Teatro e Risorgimento. Da Torino ad Ivrea
Spesso nel cinema o in tv quando si racconta per immagini il Risorgimento troviamo un teatro sia come
soggetto sia come sfondo. Non è un artificio dettato da esigenze sceniche collegate al fatto che, per
fortuna, ancora oggi esistono in Italia - e svolgono la loro funzione - numerosi teatri ottocenteschi ma da
una verità chiara e netta. Il Risorgimento è stato anche i suoi teatri. Perché qui non si andava solo per
assistere a spettacoli ma per un insieme di motivi che spaziavano dall’aggregazione sociale (il farsi
vedere, l’essere visti) al palesamento, proprio attraverso la personale presenza, della condivisione
dell’idea unitaria. Il teatro, quindi, anche come luogo politico sia per quello che si metteva in scena sia
per la formazione (e, tal volta, clamorosa reazione) del pubblico. Dunque le sale come termometro
dell’aria che tirava tra l’opinione pubblica e ambito di dimostrazione ideologica e politica con il
conseguente occhiuto interesse delle autorità costituite. Un esempio per tutti: i moti del 1821 in Piemonte
scaturiscono l’11 gennaio dall’esibizione di 4 universitari che si presentano al teatro d’Angennes (sul
palco quella sera Carlotta Marchionni della “Compagnia Reale Sarda”) con in capo un berretto frigio rosso
con fiocco nero: i colori della Carboneria. Intervengono i Reali Carabinieri: arrestano i giovani. Il giorno dopo
l’Università è occupata. Interviene l’esercito, scoppiano scontri e da allora la protesta si diffonde in tutto il
Regno. La repressione è dura (e troverà un suo interessante esito letterario ne “L’Ussaro sul tetto” del francese
Jean Giono, traslato poi in un discreto film alcuni anni orsono). Oggi del D’Angennes ( il titolo viene dal suo
proprietario l’omonimo marchese), aperto nel 1786 come Teatro Gugliemone, dal nome del suo costruttore,
rimane solo l’antica facciata sull’attuale via Principe Amedeo. Su un balconcino campeggia ancora adesso una
statuetta di Gianduja a ricordo del fatto che nel 1891 il teatro fu dedicato alla maschera torinese ed anche
all’esibizione di marionette. Chiuso nel 1940, riaprì nel dopoguerra ripartito in due sale sovrapposte, una,
inferiore, per cinema e pupazzi, l’altra, superiore, per varietà e teatro. Infine nel 1961 diventa il cinema Orfeo
con l’entrata da Piazza Carlina. Oggi il tutto è sede di una banca. Certo il teatro simbolo degli anni
risorgimentali a Torino è il Carignano. Lasciando da parte per esigenze di spazio la descrizione del suo
immutato fascino e la storia dei prestigiosi nomi che calcarono e calcano il suo palcoscenico il solo entrarvi,
magari nel silenzio assoluto, senza nessuno in scena, nei palchi, in platea, emoziona davvero perché evoca
atmosfere particolari che rimandano appunto agli anni fatidici dell’unità. Ma anche il piccolo, grazioso
Gobetti di via Rossini merita di essere visitato perché una lapide qui posta ricorda che in questo teatro, nel
1847, venne eseguito “ in prima assoluta” L’Inno degli Italiani, il nostro Fratelli d’Italia. E in provincia ?
Consiglio una visita al Giacosa di Ivrea, oggi attivo, che ancora evoca atmosfere ottocentesche. Infatti, la sua
storia inizia nel 1829. Il comune affida l’opera all’architetto Maurizio Storero (la costruzione del teatro e il
suo regolamento sono approvati da Re Carlo Alberto con Regie Patenti dell’11 dicembre 1832) che la esegue
realizzando un buon esempio di teatro all’italiana: facciata neoclassica, sala a ferro di cavallo con palchi
sovrapposti distribuiti in tre ordini con sopra l’immancabile loggione. In tutto 700 posti. Il decoro è dignitoso:
spicca sul soffitto un affresco di Giuseppe Borra che presenta su un carro trionfale le Muse e Giove. Il sipario,
opera di due pittori scenografi del Regio di Torino Fabrizio Sevesi e Luigi Vacca raffigura la favola classica di
Coreso e Calliroe. Il 5 luglio 1834 - data non casuale: è il giorno della festa patronale di San Savino l’inaugurazione. In cartellone tre rappresentazioni liriche: tra queste “Giulietta e Romeo di Nicola Vaccaj su
libretto di Felice Romani. Se si propone cultura la cultura si diffonde, ieri come oggi. E così due anni dopo
nasce la Società filodrammatica della Citta di Ivrea con lo scopo, tra l’altro, di “promuovere lo studio e il buon
gusto (sic!) nella drammatica” Parte da qui una lunga prestigiosa storia di rappresentazioni e grandi attori ma
anche di alti e bassi. Nel 1922, il 30 novembre, il teatro - su proposta di Salvator Gotta - viene intitolato a
Giuseppe Giacosa il quale, nel 1900, ha proprio celebrato su questo palcoscenico il bimillenario della città
leggendo uno dei suoi testi più famosi, “Come le foglie”. Poi negli anni trenta un progressivo declino che
porta, nel 1942, al decadimento del tutto in magazzino militare. Si dovrà attendere il 1958 e il geniale,
generoso Adriano Olivetti, allora sindaco della città, per una rinascita effettiva e concreta. L’apertura del
nuovo corso è del 13 dicembre con un concerto dell’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino. Dopo di allora si
susseguono stagioni di alto livello intervallate da una chiusura tra il 1985 al 1998. Dalla stagione 1999/2000 il
teatro riprende ad essere un punto di riferimento sociale e culturale di Ivrea e del Canavese. Prosegue,
insomma, in quella missione iniziata nell’ormai lontano 1834.
Antonio Saitta
Presidente della Provincia di Torino