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Russia
Il nome R. (Rossija) deriva da quello della Rus' di Kiev, primo
Stato slavo orientale formatosi nel IX sec. nel territorio
compreso tra il mar Baltico, il corso superiore del Don e i
Carpazi. Dopo la dominazione mongola (ca. 1240-1480),
gran parte di quest'area passò sotto il controllo del
principato di Mosca, il cui sovrano, Ivan IV il Terribile, fu
incoronato zar nel 1547. Grazie a una serie di conquiste
(Siberia, Estonia, Livonia, costa settentrionale del mar Nero,
Polonia orientale, Finlandia, Bessarabia, Transcaucasia, Asia
centrale ed Estremo Oriente), la R. divenne in seguito un
regno multietnico. Dalla fine del XVII sec. lo zar Pietro il
Grande trasformò il suo Impero in una grande potenza in
stretti rapporti diplomatici, economici e culturali con
l'Europa. Il regime zarista venne abbattuto durante la
cosiddetta Rivoluzione di Febbraio del 1917. Dopo la
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Rivoluzione d'Ottobre dello stesso anno e la guerra civile
(1918-20), all'inizio degli anni 1920-30 la dirigenza
comunista consolidò il proprio potere. L'Unione delle
repubbliche socialiste sovietiche (URSS), proclamata nel
dicembre del 1922, oltre alla Repubblica socialista
federativa sovietica russa comprendeva l'Armenia,
l'Azerbaigian, la Bielorussia, l'Estonia, la Georgia, la
Lettonia, la Lituania, la Moldavia, l'Ucraina e gli odierni Stati
dell'Asia centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan,
Turkmenistan e Uzbekistan), costituendo così la compagine
statale unitaria più vasta del pianeta. Dopo il crollo del
blocco orientale e la conseguente fine della Guerra fredda,
l'URSS venne sciolta l'8.12.1991 e la Federazione russa
divenne suo successore legale. Alla fine del 1991 fu fondata
la Comunità degli Stati indipendenti, a cui aderirono tutte le
ex repubbliche sovietiche tranne quelle baltiche.
Autrice/Autore: Peter Collmer / vfe
1 - Epoca zarista
1.1 - Movimenti migratori
Tra la fine del XVII sec. e il 1917 oltre 20'000 Svizzeri emigrarono in via temporanea o definitiva nell'Impero
zarista per trovarvi lavoro. Le cause di tale intenso movimento migratorio furono da un lato le opportunità di
ascesa sociale offerte dalla R., dall'altro le difficoltà economiche esistenti in Svizzera. Scarse prospettive
professionali in patria spinsero all'emigrazione, ad esempio donne nubili dei ceti medi e bassi, militari dei
Paesi soggetti e casari colpiti dalla crisi dell'economia lattiera alpina del XIX sec. L'Impero zarista, da parte
sua, aveva una forte necessità di manodopera qualificata per realizzare le proprie aspirazioni di
modernizzazione sul modello dell'Europa occidentale. L'emigrazione sviz. in R. era infatti caratterizzata,
maggiormente di quella diretta in America, da un'alta presenza di personale specializzato: dalla seconda metà
del XVII sec. era composta da ufficiali e funzionari di corte e, poco più tardi, da scienziati, medici, architetti,
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teologi e pasticcieri. Dalla seconda metà del XIX sec. prevalsero sempre più casari (spec. dell'Oberland
bernese), precettori, governanti (spesso della Svizzera franc.), commercianti e industriali. In un primo tempo
emigrarono in parte anche figure di spicco del ceto medio o alto, come il ginevrino François Le Fort, che
compì una brillante carriera militare al servizio della R., o il vodese Frédéric-César de La Harpe, che quale
precettore del futuro zar Alessandro I seppe attirare l'attenzione della corte russa sugli interessi sviz. Dopo il
1850 i collegamenti ferroviari diedero slancio all'emigrazione dei ceti più bassi.
Nelle città più grandi dell'Impero zarista sorsero colonie sviz. prospere, dotate di proprie strutture associative
(ass., soc. di mutuo soccorso). In seguito all'ingaggio russo di contadini stranieri e alla concessione di privilegi
a questi ultimi, all'inizio del XIX sec. furono fondate anche le colonie sviz. di Chabag (Šabo) in Bessarabia e di
Zürichtal in Crimea. Gli emigranti sviz. descrivevano solitamente il popolo russo come cordiale e accogliente,
ma si ritenevano superiori sul piano culturale, più diligenti e puliti.
I cittadini russi presenti in Svizzera prima del 1917 si possono suddividere in tre gruppi principali: innanzitutto
turisti, ospiti delle stazioni di cura e residenti regolari provenienti dalla nobiltà, poi emigrati politici e
rivoluzionari e infine studenti. Il paesaggio alpino entusiasmava i viaggiatori russi ed erano migliaia i sudditi
dello zar in cerca di riposo - spesso affetti da tubercolosi - che prima della Grande guerra affollavano alberghi
e sanatori dei com. montani sviz. Il loro numero elevato spinse il governo russo a istituire una rappresentanza
consolare a Davos nel 1911. Nella seconda metà del XIX sec., con il rafforzamento del movimento
rivoluzionario russo, all'attrattività turistica della Svizzera si aggiunse quella politica. La nota tradizione d'asilo
sviz., la protezione dei perseguitati politici, le opportunità formative e di realizzazione personale offerte in uno
Stato organizzato in senso liberale e situato al centro dell'Europa spinsero un gran numero di Russi a
emigrare in Svizzera dal decennio 1860-70. Si formò una colonia politicizzata, residente soprattutto a Zurigo e
Ginevra, che secondo il censimento del 1910 contava quasi 8500 persone. Tra i primi dissidenti politici di
spicco presenti in Svizzera figurano Aleksandr Ivanovič Herzen (dal 1851 cittadino di Burg bei Murten) e
Michail Bakunin, scrittori e pubblicisti. A questi primi oppositori, completamente isolati dalla madrepatria,
dopo la sollevazione polacca (1863-64) seguirono attivisti più giovani, appartenenti al movimento
rivoluzionario clandestino nato nel frattempo nell'Impero zarista. In Svizzera vissero e operarono, tra gli altri,
Pëtr Lavrovič Lavrov, ex membro della Comune di Parigi, Pëtr Kropotkin, anarchico, Georgij Plechanov,
precursore moderato della socialdemocrazia russa, Pavel Borisovič Aksel'rod, teorico della frazione
menscevica del partito operaio socialdemocratico russo, e infine Nikolaj Lenin, leader dei bolscevichi, che
proprio in Svizzera sviluppò in misura decisiva il proprio pensiero politico.
Prima della Grande guerra la colonia russa in Svizzera disponeva di proprie chiese e di molteplici
infrastrutture (biblioteche, opere caritative), spesso differenziate a seconda dell'appartenenza politica.
L'emigrazione rivoluzionaria ruotava soprattutto attorno alle tipografie russe, ubicate in prevalenza a Ginevra,
dove venivano stampati testi antizaristi. Agli occhi dei dissidenti politici, gli studenti russi erano un pubblico e
un bacino interessante per il reclutamento di nuovi proseliti: i sudditi dello zar rappresentavano oltre un
quarto dei ca. 7500 studenti immatricolati nelle Univ. sviz. durante il semestre estivo del 1914.
Particolarmente significativa era la presenza delle donne, che in R. non erano ammesse agli studi univ. Nel
1867 Nadežda Suslova, studentessa di medicina, fu la prima donna a conseguire il dottorato all'Univ. di
Zurigo; in seguito le Russe costituirono fino ai quattro quinti delle studentesse iscritte ad atenei sviz.
Per i Russi, l'immagine della Svizzera era tradizionalmente improntata al mito delle Alpi. Gli emigranti russi
del XIX e dell'inizio del XX sec. descrivevano la pop. elvetica, una volta incontrata direttamente, come
ordinata, pulita e diligente ma anche fredda, avida di denaro e con orizzonti intellettuali ristretti. Dopo lo
scoppio della prima guerra mondiale, numerosi Russi esiliati in Germania e Austria si rifugiarono nella
Svizzera neutrale. La situazione di emergenza economica della colonia provocò un'ondata di rimpatri, che
dopo il crollo del regime zarista divenne ancor più consistente con il rientro degli emigrati politici. Secondo il
censimento del 1920 la colonia russa in Svizzera si era ridotta a meno di 5000 persone.
Autrice/Autore: Peter Collmer / vfe
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1.2 - Rapporti diplomatici
In seguito alle guerre di Coalizione, che nel 1799 avevano portato allo scontro di truppe russe e franc. in
territorio sviz. e alla celebre campagna alpina del generale Aleksandr Suvorov, l'intervento dello zar
Alessandro I fu decisivo per la sopravvivenza della Svizzera quale Stato indipendente. Dopo il congresso di
Vienna, nel novembre del 1815 la R. garantì insieme ad Austria, Francia, Gran Bretagna, Prussia e Portogallo
la neutralità perpetua e l'integrità territoriale della Conf. A San Pietroburgo, capitale dell'Impero zarista, nel
XIX sec. la Svizzera era considerata principalmente come un elemento strategico importante per l'ordine
politico europeo, avente la funzione di cuscinetto stabilizzatore tra le potenze. Nel 1817 la R. convinse la
Conf. ad aderire alla Santa Alleanza. A causa della sua stabilità e della sua ubicazione centrale, per la
diplomazia russa la Svizzera rappresentava anche un interessante punto di osservazione degli eventi in
Europa occidentale. Al contrario, gli interessi economici erano predominanti nella politica sviz. nei confronti
della R., che prima della Grande guerra era importante non solo come meta dell'emigrazione, ma anche quale
sbocco per i prodotti elvetici.
La diversità di obiettivi tra i due Stati si rifletteva nella natura delle rappresentanze ufficiali. Dal 1814 lo zar si
fece rappresentare nella Conf. da ministri plenipotenziari - il primo dei quali fu Giovanni Antonio Capodistria incaricati di osservare l'evoluzione politica del Paese ospite e delle potenze confinanti. Fino al XX sec. la
Svizzera si accontentò invece di mantenere nell'Impero russo rappresentanze consolari onorarie, che si
occupavano più delle colonie sviz. locali e del commercio che dei contatti governativi. Il primo console a San
Pietroburgo fu nominato alla fine del 1816 e nel 1837 la sede diplomatica fu elevata al rango di consolato
generale; fino alla fine dell'epoca zarista altri consolati furono aperti a Odessa (1820), Mosca (1828), Riga
(1868), Varsavia (1875), Tbilisi (1883), Kiev (1902) e Turku (1914), località finlandese. Una legazione sviz. a
San Pietroburgo fu istituita solo nel 1906.
Mentre lo zar Alessandro I guardava alla Svizzera con simpatia, nel corso del XIX e del XX sec. le relazioni
bilaterali - definite per lo più eccellenti sul piano ufficiale - furono offuscate da molteplici tensioni, dovute a
visioni dello Stato e della politica opposte. Da sempre gli Svizzeri consideravano l'autocrazia russa come
l'antitesi negativa e dispotica alla loro concezione dello Stato, fondata sulla libertà. Con l'istituzione dello
Stato fed. liberale nel 1848, il contrasto ideale si accentuò ulteriormente. San Pietroburgo interpretò la
riorganizzazione autonoma dell'assetto statale della Conf. come un segno di decadenza politica e una
violazione delle decisioni del congresso di Vienna. Punto controverso fu in particolare la limitazione della
sovranità cant. Il regime zarista congelò i contatti diplomatici, sospese la sua garanzia alla neutralità elvetica
nel gennaio del 1848 e riconobbe il nuovo Stato fed. solo nel 1855. Con il divampare del movimento
rivoluzionario in R., nella seconda metà del XIX sec. temi centrali dei rapporti reciproci divennero la presenza
in Svizzera di dissidenti russi e la sua politica liberale in materia d'asilo. Già nel 1823 la R., con le altre
potenze conservatrici, aveva esercitato pressioni sulla Dieta fed., ottenendo una limitazione temporanea del
diritto d'asilo e della libertà di stampa (Conclusum sulla stampa e sugli stranieri). Successivamente il regime
zarista autoritario cercò di controllare i propri sudditi emigrati con una rete di agenti segreti e di impedire lo
sviluppo di una forte opposizione in esilio. Il governo russo pretendeva dalle autorità sviz. controlli più severi
sugli stranieri, cooperazione tra le polizie e l'estradizione immediata dei delinquenti russi. Il Consiglio fed., da
subito sospettato dalla R. di favorire gli sforzi rivoluzionari, continuò a riconoscere le libertà individuali anche
agli stranieri e, come da sua tradizione, a non estradare i perseguitati politici, non da ultimo perché incalzato
da un'opinione pubblica di tendenza liberale.
Al di là delle posizioni ufficiali contrastanti, i due governi svilupparono un'intensa cooperazione improntata al
pragmatismo, che si tradusse tra l'altro in compromessi politici informali e nell'ampliamento della
collaborazione amministrativa. In materia d'asilo, ad esempio, le autorità sviz. accettarono di non considerare
Sergej Gennadevič Nečaev, rivoluzionario arrestato a Zurigo nel 1872, come un perseguitato politico ma come
un criminale comune e quindi di estradarlo in R. Nel 1873 i due Stati siglarono un accordo, negoziato su
iniziativa della R., che disciplinava l'estradizione reciproca dei criminali, con l'esclusione esplicita dei casi
politici; nel 1908 seguì un protocollo addizionale relativo agli attentatori dinamitardi. Nel 1904 il Consiglio fed.
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si impegnò ad adottare le disposizioni amministrative contenute in una convenzione segreta multilaterale
contro l'Anarchismo stipulata a San Pietroburgo.
Il trattato di commercio e di domicilio concluso nel 1872 costituì la base giur. degli interessi economici sviz. in
R. Il testo assicurava la reciproca libertà di commercio, d'industria e di domicilio, il diritto di acquistare e
vendere liberamente beni fondiari, l'esonero dal servizio militare obbligatorio, l'uguaglianza di fronte alla
legge e la clausola della nazione più favorita in ogni questione concernente l'imposizione fiscale, il commercio
e il domicilio. L'accordo, fin dall'inizio svuotato in parte dei suoi contenuti da numerose disposizioni speciali
volute dai Russi, nel 1917 fu denunciato dal governo provvisorio di Pietrogrado (nome di San Pietroburgo dal
1914 al 1924) e non più rinnovato dal successivo regime sovietico. Altre convenzioni siglate tra la Svizzera e
l'Impero zarista riguardarono le facilitazioni nel trasporto delle persone (1830 e 1864), l'istituzione di
collegamenti postali diretti (1872), la protezione dei marchi (1899) e lo statuto giur. di soc. anonime e altre
soc. commerciali, industriali e finanziarie (1903). I due governi avevano inoltre rapporti all'interno di diverse
istituzioni e org. intern., non di rado sotto amministrazione sviz. (convenzione di Ginevra, Croce Rossa, Unione
postale universale, ecc.).
Autrice/Autore: Peter Collmer / vfe
1.3 - Scambi economici e culturali
Fino al 1917 vennero fondate nell'Impero zarista ca. 300 imprese industriali sviz., soprattutto nei rami
meccanico, alimentare e tessile, concentrate nelle regioni di Mosca e San Pietroburgo e in Ucraina. Nel 1917 il
capitale sviz. investito in R. superava i 300 milioni di frs. Imprenditori sviz. assunsero un ruolo pionieristico in
ambito economico, ad esempio con l'introduzione della stampa tessile a cilindri e della tessitura meccanica di
tappeti o con l'apertura della prima fabbrica di orologi e della prima fabbrica di lampadine a incandescenza.
Specialisti sviz., come i casari del cant. Berna, contribuirono alla modernizzazione della produzione russa.
Il trasferimento di tecnologia sviz. verso la R. si manifestò anche nella composizione degli scambi
commerciali: l'Impero zarista esportava in Svizzera prevalentemente materie prime (cereali, oli, metalli, lino e
canapa), ma era tra i principali acquirenti di prodotti finiti elvetici (orologi, formaggi, prodotti tessili,
macchine, veicoli, strumenti di precisione e prodotti chimici). Nei decenni precedenti la prima guerra
mondiale il volume assoluto degli scambi crebbe considerevolmente e aumentò anche l'importanza relativa
del mercato russo per l'economia d'esportazione sviz. Nel 1913 le importazioni sviz. dalla R. ammontavano a
75,1 milioni di frs., le esportazioni a 58,7 milioni. Lo scoppio della prima guerra mondiale e delle Rivoluzioni
russe provocò un crollo del commercio bilaterale.
Gli scambi culturali si fondavano da un lato sulla ricezione reciproca di opere letterarie e scientifiche, dall'altro
erano strettamente legati ai flussi migratori. Influenzata dalle Lettres d'un voyageur russe (traduzione franc.)
di Nikolaj Michajlovič Karamzin ma anche dagli scritti di Albrecht von Haller, Salomon Gessner e Jean-Jacques
Rousseau, nel XVIII sec. l'élite culturale russa sviluppò un'immagine idealizzata della Conf., abitata da un
popolo felice in un paesaggio alpino idilliaco; immagine i cui effetti perdurano fino a oggi. Numerosi scrittori e
artisti russi si occuparono della Svizzera nelle loro opere, come Vasilij Andreevič Žukovskij, poeta, Ivan
Ivanovič Šiškin, pittore, o Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Precettori, educatori e governanti sviz. diffusero idee
provenienti dall'Europa occidentale nelle case della nobiltà russa; pastori sviz. operarono in comunità
evangeliche a San Pietroburgo, Mosca, nella R. meridionale e lungo il Volga. Domenico Trezzini e Domenico
Gilardi, architetti ticinesi (Maestranze artistiche), lavorarono alla corte dello zar e lasciarono la loro impronta
sull'assetto urbanistico di San Pietroburgo (fondata nel 1703) e Mosca (distrutta da un incendio nel 1812).
Eruditi di Basilea, come i matematici Daniel Bernoulli, Leonhard Euler o Niklaus Fuss, furono presto attivi
all'Acc. delle scienze di San Pietroburgo. D'altra parte, la presenza di artisti, scrittori e pubblicisti russi
influenzò la vita culturale in Svizzera. Le pubblicazioni politiche degli emigranti dell'Impero zarista ebbero echi
a Ginevra e Zurigo; è indubbia l'influenza esercitata dalle idee dei dissidenti russi sulla classe operaia sviz. Un
coinvolgimento degli emissari sovietici nell'organizzazione dello sciopero generale del 1918 non è mai stato
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documentato. Nel campo delle arti figurative, Marianne von Werefkin e Alexej von Jawlensky, coppia di pittori
russi, furono tra i protagonisti del movimento Dada di Zurigo.
Autrice/Autore: Peter Collmer / vfe
2 - Epoca sovietica (1918-1991)
2.1 - Relazioni bilaterali
Nel febbraio del 1918, quando si moltiplicarono le notizie di danni materiali subiti in R. da cittadini sviz., il
Consiglio fed. considerò l'ipotesi di confiscare beni russi in Svizzera, ma poi vi rinunciò. Dal canto loro le
banche elvetiche temevano che in seguito anche i capitali di altri Paesi in cui pareva imminente l'avvento del
socialismo avrebbero potuto lasciare il Paese. La posizione incerta del governo sviz. nei confronti del nuovo
regime emerse nuovamente dopo la nomina di Jonas Salkind a rappresentante plenipotenziario del governo
sovietico in Svizzera (gennaio del 1918). Per non esporre gli Svizzeri residenti in R. a pericoli ancora maggiori,
quest'ultimo venne accreditato, il che equivaleva di fatto all'avvio di rapporti diplomatici. Sottoposto
dall'autunno del 1918 a pressioni interne e intern., in novembre il governo sviz. ruppe le relazioni con le
autorità sovietiche - a causa di loro presunti coinvolgimenti nello sciopero generale e in disordini rivoluzionari
- ed espulse Jan Antonovič Berzin, che era subentrato a Salkind dopo qualche mese.
Il governo sovietico reagì duramente e impedì allora a numerosi Svizzeri di lasciare il territorio russo. Il
19.11.1918 venne svaligiato un deposito elvetico a Pietrogrado, in cui erano custoditi gli averi di cittadini sviz.
residenti in R. e gli atti della legazione. Dopo tale gesto, interpretato come reazione all'espulsione di Berzin, la
rappresentanza diplomatica elvetica presentò una nota di protesta e abbandonò il Paese. La R. sovietica
minacciò quindi la Svizzera, ma nel contempo offrì di restituire i milioni rubati. Per effetto delle pressioni
politiche interne e dell'Intesa, il Consiglio fed. mantenne una posizione dura verso la Russia, ma non partecipò
nemmeno al blocco alleato contro di essa. Nel 1922, quando tutte le potenze dell'Intesa avevano già
riconosciuto de facto il governo sovietico, anche in Svizzera una maggioranza si schierò a favore di una
ripresa delle relazioni, soprattutto per ragioni economiche.
Questi sforzi furono vanificati dall'affare Conradi. Il 10.5.1923 Moritz Conradi, esule russo discendente da una
fam. sviz., assassinò con un'arma da fuoco Vaclav Vorovskij, diplomatico sovietico, durante la conferenza di
Losanna sul regime degli Stretti. Il Consiglio fed. rinunciò a presentare le proprie condoglianze al governo
sovietico, poiché non lo aveva riconosciuto. L'URSS interruppe allora ogni contatto con la Svizzera, promosse
un boicottaggio commerciale e da quel momento accordò permessi di entrata solo a proletari. Dopo
l'assoluzione di Conradi da parte della corte d'assise, l'Unione Sovietica rese noto che in futuro, per motivi di
sicurezza, non avrebbe più inviato delegati a conferenze intern. sul suolo elvetico. Della decisione risentì
soprattutto Ginevra, città sede di incontri intern., poiché in seguito diverse conferenze dovettero essere
trasferite all'estero.
La sinistra politica e cerchie imprenditoriali si impegnarono ripetutamente per un ripristino delle relazioni con
l'URSS, ma tali tentativi fallirono regolarmente per l'opposizione degli ambienti anticomunisti
(Anticomunismo). Solo nel 1927 i due Stati sottoscrissero una nota diplomatica per la revoca delle misure
reciproche di blocco. Da allora l'URSS inviò nuovamente delegazioni alle conferenze ginevrine. Le relazioni
raggiunsero un nuovo minimo storico quando nel 1934 Mosca chiese di aderire alla Soc. delle Nazioni. La
delegazione sviz. votò contro l'ingresso sovietico con i rappresentanti della Polonia e dei Paesi Bassi; il
Consigliere fed. Giuseppe Motta giustificò il rifiuto elvetico con un acceso discorso contro il Comunismo e
l'Unione Sovietica, vanificando così lo slancio di chi si era adoperato per una normalizzazione dei rapporti.
Unico anello di collegamento tra i due Stati era il Comitato intern. della Croce Rossa (CICR). Il delegato del
CICR a Mosca si occupava degli affari consolari concernenti gli Svizzeri in R. e, in collaborazione con il
consolato sviz. a Riga, procurava loro pacchi di generi alimentari. A metà del decennio 1930-40 Woldemar
Wehrlin, allora delegato del CICR a Mosca, dedicava quasi due terzi del proprio tempo all'assistenza e al
rimpatrio di cittadini elvetici. Nel 1937 il CICR soppresse definitivamente la propria rappresentanza a Mosca,
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poiché la Svizzera si era opposta a un aumento dei sussidi. L'URSS da parte sua aveva autorizzato l'esistenza
di tale ufficio perché Wehrlin si era mosso con cautela e fino al 1937 era stata tollerata la presenza in Svizzera
di Sergius Bagocki, rappresentante della Croce Rossa russa.
Dopo la conclusione del patto Hitler-Stalin nell'agosto del 1939 e lo scoppio della guerra d'inverno tra R. e
Finlandia nel novembre successivo, un riconoscimento sviz. dell'URSS fu fuori discussione. Anche il PS prese
allora le distanze dall'Unione Sovietica e ne condannò la politica imperialista. Nel novembre 1940 vennero
proibiti tutti gli organi comunisti, il PC sviz., l'Ass. degli amici dell'Unione Sovietica e diverse altre org.
Ciononostante, dati gli interessi economici reciproci, all'inizio del 1941 si svolsero a Mosca negoziati diretti
che portarono alla firma di un accordo di compensazione sullo scambio di merci tra Svizzera e URSS.
L'opinione pubblica non ne fu informata, ma il testo segnò di fatto la ripresa delle relazioni. Le speranze che il
trattato aveva suscitato da entrambe le parti si infransero tuttavia nel giugno del 1941 con l'aggressione ted.
all'URSS. Il blocco preventivo dei pagamenti e il congelamento degli averi sovietici a garanzia dei crediti sviz.
provocò il disappunto di Mosca, che in seguito respinse le offerte di dialogo della Svizzera con la motivazione
che quest'ultima avrebbe dovuto prima scindere i propri legami con la Germania. L'URSS si dichiarò inoltre
interessata a instaurare relazioni formali e non ad accordi economici segreti da stringere all'insaputa di
Berlino. Dopo i successi militari sovietici le riserve ideologiche passarono in secondo piano, ma ancora nel
1944 la Svizzera non riuscì a intavolare trattative dirette con l'URSS. Quando alla fine del 1944 Paul Ruegger,
ministro sviz. a Londra, in un cosiddetto memorandum non menzionò le vittorie militari russe, l'URSS rispose
in modo indiretto: il 4.11.1944 Radio Mosca affermò che la Svizzera non si era mai scusata per la linea
antisovietica tenuta negli anni precedenti né aveva riconosciuto i meriti dell'URSS nella lotta contro il
nazismo; per questo motivo Mosca rifiutava la proposta di ristabilire i rapporti diplomatici. Di conseguenza il
Consigliere fed. radicale Marcel Pilet-Golaz perse progressivamente l'appoggio anche in seno al proprio partito
e rassegnò le dimissioni nel dicembre del 1944.
Nella primavera del 1945 si moltiplicarono le lamentele sul cattivo trattamento dei ca. 10'000 internati
sovietici, fuggiti in Svizzera da campi di prigionia ted. Una parte di loro fu rimpatriata nell'autunno successivo
e nel 1946 Mosca pretese il rimpatrio anche di quegli ex internati che non erano disposti a tornare in R., ma la
Svizzera rifiutò. Nel marzo del 1946 i due Stati ripresero infine le relazioni ufficiali a Belgrado, dopo che Berna
aveva espresso il rammarico riguardo l'atteggiamento tenuto negli anni precedenti. I contatti si svilupparono
all'insegna della correttezza, ma non vennero approfonditi. Nel 1956 l'URSS elevò la propria legazione a Berna
al rango di ambasciata e un anno più tardi il Consiglio fed. fece lo stesso con la legazione sviz. a Mosca. Sui
rapporti reciproci continuavano a pesare problemi di vecchia data: il governo sovietico rifiutò di negoziare
risarcimenti per gli espropri di beni elvetici al tempo della Rivoluzione e non intese neppure farsi carico delle
violazioni di proprietà sviz. commesse dall'Armata Rossa in altri Paesi.
Dopo la sanguinosa repressione sovietica della rivolta ungherese nell'autunno del 1956, in varie città sviz. si
svolsero manifestazioni di protesta contro l'URSS, che durarono settimane e vennero sostenute da tutti i
grandi partiti. Lo stesso avvenne nell'estate del 1968, quando le truppe del Patto di Varsavia invasero la
Cecoslovacchia su ordine dell'Unione Sovietica. In queste due occasioni, la Svizzera accolse ca. 12'000
profughi provenienti da ciascuno dei due Paesi.
Autrice/Autore: Klaus Ammann / vfe
2.2 - Movimenti migratori
Dopo la Rivoluzione d'Ottobre del 1917 e le misure di esproprio messe in atto dai bolscevichi, ca. 8000
Svizzeri di R., spesso privi di mezzi, tornarono nella loro vecchia patria. Per la loro assistenza e la
registrazione di rivendicazioni elvetiche in territorio russo, nell'ottobre del 1918 fu istituita la Soc. cooperativa
di mutuo soccorso e di protezione degli interessi sviz. in R. (Secrusse), un'org. parastatale. Le condizioni dei
cittadini sviz. rimasti nell'URSS peggiorarono sensibilmente: requisizioni, voci sull'introduzione di un'imposta
rivoluzionaria e la crisi degli approvvigionamenti misero a dura prova la colonia elvetica. La situazione si
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aggravò quando, dopo l'espulsione di Berzin, il governo sovietico impedì al personale diplomatico sviz. di
lasciare la R. La Svizzera adottò un provvedimento simile e trattenne nel Paese alcuni cittadini sovietici (spec.
mogli e figli di funzionari). Solo nel gennaio del 1919 un'intesa fu raggiunta dalle due parti, che autorizzò
reciprocamente i rimpatri. All'epoca divenne precaria anche la situazione degli esuli russi in Svizzera, che
avevano esaurito i loro fondi: già nel 1920, su un totale di 5000 persone, 2000 necessitavano di assistenza.
Nel decennio 1920-30 e all'inizio di quello successivo comunisti sviz. (guidati tra gli altri da Fritz Platten) e
intellettuali di sinistra, tra cui alcuni architetti, emigrarono nell'URSS per contribuire alla costruzione della
società comunista. Nel 1937 un gruppo di disoccupati sviz. dell'orologeria tentò la fortuna in terra sovietica.
Nel 1938 tutti gli stranieri vennero espulsi dalla R. e alcuni furono vittime del terrore staliniano. Dopo la
seconda guerra mondiale quasi 1000 cittadini sviz. abitavano ancora in R.; al momento del crollo dell'URSS
nel 1991 ne restavano solo ca. 100.
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2.3 - Rapporti economici
A causa dell'assenza di relazioni diplomatiche, gli scambi economici con l'URSS rimasero limitati fino a dopo la
seconda guerra mondiale. Alla ripresa delle relazioni seguì un rilancio, che durò fino a poco dopo la firma del
primo trattato di commercio (17.3.1948). Successivamente, malgrado molteplici sforzi, i rapporti economici si
svilupparono in maniera deludente fino al crollo dell'URSS. Nell'intero periodo le importazioni e le esportazioni
ristagnarono, assestandosi tra l'1 e il 2% del commercio estero della Svizzera; solo in singoli settori (ad
esempio prodotti meccanici e chimici, combustibili) le forniture reciproche raggiunsero a volte cifre
considerevoli. L'istituzione della commissione mista sviz.-sovietica per la collaborazione tecnico-scientifica,
industriale ed economica nel marzo del 1973 incoraggiò l'intensificazione delle relazioni economiche. Dopo
decenni di assenza, imprese sviz. ripresero l'attività in R. Dalla seconda metà degli anni 1980-90, la politica
della perestrojka rese possibili joint-venture tra ditte sviz. e sovietiche; nell'agosto del 1991 operavano
nell'URSS 36 joint-venture a partecipazione sviz., attive in diversi settori, come la lavorazione di pellicce o la
produzione di autogrù e di concentrato secco per la fabbricazione di gelati cremosi. Dopo il crollo dell'Unione
Sovietica, molte di queste costituirono la base per il proseguimento dell'impegno di aziende sviz. in R.
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2.4 - Legami culturali e scambi intellettuali
Opere letterarie sviz. del XX sec. - ad esempio di Carl Spitteler, Robert Walser, Charles Ferdinand Ramuz,
Friedrich Dürrenmatt e Max Frisch - furono oggetto di particolare attenzione nell'URSS. L'antroposofia di
Rudolf Steiner esercitò per un certo periodo un grande fascino sui poeti russi Andrej Belyj e Maksimilian
Vološin. La Svizzera ebbe un ruolo significativo nella vita di Sergej Rachmaninov, musicista e compositore
russo, che conobbe il Paese quando era ancora giovane e vi ritornò poi più volte. Sergej Prokof'ev, pianista e
compositore, ebbe stretti contatti con Ernest Ansermet. L'opera lirica Katerina Izmajlova di Dmitrij Šostakovič,
eseguita la prima volta nel 1934 a Mosca e Leningrado, fu messa in scena ancora lo stesso anno a Zurigo, con
grande disappunto di Stalin.
Dopo il 1945 i rapporti culturali si concentrarono in primo luogo sulla diffusione di film sovietici in Svizzera e di
film sviz. in R.; in altri campi gli scambi risentirono della Guerra fredda. A numerose personalità sviz. della
cultura fu proibito di accettare inviti provenienti dall'URSS, mentre i loro omologhi sovietici erano sospettati di
spionaggio. Solo negli anni 1960-70 i rapporti culturali si intensificarono. Furono pubblicati in russo libri su
architetti (tra cui Le Corbusier) e pittori sviz. (Ferdinand Hodler e Hans Erni), ma anche sulla storia e la
letteratura della Svizzera. Nel febbraio del 1974 Aleksandr Isaevič Solženicyn, oppositore politico, si trasferì in
Svizzera dopo essere stato privato della cittadinanza sovietica e visse due anni a Zurigo, prima di emigrare
negli Stati Uniti; già nel 1961 Vladimir Nabokov si era stabilito sulle rive del lago di Ginevra. Alla metà del
decennio 1970-80 abitavano quindi in Svizzera due dei più importanti esponenti della letteratura russa
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contemporanea.
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2.5 - Pregiudizi negativi e illusioni
Sui rapporti economici, politici e culturali tra i due Stati influirono percezioni reciproche spesso venate di
ostilità ideologica. La Svizzera fu sempre vista dall'URSS come parte dell'Occidente capitalista. Se Lenin aveva
definito la neutralità sviz. come "inganno borghese" e "ipocrisia", dopo la seconda guerra mondiale il Cremlino
vi riconobbe un possibile strumento per separare altri Paesi dalla sfera di influenza diretta degli Stati Uniti e
nel 1955 impose all'Austria uno statuto di neutralità sul modello elvetico. La considerazione sovietica nei
confronti della neutralità sviz. scese rapidamente quando nel luglio del 1958 furono resi noti i piani del
Consiglio fed. per dotare il Paese di armi atomiche. Ciononostante la Conf. fu accettata come sede di
negoziati tra i due blocchi.
In Svizzera furono sempre attivi movimenti anticomunisti e antisovietici. L'Intesa intern. contro la terza
Internazionale, la cosiddetta Lega Aubert, fondata nel 1924, da Ginevra cercò ad esempio di fare propaganda
contro l'URSS, ma alla fine degli anni 1930-40 perse gran parte del proprio credito per aver collaborato con
ambienti nazisti. Anche dopo la seconda guerra mondiale tra i compiti principali del Servizio sviz.
d'informazione vi era quello di diffondere presso l'opinione pubblica notizie sulla dittatura sovietica e contro la
sinistra comunista in Svizzera. L'influenza politica di questi movimenti rimase limitata, ma la R. comunista finì
per assumere i tratti del nemico per antonomasia. Sull'onda della Difesa spirituale, dal 1945 il "pericolo rosso"
da Oriente rimpiazzò il nazismo come minaccia latente. Campagne contro gli scambi con i Paesi dell'est - ad
esempio dopo la rivolta ungherese del 1956 - danneggiarono ulteriormente le relazioni bilaterali, comunque
già labili. Apertamente filosovietico era solo il PdL, succeduto nel 1944 al PC, proibito durante la guerra. Sotto
l'effetto dei successi conseguiti dall'Armata Rossa, nel 1945 il PdL registrò una crescita degli iscritti, che in
poco tempo salirono a quasi 20'000; dal 1968 il partito sopravvisse con estrema difficoltà alla perdita di
immagine dell'URSS.
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3 - La Russia dal 1991
Al crollo dell'URSS la Svizzera reagì innanzitutto protestando contro l'intervento militare dell'Armata Rossa nei
Paesi baltici (gennaio del 1991). La diplomazia sviz. contribuì successivamente all'integrazione della
Federazione russa nella comunità intern. Contatti stretti si svilupparono nel 1996, quando la Svizzera assunse
la presidenza dell'OSCE. Tema ricorrente dei colloqui bilaterali fu il desiderio russo di aderire all'OMC. Ernst
Mühlemann e Andreas Gross, membri del Consiglio nazionale, tentarono, in veste di relatori del Consiglio
d'Europa, di dare un contributo alla risoluzione del conflitto in Cecenia. Tra il 1994 e il 2005 la Svizzera ha
fornito quasi 200 milioni di frs. in aiuti finanziari, tecnici e umanitari a sostegno del processo di trasformazione
della R. Il commercio bilaterale si è sviluppato considerevolmente: la R. esportava in Svizzera prodotti chimici,
metalli preziosi e fonti energetiche e importava prodotti farmaceutici e macchine. Nel 2008 le esportazioni
sviz. erano pari a 3,18 miliardi di frs., le importazioni dalla Federazione russa a 1,053 miliardi (di cui l'8% per
fonti energetiche). Nel campo degli investimenti diretti le imprese elvetiche sono rimaste prudenti, spec. a
causa di dubbi concernenti il rispetto del diritto; alla fine del 2007 gli investimenti ammontavano comunque a
5,639 miliardi di frs. Gli investitori russi in Svizzera sono presenti soprattutto a Ginevra e Zugo, centri per il
commercio di petrolio, gas naturale e materie prime, e hanno anche acquisito quote di ditte sviz., come la
Sulzer AG, la Holcim AG o la OC Oerlikon (Viktor Vekselberg). Arresti di cittadini russi in Svizzera sono stati più
volte fonte di attrito nelle relazioni tra i due Stati. Dagli anni 1990-2000 sono stati stretti accordi di
gemellaggio tra città sviz. e russe. Anche ospedali, ist. di formazione, unità amministrative, musei e comunità
di fedeli dei due Paesi intrattengono rapporti reciproci. Alla fine del XX sec. la Svizzera è divenuta una meta
apprezzata per turisti e uomini d'affari russi. Nel 2008 la colonia sviz. in R. contava ca. 800 persone, quella
russa in Svizzera 8500. In considerazione dell'intensificazione delle relazioni a tutti i livelli, nel 2006 il
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consolato onorario sviz. a San Pietroburgo è stato elevato al rango di consolato generale. Nel 2009 la
diplomatica elvetica Heidi Tagliavini, in veste di responsabile di una commissione intern. d'inchiesta istituita
dall'UE, ha stilato un rapporto sulla guerra in Georgia.
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Riferimenti bibliografici
Archivi
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Fonti
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