Bjt: parametri dei fogli tecnici e tecnologia

ITIS OMAR NOVARA
TDP Elettronica
I parametri dei transistor nei fogli tecnici
e relazione fra tecnologia costruttiva e caratteristiche
1 - I valori massimi assoluti
Nella prima pagina di ogni foglio tecnico (data sheet) di un
transistor bipolare i primi dati che vengono riportati sono quelli
della tabella dei valori massimi assoluti (Absolute Maximum
Ratings oppure semplicemente Limiting Values, come indicato
nell’esempio sotto riportato in tabella 1).
Questa tabella contiene i valori-limite che non debbono
assolutamente essere superati: ciò significa che il progettista
deve essere certo che – anche nella situazione peggiore che
potrà capitare nella vita operativa dello schema che utilizza
questo transistor – non potrà mai capitare di applicare al
componente un valore uguale o superiore a quello indicato in
questa tabella.
La sicurezza della “sopravvivenza” del componente sarà quindi
garantita da opportune protezioni, un accurato progetto, un accorto dimensionamento degli elementi
utilizzati, la presenza di adeguati dissipatori o sistemi di ventilazione, ecc.
Tabella 1: valori massimi assoluti per un transistor bipolare di media potenza (BD131 Philips)
LIMITING VALUES
In accordance with the Absolute Maximum Rating System (IEC 134)
Min
Max
Unit
VCBO
VCEO
Symbol
Collector-Base Voltage
Parameter
Open Emitter
-
70
V
Collector-Emitter Voltage
Open Base
-
45
V
VEBO
Emitter-Base Voltage
Open Collector
-
6
V
IC
Collector Current (DC)
-
3
A
ICM
Collector Peak Current
-
6
A
IBM
Base Peak Current
-
0.5
A
Ptot
Total Power Dissipation
Tstg
Storage Temperature
Tj
Junction Temperature
Tamb
Operating Ambient Temperature
Test Conditions
Tamb < 60 °C
-
15
W
- 65
+ 150
°C
-
+ 150
°C
- 65
+ 150
°C
1.1 – Le tensioni-limite
Come si vede nell’esempio qui riportato, i primi valori-limite indicati dal costruttore sono quelli relativi
alle tensioni massime applicabili ai vari terminali del transistor; si noti che alcuni costruttori indicano
queste tensioni-limite con la sigla BVxxx o BDVxxx, ovvero Breakdown Voltage.
Queste tensioni vengono scritte con tre pedici: i primi due indicano i terminali rispetto ai quali viene
riferita la tensione, mentre il terzo pedice indica la condizione di misura, e precisamente:
O = Open, S = Short circuit, R = Resistor connection, V = Voltage specified, X = reverse biased
Il primo valore indicato è la VCBO, ovvero la massima tensione applicabile fra collettore e base a
emettitore aperto (ovvero sconnesso): questa è la massima tensione applicabile in assoluto al
transistor. Il secondo valore è la VCEO, ovvero la massima tensione applicabile fra collettore ed
emettitore a base aperta, valore che risulta sempre inferiore alla VCBO.
Perché la VCBO è sempre più elevata?
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La risposta va ricercata nel fatto che quando l’emettitore è sconnesso non viene attivata la struttura “a
tre strati” tipica del transistor, altrimenti in grado di amplificare la corrente che lo attraversa. Per tale
motivo il fatto di applicare una tensione fra collettore e base senza connettere l’emettitore equivale ad
applicare tensione ad una semplice giunzione P-N, ovvero un comune diodo. Ecco quindi che la
corrente di fuga fra le due zone coincide con la sola corrente inversa di giunzione, che viene indicata
nel foglio tecnico come ICBO nella successiva sezione Electrical Caratheristic, di cui una porzione è
riportata in tabella 2.
Questa corrente (indicata come “cut-off current”) è infatti analoga ad una comune corrente di fuga di
una giunzione P-N. Si noti inoltre che, del tutto analogamente a quanto succede ai diodi, essa
aumenta con la temperatura, e a 150°C aumenta di ben 500 volte. E’ superfluo notare che la
condizione di misura IE = 0 equivale ovviamente all’emettitore aperto!
Ci si può chiedere quale sia il senso di indicare una condizione di misura che in realtà non potrà mai
trovare riscontro in alcuna condizione pratica (quando mai si sconnette l’emettitore in un circuito?). La
risposta è che la VCBO rappresenta un valore-limite, che indica la massima tenuta in tensione teorica
di un transistor. Al di là di ciò, comunque, parecchi anni fa alcuni progettisti di Thomson-CSF
proposero circuiti in cui veniva utilizzata una tecnica di “emitter switching”, successivamente ripresa
da STMicroelectronics in alcune note applicative.
Tabella 2: indicazione delle correnti di fuga (BD131 Philips)
ELECTRICAL CHARATERISTICS (Tj = 25 °C unless otherwise specified)
Symbol
ICBO
Parameter
Collector Cutoff Current
Test Conditions
Min
Max
Unit
VCB = 50 V, IE = 0
-
50
nA
VCB = 50 V, IE = 0, Tj = 150 °C
-
10
µA
ICEO
Collector Cutoff Current
VCE = 50 V, IB = 0
-
1
µA
IEBO
Emitter Cutoff Current
VEB = 5 V, IC = 0
-
50
nA
La seconda tensione riportata nella tabella dei valori massimi assoluti (Tabella 1) è la VCEO, ovvero
la massima tensione applicabile fra collettore ed emettitore a base aperta. Questa tensione è sempre
inferiore – anche di parecchio – alla VCBO. Perché?
La risposta risiede nel constatare (vedi figura 1) che applicando tensione fra collettore ed emettitore si
vengono a polarizzare in realtà due giunzioni: la
collettore-base (con polarizzazione inversa) e la baseemettitore, in polarizzazione diretta. In questa situazione
la corrente che attraversa l’intera struttura del transistor
viene indicata come ICEO e – come si può notare dai
dati della Tabella 2 – risulta più elevata della ICBO, in
quanto la corrente di fuga che attraversa la giunzione
collettore-base (polarizzata inversamente) procede verso
la giunzione base-emettitore che si trova in
polarizzazione diretta, dove subisce l’amplificazione
tipica del transistor.
In altri termini, per il transistor è come se il valore della
Figura 1
corrente di base che viene amplificata per l’hFE fosse
pari a ICBO che, invece di provenire da un circuito esterno, proviene dalla zona di collettore. Per tale
motivo, vale la relazione:
ICEO = ICBO · (hFE + 1)
Ecco il motivo per cui la ICEO è decisamente più elevata della ICBO.
E’ qui opportuno notare che in alcuni fogli tecnici di transistor di potenza (meglio dettagliati) vengono
riportate – oltre alla VCBO ed alla VCEO – anche altre tensioni massime di collettore, misurate in
differenti condizioni, come ad esempio VCER, VCES, VCEV e VCEX: di che si tratta?
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massima tensione collettore-emettitore con una resistenza (specificata) fra base e massa;
massima tensione collettore-emettitore con una VBE specificata compresa fra 0 e 0.6 V;
massima tensione collettore-emettitore con base cortocircuitata a massa;
massima tensione collettore-emettitore con una la base polarizzata inversamente.
Si nota inoltre che queste tensioni presentano valori via via crescenti, e sono comprese fra VCEO e
VCBO. Perché?
-
VCER
VCEV:
VCES:
VCEX:
La risposta può essere trovata analizzando le rispettive configurazioni, riportate in figura 2.
Figura 2: le diverse possibili connessioni per un bjt interdetto, le rispettive tenute in tensione, le
correnti di fuga e la conseguente polarizzazione interna
VCER: Come si può notare, rispetto alla situazione a base aperta, il fatto di collegare un resistore
fra base ed emettitore permette di creare un percorso esterno per una parte della corrente inversa
collettore-base, che quindi non viene più interamente amplificata per l’hFE del transistor e di
conseguenza – come indicato in figura - la ICER sarà inferiore alla ICEO. Proprio la minor corrente
fra collettore ed emettitore permette al transistor di sostenere una tensione un po’ più elevata.
VCEV: Polarizzando la base con una tensione inferiore alla VBE di soglia (quindi con tensioni
comprese fra 0 e 0.6 V) si ha una situazione un po’ simile a quella ora vista e, a seconda del valore
della tensione applicata, si possono ottenere tenute in tensione leggermente più elevate.
VCES: La situazione può essere ottimizzata cercando di estrarre tutta la corrente inversa collettorebase, ciò che si può fare cortocircuitando la base con l’emettitore. A causa però della “resistenza
trasversale” della base (si tratta sempre di una regione a drogaggio medio-basso) non si riesce a
deviare esternamente tutta la ICBO, bensì solo una certa porzione. La corrente residua che
attraversa la rimanente porzione della giunzione base-emettitore è comunque sufficiente a indurre il
passaggio di una corrente ICES che, sebbene decisamente più ridotta rispetto alla ICEO (vedi
figura 2), non è ancora nulla, ma sufficientemente esigua da consentire di incrementare la tenuta in
tensione del transistor, che raggiunge la VCES, ancora maggiore della VCER.
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VCEX: La situazione ottimale si ottiene però cercando di forzare una più accentuata estrazione della
corrente dalla base, ciò che si ottiene polarizzando inversamente la base stessa, con una tensione
che però non può superare la VEBO specificata dal costruttore, solitamente compresa fra i 6 e gli 8
volt massimi; ecco il motivo per cui la VBE inversa non deve superare i 5 V. Con questa tecnica si
riduce ulteriormente la corrente che attraversa il transistor (ICEX), ottenendo una tenuta in tensione
che si avvicina al massimo teorico, ovvero la VCBO.
Si noti che per taluni costruttori le specifiche di VCEV si riferiscono a valori di VBE negativi (in
questo caso equivalgono alla situazione di VCEX sotto descritta), e per altri a VBE negativa ma con un
resistore RBE in serie al generatore (spesso più consona ad una situazione reale). Si cerchi quindi di
chiarire la varie definizioni, non univoche né universalmente definite.
La situazione dei valori crescenti di tenuta in tensione e dei loro reali andamenti al crescere della
corrente è evidenziata dal grafico di figura 3. Si noti che, poiché la VCEO presenta un tratto a
resistenza fortemente negativa, molti costruttori preferiscono indicare il valore VCEO(sus), spesso
indicato come LVCEO.
Figura 3: Andamento delle tensioni di blocco in funzione delle condizioni di polarizzazione.
Si noti che le proporzioni non sono reali: nella realtà la differenza fra i valori di VCEO e
quelli di VCEX – che fra l’altro dipendono significativamente dalla tecnologia utilizzata –
raggiungono al massimo il 30%.
Si noti che nei fogli tecnici dei transistor queste curve di breakdown non vengono mai riportate, ma
viene fornita la sola “caratteristica d’uscita”, ovvero la porzione di sinistra (fra l’altro mai estesa fino
alla VCEOsus), riferita a valori di IB positivi, quella in cui vengono a giacere le rette di carico usuali.
Nel caso in cui però si è sicuri di polarizzare adeguatamente il transistor in interdizione (per
esempio con VBE negativa), allora si può estendere l’area di lavoro facendo giungere le curve di
carico fino al valore di tensione indicato.
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1.2 - Quali circuiti?
Ma come è possibile – in un circuito reale – polarizzare correttamente un transistor e poi, quando lo si
vuole bloccare, provocare un corto fra base ed emettitore o addirittura polarizzare inversamente la
base? Non sembrino affatto situazioni impossibili: anzi, si osservino i circuiti seguenti, tutti
funzionanti – ovviamente – in commutazione, in quanto è la tipica situazione applicativa in cui viene
richiesto ciclicamente il bloccaggio del transistor.
Il primo circuito è quello di figura 4, dove si può notare un tipo di pilotaggio di un transistor di potenza
TP ad opera di un semplice stadio driver comandato da un’onda quadra (ad esempio da un circuito
logico).
In questo caso un livello basso in ingresso
provoca l’interdizione di Q1 e quindi il
conseguente blocco di TP; in questa situazione
la base di TP risulta aperta, in quanto Q1
equivale ad un circuito aperto e fra la base di TP
e la massa non vi è alcun componente.
In questa situazione la tenuta in tensione di TP è
pari alla VCEO, ovvero il caso più sfavorevole.
Si noti innanzitutto che non è necessario
utilizzare una sola alimentazione: infatti lo stadio
driver può essere alimentato a bassa tensione (5
Figura 4
o 12V), più che sufficiente a garantire il
pilotaggio di TP e tale inoltre da consentire la
scelta di un bjt di basso costo per Q1, mentre il
finale di potenza potrebbe anche richiedere tensioni molto elevate per il corretto pilotaggio del carico.
In secondo luogo si noti che non vi è necessità di un resistore di limitazione della corrente di base di
TP, in quanto R2 provvede a limitare contemporaneamente la IC di Q1 sia la IB di TP. R1 provvede
invece a limitare la corrente in base a Q1, impedendo che la logica applichi direttamente i 5V alla serie
Q1-TP.
Nei circuiti che operano ad elevata frequenza di
commutazione vi è la necessità di “sveltire” la
non breve fase di interdizione del bjt di potenza
TP provvedendo a svuotare più rapidamente i
portatori di carica dalla zona di base, ciò che
può essere ottenuto con una leggera modifica
allo schema di figura 4, inserendo una
resistenza Rbe fra la base di TP e massa, come
mostrato in figura 5.
Ciò consente di ridurre i tempi di commutazione
ed ha il vantaggio di incrementare leggermente
la tenuta in tensione di TP in fase di interdizione
portandola al valore di VCER.
Figura 5
Vi è da notare che il valore della Rbe non è
ininfluente nei confronti della tenuta in tensione
del bjt, anzi. Taluni fogli tecnici riportano un grafico che mette in relazione la tensione massima
applicabile con il valore della Rbe, come è mostrato in figura 6 nella pagina successiva.
Questo andamento non deve sembrare anomalo: infatti, se il valore della Rbe è sensibilmente più
elevato rispetto alla resistenza interna base-emettitore del transistor (ovvero almeno 10 volte l’hie),
allora per il bjt è come se la base fosse “aperta”, e quindi la tenuta in tensione si riduce alla VCEO.
Se invece la Rbe è molto inferiore all’hie (indicativamente inferiore a 1/10), allora per il bjt è come se ci
fosse un cortocircuito fra la base e l’emettitore, nel qual caso la tenuta in tensione aumenta fino al
valore di VCES.
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Figura 6: a seconda del
valore della RBE in rapporto
all’hIE del transistor, è
possibile variare la tenuta in
tensione.
Spesso, per rendere ancora più veloce la fase di turn-off del
transistor di potenza, si ricorre ad un pilotaggio realizzato per
mezzo di due bjt driver, come mostrato nell’esempio di figura
7.
Per interdire il bjt di potenza TP viene mandato in saturazione
il transistor Q2 e contemporaneamente interdetto Q1 (si noti
infatti che i segnali di pilotaggio sono invertiti). Con questa
tecnica è possibile evacuare più efficacemente i portatori di
carica accumulati in base a TP nella sua fase di saturazione,
ottenendo in tal modo una riduzione dei tempi di discesa della
corrente di collettore.
Quando il transistor TP si blocca, alla sua base risulta quindi
applicata una tensione pari alla VCEsat di Q2, pari a circa 0,10,2 Volt. In tal modo la tenuta in tensione di TP è quella che
molti costruttori indicano come VCEV, di valore simile alla
VCES: infatti per il transistor TP la saturazione di Q2 equivale
praticamente ad un “corto” fra base ed emettitore.
Figura 8
Figura 7
Ma è possibile fare ancora di più: polarizzando infatti
inversamente la giunzione base-emettitore di TP è possibile
ridurre ulteriormente i tempi di spegnimento di TP ed
incrementare la sua tenuta in tensione fino quasi alla sua
VCBO. Si rammenti – come già ricordato – che non è possibile
comunque superare la VEBO massima specificata, compresa
tipicamente fra i –5 V e i –8 V a seconda del transistor utilizzato.
Lo schema diviene quello di figura 8.
Come abbiamo visto, vi sono situazioni reali (e circuiti
perfettamente operativi) in cui i transistor si trovano a “base
aperta”, con una resistenza fra base ed emettitore, con un
quasi-cortocircuito fra base ed emettitore e altri in cui la base
viene addirittura polarizzata inversamente!
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1.3 – Le correnti massime
I successivi valori indicati nella tabella dei valori massimi assoluti (vedi tabella 1) sono le correnti
massime sopportabili. Il valore massimo di queste correnti dipende dall’area di giunzione (ecco
perché i transistor di maggior corrente richiedono contenitori di elevate dimensioni, come si può
vedere in figura 9) nonché da parametri quali il livello di drogaggio, lo spessore delle zone “attive” del
transistor, la facilità con cui viene smaltito il calore e non ultimo lo spessore della metallizzazione
nonché il diametro dei conduttori (terminali e fili interni al contenitore).
Figura 9: Poiché la massima corrente dipende dall’area di silicio utilizzata, ecco il motivo per cui i
transistor di forte amperaggio richiedono l’impiego di contenitori di grosse dimensioni.
Nei fogli tecnici i costruttori indicano i valori massimi di due tipi di corrente: quella di collettore IC e di
quella di base IB.
La corrente massima di collettore è uno dei parametri più importanti per la scelta del transistor, in
quanto è determinante per conoscere se il bjt è in grado di pilotare adeguatamente il carico senza
danneggiarsi (si spera con un certo margine!).
L’indicazione della corrente di base massima può invece sembrare superflua, poiché se il guadagno di
corrente è elevato è sufficiente una IB estremamente ridotta. E’ vero, ma può capitare che il circuito di
pilotaggio del nostro bjt subisca un corto verso la Vcc, e mandi una corrente eccessiva alla base: è
bene allora conoscere quale ne è il valore-limite in modo da progettare un eventuale circuito di
limitazione della IB.
Non solo, ma in molte applicazioni che operano in commutazione (soprattutto alle medie ed alte
potenze) è necessario sfruttare al massimo le caratteristiche del transistor cercando di renderne più
bassa possibile la caduta di tensione in conduzione (ovvero la VCEsat). Interpretando meglio i
grafici forniti nei fogli tecnici (vedi oltre a tal proposito) si scopre che per ottenere una riduzione della
VCEsat è necessario aumentare la corrente di pilotaggio del transistor oltre il valore minimo
necessario per la saturazione, utilizzando un “guadagno forzato” ben al di sotto dell’hFE tipico del
transistor (questi concetti verranno chiariti più in dettaglio in seguito). In tal caso la IB richiesta può
anche essere di ben un decimo di quella di collettore!
Anche nell’esempio del BD131 Philips riportato in Tabella 1, infatti, la IB massima è pari a quasi un
decimo della IC massima.
Si noti inoltre che la corrente massima di collettore viene indicata in due modi: IC e ICM. Il
motivo di questa duplice indicazione è chiaro leggendo la relativa descrizione: valore continuo (DC)
l’uno e di picco (istantaneo) l’altro, al punto che alcuni costruttori lo indicano come IC(pk).
Nell’esempio di Tabella 1 il valore di picco è doppio di quello continuo, ma per alcuni transistor vale
addirittura cinque volte tanto! Perché tutto ciò?
La risposta è analoga a quanto succede per i diodi, dove nei fogli tecnici si osserva un’analoga
situazione. Infatti, se invece di far passare una certa corrente per un tempo indefinito si applica un
impulso di corrente (quindi di breve durata) il semiconduttore non fa in tempo a scaldarsi per effetto
Joule, per cui può sopportare una corrente più elevata che nel caso continuo.
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Non solo, ma – come nel caso dei diodi - sarebbe bene conoscere anche la durata dell’impulso,
poiché tanto più breve è l’impulso, tanto più elevato sarà il picco di corrente applicabile. Infatti, alcuni
costruttori indicano, nella colonna “Test Conditions” della tabella la durata dell’impulso.
Non ci si faccia comunque trarre in inganno da un ragionamento del tipo “ma allora, se riduco
adeguatamente la durata dell’impulso, allora posso applicare una corrente di picco elevatissima”! La
risposta è no, in quanto innanzitutto esiste comunque un valore-limite tecnologico che non va
superato, e in secondo luogo i tempi di commutazione tipici di ogni transistor (si veda oltre a tal
proposito) impediscono di applicare impulsi di durata inferiore a un dato valore.
1.4 – La potenza dissipabile
Il massimo prodotto corrente-tensione viene fissato dal costruttore nella medesima tabella dei valorilimite sotto la sigla di Ptot (potenza totale) in quanto dato dalla somma della potenza di collettore e
della potenza di base:
Ptot = Pcoll + Pbase = IC * VCE + IB * VBE
Negli impieghi lineari la potenza dissipata in base è trascurabile, ma in quelli in commutazione dove il
guadagno in corrente del transistor è ridotto può costituire una frazione da tenere in considerazione.
Sebbene nella tabella dei valori massimi assoluti il valore di Ptot indicato sia unico, si deve tuttavia
tener presente che esso può variare in funzione di alcuni parametri. Innanzitutto si può osservare che
nella colonna Test Conditions della tabella 1 compare l’indicazione Tamb < 60°C, il che significa che
la temperatura dell’ambiente in cui si trova il transistor è in grado di condizionare il valore della
potenza massima dissipabile, così come è noto dalla relazione:
Pmax = (Tjmax – Tamb) / Rth(j-a)
Dove Rth(j-a) è la resistenza termica giunzione-ambiente (riportata in un’apposita tabella del
foglio tecnico) e Tjmax è la temperatura massima di giunzione, indicata nella tabella dei valori-limite.
Da questa relazione è chiaro come un aumento della temperatura ambiente sia in grado di limitare
direttamente la massima potenza dissipabile. A tale proposito il costruttore spesso riporta sul foglio
tecnico un grafico che lega proprio i due parametri potenza massima e temperatura ambiente, così
come evidenziato nel sottostante esempio di “derating” di figura 10.
Figura 10: Nel caso del
transistor TIP41 il costruttore
riporta la “curva di derating”
della potenza massima
dissipabile, mettendola in
relazione sia con la temperatura
ambiente TA sia con quella del
contenitore TC.- Si noti che se il
contenitore viene mantenuto a
25°C la potenza dissipabile è
decisamente superiore (65 W) a
quella dissipabile senza
dissipatore (2W).
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1.5 – L’area operativa di sicurezza
Sempre a proposito dei valori-limite finora
visti, il costruttore riassume in un grafico i
limiti di potenza, corrente e tensione del
transistor in quella che viene definita
come la S.O.A. (Safe Operating Area
ovvero “area operativa di sicurezza” ),
che si presenta con l’andamento tipico di
figura 11.
Il grafico riporta – in coordinate lineari –
l’area all’interno della quale il progettista
può far lavorare il transistor, senza limiti
di tempo, ed è definita DC SOA, ovvero
area operativa in continua.
Quest’area è delimitata dalla IC massima,
dalla VCE massima (VCEO) e dalla
potenza massima diddipabile, che appare
come un’iperbole (si tratta infatti del
“luogo dei punti” a prodotto IC x VCE
= costante, la PD in questo caso).
Figura 11
Nei fogli tecnici, però, il costruttore riporta un’area operativa all’apparenza alquanto diversa, e
precisamente del tipo di quella di figura 12.
Figura 12: Grafico della
SOA del 2N3738
Motorola in cui sono
riportati i profili in
continua e con durate
d’impulso
progressivamente
ridotte; sono evidenti i
limiti tecnologici, termici,
di campo elettrico e di
rottura secondaria
(second breakdown)
Come si può vedere dal grafico di figura 12, infatti, i costruttori forniscono una SOA in coordinate
logaritmiche, dove le iperboli della potenza dissipata divengono dei segmenti di retta (le porzioni
tratteggiate in figura).
In questo grafico viene riportato sull’asse delle ascisse il valore della tensione di breakdown del
transistor (in questo caso la VCEO di 300 V) e sull’asse delle ordinate la corrente massima di
collettore, che è pari a 1.0 ampere continui e 2.0 ampere di picco.
L’area operativa più ridotta (quella che termina a 1.0 A) vale nel caso di operazione in continua (dc),
mentre per operazione a impulsi l’area operativa può essere estesa fino a 2.0 A ma, si noti,
indipendentemente dalla durata degli impulsi; ciò significa che il costruttore consiglia di non superare
questo limite in quanto imposto dal diametro dei conduttori metallici saldati sulle metallizzazioni del
chip (ecco la dicitura “bonding wire limited”).
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Con la progressiva riduzione della durata degli impulsi (da 5 ms fino a 100 µs) l’area operativa può
essere estesa aumentando così la potenza istantanea dissipata, che passa dai 20 watt nel caso della
continua fino ai ben 300 watt se l’impulso non supera i 100 µsec. Il motivo di questa dipendenza della
potenza dalla durata degli impulsi è spiegato con l’osservare che, per impulsi di durata
sufficientemente breve rispetto alla costante di tempo termica dell’insieme chip-contenitore, la velocità
di propagazione del calore dal cristallo di silicio all’acciaio del package comporta un riscaldamento per
effetto Joule minore che nel caso della corrente continua.
Ci si potrebbe a questo punto chiedere giustamente: “ma quando mai nella pratica un circuito lavora
con un singolo impulso?” e poi ancora: “ma se applichiamo una sequenza di impulsi, è determinante
la frequenza di ripetizione degli stessi, non solo la durata!”: considerazioni estremamente corrette! E
infatti il costruttore, proprio a questo proposito, non si accontenta di indicare questi dati (purtroppo
parziali) nel grafico della SOA, ma esprime in un altro grafico (vedi figura 13) la relazione fra durata
degli impulsi e frequenza di ripetizione.
Figura 13: In questo grafico (sempre relativo al 2N3738 di figura 12) viene messa in relazione la
resistenza termica dinamica (normalizzata) in funzione della durata degli impulsi e del duty-cycle D.
Il grafico in oggetto non mette però in relazione direttamente la durata degli impulsi con la potenza
dissipabile, bensì con la resistenza termica, quella che compare nella nota relazione:
Pmax = (Tjmax – Tamb) / Rth(j-a)
che lega resistenza termica e potenza.
Proprio poiché si tratta di impulsi, nel grafico di figura 13 la resistenza termica viene chiamata
“transient”, ovvero “dinamica”, che alcuni costruttori chiamano (forse più correttamente) “impedenza
termica”.
Come si vede dal grafico, vengono fornite varie curve al variare del duty-cycle, ovvero del rapporto
tp/T (durata dell’impulso in funzione del periodo di ripetizione degli impulsi). Ad esempio, con un
D=0.1 ed un tp di 10 µs (periodo di 100 µs) si può fruire di un’impedenza termica di solo un decimo di
quella tipica del dispositivo, il che significa poter dissipare una potenza dieci volte superiore!
Come si vede, se la durata degli impulsi diviene elevata (orientativamente al di sopra di qualche
decina di millisecondi) ci si avvicina al caso continuo, con una resistenza termica simile al caso statico
(corrente continua).
Se oltre al variare di questi parametri varia anche la temperatura ambiente (oppure
dell’apparecchiatura che utilizza il transistor in questione) allora occorre ricorrere alla formula che lega
potenza a temperatura, riportata più sopra in questa pagina. Oppure, il costruttore può venirci
incontro riportando sul foglio tecnico un grafico di “power derating” (vedi figura 10) che lega la potenza
dissipabile alla temperatura ambiente e/o del contenitore.
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1.6 – Il fenomeno del breakdown secondario
Osservando il grafico dell’area operativa di sicurezza di figura 12 si nota però un’ulteriore limitazione
della SOA, dovuta al fenomeno del “second breakdown”, ovvero breakdown secondario. Si tratta di
un fenomeno di “addensamento” localizzato delle linee di corrente dovuto alla geometria costruttiva
del chip del transistor, ovvero alla disposizione delle aree di diffusione e di metallizzazione. Per tale
motivo l’entità di questa ulteriore riduzione varia notevolmente da transistor a transistor, e dipende
fortemente dalla tecnologia costruttiva utilizzata.
La localizzazione delle linee di corrente in piccole aree (il fenomeno si manifesta soprattutto ad
elevata corrente e con forti tensioni applicate) porta a surriscaldamenti locali, detti “hot spot” e
perfettamente visualizzati operando a impulsi e fotografando la superficie del chip all’infrarosso. Si è
osservato infatti che la temperatura locale del cristallo di silicio può raggiungere anche i 400 °C, con
conseguente passaggio del semiconduttore alla conducibilità intrinseca, che porta alla veloce
formazione di un gran numero di portatori minoritari.
Tale aumento della conducibilità locale porta ad un ulteriore concentrazione della corrente, che
aumenta ancora la temperatura, che incrementa la conducibilità fino a portare in breve ad una
situazione di cortocircuito fra collettore ed emettitore, che si rivela perfettamente in grado di portare
alla distruzione del transistor anche senza aver superato la massima dissipazione consentita dal
dispositivo. Questo fenomeno si manifesta con una brusca diminuzione della tensione fra collettore
ed emettitore ed un simultaneo incremento della corrente di collettore, che viene limitata solo dalle
resistenze esterne presenti nel circuito.
Il fenomeno del breakdown secondario può avvenire sia se la giunzione base-emettitore è polarizzata
direttamente, sia quando è polarizzata inversamente, come si può vedere dalla figura 14.
Figura 14: Curve di
breakdown primario e
secondario con
giunzione baseemettitore in
polarizzazione diretta e
inversa
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2 – La tecnologia costruttiva
L’evoluzione tecnologica ha consentito di ottenere dispositivi ottimizzati per ciascuna applicazione,
permettendo ad esempio di garantire un’adeguata tenuta in tensione anche ad elevate correnti per i
transistor di forte potenza, o minimizzare i tempi di commutazione anche per forti correnti, o ancora
ottenere guadagni elevati anche per dispositivi di potenza o infine linearizzare l’andamento hFE/IC
su un più ampio range di corrente.
La tecnologia costruttiva dei transistor è infatti passata da quella a lega (la prima che ha permesso di
produrre i primi bjt di ampia produzione), alla lega di tipo drift, dalla planare alla planare-epitassiale,
dalla struttura interdigitata a quella multicellulare, passando per accorgimenti tecnologici quali le
strutture mesa, le hollow-emitter e altre ancora.
Le tecniche costruttive più utilizzate per i transistor che popolano le apparecchiature in commercio
sono soprattutto la planare e la planare-epitassiale, con alcune varianti, volte a ottimizzare alcuni
parametri elettrici. Ne è un esempio la figura 15, che riporta la sezione di una tecnologia planareepitassiale utilizzata per realizzare transistor di media tensione (100 – 200V) caratterizzati da elevate
velocità di commutazione utilizzabili per i dc-dc converter, i driver di finali per commutazione, la
deflessione TV e i darlington veloci (serie BD, BU, 2N, MJ).
Si notino le diffusioni periferiche N+, a cui fanno capo delle metallizzazioni che, circondando il chip,
permettono di ridurre i campi elettrici superficiali e le correnti di fuga. Lo strato epitassiale N- a basso
drogaggio è oggi presente in tutte le tecnologie costruttive poiché permette di incrementare la tenuta
in tensione e ridurre le correnti di fuga collettore-base.
Figura 15 (a lato): Sezione della struttura
di un transistor in tecnologia planareepitassiale di costruzione SGS. Come si
può notare, la metallizzazione di base
circonda completamente l’emettitore al fine
di minimizzare la resistenza-serie della
base e quindi di garantire un’efficiente
“iniezione di portatori” sia nelle fasi di ON
che in quelle di bloccaggio.
Figura 16 (sotto): Sezione della tecnologia
a base epitassiale con attacco mesa di
SGS
Una tecnologia più economica è quella a
“base epitassiale” visibile in figura 16,
utilizzata per transistor con VCEO fino a
160V, con ampia SOA e bassa VCEsat
da impiegare in amplificatori, regolatori di
tensione, driver e applicazioni di uso
generale.
Si noti l’arricchimento
superficiale del drogaggio della base (per
consentire un efficiente contatto ohmico
delle
metallizzazioni)
nonché
la
passivazione periferica della giunzione
base-collettore tramite vetro, colato in un
solco ottenuto per attacco acido, mentre
la passivazione in ossido di silicio è solo
Figura 16
sulla superficie superiore del chip.
Per poter realizzare transistor in grado di sostenere tensioni più elevate (fino ai 400 V) è necessario
introdurre una variante della tecnologia planare di figura 15, e precisamente “graduare” la resistività
dello strato epitassiale in modo da distribuire più uniformemente il campo elettrico interno al chip al
fine di evitare la formazione di intensi campi elettrici localizzati.
Ecco allora la scelta della tecnologia planare multi-epitassiale, che utilizza due crescite epitassiali: una
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 12
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TDP Elettronica
a medio drogaggio (di tipo N) e una a basso drogaggio (di tipo N-). La sezione risultante è mostrata in
figura 17.
Figura 17: Sezione della tecnologia
planare multi-epitassiale di SGS. Si notino
gli inspessimenti dello strato di ossido fra
la diffusione di base ed il “guard ring” di
protezione, realizzato in due fasi: un
ossido termico ed uno strato di P-vapox,
poi ripetuto sulle metallizzazioni.
Questi bjt possono raggiungere i 70A,
presentano un’elevata linearità, una buona
velocità di commutazione, un ES/B ridotto
e sono ideali per carichi induttivi e carichi
molto variabili.
In parecchie applicazioni di media potenza è però
necessario poter disporre di transistor in grado di
sopportare tensioni ancora più elevate (oggi
esistono bjt da 1400 Volt!).
Un fattore che limita però decisamente
l’ottenimento di processi tecnologici in grado di
sostenere tensioni più elevate è dato anche dai
problemi “di bordo”, ovvero di minor tenuta in
tensione
della
zona
periferica,
rovinata
dall’operazione di taglio per la separazione dei
chip. Il taglio provoca infatti la perdita della
monocristallinità dei bordi (vedi figura 18), con
conseguente riduzione della rigidità dielettrica
locale del silicio.
Figura
18
Figura
19
Per ovviare a questo inconveniente è allora
necessario “diluire” il campo elettrico ai bordi in
modo da ridurlo al di sotto del valore di rottura
dielettrica, ciò che può essere ottenuto ad esempio
modificando la pendenza o la curvatura dei bordi,
ad esempio con attacco acido selettivo, applicato
ai bordi del chip, in corrispondenza a dove verrà
effettuato il taglio. La sezione risultante è quella di
figura 19.
In tal modo il campo elettrico ai bordi è inferiore a
quello all’interno del cristallo, e fra collettore ed
emettitore possono essere applicati valori di
tensione più elevati senza rischiare fenomeni di
breakdown ai bordi del chip, con il vantaggio di
ridurre al minimo le correnti di fuga nella zona
disturbata dal taglio e quindi non più
monocristallina.
La struttura di figura 19 fornisce al chip un aspetto “ad altipiano”, e per questo motivo viene
denominata tecnica “mesa” dallo spagnolo. L’attacco acido selettivo ai bordi del chip (effettuato prima
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 13
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TDP Elettronica
della separazione dei bjt) viene ottenuto
mascherando la zona attiva. L’aspetto superficiale
delle fette di silicio è quello di figura 20.
La medesima tecnica Mesa – utilizzata peraltro
anche per altri dispositivi quali diodi e tiristori – viene
applicata anche a tecnologie per alte tensioni quali le
multiepitassiali. In figura 21 è visibile la relativa
sezione
tecnologica
con
il
profilo
della
concentrazione dei droganti: si noti la “gradualità”
del profilo nelle zone di base e di collettore, e cioè
proprio dove si andrà a localizzare la regione di
svuotamento sottoposta quindi ad elevato campo
Figura
elettrico.
20
Grazie a questa tecnica e all’impiego di un’adeguata
passivazione superficiale della zona di attacco acido
(ossido di silicio nativo anziché vetro o resina) si
possono ottenere transistor da oltre 1000 Volt di VCBO, caratterizzati da ottime velocità di
commutazione e da elevate prestazioni in termini di IS/B ed ES/B. Bjt di queste tensioni sono richiesti
ad esempio nelle applicazioni di pilotaggio di carichi trifase da 380 V rettificati.
Figura 21: Sezione della tecnologia mesa multiepitassiale SGS con relativo profilo di drogaggio.
Se si osserva l’andamento delle linee equipotenziali all’interno di un transistor che si trova in
conduzione (vedi figura 22 a pagina seguente) si può notare che, a causa della resistività della zona
di base, si ha una caduta di tensione anche trasversale alla base stessa; ciò provoca una progressiva
riduzione della tensione effettiva all’interno della zona di base al di sotto dell’emettitore, man mano
che ci si allontana dalla metallizzazione di base.
Questa situazione comporta inevitabilmente un progressivo calo localizzato della tensione VBE di
pilotaggio della base, con la conseguenza che l’intensità della corrente di collettore non sarà più
costante nei vari punti della base (attraversata dalla corrente IC), ma sarà maggiore nella zona
periferica (vicina alla metallizzazione) e minore verso il centro dell’emettitore (vedi figura 23).
In altri termini, questa non-uniformità della corrente nei vari punti del transistor provoca un utilizzo non
ottimale dell’area del chip, con una densità di corrente che è insufficiente sotto la metallizzazione di
emettitore e può anche essere eccessiva ai bordi dell’emettitore stesso, con il rischio di
surriscaldamenti localizzati, peraltro confermati dalle termografie all’infrarosso.
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 14
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TDP Elettronica
Figura 22: Le cadute di tensione attraverso la diffusione di base fanno sì che procedendo verso il
centro dell'emettitore decresca la polarizzazione VBE, per cui la corrente di collettore sarà massima
lungo il perimetro dell’emettitore.
Figura 23: la termografia all’infrarosso
mostra la maggior densità di corrente lungo
il bordo dell’emettitore, con uno scarso
utilizzo della zona centrale del chip.
Per ovviare a questo inconveniente, si è deciso di utilizzare la struttura concentrica di figura 23 solo
per i bjt di piccola corrente, dove la non-uniformità della corrente risulta trascurabile e l’area del chip è
inferiore al millimetro quadrato.
Per i transistor di media e soprattutto di elevata corrente si sono dovute invece escogitare geometrie
in grado di realizzare una “iniezione” ottimale di portatori dalla base all’emettitore, sfruttando
l’osservazione che, se la dimensione dell’emettitore è pari allo spessore in cui si ha la maggior densità
di corrente, allora l’area di emettitore viene sfruttata in maniera ottimale.
Ecco quindi che l’emettitore non viene più realizzato come un’area compatta, bensì suddiviso in tante
piccole striscie fra loro interconnesse. Tale soluzione, rivelatasi ottimale, dà luogo a quelle che sono
state denominate “strutture interdigitate”, visibili nella figura 24.
Al di là della versione-base e di principio riportata nel disegno, ogni Società produttrice ha messo a
punto strutture idonee a ottimizzare particolari parametri (linearizzazione del guadagno, miglior
risposta in frequenza, riduzione dei tempi di commutazione, estensione dell’area operativa, ecc.) per
cui l’aspetto delle strutture interdigitate propietarie è divenuto anche assai differente dalla versione di
figura 24. Nella microfotografia di figura 25 è infatti visibile la microfotografia di una struttura
interdigitata utilizzata da SGS per transistor di media corrente.
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 15
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TDP Elettronica
Figura 24: struttura interdigitata in
cui le due metallizzazioni di base e
di emettitore seguono il profilo della
diffusione di emettitore.
Figura 25: microfotografia del chip di
un transistor di media corrente a
struttura interdigitata di produzione
SGS. Il chip ingrandito è una porzione
del wafer qui riportato.
Si noti che – vista l’utilità di tali strutture – esse
vengono utilizzate anche per i transistor di
potenza utilizzati all’interno dei circuiti integrati.
Alcuni costruttori hanno esteso il concetto
impiegato nei transistor di tipo interdigitato per
realizzare strutture ancor più sofisticate, dove ad
esempio si cerca di compensare la caduta di
tensione lungo le strisce di metallizzazione, per
cui la larghezza di ogni striscia viene ridotta man
mano ci si allontana dal punto di bonding con il
conduttore che porta ai terminali, così come
mostrato nella microfotografia qui a lato di STM.
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 16
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TDP Elettronica
Un altro problema che affligge i bjt di potenza che debbono commutare rapidamente elevate correnti è
rappresentato dalla difficoltà della fase di blocco, durante la quale – come si può vedere in figura 26 –
nonostante si ricorra ad una “estrazione forzata” di corrente dalla base tramite una VBE negativa,
sotto ogni striscia di emettitore rimangono delle “code” di corrente che provocano la formazione di “hot
spots” potenzialmente dannosi, che oltretutto danno luogo alle note “code di corrente” che rallentano
considerevolmente lo spegnimento
del transistor, con conseguente
aumento dei tempi di commutazione
e quindi minori frequenze di switching
e aumento della dissipazione.
Figura 26: durante l’estrazione della
corrente dalla base si formano dei
pericolosi “hot spots” sotto la zona di
emettitore Per evitare ciò, si è fatto
ricorso ai bjt “hollow emitter”.
Per
cercare
di
ovviare
a
tale
inconveniente, alcune Società hanno
realizzato transistor con “hollow emitter”
(emettitore cavo) che hanno permesso di
commutare correnti di 10A a 100 KHz con
tensioni di varie centinaia di volt.
A lato la sezione di un tipico bjt con
“emettitore cavo” e passivazione in ossido
termico, vetro e P-vapox.
Per ottenere prestazioni molto avanzate
(quali ad esempio elevate frequenze
operative, guadagno lineare, basse
VCEsat, ridotti tempi di commutazione,
piccole capacità parassite, ecc) si è giunti
addirittura a realizzare una struttura
“multicellulare”, ovvero costituita da un
elevato numero di “celle a transistor” in
parallelo sullo stesso chip, sfruttando le
conoscenze acquisite nella realizzazione
dei circuiti integrati. Ne sono così scaturiti
i bjt multicellulari, detti anche “overlay”
(vedi Fig. 27).
Figura 27: Microfotografia di transistor di
tipo multicellulare.
Molte sono le soluzioni tecnologiche adottate dai vari costruttori di transistor, tese ad ottenere il meglio
dai propri dispositivi. Non tutte le soluzioni, però, hanno mantenuto la propria validità anche nei
processi odierni, per cui la trattazione qui esposta è da considerarsi del tutto parziale e riguardante
soprattutto le tecniche classiche e più diffuse.
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 17
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TDP Elettronica
3 - I valori tipici e i grafici caratteristici
Nella seconda pagina del foglio tecnico di un transistor viene riportata la tabella delle caratteristiche
tipiche a temperatura ambiente, che si presenta come nell’esempio sotto riportato, che si riferisce ai
transistor della serie BD707/709/71 e BD708/710/712 di produzione STM.
ELECTRICAL CHARACTERISTICS (Tcase = 25°C unless otherwise specified)
Symbol
ICBO
Parameter
Collector Cut-off
Current (IE = 0)
Test Conditions
Min
Typ
Max
Unit
for BD711/712
Tcase = 150°C
for BD711/712
VCB = 100V
100
µA
VCB = 100V
1
mA
VCE = 50V
100
mA
1
mA
ICEO
Collector Cut-off
Current (IB = 0)
for BD711/712
IEBO
Emitter Cut-off Current
(IC = 0)
VEB = 5 V
Collector-Emitter
Saturation Voltage
IC = 4 A
IB = 0.4 A
1
V
VBE
Base-Emitter Voltage
IC = 4 A
VCE = 4 V
1.5
V
hFE
DC Current Gain
IC = 0.5 A
IC = 2 A
IC = 4 A
IC = 10 A
VCE = 2 V
VCE = 2 V
VCE = 4 V
VCE = 4 V
40
30
15
5
Transition Frequency
IC = 300 mA
VCE = 3 V
3
Collector (Output)
Capacitance
IE = 0, VCB = 10 V, f = 10 MHz
ton
Turn-on Time
ts
Storage Time
tf
Fall Time
Vcc = 100 V, IC = 10 A, IB = 400
mA, VBE(off) = -5 V, tp = 50 µs,
duty-cycle = 2%
VCE(sat)
fT
CC, Cob
120
120
400
150
10
MHz
250
350
pF
1
2
µs
2
4
µs
3
5
µs
Corrente inversa di collettore (collector cutoff current): essendo direttamente proporzionale all’area
di giunzione, essa dipende dalla IC massima del transistor, e può aumentare leggermente con la
tensione applicata se i bordi della giunzione non sono adeguatamente passivati; inoltre, essendo una
corrente inversa di giunzione, si tenga conto che la sua componente termica raddoppia ogni circa 10
°C.
Per un bjt da 100 mA quale ad esempio il
Figura 28
BC237 la ICBO è di 0,2 nA (15 nA max),
ma per un bjt da 12 A quale il BD707 può
essere anche di 0,1 mA già a temperatura
ambiente.
Corrente di fuga di emettitore (emitter
cutoff current): come già detto, la ICEO
vale all’incirca hFE volte la ICBO, e per un
bjt da 12 A come il BD707 può
raggiungere gli 0,1 A a 25 °C. Si noti che
anch’essa – proprio in quanto corrente di
fuga – raddoppia ogni 10 °C circa.
Come già spiegato a proposito della
tenuta in tensione dei transistor (pag. 2 e
3) la corrente di emettitore in off-state
varia a seconda della condizione di
polarizzazione della base.
Alcuni
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 18
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TDP Elettronica
costruttori riportano in grafico l’andamento della IC(off) al variare della VBE e, come si vede dal
grafico di figura 28 a pagina precedente, essa aumenta non solo con la temperatura ma anche
all’aumentare della tensione di base. Per il BU323P di Motorola, ad esempio, a 25°C passa dagli 0,7
µA di ICES (VBE = 0V) ai 10 mA per una VBE di 0,8V.
Tensione di saturazione (collector-emitter
Figura 29
saturation voltage): questo valore può
variare anche in maniera significativa a
seconda della tecnologia costruttiva e
soprattutto della corrente massima del
transistor in quanto varia l’area del chip: il
valore fornito dal costruttore può andare ad
esempio dai 40 mV a 10 mA per il BC107
ad 1 V a 4 A per il BD707.
Non solo, ma per lo stesso transistor è
fortemente funzione della corrente di
collettore. Per l’SGS3055, ad esempio,
come si può vedere nella figura a lato, può
andare dagli 80 mV a 100 mA fino a 1,3 V
a 10 A e addirittura a 3,5 V a 15 A.
Nel grafico di figura 29 compare però
un’indicazione solo all’apparenza poco
importante, ma che a ben vedere è di
rilevante importanza, ovvero l’indicazione
del guadagno. Tale valore (10 in questo
caso) non si riferisce al guadagno di
corrente tipico del transistor in esame, bensì del valore di “guadagno forzato” a cui è stata fatta la
misura. Di che si tratta?
Proprio poiché si parla della tensione misurata ai capi di un transistor quando viene portato in
saturazione, essa viene ottenuta inviando in base un valore di corrente sufficiente a portarlo in piena
conduzione, e qui sta il punto. Infatti – come è noto – la condizione di saturazione viene raggiunta
quando il prodotto Ic · Rc tende ad approssimarsi a Vcc. Tale condizione è ottenuta quando la
corrente di base diviene sufficiente ad ottenere la Ic necessaria.
In tale condizione, però, la tensione di saturazione del transistor può anche essere molto elevata, e si
parla infatti di condizione di “presaturazione”.
Nel grafico di figura 30 (relativa
Figura
all’SGS3055) è evidente quanto sopra
30
affermato. Con una corrente di saturazione
ICsat di 2 A, ad esempio, si può osservare
una VCEsat di ben 1,5 V se la IB
utilizzata per mandare in conduzione il
transistor è inferiore ai 20 mA, mentre se (a
pari corrente di collettore, poiché il bjt è
saturo) la IB viene aumentata fino ad
almeno 100 mA, è possibile provocare una
riduzione della VCEsat fino a soli 220
mV,
riducendo
la
dissipazione
in
saturazione da 3 W a soli 440 mW! Come
si può vedere dal grafico, il medesimo
ragionamento vale ovviamente anche per
correnti ICsat più elevate.
Quindi, poiché la corrente di collettore
rimane costante all’aumentare della
corrente di base, è come se il bjt lavorasse
con un guadagno “effettivo” inferiore; poiché però tale valore viene indotto esternamente,, viene
chiamato “guadagno forzato” e indicato con hFE*. Come si vede dal grafico dell’SGS3055, il valore di
hFE* massimo utile per ottenere la minima tensione di saturazione è pari a circa 20 (Ib = 0,1 A per Ic
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 19
ITIS OMAR NOVARA
= 2A, Ib = 0,5 A per Ic = 5 A, ecc).
Alcuni costruttori sono ancora più espliciti,
indicando come varia la VCEsat in funzione di
hFE* per vari valori di Ic (vedi figura 31).
Il vantaggio di poter ridurre la tensione di
saturazione può sembrare trascurabile: lo può
essere per i bjt di segnale, ma può diventare di
fondamentale
importanza
per
limitare
la
dissipazione di un transistor di potenza. Non si
pensi però che la riduzione della potenza dissipata
sul collettore venga resa vana da un corrispondente
aumento della potenza dissipata in base; non è
così. Per l’SGS3055 a 2 A, infatti, con una Ib di 20
mA (guadagno di 100) si ha una VCEsat di 1,5 V,
che comportano una potenza totale dissipata pari a:
TDP Elettronica
Figura
31
Ptot = Pcoll + Pbase = VCEsat ·
ICsat + VBEsat · IBsat = 1,5 · 2 + 0,6 · 0,02 = 3 + 0,012 ~ 3 Watt
Mentre con una IB di 100 mA (guadagno di 20) si avrebbe:
Ptot = Pc + Pb = VCEsat · ICsat + VBEsat · IBsat = 0,22 · 2 + 0,7 ·
0,1 = 0,44 + 0,07 ~ 0,5 Watt
Anche portando la corrente di base a 0,5 A la potenza totale dissipata salirebbe solo a 0,8 W.
Tensione base-emettitore: questa tensione
è funzione della corrente di base, e per i
transistor di potenza viene fornita in
condizioni di saturazione, per cui viene
indicata come VBEsat.
L’andamento
VBE/IB è simile alla caratteristica diretta di
un diodo, anche se nel caso del transistor
viene influenzato dall’intensità della corrente
di collettore.
Analogamente alla caratteristica del diodo,
inoltre, il valore della VBE subisce una
deriva termica pari a –2,5 mV/°C. Nel grafico
di figura 32 è visibile la medesima deriva ,
anche se mostra i valori di VBE di
saturazione in funzione di IC.
Figura
32
Resistenza d’ingresso: spesso, accanto al grafico della caratteristica d’ingresso IB/VBE compare
anche l’andamento dell’hIE in funzione della IC; esso, ovviamente, diminuisce all’aumentare della
corrente, ed è strettamente legato all’andamento IC/VBE, poiché hIE = VBE/IB. Un tipico andamento
dei grafici IC/VBE e hIE/IC è mostrato nel grafco di figura 33 a pagina seguente. Come si può
vedere, il valore della resistenza d’ingresso di un bjt può variare grandemente a seconda della
corrente di lavoro, e si può intuire che per i transistor di elevata
corrente esso è ancora più basso.
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 20
ITIS OMAR NOVARA
TDP Elettronica
Figura
33
Guadagno di corrente (detto anche Forward Current Transfer Ratio): nella tabella dei valori tipici a
temperatura ambiente vengono forniti valori tipici, minimi e massimi per alcuni valori di corrente di
collettore. Ciò indica innanzitutto l’ampia gamma di valori di hFE per la stessa siglatura di transistor,
sintomo di una “dispersione” di caratteristiche difficilmente contenibile a livello costruttivo se non
tramite test post-produzione.
In secondo luogo ci indica l’ampia variabilità del guadagno a seconda della corrente di lavoro,
variabilità che viene meglio dettagliata in un apposito grafico riportato dal costruttore nei fogli
successivi del data-sheet. Questo grafico (visibile in figura 34) mostra come il guadagno aumenti al
crescere della corrente fino a raggiungere un massimo per un valore di IC che va tipicamente da un
quinto a un terzo della IC massima, a
seconda della tecnologia costruttiva. Si noti
Figura
però che i transistor realizzati con le
34
tecnologie più recenti (planari-epitassiali
finemente
interdigitate
o
addirittura
multiemettitore e hollow-emitter) presentano
un andamento hFE/IC decisamente più
piatto.
Alcuni costruttori riportano un analogo
grafico (hFE/IC in cui però viene evidenziata
la variazione del guadagno non già con la
temperatura, bensì per vari valori di VCE.
Tale dipendenza può essere comunque
dedotta
dal
grafico
IC/VCE
delle
caratteristiche di uscita del transistor, in cui si
può notare come la pendenza di ciascuna
curva a IB costante e soprattutto il
consistente calo di IC a pari IB per bassi
valori di VCE denota una stretta dipendenza
del guadagno dalla tensione di collettore, e
soprattutto il forte calo dell’hFE in zona di
presaturazione e saturazione.
Nei grafici riportati nella figura 35 a pagina seguente tali andamenti sono visibili chiaramente.
Le variazioni del guadagno al variare della corrente di collettore (ciò equivale alla non perfetta
equidistanza delle curve a IB costante nel grafico delle caratteristiche d’uscita di figura 34) e al variare
della VCE comportano l’introduzione di una certa distorsione di ampiezza negli schemi di
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 21
ITIS OMAR NOVARA
TDP Elettronica
amplificazione, soprattutto se in classe A a singolo stadio. Si ricordi però che – proprio per ovviare a
tale inconveniente – si preferisce progettare uno stadio di amplificazione a più transistor in modo da
ottenere un guadagno ad anello aperto molto elevato, per poi provvedere con la retroazione a ridurlo
in modo da minimizzare gli effetti di non linearità del guadagno.
Si noti che per i transistor di forte corrente e soprattutto di elevata tensione, l’esigenza di aumentare lo
spessore della zona di base al fine di accogliere una zona di svuotamento più ampia porta
necessariamente ad ottenere valori di hFE decisamente più ridotti rispetto ai transistor di segnale. In
genere, per ovviare a tale inconveniente, si ricorre alle soluzioni Darlington, anche monolitiche.
Figura 35
Capacità parassite: vengono indicati dal
costruttore i valori delle capacità collettore.base
(ad emettitore aperto) ed emettitore-base (a
collettore apero). Esse differiscono a causa
della presenza dello strato epitassiale fra base e
collettore (assente nella giunzione B-E) e a
causa dei differenti livelli di drogaggio delle due
zone. Come anche per i diodi è evidente
l’effetteo “varicap” indotto dalle variazioni della
tensione applicata, che modula il valore della
capacità provocando variazioni anche del 120%.
E’ ovvio che i transistor di forte corrente, a
causa dell’ampia area di silicio utilizzata,
presentano valori di capacità che possono
anche superare il nanoFarad, contro i pochi
picoFarad dei bjt di segnale.
In figura 36 è mostrato un tipico andamento
CCBO/VCBO.
Figura
Tempi di commutazione: mentre nei fogli
36
tecnici dei transistor di segnale si preferisce
indicare il valore delle capacità parassite e della frequenza di transizione, per i transistor di potenza –
proprio poiché usati più frequentemente in commutazione – si preferisce riportare i dati relativi ai tempi
di commutazione.
Il costruttore, a questo proposito, per la definizione dei tempi fa riferimento al tipico andamento delle
correnti di base e di collettore durante un ciclo di saturazione-interdizione del transistor, tipicamente
su carico resistivo, tenendo presente che su carico reattivo le forme d’onda vengono
Parametri dei transistor – P. De Vittor
pag. 22
ITIS OMAR NOVARA
TDP Elettronica
significativamente deformate, per cui sarà l’utente a dover parametrizzare il dispositivo in uso a
seconda della propria particolare applicazione.
Un tipico grafico di commutazione per un transistor di potenza è mostrato in figura 37, dove vengono
indicati i vari tempi che vengono riportati sui fogli tecnici.
Il tempo td (delay time) è il tempo
che intercorre fra il fronte del gradino
Figura 37
di IB e l’istante in cui la IC comincia
ad aumentare, ovvero raggiunge il
10% della IC finale.
Il tempo tr (rise time) è il tempo
necessario affinché la IC passi dal
10% al 90% del valore finale. Il
tempo tON (ON time) è la somma di
ts e tr.
Il tempo ts (storage time) è il tempo
che intercorre fra la fine del gradino
di IB e l’istante in cui la IC comincia
a calare, ovvero scende al 90% del
valor massimo.
Il tempo tf (fall time) è il tempo
necessario affinchè la IC passi dal
90% al 10% del valor massimo. Il
tOFF (OFF time) è dato dalla
somma di ts e tf.
Questi tempi sono dovuti ai fenomeni
di propagazione dei portatori di carica all’interno della regione di base e al riempimento del depletion
layer base-collettore per quanto riguarda il tON, e allo svuotamento della zona di base (per estrazione
dei portatori o per ricombinazione) nonché alla creazione della zona di svuotamento fra base e
collettore per quanto riguarda il tOFF.
Proprio per tale motivo, la tecnologia costruttiva, il tipo di geometria nonché i livelli e i profili di
drogaggio
utilizzati
nella
realizzazione del transistor
possono
far
variare
significativamente l’entità di
tali tempi, e si capisce anche
come essi siano molto brevi
per i bjt di segnale e anche
elevati per quelli di potenza.
Per avere un ordine di
grandezza, si può andare dai
35 ns di tON e 300 ns di tOFF
di un 2N2222 a 150 mA fino
agli 1-2 µsec tipici di un
transistor da 10 A. Come si
può notare dalla figura 37, il
tempo tf è decisamente più
elevato del tr, e spesso il
tempo ts è addirittura più
elevato del tf stesso; ciò
porta a valori di tOFF pari a
3-5 volte il tON.
Il fatto che nei transistor
bipolari di potenza i tempi di
commutazione
sono Figura
tipicamente dell’ordine di 38
qualche microsecondo limita
non
solo
la
massima
frequenza di lavoro al massimo a 50-100 KHz (raramente oltre), ma provoca anche il non trascurabile
Parametri dei transistor – P. De Vittor
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ITIS OMAR NOVARA
TDP Elettronica
inconveniente di provocare una significativa dissipazione di potenza quando il punto di lavoro passa
nel pieno della zona lineare. Immaginando infatti di schematizzare le forme d’onda, si veda nel grafico
di figura 38 (a pagina precedente) l’andamento della potenza dissipata in funzione del tempo in un
ciclo on-off di commutazione.
Nell’esempio riportato, con tempi tr e tf rispettivamente di 0,5 µs e 1 µs, una IC di 10 A, una Vcc di 100
V ed una VCEsat di 1,5 V si ottiene una potenza dissipata in saturazione di 15 W ma, a causa dei
picchi da 250 W durante i tempi tr e tf, si ottiene una potenza media dissipata di 45 W.
Nei grafici riportati sui fogli tecnici viene mostrato come questi tempi variano al variare della corrente
di collettore, della tensione di alimentazione e della temperatura..
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Indice degli argomenti
argomento
pag.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------1
I valori massimi assoluti ……………..………………………………………………. 1
1.1
Le tensioni-limite ………………………………………………………………………
1
Le correnti di fuga ……………………………………………………………………..
3
1.2
Quali circuiti? ………………………………………………………………………….
5
1.3
Le correnti massime ……………………………………………………………………
7
1.4
La potenza dissipabile ………………………………………………………………….
8
1.5
L’area operativa di sicurezza …………………………………………………………..
9
1.6
Il fenomeno del breakdown secondario ……………………………………………….. 11
2
La tecnologia costruttiva ………….………………………………………………….
12
3
I valori tipici e i grafici caratteristici ………………….……………………………..
18
tensione di saturazione …………………………………………………………………
19
guadagno ………………………………………………………………………………
20
tempi di commutazione ……………………………………………………………….
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