli di M, dnN
moli di N ecc.. la variazione di energia libera corrispondente
sarebbe nulla e si potrebbe esprimere con l’equazione:
(∂G)T,P = (eMdnM + eN dnN + ..)-(eAdnA + eBdnB +..) = 0
(12)
Le quantità dnA, dnB, dnM, dnN .., coinvolte nella reazione
chimica indicata, devono essere proporzionali ai coefficienti
stechiometrici a, b, m, n,
per cui l’equazione (12) si può
trascrivere:
(meM + neN +..) – (aeA + beB + ..) = (∂G)P,T = 0
(13)
l’equazione (13) ci permette di enunciare la condizione
termodinamica di equilibrio dicendo che: in un sistema
all’equilibrio la somma dei potenziali chimici dei reagenti è
uguale a quella dei prodotti.
Supponendo che il sistema in esame (10) sia un sistema
gassoso ideale, introducendo nella (13) i singoli valori dei
potenziali chimici dati dalla (9), si ricava:
I
L'equilibrio chimico
I
71
m(e°M + RT ln pM) + n(e°N + RT ln pN) +.. − a(e°A + RT ln pA)+
– b (e°B + RT ln pB) -….= 0
da cui si ha
p Mm × p Nn × .....
RT ln a
= (aeA0 + beB0 + ....) (meM0 + neN0 + ....) = cos t
b
p A × p B × .....
poiché, a temperatura costante, RT è costante, si avrà pure:
m
pM
× p Nn × .....
= cos t = K p
p aA × p Bb × .....
(14)
Ovviamente il potenziale chimico di un gas può essere espresso
anche in funzione della sua concentrazione
e = e°c+ R T ln c
(15)
per cui, sostituendo nella (13) la (15) anziché la (9) o
semplicemente ricorrendo alla legge dei gas ideali
(p=n/vRT=cRT), si può facilmente esprimere la costante di
equilibrio in funzione delle concentrazioni dei singoli
componenti
[ M ] m × [ N ] n × ....
= Kc
[ A ] a × [ B ] b × ....
(16)
Conclusioni analoghe valgono anche per le soluzioni a
comportamento ideale.
La variazione di energia libera nelle reazioni chimiche
In una reazione chimica spontanea, il sistema subisce
una diminuzione di energia libera, (∂G), misurabile dal lavoro
72
Capitolo IV
netto massimo ottenibile dal processo, qualora esso proceda per
via reversibile isoterma. Per esempio, se la reazione può essere
realizzata in una pila galvanica, la variazione di energia libera,
∆G, viene misurata dal lavoro elettrico (EnF) ottenibile dalla
pila quando sia fatta “lavorare” in condizioni isoterme contro
una resistenza infinita, in modo da garantire un decorso
reversibile ed infinitesimo del processo. Si ha in tal caso:
-∆GT,P = EnF
(17)
Consideriamo ancora la generica reazione reversibile:
a A + b B+ … m M + n N + ….
Immaginiamo, in un dato istante (to), un sistema composto da
quantità grandissime ed arbitrarie dei reagenti A, B, ... ecc. e dei
prodotti M, N, … ecc.. L’energia libera complessiva del sistema,
al tempo to, può essere data come somma dei contributi dei
singoli componenti ed espressa, quindi, in funzione dei rispettivi
potenziali chimici (energia libera parziale molare [IV-8]). Se nA,
nB ecc. sono le moli dei rispettivi componenti che formano il
sistema, si avrà, a P e T costante:
G T,P = nA eA + nB eB + ….+ nM eM + nN eN + …..
Ora immaginiamo che, in un tempo dt, a moli di A, b moli di B
ecc.. reagiscano per dare m moli di M, n moli di N ecc..,
ammettendo che a, b,… m, n,… ecc.. siano quantità trascurabili
rispetto a nA, nB ecc.. in modo che la reazione non comporti una
variazione sensibili della composizione (decorso infinitesimo
della reazione). La variazione di energia libera subita dall’intero
sistema sarà dato da
∆GT,P = (meM + neN + ..) – (aeA + beB + …)
(18)
Sostituendo nella (18) l’espressione (e = e° + RT ln c) per i
potenziali chimici di ogni componente e raccogliendo
L'equilibrio chimico
I
I
73
separatamente i termini costanti e le variabili, si ricava:
∆GP ,T =
∆GP0 ,T
[ M ] m × [ N ] n × ....
+ RT ln
[ A ] a × [ B ] b × ....
(19)
dove ∆G°P,T = (m e°M + n e°N+..) – (a e°A + b e°B+) e le
concentrazioni possono assumere qualsiasi valore arbitrario.
∆G° è la variazione di energia libera standard, e corrisponde al
particolare valore assunto ∆GP,T quando le concentrazioni
iniziali arbitrarie sono tutte unitarie (1 mole per litro).
Quando il sistema raggiunge l’equilibrio
[ M ] m × [ N ] n × ....
=K
[ A ] a × [ B ] b × ....
(20)
da questo momento il lavoro che si può ottenere è nullo, (∆G P,T
= 0), per cui, si deduce:
∆G°P,T = - RT ln K
(21)
La relazione (19), impiegando l’equazione (21), può essere
trascritta:
[ M ] m × [ N ] n × ....
∆GP ,T = RT ln K + RT ln
(22)
[ A ] a × [ B ] b × ....
La relazione (22) è molto utile, perché mostra direttamente che
un sistema può fornire tanto più lavoro (-∆G) quanto più le
concentrazioni arbitrarie di partenza sono lontane da quelle
imposte dall’equilibrio. Questa equazione è nota come
equazione isoterma ed è stata ricavata per la prima volta da J. H.
Vant Hoff nel 1886. La sua importanza è dovuta al fatto che essa
costituisce la risposta che la termodinamica dà al problema
riguardante le condizioni che determinano le possibilità di
decorso di un processo chimico e la direzione della
trasformazione. Dalla (22) si vede che il segno di ∆G è
74
Capitolo IV
determinato dai valori relativi di K e dal rapporto delle
concentrazioni. A seconda che sia
K≈
[ M ]m × [ N ]n × ....
[ A]a × [ B]b × ....
si ha 0 ≈ ∆GP,T:
se è ∆GP,T < 0, la reazione procede spontaneamente da sinistra a
destra,
se ∆GP,T = 0, il sistema è allo stato di equilibrio,
se ∆GP,T > 0, la reazione procede nel verso contrario a quello
previsto, cioè da destra a sinistra.
Concentrazioni ed attività
Le forze interioniche esistenti in una soluzione possono
sensibilmente alterare il comportamento di un catione e di un
anione. La legge dell’equilibrio può essere considerata una legge
limite nel senso che essa è valida in soluzioni molto diluite, cioè
la concentrazione degli elettroliti è molto piccola: quando si
verifica questa condizione l’attività di uno ione è eguale alla sua
concentrazione. A concentrazione apprezzabile di elettroliti
l’influenza delle atmosfere ioniche è tale, invece, da rendere
l’azione di uno ione meno efficace nell’influenzare lo stato di
equilibrio. Tale comportamento viene espresso dalla seguente
relazione, che lega l’attività (ai) di uno ione i alla sua
concentrazione Ci (in moli/litro)
ai = fi Ci
f è un numero adimensionale denominato coefficiente di attività.
In soluzioni molto diluite f→1 e quindi ai = Ci, mentre in
soluzioni più concentrate esso si discosta notevolmente
dall’unità. L’entità di questo coefficiente dipende dalla
concentrazione degli elettroliti e dalla loro carica, mentre è
praticamente indipendente dalla natura dell’elettrolita. L’effetto
di questi due fattori può essere espresso dalla forza ionica (µ);
con tale termine si indica la semisomma dei prodotti delle
L'equilibrio chimico
75
concentrazioni molari, m, dei singoli ioni per la loro carica
elevata al quadrato e cioè
1
µ = ( m1 z12 + m1 z 22 + m1 z 32 + ....)
2
Il calcolo della forza ionica viene illustrato nel seguente
esempio.
Esempio: Calcolare la forza ionica:
a) di una soluzione 0,03 M di cloruro di potassio
b) di una soluzione 0,01 M di cloruro di bario
c) di una soluzione che contiene per litro 0,01 moli di nitrato di
sodio e 0,0067 moli di nitrato di calcio.
Gli elettroliti nei 3 casi indicati sono forti e quindi
completamente ionizzati; le forze ioniche sono nei tre casi:
µ= ½([K+]×12+[Cl-]×12) = ½(0,03+0,03) = 0,03 M
µ= ½([Ba+2]×22+[Cl-]×12)= ½(0,04+0,02) = 0,03 M
µ= ½ ([Na+]×12+ [NO3-] × [Ca+2]×22) =
=½ (0,01 × 1+ 0,0234 ×1 + 0,0067 × 4) = 0,03 M
La forza ionica è un parametro importante per definire il
comportamento di una soluzione in quanto un qualunque
equilibrio risulta egualmente influenzato in soluzioni aventi la
stessa forza ionica, qualunque sia la natura dei sali in esse
disciolti. Ad esempio il grado di dissociazione di una soluzione
di acido acetico nelle tre soluzioni dell’esempio risulta lo stesso,
avendo esse la stessa forza ionica. Debye e Huckel hanno
derivato un’espressione teorica per il calcolo dei coefficienti di
attività considerando l’effetto di attrazione coulombiana degli
ioni che influisce sul movimento di questi e l’agitazione termica
Azi2 µ
lg f i =
1 + Bαi µ
in cui A e B sono due costanti il cui valore è rispettivamente
76
Capitolo IV
0,5085 e 0,3281×108 a 25°C; zi è la carica dello ione i ed αi il
diametro effettivo dello ione idratato in Angstrom. In forma
approssimata il coefficiente di attività può essere calcolato
mediante la seguente espressione
− log f i = 0 ,5 z i2 µ
Nella Tab. (1) sono riportati i coefficienti di attività dei più
comuni ioni calcolati mediante l’equazione di Debye e Hukel. È
da tenere presente che la determinazione sperimentale dei
coefficienti di attività dei singoli ioni non è possibile e che tutti i
metodi sperimentali forniscono solo un coefficiente di attività
medio per gli ioni positivi e negativi presenti in soluzione in
quanto l’attività di uno ione è variamente influenzato dallo ione
di carica opposta presente in soluzione. L’equazione di DebyeHukel è utile per il calcolo dei coefficienti di attività a
concentrazione ionica moderata ma non è applicabile per
soluzioni a forza ionica maggiore di 0,1 M. Per quanto riguarda
l’attività di una specie chimica è da tenere presente quanto
segue:
- Ioni molecolari: l’attività approssimativamente è eguale alla
concentrazione in moli/litro. In generale nel calcolo delle
relazioni di equilibrio si trascurano i coefficienti di attività;
l’errore che si fa nella maggior parte dei casi non è tale da
portare a conclusioni erronee. Per i non-elettroliti l’attività è
proporzionale alla concentrazione ma poiché il fattore di
proporzionalità non è noto, l’attività viene considerata
convenzionalmente eguale alla concentrazione.
Composti solidi o liquidi in equilibrio con la soluzione: l’attività
è esattamente unitaria.
- Gas in equilibrio con la soluzione: l’attività è la pressione
parziale del gas nell’atmosfera.
- Solvente di una soluzione diluita: l’attività è eguale alla
frazione molare ed è approssimativamente eguale all’unità.
- Miscele di liquidi: l’attività di un composto è
approssimativamente eguale alla frazione molare
L'equilibrio chimico
I
77
I
Tabella IV-1 Coefficienti di attività di ioni a 25°C
Ione
H+
Li+, C6H5COONa+,IO3-,HSO3-,
HCO3H2PO4-, H2AsO4OH-, F-, SCN-, HS-ClO3ClO4-,MnO4K+, Cl-, Br-, I- CN-NO3-,
NO2Rb+,Cs+,Ag+, NH4+
Mg+2, Be+2
Ca+2,Cu+2,Zn+2,Sn+2, Mn+2,
Ni+2,Co+2,Fe+2
Sr+2,Ba+2,Cd+2, Hg+2, S-2
Pb+2, CO3-2, SO3-2, C2O4-2
Hg2+2, SO4-2, S2O3-2,
CrO4-2, HPO4-2
Al+3, Fe+3, Cr+3, La+3,Ce+3
PO4-3, Fe(CN)6-3
Zr+4, Ce+4, Sn+4
Fe(CN)6-4
Dimensione
ionica
α (Å)
9
6
4-4,5
Coefficienti di attività a forza ionica
0,001 0,005
0,01
0,05
0,1
0,967
0,965
0,964
0,933
0,929
0,928
0,914
0,907
0,902
0,86
0,84
0,82
0,83
0,80
0,78
3,5
0,964
0,926
0,900
0,81
0,76
3
0,964
0,925
0,899
0,80
0,76
2,5
8
6
0,964
0,872
0,870
0,924
0,755
0,749
0,898
0,690
0,675
0,80
0,52
0,48
0,75
0,45
0,40
5
4,5
4
0,868
0,868
0,867
0,744
0,742
0,740
0,670
0,665
0,660
0,46
0,46
0,44
0,38
0,37
0,36
9
4
11
5
0,738
0,725
0,588
0,57
0,540
0,50
0,35
0,31
0,440
0,400
0,255
0,20
0,24
0,16
0,10
0,048
0,18
0,09
0,06
0,02
CAPITOLO V
PROTOLITI
Le sostanze, pure o in soluzione, che conducono la
corrente elettrica con trasporto di materia sono definite
elettroliti. Questi furono classificati da Arrhenius (1887) in
acidi, basi e sali. Acidi erano definiti gli elettroliti il cui catione
è lo ione idrogeno (H+) e basi erano definiti gli elettroliti il cui
anione è lo ione idrossido (OH-). Sali sono gli elettroliti
costituiti da un catione basico e da un anione acido. Questa
definizione di acido-base non tiene conto del fatto che lo ione
idrogeno è sempre solvatato nei sistemi condensati e che il
protone libero non esiste in concentrazione misurabile in nessun
solvente.
In acqua, ad esempio, esso è completamente idratato e
per brevità viene indicato come H3O+, ione idrossonio o idronio,
ma in realtà deve intendersi come H(H2O)n+ con n variabile.
Anche in altri solventi lo ione idrogeno non esiste libero ma
solvatato (in metanolo come CH3OH2+, in ammoniaca liquida
come NH4+ ecc.). Ne risulta che se la definizione di acido e di
base deve basarsi sull’esistenza di ioni realmente presenti in
soluzione, bisognerebbe dare una particolare definizione per
ogni solvente.
Nel 1923 Brønsted e Lowry, indipendentemente,
svilupparono una definizione di acido e base, che eliminava le
improprietà della classificazione di Arrhenius. Tale definizione
è di validità generale e gli equilibri in soluzione vengono oggi
esaminati ed interpretati alla luce della teoria di Brønsted (*).
Teoria protonica di Brønsted e Lowry
La definizione di Brønsted si basa sullo schema
(1)
Acido Base + H+
secondo il quale acido si definisce una sostanza che può cedere
79
80
Capitolo V
(donare) un protone formando una base, e base è una sostanza
che può accettare (acquistare) un protone formando un acido.
L’acido e la base nella reazione (1) sono chiamati
corrispondenti o coniugati e formano una coppia acido-base.
Poiché, lo ione idrogeno è identico al nucleo carico
positivamente dell’atomo d’idrogeno, il protone, la funzione
acido-base si esplica attraverso una cessione e un acquisto di
protoni, e Brønsted denominò, quindi, le basi e gli acidi:
protoliti. Secondo la definizione di Brønsted un acido è una
specie molecolare o ionica che è sempre carica di una unità
positiva in più della base corrispondente. Nella teoria protonica
i protoliti, acidi e basi, possono essere molecole neutre, cationi e
anioni. Vengono riportati, di seguito, alcuni esempi di acidi e
basi corrispondenti (2):
AcidoBase + Protone
HCl Cl-+ H+
HNO3 NO3- + H+
H3PO4 H2PO4- + H+
H2PO4- HPO4-2 + H+
NH4+ NH3 + H+
Fe(H2O)6+3Fe(H2O)5OH+2+H+
Specie come H2PO4- e HCO3- possono agire sia come
acidi che come basi e si definiscono elettroliti anfoteri.
Reazioni secondo lo schema (2) sono puramente formali. Si è,
infatti, già detto che i protoni liberi non esistono in quantità
apprezzabile in nessun sistema condensato e che un protone può
essere ceduto soltanto se l’acido è in presenza di un’altra
(*) Per quanto si riconosce sia al danese Brønsted che all’inglese Lowry
l’originalità della definizione, la teoria va comunemente sotto il nome di
Brønsted in onore del chimico danese che ha trattato in modo completo
l’argomento.
Protoliti
81
molecola o di uno ione capace di accettarlo. Poiché, questo
ultimo è per definizione una base, e indispensabile che le due
coppie acido-base reagiscano in modo simultaneo affinché si
realizzi la relazione acido-base. Ogni equilibrio acido-base è,
quindi, in realtà il risultato di un trasferimento del protone, tra
due coppie acido-base.
Acido1 Base1 + H+
Base2 + H+ Acido2
Acido1 + Base2 Acido2 + Base1
(3)
La reazione (3) si chiama reazione di protolisi o di
protopia ed il relativo equilibrio, equilibrio di protolisi. E’
evidente che un acido può protolizzarsi, cioè dissociarsi in un
solvente solo se questo può accettare protoni, se è una base; e
una base può protolizzarsi in un solvente, se questo si comporta
da acido. L’acqua ha la proprietà di protolizzare gli acidi e le
basi, di conseguenza essa può agire da base e da acido. L’acqua
agisce secondo lo schema:
- come acido H2O H+ + OH- come base
H2O + H+ H3O+
Queste equazioni sono schematiche; molecole singole di
H2O esistono in numero relativamente piccolo in fase liquida e
la maggior parte delle molecole di acqua è unita tramite legami
idrogeno per formare agglomerati di forma e grandezza molto
differenti. Sicuramente anche gli ioni semplici H3O+ e OH- sono
legati ad un numero variabile di molecole di acqua e, in
generale, dovrebbero scriversi come H3O+ (H2O)n e OH-(H2O)m.
Nella stessa soluzione m e n assumono valori variabili e per
semplicità si continua a scrivere H3O+, H+ e OH- intendendo
tacitamente che essi rappresentano gli ioni idrati.
Reazioni
spesso
classificate
con
differenti
denominazioni (ad es. dissociazione, idrolisi, neutralizzazione)
sono in effetti delle reazioni di protolisi rappresentabili con lo
schema (3), come viene indicato nei seguenti esempi:
82
Reazione
ionizzazione di HCN
idrolisi di NH4Cl
Capitolo V
Acido1+Base2Base1+Acido2
HCN+H2OCN-+H3O+
NH4++H2ONH3+H3O+
neutralizzazione di HCl H O++OH-H O+H O
3
2
2
con NaOH
È importante richiamare l’attenzione sul differente criterio con
cui alcune di queste reazioni vengono interpretate in base alla
teoria protonica. Una soluzione acquosa di cloruro di ammonio
esibisce reazione acida perché questo elettrolita contiene
l’ammonio, che è un acido; ed ha reazione acida una soluzione
di solfato di alluminio, poiché è presente lo ione Al(H2O)6+3,
che è anche esso un acido; questi acidi sono più forti delle basi
Cl- e SO4-2.
Forza dei protoliti
La forza di un acido è misurata dalla sua tendenza ad
agire come tale, cioè a cedere protoni ed analogamente la forza
di una base viene misurata dalla sua tendenza ad acquistare
protoni. Dalla definizione di Brønsted segue che la forza di un
acido è inversamente proporzionale alla forza della base
corrispondente, e viceversa.
Per un acido, datore di protoni (Acido Base + H+) vale
l’equazione di equilibrio:
a H + a Base
Ka =
(4)
a Acido
dove a indica l’attività e Ka è la costante acida della coppia
Acido-Base. Tale valore fornisce la misura della forza
dell’acido. Come si è fatto già osservare, la dissociazione di un
acido non può essere considerata come un processo isolato, che
possa avvenire cioè senza che una base, di un’altra coppia
Protoliti
83
acido-base accetti il suo protone. L’acido può esplicare la sua
funzione solo in presenza di una base e di conseguenza
l’equilibrio (4) non può realizzarsi in quanto il protone non
esiste libero in nessun sistema condensato. Se l’acido è in
presenza di una base si ha invece un trasferimento dei protoni
rappresentato dall’equazione (3).
Applicando ad esse la legge di azione di massa si ha
a Acido 2
a Acido 1
a
a
e K a2 =
K a = Acido 2 Base 1 ; in cui K a1 =
a Base 2
a Base 1
a Base 2 a Acido 1
dove Ka, costante di protolisi, ed è uguale al rapporto delle
costanti acide Ka1/Ka2.
Il valore di K dipende, ovviamente, sia dalla tendenza
dell’acido1 a cedere protoni che da quella della base2 ad
acquistarli, e, pertanto, non può essere preso come misura della
forza del solo acido1 e della base2.
Se si prende una coppia acido-base come riferimento e si pone
per convenzione eguale a 1 la sua costante acida, si ha
a Acido 1
a Acido 2
K a1 =
=1
a Base 1
a Base 2
Se la coppia acido-base di riferimento è l’acqua, cioè H3O+H2O, con K = 1, si ha:
a H O+
a Base1 a H O +
a Acido 1
3
3
(5)
K a1 =
=1
da cui K a1 =
a Base 1
a H 2O
a Acido1
Le costanti, comunemente, impiegate si riferiscono ai
valori ottenuti in soluzione acquosa in base alla (5) e cioè
prendendo come coppia acido-base di riferimento l’acqua; se i
protoliti vengono sciolti in un altro solvente si otterranno dei
valori diversi essendo riferiti ad una differente coppia acidobase.
Costante acida dell’acqua
La presenza di ioni in acqua pura, che viene indicata dalla
84
Capitolo V
sua conducibilità elettrica, anche se piccola, è dovuta alla
reazione di autoprotolisi
H2O + H2O H3O+ + OH-
(6)
che consiste nel trasferimento di un protone da una molecola
d’acqua ad un’altra. In acqua pura la concentrazione di H3O+ è
eguale a quella di OH-. Applicando alla (6) la legge d’azione di
massa si ha
a H O + aOH K= 32
a H 2O
dove K è la costante di protolisi che può, anche, scriversi:
a H O+
aH O
K H O + 3 = K H 2O 2
3
a H 2O
aOH -
(7)
Dalla definizione di KH3O+=1 segue che KH2O è la costante acida
dell’acqua (costante di dissociazione elettrolitica). In soluzione
diluita, dove aH2O=1, la (7) dà
a H O+ × aOH − = K H 2O = K w
(8)
3
Il prodotto aH3O+×aOH- è stato chiamato prodotto ionico
dell’acqua e viene comunemente indicato come Kw. In soluzioni
diluite la costante acida KH2O è uguale al prodotto ionico Kw.
In acqua pura, dove l’unica reazione è quella di autoprotolisi,
aH+= aOH- e quindi
aH+= aOH-= K w
L’eguaglianza aH+= aOH- definisce le condizioni di
neutralità di una soluzione acquosa. Alla temperatura di 25°C
Kw = 1×10-14; si ha neutralità per pH = 7 (pH = -log [H+]), la
soluzione è detta acida se pH < 7, mentre se pH > 7 è detta
alcalina. Il prodotto ionico varia con la temperatura e a 100°C il
suo valore (Kw)è circa 10-12 e si ha quindi neutralità quando il
pH = 6.
Protoliti
85
Equilibri protolitici in acqua
L’acqua per il suo carattere anfotero protolizza sia acidi
che basi. Una coppia, acido-base, in acqua dà origine agli
equilibri
Acido + H2O H3O+ + Base
(9)
(10)
Base + H2O OH- + Acido
Avendo scelto come riferimento la coppia H3O+-H2O la costante
di protolisi della (9) è identica alla costante acida, Ka, della
coppia acido-base.
a H O + a Base
a + a Base
Ka = H
(11)
Ka = 3
o anche
a H 2O a Acido
a Acido
Un equilibrio acido-base può venire definito in funzione della
costante basica; se la legge di azione di massa si applica alla
(10) si ha:
a −a
K b = OH Acido
a H 2O a Base
se si moltiplicano entrambi i termini per Ka si ha:
a H O + a Base a − a Acido
3
× OH
= K a Kb = K w
a H 2O a Acido a H 2O a Base
Le due costanti (Ka e Kb) sono quindi legate al prodotto ionico
dell’acqua.
Questa relazione indica che è, quindi, sufficiente avere un’unica
tavola di costanti acide o di costanti basiche, essendo le une
direttamente ricavabili dalle altre.
Applicando all’acido fluoridrico di cui è noto che Ka = 6,7 10-4
aH O+ a F −
Ka = 3
= 6 ,7 × 10 −4
HF +H2O H3O+ + Fa HF
si ha
aOH − a HF
= 1,5 × 10 -11 = Kb
aF −
Questa costante si riferisce all’equilibrio ed è quindi nel senso
86
Capitolo V
tradizionale,
F- + H2O OH- + HF
anche se la denominazione è superflua, una reazione d’idrolisi,
la relazione fra costante di idrolisi Ki e le costanti acida e basica
è:
Kw
K i = K b( F − ) =
K a( HF )
Costanti miste
È da considerare che in soluzione acquosa la grandezza
H+ è facilmente misurabile e che [acido] e [base] si possono
calcolare in modo semplice. Un equilibrio può venire quindi
espresso mediante una costante mista, definita dall’espressione:
a + × [ base ]
Ka = H
(12)
[ acido ]
dove [ ] indica la concentrazione. Dividendo (12) per (11) si ha
f
k a = K a acido
f base
in cui il simbolo f indica il coefficiente di attività. Esiste un terzo
tipo di costante, che può servire a caratterizzare un equilibrio: la
costante stechiometrica, Ks, definita da
[ H 3O + ][ base ]
f acido
(13)
Ks =
= K a × a H 2O ×
[ acido ]
f base f H O +
3
Negli ultimi decenni si è abbandonata l’idea di
misurare costanti acide Ka in favore di Ks che possono essere
considerate vere nel senso termodinamico se vengono
determinate e applicate in mezzo ionico costante, cioè in
soluzioni a forza ionica costante, dove aH2O e i fattori di attività
sono costanti. Ovviamente le costanti stechiometriche sono
valide soltanto nel mezzo ionico dove vengono determinate, ma
il metodo offre la possibilità di studiare in modo semplice anche
sistemi complicati da parecchi equilibri protolitici. In definitiva
tale classificazione è valida per qualunque equilibrio che può
Protoliti
87
essere definito in funzione delle seguenti costanti:
- costanti termodinamiche o costanti di attività: tutti i termini
delle equazioni di equilibro sono espressi in attività e si
riferiscono quindi a forza ionica zero (µ = 0). Se si impiegano i
valori di concentrazione si devono considerare i coefficienti di
attività; tali fattori correttivi sono di norma alquanto elevati e
non possono essere trascurati;
- costanti stechiometriche o costanti di concentrazione: tutti i
termini delle equazioni di equilibrio sono espressi in
concentrazione e cioè in moli per litro. Una costante
stechiometrica è valida solo ad una data forza ionica; se un
esperimento è condotto ad una differente forza ionica è
necessario apportare una correzione; questa è però generalmente
piccola e viene di solito trascurata nei calcoli analitici;
- costanti miste: tutti i termini delle equazioni di equilibrio sono
espressi in concentrazione al di fuori dello ione idrogeno e dello
ione ossidrile che sono espressi, in attività. Tali costanti
vengono di solito impiegate nei sistemi acido-base; infatti i
valori di pH e pOH vengono oggi determinati quasi
esclusivamente mediante metodi potenziometrici.
Fattori che determinano la forza dei protoliti
Negli acidi il protone è legato al resto della molecola e
cioè alla base corrispondente con un forte legame covalente e
tutti gli acidi cristallizzano quindi con reticolo molecolare. Di
conseguenza gli acidi, non possono mai dissociarsi come i
composti tipicamente ionici (sali) e per la maggior parte dei casi
la loro protolisi è incompleta. Nessun acido è forte nel vero
senso della parola, ma in un dato solvente si usa chiamare forte
un acido che in soluzione diluita sia praticamente tutto
dissociato. Analogamente una base è forte se è completamente
protolizzata in soluzione diluita.
La protolisi di un acido e di una base è, quindi,
strettamente legata alla natura del solvente che influisce tra
88
Capitolo V
l’altro con la sua costante dielettrica e il suo carattere acido e
basico. La costante dielettrica regola l’attrazione tra gli ioni di
cariche opposte per cui si ha che la forza di un acido carico
positivamente aumenta con il diminuire della costante
dielettrica, mentre per un acido indissociato o di carica negativa
diminuisce. Per una base al diminuire della costante dielettrica
la forza aumenta, se è carica negativamente, ma diminuisce se
ha carica zero o positiva. La natura protolitica del solvente però
è determinante per la partecipazione al trasferimento di protoni.
In soluzione acquosa, le cui coppie acido-base (H3O+H2O e H2O-OH-) hanno valori di costanti acide kH3O+= 55,5 e
kH2O = 10-15,7, gli acidi più forti di H3O+ si protolizzano
completamente e sono ritenuti forti se la soluzione non è molto
concentrata. La quantità di molecole di acqua è tanto elevata che
tutti i protoni disponibili dell’acido sono preda dell’acqua e
formano H3O+. Le soluzioni di acidi forti si presentano come
fossero dello stesso acido, H3O+ e si parla quindi di effetto
livellante dell’acqua. Tra gli acidi forti si ricordano HCl, HBr,
HI, HClO4; HNO3 e H2SO4, ma non HSO4-. In un solvente meno
basico dell’acqua questi acidi hanno forza molto differente tra
loro e si valuta che HI sia il più forte di tutti.
L’acqua ha un effetto livellante anche per le basi più
forti di OH-. In soluzioni diluite queste basi prendono protoni
dall’acido H2O per formare OH-. La correlazione della forza di
un acido con la sua struttura è un problema complesso ma è
possibile ricavare delle regolarità confrontando acidi con
caratteristiche simili:
- acidi poliprotici: questi acidi possono dissociarsi cedendo più
di un protone come H2SO4, H3PO4 ecc., cioè:
H2SO4 + H2O H3O+ + HSO4HSO4- + H2O H3O+ + SO4-2
Il primo stadio della ionizzazione di H2SO4 è praticamente
completo, mentre il secondo avviene solo parzialmente; ciò
avviene in quanto un protone può meno facilmente essere
allontanato da una specie carica negativamente in conseguenza
della forza attrattiva coulombiana fra una carica positiva ed una
Protoliti
89
negativa. Nel caso di H3PO4 la tendenza a dissociarsi è appunto
H3PO4 > H2PO4- > HPO4-2
- Ossiacidi: la loro forza aumenta con il numero di ossidazione
dell’atomo centrale. Ad es.:
HClO4 > HClO3 > HClO2 > HClO
H2SO4 > H2SO3
HNO3 > HNO2
Tale comportamento può spiegarsi tenendo presente che
tanto maggiore è il numero di ossidazione dell’atomo centrale
tanto maggiore è la sua effettiva carica positiva; ne consegue
che l’atomo centrale più positivo attrae con i suoi elettroni di
legame più intensamente l’ossigeno che l’idrogeno. La densità
elettronica viene quindi ad allontanarsi dall’atomo di idrogeno
rendendo più facile l’allontanamento del protone. La regola di
Pauling e Ricci permette di ricavare in modo approssimato la
forza di un acido.
Se un ossiacido viene scritto nella forma XOn (OH)n; dal
valore di n, numero di atomi di ossigeno nella molecola che non
sono compresi nel gruppo OH, si può desumere la forza
approssimata dell’acido. Se n è fra 2 e 3, l’acido è molto forte,
con un Ka>10; se n è 1 l’acido è relativamente forte Ka eguale a
circa 10-2-10-3, e se n = 0 l’acido è molto debole, Ka è
dell’ordine di 10-8. Tale effetto si comprende anche
intuitivamente: nel caso di un acido come HClO la forza del
legame fra H+ e ClO- è quella di un legame di valenza O-H.
Nel caso dell’acido cloroso, HClO2, la forza fra H+ ed
uno, qualunque, dei due ossigeni è minore di quella del legame
di valenza O-H, in quanto l’attrazione totale per il protone viene
suddivisa fra due atomi di ossigeno, e di conseguenza il protone
è più facilmente dissociabile.
Tanto maggiore è il numero degli atomi di ossigeno non
ossidrilici, tanto più diffusa è la carica sull’anione, tanto minore
è l’affinità per il protone e tanto più forte è l’acido:
90
Capitolo V
XO3 (OH)n XO2(OH)n XO (OH)n
ClO3 (OH) NO2 (OH) NO (OH)
MnO3(OH) ClO2 (OH) ClO(OH)
SO2 (OH) CO(OH)2
SO(OH)2
AsO(OH)3
pKa
3,3
2,0
3,9
1,9
2,3
X(OH)n pKa
ClOH
7,9
BrOH
9,7
IOH
10,0
B(OH)3
9,2
As(OH)3 9,2
Per acidi contenenti ossigeno ed il cui atomo centrale ha
lo stesso numero di ossidazione, la forza dell’acido diminuisce
con l’aumentare delle dimensioni dell’atomo centrale; si ha
infatti
HClO4 > HBrO4 > HIO4
H2SO4 > H2SeO4 > H2TeO4
H3PO4 > H3AsO4
Tanto più piccolo è l’atomo centrale, tanto maggiore è la densità
di carica e cioè il rapporto carica volume e quindi più facilmente
attrae elettroni dall’elettronegativo atomo di ossigeno.
Per quanto riguarda gli idracidi dei gruppi VI e VII la forza è
nell’ordine
H2Te > H2Se > H2S > H2O
HI > HBr > HCl > HF
La percentuale di carattere ionico in questi composti è
nell’ordine inverso alla loro forza. Se si esaminano le basi
coniugate di questi acidi si osserva che le densità di carica sono
nell’ordine
F- > Cl- > Br- > IO-2 > S-2 > Se-2 > Te-2
in quanto aumentano in questo ordine le dimensioni dei relativi
ioni. Maggiore è la densità di carica della base coniugata,
maggiore è la sua affinità per il protone e quindi più debole è il
suo acido coniugato; si ha inoltre che tanto maggiore è lo ione e
tanto più stabile esso è, in quanto la carica è distribuita su un
volume maggiore. Ne consegue che HF è l’idracido più debole
poiché essendo F- il più piccolo degli alogeni ha la maggiore
densità di carica ed attrae quindi in modo maggiore il protone.
91
Protoliti
Ioni metallici idratati come acidi
Il legame fra molecole di acqua e ioni è talvolta così
forte che un protone può essere allontanato da una molecola di
acqua dalla sfera d’idratazione: lo ione idratato si comporta
come un donatore di protoni e cioè come acido. Ad esempio la
protolisi dello ione mercurio (II) è rappresentata dalla seguente
equazione:
Hg(H2O)n+2 + H2O Hg(H2O)n-1 OH+ + H3O+
Ovvero più semplicemente
Hg+2 + H2O HgOH+ + H+
La forza dell’acido (ione metallico) è misurata dalla costante di
acidità
[ HgOH + ] [ H + ]
Ka =
= 2 × 10 −4
+2
[ Hg ]
Lo ione mercurio è quindi un acido più forte dell’acido acetico.
Nella Tab. V-1 sono riportati i valori della costante acida di
diversi cationi idrati.
Tabella V-1
Ione
Equilibrio di protolisi
Potenziale
ionico*
3
3
4,5
2,2
5,5
6,0
2,7
2,9
2,7
-
Tl+3
Tl+3+H2O=TlOH+2+H+
+3
Bi
Bi+3+H2O=BiOH+2+H+
Fe+3
Fe+3+H2O=FeOH+2+H+
+2
Sn
Sn+2+H2O=SnOH++H
Cr+3
Cr+3+H2O=CrOH+2+H+
+3
Al
Al+3+H2O=AlOH+2+H+
Fe+2
Fe+2+H2O=FeOH++H+
Ni+2
Ni+2+H2O=NiOH++H+
+2
Zn
Zn+2+H2O=ZnOH++H+
Ag+
Ag++H2O=AgOH+H+
*col termine potenziale ionico s’intende il rapporto della
rispetto al raggio (in Å).
Ka
7×10-2
2,6×10-2
6,7×10-3
1×10-4
1,6×10-4
1,1×10-4
5×10-9
5×10-10
2,5×10-10
~10-11
carica ionica
92
Capitolo V
La facilità con cui un protone può essere ceduto dipende
dall’entità del legame catione-ossigeno: se il legame è forte un
protone può essere ceduto, mentre se è debole, il legame
ossigeno-idrogeno è più difficile a spezzarsi. Se si assume che il
legame fra catione ed ossigeno sia puramente elettrostatico, è da
aspettarsi che gli ioni piccoli con carica elevata diano luogo a
cationi idratati che sono acidi di elevata forza.
Gli ioni riportati nella tabella hanno potenziali ionici
comparativamente grandi. Gli ioni alcalini ed alcalini terrosi
(Ca+2, Ba+2 e Sr+2) hanno bassi valori di potenziale ionico e si
comportano da acidi estremamente deboli. I dati della tabella
mostrano che la forza degli acidi aumenta con la carica del
catione. Gli ioni trivalenti sono acidi più forti dei bivalenti
mentre quelli monovalenti (Ag+) sono acidi debolissimi. È
anche importante la struttura elettronica del catione: gli ioni con
struttura eguale a quella dei gas inerti hanno un carattere acido
minore degli altri cationi di eguale carica. Gli equilibri
protolitici di cationi idratati, riportati in tabella, costituiscono
solo una generica rappresentazione degli equilibri realmente
esistenti in soluzione.
Un esame di dati più accurati, ottenuti nell’ultimo
decennio, dimostrano che l’idrolisi di cationi metallici è
caratterizzata da fenomeni di polimerizzazione prima che
l’idrossido del catione precipiti. Ad esempio se ad una soluzione
di sali di Al+3 si aggiunge NaOH non si forma un precipitato
persistente fino a che il rapporto Base/Al+3 è inferiore a 2,5.
Questo fatto ha suggerito la formula Al2(OH)5+ per le specie
esistenti in soluzione ma recentemente è stato messo in evidenza
la formazione di una molecola molto più grande e precisamente
Al13(OH)32+7. Le tappe intermedie che portano alla formazione
di questo complesso, non possono essere messe in evidenza con
facilità. Lo ione Al+3 non costituisce un’eccezione; ad esempio
Bi+3 polimerizza in Bi6(OH)12+6, Fe+3 in Fe2(OH)2+4, Pb+2 in
Pb4(OH)4+4 ecc.. Sembra che prima della precipitazione
dell’idrossido si formano in soluzione i frammenti che poi
costituiranno il mosaico dei cristalli. È stato dimostrato infatti
che alcuni sali basici Th+4, per es. ThOSO4 allo stato solido è
93
Protoliti
costituito da catene Th(O)2Th(O)2Th. In soluzione è stata
dimostrata l’esistenza di complessi Th[Th(OH)3]n dove n va da
1 all’infinito.
Sono interessanti le regolarità relative ad alcuni acidi organici e
precisamente ad una serie di acidi monocarbossilici.
CH3COOH
Ka=1,8 10-5
pKa=4,75
CH2OHCOOH
Ka=1,5 10-4
pKa=3,83
CH2ClCOOH CH2NH3+COOH
Ka=1,4 10-3
Ka=4,5 10-3
pKa=2,87
pKa=2,35
Come indicato dai valori di Ka lo ione glicinio è il più forte di
tutti perché contiene un gruppo carico positivo che esercita
un’azione repulsiva sul protone. Un’azione simile, ma di minore
entità è esercitata dal cloro nell’acido monocloroacetico;
l’attrazione del cloro per gli elettroni spinge la coppia di
elettroni del legame O-H lontano dall’idrogeno per cui questo
può staccarsi dall’atomo di ossigeno con minore energia.
La sostituzione di un maggior numero di idrogeni con
atomi di cloro nell’acido acetico provoca una diminuzione
ulteriore della forza attrattiva dell’idrogeno nel legame e si
hanno quindi acidi più forti con costanti di ionizzazione
maggiori (CHCl2COOH: pKa=1,25). L’acido tricloroacetico è
pressoché completamente ionizzato e la sua costante non può
essere determinata con accuratezza.
La sostituzione di CH3 con CF3 o CCl3 aumenta l’acidità
di 4 unità; CHCl2, NO2, C=C di 3 unità; CN, SCN, F, Cl, NH3+,
I, CONH2, OH, OCH3 di una unità. L’influenza di un gruppo
sulla reattività di un carbossile dipende dalla distanza e dalla
posizione come si osserva nel seguente esempio:
Ac. Benzoico
Ac. p-clorobenzoico
Ac. m-clorobenzoico
Ac. o-clorobenzoico
Ka= 7,3 10-5
Ka= 9,3 10-5
Ka= 1,55 10-4
Ka= 1,32 10-3
94
Capitolo V
Acidi e basi in solventi non acquosi
Una reazione di ionizzazione è influenzata dalla costante
dielettrica o dal potere solvatante del solvente, e cioè dalla sua
acidità o basicità. Gli alcool ad esempio si avvicinano all’acqua
come costituzione in quanto mediante i gruppi OH sono in
grado di formare legami idrogeno, ma hanno una costante
dielettrica assai inferiore. Ne consegue che costanti di acidità
degli acidi in soluzione alcolica sono da 10 a 100 volte più
piccole che in acqua (acqua D = 80; etanolo D = 25). Un
solvente si definisce come protonico o protogenico se ha nella
sua molecola dell’idrogeno e se può fungere da datore di protoni
(acido); si definisce come aprotico se non può fornire protoni
(idrocarburi e alogeno derivati): anfiprotico se può comportarsi
da donatore ed accettore di protoni. In conseguenza di queste
varietà di solventi ne consegue che se un acido, anziché essere
messo in acqua, è posto in un solvente che abbia proprietà
basiche maggiori dell’acqua, l’acido subirà una ionizzazione
maggiore.
In ammoniaca liquida l’acido acetico e l’acido benzoico
sono forti come l’acido nitrico, cloridrico o l’acido perclorico.
Le reazioni
CH3COOH + NH3 CH3COO- + NH4+
+ NH4+
HCl
+ NH3 Clprocedono con eguale entità. L’ammoniaca ha cioè nei riguardi
di questi acidi un effetto livellante in quanto in essa tutti e
cinque gli acidi sono egualmente forti. L’acqua ha invece
un’azione livellante solo per gli acidi: HClO4, HCl, HNO3, in
quanto l’acqua ha caratteristiche basiche inferiori a quella
dell’ammoniaca.
L’acido acetico anidro è meno basico dell’acqua, e solo
gli acidi più forti reagiscono con esso in modo apprezzabile ad
esempio
HClO4 + CH3COOH CH3COOH2+ + ClO4Pertanto in questo solvente è possibile apprezzare differenze di
forza fra acidi che sono egualmente forti in acqua: HClO4 è il
95
Protoliti
più forte, seguito nell’ordine da HBr, H2SO4, HCl e HNO3.
L’HF e H2SO4 puri sono solventi fortemente acidi, quindi con
proprietà basiche assai deboli. Tutti gli acidi in essi sono
debolmente dissociati, mentre esercitano un effetto livellante
sulle basi; essi inoltre mettono in evidenza proprietà basiche in
sostanze che sono normalmente degli acidi:
H2SO4 + CH3COOH CH3COOH2+ + HSO4base2
acido2
base1
acido1
Teoria elettronica degli acidi e delle basi di Lewis
Lewis ha sviluppato un concetto più generale di acido e
di base, definendo un acido come un accettore di elettroni e cioè
di una coppia di elettroni non scambiati ed una base come un
datore di elettroni. L’acquisto e la cessione della coppia di
elettroni consiste quindi nella formazione di un legame
covalente coordinato fra l’acido e la base, come illustrato negli
esempi seguenti:
Acido
H
+
F
••
•
F •B
••
F
• ••
••O
•
• •• ••
••O
S
• • ••• ••
•O •
••
Base
Prodotto di reazione
••
••
• ••
•O
• • H
••
H
+
[ ••O •• H] -
+
H
•
••N• • H
• ••
H
+
• ••
••O
H
•• •
H
F
•
•
F •• B
••
F
• ••
••O
•
• •• ••
••O
S
• • ••• ••
•O •
••
H
•
••N•• H
• ••
H
• ••
••O
H
•• •
H
96
Capitolo V
La definizione di Lewis è di carattere prevalentemente
formale; essa trova più larga applicazione in chimica organica,
mentre gli equilibri analitici sono più facilmente interpretabili
secondo la teoria di Brønsted.
Il potenziale di acidità
Le reazioni acido-base presentano una notevole analogia
con le reazioni di ossido-riduzione (Capitolo IX). Mentre nelle
reazioni del primo tipo è in gioco un trasferimento di protoni fra
un acido e una base, in quelle del secondo tipo è in gioco un
trasferimento di elettroni fra una specie riducente e una specie
ossidante. In ambedue i tipi di reazioni si possono identificare
coppie coniugate:
HA1 → H+ + A1Rid1 → Ox1 + n e
(1a)
(2a)
Come un acido non può cedere il protone se non è
presente una base di un altro sistema coniugato, così un
riducente non può cedere l’elettrone, o gli elettroni, se non è
disponibile una specie ossidante appartenente ad un’altra coppia
coniugata:
HA1+ A2- ↔ HA2 + A1Rid1 + Ox2 ↔ Rid2 + Ox1
(3a)
(4a)
Messi a contatto, i due sistemi di ossido-riduzione
reagiscono fra di loro, alterando le attività delle singole specie in
soluzione, finché le due coppie coniugate raggiungono lo stesso
potenziale elettrochimico. E’ possibile valutare il potere
ossidante o riducente delle diverse coppie redox, e quindi
calcolare le variazioni di energia libera in reazioni del tipo (4a)
dal potenziale di ossido-riduzione standard.
Il potenziale di ossidazione di una coppia redox (es. 2a)
viene dato in linea di principio dall’equazione:
Protoliti
ERid1,Ox1 = E° Rid1, Ox1 + (RT/ n F) ln aOx1/aRid1
97
(5a)
dove n è la differenza del numero di elettroni fra i due stati Ox1
e Rid1. Poiché in pratica non esiste la possibilità di misurare il
potenziale di un singolo elettrodo, né, d’altra parte, un processo
del tipo (2a) può decorrere da solo, si realizza un elemento
galvanico accoppiando un elettrodo di platino liscio immerso
nel sistema in esame, contenente le specie Rid1 e Ox1 con
l’elettrodo standard ad idrogeno.
Si ottiene così la pila:
Pt │ Rid1, Ox1 ║ H+ (aH+ = 1) │ Pt (H2 1 atm)
(6a)
La f.e.m. che si misura si riferisce a processi del tipo:
Rid1 + n H+ ↔ Ox1 + n/2 H2
(7a)
Poiché si attribuisce all’elettrodo standard ad idrogeno il
potenziale zero, la f.e.m. misurata, corretta eventualmente per il
potenziale di diffusione, corrispondente, convenzionalmente, al
potenziale dell’elettrodo immerso nella soluzione redox in
esame. Quanto più negativo risulta il potenziale elettronico di
tale elettrodo, tanto più evidente appare il carattere riducente del
sistema Rid1-Ox1. In una rappresentazione modellistica della
pila (6a), poco aderente alla realtà, ma efficace per immaginare
la relazione fra responso potenziometrico e comportamento
chimico dei sistemi in gioco, si può considerare ciascuno dei
due elettrodi di platino come una sonda in grado di rivelare la
pressione o la tendenza degli elettroni a staccarsi
rispettivamente dai substrati H2 e Rid1.
In altri termini è come se in ogni soluzione esistesse una
certa concentrazione, magari molto piccola, ma ben definita e
misurabile, di elettroni liberi. Per quanto ne sappiamo sulla
struttura della materia è del tutto ingiustificato parlare di
elettroni liberi in soluzione, si parlerà, convenzionalmente, di
attività, o meglio di tendenza al trasferimento degli elettroni.
Rammentando quanto è stato detto circa lo stato del protone in
98
Capitolo V
soluzione, possiamo a questo punto introdurre il concetto di
potenziale di acidità, in tutto analogo al concetto di potenziale
di ossido-riduzione. Il potenziale di acidità serve a definire
quantitativamente la tendenza al trasferimento del protone da un
sistema acido-base ad un altro.
Il lavoro reversibile di trasferimento, ∆G, di un protone
da un sistema ad un sistema standard di riferimento, arbitrario,
può, evidentemente, essere assunto a misura dell’acidità di una
soluzione, indipendentemente dal solvente:
- ∆Gi = FEi = RT ln (aH+)i
(8a)
Nella relazione (8a), Ei, è il potenziale di acidità di una generica
soluzione, i , dove il protone assume un’attività (aH+)i. E’ chiaro
che (aH+)i e quindi -∆Gi, dipende dalla scelta dello stato standard
di H+.
In pratica E è dato dalla f.e.m. di una pila formata da due
elettrodi ad idrogeno, uno, elettrodo di misura immerso nella
soluzione in esame e l’altro, elettrodo di riferimento, immerso in
una soluzione contenente protoni ad attività unitaria (elettrodo
standard a idrogeno).
Pt,H2 (1 atm) sol. in esame║ H+ (aH+= 1)│ Pt,H2(1 atm)
(9a)
Si può giungere agli stessi risultati impiegando un
elettrodo di riferimento a calomelano (KCl sat.) e in molti casi
l’elettrodo ad idrogeno può essere sostituito dall’elettrodo a
vetro.
Se l’elettrodo di misura è immerso in una soluzione
contente un acido HA, il suo potenziale può essere espresso in
funzione della costante di ionizzazione:
aH+ aAKa = -------------aHA
(10a)
99
Protoliti
il potenziale di un generico elettrodo ad idrogeno è infatti:
RT
E = ------- ln aH+
F
sostituendo ad aH+ il valore ricavato dalla (10a) si ha:
aHA
RT
E = E°’ac + ------- ln -------F
aH+
(11a)
(12a)
dove : E°’ac = RT/F ln Ka
La costante E°’ac si chiama potenziale di acidità standard della
coppia acido-base HA-A-.
In pratica, le difficoltà introdotte con l’uso di solventi
differenti, l’incerto contributo del potenziale di diffusione e dei
coefficienti di attività, rendono poco agevole esprimere il
rapporto acido/base in termini di attività.
All’uso della relazione (12a) si preferisce, pertanto,
l’impiego della analoga equazione espressa in termini di
concentrazione:
RT
[HA]
E = E°ac + ------- ln --------F
[A-]
(13a)
dove E°ac rappresenta il potenziale normale di acidità della
coppia coniugata HA,A-.
E°ac assume quindi un significato puramente empirico e
corrisponde alla differenza fra un elettrodo di platino platinato,
saturo con idrogeno alla pressione di una atmosfera e immerso
in una soluzione acquosa in cui [H3O+] = 1, (elettrodo normale
ad idrogeno) e un analogo elettrodo di platino, pure saturo di
idrogeno ad una atmosfera, immerso in una soluzione in cui
[HA] = [A-].
100
Capitolo V
Un valore elevato del potenziale di acidità corrisponde
ad una forte tendenza del sistema a cedere protoni e quindi ad
una forte acidità; viceversa un potenziale basso indica una forte
tendenza a trattenere i protoni e quindi una forte basicità.
Nella tabella seguente sono riportati alcuni valori di E°ac
e di –log aH+ per alcune coppie di acido-base.
Potenziali normali di acidità di alcune coppie coniugate a 18°C
Coppia coniugata
HCl ↔ ClC2H5OH2+↔ C2H5OH
H3PO4↔H2PO4HF↔FH2CO3↔HCO3NH4+↔NH3
H2O↔OHCH3OH↔CH30-
E°ac (volt)
~0.5
+ 0.216
+ 0.103
- 0.275
- 0.377
- 0.541
- 0.92
~ - 1.0
- log aH+
- 8.4
- 3.7
- 1.8
4.75
6.50
9.35
15.8
~ 17
CAPITOLO VI
EQUILIBRI PROTOLITICI
Gli equilibri che si stabiliscono in soluzione acquosa
possono essere ricondotti ad equazioni e a schemi risolutivi
molto semplici. L’impiego delle relative formule è valido se si
ammette che si realizza un equilibrio unico e che le forze
interioniche che sono in realtà sempre apprezzabili siano di
entità trascurabile; tali condizioni non si verificano in realtà
quasi mai e ne consegue, pertanto, che la valutazione di un
equilibrio può essere sensibilmente influenzata da queste
approssimazioni. Si tenga presente però che in molti casi i
problemi relativi agli equilibri, apparentemente molto
complessi, possono essere risolti in forma semplice perché
possono essere apportate semplificazioni senza che queste
diminuiscano l’accuratezza del calcolo.
Questo capitolo è dedicato al calcolo degli equilibri
protolitici e alla considerazione dei vari casi che possono
presentarsi. I criteri di massima utilizzati nella trattazione degli
equilibri acido-base possono comunque essere estesi a
qualunque tipo di equilibrio (redox, precipitazione ecc.).
Quando si deve risolvere un problema, in cui prendono parte più
equilibri (nella realtà è il caso più generale) è opportuno seguire
i seguenti criteri:
a) scrivere l’equazioni chimiche relative a tutte le reazioni che si
ritiene possano verificarsi;
b) scrivere le relazioni di equilibrio applicando la legge di
azione di massa;
c) scrivere l’espressione relativa al bilancio delle masse per le
varie specie. Queste espressioni algebriche forniscono una
relazione fra le concentrazioni delle specie in equilibrio e la
concentrazione analitica (formale) delle sostanze in soluzione.
Se ad esempio sciogliamo in un litro d’acqua 0,1 moli di
cloruro di ammonio, il bilancio delle masse relative a questi ioni
101
102
,
Capitolo VI
tenendo conto dell’equilibrio seguente : NH3 + H+ NH4+
è,
Bilancio Massa Azoto:
0,1= [NH3] + [NH4+]
0,1= [Cl-]
Bilancio Massa Cloro:
Se si solubilizza in un litro d’acqua 0,1 moli di acido
acetico e 0,25 moli di acetato di calcio si ha:
Bilancio Massa (acetato) 0,6 = [CH3COOH] + [CH3COO-]
Bilancio Massa (calcio) 0,25 = [Ca+2]
d) scrivere la relazione di elettronegatività. In ogni soluzione le
concentrazioni dei cationi e degli anioni devono essere tali per
cui la soluzione deve risultare neutra e tale condizione si ottiene
dalla relazione di elettronegatività.
Per scrivere la relazione di elettroneutralità si devono
considerare tutti gli ioni presenti in soluzione. Analizziamo ad
esempio una soluzione 0,2 M di NaNO3. Gli ioni presenti in
soluzione sono Na+ e NO3- provenienti dal sale e H+ e OHprovenienti dall’acqua; la relazione di elettroneutralità è:
Elettroneutralità:
[Na+] + [H+] = [NO3-] + [OH-]
Sostituendo i valori numerici si ha
0,2 + 1×10-7= 0,2 + 1×10-7
La relazione viene utilizzata anche se non sono noti i reali valori
delle concentrazioni. Ad esempio per una generica soluzione di
H2S la relazione di elettroneutralità è:
Elettroneutralità:
[H+] = [OH-] + [HS-] + 2[S-2]
e) in base alle espressioni b), c) e d) contare il numero delle
incognite e delle equazioni indipendenti. Se il numero delle
incognite è uguale al numero delle equazioni, il problema può
essere risolto mediante normali operazioni algebriche. Se il
numero delle equazioni è minore del numero delle incognite,
cercare di ottenere ulteriori equazioni, ma se ciò non è possibile,
si deve concludere che non può ottenersi una soluzione esatta
del problema. Si può, comunque, ottenere la risoluzione del
problema mediante approssimazioni;
f) per semplificare il calcolo e per ridurre il numero delle
incognite fare delle opportune semplificazioni;
g) risolvere le equazioni algebriche;
Equilibri protolitici
103
h) verificare con i valori ottenuti se le approssimazioni fatte
sono valide;
Si raccomanda di impostare un qualunque problema analitico
secondo i criteri esposti; ciò è essenziale quando si tratta di
problemi complessi, per i quali è necessario apportare
approssimazioni semplificatrici.
Calcolo della concentrazione di ioni e di molecole di un acido
monoprotico o di una base e di acidi poliprotici
Si prenda in esame la soluzione di un acido debole, HA, di
concentrazione molare, C.
Le relazioni di equilibrio sono
HA + H2O H3O+ + A[ H + ][ A- ]
Ka
[ HA ]
(1)
K w = [ H + ][ OH − ]
(2)
dal bilancio delle masse (B.M:) e dal principio di ettroneutralità
(EN.) si ottiene:
(3)
B.M. :
C = [HA] + [A-]
+
EN.
:
[H ] = [A ] + [OH ]
(4)
Le relazioni (3) e (4) contengono quattro concentrazioni
incognite: esse possono essere cambiate mediante addizione o
sottrazione per eliminare una di queste (ad es. A-):
B.M. – EN.:
C – [H+] = [HA] - [OH-]
(5)
[HA] = C - [H+] + [OH-]
e ricavando [A-] dalla relazione di EN. si ha:
[A-] = [H+] - [OH-]
(6)
Le quattro equazioni (1), (2), (5) e (6) permettono il
calcolo delle quattro incognite: [H+], [OH-], [HA] e [A-].
Combinando tali equazioni in modo da esprimerle in funzione
di[H+],si ha:
104
Capitolo VI
,
Ka =
[ H + ] ([ H + ] − K w [ H + ])
[ H + ]3 − K w [ H + ]
=
C[ H + ] − [ H + ]2 + K w
C − [H + ] + K w[H + ]
e da questa
[H+]3 + Ka [H+]2 – (C Ka + Kw) [H+] - KwKa=0
(7)
Nessuna approssimazione è stata eseguita per ricavare
questa equazione, pertanto data la difficoltà di risolvere
un’equazione cubica è opportuno valutare i singoli termini. A
concentrazione ordinarie il termine (Kw x Ka) è molto piccolo
rispetto agli altri termini ed anche Kw è piccolo rispetto al
termine (C x Ka).
Dopo queste considerazioni la relazione (7) si può scrivere nella
forma seguente:
[H+]3 + Ka [H+]2 – C Ka [H+] ≈ 0
e dividendo per [H+] si ha
H+]2 + Ka [H+] – CKa = 0
(8)
Questa equazione di secondo grado è facilmente
risolvibile, ma se il grado di ionizzazione dell’acido è piccolo, e
cioè [H+]<<<Ka, si ha la seguente espressione:
[ H + ] = K aC
(9)
+
in pratica si utilizza la relazione (9), se [H ] è inferiore al 10% di
C, cioè [H+] < 0,1 C.
Alcuni esempi potrebbero chiarire l’uso delle diverse
formule.
Esempio 1. Calcolare la concentrazione degli ioni e delle
molecole presenti in una soluzione 0,1 M di acido formico.
L’equilibrio è
HCOOH + H2O H3O+ + HCOO-
Equilibri protolitici
105
[ H 3O + ][ HCOO − ]
= 1,8 × 10 −4
[ HCOOH ]
se [OH ] è trascurabile, [H+]=[HCOO-] e dal bilancio delle
masse (B.M.) si ha
[HCOOH]=0,1-[HCOO-]=0,1-[H+]
Sostituendo nella espressione della costante di equilibrio si
ottiene
[ H + ]2
1,8 × 10 −4 =
0 ,1 − [ H + ]
non si può prevedere se potrà essere utilizzata l’equazione
approssimata (9) per la risoluzione del problema; si consiglia di
verificare successivamente la validità. Per ora applichiamo la (9)
e si ottiene
Ka =
[ H + ] = 0 ,1 × 1,8 × 10 −4 = 4 ,2 × 10 −3 M
Il valore ottenuto è inferiore al 10% di 0,1 e viene quindi
considerata soddisfacente l’approssimazione. I risultati sono
pertanto
= 4,2 10-3 M
[H+] = [HCOO-]
[HCOOH] = 0,1 – 0,0042
= 0,096
M
+
-12
= 2,4 10 M
[OH ] = Kw / [H ]
Si può notare che la concentrazione dello ione ossidrile è
trascurabile rispetto a quella degli altri ioni.
Esempio 2. Calcolare la concentrazione degli ioni e delle
molecole in una soluzione di acido monocloroacetico 0,01 M.
CH2ClCOOH + H2O CH2ClCOO- + H3O+
[ H 3O + ][ CH 2 ClCOO − ]
Ka =
= 1,4 × 10 -3
[ CH 2 ClCOOH ]
Se utilizziamo l’equazione approssimata si ha
[ H + ] = 0 ,01 × 1,4 × 10 −3 = 3 ,7 × 10 −3 M
questo valore risulta più elevato del 10% di 0,01 ed è necessario,
pertanto, impiegare la (8) e risolvere l’equazione di secondo
grado:
106
,
Capitolo VI
[H+]2 + 1,4×10-3 [H+] – 1,4×10-5 = 0
[H+] = 3,1×10-3 M
Possiamo ottenere lo stesso risultato applicando la
formula risolutiva dell’equazione di II grado o mediante
approssimazioni successive. Infatti applicando la (9) è stato
ottenuto che:
[H+]1= 3,7×10-3 M
questo valore può essere inserito nell’equazione dell’equilibrio
al denominatore, ottenendo
[ H + ] 22
−3
K a = 1,4 × 10 =
0 ,01 − 0 ,0037
da cui
[ H + ] 2 = 1,4 × 10 −3 × 0 ,063 = 3 ,0 × 10 -3 M
inserendo [H+]2 nell’espressione della costante, al denominatore,
si ha
[ H + ]32
1,4 × 10 −3 =
0 ,01 − 0 ,003
da cui
[ H + ]3 = 1,4 × 10 -3 × 0 ,007 = 3 ,1 × 10 -3 M
I valori di [H+]2 e [H+]3 differiscono sulla seconda cifra
significativa e sono quindi sufficientemente approssimati per
fini analitici.
Le concentrazioni sono pertanto
[H+] = [CH2ClCOO-]
[CH2ClCOOH] = 0,01-0,0031 = 0,0069 M
[OH-] = Kw/[H+]3 = 3,2×10-12 M
Esempio 3. Calcolare la concentrazione idrogenionica di una
soluzione 10-7 M di HCl.
La reazione di ionizzazione è
HCl + H2O → H3O+ + ClDalla reazione di elettroneutralità si ha
[H+] = [Cl-] + [OH-]
essendo [Cl-] = 10-7 e sostituendo tale valore nella relazione del
Equilibri protolitici
107
prodotto ionico dell’acqua otteniamo
Kw=1×10-14 = [OH-] × (10-7+[OH-])
E risolvendo l’equazione di secondo grado si ottiene:
[H+] = 1,6×10-7 M
Esempio 4. Calcolare il pH di una soluzione 0,02 M di benzoato
di sodio.
La reazione di ionizzazione dello ione benzoato è
C6H5COO- + H2O C6H5COOH + OH[ C H COOH ][ OH − ] K w 1 × 10 −14
Kb = 6 5
=
=
= 1,6 × 10 −10
−
−5
K
[ C6 H 5 COO ]
6 ,3 × 10
a
questa reazione può essere indicata anche come reazione
d’idrolisi dello benzoato:
[C6H5COOH] = [OH-]
[0,02 – OH-] = [C6H5COO-]
[ OH - ] 2
[ OH - ] 2
K b = 1,6 × 10 −10 =
=
0 ,02
0 ,02 − [ OH ]
-6
[OH ] =1,8×10
pOH = 5,75
pH = 8,25
Con il termine di grado di ionizzazione (α) viene definita la
frazione di elettrolita che si ionizza. La relazione che lega α con
la costante di dissociazione in base alla legge di Ostwald è:
HA + H2O H+ + ACα Cα
C(1-α)
Ka =
[ H + ][ A − ] C 2 × α 2 C × α 2
=
=
[ HA]
1-α
C (1 − α )
(10)
se α è inferiore a 0,1 (10% di ionizzazione) si ha la forma
approssimata
108
,
Capitolo VI
Ka
(11)
C
Il grado di ionizzazione di un protolita può essere espresso
in funzione della costante di dissociazione e della
concentrazione idrogenionica. Se consideriamo un acido HA si
ha:
α~
α=
Concentrazione di HA che si dissocia
Concentrazione totale di HA
=
[ A− ]
[ A− ]
=
[HA][ A− ] [H + ][ A − ]
+ [ A− ]
Ka
Dividendo tutti i termini per [A-] si ottiene:
Ka
α=
Ka + [ H + ]
(12)
Esempio 5. Calcolare il grado di ionizzazione di una soluzione
di acido propionico 0,03 M.
L’esercizio può essere risolto calcolando [H+] (=C×α) o
mediante le equazioni (10) e (11).
L’equilibrio dell’acido
HPr + H2O H+ + PrC 2 ×α 2
0,03 × α 2
−5
Ka =
= 1,3 × 10 =
≈ 0,03 × α 2
1−α
C (1 − α )
-2
α = 2,1×10 = 2,1%
l’impiego della (11) è corretta poiché α < 0,1.
Esempio 6. Calcolare il grado di ionizzazione dell’acido
cianidrico (Ka = 4 10-10) a pH=7.
Il valore di α si può calcolare mediante la relazione (12)
4 × 10 −10
α=
= 4 × 10 −3 e cioè 0,4%
−10
−7
4 × 10 + 1 × 10
Questo esempio indica che un acido debole anche a
diluizione spinta è poco dissociato, poiché la concentrazione
idrogenionica dell’acqua è tale da avere influenza preponderante
Equilibri protolitici
109
sull’equilibrio.
Nel caso di un acido poliprotico si stabiliscono una serie
di equilibri che vanno considerati secondo i criteri indicati di
seguito. Nel caso di un acido diprotico (H2A) si ottiene la
seguente espressione per il calcolo della concentrazione
idrogenionica in funzione delle costanti di dissociazione Ka1 e
Ka2 e della concentrazione analitica C.
[H+]4+Ka1[H+]3+(Ka1Ka2-CKa1-Kw)[H+]2-Ka1(2CKa2+Kw)[H+](13)
Ka1Ka2Kw = 0
Il grado dell’equazione risolutiva come nel caso
dell’acido monoprotico è di una unità maggiore del numero
delle costanti di equilibrio. La (13) è un’equazione di 4° grado,
ma apportando delle semplificazioni, opportune, i problemi
relativi ad acidi poliprotici si possono risolvere senza difficoltà
come è riportato negli esempi seguenti.
Esempio 7. Calcolare la concentrazione degli ioni e delle
molecole in una soluzione 0,1M di H2S.
Gli equilibri dell’H2S sono
[ H + ][ HS - ]
K a1 =
= 1 × 10 −7
H2S+H2OH++HS[ H2S ]
HS-+H2OH++S-2
K a2 =
[ H + ][ S 2- ]
= 1,3 × 10 -13
−
[ HS ]
Bilanciando le masse si ottiene
B.M.:
C = [H2S] + [HS-] + [S-2]
e dalla relazione di elettroneutralità
EN.:
[H+] = [OH-] + [HS-] + 2[S-2]
Il numero delle incognite è maggiore del numero delle
equazioni, ma il problema può essere risolto introducendo
qualche semplificazione. Se la soluzione è acida, [OH-] può
essere trascurata; dal valore molto piccolo di Ka2 si deduce che
pochi ioni HS- si dissociano a S-2, pertanto la [S-2] risulterà
molto piccola rispetto alla [HS-].
Si ha quindi che: [H+] = [HS-]
C = [H2S]+[HS-]
ed essendo
110
,
Capitolo VI
si ha che:
[H2S] = C-[H+]
sostituendo questi valori si ottiene che
[ H + ]2
[ H + ]2
K a1 = 1 × 10 −7 =
≈
0 ,1
0 ,1 − [ H + ]
+
-4
da cui [H ] =1 10 ≈[HS ] e [H2S]=0,1-0,0001≈0,1 M
il valore di [S-2] è ricavato dalla Ka2:
[ H + ][ S −2 ] 1 × 10 -4 [ S −2 ]
=
⇒ [ S −2 ] = 1,3 × 10 −13 M
−4
[ HS ]
1 × 10
Ora inserendo questi valori nelle relazioni del bilancio
delle masse e di elettroneutralità si può verificare la validità
delle approssimazioni apportate.
K a2 =
Esempio 8. Calcolare la concentrazione delle varie specie
ioniche in una soluzione 0,1 M di acido tartarico (H2A) le cui
costanti di dissociazione sono Ka1= 9,6×10-4 e Ka2 = 2,8×10-5.
Poiché le due costanti differiscono di poco il problema
deve essere risolto impiegando la (13) o mediante
approssimazioni successive.
Trascurando per ora la seconda dissociazione si può assumere
che [H+]1 = [HA-]1
[ H + ] 1 = ( 9 ,6 × 10 −4 × 0 ,1 ) = 9 ,8 × 10 −3
[A-2]1=2,8×10-5
considerando la relazione di elettroneutralità:
[H+]=[HA-]+2[A-2]
ponendo:
[H+]2= 9,8×10-3+2,8×10-5= 9,83×10-3
(14)
[HA-]2= 9,8×10-3–2,8×10-5= 9,77×10-3
(la differenza tra [H+]2 e [HA-] è eguale a 2A-2 secondo la (14)),
si ricava dalla Ka2 un nuovo valore di [A-2]:
[A-2]2 = 2,78×10-5
Equilibri protolitici
111
questo valore è in pratica uguale a quello ottenuto nella prima
approssimazione; e quindi si ha:
[H+] = 9,83×10-3 M; [HA-] = 9,77×10-3 M; [A-2] = 2,78×10-5 M
Dal bilancio di massa si calcola la concentrazione
dell’acido indissociato:
[H2A] = C – [HA-] – [A-2] = 0,1 – 9,77 10-3 – 2,78 10-5 =
9,0 10-2 M
Esempio 9. Calcolare la concentrazione di tutte le specie
presenti in una soluzione di acido ossalico 0,1 M in cui
Ka1=5,4×10-2 e Ka2=5,4×10-5.
Poiché Ka1 è relativamente grande, [H+] non può essere
calcolato con l’equazione approssimata, ma è necessario
risolvere l’equazione di secondo grado
[H+ ] =
− K a1 ± K a21 − 4 K a1C
= 5 ,15 × 10 −2
2
dal valore di Ka2 si risale al valore di [C2O4-2]:
Ka2≈[C2O4-2]=5,4×10-5 M
Dalla relazione di elettroneutralità si ricava [HC2O4-]:
[HC2O4-] = [H+]–2 [C2O4-2]
[HC2O4-] = 5,15×10-2-1,08×10-4= 5,14×10-2 M
[H2C2O4] si ottiene dall’espressione relativa al bilancio di massa
[H2C2O4] =C-[HC2O4-]-[C2O4-2] =
0,1-5,14×10-2-5,4×10-5 = 4,86×10-2 M
Basi poliprotiche
Esempi di basi poliprotiche sono le basi coniugate degli
acidi poliprotici quali CO3-2, PO4-3, HPO4-2, S-2, AsO4-3,
HAsO4-2.
Basi poliprotiche sono l’etilendiammina (NH2CH2CH2NH2) e le
poliammine. Il calcolo della concentrazione delle varie specie
112
Capitolo VI
,
all’equilibrio per queste basi poliprotiche è analogo a quello dei
corrispondenti acidi con una sola differenza; poiché la sola fonte
di uno ione come il carbonato o il fosfato è il sale, si ha in
soluzione un’altra specie cioè il corrispondente catione. Per una
soluzione di un sale come Na2A le specie all’equilibrio sono
pertanto: Na+, A-2, HA-, H2A e OH-, che provengono dalle
seguenti reazioni
A-2 + H2O HA- + OH-
Kb1
-
Kb2
HA + H2O H2A + OH
All’equilibrio si possono scrivere le seguenti relazioni:
Kw=[H+]×[OH-]
[ HA− ][ OH − ]
K b1 =
[ A −2 ]
[ H 2 A ][ OH - ]
[ HA- ]
B.M.:
K b2 =
Kw=Kb1×Ka2
Kw=Kb2×Ka1
Cb = [A-2] + [HA-] + [H2A]
Cb = [Na+]
[Na+] + [H+] = 2[A-2] + [HA-] + [OH-]
EN.:
Risolvendo queste equazioni simultaneamente si
ottengono espressioni simili a quelle ottenute per gli acidi
poliprotici ed a considerazioni analoghe, come si può osservare
negli esempi successivi.
Esempio 10. Calcolare il pH di una soluzione 0,1 M di Na2S. Per
H2S si ha Ka1=1×10-7 e Ka2=1,3×10-13.
Il valore di Kb1 si ricava da Kw = Ka2 Kb1.
K
1 × 10 −14
K b1 = w =
= 0 ,077
K a 2 1,3 × 10 −13
Come si può notare il valore di Kb1 è elevato pertanto il
calcolo di [OH-] deve essere eseguito risolvendo l’equazione di
secondo grado
Equilibri protolitici
113
[OH-]2 + Kb1 [OH-] –Kb1 Cb = 0
[OH-] = 0,057 M
il valore di pH corrispondente è 12,76.
Esempio 11. Calcolare il pH, la concentrazione di tutte le specie
in soluzione ed il grado di ionizzazione dello ione carbonato
come base, in una soluzione 0,2 M di Na2CO3. Le costanti di
dissociazione sono Ka1=4,3×10-7 e Ka2 = 4,75×10-11.
Gli equilibri sono:
-2
CO3 + H2O HCO3- + OH[ HCO3− ][ OH - ] K w
1 × 10 −14
K b( CO − 2 ) =
=
=
= 2 ,1 × 10 −4
K a 2 4 ,75 × 10 −11
[ CO3−2 ]
HCO3- + H2O H2CO3 + OH[ H 2 CO3 ][OH - ] K w
1 × 10 - 14
K b ( HCO − ) =
=
=
= 2,1 × 10 - 8
- 7
3
K a1 4,3 × 10
[ HCO3 ]
Il valore della seconda costante di dissociazione (Kb2= 2,1×10-8)
è molto più piccola della prima pertanto può essere trascurata.
Possiamo scrivere quindi che
[HCO3-] ≈ [OH-]
[CO3-2] = 0,2 – [OH-] ≈ O,2 M
[ OH - ] 2
K b1 ≈
= 2 ,1 × 10 -4
0 ,2
da cui si ha
[OH-] = 6,5 10 –3 M ≈ [HCO3-]
[CO3-2] = 0,2 – 0,0065 ≈ 0,2 M
pH = 14 – pOH = 11,82
La concentrazione dell’acido molecolare (H2CO3) è in
pratica eguale alla seconda costante
[H2CO3] =Kb2 = 2,3×10-8 M
Il grado di ionizzazione (α) è dato dal rapporto fra la
concentrazione totale delle specie protonante e la concentrazione
analitica dello ione carbonato:
114
,
Capitolo VI
[HCO3− ] +[H2CO3] 6,5×10−3 + 2,3×10−8
α=
= 3,2×10−2 ⇒ 3,2%
=
0,2
0,2
Effetto dello ione in comune
La dissociazione di un elettrolita viene retrocessa, ma non
annullata, aumentando la concentrazione di uno dei prodotti
della dissociazione. Se ad esempio si aggiunge acido cloridrico
(HCl) ad una soluzione di acido acetico, di cloruro di ammonio
o di fosfato mono-acido le relative reazioni di dissociazione
CH3COOH CH3COO- + H+
NH4+ H+ + NH3
H2PO4- H+ + HPO4-2
Vengono retrocesse per la presenza dello ione H+; la
dissociazione di questi elettroliti viene egualmente retrocessa
aggiungendo alle soluzioni rispettivamente ioni acetato,
ammoniaca e HPO4-2.
La dissociazione di una base viene analogamente
retrocessa aggiungendo alla soluzione di questa una base forte
come l’idrossido di sodio. Esaminiamo ora una serie di casi
d’interesse analitico, nei quali viene utilizzato l’effetto dovuto
allo ione in comune.
Miscele di protoliti di forza differente
Se abbiamo una miscela di acidi (o basi) forti o deboli si
può prevedere che essendo la dissociazione dell’elettrolita
debole repressa, la concentrazione dello ione idrogeno e dello
ione ossidrile e determinata quasi esclusivamente dalla
concentrazione dell’acido o dalla base forte, come si evidenzia
nei casi seguenti:
Esempio 12. Calcolare la concentrazione delle varie specie
presenti in una soluzione che è 0,05 M in H2S e 0,3 M in HCl.
Stabilire criteri per la titolabilità di queste miscele.
Equilibri protolitici
115
Gli equilibri di dissociazione sono:
H2S H+ + HSHS- H+ + S-2
[ H + ][ HS − ]
K a1 =
= 1 × 10 −7
[ H2S ]
[ H + ][ S -2 ]
= 1,3 × 10 -13
−
[ HS ]
Poiché gli ioni idrogeno provengono quasi esclusivamente
dall’acido forte, [H+] può essere considerato eguale alla
concentrazione analitica di HCl, quindi
[H+] ≈[Cl-] = 0,3 M
Sostituendo questa concentrazione nell’espressione di Ka1 e Ka2
si ha
0 ,3[ HS - ]
K a1 = 1 × 10 −7 =
⇒ [ HS − ] = 1,7 × 10 -8 M
0 ,05
K a2 =
K a 2 = 1,3 × 10
-13
0 ,3[ S -2 ]
=
1,7 × 10 -8
⇒ [ S −2 ] = 7 ,4 × 10 −21 M
⇒
[OH-]=3,3×10-14 M
Kw=1×10-14=0,3[OH-]
Per verificare l’attendibilità dei risultati ottenuti, utilizziamo le
relazioni del bilancio delle masse e di elettroneutralità
B.M.:
0,05 = [H2S] + [HS-] + [S-2]
[H+] = [Cl-] + [HS-] + 2 [S-2] + [OH-]
EN.:
Sostituendo abbiamo che
[H2S] = 0,05 – 1,7 10-8 – 7,4 10-21 ≈ 0,05 M
[H+] = 0,3 + 1,7 10-8 +2 × 7,4×10-21+ 3,3×10-14 ≈ 0,3 M
La concentrazione di [H2S] e di [H+] risultano in pratica
eguali a 0,05 M e 0,3 M, confermando l’ipotesi fatta.
La determinazione di un acido mediante titolazione
(alcalimetria) dipende dalla possibilità di poter apprezzare il
punto equivalente o mediante indicatori o mediante metodi
strumentali. Nel caso di un acido forte in soluzione non molto
116
,
Capitolo VI
diluita la titolazione è completa nell’intervallo di pH 5 e 9. In
questo caso utilizzando un indicatore il cui intervallo di viraggio
è in campo acido (metilarancio, verde di bromocresolo) è
possibile determinare il contenuto di acido forte. La
determinazione di H2S per via alcalimetrica non è possibile in
quanto Ka1C<10-8 che è il limite utilizzato per una titolazione in
ambiente acquoso.
Esempio 13. Calcolare la concentrazione delle varie specie
presenti in una soluzione 0,1 M in Na2CO3 e 0,01 M in NaOH.
Gli equilibri relativi sono:
CO3-2 + H2O HCO3- + OH[ HCO3− ][ OH − ]
K b1 =
= 2 ,1 × 10 −4
−2
[ CO3 ]
HCO3- + H2O H2CO3 + OH[ H 2 CO3 ][ OH - ]
Kb2 =
= 2 ,3 × 10 -8
[ HCO3 ]
A prima vista si può osservare che la piccola
concentrazione della base forte OH- non è in grado di reprimere
completamente la dissociazione della base CO3-2, che risulta
anche essa abbastanza forte. Dal bilancio delle masse per lo ione
carbonato (si trascura H2CO3) si ha:
[CO3-2] = 0,10-[HCO3-]
e in base alla prima reazione di dissociazione avremo
[OH-]= 0,01+[HCO3-]
Sostituendo nella Kb1 si ha:
0 ,01 + [ HCO3− ]
K b1 = 2 ,1 × 10 -4 = [ HCO3- ]
0 ,1 − [ HCO3- ]
risolvendo l’equazione di secondo grado si ha:
[HCO3-]=1,76×10-3 M
e da questo sostituendo
[CO3-2] =9,8×10-2 M
[OH-] =1,76×10-2 M
-8
[H+] = 8,5×10-13 M
[H2CO3] = 3,45×10 M
Soluzioni Tampone
Equilibri protolitici
117
Le miscele tampone sono soluzioni che hanno la capacità di
mantenere approssimativamente costante il loro pH per aggiunte
di piccole quantità di acido o base forte. Esse possono essere
costituite da una miscela di un acido debole e da un suo sale
molto dissociato (fornisce la base coniugata dell’acido), o da un
catione (un acido debole come NH4+) e dalla base coniugata
(NH3) o da due anioni come H2PO4- e HPO4-2 che si comportano
rispettivamente da acido e base.
Il loro impiego trova una larga applicazione in molti settori
della chimica, della biochimica ecc. ed in modo particolare nelle
determinazioni analitiche, in quanto controllando la
concentrazione idrogenionica di una soluzione, indirettamente si
regola la concentrazione di alcuni ioni utilizzati in reazioni di
precipitazione o complessazione (OH-, S-2, CrO4-2, CO3-2, Ca+2,
Mg+2 ecc.). Gli equilibri che si stabiliscono in una soluzione
tampone sono facilmente interpretabili ed il calcolo della
concentrazione idrogenionica fornita da una soluzione tampone
può essere eseguito in modo semplice. Si consideri una
soluzione 0,1 M in acido acetico e 0,05 M in acetato di sodio. La
reazione di equilibrio dell’acido acetico è
CH3COOH CH3COO- + H+
[ CH 3COO − ][ H + ]
Ka =
[ CH 3 COOH ]
Poiché l’ac. acetico è un elettrolita debole e la sua
dissociazione è ulteriormente repressa dalla presenza di uno ione
in comune, si può scrivere in prima approssimazione,
e
[CH3COOH]≈0,1 M
[CH3COO-] ≈ 0,05 M
sostituendo nella relazione di equilibrio si ottiene:
0 ,1
[ H + ] = 1,8 × 10 −5
= 3 ,6 × 10 −5
0 ,05
-5
pH=-log(3,6×10 ) = 4,44
L’espressione comunemente impiegata per il calcolo della
concentrazione idrogenionica di una soluzione tampone,
costituita da un acido debole HA, e dalla base coniugata A- è
118
,
Capitolo VI
pertanto la seguente:
[ HA ]
[ H + ] = Ka
(14)
[ A− ]
se la soluzione è costituita da una base debole B e dal suo acido
BH, essa è
K [ BH ]
[H+ ] = w
(15)
Kb [ B − ]
Queste espressioni sono valide nei limiti delle
approssimazioni fatte. Si può ricavare un’espressione di validità
generale sulla base dei criteri descritti sino ad ora.
Si consideri,ora, una miscela di a moli di acido HA e di b
moli della base coniugata A- sotto forma del sale completamente
dissociato MeA.
Si hanno le seguenti relazioni:
B.M.:
a + b = [A-] + [HA]
[H+] + [Me+] = [A-] + [OH-]
EN.:
Poiché il sale è completamente dissociato [Me+] = b e
dalla relazione di elettroneutralità si ottiene:
e
[HA] = [OH-] + a - [H+]
[A-] = [H+] + b - [OH-]
Da cui si ha:
a − [ H + ] + [OH − ]
[H + ] = K a
(16)
b + [ H + ] − [OH - ]
Questa equazione è stata derivata senza alcuna approssimazione;
se [H+] e [OH-] sono trascurabili rispetto alla concentrazione
dell’acido e della base , dalla (16) si riottiene la (14).
Verifichiamo l’impiego di queste formule con un esempio.
Esempio 14. Calcolare la concentrazione idrogenionica di una
soluzione 0,01 M di acido monocloroacetico (CH2ClCOOH) e
0,01 M di monocloroacetato di sodio (CH2ClCOONa).
Ka=1,4×10-3.
Applicando l’equazione (14) si ottiene:
0 ,01
[ H + ] = 1,4 × 10 −3
= 1,4 × 10 -3 M
0 ,01
119
Equilibri protolitici
Le concentrazioni analitiche della miscela sono
relativamente piccole, ed è consigliabile eseguire il calcolo
applicando l’equazione (16); risolvendo l’equazione di secondo
grado
0 ,01 − [ H + ]
= 1,1 × 10 -3 M
[ H + ] = 1,4 × 10 -3
+
0 ,01 + [ H ]
Questa soluzione è ovviamente più corretta della
precedente, anche se i valori risultano abbastanza simili.
Capacità tamponante (indice tampone)
Con il termine di capacità tamponante o indice tampone di
una soluzione, si definisce la variazione di pH della soluzione
per aggiunta di un acido o di una base forte; essa viene espressa
matematicamente come la derivata della quantità di acido o di
base aggiunta rispetto al pH:
∂C ( equiv. / litro )
β=
∂pH ( unità di pH
Tanto maggiore è il valore di β tanto maggiore è la
capacità tamponante. Cerchiamo di chiarire il suo significato
pratico.
Prendiamo in esame un acido HA, la cui costante di
dissociazione è 1 10-5, il quale viene mescolato in rapporti
diversi con una sua base coniugata (NaA) in modo da ottenere
tre soluzioni con la seguente composizione:
1) 0,01 M
HA
e 0,0001 M A- pH = 3,57
2) 0,01 M
HA
e 0,01 M
A- pH = 5,0
3) 0,0001 M HA
e 0,01 M
A- pH = 7,0
Per aggiunta di 0,5 mL di base forte 0,01 M a 100 mL di
queste soluzioni, variano le relative concentrazioni dell’acido e
della base coniugata. Il loro pH è di seguito calcolato:
[H+ ] =
99 ,5 × 10 −2 − [ H + ]
K a = 2 ,52 × 10 -4
−2
+
1,5 × 10 + [ H ]
⇒ pH = 3 ,6
120
,
Capitolo VI
99 ,5
K a = 0 ,99 × 10 −5 ⇒ pH = 5 ,00
100 ,5
0 ,5
[H+ ] =
K a = 5 × 10 -8 ⇒ pH = 7 ,30
100 ,5
Questo calcolo mostra che per l’aggiunta della stessa
quantità di base il pH del primo tampone varia di 0,03 unità,
quello del secondo non è influenzato affatto e quello del terzo
varia di 0,3 unità. Le tre soluzioni hanno quindi una differente
“capacità tamponante” o “potere tampone”.
Diagrammando la capacità tamponante, β, di una
soluzione 0,1 M di acido acetico in funzione del pH si ottiene il
grafico di Fig. VI-1. Il valore minimo corrisponde alle soluzioni
contenenti solo acido acetico ed acetato di sodio ed il valore
massimo alla soluzione contenete una miscela equimolecolare di
questi due composti.
In base a queste osservazioni si conclude che il potere
tamponante di una soluzione dipende dalle concentrazioni
dell’acido (base) e della base (acido) coniugata e dal relativo
rapporto. Il massimo potere tamponante si ha in quelle miscele
in cui la concentrazione molare dell’acido è eguale a quella della
base.
L’intervallo di pH in cui una miscela esercita un’azione
tampone è all’incirca calcolabile dalla relazione
pH = pKa ±1
[H+ ] =
Preparazione di soluzione tampone
Soluzioni tampone possono essere preparate nei
seguenti modi:
a) mescolando un acido debole e la sua base coniugata.
b) mescolando un acido debole in eccesso con una limitata
quantità di base forte
c) mescolando la base coniugata in eccesso con una limitata
quantità di acido
d) preparando una soluzione di un anfolita (vedi anfoliti)
121
Equilibri protolitici
β
0.075
0.050
0.025
0.000
0
2
4
6
8
10
12
pH
Figura VI-1. Capacità tamponante di una soluzione 0,1 M di
acido acetico in funzione del pH.
L’intervallo di pH in cui un dato tampone può essere
impiegato dipende dal pK dell’acido o della base; alcuni sistemi
che forniscono i tamponi più comunemente impiegati sono di
seguito riportati:
122
Capitolo VI
Acido
Ftalico
Formico
Acetico
Ftalato acido
H2PO4(C2H4OH)3NH+
H3BO3
NH4+
HCO3HPO4-2
Base coniugata
pKa
Ftalato acido
Formiato
Acetato
Ftalato
HPO4-2
Trietanolamina
Borato
NH3
CO3-2
PO4-3
2,95
3,76
4,76
5,41
7,20
7,77
9,24
9,24
10,33
12
pH
Intervallo
2,2 – 4.0
2,8 – 4,6
3,7 – 5,8
4,0 – 6,2
5,8 – 8,0
7,0 – 8,5
7,0 – 9,2
8,8 – 9,2
9,2 – 11,9
11,0 – 12,0
Per pH < 2 e >12 si impiegano rispettivamente soluzioni di
acido forte (HCl, HClO4, ecc.) e di base forte (OH-); queste
soluzioni contengono una notevole concentrazione di H+ e di
OH- così che l’aggiunta di piccole quantità di acido o di base
provocano solo piccole variazioni delle concentrazioni iniziali.
La preparazione di alcune miscele tampone viene illustrata negli
esempi seguenti:
Esempio 15. Calcolare il volume di soluzione 0,5 M di NH3 da
mescolare con 10 g di NH4Cl per avere una soluzione finale che
abbia pH = 9,24.
Essendo il pKa per l’ammoniaca eguale a 9,24 è
necessario mescolare NH3 e NH4Cl in quantità equimolecolari.
Essendo
10
= 0 ,187 moli = 187 mmoli
NH 4 Cl
Il volume di NH3 0,5 M da aggiungere è
n
0 ,0187
M1 = M 2 =
= 374 mL
V
0 ,5
Esempio 16. Calcolare il pH di un tampone preparato
mescolando 20 mL 0,50 M di acido acetico e 10 mL 0,40 M di
Equilibri protolitici
123
idrossido di sodio.
Consideriamo la reazione di neutralizzazione per
determinare le specie all’equilibrio:
Moli iniz.
Moli equil.
CH3COOH + NaOH CH3COONa + H2O
0,01
0,004
0,006
--0,004
Sostituendo questi valori nell’equilibrio dell’acido si
ottiene:
6
]
+
−5 V
[ H ] = 1,8 × 10
= 2 ,7 × 10 −5
⇒ pH= 4,57
4
[ ]
V
si voti che il volume finale della soluzione è V (30×10-3 L).
[
Equilibri in soluzione acquose contenenti diversi protoliti
I casi descritti, finora, si riferiscono ad equilibri relativi
ad un solo protolita; nell’uso pratico è frequente il caso di
soluzioni contenenti più acidi e basi. I criteri descritti
permettono di risolvere problemi di questo genere; vengono
comunque presentati alcuni casi che possono presentare qualche
difficoltà nella loro risoluzione.
Soluzioni contenenti due acidi o due basi deboli
Se uno degli acidi è più forte ed è in concentrazione
maggiore, la concentrazione idrogenionica della soluzione è
determinata da questo acido. Esaminiamo ora una soluzione che
contiene due acidi HX ed HY, le cui concentrazioni sono Cx e
Cy. Gli equilibri rispettivi sono:
HX H+ + X-
Kx =
[ H + ][ X − ]
[ HX ]
124
Capitolo VI
,
HY H+ + Y-
Ky =
[ H + ][ Y - ]
[ HY ]
Le relazioni di elettroneutralità e di bilancio delle masse
sono:
EN.:
B.M.:
B.M.:
[H+] = [OH-] + [X-] + [Y-]
Cx = [HX] + [X-]
Cy = [HY] + [Y-]
Combinando la relazione del bilancio delle masse con le
costanti di dissociazione si ha
[X ]=
[Y ] =
K x ( C x - [ X - ])
[H+ ]
K y ( C y - [ Y - ])
[H+ ]
sostituendo nella relazione di elettroneutralità si ha
Kw
K x ( C x - [ X - ]) K y ( C y - [ Y ])
+
[H ] =
+
+
[H+ ]
[H+ ]
[H+ ]
[ H + ] = K w + K x ( C x − [ X − ] + K y ( C y − [ Y − ])
questa relazione è di scarsa utilità in quanto in essa sono incluse
le concentrazioni degli anioni che non sono note, ma se
consideriamo soluzioni di acidi deboli (quindi poco dissociati) e
non troppo diluite essa viene semplificata nel modo seguente:
[ H + ] = K w + K xC x + K yC y
(17)
Questa espressione è del tutto analoga a quella utilizzata
per il calcolo della concentrazione idrogenionica di un acido
monoprotico [ H + ] = KC .
Esempio 17. Calcolare il pH di una miscela che è 0,05 M in
acido acetico (Ka=1,8×10-5) e 0,01 M in acido benzoico
(Ka=6,3×10 –5).
Equilibri protolitici
125
Applicando la (17) si ha
[ H + ] = 1× 10−14 + 0 ,05 × 1,8 × 10−5 + 0 ,01× 6 ,3 × 10 −5 = 1,24 × 10−3
pH= 2,91
Sali di acidi e basi deboli
Soluzioni di questi sali si possono preparare combinando
quantità equivalenti di un acido debole HA e della base debole
B. Il sale contiene il catione acido BH+ coniugato a B e l’anione
A- coniugato ad HA; si formano i seguenti equilibri:
BH+ B + H+
[ B ][ H + ]
K a = K BH + =
[ BH + ]
A- + H2O HA + OHK
[ HA ][ OH − ]
Kb = w =
K HA
[ A− ]
Se Ka>Kb (o KBH+ KHA>Kw) la soluzione risulta acida; se si
verifica il contrario la soluzione risulta alcalina.
Consideriamo le reazioni relative al bilancio di massa e
all’elettroneutralità si ha, indicando con C la concentrazione del
sale:
C = [BH+] + [B] = [HA] + [A-]
[BH+] + [H+] = [OH-] + [A-]
Da queste ultime si ha:
+
[BH ] = [OH-] + [A-] – [H+]
e sostituendo il valore di [BH+] nella relazione del bilancio delle
masse si ha
[B] = [HA] + [H+] – [OH-]
facendo le seguenti approssimazioni:
e
[B] ≈ [HA]
[BH+]≈[A-]
126
Capitolo VI
,
si può calcolare la concentrazione idrogenionica della soluzione
moltiplicando le due costanti:
K HB K BH + =
[ B ][ H + ][ A − ][ H + ]
= [ H + ]2
+
[ BH ][ HA }
e cioè
[ H + ] = K HA K BH +
(18)
Nelle approssimazioni fatte si assume che entrambe le
reazioni di protonizzazione (idrolisi) procedano nella medesima
entità e che non vi sia quindi ne eccesso di [H+] ne di [OH-]. Tali
approssimazioni sono comunque valide se la differenza fra [H+]
ed [OH-] è piccola, rispetto alle altre concentrazioni. Se la
concentrazione del sale non è inferiore a 0,01 M e se i valori di
Ka e Kb sono compresi nell’intervallo 10-3-10-8, le
approssimazioni sono valide.
Una trattazione più rigorosa può essere fatta senza
apportare alcuna approssimazione; si ottiene però un’equazione
di 4° grado, risolvibile con difficoltà:
[H+]4 + [H+]3 (C + KHA + KBH+) + [H+]2 (KBH+ + KHA – Kw) –
[H+] ( C KHA KBH+ + Kw KHA+ Kw KHA + Kw KBH+) – Kw KBH+
(19)
KHA = 0
Esempio 18. Calcolare il pH e l’entità delle reazioni di protolisi
degli ioni di una soluzione di formiato di ammonio 0,001 M.
Applicando la relazione (18) si ha:
[ H + ] = K NH + K HCOOH = 10 −9 ,24 × 10 −3 ,76 = 3 ,2 × 10 −7
4
pH= 6,50
Il grado di protolisi per gli ioni NH4+ e HCOO-, tenendo
conto che le reazioni che hanno luogo sono le seguenti:
Equilibri protolitici
127
NH4+ + H2O NH3 + H3O+
e
HCOO- + H2O HCOOH + OHEsso può essere calcolato, applicando, con la formula seguente:
α NH =
+
4
K NH +
[ B]
5,7 × 10 −10
4
=
=
= 1,8 × 10 − 3
[ BH + ][ B ] K NH + + [ H + ] 5,7 × 10 −10 + 3,2 × 10 − 7
4
= 0,18%
α HCOO =
−
[ HA]
3,2 ×10−7
H+
=
=
= 1,76 ×10−3
[ HA] + [ A− ] K HCOOH + [ H + ] 1,8 ×10− 4 + 3,2 ×10−7
= 0,176%
Sali di basi deboli e di acidi diprotici deboli
Sali di questo tipo (BH)2A, come ossalato di ammonio,
carbonato di ammonio e solfato di ammonio hanno un notevole
impiego analitico. Le loro soluzioni contengono le specie B,
BH+, A-, HA-, H2A, H+ ed OH-. Applicando le relazioni relative
al bilancio delle masse e dell’elettroneutralità le concentrazioni
di queste specie sono fra loro correlate:
B.M.: (B)
B.M.: (A)
EN.:
2C = [B] + [BH+]
C = [A-2] + [HA-] + [H2A]
[BH+] + [H+] = [OH-] + [HA-] + 2 [A-2]
Trascurando in prima approssimazione [H+] e [OH-] ed
assumendo che la concentrazione di H2A formatasi sia piccola si
ottiene la seguente equazione di secondo grado:
[H+]2 – Ka [H+] – 2 K2 Ka = 0
La soluzione di questa equazione è la seguente:
2
K 
K 
[ H ] =  a  +  a  + 2K 2 Ka
(20)
 2 
 2 
Quando l’anione è una base molto forte, il termine 2K2 Ka
della (20) diventa piccolo e quindi trascurabile rispetto a (Ka/2)2
128
Capitolo VI
,
e la (20) si riduce alla semplice espressione [H+] = Ka.
Esempio 19. Calcolare il pH e le concentrazioni delle varie
specie in una soluzione 0,1 M di solfuro di ammonio.
Le costanti di equilibrio sono:
[ NH 3 ][ H + ]
Ka =
= 5 ,7 × 10 −10
[ NH 4+ ]
K1 =
K2 =
[ H + ][ S −2 ]
= 1,3 × 10 −13
−
[ HS ]
[ H + ][ HS − ]
= 1 × 10 −7
[ H2S ]
Applicando la (20) si ha
2
[H] =
 5 ,7 × 10 −18 
5 ,7 × 10 −10
 + 2 × 1,3 × 10 −13 × 5 ,7 × 10 −10 = 5 ,7 × 10 −10 M
+ 

2
2


dalla K2 si ha:
2 ,3 × 10
−4
K2
[ S −2 ]
=
=
[ H + ] [ HS − ]
e dalla K1
[ H + ] [ H2S ]
=
K2
[ HS − ]
Dai piccoli valori di questi rapporti si deduce che gran
parte del solfuro è presente nella forma di ione HS-. Se si
considera [HS-] = 0,1 M, da questi rapporti si ottiene che
5 ,7 × 10 −3 =
[S-2] = 2,3×10-5 M
e
[H2S] = 5,7×10-4 M
Anfoliti
Con il termine di anfoliti si intendono quelle sostanze che
possono acquistare che cedere protoni. Un tipico anfolita è
l’acqua che può fungere da accettore o da donatore di protoni:
Equilibri protolitici
129
H+ + OH- H2O + H+ H3O+
I più comuni anfoliti sono gli anioni degli acidi poliprotici
come lo ione bicarbonato (HCO3-), H2PO4-, HC4H4O6- (tartrato
acido), e gli amminoacidi.
Un anfolita come HCO3- può reagire secondo gli equilibri
seguenti:
(1)
HCO3- + H+ H2CO3 e HCO3- H+ + CO3-2
Si consideri una soluzione di molarità C di un anfolita del
tipo NaHA. Le concentrazioni di Na+, H+, HA-, A-2, OH- ed H2A
sono collegate dalle consuete relazioni:
B.M.:
C = [Na+] = [H2A] + [HA-] + [A-2]
[H+] + [Na+] = [OH-] + [HA-] + 2 [A-2]
EN.:
[ H + ][ A -2 ]
[ H + ][ HA − ]
K a2 =
[ H2 A]
[ HA − ]
Sottraendo la relazione del bilancio delle masse da quella
di elettroneutralità si ottiene:
[H+] = [OH-] + [A-2] – [H2A]
[H+] + [H2A] = [OH-] + [A-2]
K a1 =
Kw
K a 2 [ HA ]
[ H + ][ HA ]
=
+ +
K a1
[H ]
[H+]
Ka1[H+]2+[H+]2[HA-] = KwKa1+Ka2Ka1[HA-]
[H+]+
K a1 K a 2 [ HA − ] + K w K a1
K a1 + [ HA − ]
Questa equazione è stata ricavata senza alcuna
approssimazione. Se si ipotizza che le reazioni per cui da HA- si
hanno A-2 e H2A, si formino in piccola entità, si può sostituire
ad HA- la concentrazione analitica C e si ha di conseguenza
K a1 K a 2 C + K w K a1
[H+ ] =
(21)
K a1 + C
[H+ ] =
130
Capitolo VI
Se, Ka1<< C e Ka2C>> Kw, si ha
[ H ] = K a1 K a 2
(22)
il calcolo della concentrazione idrogenionica di un qualunque
sale acido di un acido poliprotico viene eseguito mediante le
espressioni (21) e (22). Nella relazione (22) si può osservare che
il pH non dipende dalla concentrazione dell’anfolita.
+
Esempio 20. Calcolare il pH di una soluzione 0,01 M di NaHS.
Applichiamo la relazione (21) si ha:
[ H+ ] =
1×10−7 ×1,3×10-13 ×1×10−2 + 1×10−14 ×1×10−7
= 3,4×10−10 M
−2
-7
1×10 + 1×10
pH=9,47
Applicando la (22) si ha:
[ H + ] ≈ 1 × 10 −7 × 1,3 × 10 −13 = 1,1 × 10 −10
pH = 9,94
La differenza dei valori di pH è abbastanza evidente,
con la relazione (21) questo valore è più rigoroso.
Gli amminoacidi, i peptidi e le proteine sono anfoliti
presenti nelle cellule degli organi viventi; di regola le loro
funzioni basiche o acide sono deboli ed il loro comportamento
viene evidenziato dall’azione degli acidi o delle basi forti. Il
calcolo della concentrazione idrogenionica di un amminoacido
di semplice costituzione e simile a quella dei sali acidi. Ad
esempio lo ione glicinio +NH3CH2COOH ha due gruppi acidi
NH3+ (simile allo ione ammonio) e COOH; quest’ultimo cede il
protone più facilmente del primo.
Le reazioni di dissociazione sono:
+
NH3CH2COOH +NH3CH2COO- + H+
Ka1 = 4,5 10-3
Equilibri protolitici
131
+
NH3CH2COO- NH2CH2COO- + H+
Ka2 = 1,7 10-10
La glicina o glicocolla è quindi l’anfolita intermedio
(+NH3CH2COO-). La molecola come tale nel suo insieme è
neutra ma contiene cariche positive e negative separate ed ha un
momento dipolare pari a circa 15 Debye: tali sostanze prendono
il nome di ioni dipolari o zwitterioni.
Esempio 21. Calcolare il pH di una soluzione di glicina.
Applicando la (21) si ha
1×10−2 ×4,5×10−3 ×1,7 ×10−10 +1×10−14 ×4,5×10−3
[H ] =
=7,28×10−7
−2
−3
1×10 + 4,5×10
+
pH=6,14
Applicando la (22) si ha:
[ H + ] ≈ 4 ,5 × 10 −3 × 1,7 × 10 −10 = 8 ,7 × 10 −7
pH=6,06
La concentrazione idrogenionica per cui si ha [H2A] = [A-2] e
cioè nel caso della glicina
[+NH3CH2COO-] = [NH2CH2COO-]
definisce il punto isoelettrico di un amminoacido e corrisponde
ad una soluzione che contiene eguali concentrazioni di ioni
carichi positivamente e negativamente.
In soluzione più acida la glicocolla è essenzialmente sotto
forma di acido ed in soluzione alcalina sotto forma di ione
glicinato; sotto l’azione di un campo elettrico nel primo caso
migra al catodo in quanto ha una carica netta positiva e nel
secondo caso all’anodo poiché predomina la carica negativa.
Viene definito come punto isoelettrico lo stato di uno ione
dipolare che sottoposto all’azione di un campo elettrico non
migra né al catodo né all’anodo. Per la glicina e per gli altri
amminoacidi contenenti solo due gruppi ionizzabili il punto
132
Capitolo VI
isoionico coincide con il punto isoelettrico.
Il punto isoelettrico di un anfolita corrisponde a quello
stato in cui l’anfolita esibisce un’attività chimica minima; esso
esiste in soluzione o in uno stato do pseudo soluzione in
condizioni di massima indissociazione. A questo punto l’anfolita
possiede una solubilità minima ed un valore minimo delle
proprietà collegate (viscosità, rigonfiamento ecc.).
Il principale fattore che determina il punto isoelettrico di
un anfolita è quindi il pH della soluzione con cui l’anfolita è in
equilibrio.
ESERCIZI
1) Calcolare la concentrazione in ioni idrogeno di una soluzione
0,1 M di HCNO (Ka=2×10-4). Quale è il grado di ionizzazione
dell’acido cianico in questa soluzione?
2) 0,1 moli di idrossido di sodio solido sono disciolti in 1 litro
di una soluzione 0,125 M di acido acetico (Ka=1,85×10-5). Qual
è la concentrazione idrogenionica della soluzione?
3) Si desidera portare la concentrazione idrogenionica di una
soluzione 0,05 M di HCN (Ka=2,1×10-9) al valore di 3,5×10-8
aggiungendo KCN: quale deve essere la concentrazione di ioni
CN- nella soluzione?
4) Calcolare la concentrazione di ioni PO4-3 in una soluzione 0,1
M di H3PO4 (K1=7,5×10-3; K2=6,3×10-8 e K3=3,6×10-13).
5) Calcolare la concentrazione di S-2 in una soluzione 0,1 M di
Na2S e calcolare il grado di idrolisi dello ione S-2 (K1=9×10-8;
K2=1,2×10-13).
6) Calcolare la concentrazione delle specie ioniche presenti in
una soluzione 0,1 M di NaHCO3 (K1=3,5×10-7; K2=7×10-11).
7) Calcolare la concentrazione in ioni solfito, ioni idrogeno, ioni
potassio in acido solforoso di una soluzione 0,1 M di K2SO3.
(K1=1,3×10-2 e K2=5,6×10-8 per H2SO3).
8) 28 mL di una soluzione di H3PO4 0,265 M vengono mescolati
con 34 mL di una soluzione di Na2HPO4 0,29 M. Calcolare la
concentrazione
idrogenionica
della
miscela
e
le
concentrazioni delle varie specie.(K1=7,5×10-3; K2 = 6,3×10-8;
Equilibri protolitici
133
K3 = 3,6×10-13).
9) Una soluzione di NH3 è 0,02 M.
Quanto cloruro di ammonio si deve aggiungere per diminuire il
pH di una unità (Kb=1,8×10-5).
10) Un acido diprotico ha le seguenti costanti di ionizzazione:
K1=10-5; K2=10-9. Calcolare il pH di una soluzione 0,1 M in
HA- e A-2.
11) L’acido aspartico avente nella molecola 2 gruppi carbossilici
e un gruppo amminico ha le seguenti costanti: pKa1= 2,08, pKa2
=3,94 e pKa3 = 9,28. Calcolare il pH di una soluzione 10- 2 M di
acido aspartico ed il pH al punto isoelettrico.
12) Una soluzione è 0,01 M in acido formico (Ka=2,1×10-4) e
0,025 M in acido cianidrico (Ka=4×10-10). A 40 mL di questa
soluzione vengono aggiunti 10 mL di idrossido di sodio
0,05 M. Calcolare il pH della soluzione.
13) Calcolare il pH delle soluzioni sotto elencate e quello
risultante dopo aver aggiunto ad ognuna delle soluzioni 20 mL
di HCl 0,1 M: a) 300 mL 0,1 M acido benzoico; b) 300 mL
0,01 M acido benzoico con 3,6 g benzoato sodico; c) 300 mL
0,05 ammoniaca. (Ka=6,6×10-5; Kb=1,8×10-5).
14) Calcolare la variazione di pH di una soluzione tampone
contenente in un litro 0,1 moli di NH3 (Kb=1,8×10-5) e 0,1 moli
di NH4Cl cui si aggiunge : a) 0,02 moli di HCl gas; b) 0,02
moli di NaOH solido.
CAPITOLO VII
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEGLI EQUILIBRI
ACIDO-BASE
In varie occasioni, nello studio di equilibri acido-base o
nella risoluzione di problemi numerici relativi a tali equilibri,
può rivelarsi assai utile e pratico ricorrere a rappresentazioni
grafiche dei sistemi e a metodi grafici di calcolo. Questo
procedimento non è cosi accurato quanto quello numerico, ma
offre il grande vantaggio di fornire una rappresentazione
comune per gli equilibri acido-base ed in casi complicati dà la
possibilità d'individuare in modo immediato le specie
trascurabili e che hanno scarso rilievo.
I vantaggi che possono offrire le rappresentazioni
grafiche derivano dal fatto che i diagrammi che se ne ricavano
riescono assai spesso a rendere in modo molto efficace una
visione complessiva del sistema e mettere in evidenza
immediatamente, per esempio, come si sposti la composizione al
variare del pH, quali siano le specie presenti in concentrazione
analiticamente rilevanti e quali si possono trascurare
tranquillamente, quali siano le approssimazioni accettabili, quali
specie siano tra loro incompatibili, ecc..
Negli equilibri protolitici il rapporto fra le concentrazioni
delle diverse specie presenti in soluzione è determinato da una
sola variabile che viene indicata come “variabile principale” e
che è il pH. Un dato sistema viene quindi rappresentato
mediante un diagramma in cui si riporta sulle coordinate
cartesiane, lg C, logaritmo della concentrazione delle varie
specie presenti, in funzione della variabile principale e cioè il
pH. Un diagramma logaritmico di questo tipo si costruisce in
modo molto semplice perché è costituito essenzialmente da linee
rette.
Quando si vuole evidenziare la formazione graduale di
una certa specie conviene costruire un “diagramma di
135
136
Capitolo VII
distribuzione” in cui si riportano sulle ordinate il % delle varie
specie presenti e sulle ascisse il pH. In questo modo si pone in
evidenza come una data molecola si distribuisce tra le varie
specie al variare della variabile principale.
Nella costruzione e nell’impiego di questi diagrammi,
assumiamo che i coefficienti di attività siano costanti ed inclusi
nelle costanti di equilibrio impiegate, si ricordi che tale
assunzione è lecita finché si tratta di soluzioni diluite o si operi
in un mezzo ionico costante.
Diagrammi logaritmici
Prendiamo in esame alcuni equilibri acido-base. Nel
caso dell’acqua si ha:
[H+] [OH-] = 1 10-14
e in forma logaritmica essendo lg [H+] = - pH si ha:
log [OH-] = pH – 14
Riportando log [OH-] in funzione del pH si ha una retta
di inclinazione +1 e riportando lg [H+] in funzione del pH una
retta di inclinazione –1. Le due rette si intersecano in un punto
che ha le coordinatene eguali a 7. Dal grafico (Fig. VII-1) si
possono ricavare immediatamente le relative concentrazioni di
H+ e OH- in una soluzione ad un dato valore di pH.
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
137
0
-2
[H+]
[OH-]
-4
-6
Log C
-8
-10
-12
-14
0
2
4
6
8 10
12
14
pH
Figura VII-1. Variazione de log[H+] in soluzione
acquosa.
Consideriamo una soluzione 5 10-4 M in HClO4. L’acido
perclorico è un acido forte, totalmente dissociato, e si ha
pertanto
log C = log 5 10-4 = - 3,30
tracciando la parallela all’ascissa per questo valore si ha pH =
3,30 e pOH = 10,70 come indicato in Fig. VII-1 (linea
tratteggiata).
Acidi monoprotici deboli
Indichiamo con C la concentrazione analitica totale di un
acido monoprotico, e con HA ed A- rispettivamente le
concentrazioni dell’acido e della base coniugata, si ha:
138
Capitolo VII
C = [HA] + [A-]
(1)
Se Ka è la costante relativa all’equilibrio HA – A-,
[H+] [A-]
Ka = ------------[HA]
(2)
si hanno le seguenti relazioni sostituendo i valori della relazione
(1) nella relazione (2),
C [H+]
[HA] = -----------Ka + [H+]
C Ka
[A-] = ------------[H+] + Ka
queste equazioni mostrano che le concentrazioni di tutte le
specie presenti nella soluzione sono funzione solo del pH.
Quando [H+] >> Ka si ha:
log [HA] = log C
(linea retta di pendenza 0)
(3)
log [A-] = log [C] – pKa + pH (linea retta di pendenza + 1)
Quando, invece, [H+] << Ka si ha:
log [HA] = log C + pKa – pH (linea retta di pendenza – 1)
(4)
log [A-] = lg (linea retta di pendenza 0)
Nota la concentrazione dell’acido (esempio della Fig.
VII-2, si tratta dell’acido acetico, 1×10-2 M e pKa = 4,75) si
osserva che le due rette relative al log [HA] e al log [A-] si
139
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
intersecano nel punto contrassegnato in figura con S, le cui
coordinate sono pH = pKa per l’ascissa, e lg C per l’ordinata.
Alla sinistra di questo punto (finche pH < pKa – 1) si possono
considerare valide le approssimazioni di cui alla (3), mentre per
pH > pKa + 1 sono valide le approssimazioni di cui alla (4).
Log C
0
-1
S
-2
T
-3
-4
SI
[HAc]
D
-5
[Ac-]
-6
[H+]
[OH-]
B
-7
-8
-9
0
1
2
3 4
5
6
7 8 9 10 11 12
pH
Figura VII-2. Diagramma logaritmico: soluzione di
acido acetico 10-2 M.
Nell’intervallo pH = pKa ± 1 l’approssimazione: [H+]
trascurabile rispetto a Ka, non è lecita; in questa regione il
diagramma è quindi costituito da due tratti curvilinei che
s’intersecano nel punto, che ha le coordinate:
pH = pKa
log [A-] = log [HA] = log C – log 2
Infatti quando [H+] = Ka, si ha pertanto che pH = pKa
[A-] = [HA] = C/2
140
Capitolo VII
le due linee si intersecano per
log [HA] = log [A-] = log C – log 2 = log C – 0,3
Tale punto, contrassegnato con T, la cui ordinata è di 0,3
unità al di sotto di quella del punto precedente, ha per ascissa il
pH di una soluzione tampone, costituita da HA ed A- nel
rapporto di 1:1.
La Fig. VII-2, come indicato, è il diagramma logaritmico
relativo all’acido acetico per C =1×10-2 M; da considerare però,
ed è questo uno dei principali vantaggi di questi grafici, che esso
è di carattere generale ed è valido per un qualsiasi acido
monoprotico ad una qualunque concentrazione. È sufficiente,
infatti, spostare il grafico lungo l’asse delle ascisse per un acido
con costante diversa (a destra se minore, a sinistra se maggiore
dell’acido acetico) o lungo l’asse delle ordinate per un valore
diverso di C. Dal diagramma logaritmico è possibile ricavare
immediatamente le concentrazioni di HA ed A- in funzione del
pH per una certa concentrazione e si può determinare sia il pH
di una soluzione contenente il solo acido, sia quello di una
soluzione contenente il suo sale.
Dalla relazione di bilanciamento del protone(*)
[H+] = [OH-] + [A-]
si osserva che seguendo la retta rappresentante [H+]
nell’esempio sopra riportato, essa interseca la retta di
inclinazione +1, rappresentante la concentrazione dello ione A-,
per il valore pH = 3,37.
(*) È una modificazione della relazione di elettroneutralità, che si ricava
eguagliando la somma dei termini relativi alle concentrazioni delle specie che
risultano dalla cessione di protoni e di quelle dovute all’acquisto di protoni.
Nel caso di una soluzione di acido cloridrico per ogni Cl- si ha la cessione di
un H+ e anche per ogni OH- formato dall’acqua si ha la cessione di un H+,
per cui la reazione di bilanciamento del protone è [H+] = [Cl-] + [OH-]
identica alla relazione di elettroneutralità.
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
141
L’intersezione con la linea dell’OH- avviene in una zona
assai più lontana; ciò equivale a dire che [OH-] è assolutamente
trascurabile rispetto ad [A-].
Nel caso che si debba determinare il pH di una soluzione 0,05 M
di acetato di sodio, ottenuta sciogliendo acetato sodico o
titolando acido acetico con idrossido di sodio fino al punto
equivalente, nel qual caso i protoliti presenti sono H2O e A-, la
relazione del bilanciamento del protone è
[H+] = [HA] + [OH-]
Come si osserva dal diagramma nella regione in cui
predomina [A-], [H+] è trascurabile rispetto ad [HA] ed il valore
del pH è fornito dal punto di intersezione della retta [OH-] con
quella di [HA], la cui ascissa corrisponde a pH = 8,37. E’ facile
ottenere anche da una considerazione geometrica il pH
corrispondente a questo punto. Esso è l’ascissa del punto di
intersezione di una linea d’inclinazione –1, che rappresenta la
specie [HA], che passa (idealmente prolungata) per il punto
contrassegnato con la crocetta, di coordinate 4,75 e –2,0. La
retta d’inclinazione +1 passa per il punto S’ di coordinate 12,0 e
2,0. Si individua così un triangolo isoscele SBS’: si ottiene
pertanto per l’ascissa del punto B: ½ (4,74 + 12,0) = 8,35. Con
considerazioni analoghe si ricava la relazione corrispondente al
punto D, rappresenta il pH della soluzione di acido puro.
L’ascissa di questo punto è :
pH = ½ (4,74 + 2,0) = 3,35
( [ H + ] = Ka ×C )
Nel caso di una soluzione di Na2HPO4, se questo sale
fosse dissociato solo in 2Na+ e HPO4-2 senza ulteriore reazione,
la relazione di bilanciamento del protone sarebbe [H+] = [OH-];
tenendo conto però della formazione delle varie specie PO4-3 e
OH- (cessione di protoni) e H2PO4-, H3PO4 e H+ (acquisto di
protoni) si ha:
142
Capitolo VII
[H+] + 2 [H3PO4] + [H2PO4-] = [PO4-3] + [OH-].
In Fig. VII-3 viene riportato il diagramma per una base
debole, ammoniaca ( pKb = 4,74) in concentrazione 1 10-2 M.
log C = -2
pKa = 14 – 4,74 = 9,26
e
In questo caso, come detto, il diagramma si può
immaginare che sia stato ottenuto da quello di Fig. VII-2 per
spostamento orizzontale delle rette rappresentanti l’acido e la
base fino a portare il punto S in corrispondenza del valore di
ascissa pari a 9,26.
Log C
0
-1
pKa = 9.25
-2
-3
-4
-5
X
[H+]
[NH3]
-6
[NH4+]
[OH-]
-7
-8
-9
0 1
2
3
4
5
6 7
pH
8
9 10 11
12
Figura VII-3. Diagramma logaritmico per una soluzione
1 10-2 M di NH3.
Possiamo ora riassumere i criteri descritti per tracciare un
diagramma logaritmico.
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
143
a) Segnare le ascisse e le ordinate con tratti eguali per unità di
lg C e di pH.
b) Localizzare il punto S, avente come ascissa pH = pKa e come
ordinata lg C, cioè il logaritmo della concentrazione analitica C
dell’acido.
c) Tracciare una linea orizzontale per questo punto, lasciando un
tratto pari ad una unità di pH prima e dopo il punto S.
d) Disegnare le rette di inclinazione +1 e –1, lasciando una unità
di pH a destra e a sinistra del punto S.
e) Segnare sotto il punto, S, un nuovo punto avente la stessa
ascissa (pH = pK) ed una ordinata inferiore di 0,3 unità di lg C e
prolungare attraverso questo punto le rette di cui al punto d) fino
a congiungere i tratti orizzontali di cui al punto c).
f) Indicare la curva “orizzontale-discendente” con HA e quella
“ascendente-orizzontale” con A-.
g) Tracciare le rette corrispondenti ad [H+] e [OH-],
rispettivamente, di inclinazione –1 e +1, che debbono incontrarsi
a pH = 7.
Vengono riportati i diagrammi relativi ad alcuni sistemi.
Acido diprotico
Per costruire il diagramma logaritmico relativo ad un acido
diprotico, bisogna considerare le tre condizioni di equilibrio.
Ka1 = [H+] [HA-] [H2A]-1
(5)
Ka2 = [H+] [A-2] [HA-] –1
(6)
Kw = [H+] [OH-]
(7)
ed il bilancio delle masse, relativo alla concentrazione
totale, C:
C = [H2A] + [HA-] + [A-2]
(8)
144
Capitolo VII
Da queste equazioni è facile esprimere tutte le specie
presenti in funzione solo di pH e delle costanti Ka1 e Ka2.
C
(9)
[H2A] = -------------------------------------- = C D-1
1 + Ka1 [H+]-1 + Ka1 Ka2 [H+]-2
dove :
D = 1 + Ka1 [H+]-1 + Ka1 Ka2 [H+]-2
C Ka1 [H+] -1
[HA ] = -------------------------- = C Ka1 [H+]-1 D-1
D
-
(10)
C Ka1 Ka2 [H+]-2
[A-2] = ---------------------------- = C Ka1 Ka2 [H+]-2 D-1 (*) (11)
D
Le equazioni (9), (10) e (11) mostrano che, anche, gli equilibri
relativi ad un acido diprotico possono essere rappresentati in
forma semplice mediante un diagramma logaritmico.
(*) Le specie H2A, HA- e A-2 vengono espresse tramite la (5) e
la (6) in funzione di C, H+, Ka1 e Ka2.
[HA-] = Ka1 [H2A] [H+]-1
[A-2] = Ka2 [HA-] [H+] –1 = Ka1 Ka2 [H2A] [H+]-2
e poi sostituendo nella (8) si ha:
C = [H2A] + [H2A] Ka1 [H+]-1+ Ka1 Ka2 [H2A] [H+]-2
C = [H2A] ( 1 + Ka1 [H+] -1 + Ka1 Ka2 [H+] –2
C
[H 2 A] =
= CD-1
+ −1
1 + K a1[ H ] + K a1 K a 2 [ H + ] − 2
in modo simile si ricavano le equazioni relative alle specie
[HA-] ed [A-2], rispettivamente espressioni (10) e (11).
Prendiamo ad esempio il diagramma relativo ad un acido in
145
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
concentrazione 1 10-2 M i cui valori delle costanti sono: pKa1 =
4; pKa2 = 8; lg C = -2. Quindi ci riferiremo (Fig. VII-4) ai punti
del diagramma: S1 = (-2; 4) ed S2 = (-2; 8).
Alla sinistra del punto S1, e precisamente per pH < pKa1, si
ottengono le equazioni:
log[H2A] = logC
linea retta di pendenza 0
log[HA-]=log C – pKa1 + pH
“
“
+1
log[A-2]=lo C – (pKa1 + pKa2) + 2 pH
“
“
+2
tra i punti S1 e S2, per pKa1 +1< pH < pKa2 –1
log[H2A]= log C + pKa1 – pH
linea retta di pendenza –1
log[HA-]=logC
“
“
0
log[A-2]=logC–pKa2 + pH
“
“
+1
a destra del punto , S2, per pH> pKa2 +1
log[H2A]=logC+(pKa1+pKa2)–2pH linea retta di pendenza –2
log[HA-]=logC+pKa2–pH
“
“
-1
log[A-2]=logC
“
“
0
Anche questo diagramma dati i valori sufficientemente
distanti delle costanti viene facilmente costruito tracciando le
rette che soddisfano queste equazioni e, per punti, i tratti
curvilinei negli intervalli: pH = pKa1 ±1 e per pH = pKa2 ±1.
Tali curve s’incontrano nei punti che corrispondono alle
soluzioni tampone nel rapporto 1:1 e sono spostate di 0,3 unità
al di sotto dei punti S1 e S2. In Fig. VII- 4 sono anche tracciate le
rette relative all’equilibrio
Kw = [H+] [OH-]
146
Capitolo VII
In questo caso, oltre ai punti P e R, che forniscono il pH
dell’acido e del sale, come nel caso dell’acido monoprotico, è
interessante considerare il punto Q, la cui ascissa fornisce il pH
del sale acido. Infatti il bilancio del protone è dato in questo
caso da:
[H2A] + [H+] = [A-2] + [OH-]
ed in forma semplificata: [H2A] ≈ [A-2]
0
[H+ ]
-2
[S1 ] [HA ] [S2 ]
[H2 A ]
-
-4 [HA ]
P1
P
P2
Q
R
[HA- ]
Q2
Q1
-6
[A-- ] [OH ]
Log C
-8
[H2 A ]
N
[A-- ]
-10
CH A = 0.01M
2
pK1 = 4.0
pK2 = 8.0
-12
-14
0
2
4
6
pH
8
10
12
14
Figura VII-4. Diagramma logaritmico relativo alla
variazione delle specie di un acido
diprotico, H2A, al variare del pH.
L’ascissa del punto Q in cui s’incontrano le rette
rappresentanti H2A e A-2, fornisce il pH della soluzione di HA-.
Notiamo che il triangolo: S1QS2 è isoscele e l’ascissa del punto
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
147
Q soddisfa la condizione:
pH = ½ (pKa1 +pKa2)
Osserviamo che, a differenza delle altre, l’ascissa di
questo punto resta fissa quando il diagramma viene spostato
lungo l’asse delle ordinate, e cioè se si fa variare la
concentrazione totale. I punti P, Q e R, tutti intersezioni di rette
di pendenza +1 (base) e –1 (acido) corrispondono ai seguenti
punti della curva di titolazione:
P: pHH2A ⇒ HA- + H+
Q: pHHA- ⇒ H2A + A-2
R: pHA-2 ⇒ OH- + HACiascuno di questi punti è caratterizzato da un certo errore
che è facile ottenere dal diagramma, perché fornito
dall’espressione:
ct (10∆ 10-∆) in cui ∆ = pH – pH.
Acido triprotico
È facile estendere il ragionamento esposto per un acido
diprotico al caso di un acido triprotico. Le equazioni che
forniscono le concentrazioni delle specie presenti sono:
[H3A] = C ( 1+ Ka1 [H+]-1+ Ka1 Ka2 [H+]-2+ Ka1 Ka2 Ka3 [H+]-3) =
C D-1
[H2A-] = C Ka1 [H+]-1 D-1
[HA-2] = C Ka1 Ka2 [H+]-2 D-1
[A-3] = C Ka1 Ka2 Ka3 [H+]–3 D-1
In Fig. VII-5 viene riportato il diagramma relativo
148
Capitolo VII
all’acido fosforico: lg C = -1; pKa1 = 2,23; pKa2 = 7,21; pKa3 =
12,32.
pKa1 = 2.23
0
-1
S1
X
pKa2 = 7.21
S2
X
[H2PO4-]
-2
-3
Log C
-4
pKa3 = 12. 32
[HPO4- -]
[PO4- - -]
S3
X
A
+
[H ]
[H3 PO4]
D
[HO-]
-5
-6
B
-7
C
--
[HPO4 ]
[H2 PO4-]
-8
-9
1
2
3
4
5
6
7
8
pH
9 10 11 12 13
FiguraVII-5. Diagramma logaritmico relativo all’acido
fosforico 0,01 M.
In questo caso i punti del diagramma sono tre:
S1 (-1; 2,23); S2 (-1; 7,21); S3 ( -1; 12,32).
Per ciascuno di essi vale un ragionamento analogo a quelli già
eseguiti; ad es. per pH < 1,23:
linea retta di pendenza 0
log[H3PO4]=log C
“
“
+1
log [H2PO4-] = log C – pKa1 + pH
-2
“
+2
log [HPO4 ] = log C – ( pKa1 + pKa2) + 2 pH “
“
+3
log [PO4-3] = log C – ( pKa1 + pKa2 + pKa3) + 3 pH
Le ascisse dei punti A, B, C, e D forniscono nell’ordine, il pH
delle soluzioni:
H3PO4 0,1 M; H2PO4- 0,1 M; HPO4-2 0,1 M; PO4-3 0,1 M.
149
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
Miscele di acidi monoprotici
Il diagramma logaritmico relativo alla miscela costituita
da due acidi deboli monoprotici si ottiene per sovrapposizione
dei diagrammi dei singoli acidi. L’esempio riportato in Fig VII6 si riferisce ad una miscela di un acido HA1 di concentrazione
0,01 M (pKa1 = 4,0) e di un acido HA2 di concentrazione 0,1 M
(pKa2 = 7,0).
pK1 = 4.0
C1 = 0.01 M
pK2 = 7.0
C2 = 0.10 M
0
pK2
X
[HA2 ]
-2
pK1
X
[HA1]
[A2-]
[A1 -]
P
[OH- ]
-
-4
Log C
-6
[A1 ]
[A2-]
Q
[HA2 ]
[H+ ]
N
[HA1 ]
-8
-10
-12
0
2
4
6
pH
8
10
12
14
Figura VII-6. Diagramma logaritmico per una miscela
di due acidi deboli con pKa1 = 4,0 e pKa2 = 7,0 e
C1 = 0,01 M e C2 = 0,1 M.
La figura fornisce, per ogni valore di pH il logaritmo
delle concentrazioni delle specie presenti. Volendo, inoltre,
determinare il pH relativo alla miscela è sufficiente scrivere il
150
Capitolo VII
bilanciamento del protone:
[H+] = [A1-] + [A2-] + [OH-]
(12)
Poiché le rette rappresentanti [A2 ] e l’[OH ] sono
spostate molto in basso rispetto a quella dell’[A1-] è lecito
semplificare la (12) in: [H+] = [A1-].
In Fig. VII-7 è riportato il diagramma per una soluzione
di due acidi aventi forza e concentrazione poco diverse e
precisamente:HCOOH 0,05 M, pKa=3,75 ed HAc 0,01 M pKa =
4,75. Volendo, anche in questo caso, determinare il pH,
conviene al solito scrivere il bilanciamento del protone:
[H+] = [HCOO-] + [Ac-] + [OH-].
pKa = 3.75
0
-1
pKa = 4.75
[HAc]
[Ac- ]
X
X
[HCOO-]
-2
-3
Log C
[HAc]
-4
[OH-]
-5
[H+]
-6
[HCOOH]
-7
-8
-9
1
2
3
4
5
6
7 8
pH
9
10 11 12 13
Figura VII-7.
trascurabile rispetto alle altre
[OH-] è,certamente,
concentrazioni. Però la breve distanza che, invece, intercorre tra
le due rette rappresentanti [HCOO-] ed [Ac-], indica che
trascurare quest’ultima, costistuisce un’approssimazione troppo
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
151
spinta.
Conviene, quindi, introdurre una correzione.
L’equazione: log [Ac-] = log C – pKa + pH fornisce a pH =
2 i seguenti valori di –3,75 e –3,05 rispettivamente per l’acetato
ed il formiato. Ciò significa che la retta rappresentante il
formiato è spostata di 0,7 unità in alto rispetto a quella
dell’acetato: è quindi possibile scrivere:
log [HCOO-] = log [Ac-] + 0,7;
[Ac-] = [HCOO-] 10-0,7
[HCOO-] + [HCOO-] 10-0,7 = [HCOO-] (1 + 10-0,7) =
[HCOO-] 1,2
Sul diagramma logaritmico, la linea che tiene conto
della presenza delle due basi è spostata di 0,08 unità in alto
rispetto a quella del formiato.
L’ascissa del punto d’incontro di tale linea con quella dell’H+
fornirà il pH corretto. Tale valore sarà di 0,08 unità inferiore a
quello precedentemente ottenuto.
Un’altra, interessante, applicazione dei diagrammi
logaritmici è quella relativa a soluzioni di sali di ammonio. Il
diagramma può sempre ottenersi per sovrapposizione di quello
relativo alla semicoppia NH4+-NH3 e dell’altro relativo alla
semicoppia acido-base costituente l’anione.
In Fig. VII-8 viene mostrato il diagramma dell’acetato di
ammonio 0,1M.
152
Capitolo VII
Log C
pKa= 4.75
+
HAc NH4
0
-1
X
pKa= 2.25
NH4+
X
-2
[HAc]
[NH3]′=
[HAc]′
-3
-4
-5
[Ac-]
[NH4+]
[Ac-]
S
[NH4Ac]
+
[H ]
-6
-7
[OH-]
[NH3]
-8
-9
1 2 3 4
5
6
7
pH
8
9
10 11 12 13
Figura VII-8. Diagramma logaritmico relativo ad NH4Ac
0,1 M.
La posizione delle rette presenti in figura rende lecito
scrivere il bilanciamento del protone nella forma semplificata:
[HAc] = [NH3]. L’ascissa di tale punto d’intersezione fornisce il
pH della soluzione e questo valore è indipendente dalla
concentrazione del sale.
Diagrammi di distribuzione
L’altro modo di rappresentazione grafica degli equilibri
protolitici è costituito dai diagrammi di distribuzione. Ne
vengono presentati e discussi alcuni relativi ad un acido
monoprotico e poliprotico.
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
153
Diagramma di distribuzione per un acido monoprotico
Anche in questo tipo di diagramma in ascissa viene
riportato il pH, che è la variabile principale, e sulle ordinate la
frazione di concentrazione totale di acido presente in forma
dissociata o indissociata. Questo diagramma ci permette di
ricavare ad un dato pH la concentrazione delle varie specie
presenti in soluzione.
Sia HA un acido debole, ad esempio acido acetico, e siano
Ka e C rispettivamente la costante di dissociazione e la
concentrazione.
Dal bilancio delle masse [HA] + [A-] = C e dall’espressione
della costante di equilibrio [H+] [A-] = Ka [HA], si ricava
l’espressione del grado di ionizzazione, αA-, definito come la
frazione di concentrazione dell’acido presente in soluzione come
anione:
[A-]
Ka
[A-]
αA- = ----------= ----------------- = -----------------C
[A-] + [HA]
[H+] + Ka
Il grafico che si ottiene riportando αA- in funzione del pH, è la
curva di dissociazione dell’acido.
Se si riporta la frazione indissociata
[HA]
[H+]
αHA = ---------- = ------------C
[H+] + Ka
in funzione del pH e si ottiene un grafico che viene indicato
come curva di formazione.
Le curve di dissociazione e di formazione, sono
simmetriche ed una può ricavarsi dall’altra per rotazione di 180°
rispetto ad una parallela all’asse delle ascisse passante per
l’ordinata 0,5 o rispetto ad una parallela all’asse delle ordinate
passante per l’ascissa pH = pKa. È importante osservare che
154
Capitolo VII
queste curve hanno una eguale pendenza per un qualunque acido
monoprotico; una variazione di Ka provoca infatti solo lo
spostamento di queste curve lungo l’asse delle ascisse. Poiché
sussiste la relazione: αHA + αA- = 1, si desume che ogni retta,
parallela all’asse delle ordinate, è divisa dal grafico in due
segmenti, quello inferiore è uguale ad αHA e quello superiore ad
αA-. Inversamente per il primo grafico. Si ha di conseguenza che
noto il pH, si hanno in modo immediato le concentrazioni delle
specie presenti in soluzione.
α
HAc
0.01
pH = 4.40
1.0
α
Ac = 0.30
α
Ac =0.04
pH = pKa = 4.75
0.5
α
HAc = 0.96
α
HAc = 0.70
3
4
5
pH
Figura VII-9. Diagramma di distribuzione per l’acido
acetico.
6
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
155
Diagramma di distribuzione per un acido diprotico
Prendiamo in esame il diagramma di distribuzione di un
acido diprotico (H2A). Analogamente al caso di un acido
monoprotico, il diagramma di distribuzione di un acido diprotico
viene costruito riportando la frazione di ciascuna specie rispetto
alla concentrazione totale in funzione del pH. Questi valori si
indicano con α0, α1 e α2. Essi si ottengono facilmente
dall’equazioni di pag. 114 e vengono qui di seguito riportate.
α0 = [A-2] C-1 = Ka1 Ka2 [H+]-2 D-1
α1 = [HA-] C-1= Ka1 [H+] D-1
α2 = [H2A] C-1 = (1 + Ka1 [H+]-1 + Ka1 Ka2 [H+]-2)-1 = D-1
Osservando le equazioni relative ad α2, α1 e α0 si può facilmente
constatare che α2 aumenta costantemente all’aumentare della
concentrazione di H+ e tende ad 1 per valori elevati di [H+], la
frazione di α0 aumenta al diminuire di [H+] e tende a 1 per [H+]
= 10-14, la frazione di α1 , invece, all’aumentare del pH passa per
un valore massimo e quindi diminuisce. Questo comportamento
è del tutto generale: per gli acidi poliprotici la frazione
dell’acido indissociato, HnA, (αn) è massima a valori di pH più
bassi e diminuisce costantemente al diminuire della [H+], la
frazione α0 della specie non protonata, A-n, aumenta
all’aumentare del pH, tenendo a 1 per [H+] tendente a 10-14, le
frazioni di ioni protonati Hn-i A-i presentano un massimo ad un
determinato valore di pH, funzione delle costanti di equilibrio.
Considerando una soluzione di un acido diprotico, è facile
calcolare a quale valore di [H+] si raggiunge la massima
concentrazione della forma HA-. Derivando rispetto alla [H+]
l’equazione relativa ad α1 si ottiene:
K1([H+]2+ K1 [H+] + K1K2) - K1 [H+] x (2[H+] + K1)
+
dα1/d[H ] = ------------------------------------------------------------([H+]2 + K1 [H+] + K1K2)2
cioè
- K1 [H+]2 + K1 K2
(A)
dα1/ d[H+] = ----------------------------------+ 2
+
2
([H ] + K1 [H ] + K1K2)
156
Capitolo VII
la relazione (A), si annulla per
- K1 [H+]2 + K1 K2 = 0
(B)
da cui
[H+]2 = K1 K2
(C)
Perciò il rapporto α1 =[HA-]/C assumerà il valore massimo per
[H+] = √ K1 K2
Indipendentemente dalla concentrazione totale di acido
C. Del resto si può notare che nessuna delle frazioni αi dipende
da C.
Diagramma di distribuzione per un acido triprotico
Prendiamo in esame il diagramma di distribuzione di un
acido triprotico. Analogamente al caso di un acido monoprotico,
il diagramma di distribuzione di un acido triprotico viene
costruito riportando la frazione di ciascuna specie rispetto alla
concentrazione totale in funzione del pH. Questi valori si
indicano con α0, α1, α2 e α3. Essi si ottengono facilmente dalle
equazioni di pag. 118 e vengono qui di seguito riportati:
α0 = [A-3] C-1 = Ka1 Ka2 Ka3 [H+]-3 D-1
α1 = [HA-2] C-1 = Ka1 Ka2 [H+]-2 D-1
α2 = [H2A-] C-1 = Ka1 [H+]-1 D-1
α3 = [H3A] C-1 = (1 + Ka1 [H+]-1+ Ka1 Ka2 [H+]-2 + Ka1 Ka2 Ka3
[H+]-3)–1 = D-1
Come si vede i valori di α sono funzione soltanto del pH
e delle costanti di dissociazione.
Viene illustrato il caso dell’acido fosforico, le costanti sono
pKa1 = 2,22
pKa2 = 7,21
pKa3 = 12,32
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
157
Dall’esame delle costanti si vede che nel presente caso,
essendo Kn/Kn+1 > 104, per nessun valore di pH sono presenti tre
specie in quantità superiori all’1%. Ciò ci permette di introdurre
una notevole semplificazione nei calcoli, in quanto nella
espressione di D è sempre lecito trascurare due termini. Infatti,
essendo: Ka1 Ka2 = 10-9,44 e Ka1 Ka2 Ka3 = 10-21,76, sono
trascurabili:
Ka1 Ka2 Ka3 [H+] -3
per pH < 5,0
Ka1 Ka2 [H+]-2 e
1
e
Ka1 Ka2 Ka3 [H+]-3
1
e
Ka1 [H+]-1
per 5,0 < pH < 9,0
per pH > 9,0
Ai valori di pH = pK esistono due specie presenti in
concentrazione pari al 50%. In Fig. VII-10 viene illustrato il
diagramma di distribuzione relativo all’acido fosforico. In tale
diagramma le varie specie presenti in soluzione vengono
riportate separatamente in funzione del pH. Si nota negli
intervalli già considerati il predominio di una singola specie;
infatti per :
α3 > 90%
pH < pKa1 – 1
pKa1 + 1 < pH < pKa2 – 1
α2 > 90%
pKa2 + 1 < pH < pKa3 –1
α1 > 90%
α0 > 90%
pKa3 + 1 < pH
Si può costruire un altro tipo di diagramma di
distribuzione riportando le grandezze:
α3 ; α3 + α2
ed
α3 + α2 +α1
in funzione del pH. Nel caso dell’acido fosforico, per quanto è
stato detto già circa i campi di esistenza delle varie specie, si ha
la Fig VII-11 in cui ciascuna curva è ottenuta dal contributo di
una sola specie.
158
Capitolo VII
Ogni parallela all’asse delle ordinate incontra una sola di
queste curve ed è quindi divisa in due segmenti che cadono nel
campo di due specie distinte e sono proporzionali alla
concentrazione totale presente sotto quella forma.
H3PO4
+
H2PO4-
1.0
0.8
α3 0.6
0.4
α2
α1
H2PO4
H2PO4+
HPO4--
-
HPO4
--
HPO4-+
PO4---
α3
0.2
0
0.8
0.6
α2
0.4
0.2
0
0.8
0.6
α1
0.4
0.2
0
0.8
0.6
α0 0.4
0.2
α0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
pH
Figura VII-10. Frazione delle varie specie proveniente della
ionizzazione dell’H3PO4 in funzione del pH
159
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
1.0
α2=0.873
0.8
α1=0.500
α3
0.6
α
0.4
α3 α2 α1
HPO4- -
H2 PO4-
PO4- - -
α3=0.127
0.2
0
α3+ α2
H3PO4
1
2
α2=0.500
3
4
5
6
7 8
pH
9
10 11 12 13
Figura VII-11. Diagramma di distribuzione dell’acido
fosforico
ESERCIZI
1) Calcolare la ripartizione delle specie chimiche HF e F- di una
soluzione 0.1 M di HF essendo pKa = 3.8 per i valori di pH: 2, 3,
4 e 6.
2) Calcolare le ripartizioni delle specie chimiche H2S, HS- e S-2
in una soluzione di H2S 0.01 M essendo pK1= 7.1 e pK2 = 13 ai
seguenti valori di pH: 5, 6, 8, 9, 13, 14.
3) Costruire il diagramma logaritmico e di distribuzione per una
soluzione 0.01 M di Acido tartarico essendo pK1 = 4.8 e
pK2 = 8.7.
4) Costruire il diagramma logaritmico e di distribuzione per una
soluzione fisiologica in cui la concentrazione di Acido
carbonico sia 0.001 M ed essendo pK1= 6.46 e pK2 = 10.15
CAPITOLO VIII
EQUILIBRI DI PRECIPITAZIONE
Il fenomeno della formazione dei precipitati costituisce
una delle operazioni analitiche di maggiore interesse, poiché sia
la determinazione qualitativa di un elemento che quella
quantitativa è in molti casi eseguita attraverso il fenomeno della
precipitazione. Per avere una chiara visione sulla precipitazione
e sul comportamento dei precipitati è necessario analizzare
l’equilibrio fra un precipitato e la soluzione satura da cui esso si
forma. Lo stato fisico di un precipitato ed il suo grado di purezza
dipendono dal modo con cui esso è stato preparato e le
condizioni operative più idonee possono essere dedotte dallo
studio degli equilibri, che si stabiliscono nella soluzione in cui il
precipitato si forma.
Se si considera esclusivamente il principio del prodotto
di solubilità è possibile predire in genere le condizioni più
idonee per la formazione e la dissoluzione di un precipitato,
anche se questo principio da solo non è sufficiente a risolvere
tutti i problemi analitici. Ciò è spiegabile in quanto i sistemi che
contengono più di una fase raggiungono lo stato di equilibrio
molto lentamente e ne consegue, pertanto, che nelle reazioni di
precipitazione lo stato di equilibrio può talvolta essere raggiunto
solo dopo molto tempo. Inoltre, il comportamento dei precipitati
è particolarmente complesso per i fenomeni di adsorbimento
degli ioni presenti nella soluzione, in cui un precipitato si forma
e che porta di conseguenza, spesso, alla formazione di precipitati
fortemente contaminati.
Poiché uno degli obbiettivi della chimica analitica
consiste nella preparazione di composti di grande purezza è
necessario, quindi, stabilire le condizioni di precipitazione per le
quali si potrà avere una contaminazione minima, in quanto la
conoscenza delle sole condizioni di equilibrio non forniscono
alcun elemento per poterle determinare. Il comportamento di un
161
162
b
Capitolo VIII
precipitato deve essere, quindi, considerato sotto gli aspetti
seguenti:
- stato di equilibrio con la soluzione
- velocità di formazione e di dissoluzione
- proprietà adsorbenti della sua superficie.
Un fenomeno, del tutto generale, che ha suscitato
l’interesse di quanti si sono occupati della formazione dei
precipitati, è il così detto periodo di induzione, cioè il tempo che
trascorre dal momento in cui si mescolano i reagenti, al
momento in cui compare un precipitato.
Il periodo di induzione può variare notevolmente da
sostanza a sostanza e anche sostanze che presentano una
solubilità simile (AgCl, e BaSO4) possono avere, a parità di
condizioni, periodi di induzione molto diversi. In sostanza, le
diverse teorie proposte concordano nell’affermare che il periodo
di induzione coincide con la fase di formazione dei nuclei,
consistenti in aggregati di poche coppie ioniche. Questi
aggregati risultano poco stabili e tendono a ridissociarsi o a
crescere associandosi successivamente fra di loro per formare
particelle colloidali, estremamente piccole (0,001-0,1 µm di
diametro), non filtrabili con i mezzi ordinari.
La velocità di formazione dei nuclei e la loro crescita
dipendono notevolmente dal grado di soprasaturazione (s) della
soluzione, cioè dal rapporto fra concentrazione molare di
partenza (Co), soprasatura, e la concentrazione della soluzione
satura (Cs):
Co
s = ------(1)
Cs
Una volta formatosi le particelle colloidali, il processo
di precipitazione può seguire due strade: se a questo punto la
soluzione non è più soprasatura, le particelle colloidali possono
rimanere tali in uno stato di sol per un tempo indefinito, oppure
possono riunirsi fra loro in aggregati colloidali più grossi
filtrabili (processo di coagulazione); se la soluzione resta ancora
soprasatura, le particelle colloidali possono crescere
163
Equilibri di precipitazione
singolarmente organizzandosi in strutture cristalline, formando
cristalli finissimi (0,1-10 µm) separabili soltanto con filtri a pori
molto piccoli. A seconda del grado di soprasaturazione esistente
e a seconda delle caratteristiche specifiche della sostanza, si
possono formare aggregati microcristallini o i singoli cristalli
possono crescere dando origine a individui cristallini ben
formati, a volte di dimensioni considerevoli.
Il processo come è stato descritto in Fig. VIII-1, ed è
fortemente idealizzato e semplificato. In pratica tutti gli stadi
indicati decorrono più o meno contemporaneamente. Variando
opportunamente le condizioni sperimentali è possibile, entro
certi limiti, far decorrere in modo prevalente l’uno o l’altro dei
processi indicati, ottenendo così, alla fine, un precipitato a
cristalli più o meno grossi o a carattere più o meno colloidale.
Ioni o molecole
soluzione soprasatura
0.0001-0.001µm
m
in
Nuclei non filtrabili
Particelle colloidali
0.001-0.1 µ
Cristalli finissimi
0.1-10 µ
Cristalli grossi
>10 µ
Aggregati
microcristallini
Soluzioni
colloidali
Aggregati
colloidali
Figura VIII-1. Rappresentazione schematica della formazione
dei precipitati.
164
b
Capitolo VIII
Soprasaturazione e enucleazione
La dispersione delle dimensioni delle particelle in un
precipitato dipende dalla velocità relativa di due processi, in
pratica quasi sempre contemporanei:
a) formazione dei nuclei o nucleazione
b) accrescimento dei nuclei.
Il decorso di entrambi i processi dipendono dal grado di
soprasaturazione, fino ad un certo grado di soprasaturazione,
una soluzione può restare omogenea, in uno stato meta-stabile,
senza che compaiano tracce di precipitato. Superato un certo
grado di soprasaturazione, fortemente variabile da una sostanza
all’altra, la soluzione è labile e, entro un tempo più o meno
lungo (periodo di induzione), inizia spontaneamente la
cristallizzazione, che procede fino a raggiungere le condizioni di
saturazione. I diversi stati in cui può trovarsi un sistema sono
rappresentabili chiaramente in diagrammi analoghi a quello
della Fig. VIII-2.
I diagrammi differiscono da sostanza a sostanza
specialmente per l’ampiezza della regione meta-stabile. Se una
soluzione non satura, ad una certa temperatura, rappresentabile
nel diagramma dal punto A, viene raffreddata, si può osservare
che pur raggiungendo il punto B, situato sulla curva di
solubilità, non si ha alcuna cristallizzazione. Se il sistema è
tenuto al riparo da occasionali particelle solide o da
sollecitazioni meccaniche, che possano innescare la
cristallizzazione, è possibile raffreddare ulteriormente la
soluzione raggiungendo lo stato meta-stabile. Arrestando il
raffreddamento ad un punto interno a questa regione, per es. al
punto C, il sistema può essere mantenuto omogeneo per un
tempo indefinito, in uno stato di soprasaturazione.
Affinché i nuclei possano formarsi ad una velocità
praticamente efficace è necessario raffreddare il sistema
portandolo notevolmente al di là della curva di soprasaturazione
corrispondente alla curva di supersolubilità, cioè, nel caso in
discussione, al punto D.
Un ragionamento, analogo, si può fare se, a partire da un
165
Equilibri di precipitazione
punto A’, lavorando a temperatura costante, si aumenta la
concentrazione delle specie che si vuole precipitare,
aggiungendo gradualmente un agente precipitante: la
precipitazione non inizierà in B, ma si dovrà raggiungere la
curva di soprasolubilità, al punto D’; perché la nucleazione
proceda a velocità sufficiente a provocare la precipitazione.
Arrestandosi con l’aggiunta del reattivo in corrispondenza di C’,
o comunque nella regione meta-stabile, il sistema resta
omogeneo, allo stato di soprasaturazione. Se, raggiunto il punto
D’, si arresta l’aggiunta di precipitato, i nuclei formatosi,
crescendo, daranno origine al precipitato, riportando la
concentrazione del sistema al punto di equilibrio B.
Concentrazione
• D'
LABILE
• C'
curva di supersolubilità
D
METASTABILE
•
C
curva di solubilità
B
•
A
•
A'
NON SATURO
Temperatura
Figura VIII-2. Curva di solubilità e di supersolubilità.
I cristalli, provenienti esclusivamente dai nuclei
formatisi in D’, saranno relativamente pochi e piuttosto
sviluppati. Se nel corso della precipitazione si continua ad
166
Capitolo VIII
aggiungere del reattivo precipitante, in modo, però, da restare
con la concentrazione entro la zona meta-stabile, per evitare la
formazione di nuovi nuclei, si otterrà soltanto l’accrescimento
dei cristalli già formati e si avrà, pertanto, un precipitato a grana
grossa.
Se, per una eccessiva velocità di aggiunta o per un
difetto di agitazione, in qualche punto della soluzione si dovesse
superare la concentrazione D’, si formerebbero nuovi nuclei
cristallini e il precipitato risulterebbe, alla fine, formato da
cristalli grossi e fini, cioè meno uniformi. Naturalmente questo
può accadere tanto più facilmente quanto più le due curve, di
solubilità e di supersolubilità, sono vicine.
La velocità di nucleazione e della crescita dei cristalli
dipende, con andamento diverso, dal grado di soprasaturazione
(Fig. VIII-3).
Velocità di
nucleazione
o di crescita
Nucleazione
Crescita di cristalli
1 Grado di soprasaturazione
α
Figura VIII-3. Velocità di nucleazione e di
crescita dei cristalli in funzione del grado di
soprasaturazione.
L’analisi di questa figura ci aiuta a capire diversi aspetti
del fenomeno della precipitazione. Ad un basso grado di
soprasaturazione la nucleazione è praticamente inibita del tutto;
Equilibri di precipitazione
167
possono crescere solo eventuali germi cristallini già presenti. In
queste condizioni, una volta innescata la cristallizzazione, si
ottengono precipitati grossolani. All’aumentare di α la velocità
di nucleazione cresce molto rapidamente. Quando la velocità di
nucleazione risulta più elevata della velocità di crescita dei
cristalli, si ottengono precipitati estremamente fini o addirittura
colloidali.
Lo stato colloidale e l’adsorbimento
Dalla precedente descrizione schematica del meccanismo
di formazione dei precipitati cristallini, in una certa fase del
processo, passano attraverso lo stato colloidale, nel quale le
particelle hanno un diametro di 0,001 a 0,1 µm. In questo stato il
sistema mostra le ben note proprietà caratteristiche dello stato
colloidale: esso appare omogeneo, le particelle, visibili soltanto
all’ultramicroscopio (illuminazione laterale; effetto Tyndall),
non sedimentano per azione del campo gravitazionale terrestre,
ma solo mediante ultracentrifugazione. La materia allo stato,
dispersione colloidale, non altera sensibilmente il punto di
congelamento e il punto di ebollizione del solvente e non
conferisce una pressione osmotica misurabile con osmometri
ordinari. Più esattamente si può affermare che le proprietà
colligative delle soluzioni sono quelle che effettivamente si
dovrebbero osservare in soluzioni di molecole ad altissimo peso
molecolare.
Le particelle colloidali sarebbero, secondo H. Staudinger,
agglomerati di 103 a 109 atomi. A volte le particelle sono vere e
proprie singole macromolecole (polimeri naturali o sintetici,
proteine ecc.) oppure sono semplicemente aggregati di molecole
piccole o atomi elementari. I colloidi si distinguono, a seconda
delle loro caratteristiche, in liofobi (o idrofobi) e liofili (o
idrofili). I liofobi si presentano generalmente come dispersioni
in un mezzo liquido, generalmente acqua, di sostanze
inorganiche insolubili. Tali dispersioni (soli) sono generalmente
instabili, tendono facilmente a flocculare, specialmente per
168
Capitolo VIII
l’azione di elettroliti, con separazione del colloide in fiocchi o
masse di aspetto gelatinoso, nelle quali non è possibile
riconoscere forme cristalline al microscopio ordinario, nemmeno
ai più forti ingrandimenti (X 2000-2500).
I colloidi liofili sono assai più stabili all’azione degli
elettroliti; a concentrazione sufficientemente elevate rendono le
soluzioni piuttosto viscose o addirittura di consistenza gelatinosa
(gel). Per aggiunta di forti quantità di sali possono precipitare in
masse fioccose, colloidali e, a differenza dei colloidi idrofobi,
tornano a formare un sistema omogeneo per diluizione o per
allontanamento del sale mediante dialisi. A questa categoria
appartengono le proteine, l’amido, l’acido silicico precipitato di
fresco. Il fatto che un colloide abbia caratteristiche liofobe o
liofile dipende dalla natura più o meno polare delle sostanze.
Gruppi polari o ionizzabili, che possono coordinare l’acqua,
rendono il colloide idrofilo, mentre gruppi non polari rendono il
colloide idrofobo.
Un colloide può anche trasformarsi da idrofobo a
idrofilo in seguito a fenomeni di adsorbimento. Per esempio un
colloide idrofobo che adsorba alla superficie delle sue particelle,
delle sostanze proteiche (idrofile) assume un comportamento
idrofilo, può formare soli stabili poco sensibili all’azione
coagulante degli elettroliti, ecc.., per esempio, una sospensione
di AgBr colloidale viene stabilizzata alla presenza di gelatina.
La gelatina, in tal caso, agisce da colloide protettore. Le
particelle colloidali risultano, generalmente, dotate di carica
elettrica. Ciò può essere messo in evidenza in diversi modi e,
particolarmente, mediante esperienze di elettroforesi.
Molte delle proprietà caratteristiche dello stato
colloidale sono da ascriversi, in ultima analisi, proprio
all’esistenza della carica elettrica: la stabilità delle sospensioni,
dovuta alla repulsione reciproca delle particelle, i fenomeni di
coagulazione e di peptizzazione, l’entità e la specificità
dell’adsorbimento di altre sostanze, ecc.. La carica elettrica può
originarsi per diverse cause a seconda della natura del colloide. I
poli-elettroliti, per esempio le proteine, i poli-acidi, quali gli
acidi poli-acrilici, ecc.., acquistano la loro carica in seguito alla
Equilibri di precipitazione
169
ionizzazione di gruppi dissociabili (-COOH, -OH) o alla
protonazione di gruppi amminici (-RNH3+). Particelle,
microcristalli o sospensioni colloidali, di natura ionica, per
esempio AgCl, assumono cariche negative o positive, in seguito
a fenomeni di adsorbimento. Un cristallo di AgCl, anche se nel
suo complesso è elettricamente neutro, alla superficie, su scala
atomica, si alternano punti a carica positiva e negativa, in
corrispondenza delle posizioni degli ioni Ag+ e Cl- nel reticolo
cristallino. Un cristallo di tal genere, sospeso in un mezzo
liquido, esercita delle forze elettrostatiche verso ioni,
eventualmente, presenti in soluzione, che vengono quindi attratti
in vari punti della superficie in corrispondenza del segno
elettrico. Si forma così uno strato di ioni adsorbiti che resterà
più o meno saldamente associato alla fase solida.
Anche solidi di natura non polare, per esempio carboni
animali e vegetali, metalli allo stato colloidale, ecc.. possono
essere sede di vistosi fenomeni di adsorbimento. In questi casi il
meccanismo del processo è diverso, entrano in gioco
principalmente le forze di Van der Waals che si manifestano in
particolare in punti singolari della superficie, ai vertici, agli
spigoli o in zone ricche di dislocazioni e di difetti reticolari.
Molto spesso l’adsorbimento, su adsorbenti non polari, si deve a
forze di natura decisamente chimica, con formazione di
composti più o meno labili fra adsorbato ed adsorbente. Da
questa breve esposizione, appare evidente come ciò che va
genericamente sotto il nome di adsorbimento e che comunque si
manifesta con un ammassamento di specie chimiche, ioni o
molecole neutre, alla superficie di un solido, per cui localmente
la concentrazione dell’adsorbato può assumere valori assai più
elevati che in seno alla soluzione, sia un fenomeno assai
complesso e determinato da fattori fisici o chimici o natura
diversa e spesso assai specifici e diversi da caso a caso.
Tutto ciò dovrebbe far comprendere come non esiste una
teoria generale e, in pratica, si impiegano leggi di natura
empirica che, di volta in volta, mettono in relazione l’entità del
fenomeno (quantità di materiale adsorbito per grammo di
adsorbente o per cm2 di superficie adsorbente), con l’uno o
170
Capitolo VIII
b
l’altro dei parametri che interessano lo studio in questione. In
chimica analitica una relazione di interesse pratico è quella che
permette di esprimere la quantità di sostanza adsorbita in
funzione della sua concentrazione in soluzione (o pressione, se
si tratta di adsorbimento di un gas).
Una delle equazioni più note è quella che va sotto il
nome di equazione di Freundlich:
1
x
= kC n
(2)
m
dove x è il peso dell’adsorbato, m è il peso dell’adsorbente, C la
concentrazione in soluzione all’equilibrio, k e n sono parametri
empirici, variabili con la natura dell’adsorbato, dell’adsorbente,
del solvente e con la temperatura. L’equazione di Freundlich
vale, infatti, solo ad una temperatura fissata e costante. Per
questo motivo viene chiamata anche isoterma di adsorbimento.
La (2) descrive, quindi, per un dato sistema,
l’andamento dell’adsorbimento in funzione di C. La costante n
dipende dalla natura dei processi chimico-fisici che decorrono al
passaggio dalla soluzione alla superficie dell’adsorbente della
specie chi si adsorbe. A seconda del sistema, n può assumere
valori compresi fra 1 e 5.
Il valore di k, invece, è in relazione alla quantità
massima di adsorbato fissabile alla superficie. Il valore è
funzione, tra l’altro della superficie specifica dell’adsorbente,
cioè della superficie presentata da 1 g di adsorbente. Poiché 1/n
è generalmente minore di 1, la quantità di sostanza adsorbita
aumenta meno rapidamente della concentrazione e tende ad un
valore limite corrispondente alla saturazione della superficie
adsorbente. La Fig. VIII-4 rappresenta un generico andamento
dell'isoterma di Freundlich per n = 2 e per n = 4.
Dalla Fig. VIII-4 si può osservare che le prime tracce di
adsorbato (piccoli valori di C) possono essere trattenute molto
tenacemente e sono allontanabili con difficoltà una volta che
siano state adsorbite. Ciò comporta conseguenze di grande
interesse in chimica analitica: utilizzando processi di
adsorbimento è possibile rimuovere dalle soluzioni tracce di
Equilibri di precipitazione
171
sostanze concentrandole su opportuni adsorbenti;
X
m
KC
¼
KC
½
C
Figura VIII-4. Andamento dell’isoterma di Freundlich
per n = 2 e per n = 4.
una volta adsorbite le tracce di sostanze differenti è possibile
ottenere delle nette separazioni lavando l’adsorbente con
solventi idonei in grado di solubilizzare preferenzialmente l’una
o l’altra delle sostanze adsorbite, ecc..
Su questi principi sono basate le tecniche
cromatografiche di adsorbimento. D’altra parte gli stessi
fenomeni di adsorbimento possono recare notevoli
complicazioni dovute a indesiderate contaminazioni dei
precipitati.
Contaminazione dei precipitati
Si parla di contaminazione di un precipitato quando esso,
anziché risultare chimicamente puro, cioè costituito da una sola
specie chimica, risulta accompagnato da altre sostanze. E’
172
Capitolo VIII
comprensibile come la contaminazione possa essere causa di
gravi inconvenienti: un precipitato inquinato può rendere del
tutto errata una determinazione gravimetrica. In analisi
qualitativa l’inquinamento di un precipitato può portare
ugualmente complicazioni indesiderate, alterando il quadro delle
reazioni caratteristiche, provocando mascheramenti o la
comparsa di reazioni attribuibili erroneamente a specie chimiche
inesistenti nel campione (artefatti).
L’adsorbimento
è
la
causa
principale
di
contaminazione dei precipitati allo stato colloidale flocculato o,
comunque, con grandissimo sviluppo di superficie e le cause
possono essere diverse e spesso agiscono contemporaneamente,
con prevalenza dell’una o dell’altra e seconda della natura
chimica del precipitato, dell’ambiente in cui viene a formarsi,
dello stato cristallino o colloidale che assume. L’entità
dell’adsorbimento può essere relativamente modesto, come si
riscontra di solito con gli alogenuri di argento, oppure assai
notevole come si può verificare con gli idrati colloidali del Fe+3
o di Al+3.
Un alogenuro di argento, precipitato in eccesso di
alogenuro alcalino trattiene lo ione alogenidrico adsorbito al
reticolo e lo ione del metallo alcalino come controione. Se si
lava il precipitato con acido nitrico diluito si può sostituire, con
un vero e proprio scambio ionico, lo ione del metallo con lo ione
H+:
AgX x X- Na+ + H+ ↔ AgX x X- H+ + Na+
L’acido HX adsorbito è facilmente allontanabile con
un opportuno riscaldamento del precipitato. La quantità di
adsorbato in un precipitato cristallino può essere ridotto
notevolmente sottoponendolo ad un processo di maturazione tale
da permettere una ricristallizzazione, con conseguente
ingrossamento dei granuli cristallini e forte diminuzione della
superficie specifica e dei difetti reticolari.
Gli idrati, Fe(OH)3, Al(OH)3, che precipitano sotto
forma di fiocchi colloidali, conglobanti forti quantità di acqua,
Equilibri di precipitazione
173
hanno una grande tendenza ad adsorbire ioni OH- e ioni di
metalli pesanti come controioni. Per questo motivo nella
precipitazione di Fe+3 o Al+3 come idrossidi si possono
facilmente constatare contaminazioni da Cu+2, Ni+2,Co+2, ecc..
Tali contaminazioni possono attenuarsi sensibilmente in
presenza di NH3 o altri agenti in grado di complessare le
impurezze. A volte la contaminazione è dovuta al fatto che
assieme al precipitato desiderato si separano altre sostanze per le
quali è stato superato il limite della solubilità. Si parla in tal caso
di precipitazione simultanea o di coprecipitazione.
Per evitare questo tipo di contaminazione è necessario
cercare condizioni di lavoro tali che non comportino il
superamento del limite di solubilità dell’impurezza. Se c’è la
possibilità di formazione di cristalli misti è indispensabile
eliminare l’impurezza con opportuni metodi selettivi
(precipitazioni specifiche, estrazioni, uso di resine a scambio
ionico, ecc.) prima di procedere alla precipitazione del composto
principale.
Un’altra causa di contaminazione è dovuta alla postprecipitazione. Ciò si verifica quando i limiti di solubilità, abbia
una tendenza più o meno spiccata a dare soluzioni soprasature.
In tale caso la separazione del contaminante può verificarsi con
un sensibile ritardo rispetto alla precipitazione del prodotto
principale. Un esempio noto è rappresentato dagli ossalati di
calcio e di magnesio.
Entrambi i sali sono insolubili, ma, mentre l’ossalato di
magnesio può dare soluzioni meta-stabili fortemente
soprasature, l’ossalato di calcio, superati i limiti di solubilità,
precipita rapidamente. In presenza dei due metalli è possibile
quindi ottenere un precipitato di ossalato di calcio relativamente
puro, lavorando rapidamente, mentre se si lascia a sé il
precipitato, in contatto con la soluzione madre, soprasatura di
MgC2O4, si può constatare un graduale inquinamento dovuto
alla successiva cristallizzazione del sale di Mg sulla superficie
delle CaC2O4.
174
Capitolo VIII
b
La solubilità dei precipitati
Prodotto di solubilità
In una soluzione satura di un elettrolita forte, in
presenza di corpo di fondo, si instaura, direttamente o
indirettamente, un equilibrio fra l’elettrolita solido, M+A-, e gli
ioni che da esso si originano, M+ e A-:
M+A- ↔ M+ + A-
(3)
Poiché, l’attività del sale solido alla pressione atmosferica e a
temperatura costante è assunta unitaria per convenzione (stato
standard), la costante di equilibrio viene espressa da:
Ks = aM+ aA-
(4)
dove aM+ e aA- indicano rispettivamente le attività del catione e
dell’anione nella soluzione satura del sale. La relazione (4)
esprime il principio del prodotto di solubilità. La costante Ks
assume il nome di prodotto di solubilità del sale M+A-. Con
termine più appropriato si dovrebbe chiamare prodotto di
attività, dato che il concetto di solubilità è sempre associato al
concetto di concentrazione, mentre la (4) conserva un preciso
significato solo quando viene espressa in termini di attività.
La relazione (4) può essere espressa anche in funzione
della concentrazione di ciascuno ione (ai = fi ci) per cui risulta:
Ks= [M+] [A-] f+ f- = f± [M+] [A-]
(5)
dove f± è il coefficiente di attività medio. Se la soluzione satura
è molto diluita e a forza ionica sufficientemente bassa, si può
assumere, f± = 1, e la relazione (5) diventa:
Ks = [M+] [A-]
(6)
Equilibri di precipitazione
175
Se la concentrazione molare della soluzione satura del sale è C,
la concentrazione di M+ e di A- è rispettivamente S e S
(solubilità). Sostituendo nella (6) si ricava:
⇒ S (moli/litro) = K s
Ks = S × S
che consente, facilmente, di calcolare la solubilità del sale in
acqua pura quando sia noto il suo prodotto di solubilità, Ks.
La concentrazione molare nella (6) rappresenta la
concentrazione totale di quella specie in soluzione ed essa può
provenire, anche, dalla presenza di altri sali presenti nella
soluzione e non solo dal sale M+A-.
Se alla soluzione satura si aggiunge un eccesso di M+, in
modo che sia CM la concentrazione dovuta all’aggiunta, la
solubilità (S) del sale si calcola con l’equazione:
Ks = (CM + S) (S)
(7)
Se il precipitato ha una solubilità molto bassa si può spesso
trascurare la concentrazione di M+ proveniente dal solido
rispetto a quella introdotta con l’aggiunta e la relazione(7) si
semplifica in:
Ks = CM S
(8)
da cui si ricava la solubilità (S):
Ks
S = -----CM
Ovviamente le stesse considerazioni valgono in eccesso di
anioni.
La relazione (7) interpreta immediatamente il fenomeno,
spesso utilizzato in chimica analitica, della diminuzione della
solubilità di un precipitato per aggiunta di sali aventi specie
ioniche comuni col precipitato (effetto dello ione a comune).
176
b
Capitolo VIII
Effetto dell’acidità sulla solubilità
Se il precipitato è un sale di un acido debole (solfuro,
ossalato, acetato, ecc..), la solubilità dipende dall’acidità della
soluzione. Consideriamo il caso generico del sale MA di un
acido monoprotico. In soluzione si hanno contemporaneamente
gli equilibri:
MA(s) ↔ M+ + A-
(9)
e
A- + H+ ↔ HA
(10)
Un aumento di acidità provoca lo spostamento verso destra della
reazione (10), con sottrazione della specie A- e quindi uno
spostamento verso destra anche della (9) con conseguente
aumento di solubilità di MA.
Ha interesse pratico poter calcolare la solubilità di
precipitati sospesi in soluzioni con un dato valore di pH. Gli
equilibri (9) e (10) sono definiti rispettivamente dalle costanti:
Ks = [M+] [A-]
(11)
[H+] [A-]
Ka = ------------[HA]
(12)
La concentrazione totale di A- deriva dalla parte di
precipitato passata in soluzione e si ha quindi:
CA = [A-] + [HA] = S
(13)
La frazione di A- presente come anione, calcolata in
funzione di H+ e di Ka è data dalla nota funzione di
distribuzione:
Equilibri di precipitazione
[A-]
[A-]
Ka
α = ------- = ---------------- = -------------[A-] + [HA]
[H+] + Ka
CA
177
(14)
Si ricava quindi:
Ka
[A ] = α CA = ------------- S
[H+] + Ka
-
(15)
Essendo inoltre:
[M+] = S
(16)
sostituendo la (15) e la (16) nella (11) si ricava:
Ka
Ks = S2 ------------[H+] + Ka
(17)
da cui si ha che:
Ks
[H+] + Ka
S = Ks --------------- = -----α
Ka
2
(18)
La relazione (18) permette di calcolare la solubilità di
un sale, proveniente da un acido debole monoprotico, noto il
valore del prodotto di solubilità, la costante di dissociazione
dell’acido e la concentrazione degli ioni idrogeno, in assenza di
ioni A- e M+, che non derivano dal precipitato. Appare
chiaramente dall’equazione che per [H+] << Ka, la solubilità
diventa indipendente da [H+]. L’andamento risulta
particolarmente evidente dal diagramma illustrato in Fig. VIII-5,
in cui si riporta ( – log S) in funzione del pH.
La generalizzazione al caso di soluzioni che contengono
178
Capitolo VIII
b
un eccesso di M+ o A- è immediata: se CM è l’eccesso di M+,
risulta:
[M+] = S + CM
(19)
e restando inalterata la relazione(15) si ottiene, sostituendo in
(11):
Ka
Ks = (S +CM)S -------------- = (S+CM) S α
[H+] + Ka
(20)
0
Log S
-1
-2
2
4
6
8
pH
Figura VIII-5. Solubilità dell’acetato di argento in
funzione del pH.
Analogamente, se la soluzione satura del precipitato contiene un
eccesso di anione, CA-, si ha:
Equilibri di precipitazione
[A-] = α (S + CA-)
179
(21)
e quindi:
(22)
Ks = S (S + CA-) α
Se il precipitato anziché del tipo mono-monovalente fosse di
tipo MAn, le espressioni assumerebbero le forme più generali:
Ks = [M+n] [A-]n
(23)
ed analogamente:
Ks = [M+n] αn CA-n
(24)
Se S è la concentrazione molare di MAn in soluzione, si ricava:
[M+n] = S
e
[A-] = n S
e quindi:
Ks = S (n S)n αn
(25)
Se il sale provirnr da un acido diprotico vale lo stesso
trattamento, salvo che la concentrazione dell’anione [A-2] è data
da:
[A-2] = α1 CA
(26)
e la frazione di α1 viene espressa dalla:
Ka1 Ka2
α1 = ----------------------------------[H+]2 + [H+] Ka1 + Ka1 Ka2
(27)
dove Ka1 e Ka2 sono rispettivamente la I^ e la II^ costante di
180
b
Capitolo VIII
dissociazione dell’acido.
Esempio 1. Il fluoruro di calcio ha un prodotto di solubilità
Ks=4×10-11. Calcolare la solubilità.
L’equilibrio del sale poco solubile:
CaF2(s) ↔ Ca+2 + 2 FKs = [Ca+2] [F-]2= 4×10-11
Indicando con S la solubilità in moli per litro del sale, si ha
[Ca+2] = S; e [F-] = 2S.
Sostituendo si giunge all’espressione:
S (2S)2 = 4 S3 = 4×10-11
dalla quale si ricava S = 2,2×10-4 moli per litro. Pertanto in
soluzione la concentrazione dello ione calcio è 2,2×10-4 M ,
mentre quella sello ione fluoruro è 4,4×10-4 M.
Esempio 2. Calcolare la solubilità del fluoruro di calcio in HCl
0,1 M, essendo Ks=4×10-11 e Ka=6×10-4.
Applichiamo la (25):
Ks = [Ca+2] [F-]2 = 4 10-11
Essendo
[Ca+2]= S
[F-] = 2S α
6×10-4
Ka
α = ------------= -------------- = 6×10-3
[H+] + Ka 0,1 + 6×10-4
sostituendo nella (25) si ha:
4×10-11 = S (2S)2 (6×10-3)2
S = 6,5×10-3 M
Nella soluzione la concentrazione degli ioni sarà:
e
[F-] = 8,19×10-5 M
[Ca+2] = 6,5×10-3 M
Esempio 3. Calcolare la solubilità dell’ossalato di calcio a pH=3,
sapendo che Ks=6×10-9, Ka1 =6×10-2 e Ka2=6×10-5.
La reazione di equilibrio è:
CaC2O4 ↔ Ca+2 + C2O4-2
181
Equilibri di precipitazione
Poiché sia Ca+2 che C2O4-2 provengono dalla dissoluzione del
sale poco solubile si ha:
[Ca+2] = S
[H2C2O4] + [HC2O4-] + [C2O4-2] = S
la concentrazione degli ioni ossalato sarà data da:
Ka1 Ka2
-2
[C2O4 ] = α1 S = ----------------------------------- S = 0,056 S
[H+]2+ [H+] Ka1 + Ka1 Ka2
dalla (18) si ricava:
Ks = S S α1 = S2 0,056
da cui:
2 × 10 −9
S=
= 1,89 × 10 −4 M
0 ,056
all’equilibrio le concentrazione dei due ioni saranno:
e
[C2O4-2] = 1,06 10-5 M
[Ca+2]= 1,89 10-4 M
Se l’anione del sale poco solubile subisce un processo
d’idrolisi, interviene un altro fattore di cui è necessario tener
conto nei calcoli. Il caso è frequente in quanto assai spesso i
precipitati sono sali di acidi deboli o debolissimi; tuttavia, se il
prodotto di solubilità è abbastanza piccolo, l’effetto è
trascurabile. Nell’impostazione del calcolo si deve tener conto
dei seguenti equilibri:
MA ↔ M+ + AA-+ H2O ↔ HA + OHH2O ↔ H+ + OH-
(28)
(29)
(30)
e dalla condizione di elettroneutralità:
[M+] + [H+] = [A-] + [OH-]
(31)
si ricava un sistema a quattro incognite e quattro equazioni, che
porta alla soluzione cercata. Generalmente, nel corso dei calcoli
è possibile procedere a notevoli semplificazioni, come già visto
nei paragrafi precedenti.
182
b
Capitolo VIII
Esempio 4. Calcolare la solubilità dell’acetato di argento in
acqua pura. Confrontare il risultato con quello che si ottiene
tenendo conto dell’idrolisi dello ione acetato. (Ks=4×10-3;
Ka=1,75×10-5).
L’equilibrio è:
CH3COOAg ↔ CH3COO- + Ag+
Ks = [Ag+] [CH3COO-] = 4×10-3
trascurando la reazione d’idrolisi, la solubilità risulta:
S = [Ag+] = [CH3COO-] = K s
S = 6,3×10-2 M
Il calcolo esatto della solubilità, che tiene conto dell’idrolisi,
richiede che si considerino i seguenti equilibri simultanei:
CH3COOAg ↔ CH3COO- + Ag+
Ks= [CH3COO-] [Ag+]
CH3COOH ↔ CH3COO- + H+
[CH3COO-] [H+]
Ka = ---------------------[CH3COOH]
H2O ↔ H+ + OHKw = [H+] [OH-]
È valido il bilancio di carica:
[Ag+] + [H+] = [CH3COO-] + [OH-]
e i bilanci di massa:
[Ag+] = S
[CH3COO-] + [CH3COOH] = S
Si può formare un sistema di cinque equazioni a cinque
Equilibri di precipitazione
183
incognite che permette una risoluzione rigorosa del problema.
Apportando qualche approssimazione è possibile, tuttavia,
semplificare notevolmente i calcoli. Ammettendo che si sciolga
la quantità di acetato data dall’equazione risolta in precedenza,
si calcola la basicità della soluzione che ne deriva per idrolisi.
La reazione è la seguente:
CH3COO- +H2O ↔ CH3COOH + OHLa cui costante è:
Kw
[CH3COOH] [OH-]
Kb = -------------------------- = ------ = 5,7×10-10
Ka
[CH3COO-]
posto:
[OH-] [CH3COOH] = x
e
[CH3COO-] = 6,3×10-2- x
si ricava che:
[OH-] = 6,0×10-6 M
cioè:
(pH= 8,87)
[H+] = 1,6×10-9 M
Applicando ora direttamente l’equazione (18):
S = 4 × 10
−3
1,6 × 10 −9 + 1,75 × 10 −5
= 6 ,3 × 10 −3 M
−5
1,75 × 10
si ottiene ancora S = 6,3×10-3 M.
Si conclude, pertanto, che l’idrolisi dell’anione, pur alterando
sensibilmente il pH dell’acqua, non comporta una variazione
apprezzabile di solubilità del sale poco solubile. Ciò poteva
risultare evidente dall’esame di Fig. VIII-5, che si riferisce
all’acetato di argento; poiché a pH ≥ 7 la solubilità risulta
indipendente dal pH e dato che ogni azione idrolitica sull’anione
non può che rendere basica la soluzione, non ci si poteva
attendere un effetto sulla solubilità.
184
Capitolo VIII
Effetto degli agenti complessati sulla solubilità
E’ noto che la presenza di agenti complessati in una
soluzione influenzano più o meno marcatamente la solubilità dei
precipitati. Il cloruro di argento si scioglie facilmente se si
aggiunge alla sospensione ammoniaca o tiosolfato o cianuro.
L’effetto dei legami in grado di fornire complessi solubili con il
catione del precipitato è facilmente interpretabile. Un sale poco
solubile, in una soluzione satura, partecipa all’equilibrio
MA (s) ↔ M+ + A-
(1a)
Può subire un incremento di solubilità in seguito ad un qualsiasi
processo in grado di abbassare la concentrazione di A- o di M+.
Un qualsiasi legante, X, che sia in grado di dare complessi MX+,
MX2+……., MXn+, sottraendo la specie M+, può spostare
l’equilibrio (1a), più o meno fortemente, a seconda del prodotto
di solubilità di MA e della stabilità dei complessi MXi+.
Il calcolo della solubilità di MA in funzione dei complessi di X
e delle varie costanti interessate, in linea di principio, è
semplice; essendo valida l’equazione del prodotto di solubilità
Ks = [M+] [A-]
si tratta di calcolare la concentrazione di M+ nelle condizioni
imposte dal complessate. Gli elementi di calcolo sono ricavabili
dal capitolo X. La concentrazione di M+ presente in soluzione
sotto qualsiasi forma è:
CM+=[M+]+[MX+]+[MX2+]+··[MXn+]=[M+](1+α1[X]+α2[X]2+
···αn[X]n)
la frazione di M+ libero, sul totale è:
1
[M+]
------- = ------------------------------------- = αo
1+ α1 [X] + α2 [X]2 + ····αn[X]n
C M+
(2a)
Equilibri di precipitazione
185
da cui
[M+] = αo CM+
(3a)
Sostituendo nella relazione del prodotto di solubilità si ottiene:
Ks = αo CM+ [A-]
(essendo S = CM+ = [A-])
Si ricava che:
S = √ Ks/αo
Applicando alla (3a) il simbolismo introdotto nel capitolo X e
considerando il complesso di una forma di reazione parassita
rispetto all’equilibrio di solubilità di MA, si può esprimere il
prodotto di solubilità come prodotto di solubilità condizionale,
introducendo i coefficienti di concentrazione apparente (αM+):
K’s = [M+]’ [L]
dove
[M+]’ = [M+] αM+= CM+
e
α M+ = 1 + α1 [X] + α2[X]2 + ···αn [X]n
(4a)
la grandezza
K’s = [M+] [L] αM+ = K’s αM+
è il prodotto di solubilità condizionale.
Per confronto della (4a) con la (2a) risulta che il
coefficiente di concentrazione apparente, αM+, è sempre
maggiore di 1, per concentrazione non nulla di legante, e tanto
più quanto più stabili sono i complessi MXi+, risulterà in ogni
caso:
K’s > Ks
Succede, qualche volta, che un metallo che forma un precipitato
con un dato anione, sia in grado di formare anche complessi
solubili con lo stesso anione, se è presente in eccesso nella
186
b
Capitolo VIII
soluzione. E’ il caso degli cationi Ag+, Pb+2, Hg+2 che per
aggiunta di I- precipitano come ioduri, ma si ridisciolgono in un
eccesso di reattivo (I-).
Consideriamo il caso generico di un precipitato MA in grado di
formare con un eccesso di ioni A- una serie di complessi solubili
MAì.
Si ha in primo luogo la reazione di precipitazione:
1
1
+
K = ------------- = ------M + A ↔ MA (s)
[M+] [A-]
Ks
La soluzione satura contiene la specie indissociata, MA, ad una
concentrazione costante, So, che si può chiamare solubilità
intrinseca:
(5a)
[MA] = So
Nella formazione della serie di complessi solubili si deve
prendere in considerazione anche il primo complesso MA,
determinato dalla costante di formazione K1.
(soluzione)
M+ + A- ↔ [MA]
[MA]
So
(5b)
K1 = ------------ = --------+
[M ] [A ]
Ks
Gli equilibri, successivi, sono definiti dalle costanti di
formazione e sono dati da:
MA + A- ↔ MA2MA2- + A- ↔ MA3-2
……………….....
MAn-1 + A- ↔ MAn -(n-1)
K2
K3
…….
Kn
La concentrazione del metallo in soluzione, cioè la solubilità del
precipitato, è data da:
S = [M+] + [MA] + [MA2-] + ····[MAn-(n-1)]
(6a)
Equilibri di precipitazione
187
Utilizzando la (5°) e le espressioni delle costanti Ki la (6°) si può
scrivere come:
Ks
S= -------- + So+ So K2[A-]+SoK3K2[A-]2 + ··SoK2K3 ··Kn [A-]n-1
[A-]
e, dalla relazione (5b), introducendo i simboli delle costanti
globali:
Ks
S = ------- + Ks α1 [A-] + Ks α2 [A-]2 + Ks αn [A-]n-1
[A-]
si ricava infine:
(7a)
S = Ks ( 1/[A-] + α1 + α2 [A-] + ····αn [A-]n-1)
La solubilità espresso dalla (7a) presenta un valore minimo per
una determinata concentrazione di A-, determinabile risolvendo
l’equazione:
dS
--------- = 0
d [A-]
derivando la (7a) rispetto alla [A-] si ha:
(8a)
dS/d[A-]= - Ks/[A-]2+α2Ks+½α3Ks[A-]+1/(n-1)Ksαn[A-]n-1
nel caso particolare che non si formino complessi successivi a
MA2- la (7a) si riduce a:
S = Ks (1/[A-] + α1 + α2 [A-]2)
cioè, per [A-] sufficientemente elevato, la solubilità aumenta
linearmente con [A-]. Il minimo di solubilità si ha per il valore di
[A-] che verifica l’equazione:
Ks/[A-]2 = α2 Ks
da cui
La solubilità minima risulta:
[A-] = 1/ √α2
188
b
Capitolo VIII
S = Ks (√α2 + α1 + √α2) = So + 2 Ks √α2
Precipitazione e diagrammi logaritmici
In base all’espressione del prodotto di solubilità possiamo
predire se un precipitato potrà formarsi mescolando due
soluzioni o se un precipitato potrà disciogliersi in contatto con
una data soluzione.
Essendo
Ks = [M]a [X]b
ed indicando il prodotto delle concentrazioni degli ioni, elevate
ad una potenza eguale al coefficiente stechiometrico, come
prodotto ionico, si possono verificare le seguenti possibilità:
prodotto ionico < Ks ⇒la soluzione è insatura; non si forma
alcun precipitato ovvero un precipitato può disciogliersi.
prodotto ionico > Ks ⇒la soluzione è soprasatura; si forma un
precipitato ovvero se esso è già presente non si discioglie.
prodotto ionico = Ks ⇒la soluzione è satura; nella miscela
all’equilibrio non si forma alcun precipitato, ne si discioglie un
precipitato già esistente.
Come gli equilibri acido-base, anche gli equilibri di
precipitazione possono essere rappresentati in diagrammi, col
vantaggio di avere una visione immediata e generale, anche se
approssimata, delle condizioni di equilibrio esistenti nella
soluzione.
Si illustrano alcuni esempi semplici di questi
diagrammi. Consideriamo il sale poco solubile, AgCl, per il
quale il prodotto di solubilità è:
Ks = [Ag+] [Cl-] = 10-9,5
Se indichiamo [Ag+] = CAg+ e
logaritmi si ha:
[Cl-] = CCl-, passando ai
log CCl- = - log CAg+ + log Ks = pAg - pKs
189
Equilibri di precipitazione
Da qui si nota che il logCCl- è una funzione lineare di pAg.
Riportando in un sistema di assi cartesiani pAg sulle ascisse e
log CCl- sulle ordinate (Fig. VIII-6) si osserva che il logCCl- può
essere rappresentato da una retta con coefficiente angolare +1 e
origine nel punto ottenuto da -pKs. Il diagramma si costruisce
partendo dal punto logCCl-= 0, per cui si ha: pAg = pKs e
tracciando per questo punto una retta avente coefficiente
angolare = 1, ovvero per pAg = 0 per cui si ha: logCCl- = -pKs.
5
10
Log C
Cl
-5
-10
CrO4
pAg
-
Ag
--
+
Figura VIII-6.
La retta che si ricava indica lo stato di equilibrio di
precipitazione per il sistema Cl--Ag+ e dal grafico si può ricavare
la concentrazione a cui si ha l’inizio della precipitazione del
sale. Se fissiamo una data concentrazione di Cl- in soluzione
(1×10-1 M) ed immaginiamo di aggiungere una soluzione
contenente ioni Ag+, prima che il prodotto ionico raggiunga il
190
b
Capitolo VIII
prodotto di solubilità di AgCl (10-9,5), nella soluzione non si
osserva formazione di alcun precipitato. Se supponiamo che il
volume sia costante, la concentrazione di Cl- non varia; questa
nel diagramma è rappresentata dalla retta tratteggiata parallela
all’asse delle ascisse. L’ascissa corrispondente al punto di
incontro di questa retta con la retta rappresentativa della
concentrazione di Cl- indica la concentrazione di Ag+ come –
log[Ag+] all’inizio della precipitazione. Se si considera log C =
[Ag+] si ha logC = -pAg ed in tal caso si ha una retta di
inclinazione –1, che parte dall’origine. L’intersezione di questa
retta con quella di Cl-, indica le concentrazioni all’equilibrio di
una soluzione satura di AgCl.
Consideriamo il diagramma logaritmico di precipitazione di
Ag2CrO4. Per questo sale si ha:
Ks = [Ag+]2×[CrO4-2] = 10-11,7
log[CrO4-2] = log Ks – 2log[Ag+]
log[CrO4-2] = log Ks + 2pAg
La relazione fra il log della concentrazione di CrO4-2 in funzione
di pAg è una retta di pendenza +2. Il suo punto di origine può
essere trovato tenendo presente che quando log CCrO4-2 = 0, pAg
= ½ pKs.
Da questo grafico possiamo calcolare la concentrazione
-2
di CrO4 necessaria per far precipitare Ag2CrO4 quando Ag+ è
uguale a 10-4,17 M, condizione che corrisponde al punto
equivalente della determinazione dei cloruri con il metodo di
Mohr.
Dal grafico si ricava che log [CrO4-2] = -2,2 , cioè [CrO4-2]=
1,6×10-3 M.
Consideriamo ora la precipitazione di Cl-, Br- e I- come
alogenuri di argento, se essi sono presenti in soluzione nel
rapporto molare 1000:1:1.
pKAgBr = 12,0
pKAgI = 16)
(pKAgC = 9,5
e supponiamo che sia:
[Br-]= 1×10-3 M
[I-]= 1×10-3 M.
[Cl-]= 1 M
191
Equilibri di precipitazione
Dal grafico di Fig. VIII-7 si osserva che quando comincia a
precipitare AgBr la concentrazione di I- è ≈10-7 M e quando
comincia a precipitare AgCl la concentrazione di I- è ≈ 10-6,5 M.
Quindi la separazione di I- da Cl- e Br- è possibile in una
soluzione che abbia la predetta composizione.
5
10
pAg
15
Log C
-5
Cl-10
B-
Ag
+
I-
Figura VIII-7.
Vediamo se è possibile anche la separazione di Br- da Cl-. Il
diagramma indica che AgCl comincia a precipitare quando la
concentrazione di Br- è uguale a 10-2,5 M. Cioè AgCl comincia a
precipitare addirittura prima che cominci a precipitare AgBr.
Nel rapporto di concentrazione indicato la separazione di Br- da
Cl- ovviamente non è realizzabile. L’ordine di precipitazione di
un catione o di un anione mediante un reattivo opportuno, su cui
192
b
Capitolo VIII
è basato il principio della precipitazione frazionata, utilizzato in
chimica analitica può essere desunto attraverso il calcolo,
avendo come riferimento le condizioni di precipitazione
simultanea.
Consideriamo una soluzione in cui [CrO4-2] = 1 10-4 M e [Cl-] =
1 10-7 M. Se una soluzione è satura con Ag2CrO4 e AgCl si ha:
[Ag+] [Cl-] = 10-9,52
[Ag+]2×[CrO4-2] = 10-11,7
effettuando il rapporto fra queste due espressioni ed eliminando
[Ag+] si ha:
10-11,7
[CrO4-2]
------------= ------------= 10+7,34
[Cl-]2
(10-9,52)2
poiché
10-4
[CrO4-2]
------------ = ------------ = 10+10
(10-7)2
[Cl-]2
Essendo questo rapporto maggiore di 10+7,34 il cromato di
argento precipiterà per primo.
Esercizi
1)Ioni cloruro vengono aggiunti ad una miscela che è 0,01 M in
Tl+, 0,02 M in Pb+2 e 0,03 M in Ag+. Calcolare l’ordine secondo
cui ha luogo la precipitazione di questi alogenuri e se essa
risulterà completa. (pKs= 3,46 per TlCl; pKs= 4,08 per PbCl2;
pKs= 9,50 per AgCl).
2)Calcolare la solubilità di: a) AgCl, b) AgIO3, c) Ag2CrO4 in
una soluzione 1×10-2 M di AgNO3. (I valori di pKs,
rispettivamente, sono 9,66; 7,42 e 11,35).
Equilibri di precipitazione
193
3)Calcolare la [Ag+] in una soluzione satura sia di AgBr che di
AgCNS, i cui valori di pKs sono rispettivamente 12,28 e 12,0.
4)Quale concentrazione di Na2CO3 è necessaria per convertire
1,0 millimole di BaSO4 in BaCO3, se il volume della soluzione è
di 100 mL. (Ks= 1×10-10 per BaSO4 e Ks=5,1×10-10 per BaCO3).
5)Qual è la solubilità del cianuro di argento in una soluzione il
cui pH è stato portato a 3 (HCN Ka= 4×10-10, Ks= 2×10-16 per
AgCN)?
6)Quale valore di pH si deve ottenere perché si abbia una
soluzione di Acetato di Argento 1M (Ks= 2,3×10-3 per
CH3COOAg e Ka= 1,75×10-5 per CH3COOH)?
7)Una soluzione è satura di Ca(OH)2; un campione di 50 mL
viene prelevato e si trova che esso richiede per la titolazione 8,2
mL di HCl 0,14 M. Calcolare il prodotto di solubilità di
Ca(OH)2.
8)Calcolare la solubilità di AgCl in HNO3 0,1 M (Ks= 1×10-10).
9)Calcolare la solubilità di MnS in acqua. (Ks= 1×10-11 per MnS,
Ka1= 1×10-7 e Ka2= 1,3×10-13 per H2S).
10)Calcolare la solubilità di Ca3(PO4)2 in una soluzione il cui
pH è 5. (pKs= 26,66, pKa1= 2.01, pKa2= 6,93 e pKa3= 11,99).
11)Calcolare la concentrazione di ioni alluminio in equilibrio
con l’idrossido di alluminio se il pH della soluzione è 6. (Ks=
1,4×10-34 per Al(OH)3).
12)Una soluzione è 0,05 M in F- e 0,05 M in CO3-2; ad essa
viene aggiunta una soluzione di cloruro di calcio. Calcolare:
a)quale dei due anioni precipita per primo, b) che frazione di
anione è precipitata quando incomincia a precipitare il secondo.
(solubilità: CaF2 = 0,0163 g/L e CaCO3 = 0,011 g/L).
13)Calcolare la concentrazione di tutte le specie ioniche e
molecolari, presenti in una soluzione che è satura con Pb(OH)2.
La costante di formazione di Pb(OH)+ è 10 7,51 ed il pKs= 14,4.
CAPITOLO IX
REAZIONI DI OSSIDO-RIDUZIONE
Reazioni di ossido-riduzione sono quelle in cui si ha una
variazione del numero di ossidazione di uno o più elementi delle
sostanze che partecipano ad una reazione. Le reazioni di questo
genere si possono considerare come interazioni che si
stabiliscono fra un agente ossidante, il quale acquista elettroni e
si riduce,ed un agente riducente, che perde elettroni e si ossida.
Oss1 + ne ⇒ Rid1
Fe+3 + e ⇒ Fe+2
Rid2 ⇒ Oss2 + ne
Zn(s) ⇒ Zn+2 + 2e
caso generale
caso specifico
caso generale
caso specifico
Il sistema ossidante e riducente sono due semi-reazioni
ed ognuna di queste non rappresenta uno stato di equilibrio
poiché gli elettroni liberi non esistono in soluzione. Una
reazione di ossido-riduzione o redox risulta dalla somma delle
due semireazioni:
⇒ Rid1
Oss1 + ne
Rid2 ⇒ Oss2 + ne
----------------------------------Oss1 + Rid2 ⇒ Rid1 + Oss2
Poiché gli elettroni liberi in soluzione non possono
esistere, il numero di elettroni ceduti deve essere uguale al
numero degli elettroni acquistati e cioè le due semicoppie
debbono essere bilanciate. Per quanto concerne l’esempio
specifico la reazione della semicoppia (Fe+3-Fe+2) deve essere
moltiplicata per 2 in moda da bilanciare il numero di elettroni
ceduti dall’altra semicoppia,
195
196
Capitolo IX
2Fe+3 + 2e ⇒ 2 Fe+2
Zn(s) ⇒ Zn+2 + 2e
------------------------------2Fe+3 + Zn (s) ⇒ 2Fe+2 + Zn+2
Una reazione di ossido-riduzione consiste in un
trasferimento di elettroni da una forma chimica ad un'altra,
pertanto, in virtù dello scambio di elettroni la reazione può
essere utilizzata per compiere un lavoro elettrico. Il sistema può
realizzarsi separando le due semicoppie, assicurandone
contestualmente il contatto elettrico e permettendo agli elettroni
di fluire lungo il circuito esterno, realizzando quindi un
elemento galvanico o pila. La forza elettromotrice (f.e.m.), di
questo elemento, costituisce una misura della tendenza a
compiersi della reazione redox; e generalmente proprio per
questo un equilibrio ossido-riduttivo viene caratterizzato dal
valore della f.e.m. più che dalla costante di equilibrio, per quanto
questi valori siano ricavabili l’uno dall’altro.
La reazione relativa ad una semicoppia redox è simile ad
una coppia acido-base, secondo Broensted:
B+
p+
Base
protone
Coppia coniugata
Oss
+
ne
BH
Acido
(B-/BH)
Rid
(Oss/Rid)
Rispetto, però, alle reazioni di protolisi che si realizzano
in stadi successivi, cioè di un protone alla volta, in molte
reazioni redox si ha il trasferimento simultaneo di diversi
elettroni.
Equazione di Nernst
Se un elemento galvanico opera in condizioni di
reversibilità, se il sistema è lontano dallo stato di equilibrio di
un infinitesimo e se ad esempio, come nel caso della reazione
O
Reazioni di ossido-riduzione
197
sopra indicata, si opera con un volume di soluzione così grande
che la produzione di ½ mole di Zn+2, di una mole di Fe+2 e la
scomparsa di una mole di Fe+3 provoca una variazione delle
concentrazioni del sistema solo di una quantità infinitesima, il
lavoro elettrico dell’elemento galvanico così schematizzato
Zn/ [Zn+2] // [Fe+3] = [Fe+2] / Pt
è dato da
lavoro elettrico = nFE
in cui n è il numero di elettroni trasferiti fra gli elettrodi, F è il
Faraday (96500 coulomb) ed E rappresenta la f.e.m.
dell’elemento galvanico.
Poiché il lavoro elettrico è uguale al lavoro utile, che a
sua volta è uguale alla variazione di energia libera si ha
∆G = - nFE
Per una variazione di energia libera standard
∆G° = - nFE°
la quantità di energia libera di una reazione
(1)
aA+bBcC+dD
è in relazione alle attività delle specie reagenti
aCc aDd
∆G = ∆G° + RT ln -------aAa aBb
per cui sostituendo si ha
aCc aDd
- nFE = - nFE° + RT ln -----------aAa aBb
(2)
Questa equazione consente di calcolare l’influenza delle attività
delle specie chimiche, che prendono parte alla reazione, sulla
f.e.m. di una pila.
198
Capitolo IX
Se le attività dei vari componenti sono unitarie e cioè allo
stato standard, il rapporto delle attività è 1, e il termine
logaritmico si annulla, quindi, la f.e.m. della pila è uguale ad E°.
Eguagliando la relazione (1) e la (2) si ha:
∆G° = - nFE° = - RT ln Kc
da cui
nFE°
ln Kc = -------RT
Potenziale Elettrodico
Il potenziale elettrodico, di una coppia redox, viene
definito come la f.e.m. di una pila costituita da un elettrodo
normale ad idrogeno e l’elettrodo in esame, scritto nel modo
seguente
Pt,H2| H+ (a=1) ||Oss1,Rid1|Pt
(*)
Secondo questo schema una linea verticale rappresenta la
separazione fra due fasi a cui corrisponde una differenza di
potenziale e di cui si tiene conto. Una doppia linea verticale
rappresenta un contatto o una giunzione, la cui differenza di
potenziale (potenziale di contatto o di giunzione), quando si usa
questo segno non viene considerata.
L’elemento galvanico come sopra schematizzato
corrisponde alle reazioni in cui l’idrogeno (gas) agisce da
riducente e cioè
H2 → 2H+ + 2e
Oss1 + e → Rid1
------------------------------
H2 + 2 Oss1 → 2 H+ + 2 Rid1
Se una pila viene schematizzata in questo modo
O
Reazioni di ossido-riduzione
199
Pt | Rid1, Oss1 || H+ (a=1) | H2,Pt
L’equazione redox corrispondente è l’inverso di quella
riportata sopra. La f.e.m. di questa pila non è il potenziale
elettrodico della semicoppia (Oss1+ ne → Rid1).
Se si considera una generica reazione
n2 Rid1 + n1 Oss2 n1 Rid2 + n2 Oss1
l’elemento galvanico corrispondente è
Pt | Rid1,Oss1 || Oss2,Rid2 | Pt
E (f.e.m.) = E destra – E sinistra = E2 - E1
Se si ottiene un valore positivo di f.e.m., la reazione ha
luogo spontaneamente così come è scritta in quanto ∆G è
negativo.
La relazione fra il potenziale elettrodico e l’equazione di
Nernst può ricavarsi considerando la f.e.m. dell’elemento
galvanico (*), che è data da
E = E1 - EH
Poiché per definizione EH = 0,0 in base all’equazione di
Nernst (2) si ha considerando (**)
RT
a2H+ aRid1
E (f.e.m.) = E°1 - ------- ln -----------nF
aOss1 a2H2
questa equazione, essendo l’elettrodo normale ad idrogeno (aH2
= aH+= 1), diventa
aRid1
RT
E = E° - ------ ln ---------nF
aOss1
200
Capitolo IX
se le attività del sistema Rid ed Oss sono unitari, si hanno i
valori di E°.
I potenziali normali (E°) risultano molto utili, anche, ai
fine pratici perché ci permettono di scegliere sistemi ossidanti o
riducenti di forza opportuna. Dall’esame di questi valori (vedi
appendice) si ricava che per coppie redox, che hanno valori
positivi, la forma ossidata è un ossidante più energico dello ione
idrogeno; gli agenti riducenti più efficaci sono costituiti dalla
forma ridotta delle semicoppie i cui valori di E° sono negativi.
Si tenga presente che non tutti i valori di E° sono
determinati da misure di elementi galvanici. Se infatti la velocità
con cui si raggiunge l’equilibrio è molto lenta, se la forma
ossidata o ridotta prendono parte a reazioni collaterali o se si
tratta di comportamenti molto reattivi, i valori di E° sono
ricavati da misure termodinamiche.
Gli elettrodi che si impiegano per la determinazione del
potenziale di una semicoppia redox sono di vario tipo. Essi
possono essere ricondotti alle seguenti classi:
- Elettrodo metallo – ione metallico. Il semielemento è costituito
dal metallo immerso in una soluzione dei suoi ioni. È questo il
caso dell’elettrodo rame-ioni rame
Cu+2 +2e Cu(s)
La fase solida è indicata con (s) e l’attività dello ione
rame con aCu+2. Per l’equazione di Nernst il potenziale di questo
elettrodo è
RT
aC
E = E°Cu+2/Cu - ----- ln ------2F
aCu+2
poiché l’attività del rame metallico è unitaria si ha
RT
1
E = E° Cu+2/Cu - ------ ln -----2F
aCu+2
O
Reazioni di ossido-riduzione
201
e si ottiene, a 25°C, che
E = E°Cu+2/Cu + 0,0295 log a Cu+2
- Elettrodo di non metallo, gas. Un gas a pressione determinata
gorgoglia intorno ad un filo o una lamina di platino, immersa in
una soluzione della forma ridotta. Il platino elettrodico è stato
preventivamente platinato mediante deposizione catodica di
platino perché l’equilibrio si raggiunga più facilmente. Esempio
di questo tipo di elettrodo è quello ad idrogeno.
L’equazione relativa alla semicoppia
2 H+ (aH+ =1) + 2e H2 (g, PH2)
in cui PH2 indica la pressione parziale dell’idrogeno.
L’equazione di Nernst per questo elettrodo è
a H+
E = E° H+/H2 + 0,06 lg --------PH2
Se la pressione parziale dell’idrogeno è tenuta costante
ad 1 atm, l’elettrodo è reversibile alla sola attività dello ione
idrogeno.
- Elettrodo metallo-sale poco solubile. Elettrodi di questo tipo
sono reversibili agli anioni. Un elettrodo ad argento-cloruro di
argento si prepara elettrolizzando una soluzione di cloruro di
potassio fra un anodo di argento ed un catodo di platino: si
ottiene sul filo di platino un deposito di cloruro di argento.
Quando un elettrodo di questo tipo è immerso in una soluzione
di cloruro si ha il seguente equilibrio
AgCl (s) + e Ag(s) + ClApplicando l’equazione di Nernst si ha
E = E°AgCl/Ag – 0,06 lg a ClQuesto elettrodo è reversibile verso l’attività dello ione
202
Capitolo IX
cloruro che appare nell’equazione.
Elettrodo di ossido-riduzione.
Negli elettrodi sinora descritti o la forma ridotta o quella
ossidata erano un solido, un liquido o un gas. Entrambe le forme
possono però essere in soluzione ed il contatto elettrico è
assicurato mediante un filo di platino. Per esempio un elettrodo
ad ossidoriduzione per la coppia Fe+3/Fe+2 viene realizzato
disciogliendo un sale ferrico ed un sale ferroso ed immergendo
nella soluzione un filo di platino.
Il potenziale di questo elettrodo è determinato dalle
attività di Fe+3 e Fe+2
a Fe+3
E = E° Fe+3/Fe+2 + 0,06 lg ---------a Fe+2
Fattori che influenzano il potenziale elettronico
Il potenziale elettrodico di una semicoppia redox varia
con una serie di fattori, che brevemente saranno descritti.
Innanzitutto, come si ricava dall’equazione di Nernst, essa varia
con la temperatura sia il valore di E° che il coefficiente del
termine logaritmico. Il valore del potenziale elettrodico può
variare:
a) con le variazioni della concentrazione analitica delle specie
che prendono parte alle reazioni;
b) con la forza ionica della soluzione che influenza i valori dei
coefficienti di attività;
c) con il pH sia se la concentrazione idrogenionica entra
direttamente nell’equazione della semicoppia sia per reazioni di
idrolisi o di formazione di idrossido-complessi.
Se consideriamo le coppie relative ai sistemi redox, quali
MnO4 , BrO3- e NO3- rappresentate dalle seguenti equazioni
MnO4- + 8H+ + 5e Mn+2 + 4H2O
E° = 1,51 V
BrO3- + 6H+ + 5e ½ Br2 + 3H2O
E° = 1,52 V
O
203
Reazioni di ossido-riduzione
NO3- + 4H+ + 3e NO
+ 2H2O
E° = 0.95 V
Risulta, evidente, che poiché H+ compare al numeratore
nella equazione di Nernst rispettivamente alla 8a, alla 6a ed alla
4a potenza, un incremento della concentrazione idrogenionica
aumenta il valore del potenziale e la semicoppia, di
conseguenza, è più ossidante, mentre una diminuzione della
concentrazione idrogenionica la rende meno ossidante. Così, ad
esempio, lo ione nitrato ossida il rame in ambiente acido ma non
in ambiente neutro e lo ione MnO4- e BrO3- esercitano la loro
azione ossidante tanto più efficacemente quanto più la soluzione
è acida;
d) per la presenza di agenti complessanti diversi dallo ione
ossidrile che influenzano le concentrazioni della forma ossidata
o ridotta di uno ione metallico.
Se, inoltre, si modifica la natura del solvente, ad esempio
per aggiunta di alcool ad una soluzione acquosa, varia sia il
valore di E° sia l’attività delle specie che prendono parte alla
coppia redox venendo a variare i coefficienti di attività e l’entità
delle reazioni di complessazione.
Potenziale Formale
I potenziali normali hanno, nella maggioranza dei casi,
un valore ideale: essi si riferiscono infatti ad un metallo o alle
specie che prendono parte alla reazione elettrodica allo stato
standard e non tengono conto, pertanto, ne della eventuale
formazione di complessi ne delle variazioni dei coefficienti di
attività. È entrato nell’uso pratico ed in particolare a fine
analitico descrivere le semicoppie redox in funzione del
potenziale formale; con tale termine si indica il potenziale
ottenuto sperimentalmente per un sistema che contiene la forma
ossidata e ridotta in concentrazione 1F (peso molecolareformula) in condizioni definite di acidità e di forza ionica.
Esaminiamo le variazioni del potenziale elettrodico con
il pH, che possono facilmente ricavarsi dall’esame di un
204
Capitolo IX
diagramma potenziale – pH. Questi diagrammi forniscono un
quadro generale del comportamento di un certo sistema in
funzione degli equilibri che possono aver luogo variando la
concentrazione idrogenionica ed offrono nello stesso tempo una
visione completa della stabilità delle varie specie sotto cui un
sistema può presentarsi. Se consideriamo la generica reazione di
equilibrio redox:
x Oss + m H+ + n e y Rid + z H2O
si ha
RT
[Oss]x [H+]m
E = E° + ------- ln ----------------nF
[Rid]y [H2O]z
Questa equazione può essere scritta, tenendo presente
che l’attività dell’acqua può considerarsi uguale a quella
dell’acqua pura ed è perciò unitaria, separando i vari termini a
25°C, nel modo seguente:
m
0,0591
[Oss]x
E = E° + --------- lg ---------- - 0,0591 ------ pH
n
n
[Rid]y
Si deve considerare che una qualunque reazione chimica
cui corrisponde un dato potenziale può essere rappresentato
mediante una retta e si possono avere tre casi:
- lo stato di equilibrio è indipendente dal pH. La reazione
considerata è del tipo Oss + e = Rid e come indicato in Fig. IX1a, il potenziale risulta indipendente dal pH e si ha pertanto una
retta parallela all’asse delle ascisse.
- lo stato di equilibrio è indipendente dal potenziale. La reazione
considerata è del tipo pA+mH+=qB+nH2O e la relativa
rappresentazione grafica , riportata in Fig. IX-1b, è data da una
retta verticale parallela all’asse dei potenziali.
- lo stato di equilibrio dipende sia dal pH che dal potenziale. La
reazione considerata è del tipo xOss+mH++ne=yRid+zH2O. Sul
205
Reazioni di ossido-riduzione
grafico E/pH (Fig. IX-1c) il potenziale è descritto da una retta
che ha una pendenza corrispondente ad m/n in cui m è il
coefficiente stechiometrico dello ione idrogeno ed n il numero di
elettroni che prendono parte alla reazione redox.
E
E
E
a
pH
pH
pH
b
Figura IX-1.
c
Consideriamo alcuni sistemi: l’equilibrio
Fe+3 + e → Fe+2
il potenziale normale per questa semicoppia è 0,771 V. Il
potenziale elettrodico relativo a questo sistema è
E = 0,771 + 0,0591 lg [Fe+3] / [Fe+2]
ed è quindi rappresentato da un grafico del tipo di Fig. IX-1a.
Se esaminiamo la semicoppia
MnO4- + 8 H+ + 5 e → Mn+2 + 4 H2O
il cui potenziale normale è 1,516 V. Il potenziale formale è
calcolato mediante la seguente espressione:
8
0,0591
E = 1,516 - ----- pH + ----------- log [MnO4-]/[Mn+2]
5
5
E = 1,516 – 0,0944 pH + 0,0118 log [MnO4-]/[Mn+2]
ed è rappresentabile con una retta la cui inclinazione è di 0,0944
simile alla Fig. IX-1c. Se si considera una reazione che ha luogo
senza variare il numero di ossidazione come nel caso di un
idrossido ad opera di H+ è facile verificare dal valore del
prodotto di solubilità il pH a cui la dissoluzione ha inizio e sul
grafico E/pH si ha una retta come in Fig. IX-1b. Consideriamo il
grafico E/pH relativo ad un metallo che abbia un unico stato di
206
Capitolo IX
ossidazione e che dia luogo ad un idrossido poco solubile come
Cd+2; gli equilibri relativi sono
E°= -0,40 V
(1)
Cd+2 + 2e → Cd
Cd(OH)2 Cd+2 + 2OH- Ks= 10-13,5
(2)
L’equilibrio di ossido-riduzione (1) è descritto in Fig.
IX-2 dalla retta 1, parallela all’asse delle ascisse.
Se [Cd+2] = 1 M, l’inizio della precipitazione si ha
quando [OH-] =10-13,5/2 =10-6,75 e pH = 7,25. L’equilibrio di
precipitazione è rappresentato da una linea verticale, che parte
da un valore di pH pari a 7,25 (retta 2).
Il potenziale del sistema varia secondo l’equazione seguente
E’= -0,4 + 0,029 log Ks/[OH-]2= E°’ -0,059 log pH
in cui E°’, che ingloba il valore di E° e del Ks, a pH = 7,25 è
0,02 V (retta 3).
Le rette indicano i valori del potenziale formale del
sistema considerato ai differenti pH e delimitano, nello stesso
tempo, le regioni in cui predomina una specie chimica.
La linea di demarcazione fra due aree rappresenta la
variazione del potenziale della coppia costituita dalle due specie
in funzione del pH.
A titolo di esempio viene riportato in Fig. IX-3 il
diagramma relativo al potenziale formale del cloro costruito in
base ai seguenti valori
Equilibrio
Potenziale (V)
Cl2 + 2 e → 2Cl-
1,4
retta 1
HClO + H+ + e ↔ ½ Cl2 + H2O
1,6 - 0,059 pH
retta 2
HClO + H+ + 2 e ↔ Cl- + H2O
1,5 - 0,029 pH
retta 3
HClO ↔ H+ + ClO-
pK = 7,3
retta 4
ClO- + 2 H+ + 2 e ↔ Cl- + H2O
1,7 - 0,059 pH
retta 5
207
Reazioni di ossido-riduzione
O
+0.2
0
Cd++
-0.2
E•(volts)
-0.4
2
1
Cd(OH)2
3
-0,6
-0.8
-1.0
Cd
-1.2
0
2
4
6 8 10
pH
Figura IX-2.
12
14
Dal grafico si ricava che l’acido ipocloroso a pH basso
fino a pH 3,3 è un ossidante più energico del cloro; a pH > 3,3
questo si dismuta in HClO e Cl-. Si osserva, anche, che il potere
ossidante dell’acido ipocloroso è più elevato rispetto a quello
dell’ipoclorito.
Si consideri, ora, la semicoppia
H3AsO4+2H+ +2e ↔ H3AsO3 + H2O: E°=0,57V per [H+] = 1 M
Il potenziale di questa semicoppia, come si osserva in
Fig. IX-4, è dato dalla retta (E = 0,57-0,059 pH).
Se a questo sistema si unisce la semicoppia, I°/I-, il cui
potenziale normale è 0,536 e che nell’intervallo di pH, in cui le
due forme sono stabili, è indipendente dal pH si può prevedere
l’andamento della reazione
H3AsO4 + 2 H+ + 2I- ↔ H3AsO3 + I2 + H2O
208
Capitolo IX
1.7
4
1.6
HClO
2
-
1.5
E (volts) Cl2
1.4
1
1.3
ClO
•
3
1.2
Cl
1.1
-
5
1.0
0
2
4
6 8 10 12 14
pH
Figura IX-3.
In soluzione fortemente acida, l’H3AsO4 ossida lo
ioduro, mentre in soluzione neutra o leggermente alcalina
l’arsenito è ossidato dallo iodio.
0.8
E
(volt)
0.6
° -
I /I
H3AsO4/ H3AsO3
0.4
0.2
0
0
2
4
6
8
10
pH
O
Reazioni di ossido-riduzione
209
Figura IX-4
Reazioni di disproporzione
Con il termine di reazione di disproporzione si intende
quel processo in cui molecole o ioni uguali interagiscono fra
loro per dare luogo a prodotti che differiscono sia per l’entità
della carica o per il relativo peso delle specie ioniche o
molecolari. Appartengono alle reazioni del primo tipo le
reazioni di trasferimento di elettroni come ad esempio la
disproporzione dello ione Cu+,
2 Cu+ ↔ Cu + Cu+2
Sono reazioni del secondo tipo le reazioni di
trasferimento di atomi come la disproporzione dello ione
ipoclorito,
3 ClO- ↔ ClO3- + 2 ClLe reazioni di trasferimento di elettroni sono in generale
rapide, poiché richiedono piccoli valori di energia di attivazione;
sono di solito lente le reazioni di trasferimento di atomi, che
comportano la rottura di un legame covalente e che richiede una
elevata energia di attivazione. Ne consegue che una reazione di
disproporzione cationica raggiunge rapidamente l’equilibrio,
mentre la disproporzione dell’acido solforoso ad acido solforico
e zolfo può richiedere un periodo di tempo molto lungo.
Esaminiamo i criteri che ci permettono di stabilire se una
reazione di disproporzione può aver luogo. Si può calcolare la
costante di equilibrio dell’equazione relativa e da questo valore
si possono trarre delle utili informazioni.
Indichiamo con 01 e 02 le cariche di due ioni, che
derivano da un metallo M, e le concentrazioni in soluzione siano
C1 e C2. La reazione di disproporzione può essere rappresentata
da
(1)
n2 M01 ↔ n1 M02 + (n2 – n1) M
Questa può essere considerata come la differenza delle
due semicoppie
n2 M01 + n2 01 e ↔ n2 M
(2)
210
Capitolo IX
n1 M02 + n1 02 e ↔ n1 M
(3)
moltiplicando rispettivamente per n2 ed n1 in quanto per il
bilancio delle cariche n1 02 = n2 01.
La variazione di energia libera, ∆G, relativa alla reazione
di disproporzione è la differenza fra quella della (2) ∆G2 e quella
della (1) ∆G1 per le quali i valori dei potenziali normali sono
rispettivamente E°2 ed E°1.
∆G = - RT ln K = ∆G2 - ∆G1 = - (n2 01 E°1 F – n1 02 E°2 F) =
n2 01 F ( E°1 – E°2)
si ha di conseguenza
K = 10
n 1× 01 × F ( E 10 − E 20 )
2 ,3 × RT
Scrivendo la costante di equilibrio relativa alla (1) in
funzione delle concentrazioni e considerandola a temperatura
ambiente si ha (1/0,059 = 17)
C2 n1
K = ---------- = 10 17 n1 n2 (E°1 – E°2)
C1 n2
Consideriamo la reazione di disproporzione del rame
2 Cu+ ↔ Cu + Cu+2
i valori delle semicoppie sono
Cu+ + e ↔ Cu
Cu+2 +2 e ↔ Cu
[Cu+2]
K = ------------= 10 17×2 (0,52-0,34) = 10 6,1
[Cu+]2
E°1= 0,52
E°2= 0,34
Reazioni di ossido-riduzione
O
211
L’elevato valore della costante di equilibrio indica che lo
ione rameoso si disproporziona e a causa di questa reazione lo
stato di ossidazione (I) non è stabile.
Esaminiamo ora la reazione di disproporzione seguente
2 Pb+2 ↔ Pb + Pb+4
dalla tabella dei potenziali redox ricaviamo
E° = - 0,12
Pb+2 +2 e ↔ Pb
+4
+2
Pb + 2 e ↔ Pb
E°= 1,7
Si calcola il potenziale normale corrispondente alla semicoppia
che risulta
E°= 0,79
Pb+4 + 2 e ↔ Pb+2
Il calcolo della costante di equilibrio fornisce il valore di
[Pb+4]
K = --------- = 10 17×4 (-0,12-0,79) = 10 -61,9
[Pb+2]2
che indica di conseguenza che questa reazione non avrà luogo.
Nel caso di una reazione di trasferimento di atomi è più
conveniente considerare le variazioni di energia libera in calorie
(1 volt = 23050 cal). Se la somma delle energie libere dei
composti formati è maggiore di quella delle specie reagenti la
reazione avrà luogo.
Si consideri la reazione di disproporzione fra ioni
ipoclorito (-6,5 Kcal/mole) in ioni clorato (- 0,62 Kcal/mole) e
ioni cloruro (- 31,3 Kcal/mole).
3ClO3×(-6,5)
-19,5
↔
ClO3- 0,62
+
2 Cl-31,3×2
- 63,22
∆G = - 43,7
Questo valore indica che la reazione procede da sinistra a destra.
Potenziali di ossido-riduzione e solubilità
Se uno ione che prende parte ad un equilibrio di ossidoriduzione può reagire con altro ione che forma con il primo un
212
Capitolo IX
composto poco solubile il potenziale redox può essere
sensibilmente modificato. Può risultarne che possono aver luogo
reazioni non prevedibili in base ai valori di potenziale normali.
Si consideri la reazione fra argento e iodio. I valori di
potenziale normali delle due semicoppie sono:
E° = 0,799 V
Ag+ + e ↔ Ag
E° = 0,535 V
I2 + 2e ↔ 2 I
Questi valori potrebbero far ritenere che lo iodio non sia
in grado da ossidare l’argento, mentre invece questa reazione
avviene facilmente in quanto ioni argento e ioduro danno luogo
ad un precipitato molto poco solubile (Ks= 10-16).
Il potenziale della semicoppia Ag+/Ag in soluzione [I-] =
0,1 M e facilmente calcolabile
E = 0,799 + 0,059 log Ks/0,1 = -0,094 V
Esso risulta talmente abbassato che l’argento elementare
in soluzione di alogenuro può essere impiegato come riduttore
solido.
Come indicato in precedenza è possibile ricavare i valori
dei potenziali di semicoppie quali
E° = - 0,152 V
AgI (s) + e ↔ Ag + IE° = 0,137 V
CuCl (s) + e ↔ Cu + Cl
ecc.
L’influenza della formazione di prodotti insolubili su di
un potenziale redox può desumersi considerando il potenziale
della semicoppia Fe+3/Fe+2 in soluzione alcalina, ad es. in NaOH
0,01 M. Entrambi gli ioni formano idrossidi, i cui pKs sono
rispettivamente 37,2 per Fe(OH)3 e 14,7 per Fe(OH)2. Il
potenziale della semicoppia per [OH-]= 1×10-2 M è pertanto
E =0,771 + 0,059 log 10-31,2/10-10,7= - 0,441 V
relativo all’equilibrio
Fe(OH)3 + e ↔ Fe(OH)2 + OHPotenziale di ossido-riduzione e formazione di complessi
Analogamente a quanto esposto nel paragrafo precedente
O
Reazioni di ossido-riduzione
213
il valore del potenziale redox di una semicoppia può essere
modificato se la specie all’equilibrio entra nella formazione di
un complesso. Una variazione del potenziale porta ad una
variazione nella stabilità e nella reattività delle diverse specie.
Ne consegue che una reazione redox può essere completamente
mascherata.
Se un acquo-gruppo legato ad uno ione metallico è
sostituito da molecole neutre il potenziale si sposta verso valori
più negativi e cioè la forma ossidante è meno attiva; un effetto
simile ma ancora più forte si ha se la sostituzione avviene ad
opera di un legando con carica negativa.
Si consideri ad esempio la reazione
Fe+3 + I- ↔ Fe+2 + ½ I2 (s)
dai valori dei potenziali
EI2/I-= 0,54
EFe+3/Fe+2= 0,77
+3
si desume che lo ione Fe ossida lo ioduro a iodio.
Se si aggiunge un legando come il fluoruro o l’EDTA la
colorazione dello iodio scompare in quanto la semicoppia
Fe+3/Fe+2 diviene riducente rispetto a quella dello iodio-ioduro
(0,12 V con EDTA).
Quando, ad esempio, si titola il Fe (II) con un agente
ossidante, la reazione è favorita dall’aggiunta di acido fosforico
e di altri leganti, che formano complessi con Fe+3 più stabili di
quelli formati dallo ione Fe+2. Il calcolo del potenziale redox è
notevolmente semplificato introducendo dei coefficienti di
correzione α. Il potenziale di un sistema complesso contenente
Fe (III) Ln e Fe(II)Ln è dato da
[Fe(III)t]
RT
αFe(II)
E = E° + ------ ln ------------ --------------[Fe(II)t]
nF
αFe(III)
in cui Fe(III)t e Fe(II)t sono le concentrazioni totali di Fe(III) e
Fe(II). Se il legante è in eccesso e la formazione del complesso
praticamente completa si ha che
α Fe(II)/αFe(III) = Kinst×Fe(III)L/Kinst×Fe(II)L
214
Capitolo IX
Includendo i coefficienti α, costanti per una data
concentrazione di legante, nella costante, si ottiene
RT
[Fe(III)t]
E = E°’ + ------- ln ----------nF
[Fe(II)t]
in cui E°’ è il potenziale formale.
Calcolo del Potenziale di una semicoppia dal potenziale di altre
semicoppie
Nella tabella dei potenziali di ossido-riduzione viene di
solito riportato solo un numero limitato di semicoppie; il calcolo
di qualunque semicoppia, se sono noti i valori di altre
semicoppie, relative alle specie che prendono parte alla reazione
in esame, può essere eseguito tenendo conto che:
a) il potenziale di una reazione è una misura del lavoro per unità
di carica e di conseguenza l’energia totale in elettrovolt è data
dal prodotto “ Volt × numero di elettroni”;
b) in una serie di reazioni la variazione finale di energia è data
dalla somma algebrica delle variazioni di energia relative ad
ogni reazione;
c) l’espulsione di elettroni è un processo che richiede energia.
Di conseguenza per il calcolo del potenziale di una
semicoppia si combinano fra loro le semicoppie, di cui sono noti
i valori dei potenziali, in modo che la loro somma o differenza
dia la semicoppia in questione e si procede quindi al calcolo
tenendo conto di quanto è stato sopraindicato. Supponiamo di
dover calcolare il potenziale della semicoppia
(1)
Tl (s) → Tl+3 + 3 e
Noti i valori delle semicoppie
E° = 0,34
(2)
Tl (s) → Tl+ + e
+
+3
Tl → Tl + 2 e E° = - 1,25
(3)
O
Reazioni di ossido-riduzione
215
La semicoppia (1) può considerarsi come derivata dalla
somma algebrica della (2) e dalla (3). L’energia corrispondente
a queste semicoppie è :
0,34×1 = 0,34 eV
e
-1,25×e = -2,50 eV
Sommando questi valori e dividendo per il numero degli
elettroni si ha il lavoro per unità di carica e cioè il potenziale
delle semicoppia (1)
0,34 + (-2,50)
E = -------------------- = -0,72 V
3
Esempio 1. Calcolare il potenziale normale per la semicoppia
(4)
MnO4-2+4H++2e↔MnO2(s)+H2O
Noti i valori delle semicoppie
E1° = 0,564 (5)
MnO4- + e ↔ MnO4-2
MnO4- + 4 H+ + 3 e ↔ MnO2 (s) + 2 H2O E2°= 1,695 (6)
Sommando alla (6) la (5) scritta però come ossidazione e
non come riduzione, si ha la semicoppia in esame; il potenziale
di questa reazione è
(1,695×3)+(-0,564)
E = ---------------------------- = 2,260 V
2
Limite del potere ossidante e riducente in ambiente acquoso
Anche l’acqua può agire da ossidante o da riducente.
Nella ben nota reazione dei metalli alcalini con l’acqua si ha un
esempio evidente di ossidazione provocata dall’acqua:
Na + H2O ↔ Na+ + OH- + ½ H2
La reazione è la risultante delle due semireazioni
seguenti:
(ossidazione)
(1a)
Na → Na+ + e
(riduzione)
(2a)
H2O +e → OH- + ½ H2
Date le condizioni di equilibrio esistenti nell’acqua,
l’agente ossidante può essere considerato, in ultima, analisi lo
216
Capitolo IX
stesso ione H+:
(3a)
H2O ↔ H+ + OH+
(4a)
H + e → ½ H2
Ai fini pratici è indifferente ammettere che l’accettore
sia la specie H+ (H3O+) o la molecola neutra H2O. La (4°)
rappresenta la reazione all’elettrodo a idrogeno. Il potenziale
normale della coppia H+/H2 è per definizione zero. A pressione
atmosferica si ha quindi:
(5a)
E = 2.3303 RT/F log [H+]
Se in un qualsiasi modo si conferisce all’elettrodo di
platino, immerso in una soluzione acquosa contenente ioni
idrogeno alla concentrazione [H+], un potenziale E’< E, si ha
sviluppo d’idrogeno gassoso per azione elettrolitica. Qualsiasi
sistema redox atto a conferire all’elettrodo di platino un
potenziale E’< E è in grado di liberare idrogeno gassoso dalla
stessa soluzione. Verso gli agenti fortemente ossidanti, l’acqua
svolge un’azione riducente. Il fluoro viene rapidamente ridotto
dall’acqua:
(6a)
F2 + H2O → 2HF + ½ O2
Le due semi-reazioni che compongono la 6° sono:
(ossidazione)
(7a)
H2O → 2H+ + ½ O2 + 2e
(riduzione)
(8a)
F2 + 2H+ 2 e → 2HF
In pratica si può attribuire all’ossidrile, sempre presente
in equilibrio a cui partecipi l’acqua, il ruolo di specie riducente:
(9a)
4 OH- ↔ 2H2O + O2 + 4 e
Questa reazione corrisponde al processo elettrochimico
in atto all’elettrodo ad ossigeno, cioè un elettrodo di platino in
atmosfera di ossigeno, parzialmente immerso in una soluzione
contenente ioni OH-:
(10a)
Pt, O2 │ OHIl potenziale standard di tale elettrodo (pO2 = 1 atm; aOH= 1) è di + 0.401 volt. Il potenziale dell’elettrodo ad ossigeno è
dato quindi, in base alla (9a) per pO2 = 1 atm, aH2O = 1,
dall’espressione:
(11a)
E = 0.401 – 2.303 RT/F log [OH-]
Se a tale elettrodo viene imposto un potenziale E’> E , si
ha uno sviluppo di ossigeno gassoso per decomposizione
O
Reazioni di ossido-riduzione
217
elettrolitica dell’acqua. Lo stesso risultato si ottiene, per via
chimica, introducendo nella stessa soluzione un sistema
ossidante in grado di conferire all’elettrodo di platino un
potenziale più positivo di E.
Da quanto detto appare evidente che nelle soluzioni
acquose la forza riducente di un sistema è limitata dalla sua
azione sull’acqua con il conseguente sviluppo d’idrogeno
gassoso, mentre la forza degli agenti ossidanti risulta limitata
dallo sviluppo di ossigeno. Tuttavia data la notevole inerzia
dell’acqua, questi limiti vengono spesso abbondantemente
superati. Si possono osservare, infatti, agenti fortemente
riducenti o fortemente ossidanti in soluzioni acquose in grado di
conservarsi per lungo tempo in uno stato di equilibrio
metastabile.
Tali possono essere, per esempio, le soluzioni di sali
cromosi o le soluzioni di cloro. Nella Fig. IX-V viene riportato
l’intervallo del potenziale di ossido-riduzione in funzione del
pH, compatibile con la stabilità dell’acqua. Potenziali troppo
positivi comportano uno sviluppo di O2, potenziali troppo
negativi provocano, invece, sviluppo d’idrogeno gassoso. Il
diagramma si può costruire facilmente, tendo presente che
l’equazione dell’elettrodo ad idrogeno si può trascrivere nella
forma, valida a 25°C
(12a)
EH2 = - 0.059 pH
In un diagramma E(pH), la (12a) è l’equazione di una
retta a pendenza -0.059 V/pH, passante per il punto E = 0, pH =
0. (Retta inferiore del diagramma). L’equazione (11a) relativa al
potenziale dell’elettrodo ad ossigeno, può essere espressa in
funzione del pH.
Essendo pH + pOH = 14, con immediata sostituzione si
ottiene:
E02 = 0.401 + 0.059 pOH = 0.401 + 0.059 (14-pH)
da cui:
(13a)
E02=1.23–0.059pH
Tale equazione è rappresentata dalla retta superiore del
diagramma.
218
Capitolo IX
Figura IX- V. Campo di esistenza delle soluzioni
Acquose
E
Sviluppo di O2
1,0
ossidanti
0,5
riducenti
Soluzioni
0
-0,5
Sviluppo di H2
-1,0
0
2
4
6
8
10
12
14
pH
Le due parallele definiscono una fascia, corrispondente
al campo delle soluzioni stabili, la cui ampiezza è di 1.23 V.
Tale valore corrisponde, a sua volta, alla minima differenza di
potenziale che si deve applicare a due elettrodi di platino, a
funzionamento reversibile, entrambi immersi in una soluzione
acquosa a qualsiasi valore di pH, per ottenere uno sviluppo di
idrogeno e di ossigeno (potenziale di decomposizione
elettrolitica dell’acqua). Il potenziale di decomposizione di 1.23
V non è osservabile direttamente. Esso presuppone, infatti, un
comportamento reversibile degli elettrodi. Mentre per l’elettrodo
O
Reazioni di ossido-riduzione
219
ad idrogeno tale condizione è praticamente realizzabile, non lo è
per l’elettrodo ad ossigeno. Il valore si può calcolare per via
termodinamica.
ESERCIZI
1) a) Calcolare la costante di equilibrio per la reazione
Sn (s) + Pb+2 = Sn+2 + Pb
E°Sn+2/Sn= -0,136
E°Pb+2/Pb= -0,126
+2
b) Se 100 mL 0,100 M Pb vengono aggiunti a 0,010 moli di
stagno metallico, quale è la concentrazione di piombo
all’equilibrio.
c) È la reazione quantitativa?
2) Calcolare il prodotto di solubilità di CuI (s) dai dati seguenti:
E° = 0,153
Cu+2 + e = Cu+
+2
Cu + I + e = CuI (s)
E° = 0,86
I valori dei potenziali normali delle seguenti semicoppie sono:
E°= 0,77
Fe+3 + e = Fe+2
+
+
+3
E°= 0,18
XO2 + 4 H + 2e = X + 2H2O
Calcolare la costante di equilibrio relativa ad una reazione fra
queste due semicoppie e suggerire un titolante per la
determinazione del ferro in una soluzione che contiene sia FeCl3
che XO2Cl.
3) Calcolare la variazione di energia libera per la reazione
I2 + Cl- + 2 OH- = 2 I- + ClO- + H2O
E°ClO-/Cl-= 0,89
E°I2/I-= 0,535
4) Calcolare il potenziale elettrodico di un sistema che è 0,05 M
in Mn+2 e 0,10 M in MnO4- a pH 1,5; pH 0 e pH –1,0.
(E°MnO4-/Mn+2=+1,51)
Stabilire se ha luogo una reazione mettendo insieme in soluzione
acida 1 M i seguenti sistemi
a)MnO4- e Ib) Cr+2 e Cu+2
c) Sn e Sn (IV)
d) H2S (1 Atm) e Fe+3
CAPITOLO X
REAZIONI DI COMPLESSAZIONE
Considerazioni generali e terminologia
La formazione di composti di coordinazione,
generalmente indicati come complessi, non costituisce nel
campo delle soluzioni un tipo di reazioni particolari, bensì il
caso più generale; la chimica delle soluzioni infatti può essere
considerata come la chimica dei composti di coordinazione. Si
definisce come reazione di complessazione quella reazione in
cui uno ione semplice viene trasformato ione complesso. Si deve
tenere conto che uno ione “semplice” e cioè uno ione “nudo”
esiste solo in fase gassosa a temperatura elevata e che quando
esso è in soluzione è solvatato e cioè circondato da un dato
numero di molecole di solvente.
Quando per semplicità si indica uno ione in soluzione
acquosa con il suo simbolo e la sua carica, si deve tenere conto
che esso è in realtà sempre accompagnato da un certo numero di
molecole di acqua per cui anche nel caso di uno ione
elementare, sarebbe più opportuno parlare di ione idratato e cioè
di acquo-complesso. Ciò è quanto mai vero se si considera che
l’energia di idratazione di molti ioni metallici è dell’ordine di
grandezza di parecchie centinaia di calorie.
Se questo ione si trova in presenza di una certa
concentrazione di ioni di carica opposta, o di molecole neutre
che abbiano almeno una coppia di elettroni solitari e che
possono quindi comportarsi da datori di elettroni, e cioè da
legandi e che genericamente indichiamo con il simbolo L, si ha
la sostituzione di una o più molecole di acqua nella sfera di
coordinazione, secondo la reazione seguente:
M(H2O) + L = M(H2O) n-1L +H2O
Formalmente gli acquo-ioni puri sono meno comuni di quanto ci
221
222
Capitolo X
si possa aspettare e solo gli ioni dei metalli alcalini ed alcalinoterrosi possono essere presenti come tali. Qualunque anione
presente in soluzione compete infatti con le molecole d’acqua
tendendo
a sostituirsi ad esse, e questa tendenza alla
sostituzione dipende dalla natura e dalla struttura delle diverse
specie chimiche.
Tipici leganti sono gli alogenuri (F-, Cl-, Br-, I-), le basi
azotate (ammoniaca, piridina ecc.), gli ioni OH- e sostanze
organiche che hanno gruppi -OH, -COOH o altri gruppi
funzionali che contengono azoto, zolfo, fosforo ecc..
Caratteristica peculiare di questi legandi è quella di avere una o
più coppie di elettroni solitari. Un legando può legarsi allo ione
metallico mediante un’unica posizione ed in tale caso viene
indicato come monodentato. L’acqua, l’ammoniaca e gli
alogenuri sono esempi di legandi monodentati. Molecole
organiche o ioni contenenti due o più gruppi donatori sono in
grado di sostituire due o più molecole di acqua o gruppi unidentati e vengono denominati multi o poli-dentati (bi, tri, tetra,
ecc. dentati).
Un legando multi-dentato può legarsi al metallo con 2 o
con più denti e per effetto della complessazione si hanno
strutture ad anello; quelli con 5 o 6 termini risultano più stabili.
Composti di questo tipo vengono denominati chelati ed i relativi
reattivi poli-dentati agenti chelanti. I chelati sono formati da
reattivi uni-dentati aventi gli stessi gruppi funzionali. Complessi
che contengono due o più ioni centrali sono definiti
polinucleari. Essi si formano quando il legando agisce da ponte
fra gli ioni centrali. Idrosso complessi polinucleari si formano in
soluzione acquosa di molti sali metallici.
Ad esempio il primo stadio delle precipitazioni degli
idrossidi metallici avviene sempre attraverso la formazione di
complessi poli nucleari:
Al(H2O)6+3 + OH- = Al(H2O)5OH+2 + H2O
2 Al(H2O)5 OH+2 = [(H2O)4 Al(OH)2Al(H2O)4]+4 + 2H2O
La reazione di complessazione che porta alla formazione di
Reazioni di complessazione
223
ponti con OH- e la eliminazione di H2O prende il nome di
olazione.
Aspetti teorici sulla formazione dei complessi
La coordinazione di un legando ad uno ione coordinante
può aver luogo mediante un gruppo carico o mediante una
coppia di elettroni che viene messa in comune. È opportuno
considerare entrambe queste possibilità: secondo la prima si
stabilisce un legame elettrostatico in conseguenza dell’attrazione
fra metallo e lo ione negativo o la parte negativa di una
molecola polare, mentre nel secondo caso si stabilisce un
legame covalente. In realtà i legami negli ioni complessi non
sono mai del tutto ionici o covalenti, ma di tipo misto; ciò
nonostante è utile adottare il criterio elettrostatico per ricavare
dei criteri di carattere generale per interpretare la formazione dei
complessi.
La forza di un legame elettrostatico fra metallo e legando
dipende dalla natura di entrambi. Se il legando è un anione è
funzione della carica, se è una molecola neutra l’attrazione
dipende dal valore del momento dipolare. Le molecole di acqua
(1,84 debye) sono legate dagli ioni sodio con una forza
maggiore rispetto alle molecole di ammoniaca (1,3 debye), le
molecole dell’ammoniaca possono essere polarizzate da vari
cationi e la loro attrazione per gli ioni metallici viene a
dipendere dalla somma dei momenti dipolari permanenti ed
indotti. Ne consegue che l’attrazione di ioni come Co+3 per
l’NH3 è molto elevata mentre è molto debole quelle degli ioni
alcalini.
Cationi tipo l’Ag+, Cd+2, Hg+2, Pb+2, che sono
facilmente polarizzabili formano complessi alogenici molto
stabili con lo ione ioduro e assai meno con lo ione fluoruro; ioni
della prima serie degli elementi di transizione come Co+2 sono di
piccole dimensioni e meno polarizzabili; il loro legame con gli
alogenuri è prevalentemente ionico ed i loro complessi più
stabili sono quelli con il piccolo ione fluoruro. Si deve tenere
conto che la stabilità dei complessi dipende non solo dalla
224
q
Capitolo X
polarizzazione ma da molti fattori, come le dimensioni e la
carica del metallo coordinante. Cationi di piccole dimensioni e
con grande carica esercitano sui legandi la maggiore attrazione
elettrostatica: questo criterio viene espresso dal valore del
potenziale di ionico (definito dal rapporto tra la carica ionica e il
raggio ionico).
Tabella X-1. Potenziali ionici.
Raggio
ionico Potenziale
Ione
(Å)
ionico
+
K
1,33
0,75
Na+
0,98
1,0
+
Ag
1,13
0,9
Pb+2
1,21
1,65
+2
Hg
1,10
1,8
+2
Zn
0,74
2,7
Mg+2
0,65
3,1
+3
Co
0,64
4,7
Cr+3
0,55
5,5
+3
Al
0,50
6,0
Elettroni livello
esterno
8
8
18
8
18
18
8
14
11
8
C’è in generale una buona corrispondenza fra potenziale ionico
e abilità a formare complessi. Infatti, ioni metallici come quelli
alcalini, che hanno bassi valori di potenziale ionico formano
pochi complessi, mentre formano complessi con grande facilità
e di notevole stabilità ioni come Co+3 e Cr+3 che hanno un valore
di potenziale ionico elevato. In base a questo criterio sembrano
anomali i valori di Ag+, Pb+2 e di Mg+2 e Al+3; i primi due sono
facilmente complessati a differenza degli ultimi due. Da questa
osservazione si deduce che la carica e il raggio ionico soltanto
non sono elementi sufficienti a desumere la capacità a formare
complessi e che è opportuno considerare anche la struttura
elettronica degli ioni metallici.
Gli ioni che hanno la configurazione elettronica dei gas nobili
formano più facilmente complessi di quanto può desumersi dai
valori dei potenziali ionici. In base alle osservazioni fatte, gli
Reazioni di complessazione
225
elementi in grado di formare complessi in funzione delle loro
caratteristiche si possono raggruppare nel modo seguente:
-cationi con configurazione dei gas nobili,
-cationi con il sottolivello d occupato (18 elettroni),
-ioni dei metalli di transizione con sottolivelli incompleti.
Appartengono a questo gruppo ioni come quelli dei metalli
alcalini, alcalino-terrosi, di alluminio ecc.. Predominano nella
formazione dei complessi i fenomeni elettrostatici e sono quindi
determinanti gli effetti dovuti alla carica e alle dimensioni degli
atomi che si legano. Il fluoro e l’ossigeno più di qualunque altro
donatore vengono in particolare legati da questi atomi. Gli ioni
uni-valenti di grandi dimensioni (K, Rb, Cs) esistono in
soluzione come ioni idratati e non formano complessi. La
tendenza a formare complessi è maggiore per gli ioni alcalinoterrosi, ma normalmente diminuisce aumentando le dimensioni
ioniche (dal Be al Ra). Boro e alluminio formano complessi
molto stabili con lo ione fluoruro e lo ione ossidrile. Ioni tipici
di questo gruppo sono Cu+, Ag+ e Au+.
Gli ioni sono deformabili con una certa facilità e i
legami nei loro complessi sono in prevalenza covalenti e gli
elettroni nei legami di coordinazione che si stabiliscono sono
forniti dal solo legando. La tendenza alla complessazione di
questi ioni è differente rispetto a quella degli elementi del
gruppo A; la carica ed il raggio dello ione metallico non
costituiscono i fattori essenziali, mentre è determinante la
differenza di elettronegatività dello ione metallico e dell’atomo
donatore. Questo significa che la forza del legame aumenta con
la facilità con cui lo ione metallico accetta elettroni e con cui il
legando dona elettroni. I complessi sono tanto più stabili quanto
più nobile è il metallo e meno elettronegativo è l’atomo
donatore.
In base a ciò si osserva che Au(I) forma complessi
molto stabili e che fra i legandi lo ioduro forma complessi più
stabili del fluoruro. La tendenza alla complessazione del legando
dipende dall’atomo coordinante e diminuisce nell’ordine
C>N>O>F. Ad esempio NH3 è coordinata più facilmente
dell’acqua e CN- più facilmente di OH-. Negli elementi di questo
226
q
Capitolo X
gruppo si riscontrano sia le caratteristiche di quelli del gruppo
(A) che quelli del gruppo (B). Il predominio delle une o delle
altre dipende da tre fattori: la carica, la dimensione ed il
potenziale ionico. E’ possibile, pertanto, in base a questi fattori
predire la capacità complessante di vari ioni metallici.
Ad esempio nella serie : Mn, Fe, Co, Ni, Cu, e Zn; il
raggio ionico diminuisce ed il potenziale ionico aumenta fino al
rame e in accordo la stabilità dei rispettivi complessi aumenta
progressivamente fino al rame (regola di Irving e Williams).
Questa regola è valida in particolare quando il legando è un
atomo di azoto, carbonio o zolfo, ma è meno seguita quando
l’ossigeno è l’atomo coordinante. Ciò indica che gli ultimi
membri della serie (Cu+2) hanno un comportamento più simile a
quelli del gruppo (B), mentre i primi membri, in particolare
Mn+2 sono più simili ai metalli del gruppo (A).
Per gli altri metalli di transizione si ha un
comportamento simile: la stabilità aumenta passando dal primo
al secondo gruppo e dalla seconda alla terza serie di transizione.
Infatti, molti complessi di Pd(II) sono più stabili dei
corrispondenti di Ni(II) ma meno stabili di quelli del Pt(II). Di
solito legami covalenti sono favoriti da una piccola carica ionica
e da grande raggio ionico. Ad esempio bassi stati di ossidazione
sono stabili in soluzione di cianuro, mentre elevati stai di
ossidazione sono stabili in soluzioni fortemente alcaline.
Complessi Inerti e Labili
La classificazione dei composti di coordinazione in
complessi labili ed inerti è di natura cinetica e dipende dalla
velocità con cui si raggiunge l’equilibrio. Se, ad esempio, ad una
soluzione di un sale di argento si aggiunge una soluzione di
ammoniaca lo ione acquo-argento si trasforma istantaneamente
nello ione argento diammino; se a questa soluzione si aggiunge
un acido si ottiene immediatamente lo ione Ag+. L’equilibrio
della reazione è
Ag (NH3)2+ = Ag+ + 2 NH3
Reazioni di complessazione
227
Molto rapido e può quindi prevedersi l’effetto che si raggiunge
facendo variare una delle specie della reazione: ad esempio, un
incremento della concentrazione di ammoniaca diminuisce la
concentrazione di Ag+ ed aumenta quella del complesso. In
pratica i complessi dell’alluminio, del manganese (II), del
cobalto (II), del nichel, dello zinco e dell’argento raggiungono
rapidamente l’equilibrio con i loro prodotti di dissociazione ed
essi vengono per tali caratteristiche definiti labili o anche
normali o ionici.
Altri complessi ed in particolare quelli del cobalto (III)
e del cromo (III) si dissociano molto lentamente e l’equilibrio
può non raggiungersi neanche dopo un lunghissimo tempo. Ad
esempio una soluzione di esammino cobalto (III), Co(NH3)6+3,
in HCl 1M può conservarsi senza decomporsi quasi
indefinitivamente; in questo mezzo solo 0,01% del cobalto
dovrebbe rimanere complessato Il complesso è infatti
relativamente debole ma permane in soluzione poiché la velocità
di decomposizione è molto lenta. Complessi di questo tipo
vengono definiti complessi inerti o anche complessi di
penetrazione. È stato proprio lo studio dei complessi di questo
tipo che ha consentito al Werner di formulare la prima teoria sui
composti di coordinazione.
Si deve tenere conto che il termine di stabilità di un
complesso si riferisce alla sua stabilità termodinamica e cioè alla
stabilità di un complesso all’equilibrio rispetto alla sua
dissociazione. La classificazione di labile d inerte è invece fatta
in funzione della stabilità cinetica; anche la differente velocità di
formazione di una specie può venire utilizzata a fine analitico.
Equilibri di complessazione
La maggior parte dei complessi che trovano impiego in
chimica analitica appartengono alla categoria dei complessi
labili come Ag(NH3)2+, Cd(CN)4-2, Zn(OH)4-2 ecc. Nelle
reazioni utilizzate si raggiunge infatti l’equilibrio, con facilità e
grande rapidità, fra lo ione metallico e il legando. Con complessi
228
q
Capitolo X
inerti, Co(NH3)6+3 o Fe(CN)6-4, lo stato di equilibrio si raggiunge
dopo un tempo molto lungo e sarebbe privo di significato
applicare i concetti dell’equilibrio alla loro dissociazione o alla
loro formazione.
Formazione e dissociazione graduale dei complessi
La definizione di stabilità di un complesso e la valutazione
quantitativa di tale termine viene ad essere eseguita in funzione
della conoscenza dei valori numerici delle costanti di equilibrio
di dissociazione o di formazione del complesso. Uno ione
complesso cede i suoi legandi in modo graduale così come cede
gradualmente i propri protoni un acido poliprotico, (H3PO4, o
H2S),. Gli equilibri di dissociazione dello ione argento
diammino sono:
Ag(NH3)2+ = Ag(NH3)+ + NH3
[Ag(NH3)+] [NH3]
K2 = -------------------------= 1,3 10-4
[Ag(NH3)2+]
Ag(NH3)+ = Ag+ + NH3
[NH3] [Ag+]
K1 = ------------------------= 4,8 10-4
[Ag(NH3)+]
Le costanti vengono indicate secondo il numero dei
legandi che compaiono nel termine di sinistra. Il prodotto delle
costanti di equilibrio graduali o parziali viene indicato come
costante di instabilità del complesso.
[Ag+] [NH3]2
Kinst = K1 K2 = --------------------- = 6,3 10-8
[Ag(NH3)2+]
Reazioni di complessazione
229
Se si parte da una soluzione contenente uno ione metallico, cui
si aggiunge un legando è utile considerare l’equilibrio di
complessazione come formazione di complessi.
Indicando, in termini generali, con M lo ione metallico
coordinante e con L il legando e omettendo per semplicità
molecole di acqua di idratazione e le cariche, la reazione di
formazione è data da
M + L = ML
[ML]
K1 = -----------[M] [L]
Se più di un legando si lega allo ione metallico si avranno una
serie di equilibri dovuti alle reazioni parziali
ML + L = ML2
[ML2]
K2 = -------------[ML] [L]
ML2 + L = ML3
[ML3]
K3 = ---------------[ML2] [L]
MLn-1 + L = MLn
[MLn]
Kn = --------------[ML n-1] [L]
Combinando le varie equazioni relative alle costanti graduali si
ha:
M + n L = MLn
[MLn]
Kf = ------------[M] [L]n
230
q
Capitolo X
per cui
Kf = K1×K2×K3×Kn
1
Kf = --------Kinst.
Nel considerare una costante di formazione globale o il
suo valore reciproco, la costante di instabilità relativa ad un
qualunque complesso come Ag(NH3)2+ = Ag+ + 2NH3 si deve
tenere presente che questa equazione non deve essere
interpretata nel senso che la concentrazione dell’ammoniaca è
doppia di quella dello ione argento.
Infatti, in conseguenza della dissociazione graduale
dello ione complesso o parimenti degli equilibri parziali di
formazione, in una soluzione 0,01 M di questo ione, la
concentrazione dello ione argento è circa 1/5 di quella
dell’ammoniaca e non la metà.
La costante di instabilità è il prodotto delle costanti di
dissociazione ed è quindi una relazione puramente algebrica che
è comunque valida purché non si pongano relazioni come [NH3]
= 2 [Ag+].
A titolo di esempio viene riportata in Fig.X-1 la
distribuzione dei complessi amminici del rame in funzione della
concentrazione di legando libero (NH3), che mette in evidenza la
simultanea presenza di più specie complesse a meno che non si
operi in forte eccesso di legando.
231
Reazioni di complessazione
100
Cu
CuL4
Molc. %
50
CuL3
CuL
0
-6
CuL5
CuL2
-4
2
Log [NH3]
0
2
Figura X-1. Distribuzione dei diversi complessi per il
sistema Cu+2-NH3.
La dissociazione degli ioni complessi differisce rispetto alla
dissociazione degli acidi poliprotici sotto vari aspetti. La
costante relativa alla seconda ionizzazione di un acido
poliprotico è di norma più piccolo della costante della prima
ionizzazione. Negli ioni complessi le costanti parziali possono
avere valori poco diversi e nel caso del complesso argento
diammino sopra riportato, la costante relativa al secondo stadio
è addirittura più elevata di quella relativa al primo stadio. Ci si
può rendere conto da questo e da moltissimi altri esempi che gli
equilibri relativi alla dissociazione e formazione degli ioni
complessi possono essere notevolmente complicati a meno che
non si verifichino condizioni per le quali è possibile fare delle
semplificazioni.
Viene descritto il procedimento di calcolo in quei casi in
cui un complesso si forma in presenza di una notevole quantità
di legando, sia quando ciò non si verifica. Nel primo caso si può
assumere: che lo ione metallico risulta complessato con il più
elevato numero di coordinazione; che la concentrazione dello
ione metallico libero e dei complessi intermedi sia molto
piccola.
La concentrazione del legando libero è quindi
determinata essenzialmente dall’eccesso di agente complessante
e può trascurarsi il contributo dei legandi liberi provenienti dalla
232
Capitolo X
q
dissociazione dei complessi.
L’uso di tali criteri viene presentato negli esempi seguenti.
Esempio 1. Calcolare la concentrazione di Ag+ in una soluzione
preparata disciogliendo 0,01 moli di AgNO3 in 1 litro di una
soluzione tampone che è 2 M in NH3 ed in NH4NO3 e stabilire
se si ha qualche precipitato.
(in tale mezzo ionico Kinst= 9,3×10-8).
Nella soluzione c’è un eccesso di legando e si può assumere che
[Ag(NH3)2+] = 0,01 M
e
[NH3] = 2 M
sostituendo nella costante di instabilità si ottiene
9,3×10-8×0,01
[Ag ] = ------------------- = 2,3×10-10 M
22
+
Questa concentrazione è molto piccola, ed è tale da non
permettere la precipitazione di AgOH. Infatti la concentrazione
in ioni ossidrili può essere calcolata dal tampone ammoniacale e
cioè
2
[OH ] = Kb ------ = 1,8×10-5 M
2
e
2,6×10-8
Ks
+
[Ag ] = ----------= ----------------= 1,4×10-3 M
[OH-]
1,8×10-5
-
Questa concentrazione è più elevata di quella fornita dalla
soluzione dello ione complesso e non si ha pertanto la
precipitazione di AgOH. Esaminiamo ora se le approssimazioni
fatte possono essere valide.
Il bilancio di massa per l’argento è
Reazioni di complessazione
233
0,01 = [Ag+] + [Ag(NH3)+] + [Ag(NH3)2+]
[Ag(NH3)2+] = 0,01 – [Ag+] – [Ag(NH3)+]
La concentrazione di Ag+ è chiaramente trascurabile rispetto a
0,01 M. La concentrazione del complesso intermedio può essere
stimata dai valori di K1 o K2 (paragrafo precedente): essa è dello
stesso ordine di 7,5×10-7 M ed è quindi trascurabile rispetto a
0,01 M. Per quanto concerne l’NH3, è da considerare che la sua
ionizzazione è repressa dalla elevata concentrazione di nitrato di
ammonio; considerando che 0,02 moli di NH3 sono necessarie
per la conversione di Ag+ in complesso, si ha [NH3] = 1,98 M
che è poco diverso da 2.
Esempio 2. Calcolare la solubilità del cloruro di argento in un
litro di una soluzione 0,5 M di NH3.
Indichiamo con S il numero di moli di AgCl che si disciolgono
in un litro.
Il bilancio di massa per il cloruro, argento e azoto è
Cl:
Ag:
N:
S = [Cl-]
S = [Ag+] + [Ag(NH3)2+] + [Ag(NH3)+]
0,5 = [NH3] + [NH4+] + 2 [Ag(NH3)2+] = NH3
Sostituendo nelle espressioni della costante di instabilità e del
prodotto di solubilità
[Ag+] (0,5)2
Kinst= --------------= 6,3×10-8
S
Ks = [Ag+] [Cl-] = 1,8×10-10 = [Ag+] S
Si ha un sistema di 2 equazioni con 2 incognite da cui per
sostituzione si ha:
234
q
Capitolo X
1,8×10-10
6,3×10-8 S
[Ag ] = --------------= ------------------(0,5)2
S
+
1,8×10-10×(0,5)2
S2 = -------------------------6,3×10-8
da cui
S = 2,7×10 –2 M
Un risultato più accurato si avrebbe correggendo la
concentrazione dell’ammoniaca libera (considerando quella
legata). Dalla relazione del bilancio dell’azoto si ha
[NH3] = 0,5 – 2 S = 0,446 M
Se si pone 2S = 0,054 M. Se si impiega questo valore si ottiene
S= 0,024 M corrispondente a 3,4 g di AgCl per litro.
Nel caso che non si verifichino le condizioni
precedentemente descritte e si desidera ottenere informazioni
sulle varie specie che possono essere presenti in soluzione, si
introducono i rapporti di distribuzione: α’0, α’1, α’2 e α’n, che
sono i rapporti fra le concentrazioni delle specie contenenti i
metalli e la concentrazione analitica CM = ([M] + [ML] +
[ML2]+ …..+ [MLn]);
si ha:
[M]
α’0 = -----------;
CM
[ML]
α’1 = ----------- ;
CM
Reazioni di complessazione
235
[MLn]
α’n = ---------CM
Si tenga conto che
α’0 + α’1 + α’2 + …….+ α’n = 1
Esprimendo le concentrazioni delle varie specie in
funzione delle varie costanti di equilibrio parziali si ottengono i
valori di α’ in funzione delle costanti di equilibrio e delle
concentrazioni di legando all’equilibrio:
[M]
α’0 = ------------------------------------------------=
[M]+[M][L]K1+[M][L]2K1K2+[M][L]nKn
1
= --------------------------------1+K1[L]+K1K2[L]2+Kn[L]n
Kn [L]n
α’n = ------------------------------------------1+ K1 [L] + K1 K2 [L]2+ …Kn [L]n
Mediante queste relazioni è possibile calcolare la
concentrazione di tutte le specie presenti in soluzione se sono
note le costanti di formazione e se è nota la concentrazione
all’equilibrio del legando.
Esempio 3. Calcolare la concentrazione delle varie specie
presenti in una soluzione contenente ioni rame cui è stata
aggiunta ammoniaca; la concentrazione totale in rame è 1×10-2
M e quella dell’NH3 all’equilibrio è 1×10-2 M. Le costanti
graduali di formazione sono logK1=4,31; logK2=3,67;
236
q
Capitolo X
logK3=3,04 e logK4=2,3.
La concentrazione delle diverse specie si ricava calcolando i
rapporti di distribuzione: α’0; α’1; α’2; α’3 e α’4.
1
α’0= ---------------------------------------------------------------- =
1+ 104,31×10-2 + 107,88×10-4 + 1011,02×10-6 + 1013,32×10-8
= 3,1 10-6
moltiplicando i valori di α per [NH3] = 10-2 si ha
[Cu+2] = 3,1 10-6×10-2 = 3,1×10-8 M
in modo analogo
[Cu(NH3)+2]= 6,3×10-6
[Cu(NH3)3+2]= 3,2×10-3
[Cu(NH3)2+2] = 2,9×10-4
[Cu(NH3)4+2] = 6,5×10-3
Costanti condizionali
L’uso di costanti diverse per descrivere l’equilibrio in
una reazione fra protoliti è stato già descritto in precedenza; ad
integrazione di quanto esposto si ribadisce che le costanti di
equilibrio sono espresse in funzione delle attività delle specie
che prendono parte all’equilibrio. Una variazione di forza ionica
produce variazioni sensibili dei coefficienti di attività e le
costanti espresse in funzione delle concentrazioni possono,
quindi, differire da quelle termodinamiche, Tale effetto è di
piccola entità se viene paragonato alle variazioni che si possono
avere in seguito a reazioni collaterali concomitanti alle quali
possono prendere parte le specie che partecipano ad una
reazione di complessazione. Tipiche reazioni collaterali sono
quelle provocate dagli ioni idrogeno, gli ioni ossidrile, soluzioni
tampone, agenti mascheranti ed altri ioni metallici che
competono nella reazione di complessazione considerata. Poiché
237
Reazioni di complessazione
il precipuo interesse a fine analitico è quello di poter valutare se
una reazione decorre o no in modo quantitativo è utile
considerare per un dato sistema la costante relativa ad un dato
equilibrio nelle condizioni reali in cui il sistema viene
esaminato. Il valore che si ricava viene indicato come costante
apparente o condizionale o effettiva; tali termini vengono usati
per indicare che tale valore non è costante ma dipende dalle
condizioni sperimentali.
Per chiarire questo concetto si consideri la reazione di
complessazione
M + L = ML
[ML]
K = ---------[M] [L]
in cui la K è la costante di formazione e cioè la costante di
stabilità. Se M e L partecipano oltre che alla reazione di
complessazione indicata ad altre reazioni collaterali, si ha una
costante condizionale K’
[ML]
K’ = --------------[M’] [L’]
in cui [M’] ed [L’] rappresentano non solo la concentrazione
dello ione metallico libero e del legando libero presenti in
soluzione, ma di M e di L che hanno reagito con altre specie ad
eccezione di ML.
Indicando col termine di α il coefficiente relativo alle reazioni
collaterali per il metallo ed il legando, avremo
[M’]
αM = ----------[M]
[L’]
αL = -------[L]
238
Capitolo X
Se M reagisce solo con L secondo lo schema sopra riportato, α è
eguale ad 1, ma se vi sono reazioni collaterali si ha αM > 1;
analogamente ciò si osserva per quanto riguarda L. La relazione
fra costante termodinamica e costante apparente è pertanto
K
K’ = ---------αM αL
Se la reazione di complessazione porta alla specie MmLn la
relazione è
K
K’ = ----------αmM αnL
Se ad esempio si titola con EDTA (= H4Y) lo zinco in tampone
ammoniacale, sia NH3 che OH- entrano in reazioni collaterali
con Zn+2, e H+ con Y. Con Zn’ e Y’ (si omettono le cariche) si
intende indicare:
[Zn’] = [Zn] + [Zn(NH3)] +…..+ [Zn(NH3)4] + [Zn(OH)]+
….+[Zn(OH)4]
[Y’] = [Y] + [HY]+….+ [H3Y] + [H4Y]
αM ed αL sono ovviamente funzione delle costanti delle reazioni
collaterali. Essi possono venire calcolati come appresso
indicato; se ad esempio A è un legando che forma vari
complessi con lo ione metallico M la relazione relativa ad α è:
[M’] [M] + [MA] + …..+ [MAn]
αM = ------ = ------------------------------------[M]
[M]
note le costanti di formazione parziali K1, K2, ….Kn
Reazioni di complessazione
239
αM = 1 + K1 A+ K1K2 A2 + ……+ KnAn
Se B è lo ione idrogeno o catione che interferisce con il legando
si ha in modo analogo
[L’]
αL = ------ = 1 + [B] K1 + [B]2 K2 K1 + …..+ [B]m Kn
[L]
Effetto del pH sugli equilibri di formazione di complessi
Quanto è stato esposto nel paragrafo precedente porta a
prevedere che variazioni di concentrazione idrogenionica
abbiano una notevole influenza sulla formazione di ioni
complessi. Molti agenti complessanti sono infatti anche delle
basi di Bronsted, e gli equilibri di formazione di complessi, cui
prendono parte questi leganti sono quindi influenzati da
variazioni di pH. Per esempio NH3, CN-, NH2CH2CH2NH2, i
vari anioni dell’EDTA e molti altri possono accettare protoni e
di conseguenza la frazione di legando libero disponibile per la
complessazione varia con il pH.
Nel caso di un complesso amminico può aver luogo la reazione
NH3 + H+ = NH4+ e di conseguenza
Ka + [H+]
[L’]
[NH3] + [NH4+]
αL = ------= ----------------------- = ----------------Ka
[L]
[NH3]
in cui Ka è la costante di dissociazione dello ione ammonio
(NH4+). Poiché K’ = K/αL si può calcolare la costante di
formazione di un complesso ai diversi pH dal valore di αL. La
stabilità di un complesso risulta tanto minore quanto maggiore è
il valore di αL.
necessario
considerare
l’influenza
della
È
concentrazione idrogenionica nel calcolo della distribuzione
240
Capitolo X
delle diverse specie, come è mostrato nel seguente esempio.
Esempio 4. Calcolare la concentrazione di Zn+2 in una soluzione
10-4 M in Zn(NO3)2 in cui la concentrazione totale di
ammoniaca non legata è 0,028 M ed il pH è 9. Le costanti
graduali del sistema Zn-NH3 sono: 10 2,27; 10 2,34; 10 2,4 e 10 2,05;
pKa per NH4+ è 9,26.
La concentrazione di legante libero, NH3, è una frazione di
quella totale di ammoniaca non legata, CL
[NH3] = X CL
10-9,26
X = ---------------------= 0,36
10-9,26 + 10-9
[NH3] = 0,36×0,028 = 10-2
[ Zn +2 ]
'
Poiché α0 =
CM
si calcola α’0:
α0' =
1
1 + 102,2710−2102,27 × 102,34 × (10−2 )2 + 102,27 × 102,34 × (10−2 )3 + 102,27 × 102,34 × 102,4 × 102,05 × (10−2 )4
α’0 = 3,56 10-2 da cui [Zn+2] = 3,56 10-6 M
Legandi come titolanti di ioni metallici
È noto che perché una reazione possa essere impiegata
a fine analitico deve soddisfare i seguenti requisiti:
-deve procedere secondo un unico processo
-deve essere stechiometrica
-deve essere accompagnata da una sufficiente variazione di
energia libera.
Quando queste condizioni sono soddisfatte è possibile
identificare il punto finale di una reazione con un opportuno
procedimento. Nel caso dei complessi metallici questi requisiti
non si osservano sia perché per alcuni sistemi (complessi inerti)
241
Reazioni di complessazione
gli equilibri sono lenti sia perché anche per i complessi labili la
sostituzione delle molecole di acqua di idratazione da parte del
legando non procede attraverso un unico stadio bensì attraverso
la formazione di una serie di complessi (MA, MA2, …..MAn) e
quindi di regola si ha una sovrapposizione di questi processi. La
formazione del complesso a maggiore numero di coordinazione
è completa solo dopo che è stato aggiunto un eccesso di
complessante. Ne consegue che il punto finale non è
caratterizzato da un rapido decremento dello ione ne da un
notevole incremento di legando libero. Una condizione più
favorevole a questo riguardo si verifica se più gruppi legandi
sono presenti in una stessa molecola. Se si considera infatti
come legando una poliammina, come la tetrammina (I tren) e la
esammina (II penten).
N
CH2
CH2
NH2
CH2
CH2
NH2
CH2
CH2
NH2
(I: ‘tren‘)
pK = 10•29; 9•69; 8•56
H2N
CH2
CH2
CH2
CH2
NH2
CH2
(II: ‘penten‘)
pK = 10•20; 9•70; 9•14; 8•56
CH2
NH2
N CH2 CH2 N
H2N
CH2
CH2
Si osserva che si formano anelli a 5 o 6 atomi con un
metallo e che la stechiometria della reazione è assai più
semplice in quanto un catione si lega con una sola molecola di
penten (e quindi si ha un solo equilibrio) e non ha coordinazione
graduale di 6 molecole come avviene nella reazione tra NH3 e
Ni+2. La costante di formazione del chelato è assai maggiore di
quella del complesso ammoniacale
242
Capitolo X
[ N ( NH 3 )]
[ N1 penten]
8
K1 =
= 2 × 1019
6 = 3 ,1 × 10
[ N 1 ][ NH 3 ]
[ N1 ][ penten]
L’entità dell’effetto chelante è espressa come differenza fra i lg
delle relative costanti
Effetto chelante = lg K2 – lg K1 = 10,8
In Fig. X-2 è riportata (curva A) la titolazione di una soluzione
di nichel con NH3 in presenza di NH4Cl 0,1 M. Curva A:
titolazione di Ni+2 con ammoniaca in presenza di 0,1 M NH4Cl.
Curva B: titolazione di Ni+2 con penten in presenza di 0,1 M si
NH4Cl. Curva C: titolazione di Ni+2 con penten in presenza di
0,1 M NH4Cl e 0,1 M NH3.
K1 =
17
Curva A. titolazione di Ni+2 con
ammoniaca in presenza di
0.1 M NH4Cl
16
15
14
13
12
11
10
9
8
7
6
5
4
3
Curva B. titolazione di Ni+2 con
“penten” in presenza di 0.1 M NH4Cl
Curva C. titolazione di Ni+2 con
“penten” in presenza di 0.1 M NH4Cl e
0.1 M NH3
pNi
C
B
A
1 2 3 4 5 6 7
Atomi di N aminico per Ni+2
.Figura X-2. Titolazione di Ni+2 con ammina.
Al punto di equivalenza (6 moli di NH3 per mole di Ni+2)
243
Reazioni di complessazione
la concentrazione del nichel è solo 1/5 del suo valore originario
e questo punto non è caratterizzato da una notevole variazione di
pNi. Questo indica che è solo parziale la formazione del
complesso esammino, che viene ad aver luogo solo con un forte
eccesso di ammoniaca. La curva B si riferisce alla titolazione
della stessa soluzione con penten: si ha una forte variazione di
pNi, che non coincide però esattamente col punto finale
stechiometrico. Si osserva inoltre che il pH aumenta dopo che si
è raggiunto questo punto e così anche la stabilità del complesso.
Se la titolazione viene eseguita a pH costante e ad un valore
sufficientemente alto, circa 9,3 (tampone 0,1 M NH3- 0,1 M
NH4Cl) si ha la curva C. Il nichel è presente ora come
complesso amminico e la titolazione incomincia a pNi= 6,9; per
aggiunta di penten si ha la conversione in Ni-penten e si ha una
forte variazione di pNi che coincide esattamente con il punto
stechiometrico. Più che le poliammine, il cui impiego è limitato
a quei cationi che hanno tendenza a coordinare attraverso
lo’azoto basico come Cu, Bi, Co, Cd e Hg e che potendo
protonizzarsi richiedono di essere usate a pH relativamente
elevati, vengono adoperati acidi amminocarbossilici come
l’acido
nitrolotriacetico
(NITA)
e
l’acido
etilendiamminotetracetico (EDTA).
H
+
N
CH2
COOH
CH2
COO
COOH
CH2
-
NITA o H3X
pK = 1•9; 2•49; 9•73
COOH
H
-
OOC
CH2
+
N
CH2
CH2
CH2
+
N
EDTA o H4Y
pK = 2•0; 2•67; 6•16; 10•26
CH2
H
CH2
COO
-
COOH
Gli anioni del NITA e dell’EDTA hanno rispettivamente 4
o 6 atomi per coordinare un catione metallico in modo che si
244
Capitolo X
formano anelli a 5 termini, reagendo con questo nel rapporto
1:1. I relativi chelati hanno notevole stabilità come riportato
nella Tab. X-1.
Tabella X-1.Costanti di stabilità di complessi formati
e da NITA in soluzioni a forza ionica 0,1 a 20°C.
Catione log KMY log KMX Catione logKMY
H+ j=1
10,26
9,73
Hg+2
21,80
+
+2
H j=2
6,16
2,49
Pb
18,04
H+ j=3
2,67
1,9
Al+3
16,13
+
+3
H j=4
2,0
Fe
25,1
+2
+
Mg
8,69
5,41
Ag
7,3
Ca+2
10,70
6,41
Cd+2
16,46
+2
+2
Mn
13,79
7,44
Zn
16,50
Fe+2
14,33
8,84
Cu+2
18,80
+2
+2
Ni
18,62
11,53
Co
16,31
da EDTA
logKMX
11,39
15,87
5,4
9,83
10,67
12,96
10,38
Questi valori si riferiscono all’equilibrio per un metallo generico
con EDTA
Me+n + Y-4 ↔ MeY+n-4
[ MeY + n−4 ]
K=
[ M +n ][Y −4 ]
La formazione di questi complessi è notevolmente influenzata
dalla concentrazione idrogenionica e dalla presenza di altri
legandi, così che è utile considerare le costanti condizionali in
funzione dello schema che segue.
Me+2
+
Mz
↓
MeZm+2
(1)
+
+
Y-4
xH
↓
HxYx-4
(2)
↔
MeY-2
↓
HMeYMeYOHMeYNH3(3)
Reazioni di complessazione
245
La reazione (1) si riferisce all’effetto complessante di un
qualunque legando Z sul catione, la reazione (2) all’effetto della
concentrazione idrogenionica che porta ad una diminuzione
dell’anione Y-4 e la (3) alla formazione di altri chelati metallici e
di idrosso-complessi in soluzione. La costante apparente può
essere desunta dalla seguente relazione
K app =
K
αM × αL
in cui αM ed αL hanno il significato precedentemente descritto.
Per valutare l’effetto della concentrazione idrogenionica per i
complessi dell’EDTA viene ricavata l’influenza del pH
calcolando αH. Le varie forme sotto cui l’EDTA può essere
presente, possono essere indicate con Y’, esse sono:
[Y’] = [Y-4] + [HY-3] + [H2Y-2] + [H3Y-] + [H4Y]
[Y ' ]
= 1 + K 1 [ H + ] + K 1 K 2 [ H + ] 2 + K 1 K 2 K 3 [ H + ]3 +
Y
+ K1 K 2 K 3 K 4 [H + ]4
αH =
K1, K2, K3 e K4 sono le costanti di stabilità dei complessi
dell’EDTA e sono cioè
1
1
1
1
K 4' =
K 3' =
K 2' =
K1
K2
K3
K4
In funzione delle tradizionali costanti di dissociazione αH può
essere ricavato mediante la seguente espressione:
[H+]2
[H+]3
[H+]4
[H+]
αH = 1 + ---------- + ----------- + -------------- + ----------------K4
K4 K3
K4 K3 K2
K4 K3 K2 K1
K 1' =
Diagrammando log αH rispetto a pH si ottiene il grafico di Fig.
X-3 in base al quale si può calcolare il valore della costante
condizionale: log Kapp = log K – log αH
246
Capitolo X
q
18
16
14
12
10
Log αH verso
pH per l’EDTA
8
Log αH
6
4
2
0
2
4
6
8
10
12
pH
Figura X-3. logαH verso pH per l’EDTA
Kapp è la costante condizionale ad un dato pH; tanto maggiore è
il valore della costante condizionale tanto più favorevoli sono le
condizioni per una titolazione. Per una titolazione accurata con
EDTA 0,01-0,05 M il valore minimo della costante condizionale
deve essere pari a circa 108. Gli ioni metallici che formano
complessi stabili e tali per cui le costanti condizionali sono
sufficientemente grandi anche in ambiente acido, possono essere
titolati anche in questo mezzo; gli ioni che formano complessi
più deboli debbono essere titolati in ambiente alcalino.
Reazioni di complessazione
247
Esempio 5. Calcolare le costanti condizionali per i seguenti
complessi dell’EDTA: CaY e NiY a pH 5,0 e stabilire se è
possibile la titolazione del calcio e del nichel a questo pH. Le
costanti di ionizzazione per H4Y sono pK1=2,07; pK2=2,75;
pK3=6,24 e pK4=10,34.
Dalla Tab. X-3 si ha KNiY= 1018,6e KCaY= 1010,7
Il valore di αH può essere ricavato dalla Figura X-4 o può essere
calcolato con la relazione
10-10
10-15
10-20
10-5
αH = 1 + ------------+-------------+ -------------+ ---------- = 10 6,6
10-10,3
10-16,6
10-19,3
10-21,4
per CaY
10 10,7
Kapp= ----------= 104,1
10 6,6
per NiY
10 18,6
Kapp= ----------- = 1012
10 6,6
I valori ottenuti dimostrano che è possibile la titolazione del
nichel a pH 5 dato il suo elevato valore di costante di stabilità,
mentre non è titolabile il calcio.
Analogamente si può calcolare il valore della costante
condizionale in presenza di un legando se è nota la
concentrazione di legando libero [L].
αM= 1 + K1[L] + K1K2[L]-2 + …… + Kn[L]n
in cui K1, K2,……….Kn sono le costanti graduali di formazione
del complesso metallico.
Esempio 6. Calcolare la costante condizionale per CaY in una
248
Capitolo X
soluzione contenente 0,1 M NH4+ e 0,1 M NH3 libera ed il cui
pH è 9,24. I log della costante di formazione dei complessi Cd
(II)-NH3 sono pK1=2,6; pK2=2,05; pK3=1,39; pK4=0,88; pK5=0,32 e di CdY 16,5.
Sostituendo nell’espressione sopra riportata, per [L] = 0,1 M, si
ha:
αM = 1 + 10 2,6 0,1+ 10 4,65 10-2+ 10 6,04 10-3+ 10 6,92 10-4+ 10 6,6
10-5 = 10 3,4
αH = 11 (calcolato come nell’es. 4)
Essendo K app =
K
e sostituendo si ottiene
αH
Kapp= 1012
Esempio 7. Ricavare la stabilità del complesso FeF+2 in funzione
del pH.
Lo ione fluoro forma con Fe+3 una serie di complessi dei quali il
più stabile è il primo. Trascurando gli altri è possibile descrivere
la stabilità di questo complesso in funzione degli equilibri che
seguono.
Fe+3 + F- ↔ FeF+2
[FeF+2]
Kf = ---------------[Fe+3] [F-]
H+ + F- ↔ HF
[H+] [F-]
Ka =------------[HF]
Poiché Kapp= Kf /αH ed essendo αH=1+[H+]/Ka si ricava il valore
di αH alle diverse concentrazioni idrogenioniche. E’ evidente
che quando Ka>>[H+] la stabilità del complesso non è
influenzata dal pH fino a che non diventa sensibile l’effetto di
solubilità dell’idrossido di ferro. La concentrazione di Fe+3 per
una concentrazione C di ferro totale (=[FeF+2]+[Fe+3]) si ricava
considerando [F-]+[HF]=[Fe+3].
Essa è ricavabile da
249
Reazioni di complessazione
[ Fe
+3
]=
C
[H+ ]
(1+
)
Kf
Ka
La dissociazione del complesso (che produce un incremento di
[Fe+3]) è tanto maggiore quanto maggiore è [H+] e quanto
minore è Ka. Essendo Ka=10-3,2 la dissociazione di FeF+2
diviene apprezzabile quando [H+]>10-3,2.
I complessi che hanno piccoli valori di costante di formazione,
hanno un’apprezzabile dissociazione anche in ambiente alcalino,
mentre quelli con costante di formazione molto elevata
( Fe(CN)6-4, Ag(CN)2-) sono poco dissociati anche a pH = 0.
Queste osservazioni permettono di ricavare il campo di stabilità
di un complesso in funzione del pH di una soluzione. Ad
esempio il campo di esistenza del complesso Hg(CN)2 in
concentrazione 0,1 M si può ricavare dai seguenti equilibri:
10
21
[Hg(CN)2]
= ------------------[Hg+2] [CN-]2
10
-9,4
[H+] [CN-]
= --------------[HCN]
da qui si ottiene la concentrazione di Hg+2:
[Hg+2] =
[H+]
10-22 ( 1 + ------------)
10-9,4
Fino a pH 9,4 la concentrazione di Hg+2 è eguale a circa 10-5
(trascurabile) e a pH 1 circa il 90% di Hg(CN)2 è indissociato.
Oltre alle considerazioni fatte, c’è inoltre da tenere
presente che, la presenza di un legante in eccesso provoca una
diminuzione dell’attività dello ione libero, e quindi il campo di
stabilità di uno ione complesso risulta notevolmente
incrementato. In generale si deve tenere presente che la stabilità
di uno ione complesso deve essere ricavata in funzione dei due
equilibri fondamentali: quello della costante di formazione del
250
Capitolo X
complesso e quello relativo alla dissociazione del legante. Per i
complessi ammoniacali si osserva, ad esempio, che sono meno
stabili in soluzione acida, in quanto in questo ambiente
l’equilibrio NH3+H+↔NH4+ è spostato verso destra. Le
cobaltiammine, che sono complessi molto stabili, non vengono
distrutti neanche in soluzione acida, mentre gli analoghi
complessi con Fe+2, Mn+2, Zn+2, Cd+2, Cu+2 vengono distrutti. I
complessi con CNS-, Cl-, NO3- non vengono invece influenzati
dal pH in quanto questi anioni sono basi deboli e non hanno cioè
tendenza ad accettare protoni.
Influenza della formazione dei complessi sui potenziali redox
Il potere ossido-riduttivo di una coppia redox, come già
visto in precedenza, può essere influenzato dalla presenza di un
agente complessante, se questo forma complessi di stabilità
differente con la forma ossidata o ridotta. Consideriamo la
coppia
Fe+3 + e → Fe+2
[Fe+3]
E = E° + 0,06 log ---------[Fe+2]
se si aggiunge ad una soluzione di questa coppi ioni fluoruro si
ha la formazione di complessi di grande stabilità con Fe+3 e
meno stabili con Fe+2; ne consegue che gli ioni ferrici sono
sottratti all’equilibrio e il rapporto [Fe+3]/[Fe+2] diminuisce e
cosi pure il valore del potenziale E. La soluzione diviene meno
ossidante ed è pertanto più riducente: gli ioni ferrici sono quindi
meno ossidanti in presenza di fluoruri, mentre gli ioni ferrosi
sono più riducenti.
Nota la costante di formazione dei complessi si può ricavare il
valore del potenziale della coppia in presenza di questo legando.
Nel caso dello ione fluoro il primo complesso con Fe+3 è di
gran lunga più stabile e trascurando in prima approssimazione
gli altri si ha:
251
Reazioni di complessazione
+3
-
[FeF+2]
Kf = --------------[Fe+3] [F-]
+2
Fe + F ↔ FeF
sostituendo si ha:
[FeF+2]
E = E° + 0,06 lg ------------------=
Kf [Fe+2] [F-]2
[FeF+2]
= E° - 0,06 lg Kf + 0,06 lg ------------[Fe+2] [F-]2
Ponendo E°’ = E°-0,06 log Kf si ha il valore del
potenziale normale relativo alla semicoppia
FeF+2 + e → Fe+2 + FIn alcuni casi sia la specie ossidata che quella ridotta
possono formare complessi: in tal caso il potere redox della
coppia dipende essenzialmente dal valore delle relative costanti
di formazione.
Consideriamo la coppia
Co+3 + e → Co+2
per cui
E° = 1,84 V
Per aggiunta di ioni CN- si ha la formazione dei relativi
complessi cianici
Co+3 + 6 CN- ↔ Co(CN)6-3
+2
Co + 6 CN- ↔ Co(CN)6
-4
[Co(CN)6-3]
Koss = -----------------[CN-]6 [Co+3]
[Co(CN)6-4]
Krid = -----------------[Co+2] [CN-]6
252
Capitolo X
il potenziale del nuovo sistema redox
Co(CN)6-3 + e ↔ Co(CN)6-4
E, essendo Krid/Koss= 10-44,
[Co(CN)6-3]
Krid [Co(CN)6-3]
E= 1,84+0,06 lg -------------------- = - 0,83+0,06 lg -------------[Co(CN)6-4]
Koss[Co(CN)6-4]
Essendo quindi E°’= -0,83 il sistema e divenuto molto
più riducente, poiché per la differente stabilità dei complessi che
Co+3 e Co+2 formano, di cui il primo è molto più stabile del
secondo, il rapporto [Co+3]/[Co+2] è assai piccolo.
Influenza della formazione dei complessi sulla solubilità
È stata più volte richiamata l’attenzione sul fatto che in
una reazione di precipitazione quantitativa deve essere evitata
l’aggiunta di un eccesso di reattivo. Infatti gran parte dei
precipitati hanno una notevole tendenza a formare con un
eccesso dei loro ioni complessi che provocano un incremento
della solubilità. Ad esempio in Fig. X-4 è riportata la solubilità
del cloruro di argento in funzione della concentrazione di
cloruro di potassio.
253
Reazioni di complessazione
-4.5
-5.0
-5.5
Log [AgCl]
-6.0
-6.5
-7.0
-5.0
-4.0
-3.0
-2.0
Log [KCl]
-1.0
Figura X-4. Solubilità del cloruro di argento (------);
calcolata dal prodotto di solubilità (linea continua),
valori sperimentali.
La formazione di complessi è largamente utilizzata in
chimica analitica per permettere la precipitazione di uno ione ed
impedire quella di un altro, mediante un agente precipitante. Se
consideriamo ad esempio l’uso del tartrato per impedire la
precipitazione dell’idrossido di ferro in soluzione leggermente
alcalina, comunemente impiegata per la precipitazione del
nichel con dimetilgliossina. In questo esempio lo ione tartrato
funge da agente mascherante poiché maschera , cioè impedisce
la precipitazione del ferro (III). Se sono note le costanti dei
relativi equilibri si può prevedere se un certo agente
mascherante può consentire una data reazione.
Consideriamo la solubilità dell’ossalato di calcio in una
254
q
Capitolo X
soluzione che ha all’equilibrio una concentrazione di ioni lattato
eguale a 0,1 M. La solubilità è sufficientemente basica per cui
l’ossalato solubile è presente come Oss-2 e il lattato come L-. Il
calcio forma con lo ione lattato un complesso 1:1, con una
costante di formazione eguale a 10
[CaL+]
Kf = -------------[Ca+2] [L-]
Il prodotto di solubilità apparente, e cioè la costante
condizionale in tale mezzo, è dato da
Ks
2 10-9
Ks app = ----------= ----------αM
αM
in cui
[CaL+]
[CaL+] + [Ca+2]
αM = ------------------------ = 1 + ---------[Ca+2]
[Ca+2]
Poiché
[CaL+]
Kf [L-] = ---------[Ca+2]
essendo
Kf = 10 e [L-]= 0,1 M
αM = 1 + Kf [L-] = 0,5
e sostituendo
si ha,
Reazioni di complessazione
255
2×10-8
x = 2×10 = ----------0,5
x = 1,4×10-5 (solubilità molare in 0,1 M lattato).
In assenza di lattato la solubilità molare è : 4,5 10-5 M.
2
-8
ESERCIZI
1) Calcolare [Ag+] in una soluzione che è 0,2 M in KAg(CN)2 e
(Ka= 4×10-10; Kf= 1020)
0,2 M in KCN.
R: 5×10-20 M
2) Quanti grammi di ioduro di argento si sciolgono in 1 L di
ammoniaca 10 M (Kinst Ag(NH3)2+ = 6,3×10-8, Ks= 8,3×10-17).
R: 0,085 g/L.
3) Calcolare la concentrazione di Cu+2 e Cd+2 in una soluzione
in cui Cu(CN)3- e Cd(CN)4-2 sono 0,05 M e che è anche 0,5 M in
KCN. Stabilire se CuS o CdS precipitano quando la soluzione
per aggiunta di un solfuro solubile è 0,001 M in solfuro
(Kinst:Cu(CN)3- 2,6×10-9; Cd(CN)4-2 7,8×10-18; Ks: CuS 1×10-48;
CdS 7×10-27).
R: 1×10-29 M; 6,2×10-18 M.
4) Calcolare la solubilità del solfuro di zinco in idrossido di
sodio 0,5 M, a) trascurando l’idrolisi dello ione solfuro; b)
tenendo conto dell’idrolisi di questo ione. KsZnS = 8×10-25; Ka2 =
1,3×10-13.
R: a) 1,2×10-5 M; b) 1,3×10-5 M.
5) Calcolare la concentrazione dello ione metallico in una
soluzione contenente il complesso MY in concentrazione 10-2
R: 5×10-3 M.
M. (Kf MY = 2×102).
6) Calcolare la concentrazione di Cd+2 in una soluzione
contenente EDTA non complessato (= 1×10-2 M) e in cui Cdtot =
1×10-3 M a pH 3,0; 5 0; 7,0 e 9,0, log Kf= 16,46.
256
q
Capitolo X
7) Calcolare la concentrazione di ioni cadmio in una soluzione
che contiene per litro 0,02 M di Cd(NH3)4(NO3)2 e 3 moli di
NH3. logK1’= 2,51, logK2’= 1,96, logK3’= 1,30, logK4’= 0,79.
8) Il prodotto di solubilità di AgCN è 2,6×10-19. La costante di
instabilità dello ione dicianoargentato è 9,0×10-22; costante di
dissociazione di HCN è 4×10-10. Calcolare la concentrazione
molare di tutte le specie ioniche e molari in HCN 0,1 M saturo
di AgCN. La reazione è : AgCN(s) + HCN = Ag(CN)2- + H+.
9)Il prodotto di solubilità di Zn(OH)2 è 1×10-16. Quando
Zn(OH)2 in eccesso viene aggiunto ad 1 Litro di una soluzione
0,4 M di KCN ha luogo la reazione seguente: Zn(OH)2(s)+4CN=Zn(CN)4-2+2OH-.
Raggiunto l’equilibrio il pH è 13. Calcolare la costante di
equilibrio per la reazione: Zn(CN)4-2+Zn+2+4CN-.
R: 3×10-18.
INDICE
Prefazione
5
Capitolo I
Solventi: l’acqua
Molecole polari
Interazione fra molecole d’acqua
Relazione fra momento dipolare e costante dielettrica
Ionizzazione dell’acqua
7
11
14
19
22
Capitolo II
Soluzioni e soluti
Soluzioni
Idratazione degli ioni
27
32
34
Capitolo III
Struttura e solubilità dei composti ionici
Stabilizzazione degli ioni nelle molecole
in fase gassosa ed in fase solida
Energia reticolare
Energia reticolare da misure termochimiche
Considerazioni sull’energia reticolare
Solubilità dei sali ionici
Legami parzialmente covalenti o polarizzabili
Utilizzazione dei valori di energia reticolare
e dell’energia d’idratazione in Chimica Analitica
39
40
43
47
50
52
56
61
Capitolo IV
L’equilibrio chimico: concetto cinetico dell’equilibrio
Considerazioni termodinamiche sull’equilibrio chimico
La variazione di energia libera nelle reazioni chimiche
Concentrazione ed attività
63
67
74
Capitolo V
Protoliti: Teoria protonica di Bronsted e Lowry
Forza dei protoliti
Costante acida dell’acqua
Equilibri protolitici in acqua
Costanti miste
Fattori che determinano la forza dei protoliti
Ioni metallici idrati come acidi
Acidi e basi in solventi non acquosi
Teoria elettronica degli acidi e delle basi di Lewis
Il potenziale di acidità
79
82
83
85
86
87
91
94
95
96
Capitolo VI
Equilibri protolitici
Calcolo delle concentrazioni di ioni, molecole
di acidi e basi monoprotiche e di acidi poliprotici
Basi poliprotiche
Effetto dello ione in comune
Miscele di protoliti di forza differente
Soluzioni tampone
Capacità tamponante
Preparazione di soluzioni tampone
Equi. in soluzione acquose contenenti diversi protoliti
Soluzioni contenenti due acidi o due basi
Sali di acidi e basi deboli
Sali i basi deboli e di acidi diprotici deboli
Anfoliti
Esercizi
101
103
111
114
114
116
119
120
123
123
125
127
128
132
Capitolo VII
Rappresentazione grafica degli equilibri acido-base
Diagrammi logaritmici
Acidi monoprotici deboli
Acido diprotico
Acido triprotico
Miscele di acidi monoprotici
Diagramma di distribuzione per un acido monoprotico
Diagramma di distribuzione per un acido diprotico
Diagramma di distribuzione per un acido triprotico
Esercizi
135
136
137
143
147
149
153
155
156
159
Capitolo VIII
Equilibri di precipitazione
Soprasaturazione e nucleazione
Lo stato colloidale e l’adsorbimento
Contaminazione dei precipitati
La solubilità dei precipitati: prodotto di solubilità
Effetto dell’acidità sulla solubilità
Effetto degli agenti complessanti sulla solubilità
Precipitazione e diagrammi logaritmici
Esercizi
161
164
167
171
174
176
184
188
192
Capitolo IX
Reazioni di ossido-riduzione
Equazione di Nernst
Potenziale elettrodico
Fattori che influenzano il potenziale elettronico
Potenziale formale
Reazioni di disproporzione
Potenziali di ossido-riduzione e solubilità
Potenziale di oss-riduz e formazione di complessi
Calcolo del potenziale di una semicoppia
dal potenziale di altre semicoppie
Limite del potere ossid. e riduc. in ambiente acquoso
Esercizi
195
196
198
202
203
209
211
212
214
215
219
Capitolo X
Reazioni di complessazione:
considerazioni generali e terminologia
Aspetti teorici sulla formazione dei complessi
Complessi inerti e labili
Equilibri di complessazione
Formazione e dissociazione graduale dei complessi
Costanti condizionali
Effetto del pH sugli equil. di formazione dei complessi
Legandi come titolanti di ioni metallici
Influenza della formazione dei complessi
sui potenziali redox
Influenza della formazione dei complessi sulla solubilità
Esercizi
250
252
255
Indice
257
221
223
226
227
228
236
239
240
AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI
Area 01 – Scienze matematiche e informatiche
Area 02 – Scienze fisiche
Area 03 – Scienze chimiche
Area 04 – Scienze della terra
Area 05 – Scienze biologiche
Area 06 – Scienze mediche
Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie
Area 08 – Ingegneria civile e Architettura
Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione
Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche
Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Area 12 – Scienze giuridiche
Area 13 – Scienze economiche e statistiche
Area 14 – Scienze politiche e sociali
Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su
www.aracneeditrice.it
Finito di stampare nel mese di ottobre del 2011
dalla « Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »
00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma