321-324:REGDOC 17-2008.qxd 7-06-2010 14:52 Pagina 321 B enedetto XVI A Fatima dieci anni dopo Viaggio apostolico in Portogallo Una missione di verità Incontro con il mondo della cultura Nel decimo anniversario della beatificazione dei veggenti Giacinto e Maria, che fu anche l’occasione scelta dalla Santa Sede per rendere pubblico il terzo «segreto», Benedetto XVI ha fatto del pellegrinaggio a Fatima, «questa “casa” che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni» (secondo le parole dell’omelia), il centro della sua visita in Portogallo, dall’11 al 14 maggio 2010. Quindicesimo viaggio apostolico all’estero dall’inizio del pontificato, nono in Europa, costellato di 18 momenti pubblici nelle tre tappe di Lisbona, Fatima e Porto, i suoi temi principali sono stati l’attualizzazione del messaggio di Fatima (anche in riferimento alla crisi che la Chiesa sta attraversando a causa delle violenze sessuali perpetrate da sacerdoti nei confronti di minori: cf. riquadro a p. 322) e i criteri della missione ecclesiale nel mondo contemporaneo, che deve essere centrata sulla fedeltà alla verità, nel «rispetto dialogante» per «altre “verità”» o per «la verità degli altri», come ha detto il papa incontrando i rappresentanti del mondo della cultura. Cf. ampiamente Regno-att. 10,2010,291ss. Stampa (27.5.2010) da sito web www.vatican.va. Titoli e sottotitoli redazionali. IL REGNO - DOCUMENTI 11/2010 Venerati fratelli nell’episcopato, distinte autorità, illustri cultori del pensiero, della scienza e dell’arte, cari amici. Sento una grande gioia nel vedere qui radunato l’insieme multiforme della cultura portoghese, che voi così degnamente rappresentate: donne e uomini impegnati nella ricerca e costruzione dei diversi saperi. A tutti rivolgo l’espressione della mia più alta amicizia e considerazione, riconoscendo l’importanza di ciò che voi fate e di ciò che siete. Il governo, qui rappresentato dalla signora ministro della Cultura, alla quale rivolgo il mio deferente e grato saluto, pensa, con benemerito sostegno, alle priorità nazionali del mondo della cultura. Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questo nostro incontro, in particolare la Commissione episcopale della cultura con il suo presidente, mons. Manuel Clemente, a cui sono grato per le espressioni di cordiale accoglienza e la presentazione della polifonica realtà della cultura portoghese, qui rappresentata da alcuni dei suoi migliori protagonisti; dei loro sentimenti e delle loro attese si è fatto portavoce il cineasta Manoel de Oliveira, di veneranda età e carriera, al quale va il mio saluto pieno di ammirazione e affetto nonché di viva riconoscenza per le parole che mi ha rivolto, lasciando intravedere in esse le ansie e le disposizioni dell’anima portoghese in mezzo alle turbolenze della società di oggi. Infatti, oggi la cultura riflette una «tensione», che alle volte prende forme di «conflitto», fra il presente e la tradizione. La dinamica della società assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato e senza l’intenzione di delineare un futuro. Tale valorizzazione però del «presente» quale fonte ispiratrice del senso della vita, sia individuale sia sociale, si scontra con la forte tradizione culturale del popolo portoghese, profondamente segnata dal millenario influsso del cristianesimo e con un senso di responsabilità globale; essa si è affermata nell’avventura delle scoperte e nello zelo missionario, condividendo il dono della fede con altri popoli. L’ideale cristiano dell’universalità 321 321-324:REGDOC 17-2008.qxd 7-06-2010 14:52 Pagina 322 B enedetto XVI e della fraternità aveva ispirato quest’avventura comune, anche se gli influssi dell’Illuminismo e del laicismo si erano fatti sentire. Detta tradizione ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una «sapienza», cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un «ideale» da adempiere da parte del Portogallo, il quale ha sempre cercato di stabilire rapporti con il resto del mondo. Un mandato irrinunciabile La Chiesa appare come la grande paladina di una sana e alta tradizione, il cui ricco contributo colloca al servizio della società; questa continua a rispettarne e apprezzarne il servizio per il bene comune, ma si allontana dalla citata «sapienza» che fa parte del suo patrimonio. Questo «conflitto» fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di un’esistenza riuscita, sia come individuo sia come popolo. Infatti un popolo che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati. Cari amici, c’è tutto uno sforzo di apprendimento da fare circa la forma in cui la Chiesa si situa nel mondo, aiutando la società a capire che l’annuncio della verità è un servizio che essa offre alla società, aprendo nuovi orizzonti di futuro, di grandezza e dignità. In effetti, la Chiesa ha «una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. (…) La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cf. Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile» (BENEDETTO XVI, lett. enc. Caritas in veritate, n. 9; Regno-doc. 15,2009,460). Per una società formata in maggioranza da cattolici e la cui cultura è stata profondamente segnata dal cristianesimo, si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo. Per noi, cristiani, la Verità è divina; è il «Logos» eterno, che ha acquisito espressione umana in Gesù Cristo, il qual ha potuto affermare con oggettività: «Io sono la verità» (Gv 14,6). La convivenza della Chiesa, nella sua ferma adesione al carattere perenne della verità, con il rispetto per altre «verità», o con la verità degli altri, è un apprendistato che Il peccato che esiste nella Chiesa L a consuetudine di Benedetto XVI di rispondere ad alcune domande dei giornalisti durante il volo da Roma verso la destinazione di ciascun viaggio apostolico è stata rispettata anche l’11 maggio scorso, mentre l’aereo si avvicinava a Lisbona. Riportiamo qui la risposta del papa all’ultima delle tre domande rivoltegli dal direttore della Sala stampa della Santa Sede, p. Lombardi, che verteva sul rapporto tra il terzo «segreto» di Fatima e le sofferenze che la Chiesa sta vivendo a causa delle violenze sessuali perpetrate da alcuni sacerdoti ai danni di minori (www.vatican.va). – (…) E ora veniamo a Fatima, dove sarà un po’ il culmine anche spirituale di questo viaggio. Santità, quale significato hanno oggi per noi le apparizioni di Fatima? E quando lei presentò il testo del terzo «segreto» nella Sala stampa vaticana, nel giugno 2000, c’erano diversi di noi e altri colleghi di allora, le fu chiesto se il messaggio poteva essere esteso, al di là dell’attentato a Giovanni Paolo II, anche alle altre sofferenze dei papi. È possibile, secondo lei, inquadrare anche in quella visione le sofferenze della Chiesa di oggi, per i peccati degli abusi sessuali sui minori? «Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia di andare a Fatima, di pregare davanti alla Madonna di Fatima, che per noi è un segno della presenza della fede, che proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo e tocca la storia proprio nel suo presente e illumina questa storia. Nel 2000, nella presentazione, avevo detto che un’apparizione, cioè un impulso soprannaturale, che non viene solo dall’immaginazione della persona, ma in realtà dalla vergine Maria, dal soprannaturale, che un tale impulso entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto. Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la pro- 322 IL REGNO - DOCUMENTI 11/2010 fondità, che era – diciamo – “vestita” in questa visione possibile alle persone concrete. Così direi, anche qui, oltre questa grande visione della sofferenza del papa, che possiamo in prima istanza riferire a papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del papa, ma il papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano. Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a devozioni particolari, ma proprio alla risposta fondamentale, cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi, ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione. Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia». 11 maggio 2010. 321-324:REGDOC 17-2008.qxd 7-06-2010 14:52 Pagina 323 la Chiesa stessa sta facendo. In questo rispetto dialogante si possono aprire nuove porte alla trasmissione della verità. «La Chiesa – scriveva il papa Paolo VI – deve venire a dialogo con il mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa dialogo» (PAOLO VI, lett. enc. Ecclesiam suam, n. 67; EV 2/192). Infatti, il dialogo senza ambiguità e rispettoso delle parti in esso coinvolte è oggi una priorità nel mondo, alla quale la Chiesa non intende sottrarsi. Ne dà testimonianza proprio la presenza della Santa Sede in diversi organismi internazionali, come, per esempio, nel Centro Nordsud del Consiglio d’Europa, istituito 20 anni fa qui a Lisbona, che ha come pietra angolare il dialogo interculturale allo scopo di promuovere la cooperazione fra l’Europa, il Sud del Mediterraneo e l’Africa e di costruire una cittadinanza mondiale fondata sui diritti umani e le responsabilità dei cittadini, indipendentemente dalla loro origine etnica e appartenenza politica, e rispettosa delle credenze religiose. Costatata la diversità culturale, bisogna far sì che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino anche a venire arricchite da essa e a offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello. Il Concilio e la modernità Questa è un’ora che richiede il meglio delle nostre forze, audacia profetica, rinnovata capacità per «additare nuovi mondi al mondo», come direbbe il vostro poeta nazionale (LUIGI DI CAMÕES, Os Lusíades, II, 45). Voi, operatori della cultura in ogni sua forma, creatori di pensiero e di opinione, «avete, grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. (…) E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi come voi si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita» (BENEDETTO XVI, Discorso agli artisti, 21.11.2009). Proprio con lo scopo di mettere il mondo moderno in contatto con le energie vivificanti e perenni del Vangelo (cf. GIOVANNI XXIII, cost. ap. Humanae salutis, n. 3), si è realizzato il concilio Vaticano II, nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da se stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro, evitando i suoi errori e vicoli senza uscita. L’evento conciliare ha messo i presupposti per un autentico rinnovamento cattolico e per una nuova civiltà – la «civiltà dell’amore» – come servizio evangelico all’uomo e alla società. Cari amici, la Chiesa ritiene come sua missione prioritaria, nella cultura attuale, tenere sveglia la ricerca della verità e, conseguentemente, di Dio; portare le persone a guardare oltre le cose penultime e mettersi alla ricerca delle ultime. Vi invito ad approfondire la conoscenza di Dio così come egli si è rivelato in Gesù Cristo per la nostra piena realizzazione. Fate cose belle, ma soprattutto fate diventare le vostre vite luoghi di bellezza. Interceda per voi santa Maria di Betlemme, da secoli venerata dai navigatori dell’oceano e oggi dai navigatori del bene, della verità e della bellezza. Centro cultural de Belém – Lisbona, 12 maggio 2010. BENEDETTO XVI Sono venuto a Fatima… Omelia sulla spianata del santuario Cari pellegrini, «Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, (…) essi sono la stirpe benedetta dal Signore» (Is 61,9). Così iniziava la prima lettura di questa eucaristia, le cui parole trovano mirabile compimento in questa assemblea devotamente raccolta ai piedi della Madonna di Fatima. Sorelle e fratelli tanto amati, anch’io sono venuto come pellegrino a Fatima, a questa «casa» che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni. Sono venuto a Fatima per gioire della presenza di Maria e della sua materna protezione. Sono venuto a Fatima, perché verso questo luogo converge oggi la Chiesa pellegrinante, voluta dal Figlio suo quale strumento di evangelizzazione e sacramento di salvezza. Sono venuto a Fatima per pregare, con Maria e con tanti pellegrini, per la nostra umanità afflitta da miserie e sofferenze. Infine, sono venuto a Fatima, con gli stessi sentimenti dei beati Francesco e Giacinta e della serva di Dio Lucia, per affidare alla Madonna l’intima confessione che «amo», che la Chiesa, che i sacerdoti «amano» Gesù e desiderano tenere fissi gli occhi in lui, mentre si conclude quest’anno sacerdotale, e per affidare alla materna protezione di Maria i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, i missionari e tutti gli operatori di bene che rendono accogliente e benefica la casa di Dio. Essi sono la stirpe che il Signore ha benedetto… Stirpe che il Signore ha benedetto sei tu, amata diocesi di LeiriaFatima, con il tuo pastore mons. Antonio Marto, che ringrazio per il saluto rivoltomi all’inizio e per ogni premura di cui mi ha colmato, anche mediante i suoi collaboratori, in questo santuario. Saluto il signor presidente della Repubblica e le altre autorità al servizio di questa gloriosa nazione. Idealmente abbraccio tutte le diocesi del Portogallo, qui rappresentate dai loro vescovi, e affido al Cielo tutti i popoli e le nazioni della terra. In Dio, stringo al cuore tutti i loro figli e figlie, in particolare quanti di loro vivono nella tribolazione o abbandonati, nel desiderio di trasmettere loro quella speranza grande che arde nel mio cuore e che qui, a Fatima, si fa trovare in maniera più palpabile. La nostra grande speranza getti radici nella vita di ognuno di voi, cari pellegrini qui presenti, e di quanti sono uniti con noi attraverso i mezzi di comunicazione sociale. La visione e la vigilanza Sì! Il Signore, la nostra grande speranza, è con noi; nel suo amore misericordioso, offre un futuro al suo popolo: un IL REGNO - DOCUMENTI 11/2010 323 321-324:REGDOC 17-2008.qxd 7-06-2010 14:52 Pagina 324 B enedetto XVI futuro di comunione con sé. Avendo sperimentato la misericordia e la consolazione di Dio che non lo aveva abbandonato lungo il faticoso cammino di ritorno dall’esilio di Babilonia, il popolo di Dio esclama: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio» (Is 61,10). Figlia eccelsa di questo popolo è la Vergine Madre di Nazaret, la quale, rivestita di grazia e dolcemente sorpresa per la gestazione di Dio che si veniva compiendo nel suo grembo, fa ugualmente propria questa gioia e questa speranza nel cantico del Magnificat: «Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore». Nel frattempo ella non si vede come una privilegiata in mezzo a un popolo sterile, anzi profetizza per loro le dolci gioie di una prodigiosa maternità di Dio, perché «di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono» (Lc 1,47.50). Ne è prova questo luogo benedetto. Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora «venuta dal Cielo», come maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana. Un’esperienza di grazia che li ha fatti diventare innamorati di Dio in Gesù, al punto che Giacinta esclamava: «Mi piace tanto dire a Gesù che lo amo! Quando glielo dico molte volte, mi sembra di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucio». E Francesco diceva: «Quel che m’è piaciuto più di tutto, fu di vedere nostro Signore in quella luce che la nostra Madre ci mise nel petto. Voglio tanto bene a Dio!» (Memorie di suor Lucia, I, 42 e 126). Fratelli, nell’udire queste innocenti e profonde confidenze mistiche dei pastorelli, qualcuno potrebbe guardarli con un po’ d’invidia perché essi hanno visto, oppure con la delusa rassegnazione di chi non ha avuto la stessa fortuna, ma insiste nel voler vedere. A tali persone, il papa dice come Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?» (Mc 12,24). Le Scritture ci invitano a credere: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29), ma Dio – più intimo a me di quanto lo sia io stesso (cf. AGOSTINO, Confessioni, III, 6, 11) – ha il potere di arrivare fino a noi, in particolare mediante i sensi interiori, così che l’anima riceve il tocco soave di una realtà che si trova oltre il sensibile e che la rende capace di raggiungere il non sensibile, il non visibile ai sensi. A tale scopo si richiede una vigilanza interiore del cuore che, per la maggior parte del tempo, non abbiamo a causa della forte pressione delle realtà esterne e delle immagini e preoccupazioni che riempiono l’anima (cf. J. RATZINGER, «Commento teologico», in Il messaggio di Fatima, LEV, Città del Vaticano 2000; Regno-doc. 13,2000,401ss). Sì! Dio può raggiungerci, offrendosi alla nostra visione interiore. Di più, quella luce nell’intimo dei pastorelli, che proviene dal futuro di Dio, è la stessa che si è manifestata nella pienezza dei tempi ed è venuta per tutti: il Figlio di Dio fatto uomo. Che egli abbia il potere di infiammare i cuori più freddi e tristi, lo vediamo nei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,32). Perciò la nostra speranza ha fondamento reale, poggia su un evento che si colloca nella storia e al tempo stesso la supera: è Gesù di Nazaret. E l’entusiasmo suscitato dalla sua saggezza e dalla sua potenza salvifica nella gente di allo- 324 IL REGNO - DOCUMENTI 11/2010 ra era tale che una donna in mezzo alla moltitudine – come abbiamo ascoltato nel Vangelo – esclama: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato». Tuttavia Gesù risponde: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27.28). Ma chi ha tempo per ascoltare la sua Parola e lasciarsi affascinare dal suo amore? Chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto in preghiera? Chi aspetta l’alba del nuovo giorno, tenendo accesa la fiamma della fede? La fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa che non delude; indica un solido fondamento sul quale poggiare, senza paura, la propria vita; richiede l’abbandono, pieno di fiducia, nelle mani dell’Amore che sostiene il mondo. Salvare la cit tà degli uomini «Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, (…) essi sono la stirpe benedetta dal Signore» (Is 61,9) con una speranza incrollabile e che fruttifica in un amore che si sacrifica per gli altri ma non sacrifica gli altri; anzi – come abbiamo ascoltato nella seconda lettura – «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7). Di ciò sono esempio e stimolo i pastorelli, che hanno fatto della loro vita un’offerta a Dio e una condivisione con gli altri per amore di Dio. La Madonna li ha aiutati ad aprire il cuore all’universalità dell’amore. In particolare, la beata Giacinta si mostrava instancabile nella condivisione con i poveri e nel sacrificio per la conversione dei peccatori. Soltanto con questo amore di fraternità e di condivisione riusciremo a edificare la civiltà dell’amore e della pace. Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa. Qui rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi: «Dov’è Abele, tuo fratello? (…) La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!» (Gen 4,9). L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo… Nella sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: «Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?» (Memorie di suor Lucia, I, 162). Con la famiglia umana pronta a sacrificare i suoi legami più santi sull’altare di gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo, individuo, è venuta dal Cielo la nostra Madre benedetta offrendosi per trapiantare nel cuore di quanti le si affidano l’amore di Dio che arde nel suo. In quel tempo erano soltanto tre, il cui esempio di vita si è diffuso e moltiplicato in gruppi innumerevoli per l’intera superficie della terra, in particolare al passaggio della Vergine Pellegrina, i quali si sono dedicati alla causa della solidarietà fraterna. Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore immacolato di Maria a gloria della santissima Trinità. Spianata del santuario di Fatima, 13 maggio 2010. BENEDETTO XVI