OPERA GALLEGGIANTE FESTIVAL – EDIZIONE 2012 Venerdì 22 giugno 2011 - ore 21.30 Rivarolo Mantovano (Mn), Piazza Finzi, cortile municipale Pantakin Circo Teatro L'Amor Comanda spettacolo di Commedia dell’Arte testo e regia Michele Modesto Casarin personaggi ed interpreti Donna Menega Stefano Rota - Catarinella Manuela Massimi Bolina Marco Tuzzato - Cuppolone Emanuele Pasqualini Zane Marco Tuzzato - Bernardo Emanuele Pasqualini, Stefano Rota, Marco Tuzzato maschere Stefano Perocco di Meduna costumi Licia Lucchese realizzati da Caterina Volpato responsabile tecnico Paolo Battistel produzione Pantakin Circo Teatro, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, PPTV (Produttori Professionali Teatrali Veneti), Regione del Veneto L’Amor Comanda parla di sentimenti, di sogni infranti, di fragilità e debolezze dell’essere umano, ma anche della forza travolgente dell’amore. Una contrastata storia di passione prende vita sullo sfondo di una Venezia cinquecentesca intrigante e pettegola, città di frontiera popolata da strani personaggi e delle loro rocambolesche avventure. Si narra di una giovane donna, Catarinella, che vive ingenuamente la sua adolescenza e di sua madre Menega, vecchia cortigiana, che la inizia all’arte del meretricio, proseguendo il mestiere di famiglia. Catarinella si innamora del suo primo amante, Bolina. Crede di poter vivere liberamente questo amore, finché Menega non la riporta a contatto con l’efferatezza del mondo e la crudeltà degli esseri umani. Una storia atemporale vista la modernità dei temi trattati e i fatti di cronaca che riempiono impietosamente la nostra vita quotidiana. Speculazione e commercio della prostituzione, mercificazione di corpi di giovani ragazze sfruttate da persone senza scrupoli sono tematiche di forte attualità, che ci hanno portato a scoprire una serie di analogie tra la femmina di peccato veneziana e le giovani prostitute che popolano le periferie delle nostre città. Una riflessione su noi, esseri umani, sulla nostra essenza e sulla nostra mediocrità. La storia si perpetua incessantemente e noi non siamo in grado di invertirla; possiamo, però, ironizzare sulle nostre debolezze e sorridere delle nostre piccole viltà! Venerdì 06 luglio 2012 - ore 21.30 Marcaria (Mn), Casatico - Corte Castiglioni La Ira Teatro Inferno La tragicomica storia di Tristano Martinelli, Arlecchino scritta e interpretata da Felipe Cabezas regia Berty Tovías musica originale Marco Chiaperotti costumi Isabella Pintani luci Edgar Palomino Con il patrocinio di: Istituto Italiano di Cultura di Barcellona, Laboratorio Tisner de creación teatral, Escuela Internacional de Teatro-Estudis Berty Tovías Un ringraziamento speciale va a Siro Ferrone. La sua biografia di Martinelli e la sua gentile collaborazione sono state fondamentali per la realizzazione dello spettacolo (Arlecchino. Vita e avventure di Tristano Martinelli attore, Editore Laterza, Bari, 2006). Inferno narra la vita di Tristano Martinelli (nato a Marcaria), noto attore italiano che creò il personaggio di Arlecchino nella Parigi di fine ‘500. L’opera teatrale è centrata sul processo creativo di Martinelli nell’Europa conservatrice tardo rinascimentale afflitta da guerre, pestilenze e fame. In questo clima il nostro Martinelli dà vita al primo Arlecchino, l’autentico. La sua creazione rappresenta una gioventù abbandonata alle proprie sorti, una gioventù che deve re-inventarsi per sopravvivere. L’Arlecchino di Martinelli non è l’Arlecchino sdolcinato delle pasticcerie borghesi, un pupazzo da carillon, un servitore mascherato senza il dolore che accompagna la miseria; è un povero diavolo che viene dall’Inferno, che ha visto la fame e la povertà ed ora vuole ridere di esse. Un essere buffone e burlone che con le sue risate e piroette arriverà molto in alto. Martinelli venderà corpo e anima in cambio di fama e fortuna e dal limbo eterno e infinito ci racconterà la sua storia, una storia terrenamente infernale. Sabato 14 luglio 2011 – ore 21.30 Scandolara Ravara (Cr), Castelponzone Manufatti Artigiani ideazione e regia Giulio Costa collaborazione ai testi Monica Pavani consulenza artistico-organizzativa Federico Toni produzione Costa/Arkadis in collaborazione con il Teatro dei Venti con il sostegno del Comune di Occhiobello (RO) Manufatti Artigiani è uno spettacolo dedicato ai mestieri dell’uomo. Impegnati in una lotta contro il tempo e l’inerzia, in un’incessante ricerca di realizzazione, alcuni lavoratori fabbricano, in solitudine e autonomia, prodotti destinati (prevalentemente) a se stessi. Attraverso la verità dell’azione, in un continuo costruire e distruggere cose, si svelano così, con ironia e leggerezza, le contraddizioni interne al lavoro, dovute alla comicità degli errori, alle inevitabili distrazioni, al movimento forsennato dell’uomo rispetto all’immobilità dei materiali che egli stesso produce. Il denominatore comune di tutti i manufatti è una drammaturgia che evoca un’intera esistenza e che è anche metafora dell’atto teatrale. Spazio scenico vuoto. Entra un artigiano e lo occupa con i suoi strumenti di lavoro. Svolge la propria attività. Al termine, sgombra il palcoscenico, lasciando la testimonianza della propria occupazione: c’è chi lascia un vestito, chi l’odore, chi una bara, un vuoto, il silenzio… Manufatti Artigiani vuole esprimere la difficoltà a trovare qualcosa da dire nel presente e, allo stesso tempo, mostrare la realtà senza commentarla. Protagonisti sono lo sguardo e l’ascolto del pubblico a cui si chiede di ‘fare esperienza’, o meglio, di vedere e interpretare un’immagine annacquata da una visione abitudinaria. La collocazione di Manufatti Artigiani all’interno del borgo di Castelponzone contribuisce a riattivare una memoria perduta che è ancora tutta da reinventare, trasportando gli spettatori nel tempo essenziale della creazione e nell’attimo esatto in cui lo spazio urbano si trasforma in spazio teatrale, ovvero nel luogo deputato alla rappresentazione della natura umana. Venerdì 20 luglio 2012 - ore 21.30 Rivarolo del Re (Cr), Piazza Dante Tap Ensemble Don Giovanni in carne e legno testo Nicola Cavallari e Luca Ronga adattamento Ted Keijser e TAP Ensemble regia Ted Keijser con Nicola Cavallari, Eleonora Giovanardi, Gianluca Soren guarattelle Luca Ronga musiche e canzoni Andrea Mazzacavallo disegno e realizzazione scene e guarattelle Brina Babini – Atelier della Luna maschere Andrea Cavarra disegno luci Maddalena Maj - ombre Federica Ferrari costumi Licia Lucchese - sarta Sonia Marianni realizzazione grafica locandina Umberto Giovannini foto di scena Gaetano Ievolella produzione TAP Ensemble, Balrog Teatro, Teatro delle Temperie, La Bagattella ringraziamenti Comune di Montefiore Conca, Compagnia del Serraglio, Opificio della Rosa, Macherà, Teatro Gioco Vita, Marco Manchisi Don Giovanni in carne e legno realizza l’idea di veder recitare insieme, su uno stesso palco, attori e guarattelle napoletane: uno spettacolo inedito che fonde commedia dell’arte e teatro di figura, un impasto frutto della mescolanza di due modalità espressive di grande tradizione scenica. Attori e burattini si muovono in scena agendo sul palchetto di commedia come sul teatrino, e invadono reciprocamente gli spazi loro assegnati per tradizione, colmando così l’antica distanza fra il teatro “alto” dei comici in carne e ossa e il teatro “altro” dei girovaghi di piazze e mercati. Questo Don Giovanni è il risultato di un’attenta ricerca scenica alla scoperta delle opportunità del recitare con il legno, con la carne e con entrambi. Una ricerca che ha prodotto nuovi codici relazionali e occasioni creative: dal primo e inevitabile atto del guardarsi, misurarsi e annusarsi, attori e burattini, fra stupore e scoperta, sono arrivati a scimmiottarsi, quindi a riconoscersi e infine superarsi l’un l’altro giocando al teatro. Su questo linguaggio comune, costruito sulla sintonia fra ritmo e parola, gioco e musicalità, poggia l’intero lavoro. Il nostro Don Giovanni. Lavorare sul Don Giovanni significa misurarsi con una delle figure più enigmatiche del teatro. Il legame fra Don Giovanni e la commedia dell’arte è storicamente molto prolifico: furono i comici italiani che resero popolare il Burlador de Sevilla al di là dei Pirenei e che, attraverso i loro canovacci, ispirarono la creatività di un Molière. Vi sono innumerevoli versioni del Don Giovanni. Parliamo dunque di un uomo solo o delle mille maschere di un personaggio sfuggente e poliedrico? Tirso de Molina, Mozart, Rostand e molti altri hanno dato la loro risposta. Ispirato da tutti questo lavoro spinge le vicende e personaggi sino al grottesco e al paradossale, sublimando velleità e ambizioni del nostro eroe sino a ridurlo in carne e… legno, ma non per questo a vincerlo! Sabato 21 luglio 2012 - ore 21.30 Spineda (Cr), Cascina “Strama” Gigio Brunello Macbeth all’Improvviso dramma in due atti per burattini liberamente tratto da W. Shakespeare Il burattinaio si scusa con il pubblico: il Macbeth non andrà in scena a causa di contrattempi dovuti alla costruzione dei nuovi burattini. Al posto della tragedia farà una commedia servendosi delle maschere della Commedia dell’Arte e della stessa baracca che lui aveva ideato per il Macbeth. Non una commedia qualunque ma L’emigrante geloso, un inedito di Carlo Goldoni. Lo spettacolo inizia con Arlecchino recalcitrante e offeso che approfittando dei momenti di distrazione del burattinaio guida la rivolta : metteranno in scena Macbeth, proprio loro, i comici dell’Arte. Il primo a farne le spese sarà il burattinaio, il re Duncan che sta in baracca. Sinossi Primo atto. Il gioco letterario fa affiorare dagli archivi goldoniani personaggi e battute in libera uscita. Il melanconico tessitore che in Una delle ultime sere di carnevale abbandona Venezia per emigrare nelle Russie, qui diventa il tipografo Rodolfo Barbieri che ingiustamente perseguitato fugge nelle Americhe. C’è Federigo Rasponi alle sue calcagna, il quale per una sorta di nemesi storica, si vendica del ruolo di protagonista assente ne Il servitore di due padroni proiettando la sua ombra sinistra sulla scena dell’Emigrante geloso. Pantalone scopre di avere un figlio, il Lelio de Il bugiardo, ma un equivoco fatale lo fa incontrare con la morte nel momento stesso del ricongiungimento. Con la rivisitazione letteraria, s’incrociano anche i dialoghi del complotto in atto dietro alle quinte e questo introduce situazioni farsesche e di teatro nel teatro. Secondo atto. Si utilizza una sintesi del testo shakespeariano senza alterare la forza evocatrice e la poesia della parola. L’attenzione è tutta sul percorso, senza via di scampo, di Arlecchino-Macbeth incontro al suo destino. Sabato 25 agosto 2012 - ore 21.00 Commessaggio (Mn), Casa Studio “La Silenziosa” L’origine del mondo. Ritratto di un interno spettacolo in quattro quadri I. Donna melanconica al frigorifero II. Figuranti del dolore al lavatoio scritto e diretto da Lucia Calamaro con Daria Deflorian, Federica Satoro, Lucia Calamaro disegno luci Gianni Staropoli realizzazione scenica Marina Haas aiuto regia Francesca Blancato produzione e comnicazione 369gradi, PAV prodotto da ZTL_pro con il contributo di Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali in coproduzione con Armunia Festival Inequilibrio e Santarcangelo 41 Festival internazionale del teatro in piazza in collaborazione con Fondazione Romaeuropa, Palladium Universita Roma Tre, Teatro di Roma Un ciclo che ho costruito su una vita, quella di una donna in crisi; vita che si declina in capitoli che, sebbene si seguono, non portano verso una fine ma tendono verso un Origine. Una vita che si inceppa e che sente, nell’impasse obbligata, il bisogno di indagare suo malgrado quel Cominciamento per tutti noi misterioso, attraverso il rapporto con un Analista e soprattutto attraverso una particolare modalità di gestione della Figlia. In fondo la genie è l’unica prova spicciola e familiarissima che ognuno di noi ha della possibilità di essere assoluti demiurghi di un Inizio. E da lì, da quell’atto massimo di vitalità, che invecchia di fronte a noi, ritrovare il nostro, di Inizio. Indago la coscienza di una Madre, quello che lei ne sa, malgrado e aldilà di lei; esploro gli stati d’animo mortificati di una Figlia adultizzata, la sua assenza di modelli, la sua tenacia; tratteggio l’indifferenza, la rabbia e l'impotenza di tutti gli altri, quelli che si ritrovano a gestire una persona depressa, senza sapere come. Intanto, diversamente, ma certo si vive. Lucia Calamaro. Domenica 02 settembre 2012 - ore 21.00 Piadena (Cr), Cascina Rosetta Factory-Compagnia Transadriatica Romeo e Giulietta di William Shakespeare adattamento e traduzione Francesco Niccolini regia Tonio De Nitto con Lea Barletti, Dario Cadei, Ippolito Chiarello, Angela De Gaetano, Filippo Paolasini, Luca Pastore, Fabio Tinella scenografie Roberta Dori Puddu realizzazione scene L.C.D.C. luminarie Cesario De Cagna costumi Lapi Lou luci di Davide Arsenio assistente alla regia Paola Leone coproduzione Factory, Terrammare Teatro, Teatri Abitati Romeo e Giulietta è chiedersi quanto i genitori amino veramente i figli, quanto possano capirli, quanto invece non imparino a farlo troppo tardi. Romeo e Giulietta è un gruppo di famiglia sbiadito e accartocciato dal tempo, una foto che ritrova vigore e carne per poi consumarsi e scolorirsi di nuovo. Romeo e Giulietta sono le morti innocenti, i desideri irrealizzati e la capacità di sognare che non può esserci tolta. Romeo e Giulietta è un meccanismo perfetto, un ingranaggio linguistico e scenico che va avanti nonostante essi stessi, dal quale però ad un certo punto può succedere di voler scendere e in qualche modo di farlo veramente, costi quel che costi. Romeo e Giulietta, sono due adolescenti di una comitiva che si cancella per sempre nel tempo di un paio di giorni. Romeo e Giulietta sono il vuoto lasciato, il segno della tragedia che ha sconvolto una comunità e che non sarà mai rimosso. Romeo e Giulietta sono i sette interpreti impegnati con tripli salti mortali in doppi ruoli diametralmente opposti l’uno all’altro. Tra le luminarie di una Verona senza tempo, «gli amanti segnati dalle stelle» celebrano il loro sfortunato amore in una rilettura pop di un classico del Bardo Venerdì 14 settembre 2012 - ore 19.00 e 21.00 San Giovanni in Croce, Chiesa della SS. Trinità teatrodelleapparizioni Moby Dick di Rockwell Kent da Herman Melville adattamento Dario Garofalo, Fabrizio Pallara regia e scene Fabrizio Pallara con Dario Garofalo immagini Simone Memè suoni Antonio Giannantonio realizzazione scene Paolo La Manna organizzazione Sara Ferrari produzione teatro delle apparizioni, ZTL_pro con il contributo di Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali in collaborazione con Fondazione Romaeuropa/Palladium, Teatro di Roma e Area06 con il contributo di MAZZILLI SRL In molti si sono messi per mare a caccia della Balena Bianca. Alcuni la stanno ancora cercando, altri l’hanno confusa con un delfino, qualcuno è morto senza mai vederla, qualcun altro è riuscito a trovarla e a guardarla dritta in fronte. Uno di questi è Rockwell Kent. È lui che abbiamo seguito nella nostra caccia a Moby Dick. Saranno le illustrazioni in bianco e nero realizzate da Rockwell Kent per l’edizione di Moby Dick del 1930, la mappa per la costruzione del viaggio. Il bianco e il nero, come la luce e l’ombra, per definire e segnare il “doppio” e percorrere i sentimenti contrastanti e il conflitto degli opposti che raccontano l’uomo. Una grande avventura, la storia di un’esplorazione del mondo e dell’individuo raccontata attraverso la parola che si fa segno e immagine, quasi per fissare meglio i ricordi, per provare a fare ancora una volta insieme quel viaggio. E il pubblico sarà condotto in mare, a ripercorrere le emozioni dell’incontro con la grande balena, sconosciuta, misteriosa e per tanto tempo solo immaginata. per un massimo di 70 spettatori Sabato 15 settembre 2012 - ore 21.00 San Marino del Lago (Cr), Caruberto – Santuario della Natività della Vergine Anagoor Magnificat di Alda Merini voce Paola Dallan suono e musiche Mauro Martinuz disegno vocale Paola Dallan, Marco Menegoni, Simone Derai regia Simone Derai coproduzione Operaestate Festival Come nasce una poesia? Di solito Alda Merini telefonava a Arnoldo Mondadori e quando diceva “Scrivi” lui poteva essere in qualsiasi situazione ma doveva trovare subito una penna un foglio e scrivere. Lei non si fermava, la sua poesia nasce e finisce di getto. Alda non corregge. Per esempio in via Pontaccio: un grande rumore di macchine, Arnoldo sentiva male la sua voce, si accovaccia per scrivere, “Scrivi!”, intimava Alda, e subito cominciava: “Su questo libro tu sei sorto, angelo dell’Annunciazione. Io mai avrei pensato che queste pagine diventassero ali. Le ali degli angeli sono calde, il loro pensiero sta dentro la notte, ma tu parli su uno spazio che io non conosco. Io adoro le stelle e la notte, ma tu sei il canto del mio mattino. Non capisco e te lo vorrei chiedere se tu sei sorto da me o se io sono sorta da te, e non sapevo che la carne potesse sparire per dar luogo a un pensiero creatore”. Arnoldo riesce a sentire tutto. Alda riattacca. Lui rilegge quello che lei ha dettato e lo impara praticamente a memoria. Corre a casa e aggiunge queste pagine a tutte le altre. Il libro è finito. Lo spettacolo è proprio questo: il flusso di una voce che sgorga dal nulla, filtrata dal gracchiare della comunicazione artificiale, una conversazione notturna tra amanti, parole dolorose in lenta emersione sulla pagina bianca del libro poeta. Al centro il mistero della complessa figura di Maria. Una delle voci più alte, più forti e personali della poesia del nostro tempo, racconta una Vergine diversa da come siamo abituati a pensarla. Non ne rappresenta la storia e la vita, ma evoca con inaudita forza visionaria la sua interiorità. La sua tenera fanciulla è una creatura di luce, di carne, fragile, smarrita, spaventata, e perdutamente innamorata di Dio. Settembre 2012 - ore 21.00 Casalmaggiore (Cr), Teatro Comunale TRILOGIA DEL SILENZIO Venerdì 21 – Beckett Box Mercoledì 26 – Aure Venerdì 28 – Trattato dei Manichini Teatropersona Beckett Box regia, drammaturgia, scena, luci, suoni Alessandro Serra con Gianni Bonavera, Valentina Salerno, Marco Vergati in co-produzione con il C.T.A. di Gorizia con il contributo di ARMUNIA spettacolo vincitore del premio Beckett&puppet 2005/2006 Luogo osceno e polveroso infestato dai topi e dai ricordi, la soffitta seduce i bambini in cerca dei segreti della vita e angoscia i vecchi rincorsi dalla morte. Un luogo d’infanzia, inibito agli adulti. Alla soffitta si consegna ciò che non serve più, in attesa che possa tornare utile, prima o poi. L’impossibilità a disfarsi di certe cose insignificanti, come i ricordi e l’assistere impotenti alla loro inesorabile disfatta fisica. Oggetti divenuti oramai utili solo a raccontare il passato, quasi dei talismani. E’ il confine tra la vita e l’arte, la discarica umana. Il vecchio, come un gatto in fin di vita, si allontana con discrezione e va a morire in soffitta, circondato dai ricordi e dagli oggetti. Ed ecco apparire due figure sospette, più simili ai non nati che ai morti che ritornano, esseri incompleti e quasi sacri, come i bambini, dotati di organi misteriosi e con uno sguardo insostenibile. Gli assistenti, creature crepuscolari che appaiono nelle favole nei momenti di disperazione per ricondurre la storia verso il lieto fine e che alla fine, fedeli alla loro natura rarefatta, svaniscono così come sono comparsi. Fantocci/bambini servizievoli e crudeli che non temono il tempo dal momento in cui non hanno mai imparato a contarlo. Lo spettatore vedrà degli esseri che contemplano una vita e allo stesso tempo la raccontano, la fanno vedere. E così l'azione è sogno, e la scia d’ombra della nostra vita è già l'evento iniziale che si allarga dalla scena alla platea, contagiando nell'illusione totale chi si è aggiunto per ultimo dall'esterno, lo spettatore. TRATTATO DEI MANICHINI regia, drammaturgia, scena, luci, suoni Alessandro Serra con Valentina Salerno, Chiara Michelini, Alessandra Cristiani, Silvia Malandra spettacolo vincitore di NUOVE CREATIVITA' con il sostegno di ETI Ente Teatrale Italiano spettacolo vincitore Premio di scrittura di scena LIA LAPINI co-produzione laLut, Festival Voci di Fonte, Jack and Joe Theatre con il sostegno di Armunia,Kilowatt Festival Mi sembra che il genere d'arte che mi sta a cuore, sia proprio una regressione, sia un'infanzia reintegrata. Se fosse possibile riportare indietro lo sviluppo, raggiungere di nuovo l'infanzia attraverso una strada tortuosa - possederla ancora una volta, piena e illimitata - sarebbe l'avveramento dell'epoca geniale", dei "tempi messianici", che ci sono stati promessi e giurati da tutte le mitologie. Il mio ideale è "maturare" verso l'infanzia. Questa sarebbe l'autentica maturità. (Bruno Schulz) Trovare la chiave d’accesso all’infanzia, nella memoria onirica se il caso, e secondo le leggi anamorfiche del sogno. Drammaturgia è l’incidente esterno al sogno che contrasta e devia la vita onirica, un fatto fisico, qualcuno che ci accarezza mentre dormiamo, o il lenzuolo che ci avvinghia le gambe tradotto in chissà quale essere mostruoso che ci assale e trascina giù, o la sveglia che suona, trasformata in campanella da ricreazione. Il ritorno atemporale all’infanzia è un sogno che non si può raccontare, un nulla a cui nessuno crederà, ma un nulla visibile, contemplabile, confezionato con le immagini della realtà. La materia non è il disegno ma il dramma degli impulsi che s’affrontano, come nello schiudersi di un guscio. Cogliere queste creature nell’atto di sbocciare. La crisalide: uovo – baco – larva - farfalla, non sono quattro immagini distinte ma una sola con differenti linee temporali. Quando si è investiti da un’immagine che ci guarda e non si sforza di raccontare poiché in quel dato istante continua a rivivere simultaneamente il proprio ciclo vitale. La nostra creazione, privilegio di tutti gli spiriti, obbedisce ai dettami del Trattato dei Manichini di Bruno Schulz. Effigi di donne consacrate all’esposizione in vetrina, per preservare la vita di chi, pagando, potrà indossarne le vesti. Manichini accatastati alla rinfusa, nudi, svergognati, come bambini che sciamano al sole, eppure immobili, gratificati. L’opera della azioni è semplice e intestimoniabile, come i giochi dei bambini, sedotti dalle conclusioni luttuose, come falene attratte dalla luce. La notte è la luce nera che seduce, finché una creatura crepuscolare aprirà la tenda e farà intravedere la luna, e il bagliore sarà tale da distogliere nostra madre dalla vita. Il servitore, come in una favola, appare al momento giusto a togliere il velo, rivelando che c’è un figlio terrorizzato da qualche parte che, semplicemente, vuole essere preso in braccio. In quanto alla storia, pare che Robert Walser leggesse romanzacci per il piacere di poterne poi raccontare di nuovo la trama, ebbene questo spettacolo non è che il romanzo delle nostre infanzie raccontato da una bambina di nove anni, ma senza parole. La visitazione all’infanzia non è un fatto personale, riguarda tutti noi. Una volta aperti gli occhi si resta esterrefatti nel vedere un’unica dolorosa iniziazione alla vita: imperscrutabile grido che è paura e al contempo gioia incontenibile. AURE regia, drammaturgia, scena, luci, suoni Alessandro Serra con Valentina Salerno, Francesco Pennacchia, Chiara Michelini produzione Regione Lazio – Assessorato alla Cultura, Arte e Sport Bassano Operaestate Festival - Teatro Fondamenta Nuove Venezia Rete teatrale aretina – Teatro Comunale Castiglion Fiorentino Fondazione Ca.Ri.Civ. Aure chiude una trilogia del silenzio e della memoria. Lo spettacolo si ispira all’opera di Marcel Proust Alla ricerca del tempo perduto, un fiume placido e solenne di parole, ma soprattutto, un capolavoro pittorico, sinfonia perfetta di suoni e rumori. In Proust tutto trasfigura, si agita, fluttua, deambula con una qualità sonnambolica in un mondo che è quello reale, ma è spinto come da un afflato che appartiene all’altra sfera. Così come il sogno si compie in una dimensione che non è la realtà ma che dalla realtà trae nutrimento, rubandone le immagini. Nel suo quieto incedere la recherche si sfalda, il naturalismo si rompe, tutto evapora, rendendo indistinti oggetti e paesaggi. L’anima stessa è rivestita da un involucro corporeo. Aure, indicibili aloni di vita che ammantano ogni cosa, dice Elemire Zolla. Non c’è storia né personaggi, solo figure e un luogo, la stanza della memoria, più volte descritta da Proust come una specie di secondo appartamento, quello del sonno. Come in un teatro di marionette “così riposante per chi ha preso in disgusto la lingua parlata. Terra quasi edenica dove il suono non è stato ancora creato”. Autore dello spazio e delle figure Vilhelm Hammershøi, pittore danese del silenzio, capace di permeare la scena di tempo. Nei suoi interni, cui lo spettacolo si ispira, il tempo fluisce come fatto luminoso, tutto è al contempo immobile e vibrante: i tavoli e le sedie sembrano pronti a piroettare, gli oggetti a librarsi in volo, le numerose porte sempre sul punto di schiudersi, rivelando presenze taciute e stanze della memoria involontaria. Nella camera oscura interiore si accende una speciale luce: il corpo dell’attore che, come la luce, non si vede, ma fa vedere. Ecco allora che un piccolo gesto si ripercuote in noi ed echeggia, risvegliando un fatto dimenticato, che ci sembrava misero e non degno di nota. La vita vivente di contro la vita vissuta. In modo tale che ciò che si vede incorniciato nell’arcoscenico non sia altro che un fondale dipinto, cioè la vita. E se questo fondale un giorno crollasse, “cadrà nell’universo magico, senza che la caduta delle sue pesanti pietre offuschi con la volgarità d’un solo rumore la castità del silenzio»”.