loghi - Turismo Cremona

annuncio pubblicitario
OPERA GALLEGGIANTE FESTIVAL – EDIZIONE 2012
Venerdì 22 giugno 2011 - ore 21.30
Rivarolo Mantovano (Mn), Piazza Finzi, cortile municipale
Pantakin Circo Teatro
L'Amor Comanda
spettacolo di Commedia dell’Arte
testo e regia Michele Modesto Casarin
personaggi ed interpreti
Donna Menega Stefano Rota - Catarinella Manuela Massimi
Bolina Marco Tuzzato - Cuppolone Emanuele Pasqualini
Zane Marco Tuzzato - Bernardo Emanuele Pasqualini, Stefano Rota, Marco Tuzzato
maschere Stefano Perocco di Meduna
costumi Licia Lucchese realizzati da Caterina Volpato
responsabile tecnico Paolo Battistel
produzione Pantakin Circo Teatro, Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
PPTV (Produttori Professionali Teatrali Veneti), Regione del Veneto
L’Amor Comanda parla di sentimenti, di sogni infranti, di fragilità e debolezze dell’essere umano, ma anche della forza travolgente
dell’amore. Una contrastata storia di passione prende vita sullo sfondo di una Venezia cinquecentesca intrigante e pettegola, città di
frontiera popolata da strani personaggi e delle loro rocambolesche avventure. Si narra di una giovane donna, Catarinella, che vive
ingenuamente la sua adolescenza e di sua madre Menega, vecchia cortigiana, che la inizia all’arte del meretricio, proseguendo il
mestiere di famiglia. Catarinella si innamora del suo primo amante, Bolina. Crede di poter vivere liberamente questo amore, finché
Menega non la riporta a contatto con l’efferatezza del mondo e la crudeltà degli esseri umani. Una storia atemporale vista la
modernità dei temi trattati e i fatti di cronaca che riempiono impietosamente la nostra vita quotidiana. Speculazione e commercio
della prostituzione, mercificazione di corpi di giovani ragazze sfruttate da persone senza scrupoli sono tematiche di forte attualità,
che ci hanno portato a scoprire una serie di analogie tra la femmina di peccato veneziana e le giovani prostitute che popolano le
periferie delle nostre città. Una riflessione su noi, esseri umani, sulla nostra essenza e sulla nostra mediocrità. La storia si perpetua
incessantemente e noi non siamo in grado di invertirla; possiamo, però, ironizzare sulle nostre debolezze e sorridere delle nostre
piccole viltà!
Venerdì 06 luglio 2012 - ore 21.30
Marcaria (Mn), Casatico - Corte Castiglioni
La Ira Teatro
Inferno
La tragicomica storia di Tristano Martinelli, Arlecchino
scritta e interpretata da Felipe Cabezas
regia Berty Tovías
musica originale Marco Chiaperotti
costumi Isabella Pintani
luci Edgar Palomino
Con il patrocinio di: Istituto Italiano di Cultura di Barcellona, Laboratorio Tisner de creación teatral, Escuela Internacional
de Teatro-Estudis Berty Tovías
Un ringraziamento speciale va a Siro Ferrone. La sua biografia di Martinelli e la sua gentile collaborazione sono state fondamentali
per la realizzazione dello spettacolo (Arlecchino. Vita e avventure di Tristano Martinelli attore, Editore Laterza, Bari, 2006).
Inferno narra la vita di Tristano Martinelli (nato a Marcaria), noto attore italiano che creò il personaggio di Arlecchino nella Parigi di
fine ‘500.
L’opera teatrale è centrata sul processo creativo di Martinelli nell’Europa conservatrice tardo rinascimentale afflitta da guerre,
pestilenze e fame. In questo clima il nostro Martinelli dà vita al primo Arlecchino, l’autentico. La sua creazione rappresenta una
gioventù abbandonata alle proprie sorti, una gioventù che deve re-inventarsi per sopravvivere.
L’Arlecchino di Martinelli non è l’Arlecchino sdolcinato delle pasticcerie borghesi, un pupazzo da carillon, un servitore mascherato
senza il dolore che accompagna la miseria; è un povero diavolo che viene dall’Inferno, che ha visto la fame e la povertà ed ora vuole
ridere di esse. Un essere buffone e burlone che con le sue risate e piroette arriverà molto in alto.
Martinelli venderà corpo e anima in cambio di fama e fortuna e dal limbo eterno e infinito ci racconterà la sua storia, una storia
terrenamente infernale.
Sabato 14 luglio 2011 – ore 21.30
Scandolara Ravara (Cr), Castelponzone
Manufatti Artigiani
ideazione e regia Giulio Costa
collaborazione ai testi Monica Pavani
consulenza artistico-organizzativa Federico Toni
produzione Costa/Arkadis
in collaborazione con il Teatro dei Venti
con il sostegno del Comune di Occhiobello (RO)
Manufatti Artigiani è uno spettacolo dedicato ai mestieri dell’uomo.
Impegnati in una lotta contro il tempo e l’inerzia, in un’incessante ricerca di realizzazione, alcuni lavoratori fabbricano, in solitudine
e autonomia, prodotti destinati (prevalentemente) a se stessi. Attraverso la verità dell’azione, in un continuo costruire e distruggere
cose, si svelano così, con ironia e leggerezza, le contraddizioni interne al lavoro, dovute alla comicità degli errori, alle inevitabili
distrazioni, al movimento forsennato dell’uomo rispetto all’immobilità dei materiali che egli stesso produce. Il denominatore
comune di tutti i manufatti è una drammaturgia che evoca un’intera esistenza e che è anche metafora dell’atto teatrale.
Spazio scenico vuoto. Entra un artigiano e lo occupa con i suoi strumenti di lavoro. Svolge la propria attività.
Al termine, sgombra il palcoscenico, lasciando la testimonianza della propria occupazione: c’è chi lascia un vestito, chi l’odore, chi
una bara, un vuoto, il silenzio…
Manufatti Artigiani vuole esprimere la difficoltà a trovare qualcosa da dire nel presente e, allo stesso tempo, mostrare la realtà senza
commentarla.
Protagonisti sono lo sguardo e l’ascolto del pubblico a cui si chiede di ‘fare esperienza’, o meglio, di vedere e interpretare
un’immagine annacquata da una visione abitudinaria.
La collocazione di Manufatti Artigiani all’interno del borgo di Castelponzone contribuisce a riattivare una memoria perduta che è
ancora tutta da reinventare, trasportando gli spettatori nel tempo essenziale della creazione e nell’attimo esatto in cui lo spazio urbano
si trasforma in spazio teatrale, ovvero nel luogo deputato alla rappresentazione della natura umana.
Venerdì 20 luglio 2012 - ore 21.30
Rivarolo del Re (Cr), Piazza Dante
Tap Ensemble
Don Giovanni in carne e legno
testo Nicola Cavallari e Luca Ronga
adattamento Ted Keijser e TAP Ensemble
regia Ted Keijser
con Nicola Cavallari, Eleonora Giovanardi, Gianluca Soren
guarattelle Luca Ronga
musiche e canzoni Andrea Mazzacavallo
disegno e realizzazione scene e guarattelle Brina Babini – Atelier della Luna
maschere Andrea Cavarra
disegno luci Maddalena Maj - ombre Federica Ferrari
costumi Licia Lucchese - sarta Sonia Marianni
realizzazione grafica locandina Umberto Giovannini
foto di scena Gaetano Ievolella
produzione TAP Ensemble, Balrog Teatro, Teatro delle Temperie, La Bagattella
ringraziamenti Comune di Montefiore Conca, Compagnia del Serraglio, Opificio della Rosa, Macherà, Teatro Gioco Vita,
Marco Manchisi
Don Giovanni in carne e legno realizza l’idea di veder recitare insieme, su uno stesso palco, attori e guarattelle napoletane: uno
spettacolo inedito che fonde commedia dell’arte e teatro di figura, un impasto frutto della mescolanza di due modalità espressive di
grande tradizione scenica.
Attori e burattini si muovono in scena agendo sul palchetto di commedia come sul teatrino, e invadono reciprocamente gli spazi loro
assegnati per tradizione, colmando così l’antica distanza fra il teatro “alto” dei comici in carne e ossa e il teatro “altro” dei girovaghi
di piazze e mercati.
Questo Don Giovanni è il risultato di un’attenta ricerca scenica alla scoperta delle opportunità del recitare con il legno, con la carne e
con entrambi. Una ricerca che ha prodotto nuovi codici relazionali e occasioni creative: dal primo e inevitabile atto del guardarsi,
misurarsi e annusarsi, attori e burattini, fra stupore e scoperta, sono arrivati a scimmiottarsi, quindi a riconoscersi e infine superarsi
l’un l’altro giocando al teatro. Su questo linguaggio comune, costruito sulla sintonia fra ritmo e parola, gioco e musicalità, poggia
l’intero lavoro.
Il nostro Don Giovanni. Lavorare sul Don Giovanni significa misurarsi con una delle figure più enigmatiche del teatro. Il legame
fra Don Giovanni e la commedia dell’arte è storicamente molto prolifico: furono i comici italiani che resero popolare il Burlador de
Sevilla al di là dei Pirenei e che, attraverso i loro canovacci, ispirarono la creatività di un Molière.
Vi sono innumerevoli versioni del Don Giovanni. Parliamo dunque di un uomo solo o delle mille maschere di un personaggio
sfuggente e poliedrico? Tirso de Molina, Mozart, Rostand e molti altri hanno dato la loro risposta. Ispirato da tutti questo lavoro
spinge le vicende e personaggi sino al grottesco e al paradossale, sublimando velleità e ambizioni del nostro eroe sino a ridurlo in
carne e… legno, ma non per questo a vincerlo!
Sabato 21 luglio 2012 - ore 21.30
Spineda (Cr), Cascina “Strama”
Gigio Brunello
Macbeth all’Improvviso
dramma in due atti per burattini liberamente tratto da W. Shakespeare
Il burattinaio si scusa con il pubblico: il Macbeth non andrà in scena a causa di contrattempi dovuti alla costruzione dei nuovi
burattini. Al posto della tragedia farà una commedia servendosi delle maschere della Commedia dell’Arte e della stessa baracca che
lui aveva ideato per il Macbeth. Non una commedia qualunque ma L’emigrante geloso, un inedito di Carlo Goldoni. Lo spettacolo
inizia con Arlecchino recalcitrante e offeso che approfittando dei momenti di distrazione del burattinaio guida la rivolta : metteranno
in scena Macbeth, proprio loro, i comici dell’Arte.
Il primo a farne le spese sarà il burattinaio, il re Duncan che sta in baracca.
Sinossi
Primo atto. Il gioco letterario fa affiorare dagli archivi goldoniani personaggi e battute in libera uscita. Il melanconico tessitore che in
Una delle ultime sere di carnevale abbandona Venezia per emigrare nelle Russie, qui diventa il tipografo Rodolfo Barbieri che
ingiustamente perseguitato fugge nelle Americhe. C’è Federigo Rasponi alle sue calcagna, il quale per una sorta di nemesi storica, si
vendica del ruolo di protagonista assente ne Il servitore di due padroni proiettando la sua ombra sinistra sulla scena dell’Emigrante
geloso. Pantalone scopre di avere un figlio, il Lelio de Il bugiardo, ma un equivoco fatale lo fa incontrare con la morte nel momento
stesso
del
ricongiungimento.
Con la rivisitazione letteraria, s’incrociano anche i dialoghi del complotto in atto dietro alle quinte e questo introduce situazioni
farsesche e di teatro nel teatro.
Secondo atto. Si utilizza una sintesi del testo shakespeariano senza alterare la forza evocatrice e la poesia della parola. L’attenzione è
tutta sul percorso, senza via di scampo, di Arlecchino-Macbeth incontro al suo destino.
Sabato 25 agosto 2012 - ore 21.00
Commessaggio (Mn), Casa Studio “La Silenziosa”
L’origine del mondo. Ritratto di un interno
spettacolo in quattro quadri
I. Donna melanconica al frigorifero
II. Figuranti del dolore al lavatoio
scritto e diretto da Lucia Calamaro
con Daria Deflorian, Federica Satoro, Lucia Calamaro
disegno luci Gianni Staropoli
realizzazione scenica Marina Haas
aiuto regia Francesca Blancato
produzione e comnicazione 369gradi, PAV
prodotto da ZTL_pro con il contributo di Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali
in coproduzione con Armunia Festival Inequilibrio
e Santarcangelo 41 Festival internazionale del teatro in piazza
in collaborazione con Fondazione Romaeuropa, Palladium Universita Roma Tre, Teatro di Roma
Un ciclo che ho costruito su una vita, quella di una donna in crisi; vita che si declina in capitoli che, sebbene si seguono, non portano
verso una fine ma tendono verso un Origine.
Una vita che si inceppa e che sente, nell’impasse obbligata, il bisogno di indagare suo malgrado quel Cominciamento per tutti noi
misterioso, attraverso il rapporto con un Analista e soprattutto attraverso una particolare modalità di gestione della Figlia.
In fondo la genie è l’unica prova spicciola e familiarissima che ognuno di noi ha della possibilità di essere assoluti demiurghi di un
Inizio. E da lì, da quell’atto massimo di vitalità, che invecchia di fronte a noi, ritrovare il nostro, di Inizio.
Indago la coscienza di una Madre, quello che lei ne sa, malgrado e aldilà di lei; esploro gli stati d’animo mortificati di una Figlia
adultizzata, la sua assenza di modelli, la sua tenacia; tratteggio l’indifferenza, la rabbia e l'impotenza di tutti gli altri, quelli che si
ritrovano a gestire una persona depressa, senza sapere come. Intanto, diversamente, ma certo si vive. Lucia Calamaro.
Domenica 02 settembre 2012 - ore 21.00
Piadena (Cr), Cascina Rosetta
Factory-Compagnia Transadriatica
Romeo e Giulietta
di William Shakespeare
adattamento e traduzione Francesco Niccolini
regia Tonio De Nitto
con Lea Barletti, Dario Cadei, Ippolito Chiarello,
Angela De Gaetano, Filippo Paolasini, Luca Pastore, Fabio Tinella
scenografie Roberta Dori Puddu
realizzazione scene L.C.D.C.
luminarie Cesario De Cagna
costumi Lapi Lou
luci di Davide Arsenio
assistente alla regia Paola Leone
coproduzione Factory, Terrammare Teatro, Teatri Abitati
Romeo e Giulietta è chiedersi quanto i genitori amino veramente i figli, quanto possano capirli, quanto invece non imparino a farlo
troppo tardi. Romeo e Giulietta è un gruppo di famiglia sbiadito e accartocciato dal tempo, una foto che ritrova vigore e carne per poi
consumarsi e scolorirsi di nuovo. Romeo e Giulietta sono le morti innocenti, i desideri irrealizzati e la capacità di sognare che non
può esserci tolta. Romeo e Giulietta è un meccanismo perfetto, un ingranaggio linguistico e scenico che va avanti nonostante essi
stessi, dal quale però ad un certo punto può succedere di voler scendere e in qualche modo di farlo veramente, costi quel che costi.
Romeo e Giulietta, sono due adolescenti di una comitiva che si cancella per sempre nel tempo di un paio di giorni. Romeo e Giulietta
sono il vuoto lasciato, il segno della tragedia che ha sconvolto una comunità e che non sarà mai rimosso. Romeo e Giulietta sono i
sette interpreti impegnati con tripli salti mortali in doppi ruoli diametralmente opposti l’uno all’altro.
Tra le luminarie di una Verona senza tempo, «gli amanti segnati dalle stelle» celebrano il loro sfortunato amore in una rilettura pop di
un classico del Bardo
Venerdì 14 settembre 2012 - ore 19.00 e 21.00
San Giovanni in Croce, Chiesa della SS. Trinità
teatrodelleapparizioni
Moby Dick
di Rockwell Kent
da Herman Melville
adattamento Dario Garofalo, Fabrizio Pallara
regia e scene Fabrizio Pallara
con Dario Garofalo
immagini Simone Memè
suoni Antonio Giannantonio
realizzazione scene Paolo La Manna
organizzazione Sara Ferrari
produzione teatro delle apparizioni, ZTL_pro
con il contributo di Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali
in collaborazione con Fondazione Romaeuropa/Palladium, Teatro di Roma e Area06
con il contributo di MAZZILLI SRL
In molti si sono messi per mare a caccia della Balena Bianca. Alcuni la stanno ancora cercando, altri l’hanno confusa con un delfino,
qualcuno è morto senza mai vederla, qualcun altro è riuscito a trovarla e a guardarla dritta in fronte. Uno di questi è Rockwell Kent.
È lui che abbiamo seguito nella nostra caccia a Moby Dick.
Saranno le illustrazioni in bianco e nero realizzate da Rockwell Kent per l’edizione di Moby Dick del 1930, la mappa per la
costruzione del viaggio. Il bianco e il nero, come la luce e l’ombra, per definire e segnare il “doppio” e percorrere i sentimenti
contrastanti e il conflitto degli opposti che raccontano l’uomo.
Una grande avventura, la storia di un’esplorazione del mondo e dell’individuo raccontata attraverso la parola che si fa segno e
immagine, quasi per fissare meglio i ricordi, per provare a fare ancora una volta insieme quel viaggio.
E il pubblico sarà condotto in mare, a ripercorrere le emozioni dell’incontro con la grande balena, sconosciuta, misteriosa e per tanto
tempo solo immaginata.
per un massimo di 70 spettatori
Sabato 15 settembre 2012 - ore 21.00
San Marino del Lago (Cr), Caruberto – Santuario della Natività della Vergine
Anagoor
Magnificat
di Alda Merini
voce Paola Dallan
suono e musiche Mauro Martinuz
disegno vocale Paola Dallan, Marco Menegoni, Simone Derai
regia Simone Derai
coproduzione Operaestate Festival
Come nasce una poesia?
Di solito Alda Merini telefonava a Arnoldo Mondadori e quando diceva “Scrivi” lui poteva essere in qualsiasi situazione ma doveva
trovare subito una penna un foglio e scrivere. Lei non si fermava, la sua poesia nasce e finisce di getto. Alda non corregge.
Per esempio in via Pontaccio: un grande rumore di macchine, Arnoldo sentiva male la sua voce, si accovaccia per scrivere, “Scrivi!”,
intimava Alda, e subito cominciava: “Su questo libro tu sei sorto, angelo dell’Annunciazione. Io mai avrei pensato che queste pagine
diventassero ali. Le ali degli angeli sono calde, il loro pensiero sta dentro la notte, ma tu parli su uno spazio che io non conosco. Io
adoro le stelle e la notte, ma tu sei il canto del mio mattino. Non capisco e te lo vorrei chiedere se tu sei sorto da me o se io sono sorta
da te, e non sapevo che la carne potesse sparire per dar luogo a un pensiero creatore”.
Arnoldo riesce a sentire tutto. Alda riattacca. Lui rilegge quello che lei ha dettato e lo impara praticamente a memoria. Corre a casa e
aggiunge queste pagine a tutte le altre.
Il libro è finito.
Lo spettacolo è proprio questo: il flusso di una voce che sgorga dal nulla, filtrata dal gracchiare della comunicazione artificiale, una
conversazione notturna tra amanti, parole dolorose in lenta emersione sulla pagina bianca del libro poeta.
Al
centro
il
mistero
della
complessa
figura
di
Maria.
Una delle voci più alte, più forti e personali della poesia del nostro tempo, racconta una Vergine diversa da come siamo abituati a
pensarla. Non ne rappresenta la storia e la vita, ma evoca con inaudita forza visionaria la sua interiorità. La sua tenera fanciulla è una
creatura di luce, di carne, fragile, smarrita, spaventata, e perdutamente innamorata di Dio.
Settembre 2012 - ore 21.00
Casalmaggiore (Cr), Teatro Comunale
TRILOGIA DEL SILENZIO
Venerdì 21 – Beckett Box
Mercoledì 26 – Aure
Venerdì 28 – Trattato dei Manichini
Teatropersona
Beckett Box
regia, drammaturgia, scena, luci, suoni Alessandro Serra
con Gianni Bonavera, Valentina Salerno, Marco Vergati
in co-produzione con il C.T.A. di Gorizia
con il contributo di ARMUNIA
spettacolo vincitore del premio Beckett&puppet 2005/2006
Luogo osceno e polveroso infestato dai topi e dai ricordi, la soffitta seduce i bambini in cerca dei segreti della vita e
angoscia i vecchi rincorsi dalla morte. Un luogo d’infanzia, inibito agli adulti. Alla soffitta si consegna ciò che non serve più, in
attesa che possa tornare utile, prima o poi. L’impossibilità a disfarsi di certe cose insignificanti, come i ricordi e l’assistere impotenti
alla loro inesorabile disfatta fisica. Oggetti divenuti oramai utili solo a raccontare il passato, quasi dei talismani. E’ il confine tra la
vita e l’arte, la discarica umana.
Il vecchio, come un gatto in fin di vita, si allontana con discrezione e va a morire in soffitta, circondato dai ricordi e dagli
oggetti. Ed ecco apparire due figure sospette, più simili ai non nati che ai morti che ritornano, esseri incompleti e quasi sacri, come i
bambini, dotati di organi misteriosi e con uno sguardo insostenibile. Gli assistenti, creature crepuscolari che appaiono nelle favole nei
momenti di disperazione per ricondurre la storia verso il lieto fine e che alla fine, fedeli alla loro natura rarefatta, svaniscono così
come sono comparsi. Fantocci/bambini servizievoli e crudeli che non temono il tempo dal momento in cui non hanno mai imparato a
contarlo.
Lo spettatore vedrà degli esseri che contemplano una vita e allo stesso tempo la raccontano, la fanno vedere. E così l'azione
è sogno, e la scia d’ombra della nostra vita è già l'evento iniziale che si allarga dalla scena alla platea, contagiando nell'illusione
totale chi si è aggiunto per ultimo dall'esterno, lo spettatore.
TRATTATO DEI MANICHINI
regia, drammaturgia, scena, luci, suoni Alessandro Serra
con
Valentina Salerno, Chiara Michelini, Alessandra Cristiani, Silvia Malandra
spettacolo vincitore di NUOVE CREATIVITA'
con il sostegno di ETI Ente Teatrale Italiano
spettacolo vincitore Premio di scrittura di scena LIA LAPINI
co-produzione laLut, Festival Voci di Fonte, Jack and Joe Theatre
con il sostegno di Armunia,Kilowatt Festival
Mi sembra che il genere d'arte che mi sta a cuore, sia proprio una regressione, sia un'infanzia reintegrata.
Se fosse possibile riportare indietro lo sviluppo, raggiungere di nuovo l'infanzia attraverso una strada tortuosa - possederla ancora
una volta, piena e illimitata - sarebbe l'avveramento dell'epoca geniale", dei "tempi messianici", che ci sono stati promessi e giurati
da tutte le mitologie. Il mio ideale è "maturare" verso l'infanzia. Questa sarebbe l'autentica maturità. (Bruno Schulz)
Trovare la chiave d’accesso all’infanzia, nella memoria onirica se il caso, e secondo le leggi anamorfiche del sogno.
Drammaturgia è l’incidente esterno al sogno che contrasta e devia la vita onirica, un fatto fisico, qualcuno che ci accarezza mentre
dormiamo, o il lenzuolo che ci avvinghia le gambe tradotto in chissà quale essere mostruoso che ci assale e trascina giù, o la sveglia
che suona, trasformata in campanella da ricreazione.
Il ritorno atemporale all’infanzia è un sogno che non si può raccontare, un nulla a cui nessuno crederà, ma un nulla visibile,
contemplabile, confezionato con le immagini della realtà.
La materia non è il disegno ma il dramma degli impulsi che s’affrontano, come nello schiudersi di un guscio. Cogliere
queste creature nell’atto di sbocciare. La crisalide: uovo – baco – larva - farfalla, non sono quattro immagini distinte ma una sola con
differenti linee temporali. Quando si è investiti da un’immagine che ci guarda e non si sforza di raccontare poiché in quel dato istante
continua a rivivere simultaneamente il proprio ciclo vitale.
La nostra creazione, privilegio di tutti gli spiriti, obbedisce ai dettami del Trattato dei Manichini di Bruno Schulz. Effigi di
donne consacrate all’esposizione in vetrina, per preservare la vita di chi, pagando, potrà indossarne le vesti. Manichini accatastati alla
rinfusa, nudi, svergognati, come bambini che sciamano al sole, eppure immobili, gratificati.
L’opera della azioni è semplice e intestimoniabile, come i giochi dei bambini, sedotti dalle conclusioni luttuose, come
falene attratte dalla luce. La notte è la luce nera che seduce, finché una creatura crepuscolare aprirà la tenda e farà intravedere la luna,
e il bagliore sarà tale da distogliere nostra madre dalla vita. Il servitore, come in una favola, appare al momento giusto a togliere il
velo, rivelando che c’è un figlio terrorizzato da qualche parte che, semplicemente, vuole essere preso in braccio.
In quanto alla storia, pare che Robert Walser leggesse romanzacci per il piacere di poterne poi raccontare di nuovo la trama,
ebbene questo spettacolo non è che il romanzo delle nostre infanzie raccontato da una bambina di nove anni, ma senza parole.
La visitazione all’infanzia non è un fatto personale, riguarda tutti noi. Una volta aperti gli occhi si resta esterrefatti nel
vedere un’unica dolorosa iniziazione alla vita: imperscrutabile grido che è paura e al contempo gioia incontenibile.
AURE
regia, drammaturgia, scena, luci, suoni Alessandro Serra
con Valentina Salerno, Francesco Pennacchia, Chiara Michelini
produzione
Regione Lazio – Assessorato alla Cultura, Arte e Sport
Bassano Operaestate Festival - Teatro Fondamenta Nuove Venezia
Rete teatrale aretina – Teatro Comunale Castiglion Fiorentino
Fondazione Ca.Ri.Civ.
Aure chiude una trilogia del silenzio e della memoria. Lo spettacolo si ispira all’opera di Marcel Proust Alla ricerca del
tempo perduto, un fiume placido e solenne di parole, ma soprattutto, un capolavoro pittorico, sinfonia perfetta di suoni e rumori.
In Proust tutto trasfigura, si agita, fluttua, deambula con una qualità sonnambolica in un mondo che è quello reale, ma è
spinto come da un afflato che appartiene all’altra sfera. Così come il sogno si compie in una dimensione che non è la realtà ma che
dalla realtà trae nutrimento, rubandone le immagini.
Nel suo quieto incedere la recherche si sfalda, il naturalismo si rompe, tutto evapora, rendendo indistinti oggetti e paesaggi.
L’anima stessa è rivestita da un involucro corporeo.
Aure, indicibili aloni di vita che ammantano ogni cosa, dice Elemire Zolla.
Non c’è storia né personaggi, solo figure e un luogo, la stanza della memoria, più volte descritta da Proust come una specie
di secondo appartamento, quello del sonno. Come in un teatro di marionette “così riposante per chi ha preso in disgusto la lingua
parlata. Terra quasi edenica dove il suono non è stato ancora creato”.
Autore dello spazio e delle figure Vilhelm Hammershøi, pittore danese del silenzio, capace di permeare la scena di tempo.
Nei suoi interni, cui lo spettacolo si ispira, il tempo fluisce come fatto luminoso, tutto è al contempo immobile e vibrante: i tavoli e le
sedie sembrano pronti a piroettare, gli oggetti a librarsi in volo, le numerose porte sempre sul punto di schiudersi, rivelando presenze
taciute e stanze della memoria involontaria.
Nella camera oscura interiore si accende una speciale luce: il corpo dell’attore che, come la luce, non si vede, ma fa
vedere. Ecco allora che un piccolo gesto si ripercuote in noi ed echeggia, risvegliando un fatto dimenticato, che ci sembrava misero e
non degno di nota. La vita vivente di contro la vita vissuta. In modo tale che ciò che si vede incorniciato nell’arcoscenico non sia
altro che un fondale dipinto, cioè la vita. E se questo fondale un giorno crollasse, “cadrà nell’universo magico, senza che la caduta
delle sue pesanti pietre offuschi con la volgarità d’un solo rumore la castità del silenzio»”.
Scarica