Patologie tumorali non correlate ad AIDS. Caso clinico

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Caso clinico
Recenti Prog Med 2015; 106: 402-406
Patologie tumorali non correlate ad AIDS.
Un nuovo scenario a oltre trent’anni di distanza dalla scoperta del virus HIV?
Esperienza clinica e revisione della letteratura
Roberto Manfredi1, Alessandra Cascavilla1, Leonardo Calza1
Riassunto. Introduzione. La storia naturale e l’evoluzione
epidemiologica dell’infezione da HIV sono state profondamente modificate dall’introduzione circa venti anni fa
delle terapie antiretrovirali altamente attive (highly active
antiretroviral therapy - HAART). Metodi. Tuttavia, a fronte
di un rapido declino dell’incidenza della maggior parte
delle infezioni opportunistiche, si è assistito a un lento, ma
costante incremento delle affezioni tumorali, con maggiore evidenza per i tumori non strettamente connessi alla
definizione di AIDS conclamata (le cosiddette neoplasie
non-AIDS-definenti). Risultati. L’unicità di un caso clinico
di infezione da HIV complicata da ben quattro neoplasie
non definenti l’AIDS ci ha indotto a ridiscutere l’epidemiologia e la possibile patogenesi, la presentazione clinica e
la diagnosi differenziale di questa associazione patologica.
Conclusioni. Sulla base della nostra esperienza in questo
campo, e delle evidenze di letteratura disponibili, discutiamo questo fenomeno clinico che sta condizionando la
presentazione dell’infezione da HIV nell’epoca dell’HAART
del terzo millennio. Questi mutamenti necessitano di studi
su ampia scala, e promettono importanti risvolti sul piano
eziopatogenetico, preventivo, terapeutico e gestionale della malattia da HIV nel prossimo futuro.
Non-AIDS-associated cancer disorders. A novel scenario after
over thirty years from HIV discovery? Clinical experience and
literature appraisal.
Parole chiave. Associazione eziopatogenetica, diagnosi
differenziale, infezione da HIV, multipli tumori non definenti l’AIDS, presentazione clinica.
Key words. Clinical presentation, differential diagnosis, etiopathogenetic association, HIV infection, multiple
non-AIDS-related malignancies.
Introduzione
rio (nonostante la HAART giunga sempre più spesso a normalizzare l’aspetto quantitativo della conta
dei T-linfociti CD4+), alle concomitanti infezioni a
opera di una vasta serie di virus a potenziale oncogeno (HSV, EBV, HPV, HBV, HCV, e lo stesso
virus HIV, tra gli altri), ad abitudini voluttuarie
che incidono pesantemente sul rischio tumorale
(per es., fumo di tabacco, alcolismo, uso di droghe)
e alla stessa complessa patologia da HIV che si rende responsabile di un invecchiamento prematuro, il
quale si somma al progressivo incremento dell’età
media della popolazione che in epoca di HAART
convive per molti anni con l’infezione da HIV1-10.
Queste patologie neoplastiche possono intervenire come manifestazione di esordio in pazienti con un’infezione da HIV di recente diagnosi,
Nonostante la disponibilità da venti anni di
terapie antiretrovirali combinate ad alta efficacia
(highly active antiretroviral therapy - HAART), e
le conseguenti modificazioni sulla storia naturale
della malattia da HIV, le patologie neoplastiche
sia definenti l’AIDS, sia non definenti l’AIDS conclamata, continuano a presentarsi, in pazienti
con infezione da HIV già nota, così come pure in
soggetti con diagnosi di infezione da HIV posta in
ritardo.
La patogenesi delle affezioni neoplastiche in
corso di infezione da HIV è stata attribuita tra l’altro a una persistente inefficienza dei meccanismi di
controllo tumorale mediati dal sistema immunita-
Summary. Introduction. Both natural history and epidemiological trend of HIV infection have been deeply
modified by the introduction of highly active antiretroviral therapy (HAART), around twenty years ago. Methods.
However, despite a rapid drop of the incidence of the large
majority of opportunistic infections, a slow, but continued
increase of malignancies occurred, with particular evidence
focused on cancers which are not strictly related to the
definition of full blown AIDS (the so called non-AIDS-defining malignancies). Results. The unique clinical occurrence
of HIV infection complicated by even four non-AIDS-defining cancers prompted us to re-discuss the epidemiology
and the possible pathogenesis, the clinical presentation,
and the differential diagnosis of this pathologic presentation. Conclusions. On the ground of our experience in this
field, and the available literature evidences, we discuss how
this clinical occurrence is acting on HIV infection presentation during the HAART era of the third millennium. These
changes need broad scale studies, and promise relevant
consequences on etiopathogenetic, prevention, therapeutic, and management aspects of HIV disease in the next
future.
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Policlinico S. Orsola-Malpighi, “Alma Mater Studiorum” Università di Bologna.
Pervenuto il 17 febbraio 2015. Accettato dopo revisione il 31marzo 2015.
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R. Manfredi et al.: Patologie tumorali non correlate ad AIDS
oppure possono essere rilevate in concomitanza
con un ampio spettro di affezioni correlate in diversa misura (epidemiologica, patogenetica, ecc.)
alla malattia da HIV. Questo substrato fa sì che
tali patologie neoplastiche presentino spesso un
esordio e un decorso atipici, rendendo la diagnosi differenziale e il management clinico estremamente complessi, anche in centri dedicati alla cura
dell’infezione da HIV, come dimostrato dalla nostra esperienza in materia11-20.
Il rischio di sviluppare un tumore aumenta in
relazione alla durata della concomitante infezione
da HIV, fin dalla prima infanzia19. Le neoplasie
non definenti l’AIDS conclamata mostrano una
crescente tendenza all’incremento nel corso del
tempo, anche rispetto ai tumori correlati ad AIDS
(quali sarcoma di Kaposi e linfomi non-Hodgkin ad
alto grado), sui cui la HAART esercita un maggiore
controllo4,5. Infine, alcune neoplasie ancora clinicamente silenti o mascherate nella loro espressione
clinica da patologie concomitanti vengono diagnosticate soltanto post mortem e rilevate in corso di
studi autoptici22,23.
Questa situazione si riflette anche sulle singole
patologie d’organo: per esempio, un distretto quale
la tiroide può rappresentare un target secondario
e spesso occulto della maggioranza delle patologie
infettive opportunistiche e neoplastiche in varia
misura connesse con l’infezione da HIV, tra cui infezioni da Mycobacterium tuberculosis, Mycobacterium avium-intracellulare, altri batteri (Cryptococcus neoformans, Pneumocystis jroveci) e altri miceti
(Cytomegalovirus), numerosi altri virus, nonché
sarcoma di Kaposi e linfomi non-Hodgkin. In una
casistica autoptica che si è incentrata sull’interessamento tiroideo in corso di infezione da HIV sono
stati, per esempio, rilevati quattro casi incidentali
di carcinoma papillifero della tiroide ben differenziati, tutti rimasti non diagnosticati in vita22.
Scopo del nostro lavoro è discutere l’epidemiologia, la possibile patogenesi, la presentazione clinica e la diagnosi differenziale delle affezioni tumorali non definenti l’AIDS, prendendo come spunto
un caso unico di infezione da HIV presentatosi alla
nostra attenzione dopo due affezioni tumorali non
definenti l’AIDS, diagnosticato come HIV-positivo
soltanto a seguito del riscontro di una sifilide secondaria con manifestazioni cutanee del tutto atipiche, e che nel corso del successivo follow-up ha
manifestato altri due tumori non definenti l’AIDS,
in un arco di tempo complessivo di 13 anni. Base
della nostra discussione sono le evidenze di letteratura esistenti sull’argomento e l’esperienza maturata dal nostro centro di riferimento negli anni
più recenti.
Caso clinico
Un soggetto cinquantenne con pregressa epatite virale da HBV giungeva alla nostra attenzione quattro
anni fa a seguito della comparsa di lesioni eritematose
cutanee diffuse atipiche, che portavano a una diagno-
si di sifilide secondaria, soltanto dopo l’esito di esami
istopatologici compiuti su biopsie cutanee multiple. La
sifilide veniva successivamente confermata dai test sierologici specifici.
L’anamnesi del paziente, suffragata dalla completa
documentazione clinica disponibile, mostrava:
• un pregresso linfoma non-Hodgkin cutaneo a cellule
T, diagnosticato sette anni prima, trattato con sola
radioterapia e sottoposto a numerosi controlli evolutivi, anche istopatologici;
• un secondo, pregresso linfoma non-Hodgkin a cellule
B marginali identificato quattro anni prima, trattato
con sola terapia radiante locale, e giudicato in fase di
remissione sulla base di numerosi controlli dermatologici e radioterapici, e del monitoraggio con PET-TC
con 18fludesossiglucosio (18FDG), effettuato a cadenza
annuale presso il nostro ospedale.
La comparsa di molteplici lesioni a placche eritematose e indolenti richiedeva molteplici consulti dermatologici e radioterapici, e portava dopo numerosi consulti
al rilievo di una sifilide secondaria, che, nonostante l’aspetto del tutto atipico delle lesioni cutanee e la mancanza di riferiti episodi di esposizioni a rischio, era suffragata dalla conferma istopatologica e dalla positività
a titoli molto elevati dei test sierologici specifici (TPHA
e RPR). Veniva nel contempo esclusa una recidiva dei
due pregressi linfomi non-Hodgkin a localizzazione cutanea, precedentemente diagnosticati, trattati e seguiti
nel tempo con regolarità.
Soltanto il rilievo di una malattia sessualmente trasmessa (la sifilide) in un ambiente già sensibilizzato alla
problematica (Divisione di Malattie Infettive) poneva i
presupposti per proporre un primo test sierologico per
infezione da HIV al nostro paziente, che nel passato
aveva effettuato in numerose occasioni test di tipizzazione linfocitaria, risultati tutti nei limiti della norma.
In assenza di un’anamnesi significativa per esposizione
all’infezione da HIV negli anni precedenti (il paziente,
eterosessuale, aveva sofferto in età giovanile anche di
epatite virale B guarita spontaneamente), l’infezione da
HIV era stata acquisita in forma inapparente.
Un virus HIV “wild type” veniva isolato dal Laboratorio di Virologia del nostro ospedale, che escludeva
mutazioni genotipiche responsabili di resistenza nei
confronti di tutti i farmaci antiretrovirali disponibili. La
viremia di HIV risultava piuttosto elevata (150,000 copie di HIV-RNA/mL), a fronte di una conta di T-linfociti
CD4+ sostanzialmente preservata (682 cellule/µL, pari
al 34% dei linfociti T periferici).
Prendendo in considerazione l’anamnesi relativa ai
due linfomi cutanei sofferti nel passato e la viremia di
HIV elevata, il paziente veniva sottoposto immediatamente a un potente regime HAART contenente un inibitore delle proteasi, basato su emtricitabina-tenofovir
e su darunavir-ritonavir, che si dimostrava ben tollerato
ed era assunto regolarmente dal paziente, che si dimostrava sempre molto aderente ai controlli programmati.
Un ciclo standard di benzilpenicillina i.m. veniva
somministrato per la concomitante sifilide, con successo
clinico e sierologico.
A 16 mesi di distanza, a causa di un deterioramento
generale della situazione clinica associato a febbre irregolare, calo ponderale, epatosplenomegalia e diffuse
linfoadenomegalie, il nostro paziente veniva ospedalizzato per accertamenti e cure. Gli esami strumentali
eseguiti (in prima istanza una TC total-body con mezzo
di contrasto e una 18FDG PET-TC) e gli esami istopatologici effettuati su un linfonodo superficiale e su una
biopsia osteo-midollare ponevano la diagnosi di linfoma
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Recenti Progressi in Medicina, 106 (8), agosto 2015
di Hodgkin appartenente alla varietà “classica”, scleronodulare, associata a fibrosi e deplezione linfocitaria.
Il regime chemioterapico raccomandato (l’associazione adriamicina-bleomicina-vinblastina-dacarbazina
(ABVD) veniva somministrato a dosaggi standard per
sei cicli complessivi, portando alla remissione clinica e
strumentale della malattia di Hodgkin.
Tre mesi dopo il completamento del regime ABVD,
un nuovo esame TC total total-body con mezzo di contrasto e una 18FDG PET-TC dimostravano una riduzione
significativa delle dimensioni e degli indici di captazione
dei focolai di malattia localizzati ad ambedue i polmoni
e a livello di tutti i siti linfonodali che apparivano inizialmente coinvolti alle indagini strumentali e di medicina nucleare. Nel contempo, un esame TC addominale
con mezzo di contrasto evidenziava una notevole riduzione dell’epato-splenomegalia e una riduzione dimensionale delle multiple stazioni linfonodali inizialmente
interessate.
Sei mesi più tardi, l’esame clinico e un’ulteriore TC
total-body con mezzo di contrasto associata a una 18FDG
PET-TC facevano porre un giudizio ematologico di completa remissione del linfoma di Hodgkin.
A distanza di quattro mesi, in totale assenza di
sintomi e segni, un’ulteriore scansione con 18FDG PET
programmata per il follow-up delle pregresse patologie
oncologiche evidenziava due nuovi linfonodi captanti
a livello latero-cervicale, insieme a una lieve captazione a livello del lobo inferiore destro della tiroide.
Un esame TC con contrasto di testa e collo, completato
da un’ultrasonografia con mezzo di contrasto, svelava
molteplici noduli e una lesione altamente vascolarizzata nel parenchima tiroideo, e confermava la presenza
di numerosi linfonodi latero-cervicali ingrossati. Un
agoaspirato consentiva di diagnosticare un carcinoma
papillifero della tiroide, che rendeva necessaria una
tiroidectomia totale. I successivi studi istopatologici
confermavano un carcinoma papillifero multifocale,
limitato al tessuto ghiandolare, senza estensione ai
linfonodi satelliti. I consulenti endocrinologi consigliavano una terapia radiometabolica con 131I, eseguita a
tre mesi di distanza per l’anamnesi del paziente relativa a molteplici eventi neoplastici, e successivamente
titolavano la terapia sostitutiva con levotiroxina, che
otteneva una completa normalizzazione del bilancio
ormonale ipofisi-tiroide.
Nonostante il decorso clinico minato da molteplici affezioni non HIV-correlate, l’infezione retrovirale restava controllata con lo stesso regime HAART inizialmente impostato, fino a sei mesi fa, quando una riduzione
dell’aderenza terapeutica riferita dal paziente portava a
un rialzo della viremia fino a 121.000 copie di HIV-RNA/
mL, pur in assenza di mutazioni virali rilevabili al test
genotipico di resistenza e di una conta di linfociti CD4+
sempre al di sopra della soglia di 500 cellule/µL.
La ripetizione di esami TC total-body con contrasto
e di scintigrafie total-body con 18PET-FDG permetteva
di escludere segni di malattia residua e di riattivazioni
di tutte le precedenti affezioni neoplastiche, a distanza
di 12 mesi dal termine del trattamento del carcinoma
tiroideo.
Discussione
Dopo il riconoscimento precoce del sarcoma di
Kaposi come una delle prime patologie cutanee
definenti l’AIDS conclamata, i tumori maligni
di interesse dermatologico hanno raggiunto un
ampio spettro in corso di infezione da HIV, com-
prendendo linfomi cutanei localizzati a cellule T
(rappresentati spesso dalla micosi fungoide o dalla
sindrome di Sezary), per i quali la terapia radiante
si dimostra in genere risolutiva22-24 (come nel caso
qui presentato), e i molto più rari linfomi cutanei
derivanti dalle cellule B o di origine plasmablastica, che sono stati registrati in meno del 5% di
tutti i linfomi non-Hodgkin rilevati in casistiche
di soggetti con infezione da HIV7.
Il paziente oggetto di discussione aveva sofferto di un linfoma cutaneo a cellule T e successivamente di un linfoma cutaneo a cellule B marginali
nell’arco di tempo di quattro anni, quando la sua
sierologia per HIV era ignota, sebbene l’assetto
immunologico di base non avesse dimostrato alterazioni.
Poiché l’infezione da HIV è stata identificata
solo dopo una diagnosi di sifilide secondaria associata a manifestazioni cutanee altamente atipiche
(placche eritematose, indolenti, diffuse a buona
parte della superficie corporea, ivi comprese le sedi
dei pregressi linfomi cutanei e delle irradiazioni),
biopsie cutanee e relativi studi istopatologici si
sono resi necessari per confermare la diagnosi ed
escludere recidive dei pregressi tumori cutanei. Se
da un lato la sifilide continua a giocare il suo ruolo
di “grande imitatrice” di molteplici altre patologie
cutanee e sistemiche27,28, nel nostro caso proprio
questa patologia sessualmente trasmessa è stata
la spia che ha consentito di svelare la sottostante
infezione da HIV, pur in assenza di un’anamnesi
di rischio di patologie a trasmissione sessuale da
parte del paziente. D’altro canto, il rischio di ricorrenza di neoplasie o di sviluppo di “secondi tumori”
è stato ampiamente registrato anche tra soggetti
con o senza infezione da HIV o AIDS, sottoposti a
chemioterapia e/o radioterapia29.
Passando a considerare la frequenza e le caratteristiche delle patologie tiroidee nel contesto della
malattia da HIV, nel vasto spettro evidenziato dalla letteratura sono ricomprese affezioni non differenti rispetto a quelle rilevate nella popolazione
generale e che non sono probabilmente influenzate
dall’infezione da HIV21,28, insieme a molteplici affezioni di natura infettiva, neoplastica e funzionale
che possono essere direttamente o indirettamente
correlate all’infezione da HIV, a sue complicanze,
alla terapia antiretrovirale, o a eventi avversi di
altre terapie farmacologiche.
Un carcinoma papillifero della tiroide con istologia simile a quella rilevata nel paziente da noi
presentato è stato identificato in soli due soggetti nell’ambito di una casistica autoptica condotta
in Brasile su 100 pazienti deceduti in un’epoca
antecedente alla disponibilità dell’HAART22. Per
questo, un carcinoma tiroideo ben differenziato
(papillifero) dovrebbe essere considerato un rilievo raro o spesso sottodiagnosticato tra i soggetti
HIV-positivi. D’altra parte, il caso aneddotico di
un paziente con carcinoma capillifero della tiroide
e con micrometastasi residue anche dopo trattamento con radioiodio pone questioni rilevanti circa
un eventuale decorso differente di tale patologia in
R. Manfredi et al.: Patologie tumorali non correlate ad AIDS
corso di infezione da HIV31. Anche i casi di carcinoma della tiroide scarsamente differenziati si sono
dimostrati estremamente rari in corso di infezione
da HIV, come evidenziato dal rilievo di un solo caso su 2.560 pazienti, seguiti nell’ambito di una coorte osservazionale spagnola6. Nel nostro caso, un
inatteso tumore della tiroide che non aveva dato
alcun segno di sé è stato scoperto incidentalmente a seguito del follow-up strumentale di altri tre
tumori che il paziente aveva superato negli anni
precedenti.
Poiché l’epidemiologia delle neoplasie non definenti l’AIDS mostra un incremento complessivo di
tali patologie, in associazione con una patomorfosi
delle presentazioni cliniche3-7,32, gli operatori sanitari che a qualunque livello sono impegnati in programmi di prevenzione e di diagnosi e trattamento
precoci dell’infezione da HIV e delle patologie associate dovrebbero prestare la massima attenzione a soggetti a rischio per infezione da HIV o già
riconosciuti come infetti e sottoposti a trattamento
con HAART, e alle patologie cutanee pregresse e
intercorrenti, che necessitano di uno stretto monitoraggio e di un follow-up a lungo termine, anche
in presenza di un’infezione da HIV controllata da
un punto di vista virologico e immunologico4,26. Anche una serie di rilievi potenzialmente indicativi di
affezioni infettive o neoplastiche può risultare fuorviante in corso di infezione da HIV: basti pensare
alla elevatissima incidenza di epato-splenomegalia
e di rilievo di linfonodi reattivi situati nelle più comuni sedi latero-cervicali e intraddominali (come
nel caso del paziente presentato). Questi rilievi
rappresentano nella grande maggioranza dei casi
un comune e banale segno di accompagnamento
dell’infezione da HIV stessa (spesso incrementati
dalla immunoricostituzione raggiunta grazie a un
regime HAART efficace)33, ma possono anche costituire segni di infezioni o patologie neoplastiche
pregresse, attuali o riattivate.
Nell’emblematico caso da noi preso come spunto, la ripetizione di un esame 18FDG-PET mirato
al follow-up dei due pregressi linfomi non-Hodgkin
cutanei e della pregressa malattia di Hodgkin ha
contribuito in misura estremamente significativa
a indirizzare la diagnosi di un carcinoma tiroideo
del tutto asintomatico, nonostante i molteplici,
possibili fattori confondenti, rappresentati dai
precedenti disordini linfoproliferativi, dalle possibili complicazioni infettive (ivi inclusa la stessa
infezione da HIV) e da una sindrome da immunoricostituzione connessa all’efficacia dell’HAART
sul sistema immune, che può presentare caratteristiche peculiari proprio in pazienti neoplastici33.
La stessa tumefazione indolente e bilaterale di
linfonodi laterocervicali è propria della quasi totalità dei soggetti con infezione da HIV, e solo casi
selezionati vengono sottoposti a indagini invasive
allo scopo di escludere ulteriori affezioni.
Nonostante una storia clinica costellata da ben
quattro patologie tumorali apparentemente non
correlate tra loro e con l’infezione da HIV concomitante, che hanno posto rilevanti problemi in sede
diagnostica e nella loro collocazione temporale con
il riconoscimento di una sifilide secondaria clinicamente atipica e della sieropositività per HIV, la
pronta somministrazione di una potente HAART
ha consentito un rapido controllo virologico e una
mantenuta competenza delle difese immunitarie
cellulo-mediate (quanto meno sul versante quantitativo, che è l’unico attualmente misurabile).
Take home messages
■■
Negli anni più recenti, l’infezione da HIV tende a complicarsi con patologie tumorali soprattutto non AIDScorrelate, anche quando le terapie antiretrovirali a
elevata efficacia (HAART) vengono somministrate con
tempestività e risultano efficaci sui versanti virologico
e immunologico.
■■
Queste patologie tumorali riconoscono un’eziopatogenesi nella persistente ridotta competenza funzionale
del sistema immunitario, nel ruolo oncogeno di cofattori presenti (ivi compresa la stessa infezione da HIV),
nell’invecchiamento anagrafico della popolazione che
vive con infezione da HIV e nella senescenza prematura
indotta dalla stessa infezione retrovirale e dai suoi trattamenti specifici (HAART).
■■
La stessa diagnosi di infezione da HIV può essere misconosciuta e ritardata, fino all’evidenza clinica e strumentale di affezioni concomitanti che possono suggerire
l’effettuazione di una sierologia per HIV (una sifilide atipica ha rappresentato il “trigger” per la prima diagnosi
di infezione da HIV nel caso presentato).
■■
Un riconoscimento precoce e una efficace diagnosi
differenziale sono resi complessi dalle numerose comorbilità di questi pazienti (soltanto la ripetizione di
un esame 18PET-FDG total body come follow-up di altre
patologie oncologiche ha permesso di sospettare un
carcinoma della tiroide ancora del tutto asintomatico
nel nostro paziente).
■■
Soltanto un elevato livello di attenzione da parte di tutto il personale sanitario che gestisce i soggetti con infezione da HIV nota o a rischio per infezione da HIV può
permettere una diagnosi tempestiva e un trattamento
il più possibile efficace di tali complicanze neoplastiche.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Roberto Manfredi
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche
Policlinico S. Orsola-Malpighi
“Alma Mater Studiorum” Università di Bologna
Via Massarenti 11
40138 Bologna
E-mail: [email protected]
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