Tutti i contenuti presenti nel Percorso di Matematica e Fisica sono

Tutti i contenuti presenti nel Percorso di Matematica e Fisica sono protetti
dalle leggi vigenti in materia di diritto d’autore. I titolari dei relativi diritti
sono
Giancarlo Travaglini (Dipartimento di Statistica, Università di
Milano-Bicocca)
e
Marco Paganoni (Dipartimento di Fisica, Università di Milano-Bicocca)
1
Percorso di Matematica e Fisica
2
Logica e linguaggio matematico
3
Percorso di Matematica e Fisica
4
Indice
1 Prologo
7
2 Linguaggio comune e linguaggio matematico
13
2.1 Quantificare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.2 La disgiunzione non esclusiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
3 Proposizioni e proprietà. Variabili logiche
19
3.1 Proposizioni e proprietà: è vero, è falso o dipende? . . . . . . 19
3.2 Variabili libere e vincolate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
4 Il linguaggio degli insiemi
4.1 Le parole chiave . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Operazioni su insiemi e loro corrispettivi logici
4.3 Insiemi numerici . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.4 Insiemi definiti da proprietà . . . . . . . . . .
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5 Implicazioni, dimostrazioni e contresempi
5.1 Implicazione tra proprietà:
la dimostrazione “con x generico” e il contresempio
5.2 Implicazione tra proprietà e inclusione tra insiemi .
5.3 Implicazione tra proposizioni . . . . . . . . . . . . .
5.4 Terminologia sulle implicazioni . . . . . . . . . . . .
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37
6 Negazioni e dimostrazioni indirette
6.1 Negazione di una proposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 Negazione e insieme complementare . . . . . . . . . . . . . . .
6.3 Dimostrazioni indirette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
40
40
45
45
7 Variabili numeriche e coerenza di una formula
7.1 Indici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2 Successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.3 Sommatorie e produttorie . . . . . . . . . . . .
7.4 Unione e intersezione di famiglie di insiemi . . .
53
53
55
56
62
8 Soluzioni degli esercizi
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Percorso di Matematica e Fisica
6
1
Prologo
Stamattina in classe è arrivato un nuovo professore. Non si sa ancora che
tipo sia, e i ragazzi lo squadreranno per bene. Anche lui, comunque, vuole
capire chi ha davanti. Dopo poche parole di saluto, va alla lavagna e disegna:
Quindi si rivolge alla classe e chiede:
“Questo è un trapezio?”
Dal fondo si sente una risatina.
Nel brusio, Paolo borbotta: “A me sembra un rettangolo”.
Luca, a bassa voce: “E chi si ricorda cos’è un trapezio!”.
Chiara, più educata: “Professore, forse sarebbe meglio ricordarci la definizione di trapezio”.
Il professore risponde: “Dunque, un trapezio è un quadrilatero con due
lati opposti paralleli; vi basta se vi dico questo?”
Paolo ripete, questa volta ad alta voce: “Comunque per me è un rettangolo”.
“D’accordo, ma vorrei che tu rispondessi alla mia domanda” ribatte il
professore.
“E’ quello che ho fatto!”
“No, io non ho chiesto se questa figura è o non è un rettangolo: ho chiesto
se questa figura è o non è un trapezio!”
“Se è un rettangolo non è un trapezio!” interviene Riccardo.
“Ne sei convinto?” Poi, rivolto a tutti: “Allora, alzi la mano chi di voi è
d’accordo con questa frase: ‘Se una figura è un rettangolo, allora non è un
trapezio’”. Si alza la mano di Riccardo, e pochi altri.
“Su la mano chi non è d’accordo, allora!” Nessuno alza la mano.
“Bene, e tutti gli altri cosa pensano?” Intanto si è fatto silenzio.
Paolo: “Beh, se lei dice che un trapezio è un quadrilatero con due lati paralleli, allora quello è un trapezio, però in realtà sappiamo che è un
rettangolo!”
“Come sarebbe ‘se io dico’ ? Tu hai un’altra definizione di trapezio?”
Chiara nel frattempo ha disegnato sul suo quaderno:
7
e interviene: “Va bene che un trapezio deve avere due lati opposti paralleli, però gli altri due devono essere storti, no?”
“No ragazzi” ora il professore si è fatto più serio. “Se io chiedo che
un oggetto soddisfi una certa proprietà per potersi chiamare trapezio, non
escludo che ne soddisfi anche qualcuna in più”.
“Sarebbe a dire?” chiede Luca.
“Sarebbe a dire che se diciamo ‘Un trapezio è un quadrilatero che ha
due lati opposti paralleli’, vogliamo dire che ogni volta che un quadrilatero
ha questa proprietà ha il diritto di chiamarsi trapezio. Se poi, in aggiunta,
anche gli altri due lati opposti sono paralleli, che male c’è?”
“Ma allora tutti i rettangoli sarebbero trapezi!” prosegue ancora Luca.
“Non ‘sarebbero’: allora tutti i rettangoli sono trapezi” ribadisce il professore. “Bravo, hai enunciato un teorema corretto sui quadrilateri!”
“Ma scusi -è di nuovo Riccardo- allora tanto varrebbe chiamarli tutti
trapezi! Perché usare due parole diverse, rettangoli e trapezi? ”.
“Perché, a te pare che tutti i trapezi siano rettangoli?” risponde sorridendo il professore.
“Ma se l’abbiamo appena detto... No, un momento...”. Riccardo è
confuso, ma nessuno ridacchia, stranamente.
“Intanto, cominciate a dirmi cos’è un rettangolo. Qual è la definizione di
rettangolo?”
Dopo un attimo di silenzio, prende la parola Silvia: “Un quadrilatero con
tutti gli angoli retti”.
“Bene, abbiamo detto che ogni rettangolo è un trapezio; poniamo di
averlo dimostrato, e torniamo all’altra domanda: è vero che ogni trapezio è
un rettangolo?”
Questa volta Chiara è sicura, alza il suo quaderno mostrando la figura
di trapezio che ha fatto e dice: “No, non è vero: questo trapezio non è un
rettangolo!”
“Brava, hai dimostrato che: ‘Non tutti i trapezi sono rettangoli’”.
“Come sarebbe ha dimostrato?” sbotta Luca stizzito. “Il professore dell’anno scorso ci faceva scrivere un sacco di passaggi alla lavagna per dimostrare i teoremi, quella lı̀ alza un quaderno con una figura e avrebbe dimostrato
qualcosa?”
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“Quella figura è un esempio di trapezio che non è anche un rettangolo.
Basta mostrarne uno per provare che ‘Non tutti i trapezi sono rettangoli’. Si può dire anche cosı̀: la vostra compagna ha usato un contresempio
per mostrare che il teorema ‘Tutti i trapezi sono rettangoli’ è falso. Comunque, per accontentare anche il vostro compagno che vuole delle dimostrazioni
“con i passaggi”, ora proviamo l’affermazione fatta prima, ossia che ‘Tutti i
rettangoli sono trapezi’. Disegnamo un generico rettangolo ABCD...
A
B
D
C
I 4 angoli sono retti, quindi le rette AB e CD sono parallele, perché
formano angoli retti con la trasversale AD, ad esempio. Quindi ecco che il
rettangolo ha due lati opposti paralleli, perciò è un trapezio, che è quello che
volevamo dimostrare. Per lo stesso motivo anche gli altri due lati, AD e BC,
sono paralleli tra loro, quindi abbiamo provato anche un’altra cosa: ‘ogni
rettangolo è un parallelogramma’, cioè un quadrilatero che ha due coppie di
lati opposti paralleli.
Ricapitoliamo: avete risposto alla mia domanda iniziale, con un’affermazione generale: tutti i rettangoli sono trapezi, che è conseguenza delle
definizioni di trapezio e di rettangolo; e avete mostrato, con un contresempio, che l’implicazione inversa, ossia ‘tutti i trapezi sono rettangoli’ è falsa.
Dimostrando che tutti i rettangoli sono trapezi, abbiamo scoperto di più:
tutti i rettangoli sono parallelogrammi”.
“...e quindi da oggi tutti i parallelogrammi sono trapezi” conclude ironico
Luca.
“Non da oggi, ma è proprio cosı̀. Bene, vedo che cominciate a prenderci
gusto! Allora introduciamo un altro personaggio: il rombo. Si dice che un
quadrilatero è un rombo se ha tutti i lati uguali”, e intanto disegna alla
lavagna:
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“Vi chiedo: si può dire che ogni rettangolo è un rombo?”
“Noo!” dicono in molti.
“E si può dire che qualche rettangolo è un rombo?”
“Come sarebbe qualche?” chiede Luca. “Se i rettangoli non sono rombi,
non lo sono e basta!”
Invece di rispondere, il professore ributta la palla alla classe:
“Secondo voi cosa vuol dire la domanda che ho fatto? Formulatela in
altro modo”.
“Vuole sapere se c’è almeno un rettangolo che sia anche un rombo”
propone Paolo.
“Esatto! E c’è o non c’è?” incalza il professore.
“Mah, vorrebbe dire... se c’è un quadrilatero che ha i 4 angoli retti e ha
anche i lati uguali...” Chiara sta ragionando ad alta voce “...ma allora è un
quadrato”.
“Benissimo, dunque qual è la risposta alla mia domanda? Si può dire che
qualche rettangolo è un rombo?”
“Sı̀, si può dire perché i quadrati sono rettangoli e rombi” risponde Chiara.
“Ma il prof chiedeva se c’è qualche rettangolo rombo, non qualche quadrato rombo” protesta Riccardo.
“Ma un rettangolo quadrato è un rombo!” conclude Chiara, guardandolo
con un po’ di sufficienza.
“Bene, abbiamo risposto anche a questa domanda. Ora rispondete a
quest’altra. Se io scrivo la frase: ‘Ogni rettangolo è un rombo’ e poi vi
chiedo di negarla, cosa dite voi?”
10
Riccardo: “Nessun rettangolo è un rombo”.
Luca: “Qualche rettangolo non è un rombo”.
“Qual è la negazione corretta, tra le due che sono state proposte?” chiede
il professore.
“La seconda” rispondono in due o tre, parlando insieme.
“Bene. E se io scrivo la frase ‘Nessun rettangolo è un rombo’ e poi vi
chiedo di negarla, cosa dite?”
“Qualche rettangolo non è un rombo” propone Luca.
“Bene. Basta cosı̀ con queste domande, almeno per oggi. Ora possiamo
iniziare la lezione di filosofia...”
Risata dal fondo della classe.
“Filosofia? Ma allora questo è matto” bisbiglia Paolo a Luca.
“D’accordo, scherzavo. Sono il vostro nuovo professore di matematica.
Volevo vedere come ragionate. Ma guardate che queste cose non servono
solo per la matematica! Non lavorate troppo a compartimenti stagni!”
Lasciamo ora che questa classe prosegua la sua prima lezione, e chiediamoci come ci saremmo comportati noi al posto loro. Ora le domande sono
rivolte a te che stai leggendo:
Ti è chiaro cosa significa dimostrare un teorema utilizzando le definizioni
che sono coinvolte?
Sapresti dire cos’è un’implicazione?
Cos’è la negazione di una proposizione?
Qual è, ad esempio, la negazione di “Per ogni triangolo isoscele esiste una
circonferenza inscritta in esso”?
Sai cos’è un contresempio?
Domande di questo tipo si potrebbero moltiplicare, ma sono solo esempi
per comunicare un concetto più generale. Da dodici anni o più studi matematica: sei sicuro di avere imparato davvero il linguaggio con cui ci si esprime,
in matematica? Certo, il linguaggio non è tutto. Ma tu vivresti dodici anni
all’estero senza voler imparare la lingua del posto?
Vuoi affrontare gli studi universitari, e sai che la matematica ti aspetta:
è una materia di base del corso che hai scelto, oppure è addirittura la disciplina che hai deciso di studiare, che ti interessa di più. Ma qual è la stoffa di
ciò che studierai? Al di là di termini tecnici ed elenchi di argomenti in programma, di cosa è fatto lo studio della matematica? Teoremi, dimostrazioni,
come procedono, di quali forme di ragionamento consistono? Quali sono le
attitudini mentali da sviluppare, da coltivare, per trovarsi a proprio agio in
questo studio?
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Questa dispensa è uno strumento di lavoro personale per cercare di rispondere a queste esigenze e a queste domande.
Qui troverai anzitutto una introduzione al linguaggio e alla logica con
cui si ragiona in matematica; quindi, osserveremo da vicino il Teorema e la
Dimostrazione, ossia ciò che sta al cuore stesso dello studio della matematica; cercheremo di sviluppare uno spirito sia critico che creativo in questo
studio, e nel far questo ci sposteremo spesso dal Teorema al Problema, dove
le mentalità dello studio e della ricerca sconfinano l’una nell’altra.
Tutto questo non sarà descritto in astratto, ma praticato attraverso esempi.
Non starai più seduto a osservare passivamente gli studenti immaginari
che rispondono al professore: in gioco ci sarai tu, in prima persona. Prendi
carta e penna e tienile vicine: ti serviranno spesso.
12
2
Linguaggio comune e linguaggio matematico
Le frasi che usiamo nel linguaggio comune contengono spesso, dal punto di
vista logico, delle espressioni dal significato ambiguo; solitamente il buon
senso di chi ascolta ed il contesto della frase chiariscono il loro significato.
In matematica, tuttavia, queste ambiguità sono pericolose, ed è bene fissare
delle regole precise sull’uso dei termini. In questo capitolo vedremo come il
linguaggio matematico chiarisce le più comuni tra queste “ambiguità”.
2.1
Quantificare
“Per tutti” o “per uno”?
Esempio 2.1 Consideriamo la frase:
“Un uomo guarda una stella”
e chiediamoci che cosa significa esattamente. A seconda del contesto, questa
frase potrebbe essere interpretata almeno in due modi:
“Un certo uomo sta guardando una certa stella”
“Ogni uomo guarda almeno una stella”
(e forse anche in altri modi).
Come si vede, l’articolo indeterminativo “un” del linguaggio comune può
contenere delle ambiguità. In matematica è fondamentale, in un esempio del
genere, esprimere la frase in una forma che quantifichi uomini e stelle di cui
si sta parlando. Le due espressioni fondamentali che ricorrono in questo caso
sono:
“Esiste un uomo tale che...”
“Per ogni uomo si ha che...”
Le locuzioni “per ogni” e “esiste” sono molto comuni in matematica. Si
chiamano quantificatori :
locuzione
per ogni, per tutti
esiste (esitono)
nome
quantificatore universale
quantificatore esistenziale
simbolo
∀
∃
Il quantificatore “esiste” è completato dalla locuzione “tale che”, secondo la
costruzione: “esiste un uomo x tale che x guarda una stella”:
locuzione
tale che
simbolo
:
13
Cercheremo ora di familiarizzarci con le espressioni tipicamente usate per
quantificare, per esprimere con precisione quanti oggetti hanno una certa
proprietà.
Esempio 2.2 Consideriamo le frasi:
a. “Un numero primo è dispari”.
b. “Un uomo nato nel 1910 è ancora vivo”.
Cosa vuol dire la (a)? “Ogni numero primo è dispari” (falso: anche 2
è primo) o “C’è un numero primo dispari” (vero)? Probabilmente la frase
sarebbe interpretata nel primo modo.
La (b) invece, “a orecchio” viene più facilmente interpretata al secondo
modo: “C’e un uomo nato nel 1910 che è ancora vivo” (vero), mentre interpretata all’altro modo risulterebbe falsa. Attenzione quindi ad esprimere in
modo preciso ciò che si vuole dire!
Di nuovo, notiamo come l’origine dell’ambiguità stia nell’uso dell’articolo
indeterminativo (“un”): per precisare il senso della frase, infatti, di volta
in volta abbiamo sostituito l’articolo indeterminativo con il quantificatore
opportuno (∃ o ∀).
Almeno, al più. Esistenza, unicità
Esempio 2.3 Consideriamo le seguenti frasi:
a. “Hai tre euro?” “Sı̀”
b. “Questo sgabello ha tre gambe”.
Le espressioni “avere tre euro” nella prima e “avere tre gambe” nella seconda
sono usate in sensi diversi. Nella (a), chi risponde sı̀ implicitamente non
esclude di avere più di tre euro, dice di averne almeno tre. Nella (b) invece è
implicito il fatto che lo sgabello ha solo tre gambe (ne ha tre e non di più!).
In generale, la frase: “C’è un oggetto x che soddisfa la proprietà p” ha
nel linguaggio comune un significato ambiguo: ce n’è almeno uno o ce n’è
esattamente uno? In matematica, la frase:
“Esiste un oggetto x che soddisfa la proprietà p” significa sempre:
“Esiste almeno un oggetto x che soddisfa la proprietà p”
(ed eventualmente ne esiste più d’uno).
In altre parole, il quantificatore “esiste” ha sempre il significato di “esiste
almeno”.
14
Esempio 2.4 Consideriamo la frase:
a. “Se l’equazione (*) è soddisfatta da qualche x ≥ 0, allora i coefficienti
sono tutti nulli”.
Cosa vuol dire “qualche”? Nel linguaggio matematico, “qualche” significa
“almeno uno” (non necessariamente più di uno). Non si chiede che la (*) sia
soddisfatta da due o tre x positivi: ne basta uno. Dunque la (a) è equivalente
alla frase:
b. “Se esiste x ≥ 0 che soddisfa l’equazione (*), allora i coefficienti sono
tutti nulli”.
Nello spirito di queste osservazioni, la 2.3 b andrebbe intesa allora nel
senso:
“Questo sgabello ha almeno tre gambe”.
Come potremmo fare ad esprimere il fatto che ne ha proprio tre? Ad
esempio cosı̀:
“Questo sgabello ha esattamente tre gambe”, oppure:
“Questo sgabello ha 3 e non più di 3 gambe”.
Infine, come faremmo a dire che questo sgabello ha 3 gambe oppure di
meno, ma non di più? Potremmo dire:
“Questo sgabello ha al più tre gambe”
il che significa che lo sgabello ha 3 gambe, oppure 2, oppure una, oppure
nessuna (!).
Notiamo anche che, se sappiamo che “esiste un x per cui vale la proprietà
p” ed anche che “esiste al più un x per cui vale la proprietà p”, possiamo
dire:
“Esiste uno e un solo x che soddisfa la p”
o anche:
“L’oggetto x che soddisfa la p esiste ed è unico”.
Il simbolo ∃! significa: “esiste ed è unico”.
Esercizio 2.5 Spiegare il senso preciso delle seguenti proposizioni. Successivamente, dire di ciascuna di esse se è vera o falsa.
a. “Se b è diverso da zero, esiste al più una soluzione dell’equazione ax + b =
0”.
b. “Se b = 0, esiste una soluzione dell’equazione ax + b = 0”.
15
Rifletti prima di proseguire nella lettura!
Soluzione 2.6 La (a) vuol dire che esiste una soluzione oppure nessuna, ma
non più di una. Si dice che è un teorema di unicità. Osserviamo che è vera:
se a 6= 0 la soluzione x esiste ed è unica: x = −b/a; se a = 0 non esiste
alcuna soluzione. La (b) invece afferma l’esistenza (ma non l’unicità) della
soluzione. Anch’essa è vera: se a 6= 0 la soluzione esiste ed è unica (x = 0),
se a = 0 ogni x è soluzione, e dunque le soluzioni sono infinite. Si dice che
è un teorema di esistenza.
Esercizio 2.7 Torniamo ora alla frase: “Un uomo guarda una stella”, che
ha le ambiguità viste. Indichiamo con p (x, y) l’espressione: “L’uomo x guarda la stella y”.
1. Trascrivere per mezzo dei quantificatori le frasi:
a. “Ogni uomo guarda una stella”
b. “C’è una stella che tutti gli uomini guardano”.
2. Trascrivere in linguaggio comune l’espressione: ∃x : ∀y p(x, y).
Rifletti prima di proseguire nella lettura!
Soluzione 2.8 1.a. ∀x∃y : p (x, y) ; 1.b. ∃y : ∀x p (x, y) .
Confrontando 1.a e 1.b, notare l’importanza fondamentale dell’ordine in
cui si mettono i quantificatori: lo scambio tra “∀x” ed “∃y” porta a due frasi dal significato completamente diverso: in particolare, nella prima frase la
stella può variare da persona a persona (non è detto che tutti gli uomini guardino la stessa stella), mentre la seconda frase esprime proprio la situazione
opposta.
2. “C’è un uomo che guarda tutte le stelle”.
16
2.2
La disgiunzione non esclusiva
Esempio 2.9 Consideriamo le seguenti frasi:
a. “O resti a fare i compiti, o non esci stasera”
b. “Un numero si dice primo se ogni volta che divide n · m si ha che divide
n o divide m.”
Riflettere sul significato che si attribuisce alla (a) nel linguaggio comune, e
alla (b) in matematica; cosa si può osservare, riguardo all’uso della locuzione
“o”?
Soluzione 2.10 Nella (a) la “o” lega le due condizioni “resti a fare i compiti” e “non esci stasera”. Si afferma che o l’una o l’altra cosa è vera. Chi
si sente dire questa frase però spera che non siano vere entrambe! (Resto a
fare i compiti e non esco stasera). Ossia: qui è naturale intendere la “o” in
senso esclusivo (l’ aut latino): delle due alternative, deve valere una e una
sola.
Osserviamo ora la (b). Si tratta di una definizione aritmetica corretta, purché
si interpreti adeguatamente la “o”. In questo caso l’interpretazione esclusiva della “o” darebbe dei problemi. Basta considerare il caso banale in cui
p = n = m. E’ vero che p divide n · m, dunque “o p divide n o p divide
m.” Ma in questo caso sono vere entrambe le cose! L’uso che qui si fa della
“o” è quello non esclusivo, che è l’unico comunemente usato in matematica
(corrispondente al vel latino):
dire che vale a o b significa dire che
vale a, oppure vale b, oppure valgono entrambe.
Per fissare le idee, prova a ripensare...
...il significato e il modo di usare i termini:
Esiste; Tale che; Esiste ed è unico; Qualche; Per ogni; Almeno; Al più;
Esattamente; o;
...e il significato dei simboli:
∃ ∀ : ∃!
Esercizio 2.11 Indicando ancora con p (x, y) l’espressione “L’uomo x guarda la stella y”, costruire mediante p (x, y) tutte le possibili espressioni contenenti due quantificatori (es. ∀y ∃x : p (x, y)) e un quantificatore (es.
∃y : p (x, y)). Trascriverle poi nel linguaggio comune.
La frase “C’è un uomo che non guarda nessuna stella” è incompatibile con
quali delle precedenti frasi contenenti due quantificatori? E la frase “C’è una
stella che nessuno guarda”?
17
Esercizio 2.12 Il paese di Nu si trova in una regione abitata sia da uomini
bianchi che neri (e non è abitata da uomini di altri colori). Tradurre in affermazioni precise, riguardanti gli abitanti di Nu, le seguenti affermazioni:
a. “Nu è un paese bianco”
b. “Nu non è un paese bianco”
c. “Nu è un paese misto”.
Esercizio 2.13 Riscrivere le seguenti frasi mediante i quantificatori ∃, ∀:
a. “Tutti sbagliano qualche volta”
b. “Ogni polinomio di grado dispari ha almeno una radice reale”
c. “Ogni anno c’è un giorno in cui tutti i negozi sono aperti”.
18
3
Proposizioni e proprietà. Variabili logiche
3.1
Proposizioni e proprietà: è vero, è falso o dipende?
Esempio 3.1 Consideriamo le seguenti frasi:
a. Il numero 103 è primo
b. Il triangolo T è rettangolo.
c. Esiste un numero maggiore di n che divide 10.
d. Domani a Milano pioverà.
e. Il triangolo che ha tre angoli acuti.
Per ognuna di queste frasi ci chiediamo: è vera o falsa?
Soluzione 3.2 La (a) è vera: per verificarlo basta provare a dividere 103
per ciascun intero minore di 103 (diverso da 1) e osservare che non si ottiene mai un quoziente intero.
√ (Anzi, è sufficiente provare a dividere 103 per
ciascun intero minore di 103; anzi, è sufficiente provare a dividere 103 per
2, 3, 5, 7: lo studente rifletta sul perché1 .
Per la (b) non si può rispondere “vero” o “falso”: dipende da chi è T .
Per certi T sarà vera, per altri T sarà falsa. Ma certamente per un ben determinato T sarà o vera o falsa. La (a) e la (b) sono dunque piuttosto diverse
tra loro. La differenza può essere evidenziata nel fatto che la b contiene la
variabile T . In generale:
Si dice proposizione una frase (sensata) di cui si può dire
“una volta per tutte” se è vera o falsa.
Si dice forma proposizionale una frase (sensata) che contiene una variabile,
cioè un nome, un simbolo ecc. che può indicare diversi oggetti,
e che di conseguenza è vera o falsa purché
si fissi un particolare valore della variabile;
si dice anche che esprime una proprietà, o un predicato.
1
Se un intero positivo n non è primo, significa che
√ n = a · b con a, b diversi
√ da n e da
√ 1.
Ora, almeno uno tra
i
numeri
a,
b
è
certamente
≤
n;
infatti,
se
fosse
a
>
n
e
b
>
n,
√ √
si avrebbe a · b > n · n = n, assurdo perché a · b = n. Dunque√per scoprire se n è
primo o no, è sufficiente provare
a dividerlo per tutti gli interi k ≤ n. Approfondiamo
√
il ragionamento: se k ≤ n è un divisore di n, allora o k è un numero√primo, oppure
ha (almeno) un divisore p primo; questo numero primo p, anch’esso ≤ n, sarà anche
un divisore di n. In conclusione: per√decidere se n è primo o no, è sufficiente provare a
dividerlo per tutti i numeri primi ≤ n.
19
Soluzione 3.3 La (b) è una forma proposizionale; contiene T come variabile (per evidenziare questo fatto possiamo indicarla con b (T )), ed esprime
la proprietà “essere un triangolo rettangolo”. Notiamo che la (a) (che è una
proposizione) effettivamente non contiene variabili. Una forma proposizionale dà origine ad una proposizione ogni volta che si assegni un particolare
valore alle sue variabili. Ad esempio:
¡ ¢
b T : “Il triangolo T è rettangolo” con T :
è una proposizione (falsa).
Soluzione 3.4 Si dovrebbe ora riconoscere facilmente che anche la (c), come
la (b), non è una proposizione, ma esprime una proprietà (in questo caso,
una proprietà del numero n).
Veniamo ora alla (d). E’ vera o falsa? Non lo sappiamo. Ma contiene
delle variabili? No. La (d) non è una forma proposizionale, ma una proposizione, come la (a). A differenza della (a), però, ignoriamo se la (d) sia
vera o falsa. Ma questo non toglie che essa sia certamente vera o falsa, e che
questo si deciderà una volta per tutte, non in dipendenza da significati specifici da attribuirsi a simboli che compaiono nella frase (valori da assegnare a
variabili).
Infine, osserviamo la (e): ci si rende subito conto che questa frase non
ha senso compiuto. Perciò non perdiamo tempo a chiederci se è vera o falsa.
E’ un esempio banale per segnalare il fatto che le frasi che prenderemo in
considerazione (e di cui ci chiederemo se sono proposizioni o proprietà, se
sono vere o false, ecc.) devono preventivamente essere sintatticamente corrette (una frase scorretta non “afferma” nulla, quindi non può essere vera
o falsa). Non interessa qui precisare delle regole di correttezza formale: in
generale basta un po’ di buon senso per capire se una certa frase è corretta;
in particolare, non occorre sapere se è vera o falsa, e neppure “sapere cosa
vuol dire”. Ad esempio, la frase: “Se f è olomorfa in Ω, allora la parte reale
di f e la parte immaginaria di f sono armoniche in Ω” è sintatticamente
corretta?
20
Esercizio 3.5 Per ciascuna delle seguenti frasi, decidere se si tratta di una
proposizione o di una proprietà. Nel secondo caso, dire quali sono le variabili
libere.
(a). Ogni triangolo rettangolo T è inscrivibile in una circonferenza C.
(b). Il numero n è un primo del tipo 2k − 1 per qualche k.
(c). ∃m tale che per ogni k ≥ m si ha log k > M.
(d). ∀ε > 0 ∃n tale che per ogni k ≥ n si ha 2−k ≤ ε.
3.2
Variabili libere e vincolate
Quanto detto su proposizioni e proprietà sarà meglio precisato nel prossimo:
Esempio 3.6 Riconoscere se le seguenti sono proposizioni o proprietà.
a. Per ogni intero n maggiore di 2, il numero 2n è somma di due numeri
primi dispari.
b. Il numero 2n è divisibile per 6.
c. Assegnato un cubo Q, esiste un piano π che taglia Q in due parti uguali.
Rifletti prima di proseguire nella lettura!
Soluzione 3.7 (a) e (c) sono proposizioni, (b) è una proprietà. E’ importante notare il ruolo diverso che ha il simbolo n nella (a) e nella (b). Nella
(b) c’è una effettiva variabile (ad esempio, per n = 4 la (b) è falsa, per n = 3
la (b) è vera); nella (a) no, perché si afferma che ogni numero 2n ha una
certa proprietà: se questa proprietà è falsa anche per un solo n, la (a) è falsa;
altrimenti la (a) è vera. Si dice che nella (b) la variabile n è libera, mentre
nella (a) è vincolata da un quantificatore (in questo caso ∀). Il fatto che nella
(a) la variabile n non sia libera si capisce anche pensando che ad essa non
possiamo assegnare un valore. Ad esempio, la frase “Per ogni intero 4 maggiore di 2 ecc.” non ha alcun significato (non ci sono tanti numeri quattro!):
nella frase originaria la variabile n è usata (2 volte) per formulare la frase,
21
ma è una variabile “interna” o “muta”, ossia è quantificata dalla locuzione
“per ogni” o “esiste”, che la precede. Si può quindi precisare la definizione
data in precedenza dicendo che:
Una proposizione è una frase che non contiene variabili libere
(e di conseguenza è vera o falsa “una volta per tutte”),
a differenza di una forma proposizionale
che contiene una o più variabili libere
(e diventa vera o falsa a seconda del valore assegnato alle variabili).
Soluzione 3.8 Osserviamo che anche la (c) non contiene variabili libere.
Infatti ha una struttura del tipo: “∀Q ∃π : p (Q, π)”. (Notare che “assegnato un cubo Q” significa “∀ cubo Q”). Dunque entrambe le variabili sono
vincolate, ossia cadono sotto l’azione di un quantificatore.
Per inciso, segnaliamo che la (a) è nota in teoria dei numeri come “congettura di Goldbach”, ed è un problema ancora aperto in matematica sapere
se sia vera o falsa. Ecco quindi un esempio di proposizione matematica, che
in quanto tale è certamente vera o falsa “una volta per tutte”, anche se noi
non sappiamo dire se sia vera o falsa2 .
Esempio 3.9 Consideriamo la frase:
a0 .“Per ogni intero k maggiore di 2, il numero 2k è somma di due numeri
primi dispari”
e chiediamoci: il significato di questa frase è uguale o diverso da quello della
(a) dell’esempio precedente?
Chiediamoci poi lo stesso per la frase:
a00 .“Per ogni intero k maggiore di 2, il numero 2n è somma di due numeri
primi dispari”
2
Nella sua forma originale, la congettura è contenuta in una lettera scritta nel 1742 da
Goldbach a Eulero, e sosteneva che ogni numero pari maggiore di 2 fosse la somma di 3
numeri primi; Eulero riformulò la congettura suggerendo che ogni numero pari maggiore di
2 si possa scrivere come somma di due primi. Nonostante il premio di 1 milione di dollari
messo in palio per chi dimostrasse la congettura entro il marzo dell’anno 2000, nessuno
finora l’ha provata. Per avere un’idea della notorietà di questo problema, provare a fare
una ricerca in internet su “Goldbach conjecture”.
22
Rifletti prima di proseguire nella lettura!
Soluzione 3.10 La (a0 ) ha lo stesso significato della (a), come mostra un
attimo di riflessione. L’uso del “nome” k anziché n per la variabile vincolata
che vi compare, è irrilevante: ciò che conta è che tale nome sia lo stesso nelle
due occorrenze all’interno della frase. Proprio per questo, invece, la (a00 ) non
ha lo stesso significato di (a) e (a0 ): dal punto di vista formale, non è una
proposizione (in sostanza, in un caso come questo si può dire che “chi l’ha
scritta si è sbagliato”).
In generale:
Il significato delle proposizioni “∀x p (x)” e “∃x : p (x)” non cambia
se sostituiamo alla variabile x un’altra variabile, in entrambe le occorrenze.
Si dice perciò che x è una variabile muta.
E’ importante che lo studente impari a percepire immediatamente quando una frase contiene variabili libere, quando non ne contiene, e quando è
scorretta.
Esempio 3.11 Consideriamo la proprietà p (n): “n è un numero pari”, e
riscriviamola in modo più esplicito: cosa significa esattamente?
Soluzione 3.12 La frase significa:
p (n): “∃k ∈ N : n = 2k”
Notiamo che la frase “n = 2k” è una proprietà contenente 2 variabili
libere; possiamo indicarla con q (n, k) . La proprietà p (n) si può allora riformulare come: “∃k ∈ N : q (n, k)”. Notiamo che il quantificatore, agendo sulla proprietà q (n, k) che ha 2 variabili libere, l’ha trasformata nella proprietà
p (n) che ha una sola variabile libera.
In generale:
Ogni quantificatore riduce di uno il numero di variabili libere
nella proprietà su cui agisce.
In particolare, applicandolo ad una proprietà con una sola variabile libera,
si ottiene una proposizione.
23
Per fissare le idee, prova a ripensare...
...il significato e il modo di usare i termini:
Proposizione; Forma proposizionale; Proprietà; Predicato; Variabile; Variabile libera; Variabile vincolata; Variabile muta.
Esercizio 3.13 Completare correttamente le seguenti frasi usando gli opportuni quantificatori (scrivere la frase in forma discorsiva, senza usare simboli,
ma con termini precisi, in particolare usando opportunamente le espressioni
“esiste” e “per ogni”).
a. Dati 2 interi positivi a, b,si dice che a è divisibile per b se...
b. Un intero positivo a si dice primo se...
c. Due interi a, b si dicono primi tra loro se...
d. Un poligono si dice regolare se...
e. Un triangolo si dice isoscele se...
Esercizio 3.14 Criticare le seguenti definizioni, se sono mal formulate perché mancano o sono ambigui opportuni quantificatori.
a. La funzione f si dice continua nel punto 0 se: ∀ε > 0, ∀x, se |x| < δ allora
|f (x) − f (0)| < ε.
b. Un punto x0 si dice di frontiera per l’insieme A se un cerchio di centro x0
contiene punti di A e punti che non sono in A.
c. Un numero intero n si dice dispari se n = 2k + 1.
24
4
Il linguaggio degli insiemi
Se il linguaggio della logica entra in qualsiasi discorso “formalizzato”, quello
degli insiemi è più caratteristico del discorso matematico. Occorre prender
confidenza con entrambi questi linguaggi, e saper passare agilmente dall’uno
all’altro, che spesso sono due facce di una stessa medaglia. Da più di un secolo l’intero edifico matematico è edificato sulla base della logica e della teoria
degli insiemi. La teoria degli insiemi fu formalizzata come teoria assiomatica
a partire dagli anni 1905-1910; noi la utilizzeremo in modo informale, più o
meno come si faceva al sorgere della teoria, intorno al 18803 .
4.1
Le parole chiave
Un paio di “definizioni” di insieme che si trovano in opere di Cantor (fine
’800) suonano cosı̀:
“Chiamerò insieme ogni aggregato di oggetti distinti del mio pensiero o
della mia intuizione”
oppure:
“Chiamerò insieme ogni molti che si lascia pensare come uno”.
Si tratta di definizioni ingenue, per il rigore moderno, ma certamente
suggestive. Anche noi ci accontenteremo di dare alla parola insieme il suo
significato intuitivo di aggregato, famiglia, collezione, ecc., di oggetti a priori
qualsiasi.
Un insieme (solitamente indicato da una lettera maiuscola, come A, B, . . .)
è costituito da elementi (solitamente indicati con lettere minuscole, come
a, b,..., oppure x, y,...), anzi è totalmente determinato quando è noto quali
elementi appartengono all’insieme stesso. Si scrive
x∈A
3
Il matematico più noto il cui nome è legato indissolubilmente al nascere della teoria
degli insiemi è Georg Cantor (1845-1918). E’ soprattutto la teoria degli insiemi infiniti,
con le sue sottigliezze e le situazioni lontane dall’intuizione che vi si presentano, ad essere
problematica: infatti, utilizzandone i concetti in modo “ingenuo”, si arriva facilmente
a paradossi (come la famosa “antinomia di Russel”, di cui parleremo più avanti). Fu
anche per ovviare a questi paradossi, che, a partire dall’inizio del ’900, si proposero varie
sistemazioni assiomatiche della teoria. Chi è interessato a queste questioni può cercare
qualche edizione economica (in italiano o in inglese, ad esempio ediz. Dover) delle opere di
Cantor, Dedekind, Frege, Russel, per fare qualche nome “storico” legato alle origini della
teoria, oppure qualche testo sulla teoria assiomatica degli insiemi, ad esempio di Zermelo
e Fraenkel.
25
per indicare che x appartiene ad A, cioè x è un elemento di A, e affermare
questo sottointende che A sia un insieme (mentre x potrebbe essere qualsiasi
cosa, in particolare -perché no?- anche un insieme).
Le 3 parole chiave sono quindi: insieme, elemento, appartenere.
Un insieme è individuato dagli elementi che vi appartengono. Perciò due
insiemi sono uguali se e solo se contengono esattamente gli stessi elementi.
Il simbolo
{. . .}
indica l’insieme costituito dagli elementi indicati tra le parentesi. Gli elementi
possono essere indicati o elencandoli, o assegnando un criterio con cui cui
determinare se un dato oggetto è o non è elemento dell’insieme, o con un
misto delle due cose.
Esempio 4.1 Se scriviamo
A = {0, 1, 2, −2}
stiamo definendo l’insieme A costituito esattamente dagli elementi 0, 1, 2, −2.
In questo caso abbiamo elencato gli elementi.
Se diciamo “Sia B l’insieme delle soluzioni reali dell’equazione x5 −3x2 +
5x − 1 = 0” stiamo dando un criterio con cui decidere se un dato numero
è o non è elemento di B (basta vedere se soddisfa l’equazione), dunque B è
determinato.
Se diciamo “Sia C l’insieme costituito dai numeri interi primi e dai
numeri 4 e 9” stiamo determinando l’insieme C con un misto dei due metodi.
Ogni eventuale ordine introdotto tra gli elementi (se ad esempio si elencano) o molteplicità con cui appare un elemento sono irrilevanti ai fini della
definizione di un insieme. Ciò significa ad esempio che i tre insiemi
A = {1, 2} ; B = {2, 1} ; C = {1, 2, 1}
sono lo stesso insieme.
Inclusione. Un insieme A è contenuto, o incluso, in B se ogni elemento
che appartiene ad A appartiene anche a B. Si scrive allora
A⊆B o A⊂B.
La stessa cosa si può esprimere dicendo che B contiene A, o include A, e si
scrive B ⊇ A o B ⊃ A. Si dice allora che A è un sottoinsieme di B.
26
Osservazione 4.2 (Inclusione ed inclusione stretta). Di solito si scrive A ⊆
B per indicare che A è incluso in B nel senso appena spiegato, il che non
esclude la possibilità che sia A = B; si usa invece A ⊂ B per indicare
l’inclusione stretta, ovvero il fatto che A ⊆ B e A 6= B. Tuttavia questa
convenzione non è usata da tutti; molti testi usano A ⊂ B come sinonimo
di A ⊆ B. Salvo avviso contrario, nel seguito non sarà cosı̀ importante
distinguere le due cose.
Due insiemi coincidono (cioè sono lo stesso insieme) se hanno gli stessi
elementi, quindi se ogni elemento che appartiene al primo appartiene anche
al secondo, e viceversa. Perciò
A = B se e solo se A ⊆ B e B ⊆ A.
C’è uno e un solo insieme che non ha alcun elemento: l’insieme vuoto,
che si indica col simbolo ∅, ed è un sottoinsieme di ogni insieme. (Evitare
di usare il simbolo ∅ per indicare lo zero!).
Infine, i simboli ∈, ⊆ introdotti hanno anche il corrispettivo negativo:
x∈
/A
A"B
x non appartiene ad A
A non è incluso in B
Abbiamo introdotto solo pochi semplici simboli e concetti, tuttavia è
importante rifletterci per imparare ad usarli senza far confusione:
Esempio 4.3 Siano A = {1, 2, 3} ; B = {{1} , {2, 3}}.
a. A e B sono uguali?
b. A e B hanno gli stessi elementi?
c. A e B hanno lo stesso numero di elementi?
d. 1 ∈ A? 1 ∈ B? {1} ∈ A? {1} ∈ B?
e. 1 ⊆ A? 1 ⊆ B? {1} ⊆ A? {1} ⊆ B?
f. ∅ ⊆ A? ∅ ∈ A?
Soluzione 4.4 (a),(b): dire “A e B sono uguali” è lo stesso che dire “A e B
hanno gli stessi elementi”; gli elementi di A sono i numeri 1, 2, 3; gli elementi
di B sono gli insiemi {1} e {2, 3}: tutt’altra cosa: quindi le domande (a) e
(b) hanno risposta negativa. Riflettere sul fatto che: il simbolo {1} denota
l’insieme il cui (unico) elemento è il numero 1, quindi {1} è una cosa diversa
da 1; ogni cosa può essere elemento di un insieme, in particolare un insieme
può essere elemento di un altro insieme. (c). No, A ha 3 elementi, B ne ha
2 (gli insiemi {1} e {2, 3}). (d). 1 ∈ A; 1 ∈
/ B; {1} ∈
/ A; {1} ∈ B. (e).
1 " A; 1 " B; {1} ⊆ A; {1} " B. (f ) ∅ ⊆ A; ∅ ∈
/ A.
27
Per capire le risposte (d),(e),(f), riflettere sulla differenza tra ∈ e ⊆. Il
simbolo ∈ indica l’appartenenza di un elemento ad un insieme; il simbolo
⊆ indica l’inclusione di un insieme in un altro insieme. Basta allora tenere
presente questo e ricordare chi sono gli elementi di A e B per rispondere
correttamente.
4.2
Operazioni su insiemi e loro corrispettivi logici
In un contesto matematico fissato, spesso c’è un insieme X che svolge il ruolo di universo, ossia tale che tutti gli insiemi di cui si parla in quel contesto
sono sottoinsiemi di X. Ad esempio, se stiamo parlando di questioni aritmetiche, l’insieme universo potrebbe essere quello dei numeri naturali. Tra i
sottoinsiemi di un “insieme universo” X, si possono definire varie operazioni:
• intersezione di due insiemi A e B:
A ∩ B = {x ∈ X : x ∈ A e x ∈ B} ;
• unione di A e B:
A ∪ B = {x ∈ X : x ∈ A o x ∈ B} .
• differenza (insiemistica) tra A e B:
A \ B = {x ∈ A : x ∈
/ B}
• complementare di A (in X):
Ac = {x ∈ X : x ∈
/ A} .
(Notare che Ac non è altro che X \ A; è comodo però introdurre un simbolo specifico per il complementare, perché permette di lasciare sottointeso
l’insieme universo, quando ciò non generi confusione). Si noti che le operazioni di intersezione e unione di insiemi sono definite, rispettivamente, mediante
la congiunzione (“e”) e la disgiunzione (“o”) logica, mentre le operazioni di
differenza e complementazione corrispondono alla negazione logica. Le locuzioni “e”, “o”, “non” prendono il nome di connettivi logici. Si ha quindi il
seguente schema:
Connettivi logici
locuzione
nome
simbolo
e
congiunzione
∧
o
disgiunzione
∨
non
negazione
∼
Operazioni insiemistiche
nome
simbolo
intersezione
∩
unione
∪
complementare
()c
Approfondiremo in seguito le proprietà della negazione; inoltre, vedremo che
esiste un quarto connettivo logico, l’implicazione.
28
Insiemi distinti e insiemi disgiunti
Due insiemi si dicono disgiunti se non hanno alcun elemento in comune.
Perciò dire che A, B sono disgiunti significa che
A ∩ B = ∅.
Due insiemi si dicono distinti se non sono lo stesso insieme: A, B distinti
significa che
A 6= B.
Si osservi che affermare che A, B sono disgiunti è molto più forte che affermare
che sono distinti.
Esercizio 4.5 Siano P l’insieme dei pesci, M l’insieme dei mammiferi, A
l’insieme degli animali acquatici. Per ogni coppia di insiemi tra questi, dire
se sono disgiunti, distinti, o se c’è un’inclusione.
Esercizio 4.6 Siano P l’insieme dei numeri pari, D l’insieme dei numeri
dispari, Q l’insieme dei numeri primi. Per ogni coppia di insiemi tra questi,
dire se sono disgiunti, distinti, o se c’è un’inclusione.
4.3
Insiemi numerici
Conviene introdurre subito i simboli con cui si indicano i principali insiemi
numerici che si usano in matematica:
N, Z, Q, R.
N indica l’insieme dei numeri naturali, ossia quelli con cui contiamo:
0, 1, 2, 3, . . .
Z indica l’insieme dei numeri interi (relativi):
0, 1, −1, 2, −2, . . .
Q indica l’insieme dei numeri razionali, ossia quelli che si possono scrivere
come frazioni (tra interi):
nn
o
Q=
: n, m ∈ Z, m 6= 0 .
m
29
I numeri razionali si possono scrivere anche in forma decimale (eseguendo la
divisione tra interi). In tal caso, si possono presentare due possibilità:
• o il numero razionale può essere espresso mediante un numero finito di
decimali, come nel caso
5
= 0.625;
8
• oppure dopo un numero finito di passi si entra in una situazione “ciclica”, in cui le cifre decimali del quoziente si ripetono periodicamente, come
in
58
= 4, 461538 461538 461538 461538 . . . = 4, 461538.
13
Quindi: i numeri razionali ammettono una rappresentazione decimale
avente, dopo la virgola, un numero finito di cifre diverse da zero oppure una
successione infinita, ma in questo caso periodica, di cifre diverse da zero. (Si
rimanda ai libri di algebra di scuola per la regola che consente, viceversa,
di ricostruire, a partire dall’espressione decimale di un numero razionale, la
frazione che la genera).
L’ultima cosa che occorre ricordare è che un periodo non può essere costituito solo dalla cifra 9, nel senso che: 0, 9 = 1; 23, 459 = 23, 46, ecc.
Infine,
R indica l’insieme dei numeri reali, ossia quelli che, scritti in forma decimale, presentano dopo la virgola un allineamento eventualmente illimitato
e non periodico di cifre decimali. Se tale allineamento è effettivamente illimitato e non periodico, il numero di dice irrazionale, altrimenti ritroviamo
un numero razionale. L’insieme dei numeri reali si indica con R, e contiene
Q. Quindi completiamo (per il momento) la catena di inclusioni tra insiemi
numerici, scrivendo:
R ⊃ Q ⊃ Z ⊃ N.
√
L’esempio più semplice di numero irrazionale è 2. Il suo sviluppo decimale
è:
√
2 = 1.41421356237309504880168872420969807856967187537695 . . .
Ovviamente, una scrittura del genere indica solo le prime cifre decimali.
4.4
Insiemi definiti da proprietà
Torniamo sul problema di come si fa concretamente a definire un insieme.
Abbiamo visto che un primo modo che consiste nell’elencarne gli elementi,
come nell’esempio
A = {1, 2, 3} .
30
Questo sistema funziona solo con gli insiemi finiti. Spessissimo però gli insiemi di cui interessa parlare nel discorso matematico sono insiemi infiniti
(come gli insiemi numerici N, Z, Q, R), di cui non è possibile elencare tutti
gli elementi. Allora come si fa? Abbiamo detto: si usa un criterio con cui
decidere se un elemento appartiene a un dato insieme. Precisiamo meglio,
ora, questo punto di vista, alla luce di quanto abbiamo detto su variabili e
proprietà.
Il procedimento tipico è quello di individuare, all’interno di un insieme
universo che già si conosce, il sottoinsieme costituito dagli elementi che soddisfano una certa proprietà. Ad esempio, come potremmo definire l’insieme
dei numeri pari ?
P = {n ∈ N : n è multiplo di 2} .
Se chiamiamo p (n) la proprietà “n è multiplo di 2 ”, vediamo che la definizione precedente ha la struttura logica:
P = {x ∈ X : p (x)}
ossia: P è definito come l’insieme degli elementi x di un certo universo X
che soddisfano una certa proprietà caratteristica, p.
Questa è una forma tipica di definizione: un insieme può essere definito a
partire da una proprietà caratteristica e da un altro insieme, “universo”, già
definito. Quest’ultima precisazione è essenziale: una proprietà non genera
un insieme “dal nulla”, ma individua un sottoinsieme di un insieme già dato;
la violazione di questa regola può generare antinomie e contraddizioni varie4
Per fissare le idee, prova a ripensare...
...il significato e il modo di usare i termini:
Insieme; Elemento; Appartenere; Inclusione; Sottoinsieme; Insieme universo; Intersezione; Unione; Differenza insiemistica; Complementare; Insieme vuoto; Insiemi distinti; Insiemi disgiunti; Numeri naturali; Numeri interi;
Numeri razionali; Numeri reali; Proprietà caratteristica di un insieme;
4
Sappiamo che un insieme può essere a sua volta elemento di un insieme, in particolare
potrebbe essere elemento di se stesso. Sia allora p (x) la proprietà “l’insieme x non è
elemento di se stesso” (il che è ciò che capita normalmente), ossia p (x) è “x ∈
/ x”, e sia
C = {x : p (x)} , ossia l’insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stesso.
Chiediamoci ora: C ∈ C? Un attimo di riflessione mostra che C ∈ C se e solo se C ∈
/ C!
Questa è la famosa “antinomia di Russel”, generata dal fatto che abbiamo preteso di
definire l’insieme C = {x : p (x)} senza prima premunirci di verificare che esista il relativo
insieme universo: questo dovrebbe essere l’insieme di tutti gli insiemi, un concetto però
autocontraddittorio. Chi è interessato a questi problemi, provi ad esempio a cercare in
internet “antinomia di Russel” o “Russel paradox”...
31
...e il significato dei simboli:
∈; ⊂; ⊆; =; ∈;
/ "; ∅; ∩; ∪; \; Ac ; N; Z; Q; R; {a, b, c} ; {x ∈ X : p (x)} .
Esercizio 4.7 Elencare tutti i possibili sottoinsiemi (compreso il vuoto e
l’insieme stesso) dei seguenti insiemi:
A = {1, 2, 3} ; B = {1, {2, 3}} ; C = A ∪ B (dove A, B sono gli insiemi
appena definiti); D = {∅} .
Esercizio 4.8 Provare che se a, b, c, d sono 4 numeri interi e
{a, {a, b}} = {c, {c, d}} ,
allora necessariamente a = c e b = d.
Esercizio 4.9 Sia Q+ l’insieme dei numeri razionali positivi; allora Q+ ∩
Z = ...?
Esercizio 4.10 Siano A, B ⊂ R. Si considerino le seguenti due proposizioni:
a. ∀x ∈ A ∃y ∈ B tale che x < y
b. ∃y ∈ B tale che ∀x ∈ A si ha x < y.
Le proposizioni (a) e (b) sono logicamente equivalenti? Se sı̀, darne una
dimostrazione, se no fare un esempio di una coppia di insiemi A, B per cui
una delle due è vera e l’altra è falsa.
32
5
Implicazioni, dimostrazioni e contresempi
5.1
Implicazione tra proprietà:
la dimostrazione “con x generico” e il contresempio
Il prossimo concetto logico che vogliamo introdurre è quello di implicazione, che ci porterà a riflettere sulla struttura tipica dei teoremi matematici.
Consideriamo il seguente
Teorema 5.1 Per ogni numero naturale n, se n è pari allora n2 è pari.
In simboli:
¡
¢
∀n ∈ N n pari ⇒ n2 pari
Il simbolo ⇒ si legge “implica”, o anche “se...allora”, ed indica l’implicazione
logica tra due proprietà (o proposizioni); significa che se è vero l’antecedente (la prima delle due proprietà), allora è vero il conseguente (la seconda
delle due). Più precisamente, un’implicazione tra due proprietà è espressa
normalmente nella forma:
∀x ∈ A (p (x) ⇒ q (x))
(5.1)
e significa: “per ogni x ∈ A per cui p(x) è vero, anche q(x) è vero”. Notiamo che la frase (5.1), ottenuta a partire dalle proprietà p (x) e q (x), è una
proposizione. Moltissimi teoremi matematici hanno questa struttura logica.
Chiediamoci: come si può dimostrare un’affermazione del genere? Il problema nasce dal fatto che, se nell’insieme A ci sono infiniti elementi x che
soddisfano p (x), come possiamo sperare di dimostrare la q (x) per ciascuno
di questi elementi? Per esempio: i numeri pari sono infiniti, come possiamo
dimostrare che il quadrato di ciascuno di essi è pari? In realtà, quello che
facciamo per provare il teorema è considerare il generico x ∈ A che soddisfa
p (x), e provare per questo la q (x).
Per dimostrare che ∀x ∈ A (p (x) ⇒ q (x)) ,
l’idea chiave è quindi l’identificazione di “per tutti gli x dell’insieme A”
con “per qualsiasi x dell’insieme A”
ossia “per il generico x dell’insieme A”.
Questo è ciò che ci consente di dimostrare infiniti asserti con un numero
finito di parole! Tutto sta allora nel capire, caso per caso, come si può
esprimere esplicitamente il fatto che “x è un generico elemento di A che
soddisfa p (x)”. Illustriamo queste idee nella dimostrazione del teorema sopra
riportato.
33
Proof. Sia n ∈ N il generico numero pari. Questo significa che ∃k ∈ N :
n = 2k. Allora
¡ ¢
n2 = (2k)2 = 4k 2 = 2 2k 2
e poiché (2k 2 ) è un intero, 2 (2k 2 ) è pari, ossia n2 è pari, che è quanto si
voleva dimostrare.
Osservare che “il generico x” non significa “un x particolare, fissato”:
dire, ad esempio: “4 è pari, 42 = 16 è pari, quindi il quadrato di un numero
pari è pari” non sarebbe stata una dimostrazione corretta!
Consideriamo ora il seguente
Esempio 5.2 Stabilire se è vera la seguente proposizione:
a. “Se p è un numero primo, allora p è un numero dispari”.
Soluzione 5.3 La proposizione (a) è falsa. Infatti 2 è un numero primo e
non è dispari.
Notare che qui non abbiamo compiuto una dimostrazione: abbiamo trovato un numero n che soddisfa l’antecedente e non il conseguente: dunque
l’implicazione è falsa. Si badi bene: non “falsa in un caso”, ma, semplicemente, falsa, perché la (a) afferma che comunque si scelga un numero primo
p si ha che p è dispari.
Un esempio di oggetto che soddisfa l’antecedente
ma non il conseguente di una implicazione,
e dunque ne mostra la falsità, si chiama contresempio.
Soluzione 5.4 n = 2 è un contresempio alla (a).
Osservazione 5.5 Congetture e pregiudizi. Si noti la profonda differenza
tra il procedimento con cui si dimostra la verità e quello con cui si dimostra
la falsità, per una proposizione del tipo
∀x ∈ A (p (x) ⇒ q (x)) .
Questo significa che, quando una proposizione del genere è ancora una “congettura” (qualcosa di cui non si sa se è vera o falsa), è utile avere un qualche
pregiudizio ragionevole circa la sua verità o falsità. Infatti, se cerchiamo una
dimostrazione del fatto che sia vera e non la troviamo, questo non prova la
sua falsità; e se cerchiamo un contresempio che ne mostri la falsità e non lo
troviamo, questo non prova la sua verità!
34
5.2
Implicazione tra proprietà e inclusione tra insiemi
L’implicazione è il quarto connettivo logico che incontriamo, come e, o, non;
abbiamo visto che i primi 3 connettivi sono in relazione alle 3 operazioni insiemistiche di intersezione, unione, complementare. Vediamo ora come l’implicazione ha a che fare con la relazione di inclusione insiemistica. Infatti,
consideriamo di nuovo la:
∀x ∈ A (p (x) ⇒ q (x)) .
(5.2)
Se definiamo i sottoinsiemi di A:
P = {x ∈ A : p (x)} ; Q = {x ∈ A : q (x)} ,
si riconosce subito che la (5.2) è equivalente alla relazione
P ⊆ Q.
(5.3)
Viceversa, dati due qualsiasi sottoinsiemi C, D di A, se definiamo in A le
proprietà:
c (x) = “x ∈ C”; d (x) = “x ∈ D”
vediamo che la (5.3) è equivalente alla:
∀x ∈ A (c (x) ⇒ d (x)) .
Di nuovo, incontriamo un concetto logico ed uno insiemistico che sono
due facce della stessa medaglia.
Esempio 5.6 Si consideri la frase:
a. “Ogni poligono regolare è inscrivibile in una circonferenza”.
Sia X l’insieme di tutti i poligoni del piano; se, per x ∈ X, indichiamo con:
p (x) la proprietà “x è regolare” e con
q (x) la proprietà “x è inscrivibile in una circonferenza”,
la (a) si può riscrivere nella forma equivalente:
b. ∀x ∈ X, (p (x) ⇒ q (x)) .
D’altro canto, se indichiamo con:
R l’insieme di tutti i poligoni regolari del piano, e con
C l’insieme di tutti i poligoni inscrivibili in una circonferenza,
la (a) o la (b) si possono riscrivere nella forma equivalente:
c. R ⊆ C.
La stessa cosa si può quindi affermare mediante un’implicazione tra proprietà
o mediante un’inclusione insiemistica.
35
Queste osservazioni aiutano a riflettere sulla strategia dimostrativa che
occorre seguire per dimostrare un’inclusione (oppure l’uguaglianza) tra due
insiemi: provare che
A⊆B
equivale a provare che
∀x (x ∈ A ⇒ x ∈ B)
e per far questo occorre prendere il generico x ∈ A, e provare che x ∈ B.
Analogamente, provare che
A=B
significa provare che
A⊆B eB⊆A
ossia, ragionando su elementi, provare che
∀x (x ∈ A ⇒ x ∈ B) e ∀x (x ∈ B ⇒ x ∈ A) .
Esercizio 5.7 Dimostrare, ragionando su elementi, la proprietà distributiva
dell’intersezione rispetto all’unione:
A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) .
Esercizio 5.8 Tradurre in linguaggio insiemistico le seguenti affermazioni,
come illustrato nell’esempio seguente:
“ogni a è b”, ad esempio “ogni gatto è un animale”. Sia A l’insieme dei
gatti, B l’insieme degli animali, allora si sta affermando che A ⊆ B, ovvero
∀x (x ∈ A ⇒ x ∈ B).
Tradurre ora:
“qualche a è b”;
“qualche b è a” (è lo stesso del precedente?);
“qualche a non è b”;
“qualche b non è a” (è lo stesso del precedente?);
“nessun a è b”;
“nessun b è a” (è lo stesso del precedente?);
“ogni a è b ma qualche b non è a”.
Esercizio 5.9 Usando un ragionamento insiemistico, criticare (cioè stabilire se sono corretti o meno) i seguenti sillogismi:
a. Socrate è un uomo; qualche uomo ha la barba; quindi Socrate ha la barba.
b. C’è un Pedrangiolfo che beve birra; i Pedrangiolfi sono Gondraldi, quindi
qualche Gondraldo beve birra.
36
5.3
Implicazione tra proposizioni
Esempio 5.10 Consideriamo ora queste implicazioni:
a. Se domani pioverà, resterò in casa.
b. Se è vero quello che dici, io sono Napoleone!
Queste frasi esprimono un’implicazione non più tra proprietà ma tra proposizioni. Sono frasi del tipo:
p⇒q
e il modo esatto di intenderle è: “se è vero p è vero anche q”. Notare che
non avrebbe senso invece dire, come nell’implicazione tra proprietà: “Tutte
le volte che è vera p è vera anche q”, per il fatto che la p (come la q) è vera
o falsa una volta per tutte. Consideriamo (a). Domani si potrà dire se è
vera o falsa. Se ha piovuto e sono rimasto in casa è vera; se ha piovuto e
sono uscito è falsa. Ma anche se non ha piovuto è vera, qualunque cosa io
abbia fatto, perché in tale eventualità io non mi sono impegnato né a uscire
né a non uscire. La (b) poi è un modo paradossale per dire “stai mentendo”:
infatti se tu dicessi il vero io dovrei essere Napoleone, cosa certamente falsa.
Si rifletta anche sul prossimo:
Esercizio 5.11 Marco dice a Luca: “Se domani ti ricordi di rendermi il
libro che ti ho prestato, ti offro da bere”. Il giorno dopo Luca si dimentica il
libro, e Marco non gli offre da bere. Marco ha mantenuto la sua promessa?
E se gli avesse offerto da bere? Esprimere questa situazione col linguaggio
delle implicazioni.
Soluzione 5.12 Poniamo:
a. Domani mi porti il libro
b. Domani ti offro da bere
p. a ⇒ b (p =promessa). a è falsa dunque p è vera sia se b è vera sia se
b è falsa: in entrambi i casi Marco ha mantenuto la sua promessa. Infatti,
Marco infrange la promessa in un unico caso: se Luca si ricorda di portargli
il libro, e Marco non gli offre da bere.
5.4
Terminologia sulle implicazioni
Quello che diremo qui vale per l’implicazione tra proprietà o tra proposizioni,
indifferentemente.
• L’implicazione a ⇒ b si può leggere nei seguenti modi:
“a implica b”
“se vale a allora vale b”
37
“a vale solo se vale b”
“a è condizione sufficiente per b”
“condizione sufficiente per b è a”
“b è condizione necessaria per a” o “condizione necessaria per a è b”
• La doppia implicazione a ⇔ b si può leggere nei seguenti modi:
“a vale se e solo se vale b”
“condizione necessaria e sufficiente per b è a”
Esempio 5.13 Consideriamo di nuovo la frase (v. Esempio 5.6):
a. “Ogni poligono regolare è inscrivibile in una circonferenza”
Con il linguaggio delle condizioni, la (a) si può riformulare equivalentemente come:
b. “Condizione sufficiente affinché un poligono sia inscrivibile in una
circonferenza è che sia regolare”
oppure:
c. “Condizione necessaria affinché un poligono sia regolare è che sia inscrivibile in una circonferenza”
Per fissare le idee, prova a ripensare...
...il significato e il modo di usare i termini:
Implicazione; Antecedente; Conseguente; Generico; Contresempio; Condizione necessaria; Condizione sufficiente
...e il significato dei simboli:
⇒; ⇔
Esercizio 5.14 Si considerino le affermazioni
p: “Se f è una funzione derivabile, allora f è una funzione continua”.
q: “Condizione sufficiente affinché f sia integrabile è che f sia continua”
a. Sia:
D = {funzioni derivabili};
C = {funzioni continue};
I = {funzioni integrabili}.
In base alle due affermazioni citate, che relazione insiemistica c’è tra C e
D? E tra I e C?
b. Dalle due relazioni precedenti quale relazione insiemistica segue? Esprimerla anche in termini logici come proposizione sulle funzioni.
c. Se ciascuna delle due inclusioni è stretta, cosa si può inoltre affermare
sulle funzioni?
38
d. Dalle informazioni precedenti si può dedurre che esiste una funzione integrabile ma non derivabile?
[Soluzione]
Esercizio 5.15 Si consideri l’affermazione:
“Sia f derivabile. Condizione necessaria affinché f abbia un massimo locale
in x0 è che f abbia derivata nulla in x0 ”. Siano:
D = {funzioni derivabili};
M = {funzioni con massimo locale in x0 };
Z = {funzioni con derivata nulla in x0 }.
Il teorema citato equivale a quale relazione insiemistica tra D, M, Z?
39
6
6.1
Negazioni e dimostrazioni indirette
Negazione di una proposizione
Negare una proposizione p significa affermare che p è falsa. Perciò la negazione di p è la proposizione “p è falsa”. E’ utile però, per poter ragionare
sulla negazione di p (che si indica con ∼ p, o ¬p, o p̄) riscrivere la frase “p
è falsa” mettendola il più possibile in positivo, perché si capisca meglio che
cosa afferma. In sostanza:
per costruire la negazione di p
occorre costruire una proposizione ∼ p tale che:
1. se p è vera ∼ p è falsa;
2. se p è falsa ∼ p è vera.
Esempio 6.1 Costruire la negazione delle seguenti proposizioni:
p1 : “Tutte le strade portano a Roma”;
p2 : “C’è almeno un grattacielo, a New York, senza ascensore”.
Rifletti prima di proseguire nella lettura!
Soluzione 6.2 Le negazioni corrette di p1 e p2 sono:
∼ p1 : “Esiste una strada che non porta a Roma”;
∼ p2 : “Ogni grattacielo, a New York, ha l’ascensore”.
Osservare che queste formulazioni sono preferibili alle seguenti:
∼ p1 : “Non tutte le strade portano a Roma”;
∼ p2 : “Non c’è un grattacielo, a New York, senza ascensore”.
Queste ultime, formalmente corrette (ed equivalenti alle precedenti proposizioni proposte come negazioni) sono ottenute semplicemente premettendo
un “non” alla frase, e sono meno esplicite. Notare che la formulazione di
∼ p2 è “più esplicita” quando la negazione è portata “più all’interno” della proposizione. (Cosa significhi “più all’interno” si può capire osservando
questi e i successivi esempi proposti).
40
Osserviamo che è essenziale che siano soddisfatte entrambe le condizioni
1-2 nel costruire la negazione.
Se q è una proposizione tale che:
1. se p è vera q è falsa
questo significa che p e q sono tra loro incompatibili (non possono essere
entrambe vere) ma osserviamo che non qualunque frase incompatibile con p
è la negazione di p. Ad esempio, la frase:
“Nessuna strada porta a Roma”
è incompatibile con p, ma non ne è la negazione: soddisfa 1 ma non 2.
Cosı̀ se q è una frase tale che:
2. se p è falsa q è vera
questo significa che la falsità di una è incompatibile con la falsità dell’altra.
Anche questo da solo non basta ad affermare che q sia la negazione di p. Ad
esempio la frase:
“C’è un grattacielo, a New York, che ha l’ascensore”
è una proposizione la cui falsità è incompatibile con la falsità di q, ma non è
la negazione di q. (Soddisfa 2 ma non 1).
Osserviamo infine che per costruire la negazione di una proposizione p
non interessa sapere se p, effettivamente, è vera o falsa: la negazione è una
operazione “formale”, sintattica, non è influenzata dal valore di verità della
proposizione di partenza. Ad esempio, è opinabile il fatto che tutte le strade portino a Roma, ma non è opinabile il fatto che la negazione di questa
proposizione sia quella che abbiamo dato!
Esercizio 6.3 Costruire la negazione delle seguenti proposizioni:
1. Ogni soluzione dell’equazione (*) è positiva.
2. Per ogni circonferenza C esiste almeno una corda passante per il centro
di C.
3. Il numero p divide a o divide b.
4. Il numero p è primo e divide n.
5. Se è vera questa notizia c’è da preoccuparsi.
6. L’equazione (*) ammette al più una soluzione.
7. Esistono almeno 3 soluzioni distinte dell’equazione (*).
8. Esistono infiniti numeri primi.
9. Se 3 divide ab, allora 3 divide a o divide b.
10. Se oggi piove domani non uscirò.
11. Ogni intero prodotto di tre interi successivi è divisibile per 2 e per 3.
12. Per ogni numero reale x, se x è soluzione positiva dell’equazione (*),
allora x > 5 o x < 3.
13. Se non è lui il colpevole, qualcuno ha mentito.
41
14. Per ogni x tale che |x − x0 | < δ si ha |f (x) − f (x0 )| < ε.
15. Per ogni ε > 0 esiste un intero n0 tale che per ogni n > n0 è |an − l| < ε.
Rifletti prima di proseguire nella lettura!
Soluzione 6.4 Per chiarezza, riporteremo ogni volta la frase iniziale (da
negare) e la sua negazione.
1. Ogni soluzione dell’equazione (*) è positiva. Negazione corretta:
Esiste una soluzione dell’equazione (*) non positiva.
La 1 è analoga alla p dell’esempio 6.1: la negazione di ∀x p(x) è ∃x :∼ p(x).
In sintesi:
∼ ∀x p(x) = ∃x :∼ p(x)
(6.1)
2. Per ogni circonferenza C esiste almeno una corda passante per il centro
di C. Negazione corretta:
Esiste una circonferenza C tale che ogni sua corda non passa per il centro
di C.
Qui si combina quanto visto nelle p, q dell’esempio 6.1: poiché la negazione
di ∃x : p(x) è ∀x ∼ p(x), ossia
∼ ∃x : p(x) = ∀x ∼ p(x),
tenendo presente anche la (6.1) si ha che, se indichiamo con P (C, c) la frase “la corda c passa per il centro della circonferenza C”, la negazione di
“∀ Circonf. ∃ corda: P (C, c)” è: “∃ Circonf.: ∀ corda ∼ P (C, c)”.
3. Il numero p divide a o divide b. Negazione corretta:
Il numero p non divide a e non divide b.
La negazione di (p o q) è (∼ p e ∼ q), in sintesi:
∼ (p ∨ q) = (∼ p∧ ∼ q)
4. Il numero p è primo e divide n. Negazione corretta:
42
Il numero p non è primo o non divide n.
La negazione di (p e q) è (∼ p o ∼ q), in sintesi:
∼ (p ∧ q) = (∼ p∨ ∼ q)
Osserviamo che si può formulare anche cosı̀: “Se il numero p è primo, allora
non divide n” (o quella, speculare, “Se il numero p divide n, allora non è
primo”). Anche questa frase, infatti, esclude esattamente il caso in cui le
due proprietà valgono contemporaneamente.
5. Se è vera questa notizia c’è da preoccuparsi. Negazione corretta:
Questa notizia è vera e non c’è da preoccuparsi.
La negazione di p ⇒ q è p∧ ∼ q: perché l’implicazione sia falsa dev’essere
vero l’antecedente e falso il conseguente. In sintesi:
∼ (p ⇒ q) = p∧ ∼ q
6. L’equazione (*) ammette al più una soluzione. Negazione corretta:
L’equazione (*) ammette almeno due soluzioni distinte. E’ necessario
dire “distinte” perché le soluzioni siano davvero 2: 2 soluzioni coincidenti
sono una soluzione.
7. Esistono almeno 3 soluzioni distinte dell’equazione (*). Negazione
corretta:
Esistono al più 2 soluzioni distinte dell’equazione (*).
8. Esistono infiniti numeri primi. Negazione corretta:
Esiste (al più) un numero finito di numeri primi.
L’espressione “al più” si può omettere pur di ricordarsi che anche zero è un
numero finito, ossia che questa proposizione ammette anche che possano non
esserci del tutto numeri primi.
9. Se 3 divide ab, allora 3 divide a o divide b. Negazione corretta:
3 divide ab, e 3 non divide né a né b.
La negazione di a ⇒ (b o c) è: a e (∼ b e ∼ c) (combinando le regole viste
negli esempi 3 e 5). Osserviamo anche che la 9, inserita in un contesto
adeguato, andrebbe probabilmente intesa cosı̀: “Per ogni a e b, se 3 divide
ab, allora 3 divide a o divide b”. (Come già osservato, il “per ogni” si lascia
spesso implicito nelle implicazioni tra proprietà). Allora la negazione della
9, più precisamente è: “Esistono a e b tali che 3 divide ab, e 3 non divide né
a né b”.
10. Se oggi piove domani non uscirò. Negazione corretta:
Oggi piove e domani uscirò.
11. Ogni intero prodotto di tre interi successivi è divisibile per 2 e per 3.
Negazione corretta:
43
Esiste un intero prodotto di tre interi successivi che o non è divisibile per
2 o non è divisibile per 3.
12. Per ogni numero reale x, se x è soluzione positiva dell’equazione (*),
allora x > 5 o x < 3 Negazione corretta:.
Esiste un numero reale x che è soluzione positiva dell’equazione (*) e tale
che 3 ≤ x ≤ 5.
(Cioè: x è non maggiore di 5 e x è non minore di 3).
13. Se non è lui il colpevole, qualcuno ha mentito. Negazione corretta:
Non è lui il colpevole, e nessuno ha mentito.
14. Per ogni x tale che |x − x0 | < δ si ha |f (x) − f (x0 )| < ε. Negazione
corretta:
Esiste un x tale che |x − x0 | < δ e |f (x) − f (x0 )| ≥ ε.
15. Per ogni ε > 0 esiste un intero n0 tale che per ogni n > n0 è |an − l| <
ε. Negazione corretta:
Esiste ε > 0 tale che per ogni intero n0 esiste un n > n0 tale che |an − l| ≥
ε.
Esercizio 6.5 Dei componenti di una certa famiglia si sa che “almeno un
maschio non è tifoso dell’Inter” e che non è vero che “almeno un maschio
non è maggiorenne”. Si può dedurre che in quella famiglia:
(A) almeno un maggiorenne è tifoso dell’Inter
(B) nessun maggiorenne è tifoso dell’Inter
(C) almeno un tifoso dell’Inter non è maggiorenne
(D) almeno un maggiorenne non è tifoso dell’Inter
(E) tutti i tifosi dell’Inter sono maggiorenni.
Esercizio 6.6 Scrivere in forma il più possibile esplicita le seguenti proposizioni negative:
a. Non è possibile che ogni volta che ho bisogno di andare a Roma ci sia
uno sciopero dei treni!
b. Non è la prima volta che nessuno si rifiuta di fare questa cosa.
c. Non c’è da stupirsi se nessuno pensa che non sia stato lui.
Esercizio 6.7 Costruire la corretta negazione delle seguenti proposizioni:
(a). La funzione f è derivabile e possiede almeno un punto di massimo.
(b). La funzione g raggiunge il suo massimo all’interno del dominio
oppure è costante.
(c). Per ogni intervallo I e per ogni funzione f definita in I, se f è
derivabile in I allora f è continua in I.
44
(d). Per ogni numero intero n, se n non è primo allora esistono almeno
due numeri primi minori di n.
(e). Il numero M ha la proprietà che ∀x ∈ A,è x ≤ M.
6.2
Negazione e insieme complementare
Abbiamo già osservato che la negazione logica è in relazione con l’operazione
insiemistica di complementare: fissato un insieme universo X, se
A = {x ∈ X : p (x)}
il complementare di A sarà l’insieme
A = {x ∈ X :∼ p (x)} .
Allora le regole con cui si nega la congiunzione o la disgiunzione logica corrispondono a regole con cui si costruisce il complementare dell’intersezione o
dell’unione di insiemi: sono le cosiddette “leggi di De Morgan”:
(A ∩ B) = A ∪ B;
(A ∪ B) = A ∩ B.
Esercizio 6.8 Dimostrare le precedenti uguaglianze tra insiemi, ragionando
su elementi.
Esercizio 6.9 Dimostrare le seguenti Leggi di De Morgan per la differenza
insiemistica:
A \ (B ∪ C) = (A \ B) ∩ (A \ C)
A \ (B ∩ C) = (A \ B) ∪ (A \ C) .
6.3
Dimostrazioni indirette
Una volta imparato a costruire e riconoscere la negazione di una proposizione,
vediamo come questa si usa in matematica, quando si cerca di dimostrare
o confutare una tesi. Qui si vede perché è importante saper costruire la
negazione di una proposizione “senza chiedersi se è vera o falsa”: l’uso della
negazione è proprio uno strumento per capire se una proposizione è vera o
falsa, quindi non dobbiamo aver bisogno di saperlo già, per costruirla.
45
Controinverse
Un primo impiego delle negazioni si ha grazie alla legge delle controinverse.
Consideriamo una proposizione p della forma:
p: a ⇒ b,
ad esempio la frase, già considerata in un esempio:
p: “Se è vera questa notizia, c’è da preoccuparsi”.
Se la p vale, non è detto che valga anche la:
q: ∼ a ⇒∼ b,
ossia: “Se è falsa questa notizia, non c’è da preoccuparsi”. Infatti, potrebbero
esserci altri motivi per preoccuparsi! Osserviamo però che la:
p0 : ∼ b ⇒∼ a,
ossia: “Se non c’è da preoccuparsi, questa notizia non è vera” ha lo stesso
valore di verità della p (ossia: è vera se p è vera ed è falsa se p è falsa). La p
e la p0 in sostanza dicono la stessa cosa. Questo è un fatto generale:
se p è la proposizione a ⇒ b,
la proposizione p0: ∼ b ⇒∼ a si dice controinversa, o contronominale di
p.
La legge delle controinverse, che è una regola fondamentale della logica
classica, afferma che una proposizione p e la sua controinversa hanno lo stesso
valore di verità, cioè sono entrambe vere o entrambe false, cioè sono logicamente equivalenti. Allora per dimostrare che a ⇒ b si può dimostrare che
∼ b ⇒∼ a. Questo talvolta può essere più comodo.
Esempio 6.10 Dimostrare che:
Per ogni numero naturale n, se n2 è pari allora n è pari.
Dimostrare direttamente questo teorema significherebbe procedere cosı̀:
“Supponiamo che esista k ∈ N tale che n2 = 2k, e proviamo che allora
esiste h ∈ N tale che n = 2h.”. Un attimo di riflessione mostra che questo non è facile: scritta l’equazione n2 = 2k, non sappiamo come sfruttarla.
Consideriamo invece la controinversa del teorema: “Per ogni numero naturale n, se n è dispari allora n2 è dispari”. Questa si dimostra facilmente (con
la stessa tecnica usata per provare che n pari implica n2 pari):
Sia n = 2k + 1 il generico numero dispari (ossia, supponiamo che esista
k ∈ N tale che n = 2k + 1); allora
¡
¢
n2 = (2k + 1)2 = 4k 2 + 4k + 1 = 2 2k 2 + 2k + 1 = 2h + 1
per h = 2k 2 + 2k ∈ N; dunque n2 è dispari.
Possiamo dire in questo caso che l’implicazione è stata dimostrata indirettamente, perché in realtà è stata dimostrata la sua controinversa.
46
Osservazione 6.11 La doppia negazione. Dalla legge delle controinverse segue il fatto che ∼∼ p e p sono equivalenti (due negazioni affermano). Infatti
sappiamo che:
1. p vera ⇒ ∼p falsa;
2. p falsa ⇒ ∼p vera.
Scrivendo la controinversa della 2 si ha:
20. ∼p falsa ⇒ p vera,
che, insieme alla 1, dice:
3. p vera⇔ ∼p falsa
cioè: la verità di p è equivalente alla falsità di ∼p. In modo analogo si vede
che:
4. p falsa ⇔ ∼p vera.
(La 3 e la 4 sono, ciascuna, un’altra possibile definizione di negazione). Allora si ha:
p vera ⇔ ∼p falsa ⇔ ∼∼p vera
quindi p e ∼∼p sono equivalenti.
Osservazione 6.12 Condizioni necessarie. La legge delle controinverse permette di giustificare l’uso della locuzione “condizione necessaria”. Cosa significa, nel linguaggio comune, l’affermazione “p è necessario per q”? Significa che “non si può fare a meno di p se si vuole avere q”, ossia: “se p non
vale, allora non vale q”. E questo, per la legge delle controinverse, è equivalente a “q implica p”, che è proprio il significato che si dà in matematica
all’espressione “condizione necessaria per q è p”.
Dimostrazioni per assurdo
Un altro tipo di dimostrazione indiretta è la dimostrazione per assurdo. Supponiamo di voler dimostrare: p ⇒ q. Procediamo cosı̀: assumiamo come
nuove ipotesi p e ∼ q (cioè: la vecchia ipotesi più la negazione della vecchia
tesi) e procediamo deduttivamente alla ricerca di una contraddizione, cioè di
un fatto che sia in contrasto con le ipotesi (p e ∼ q) o con qualche assioma
ammesso o qualche teorema già dimostrato, o più in generale porti in sé un
qualunque tipo di contraddizione. Quando otteniamo questa contraddizione,
diciamo che la tesi del nostro originale teorema (q) è stata raggiunta. La
validità di questo metodo dimostrativo, che appare naturale anche al ragionamento comune, è anch’essa una regola della logica classica. Osserviamo
che la dimostrazione di p ⇒ q mediante il ricorso alla controinversa si può
vedere come caso particolare di dimostrazione per assurdo. (Se abbiamo dimostrato ∼ q ⇒∼ p, e supponiamo vere p e ∼ q, dev’essere vera sia p che
∼ p, assurdo, e dunque q è dimostrata).
47
Mostriamo due esempi classici di dimostrazione per assurdo. Teoremi
e dimostrazioni qui presentate si trovano negli “Elementi” di Euclide (300
a.C.): si tratta dunque di dimostrazioni esemplari, “da manuale”.
Teorema 6.13 Non esiste un numero razionale il cui quadrato sia 2.
Proof. Per assurdo, sia r un numero razionale tale che r2 = 2; dunque
r = n/m con n, m ∈ Z; supponiamo inoltre che la frazione n/m sia già ridotta
ai minimi termini (cioè non sia semplificabile). Allora si ha la seguente catena
deduttiva:
r¡2 =
¢ 2
n 2
=2
m
2
n = 2m2
allora n2 è pari
ma allora (per quanto dimostrato nell’esempio 6.10) anche n è pari
ossia n = 2k per qualche k ∈ Z.
Ma allora l’uguaglianza n2 = 2m2 implica
(2k)2 = 2m2
4k 2 = 2m2
2k 2 = m2
ma allora m2 è pari
e allora anche m è pari
dunque sia n che m sono pari, assurdo, perché avevamo supposto che la
frazione n/m non fosse semplificabile.
Osservazione 6.14 Questo teorema prova che la diagonale e il lato di un
quadrato sono lunghezze tra loro incommensurabili. Questo significa anche
che il sistema dei numeri razionali non è adatto ad esprimere le lunghezze di
tutti i segmenti contenuti in una retta5 .
5
Infatti: supponiamo di scegliere sulla retta un segmento a come unità di misura delle
lunghezze; costruiamo con riga e compasso un quadrato di lato a, e sempre con un compasso riportiamo sulla retta un segmento di lunghezza pari alla diagonale d del quadrato.
Qual è la lunghezza di d? Se la lunghezza di a è 1, per il teorema di Pitagora il quadrato
della lunghezza di d dovrebbe essere uguale a 2. Ma nessun numero razionale ha quadrato
pari a 2, quindi la lunghezza di d non è espressa da alcun numero razionale. Potremmo
scegliere allora d come nuova unità di misura, ed ovviamente allora d avrebbe lunghezza 1;
ma, iterando il ragionamento, costruendo la diagonale del quadrato di lato d otterremmo
un nuovo segmento la cui lunghezza non è espressa da alcun numero razionale. Conclusione: comunque fissiamo un segmento a unità di misura delle lunghezze, esistono sempre
segmenti, effettivamente costruibili con riga e compasso a partire da a, la cui misura non
è espressa da alcun numero razionale; dunque l’insieme dei numeri razionali è insufficiente
ad esprimere le lunghezze di tutti i segmenti contenuti in una retta. Secondo la tradizione,
questo fatto fu scoperto nel 6◦ secolo a.C. da qualche seguace della scuola Pitagorica, e
48
Teorema 6.15 Esistono infiniti numeri primi.
Proof. Per assurdo, supponiamo che siano al più un numero finito, ed
elenchiamoli tutti: p1 , p2 , ..., pn . Sia ora
p = p1 · p2 · ... · pn + 1.
Questa scrittura mostra che p diviso per p1 dà un certo quoziente, e resto 1.
(Infatti, in generale: dire che a diviso b dà quoziente q e resto r significa dire
che è a = b · q + r, con r < b).
Dunque p1 non divide p. Analogamente p2 , p3 , ..., pn non dividono p. Dunque p, non essendo divisibile per nessun numero primo, è anch’esso un numero
primo. (Qui diamo per acquisito il teorema che dice: se un numero ammette
un divisore non banale, ammette senz’altro un divisore primo).
D’altra parte p è distinto da p1 , p2 , ..., pn , perché, per come è definito, è
maggiore di ciascuno di essi. Questo è assurdo, perché significa che l’elenco
iniziale non era completo.
Osservazione 6.16 In questo caso l’assurdo è una contraddizione con l’ipotesi assurda. (Si mostra cioè che ∼ q ⇒ q; notare che l’ipotesi p in questo
teorema non compare esplicitamente). Questo esempio dovrebbe chiarire in
che senso una dimostrazione per assurdo è una dimostrazione indiretta: per
mostrare che esistono infiniti numeri primi si mostra che, supponendo ce ne
sia solo un numero finito, si trova un assurdo. Del resto, come si sarebbe
potuto pensare di esibire effettivamente infiniti numeri primi?
Mostriamo ora un esempio più elementare:
Proposizione 6.17 Non è possibile definire in alcun modo il quoziente di
un numero per zero, mantenendo valide le proprietà usuali dell’aritmetica.
Proof. Per assurdo, sia possibile. Sia a il quoziente di 1 per 0 (a = 1/0).
Ciò significa, per definizione, che 1 = a · 0. Ma è noto che per ogni numero
a si ha a · 0 = 0; dunque: 1 = 0, assurdo.
Esercizio 6.18 Dimostrare il seguente teorema: “Se h, k sono due interi e
hk non è divisibile per 4, allora almeno uno tra h e k è dispari”.
fu considerato un vero smacco per la matematica del tempo. Valutazione non poi troppo
pessimistica, se consideriamo il fatto che una buona comprensione della natura dei numeri
irrazionali avvenne solo intorno al 1880 (ad opera di Dedekind, Cantor, Weierstrass), ossia
circa 2400 anni dopo!
49
Esercizio 6.19 Dimostrare che il numero log4 10 è irrazionale.
Esercizio 6.20 Dimostrare che l’equazione
x3 + 2x2 + 3x + 4 = 0
non ha soluzioni razionali.
Esercizio 6.21 Provare che non è possibile definire la potenza 00 mantenendo valide le usuali proprietà delle potenze.
Per fissare le idee, prova a ripensare...
...il significato e il modo di usare i termini:
Negazione di una proposizione; Insieme complementare; Leggi di De Morgan; Controinversa; Legge delle controinverse; Doppia negazione; Dimostrazione per assurdo
...e come si scrive, in simboli, la:
Negazione di “∀x p (x)”; Negazione di “∃x : p (x)”; Negazione di “p ∧ q”;
Negazione di “p ∨ q”; Negazione di “∀x (p (x) ⇒ q (x))”; Negazione di “p ⇒
q”.
Esercizi di ricapitolazione su quantificatori, implicazioni logiche,
ragionamenti per assurdo
Esercizio 6.22 Per ognuna delle seguenti coppie di frasi, si chiede: sapendo
che vale la (a), cosa si può dire della (b)? Ossia: in base alla sola (a),
senza compiere ulteriori indagini o dimostrazioni, possiamo concludere che
(b) è vera, o possiamo concludere che (b) è falsa, o non possiamo concludere
nessuna delle due cose?
1.(a) Il numero 9 non è primo ed è dispari
1.(b) Ogni numero dispari tra 1 e 10 è primo
2.(a) 5 divide 20 e divide 10
2.(b) Se n divide 20, allora n divide 10
3.(a) 3 divide 6 e divide 12
3.(b) Se n divide 6, allora n divide 12
4.(a) La funzione f non è derivabile ma è continua
4.(b) Ogni funzione continua è derivabile
5.(a) Esiste un triangolo rettangolo
50
5.(b) Tutti i triangoli sono isosceli
6.(a) Sul tavolo ci sono due bicchieri
6.(b) Sul tavolo c’è un bicchiere
7.(a) Esiste un uomo che non ha la coda
7.(b) Tutti gli uomini non hanno la coda
8.(a) Nessun uomo ha la coda
8.(b) Non tutti gli uomini hanno la coda
9.(a) Il gruppo H non è ciclico ma è abeliano
9.(b) Ogni gruppo ciclico è abeliano
10.(a) L’equazione (*) ha al più una soluzione
10.(b) Se x1 e x2 sono soluzioni dell’equazione (*), allora x1 = x2
11.(a) Ogni gruppo ciclico è abeliano; inoltre, il gruppo G è ciclico
11.(b) Il gruppo G è abeliano
12.(a) Ogni soluzione dell’equazione (*) o è intera o non è razionale
12.(b) Ogni soluzione razionale dell’equazione (*) è intera
13.(a) Esiste un gatto con due code
13.(b) Tutti i gatti hanno una sola coda
Esercizio 6.23 Il sig. Sempronio è stato assassinato, e l’assassino ha agito da solo. Si consideriano le seguenti proposizioni, riguardanti il crimine
avvenuto:
(1) Se Tizio mente allora è l’assassino, oppure il delitto è avvenuto dopo
la mezzanotte
(2) Se il delitto è avvenuto prima di mezzanotte, allora Tizio mente e
Caio è l’assassino.
(3) Se il delitto è avvenuto dopo la mezzanotte, allora Caio mente e Tizio
è l’assassino.
a. Si può dedurre da (1), (2), (3) chi è l’assassino?
b. Ripetere poi l’esercizio sopprimendo nella (2) le parole “e Caio è
l’assassino”
c. Infine, si supponga di conoscere solo (1) e (2), o (1) e (3), o (2) e (3).
In ciascuno dei tre casi, si può dedurre qualche affermazione non puramente
ipotetica (cioè non della forma “Se...allora”) sul delitto commesso?
Esercizio 6.24 In un variopinto acquario si trovano pesci rossi, gialli e azzurri; c’è anche uno e un sol pesce di nome Wanda (questo pesce non è
colorato); non ci sono altri pesci. Si sa inoltre che:
1. Tutti i pesci rossi sono più piccoli di Wanda.
2. C’è un pesce rosso più grande di un pesce giallo.
51
3. Ogni pesce azzurro è più grande di un pesce rosso.
4. Ogni pesce giallo o è più grande di ogni pesce azzurro o è più piccolo
di Wanda.
5. Il pesce più piccolo e il più grande dell’acquario non sono dello stesso
colore.
6. Ci sono pesci di due colori diversi più grandi di Wanda.
Si chiede:
a. Di che colore sono il più piccolo e il più grande pesce dell’acquario?
b. Qual è il minimo numero di pesci di ogni colore presenti nell’acquario?
52
7
Variabili numeriche e coerenza di una formula
Nei discorsi precedenti su quantificatori, proposizioni e proprietà, implicazioni, ecc., uno dei concetti chiave era quello di variabile, intesa, in senso logico,
come simbolo che può denotare un qualsiasi oggetto di un insieme, di cui si
afferma una certa proprietà. Da questo uso generale e astratto del concetto
di variabile, passiamo ora a considerarne uno molto più specifico, e caratteristico della matematica: quello di variabile numerica, ossia variabile che
può denotare un qualsiasi elemento di un insieme numerico. Per semplicità,
nel nostro discorso l’insieme numerico in questione sarà sempre N. Mentre
le variabili logiche compaiono solo all’interno di proprietà e su di esse possono agire solo i quantificatori, le variabili numeriche possono comparire in
espressioni di vario tipo, e su di esse possono agire molti differenti operatori
matematici. La varietà di situazioni che si può venire a creare è quindi molto
vasta. Tuttavia si possono individuare alcuni concetti e problemi puramente
logici che hanno a che fare con l’uso di variabili numeriche, e si presentano
molto di frequente nella pratica matematica.
In particolare, discuteremo qui il problema di controllare che una formula
sia sintatticamente coerente, e di capire quali siano le variabili libere e quali le
variabili mute. Questo è un punto di partenza necessario per poter usare con
consapevolezza e padronanza espressioni e formule complesse, come sovente
si incontrano in matematica.
7.1
Indici
Un primo uso di variabili intere si ha nell’impiego di indici. Si usano, ad
esempio, quando si vogliono indicare genericamente gli elementi di un insieme
di numerosità finita ma non precisata.
Esempio 7.1 Definizione. La media aritmetica di n numeri a1 , a2 , ..., an è
data, per definizione, dal numero:
a1 + a2 + ... + an
.
n
Si può anche dire: “La media aritmetica di n numeri ai ∈ R (i = 1, 2, ..., n)
è data dal numero...”. Si dice che l’indice i varia da 1 a n.
Notiamo che l’uso di un indice, nella definizione precedente, serve a
esprimere il fatto che:
1) la media aritmetica si può fare su un qualsiasi numero n di termini,
53
2) e che in ogni caso la somma dei termini viene divisa per il numero di
termini.
Una scrittura senza indici, del tipo
a+b+c
3
non comunicherebbe (1), mentre una scrittura senza indici del tipo
a + b + c + ... + z
n
non comunicherebbe (2).
Esempio 7.2 (Proprietà di additività dell’area). Consideriamo n figure
piane T1 , T2 , ..., Tn a due a due disgiunte, ossia:
Ti ∩ Tj = ∅ per i, j ∈ {1, 2, ..., n} , i 6= j.
(7.1)
Allora vale la relazione di additività:
Area (T1 ∪ T2 ∪ ... ∪ Tn ) = Area (T1 ) + Area (T2 ) + ... + Area (Tn )
Commento. Si rifletta sul significato della (7.1): significa che prese
comunque due figure tra le n considerate, queste hanno intersezione vuota
(ossia sono disgiunte). Il modo in cui si formalizza “prese comunque due
figure” consiste nel considerare Ti , Tj dove gli indici i, j possono assumere
qualsiasi valore da 1 a n, ma non lo stesso valore (altrimenti staremmo
considerando l’intersezione di un insieme con se stesso, che ovviamente non
è vuota, tranne il caso banale in cui l’insieme stesso è vuoto!)
Il ruolo di indice può essere svolto non solo da un intero ma, più in
generale, da un elemento di un insieme qualsiasi:
Esempio 7.3 Per ogni α ∈ R, definiamo l’insieme
Eα = {x ∈ Q : x < α} .
Qui abbiamo una famiglia di infiniti insiemi Eα , indiciata su R.
Per semplicità, però, nel seguito non considereremo mai questo tipo di
situazione (indice variabile in un insieme qualsiasi).
54
7.2
Successioni
Un secondo uso di variabili intere, questa volta trattando numerosità infinite,
si ha nel concetto di successione.
Definizione 7.4 Una successione (a valori reali) è una legge che ad ogni
numero naturale n associa un numero reale an .
Esempio 7.5 Sia
an =
1
, per n ∈ N.
1 + n2
La successione complessivamente si indica col simbolo
{an }∞
n=0
ad indicare che l’indice n può valere 0, 1, 2, 3, ...; ciascuno dei numeri an si
dice termine della successione. La scrittura an indica quindi il termine di
posto n della successione, mentre il simbolo {an }∞
n=0 indica la successione nel
suo complesso: in quest’ultima scrittura l’indice n è “muto”, che è come dire
che le due scritture
∞
{an }∞
n=0 e {ak }k=0
hanno lo stesso significato.
Talvolta n varia da un certo n0 in poi (ad esempio perché l’espressione
analitica di an perderebbe significato per qualche valore di n minore di n0 ):
Esempio 7.6 La successione
bn = log10 (log10 n)
è definita per n = 2, 3, 4, ... Scriveremo in questo caso:
{bn }∞
n=2
Osservazione 7.7 Ciò che rende sintatticamente corretta una definizione
come
bn = log10 (log10 n) , n = 2, 3, 4...
è il fatto che a primo e secondo membro compaia la stessa variabile n. Ad
esempio,
bk = log10 (log10 k) , k = 2, 3, 4...
sarebbe stata ugualmente corretta, mentre
bn = log10 (log10 k)
sarebbe stata scorretta.
55
Si può anche dire che una successione a valori reali è un insieme di numeri
reali indiciato sui numeri naturali. Analogamente, una famiglia di elementi di
un generico insieme X indiciato sui numeri naturali si chiamerà successione
a valori in X. Se, in particolare, X è un insieme di insiemi, avremo una
successione di insiemi :
Esempio 7.8 Per n = 1, 2, 3, ..., poniamo:
½
¾
1
An = x ∈ R : x <
.
n
Possiamo dire che {An }∞
n=1 è una successione di insiemi.
7.3
Sommatorie e produttorie
In questo e nel prossimo paragrafo vedremo tipici esempi di operatori matematici che agiscono su variabili intere saturandole.
Siano a1 , a2 , ..., an ∈ R. La somma ed il prodotto di questi n numeri si
possono indicare, rispettivamente, col simbolo di sommatoria e di produttoria:
n
X
ai = a1 + a2 + ... + an
(7.2)
i=1
n
Y
ai = a1 · a2 · ... · an
i=1
che si leggono, rispettivamente: “sommatoria (produttoria) di ai per i da 1
a n”.
I simboli di sommatoria e produttoria sono dunque una pura e semplice
stenografia, che tuttavia risulta molto utile quando i termini ai sono definiti
esplicitamente in funzione dell’indice i, ad esempio:
10
X
1
i=1
n
X
i
=1+
1 1
1
+ + ... + ;
2 3
10
i2 = 1 + 22 + 32 + . . . + n2 ;
i=1
oppure per esprimere proprietà generali; ad esempio, riscrivendo in forma
compatta la definizione dell’Esempio 7.1, possiamo scrivere che la media
aritmetica di n numeri a1 , a2 , ..., an è data da:
n
1X
ai .
m=
n i=1
56
Se volessimo indicare la somma:
32 + 42 + . . . + n2
potremmo usare il simbolo:
n
X
i2 .
i=3
In altre parole, l’indice di sommatoria non necessariamente varia da 1 a n:
può avere altri estremi di variabilità.
Dal punto di vista sintattico, notiamo che:
il simbolo
n
X
satura la variabile i
i=1
(e lo stesso vale per la produttoria). Questo significa che in questi simboli
l’indice i è muto, ossia: se si sostituisce i con j, k o qualunque altro indice
(in tutte le sue occorrenze) il senso dell’espressione non cambia:
n
X
2
i =
n
X
i=3
j 2.
j=3
In sostanza, il simbolo di sommatoria va pensato come un’istruzione. Ad
esempio, la sommatoria appena scritta contiene l’istruzione: “somma tutti
i numeri del tipo i3 , al variare di i da 3 a n”. Proprio perché i non è una
costante, ma una variabile che assume successivamente i valori da 3 a n, non
è importante come lo chiamiamo, ma solo i valori che assume, che sono tutti
gli interi compresi tra gli estremi di variabilità. Per lo stesso motivo invece,
n
X
2
i 6=
i=1
m
X
i2
i=1
in quanto i due simboli indicano la somma, rispettivamente, dei primi n
oppure dei primi m quadrati: se n 6= m il risultato sarà diverso.
Detto in modo un po’ più formale:
fissata la legge con cui i termini ai dipendono dall’intero i, la somma
s (n0 , n) =
n
X
ai
i=n0
dipende (solo) dalle due variabili “esterne” n0 , n, mentre i è una variabile
“interna” (cioè un indice muto).
57
Esercizio 7.9 Di ciascuna delle seguenti scritture, dire se sono sintatticamente corrette quanto all’uso degli indici:
(a)
n
X
ai ; (b)
k=0
n
X
an ; (c)
k=0
10
X
ak+1
k=0
Esercizio 7.10 Di ciascuna delle seguenti uguaglianze, dire se sono sintatticamente corrette, quanto all’uso degli indici:
(a) An =
n
X
ak ; (b) n! =
k=0
n
Y
k; (c) An =
k
X
an ; (d) Cn =
n=0
k=1
n
X
ak bn−k
k=0
Esercizio 7.11 Scrivere le seguenti sommatorie esplicitamente, cioè senza
usare il simbolo di sommatoria:
(a)
4
X
n=0
n2n ; (b)
5
X
cos (nπ)
n=0
n+1
; (c)
10
X
¡
5
X
¢
3n+1 − 3n ; (d)
25−n xn−1 .
n=0
n=1
Si richiede di eseguire le semplificazioni ovvie, ma non necessariamente di
calcolare il valore numerico della somma.
Esercizio 7.12 Scrivere le seguenti somme in forma compatta, cioè usando
il simbolo di sommatoria:
1 1
1
1
+ +
+ ;
4 9 16 25
x2 x3 x4 x5
(b) x −
+
−
+ ;
2
3
4
5
(c) 1 + 3 + 5 + 7 + ... + 31.
(a) 1 +
Le seguenti proprietà formali delle sommatorie sono facilmente comprensibili se si pensa a ciò che esse affermano in termini di somme scritte per
esteso.
Proposizione 7.13 Proprietà formali delle sommatorie.
1. Prodotto per una costante:
n
X
(c · ak ) = c ·
k=1
n
X
k=1
58
ak
2. Sommatoria con termine costante:
n
X
c = c · n = c · (numero di addendi della sommatoria)
k=1
3. Somma di sommatorie:
n
X
ak +
k=1
n
X
bk =
k=1
n
X
(ak + bk )
k=1
4. Scomposizione di una sommatoria:
n
X
ak +
k=1
n+m
X
ak =
k=n+1
n+m
X
ak
k=1
5. Traslazione di indici:
n
X
ak =
n+m
X
ak−m
k=1+m
k=1
6. Riflessione di indici:
n
X
k=1
ak =
n
X
an−k+1 =
n−1
X
an−k .
k=0
k=1
La dimostrazione di queste proprietà è un esercizio di trascrizione: basta, cioè, scrivere per esteso cosa indica ciascuna sommatoria, ed eseguire
eventualmente qualche passaggio elementare. (Se lo studente ha difficoltà a
ragionare nel caso generale, può, ad esempio, porre n = 5 e m = 2 in tutte
le formule precedenti, e dimostrarle in questi casi: il ragionamento generale
è identico).
Le prossime due Proposizioni, oltre ad avere un interesse di per sé (lo studente le ritroverà in varie questioni matematiche), forniranno l’occasione per
mostrare l’utilizzo delle proprietà delle sommatorie e per prendere confidenza
con l’uso degli indici.
Proposizione 7.14 La somma dei primi n interi positivi dà
simboli:
n
X
n (n + 1)
.
k=
2
k=1
59
n(n+1)
.
2
In
Proof. Scriviamo:
2
n
X
k=
k=1
n
X
k+
k=1
n
X
k=
k=1
applicando nella seconda sommatoria la (6)
=
n
X
k+
n
X
k=1
(n − k + 1) =
k=1
applicando la (3)
=
n
X
(k + n − k + 1) =
k=1
n
X
(n + 1) =
k=1
applicando la (2)
= n (n + 1) .
La catena di uguaglianze dimostra quindi che
2
n
X
k = n (n + 1) .
k=1
Dividendo per 2 si ha la tesi.
Proposizione 7.15 (Somma geometrica). Sia q un numero reale qualunque
diverso da 1. Allora, per ogni intero n > 0 vale la formula:
n
X
1 − q n+1
q =
.
1−q
k=0
k
Proof. Proviamo l’identità nella forma equivalente:
(1 − q)
n
X
q k = 1 − q n+1 .
k=0
Infatti:
(1 − q)
n
X
k
q =
k=0
per la (1)
=
n
X
k=0
n
X
k
q −q
k=0
k
q −
n
X
k=0
60
n
X
k=0
q k+1 =
qk =
applicando alla seconda sommatoria la (5)
n
X
=
k
q −
k=0
per la (4)
=1+
n
X
qk −
k=1
n+1
X
qk =
k=1
à n
X
!
q k + q n+1
= 1 − q n+1 .
k=1
Un importante concetto che si introduce a proposito delle successioni è il
seguente:
Definizione 7.16 Successione delle somme parziali. Data una successione
{ai }∞
i=1 definiamo, per ogni n ∈ N:
sn =
n
X
ai .
i=1
La nuova successione {sn }∞
n=1 cosı̀ definita si dice successione delle somme
parziali di {ai }.
Si osservi che:
sn − sn−1 = an
Esercizio 7.17 E’ noto che
12 + 22 + 32 + . . . + n2 =
n (n + 1) (2n + 1)
.
6
(7.3)
Riscrivere la (7.3) utilizzando il simbolo di sommatoria. Sia ora:
an = n;
∞
{sn }∞
n=1 la successione delle somme parziali di {an }n=1 ;
∞
{tn }∞
n=1 la successione delle somme parziali di {sn }n=1 .
Scrivere esplicitamente l’espressione di sn e di tn . (Suggerimento: utilizzare
la Proposizione 7.14, la (7.3) e le proprietà delle sommatorie).
61
Esercizio 7.18 Calcolare le seguenti somme.
NB. In questi esercizi “calcolare le somme” significa trovare un’espressione
semplice, che non contenga più il simbolo di sommatoria, che esprima quanto
vale la somma, (analogamente a quanto visto nella dimostrazione delle due
proposizioni precedenti).
a. La somma dei primi n numeri pari:
n
X
(2k) .
k=1
b. La somma dei primi n numeri dispari:
n−1
X
(2k + 1) .
k=0
c. La somma delle prime 10 potenze dispari di 3:
9
X
32k+1 .
k=0
7.4
Unione e intersezione di famiglie di insiemi
Consideriamo ora l’operazione di unione o intersezione insiemistica, applicata
non a due insiemi soltanto, ma a una famiglia finita o a una successione di
insiemi.
Dati A1 , A2 , ..., An , poniamo:
n
[
Ai = {x : x ∈ A1 o x ∈ A2 ... o x ∈ An }
i=1
n
\
Ai = {x : x ∈ A1 e x ∈ A2 ... e x ∈ An } .
i=1
Oppure: data una successione {Ai }∞
i=1 di insiemi, poniamo:
∞
[
Ai = {x : ∃i ∈ N : x ∈ Ai }
i=1
∞
\
Ai = {x : ∀i ∈ N x ∈ Ai } .
i=1
62
Notiamo che, dal punto di vista sintattico,
il simbolo
n
[
satura la variabile i
i=1
(e lo stesso vale per l’intersezione, e per l’unione e l’intersezione di infiniti
insiemi). Notiamo anche come, mentre l’unione e l’intersezione finita siano
esprimibili, dal punto di vista logico, anche mediante i connettivi “o” ed “e”,
rispettivamente, l’unione e l’intersezione infinita si esprimano solo mediante
i quantificatori “esiste” e “per ogni”.
Esempio 7.19 La proprietà di additività dell’area espressa nell’Esempio 7.2
si può esprimere in forma più compatta, utilizzando i simboli di sommatoria
e di unione finita, cosı̀:
Ãn !
n
[
X
Area
Ti =
Area (Ti )
i=1
i=1
purché sia Ti ∩ Tj = ∅ per i, j = 1, 2, ..., n, i 6= j.
Esercizio 7.20 Di ciascuna delle seguenti uguaglianze, dire se è sintatticamente corretta, quanto all’uso degli indici:
(a)
n
[
Ak =
k=1
∞
\
Bj ; (b) Bk =
j=n
∞
[
Ak ; (c) Bk =
∞
[
An
n=k
k=1
Esercizio 7.21 Consideriamo una successione di insiemi, {An }∞
n=1 . Per
ogni n ∈ N, poniamo:
En =
n
[
Ak ; Fn =
k=1
∞
[
Ak .
k=n
∞
Si verifichi che le successione di insiemi {En }∞
n=1 , {Fn }n=1 sono ben definite
e soddisfano le proprietà:
∀n ∈ N, En ⊆ En+1 ;
∀n ∈ N, Fn ⊇ Fn+1 .
Esercizio 7.22 Sia {En }∞
n=1 una successione di poligoni nel piano, e indichiamo col simbolo |En | l’area di En (dunque |En | è un numero reale, mentre
63
En è un insieme del piano). Di ciascuna delle seguenti uguaglianze, dire se
è sintatticamente corretta quanto all’uso degli indici e dei simboli:
¯ n
¯
¯n ¯
n
n
¯X ¯ X
¯[ ¯ X
¯
¯
¯
¯
(a) ¯
Ei ¯ =
|Ei | ; (b) ¯ Ei ¯ =
|Ei | ;
¯
¯
¯
¯
i=1
i=1
i=1
¯
¯ ni=1 ¯ ¯n+1
n
n+1
¯
¯
¯
¯
[
[
[
[
¯
¯ ¯
¯
(c) Ei ≤
Ei ; (d) ¯ Ei ¯ ≤ ¯ Ei ¯ .
¯
¯ ¯
¯
i=1
i=1
i=1
64
i=1
8
Soluzioni degli esercizi
Soluzione Esercizio 2.11
1.
∀x ∀y p (x, y)
Ogni uomo guarda ogni stella
2.
∃x : ∀y p (x, y)
C’è un uomo che guarda ogni stella
3.
∀x ∃y : p (x, y)
Per ogni uomo c’è una stella che quell’uomo
guarda
4.
∃x : ∃y : p (x, y)
C’è un uomo che guarda almeno una stella
5.
∀y ∀x p (x, y)
Ogni stella è guardata da ogni uomo
6.
∃y : ∀x p (x, y)
C’è una stella che tutti gli uomini guardano
7.
∀y ∃x : p (x, y)
Per ogni stella c’è almeno un uomo che la guarda
8.
∃y : ∃x : p (x, y)
C’è una stella che almeno un uomo guarda
Notiamo che la 1 e la 5 sono logicamente equivalenti; la 4 e la 8 sono
logicamente equivalenti; per il resto, ogni frase afferma qualcosa di diverso.
La frase “C’è un uomo che non guarda nessuna stella” è incompatibile
con la 1, la 3, la 5, la 6.
La frase “C’è una stella che nessuno guarda” è incompatibile con la 1, la
2, la 5, la 7.
Soluzione Esercizio 2.12
Indicando con b (x) la frase l’uomo x è bianco, con n (x) la frase l’uomo
x è nero e con A l’insieme degli abitanti di Nu, si ha:
a.
∀x ∈ A b (x)
b.
∃x ∈ A : n (x)
c.
∃x ∈ A : b (x) e ∃y ∈ A : n (y) .
Soluzione Esercizio 2.13
a. Indicando con p (x, n) la frase la persona x sbaglia alla volta n, si ha:
∀x∃n : p (x, n)
b. Indicando con r (x, p) la frase il numero x è radice del polinomio p, si
ha:
∀p : p ha grado dispari, ∃x ∈ R : r (x, p)
c. Indicando con p (a, g, n) la frase l’anno a il giorno g il negozio n è
aperto, si ha:
∀a ∃g : ∀n p (a, g, n)
Soluzione Esercizio 3.5
(a). Proposizione.
65
(b). Proprietà, n è variabile libera.
(c). Proprietà, M è variabile libera.
(d). Proposizione.
Soluzione Esercizio 3.13
a. Dati 2 interi positivi a, b,si dice che a è divisibile per b se esiste un
intero k tale che a = bk.
b. Un intero positivo a si dice primo se per ogni intero k diverso da 1 e
a, si ha che k non divide a.
c. Due interi a, b si dicono primi tra loro se non ammettono divisori
comuni non banali, ovvero se:
per ogni intero k 6= 1, a, se k divide a allora k non divide b.
d. Un poligono si dice regolare se per ogni coppia di lati l1 , l2 del poligono,
si ha l1 = l2 e per ogni coppia di angoli α1 , α2 del poligono si ha α1 = α2 .
e. Un triangolo si dice isoscele se esistono due lati a, b tali che a = b.
Soluzione Esercizio 3.14
(a). La variabile δ non è quantificata, e questo rende sintatticamente
incompleta la definizione. La definizione esatta è:
“Una funzione f si dice continua in 0 se ∀ε > 0 ∃δ > 0 tale che ∀x, se
|x| < δ allora |f (x) − f (0)| < ε”. Ad ogni modo, non occorre conoscere la
definizione esatta per capire che quella proposta è sintatticamente scorretta.
(b). L’espressione “un cerchio di centro x0 ” è ambigua: significa “ogni
cerchio di centro x0 ” o “esiste un cerchio di centro x0 ”? Il significato che
l’articolo “un” ha nel linguaggio comune lascia aperte entrambe le possibilità,
che però danno alla frase due significati ben diversi: occorre quindi sostituire
“un” col quantificatore opportuno. (La definizione esatta di punto di di
frontiera è quella con “ogni” al posto di “un”, ma questo non ha niente a che
vedere con lo spirito di questo esercizio).
(c). La variabile k non è quantificata, e questo rende sintatticamente
incompleta la definizione. (La definizione esatta è: “Un numero intero n si
dice dispari se ∃k ∈ Z : n = 2k + 1”).
Soluzione Esercizio 4.5
P è disgiunto da M ;
P ⊂ A (ogni pesce è un animale acquatico);
M, A sono distinti senza essere disgiunti né inclusi l’uno nell’altro (infatti
vi sono mammiferi acquatici e mammiferi non acquatici).
66
Soluzione Esercizio 4.6
P disgiunto da D;
Q ∩ P = {2} ma ogni altro numero primo è dispari, perciò P, D sono
distinti senza essere disgiunti né inclusi l’uno nell’altro;
Q, D sono distinti senza essere inclusi l’uno nell’altro (il 9 è dispari ma
non è primo, il 2 è primo ma non è dispari) né disgiunti (il 3 è primo e dispari).
Soluzione Esercizio 4.7
Indicando col simbolo P (X) l’insieme dei sottoinsiemi di X, si ha:
P (A) = {∅, {1} , {2} , {3} , {1, 2} , {1, 3} , {2, 3} , A} ;
P (B) = {∅, {1} , {{2, 3}} , B} ;
P (C) = {∅, {1} , {2} , {3} , {{2, 3}} , {1, 2} , {1, 3} , {2, 3} , {1, {2, 3}} , {2, {2, 3}} ,
{3, {2, 3}} , {1, 2, 3} , {1, 2, {2, 3}} , {1, 3, {2, 3}} , {2, 3, {2, 3}} , C} ;
P (D) = {∅, {∅}} .
Soluzione Esercizio 4.8
Poiché {a, {a, b}} = {c, {c, d}} , si ha che a ∈ {c, {c, d}} , dunque o a = c
oppure a = {c, d} . La seconda cosa è falsa perché un numero intero non è
un insieme di due numeri; allora a = c.
Poiché {a, b} ∈ {c, {c, d}} si ha {a, b} = c, o {a, b} = {c, d} ; la prima
cosa è falsa per il motivo di sopra, quindi {a, b} = {c, d} , ossia (poiché già
sappiamo che a = c), {a, b} = {a, d} . Dunque b ∈ {a, d} , perciò b = a oppure
b = d. (Si noti che l’esercizio non suppone a priori che i numeri a, b, c, d siano
distinti). Se b = d, la dimostrazione è conclusa; se invece b = a, l’insieme
{a, b} ha un solo elemento, allora anche l’insieme {a, d} deve avere un solo
elemento, perciò a = d. In questo caso, a = b = c = d e la tesi è dimostrata.
Soluzione Esercizio 4.9
Q+ ∩ Z = N.
Soluzione Esercizio 4.10
Le due proposizioni non sono equivalenti.
Siano A = B = R. Allora è vera la (a): “∀x ∈ R ∃y ∈ R tale che x < y”
(ad esempio, dato x è sufficiente scegliere y = x + 1). Però è falsa la (b): non
esiste un numero reale y maggiore di tutti i numeri reali!
67
Soluzione Esercizio 5.7
Proviamo che A ∩ (B ∪ C) ⊆ (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) . Sia x ∈ A ∩ (B ∪ C) .
Questo significa che:
x ∈ A e x ∈ B ∪ C; a sua volta, x ∈ B ∪ C significa che x ∈ B o x ∈ C.
Se x ∈ B, allora poiché è anche x ∈ A, si ha che x ∈ A ∩ B;
se x ∈ C, allora poiché è anche x ∈ A, si ha che x ∈ A ∩ C;
dunque x ∈ A ∩ B,oppure x ∈ A ∩ C, ossia
x ∈ (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) , e l’inclusione è dimostrata.
Proviamo ora che (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) ⊆ A ∩ (B ∪ C) . Sia x ∈ (A ∩ B) ∪
(A ∩ C) .Questo significa che
x ∈ A ∩ B,oppure x ∈ A ∩ C.
Se x ∈ A ∩ B, allora x ∈ A e x ∈ B, dunque è anche x ∈ B ∪ C, e perciò
x ∈ A ∩ (B ∪ C) .
Se x ∈ A ∩ C, allora x ∈ A e x ∈ C, dunque è anche x ∈ B ∪ C, e perciò
x ∈ A ∩ (B ∪ C) .
In ogni caso, dunque, x ∈ A ∩ (B ∪ C) , e l’inclusione è dimostrata.
Le due inclusioni dimostrate implicano che
A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) .
Soluzione Esercizio 5.8
“qualche a è b”:
∃x ∈ A : x ∈ B
“qualche b è a”:
∃x ∈ B : x ∈ A
(entrambe le precedenti affermano che ∃x ∈ A ∩ B, quindi sono logicamente equivalenti)
“qualche a non è b”:
∃x ∈ A : x ∈
/B
“qualche b non è a”:
∃x ∈ B : x ∈
/A
(le ultime due non sono logicamente equivalenti: la prima dice che A non
è incluso in B, la seconda che B non è incluso in A);
“nessun a è b”:
∀x (x ∈ A ⇒ x ∈
/ B)
“nessun b è a”:
∀x (x ∈ B ⇒ x ∈
/ A)
(entrambe le precedenti affermano che non esiste x ∈ A ∩ B, quindi sono
logicamente equivalenti)
“ogni a è b ma qualche b non è a”:
∀x (x ∈ A ⇒ x ∈ B)∧(∃y ∈ B : y ∈
/ A)
Soluzione Esercizio 5.9
a. Sia U l’insieme degli uomini, B l’insieme dei barbuti, s Socrate.
“Socrate è un uomo” significa s ∈ U ;
“Qualche uomo ha la barba” significa ∃x ∈ U : x ∈ B.
68
La seconda non afferma però che questo x sia s, e quindi non consente
di concludere che s ∈ B, cioè che “Socrate ha la barba”: il sillogismo è
sbagliato.
b. Sia P l’insieme dei Pedrangiolfi, B l’insieme dei bevitori di birra, G
l’insieme dei Gondraldi.
“C’è un Pedrangiolfo che beve birra” significa P ∩ B 6= ∅;
“I Pedrangiolfi sono Gondraldi” significa P ⊂ G;
questo consente di concludere che G ∩ B 6= ∅, il che significa che “c’è un
Gondraldo che beve birra” (o equivalentemente, che “c’è un bevitore di birra
che è Gondraldo”): il sillogismo è corretto.
Soluzione Esercizio 5.14
a. D ⊆ C; C ⊆ I.
b. D ⊆ I, ossia: Se f è una funzione derivabile, allora f è una funzione
integrabile.
c. Esiste una funzione integrabile che non è continua; esiste una funzione
continua che non è derivabile.
d. Sı̀, infatti per (c) esiste una funzione integrabile che non è continua,
e questa funzione non è derivabile perché se lo fosse sarebbe continua, per la p.
Soluzione Esercizio 5.15
Si afferma che:
∀f ∈ D (f ∈ M ⇒ f ∈ Z) , ossia:
D ∩ M ⊆ Z.
Soluzione Esercizio 6.5
Supponiamo di sapere che:
p: “Almeno un maschio non è tifoso dell’Inter”,
e che non è vero che “almeno un maschio non è maggiorenne”, ossia:
q: “Ogni maschio è maggiorenne”
Da queste ipotesi non si può dedurre (A), (B), (C), (E); si può invece
dedurre (D).
Soluzione Esercizio 6.6
a. Almeno una volta che ho bisogno di andare a Roma e non c’è sciopero
dei treni.
b. Più di una volta è accaduto che tutti abbiano accettato di fare questa
cosa.
69
c. Non c’è da stupirsi se tutti pensano che sia stato lui.
Volendo provare a tradurre in forma positiva anche l’espressione “Non c’è
da stupirsi se...” potremmo anche dire, ad esempio:
c’. E’ prevedibile che tutti pensino che sia stato lui.
Soluzione Esercizio 6.7
(a). La funzione f non è derivabile o non possiede alcun punto di massimo.
(b). La funzione g non raggiunge il suo massimo all’interno del dominio
e non è costante.
(c). Esistono un intervallo I e una funzione f definita in I tali che f è
derivabile in I ma non è continua in I.
(d). Esiste un intero n tale che n non è primo ed esiste al più un numero
primo minore di n.
(e). Il numero M è tale che esiste un x ∈ A, x > M.
Soluzione Esercizio 6.8
1. Proviamo che (A ∩ B) = A ∪ B. In questo caso si possono provare
simultaneamente le due inclusioni:
x ∈ (A ∩ B) se e solo se x ∈
/ A ∩ B se e solo se (x ∈
/Aox∈
/ B) se e solo
se (x ∈ A o x ∈ B) se e solo se x ∈ A ∪ B, dunque (A ∩ B) = A ∪ B.
2. Proviamo che (A ∪ B) = A ∩ B. Infatti:
x ∈ (A ∪ B) se e solo se x ∈
/ A ∪ B se e solo se (x ∈
/Aex∈
/ B) se e solo
se (x ∈ A e x ∈ B) se e solo se x ∈ A ∩ B, dunque (A ∪ B) = A ∩ B.
Soluzione Esercizio 6.9
Le dimostriamo usando le leggi di De Morgan per il complementare, la
definizione di differenza insiemistica, e le proprietà di unione e intersezione:
¡
¢
A \ (B ∪ C) = A ∩ (B ∪ C) = A ∩ B ∩ C =
¡
¢ ¡
¢
= A ∩ B ∩ A ∩ C = (A \ B) ∩ (A \ C) .
¡
¢
A \ (B ∩ C) = A ∩ (B ∩ C) = A ∩ B ∪ C =
¡
¢ ¡
¢
= A∩B ∪ A∩C .
Soluzione Esercizio 6.18
Dimostriamo la controinversa: “Se h, k sono due interi entrambi pari, allora hk è divisibile per 4”. A questo punto è banale: sia h = 2n, k = 2m per
70
n, m interi. Allora hk = 4nm è divisibile per 4.
Soluzione Esercizio 6.19
Per assurdo, supponiamo che sia log4 10 = n/m per una coppia di interi
n, m, che possiamo supporre primi tra loro, con m 6= 0. Questo significa che
n
4 m = 10
4n = 10m
22n = 2m · 5m
il che implica 2n = m e m = 0, assurdo.
Soluzione Esercizio 6.20
Per assurdo, supponiamo che sia x = n/m per una coppia di interi n, m,
che possiamo supporre primi tra loro, con m 6= 0. Sostituendo nell’equazione
si ha
³ n ´3
³ n ´2
³n´
+2
+3
+4=0
m
m
m
e quindi, facendo denominatore comune,
n3 + 2n2 m + 3nm2 + 4m3 = 0.
Questa identità può essere riscritta cosı̀:
¡
¢
n n2 + 2nm + 3m2 = −4m3
oppure cosı̀
¡
¢
m 2n2 + 3nm + 4m2 = −n3 .
Poiché n, m sono primi tra loro, la prima identità ci dice che n è un divisore di
4, la seconda che m è un divisore di 1. Quindi le possibili soluzioni razionali
sono limitate a:
±1, ±2, ±4.
Calcolando il valore del polinomio x3 + 2x2 + 3x + 4 per ciascuno di questi
valori di x, osserviamo che nessuno di questi lo annulla. Quindi non ci sono
soluzioni razionali.
Soluzione Esercizio 6.21
Infatti sappiamo che 0a = 0 per ogni a > 0; e a0 = 1 per ogni a > 0; se si
potesse definire 00 mantenendo valide queste due proprietà anche per a = 0,
71
troveremmo 00 = 0 in base alla prima, e 00 = 1 in base alla seconda, assurdo.
Soluzione Esercizio 6.22
Indichiamo con V, F, 0, rispettivamente, le risposte: “possiamo concludere che (b) è vera”; “possiamo concludere che (b) è falsa”, “non possiamo
concludere nessuna delle due cose”.
1: F; 2: 0; 3: 0; 4: F; 5: 0; 6: V; 7: 0; 8: V; 9: 0; 10: V; 11: V; 12: V; 13: F
Soluzione Esercizio 6.23
a. (1), (2), (3) implicano che Tizio è l’assassino. Infatti: se il delitto è
avvenuto prima di mezzanotte, per la (2) Tizio mente e Caio è l’assassino. Ma
allora per la (1), o Tizio è l’assassino -e ciò è impossibile perché sappiamo già
che Caio è l’assassino- o il delitto è avvenuto dopo la mezzanotte -impossibile
perché stiamo supponendo il contrario-. Dunque assumere che il delitto sia
avvenuto prima di mezzanotte porta a contraddizione; pertanto il delitto è
avvenuto dopo la mezzanotte, e allora per la (3) Tizio è l’assassino.
b. Se nella (2) sopprimiamo le parole “e Caio è l’assassino”, allora l’argomento si modifica cosı̀: se il delitto è avvenuto prima di mezzanotte, per
la (2) Tizio mente. Ma allora per la (1), o Tizio è l’assassino o il delitto è avvenuto dopo la mezzanotte -impossibile perché stiamo supponendo il
contrario-. Dunque in questo caso Tizio è l’assassino. Se invece il delitto è
avvenuto dopo la mezzanotte, allora per la (3) Tizio è l’assassino. Anche nel
caso (b) quindi concludiamo che Tizio è l’assassino.
c. Supponendo solo (1) e (2), l’argomentazione vista nel punto (a) porta
a conlcudere che il delitto è certamente avvenuto dopo la mezzanotte.
Supponendo solo (2) e (3), concludiamo che l’assassino è Tizio o Caio (si
noti che questo non era assunto in partenza!)
Infine supponendo solo (2) e (3) non riusciamo a concludere nessuna affermazione che non sia di tipo ipotetico.
Soluzione Esercizio 6.24
a.
72
b. La situazione più semplice possibile è la seguente, tenendo conto anche
di (2). Dal più grande al più piccolo, i pesci sono:
Giallo, Azzurro, Wanda, Rosso, Giallo, Rosso.
Soluzione Esercizio 7.9
(a) Scorretta: l’indice della sommatoria è k, e non corrisponde all’indice
del termine ai , che è i.
(b) Scorretta: l’indice della sommatoria è k, e non corrisponde
Pn all’indice
del termine an , che è n. Attenzione al fatto che nella scrittura k=0 il ruolo
dell’indice muto è svolto da k, che assume tutti i valori tra 0 ed n: n non è
un indice ma una costante.
(c) Corretta: l’indice della sommatoria è k, e può essere sostituito nell’espressione ak+1 ; esplicitamente, si ha:
10
X
ak+1 = a1 + a2 + ... + a11 .
k=0
Soluzione Esercizio 7.10
(a) Corretta. E’ un’uguaglianza tra due quantità dipendenti da n; nell’espressione a secondo membro, k è indice muto, mentre n è la variabile
esterna.
(b) Corretta. E’ un’uguaglianza tra due quantità dipendenti da n; nell’espressione a secondo membro, k è indice muto, mentre n è la variabile
esterna.
73
(c) Scorretta. Nell’espressione a secondo membro (che di per sé è corretta), n è indice muto, mentre k è la variabile esterna. Quindi il primo membro
dovrebbe essere una quantità dipendente da k, non da n.
(d) Corretta. E’ un’uguaglianza tra due quantità dipendenti da n; nell’espressione a secondo membro, k è indice muto, mentre n è la variabile
esterna. Si rifletta sul significato dell’espressione:
n
X
ak bn−k ;
k=0
il fatto che n compaia anche nell’indice di bn−k non è scorretto; ad esempio,
per n = 3 l’espressione (sostituendo n = 3 in entrambe le occorrenze) diventa
3
X
ak b3−k = a0 b3 + a1 b2 + a2 b1 + a3 b0 .
k=0
Soluzione Esercizio 7.11
4
X
(a)
n2n = 1 · 2 + 2 · 4 + 3 · 8 + 4 · 16 = 98.
n=0
(b)
(c)
5
X
cos (nπ)
1 1 1 1
=1−+ − + −
n+1
3 4 5 6
n=0
10
X¡
n+1
3
¢
− 3n = 311 − 310 + 310 − 39 + ... + 31 − 30 = 311 − 1
n=0
(d)
5
X
25−n xn−1 = 16 + 8x + 4x2 + 2x3 + x4 .
n=1
Soluzione Esercizio 7.12
5
5
15
X
X
X
1
(−1)n+1 xn
(a)
; (b)
; (c)
(2n + 1) .
k2
n
n=1
n=1
n=0
Soluzione Esercizio 7.17
La (7.3) si può riscrivere cosı̀:
n
X
n (n + 1) (2n + 1)
.
k2 =
6
k=1
74
Ora calcoliamo:
sn =
n
n
X
X
n (n + 1)
ak =
k=
2
k=1
k=1
(per la Proposizione 7.14).
tn =
n
X
sk =
n
X
k (k + 1)
k=1
2
k=1
=
n
n
1X 2 1X
k +
k=
2 k=1
2 k=1
per la Proposizione 7.14 e la (7.3)
1 n (n + 1) (2n + 1) 1 n (n + 1)
+
=
2
6
2
2
n (n + 1) (n + 2)
1
.
= n (n + 1) (2n + 4) =
12
6
=
Soluzione Esercizio 7.18
a. Per la Proposizione 7.14,
n
X
(2k) = 2
k=1
n
X
k =2·
k=1
n (n + 1)
= n (n + 1)
2
b.
à n−1 ! n−1
X
X
(n − 1) n
(2k + 1) = 2
k +
1=2·
+ n = (n − 1) n + n = n2 .
2
k=0
k=1
k=0
n−1
X
c.
9
X
k=0
32k+1 = 3
9
X
9k = 3 ·
k=0
¢
910 − 1
3 ¡ 10
=
9 −1 ,
9−1
8
dove nel secondo passaggio si è sfruttata la Proposizione 7.15.
Soluzione Esercizio 7.20
(a). Corretta. A primo membro k è indice muto, e tutto il primo membro rappresenta un insieme dipendente da n; a secondo membro j è indice
muto, e tutto il secondo membro rappresenta un insieme dipendente da n;
si tratta dunque di un’uguaglianza tra insiemi dipendenti dallo stesso indice:
sintatticamente è coerente.
(b). Scorretta. L’insieme a primo membro dipende da k,indice che a
secondo membro è usato invece come indice muto: incoerente.
75
(c). Corretta. A secondo membro n è indice muto, e tutto il secondo
membro rappresenta un insieme dipendente da k; a primo membro c’è un
insieme dipendente da k; si tratta dunque di un’uguaglianza tra insiemi dipendenti dallo stesso indice: sintatticamente è coerente.
Soluzione Esercizio 7.21
Le definizioni date di En , Fn sono sintatticamente corrette, infatti in ciascuna definizione, a secondo membro sta un insieme definito da un’operazione
insiemistica in cui k è indice muto, e n variabile da cui dipende il risultato;
l’uguaglianza dunque è sintatticamente corretta.
n
n+1
[
[
Poiché En =
Ak , En+1 =
Ak = En ∪ An+1 , si ha En ⊆ En+1 .
Poiché Fn =
k=1
∞
[
k=1
∞
[
k=n
k=n+1
Ak , Fn+1 =
Ak , si ha che Fn = An ∪ Fn+1 ⊇ Fn+1 .
Soluzione Esercizio 7.22
P
(a). Scorretta, perché il simbolo ni=1 Ei che compare a primo membro
non ha significato: gli Ei sono poligoni, non numeri, perciò non si possono
sommare.
(b). Corretta. A primo membro c’è l’area di una figura geometrica, che
è definita come unione di poligoni; il primo membro è quindi un numero;
n
[
nella notazione
Ei i è indice muto, perciò la quantità a primo membro
i=1
dipende da n; a secondo membro c’è la somma di aree di poligoni, dunque
n
X
anche il secondo membro è un numero; nella notazione
|Ei | , i è indice
i=1
muto, perciò la quantità a secondo membro dipende da n, come quella al
primo membro, e l’uguaglianza è sintatticamente corretta. (Attenzione: non
stiamo affermando che questa uguaglianza esprima una proprietà vera, ma
soltanto che è sintatticamente corretta).
(c). Scorretta. A entrambi i membri sta scritto un insieme, ottenuto a sua
volta come unione insiemistica. Tra due insiemi, però, non ha senso scrivere
una disuguaglianza (≤), in quanto non si tratta di numeri.
(d). Corretta. Su ciascuno dei due membri valgono le stesse osservazioni
fatte nella risposta (a): ciascuno dei due membri è un numero, dipendente
da n; tra i due membri è scritto il segno di disuguaglianza ≤, e questo è
sintatticamente corretto.
76