NUOVA SECONDARIA RICERCA La “differenza” umana quale problema della pedagogia nell’orizzonte culturale postumanistico Paola Martino Il contributo intende delineare, attraverso alcune voci (Braidotti, Fuschetto), l’orizzonte storico-culturale postumanista e problematizzare la specificità umana e l’educabilità possibile in una simile Stimmung. Il superamento della discontinuità ontologica, la decostruzione dell’umanesimo, l’ibridismo epistemologico postumanista pongono la pedagogia in un nuovo potenziale stato nascente. La domanda che funge da filo rosso dell’argomentazione verte intorno alla possibilità di educare/umanizzare nel tempo dell’eclissi dell’umano. The paper intends to rough out, through some voices (Braidotti, Fuschetto), the post-humanistic cultural horizon and problematization human specificity and possible educability in this Stimmung. The ontological discontinuity crossing, the humanism deconstruction, the epistemological hybridism, puts the pedagogy in the new potential rising state. The question, that functions red thread of the reasoning, deals about the possibility of educate/humanize in the time of human eclipse. I l postumano si pone come un presente irrecusabile, lo spazio insieme ultimo e primo che richiede la fatica della domanda e della messa in questione, anche pedagogica. Quale sfida questa epifania lancia alla riflessione sull’educativo? Quando l’intervento ingegneristico sull’umano finisce per sostituire la creazione e l’umanesimo giunge a dissolversi nelle maglie strette del prefisso post, cosa resta dell’uomo e della sua educabilità? Se, da una parte, siamo spettatori e interpreti di un tempo che ha jonasianamente denunciato la propria incapacità di preservare il concetto di umanità1, dall’altra, siamo gli abitatori di un mondo che decentra l’umano (antropodecentrismo2), ne contesta la posizione di assoluto e indiscusso privilegio3, il primato ontoteologico, celebrando l’ontopoiesi/ontodeterminazione e ricercando una non celibe alleanza con l’assolutamente altro (animale/zooantropologia4, macchina/cyberantropologia5), in nome di una presunta liberazione dell’uomo dalla barbarie6 (Sloterdijk). La filosofia/pedagogia post-umanista mette in campo visioni del mondo che sembrano ordinate ad aggirare l’umano, a circondare/braccare ciò che per lungo tempo ha definito al contempo la natura e la condizione dell’uomo, al fine di superarla, in nome di una natura/condizione ad essa posteriore, postumana appunto. Ma qual è l’umano di cui bisognerebbe sbarazzarsi? «Il soggetto Cartesiano del cogito, la kantiana comunità di esseri razionali, […] il soggetto-cittadino, titolare di diritti, proprietario»7, risponderebbe seccamente Rosi Braidotti. Questi tentativi di decostruzione e superamento dell’umano 20 non si pongono, però, solo su base filosofica. Se, infatti, da una parte, il punto di vista filosofico dominate tenta lo s-fondamento del pensiero, mediante il superamento di quelle dicotomie (natura /cultura, umano/non umano ecc.) su cui si è edificato l’antropocentirsmo, dall’altra, la negazione del- 1. Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità. Ricerca di un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 1973; Id., Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Einaudi, Torino 1997. 2. «Mentre per la cornice umanistica l’ente non umano viene costretto in un ruolo oppositivo per la realizzazione dei predicati umani − l’antropo-poiesi come progetto di purificazione − viceversa per il paradigma postumanistico la condizione umana si realizza attraverso un processo di coniugazione-contaminazione con le alterità non umane. […] Assistiamo a una sorta di rivoluzione del non umano che sembra rivendicare sempre più un ruolo di cofattorialità genesica nella costituzione-fondazione della dimensione umana. Se per l’umanesimo i predicati umani si costruiscono secondo direttrici antropocentriche − divergenza, epurazione, discrezione, antinomia, autarchia rispetto al non umano − per il postumanesimo i predicati umani sono il frutto dell’integrazione delle alterità non umane. Di conseguenza, mentre l’umanesimo aveva enfatizzato la direzione antropocentrica dell’antropo-poiesi, secondo il progetto post human i predicati umani vanno interpretati nel senso di un decentramento dall’autoreferenzialità. Parliamo pertanto di antropodecentrismo. In altre parole per il paradigma postumanistico quanto più il processo ontopoietico è integrativo di alterità non umane tanto più realizza la condizione umana intesa come sistema aperto agli eventi dialogici e referenziali» (R. Marchesini, Ruolo delle alterità nella definizione dei predicati umani, in P. Barcellona - F. Ciaramelli - R. Fai (a cura di), Apocalisse e post-umano. Il crepuscolo della modernità, Dedalo, Bari 2007 pp. 33-34) 3. Cfr. G. Leghissa, Ospiti di un mondo di cose. Per un rapporto postumano con la materialità, in AA.VV., La condizione postumana, «Aut Aut» 361 (2014), Il Saggiatore, Milano. 4. Cfr. R. Marchesini, Post human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Id., Manuale di zooantropologia, Meltemi, Roma 2007; C. Tugnoli (a cura di), Zooantropologia. Storia, etica e pedagogia dell’interazione uomo/animale, Franco Angeli, Milano 2003. 5. «Io, noi, ci autocostruiamo nel rapporto ibridativo, nello scambio continuo con gli altri enti naturali e artificiali, con gli animali, gli oggetti, le protesi, i simboli. Un’ecologia ibridativa pone in crisi il paradigma antropocentrico ma anche ogni visione che separa ingenuamente uomo e natura, pensando di poter trovare e conservare quest’ultima nella sua purezza originaria.[...] Le forme contemporanee dell’ibridazione © NS Ricerca n. 8, aprile 2014 NUOVA SECONDARIA RICERCA l’eccedenza ontologica dell’uomo si compie attraverso processi tecnopoietici, ibridativi, con alterità non umane. Come mostrato dal pedagogista Giuseppe Acone pensatori come Nietzsche, Heidegger, Foucault se, da una parte, sembrano fornire le premesse teoriche per il darsi del postumanseimo, dall’altra, appaiono anch’essi superati. Non è possibile, infatti, non registrare come il meriggio del decentramento umanistico si compia in assenza di maestri e non su basi filosofiche. Se la critica alla filosofia del soggetto consente di cogliere i barbagli della negazione di ogni limite ontologico, questa è, però, seguendo Acone, soltanto l’infanzia dell’antiumanesimo/postumanesimo. «La progressiva erosione dell’umanesimo teocentrico (onto-metafisico) e, anche, antropocentrico (secolarizzato) con l’avvento di una ben sagomata e, per ora, non ben identificabile forma di umanesimo tecnocentrico o di post-umanesimo d’impronta biotecnologica, non si pone più su basi filosofiche o, almeno, sulle sole basi filosofiche (Nietzsche, Heidegger, Foucault, Derrida). La radicalizzazione della svolta e della vera e propria diversa qualità dell’approccio ultimo è che le questioni antropologiche e generalmente concernenti una qualsiasi idea dell’uomo si pongono direttamente su basi biotecnologiche, biotecniche, bioniche, o, per dir così, su una configurazione di approccio radicalmente costruttivista in senso molto più radicale che non nelle scienze umane e nella psicologia del Novecento. Vogliamo dire che la stessa filosofia dell’educazione di matrice nichilista, relativista e debolista (Vattimo) è spiazzata ormai, come una sorta di tappa intermedia e superata, dall’ultima sequenza/traiettoria precipitosa imposta dalla tecnologia/tecnica. [...] [L’umanesimo] non è più sconfessato su basi filosofiche, ma è dichiarato privo di senso su basi scientifico-tecnologiche e, quindi, dichiarato privo di senso in maniera incontrovertibile e irrefutabile»8. Questa Stimmung del post ripropone con urgenza una riflessione intorno all’identità della pedagogia (quale pedagogia?) e al suo eterno interrogato (quale uomo?). La progressiva messa alla porta di ogni narrazione capace di scommettere su una visione antropologica non riduzionistica e di sottrarsi al sirenico canto di una razionalità tecnoscientifica (pericolosamente scientista), pone su un altro terreno la problematizzazione dello statuto epistemologico della pedagogia. La tendenziale tecnicizzazione della vita e del sapere9, questo abisso tecnicistico, sposta la cornice paradigmatica del logos educativo. La questione non consiste più in quella angariata interrogazione novecentesca tendente a definire lo spazio ri© NS Ricerca n. 8, aprile 2014 flessivo del pedagogico entro una cornice filosofica o scientifica, ma pertiene la possibilità che la pedagogia possa conservare la propria identità muovendosi entro sentieri epistemologici ibridi (molecolari, genetici ecc.), animati da una sorta di grammatica biotecnologica dell’umano e incapaci di preservare quella cartografia epistemica umanistica (etica, storia, antropologia ec.) capace di promuovere una visione ontometafisica dell’uomo10. Il riconoscimento della discontinuità ontologica, di una venatura di differenza specifica tra l’uomo, l’animale e la macchina, seguendo ancora il pedagogista Acone, non risponde semplicemente al tentativo di non aggricciarsi su una visione antropologica tendente a identificare l’uomo con la mera dimensione naturale, ma è condizione indispensabile per la stessa pedagogia; questo riconoscimento, infatti, rende possibile e legittimo ogni atto/evento educativo chiamato a misurarsi con il tentativo di promuovere l’umanità/umanizzazione dell’uomo11. Il superamento di ogni discontinuità ontologica, il riconoscimento di un continuum natura-cultura12, la rottura della macchina dualistica13, se, da una parte, rischiano di ridefinire, pongono al centro, com’è del tutto ovvio, il rapporto uomo-macchina nei termini di una vera e propria cyberantropologia. I due versanti della relazione vedono da una parte i bioputer, come progetto teso a far superare alle macchine la soglia critica da cui emerge la coscienza; un progetto, questo, caratterizzato però dall’illusione che basti incrementare la potenza dei processori, la loro velocità, le capacità di memoria, il calcolo parallelo, − e cioè tanti computer che svolgono insieme le stesse funzioni − per superare il limite del computazionalismo e dare alle macchine il dono più misterioso: il libero arbitrio, la possibilità di scegliere fra più alternative. L’altro versante è costituito dalla possibilità di innestare dentro i nostri corpi e − ancor più − all’interno del codice genetico, degli elementi artificiali, in grado di potenziare la percezione, la memoria, l’insieme delle risposte immediate e di lungo periodo alla complessità dell’ambiente in cui viviamo» (A.G. Biuso, Cyborgsofia. Introduzione alla filosofia del computer, Il pozzo di Giacobbe, Trapani, 2004, p. 30). Cfr. A.G. Biuso, La mente temporale. Corpo, mondo, artificio, Carocci, Milano, 2009. 6. Cfr. P. Sloterdijk, Non siamo stati ancora salvati, Bompiani, Milano 2004; Id., Devi cambiare la tua vita, Raffaello Cortina, Milano 2010. 7. R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma, 2014, p. 7. 8. Cfr. G. Acone, Elaborazione pedagogica, educazione e speranza in un contesto di relativismo etico, «Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università», 2 (2006), CEI, Roma, pp. 35-36. 9. Cfr. Cfr. M. De Carolis, La vita nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Bollati Boringhieri, Torino 2004; Id., Il paradosso antropologico. Nicchie, micromondi e dissociazione psichica, Quodlibet, Macerata 2008. 10. Cfr. G. Acone, Antropologia dell’educazione, La Scuola, Brescia 1997. 11. Cfr. Id., L’ultima frontiera dell’educazione. La paideia occidentale di fine secolo tra umanesimo e nichilismo, La Scuola, Brescia 1986; Id., Antropologia dell’educazione, cit.; Id., La paideia introvabile, La Scuola, Brescia 2004. 12. Recentemente la filosofa Rosi Braidotti ha mostrato come il paradigma scientifico tenda a prendere le distanze dall’approccio socio-costruttivista, «un approccio che postula una distinzione tra il dato (la natura) e il costruito (la cultura)»; questa opposizione binaria è stata progressivamente sostituita «dalla teoria non dualista dell’interazione tra natura e cultura». Il superamento del monismo filosofico, su base scientifica e tecnologica, ha consentito di sfumare e spostare i «confini tra le categorie del naturale e del culturale» (R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, cit., pp. 8-9). 13. Cfr. R. Esposito, Terza persona, Einaudi, Torino 2007; Id., Bios. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Tornio 2005. 21 NUOVA SECONDARIA RICERCA attraverso la negazione di un’ eccedenza rispetto alla naturalità14, mediante l’affermazione di una natura vivente vitale, autopoietica e postnaturalistica15, la visione antropologica che sottende alla riflessività pedagogica, dall’altra, fanno in modo che l’uomo diventi oggetto di una manipolazione indefinita. L’educazione finisce per apparire un’antropotecnica superata (Sloterdijk) e la pedagogia antiquata rispetto alla possibilità di intervenire significativamente per migliorare la condizione umana. Il dominio di una ragione che, da Horkheimer attraverso Heidegger, fino alle recenti tentazioni tecnoscientifiche, si scopre strumentale16, calcolante17, biotecnologica18, capace di sovvertire l’ordine naturale e cingere d’assedio l’idea di persona, conducono la pedagogia a misurarsi con la negazione biotecnologista di un’essenza umana19. Ciò che sembra realizzarsi, attraverso il primato di un corpo docile, sottomesso e manipolabile20, è l’inveramento dell’annuncio foucaultiano della scomparsa dell’uomo21. La notte del pensiero meditante (Heidegger), il suo smarrimento, pone l’uomo in fuga rispetto a quel pensiero appassionato, capace di non disperdersi nelle strettoie di un pensiero calcolante (incapace di pensare quel «senso che domina su tutto ciò che è»22), e in grado di conservare la dignità dell’uomo attraverso il contegno dell’abbandono, quell’atteggiamento che ci consente di dire «sì e no al mondo della tecnica»23. Se queste sono sommariamente le coordinate entro cui è costretto a muoversi il pensiero anche pedagogico, lo scopo di queste note sarà tentare di comprendere quanto sia ancora possibile pro-gettare un’idea di uomo e di educabilità nel tempo del trionfo del postumanesimo. Nel momento in cui il superamento dell’uomo e della sua condizione sembra compiersi sotto la spinta centrifuga di un nuovo anthropos (Cambi24), reimettere nel gioco linguistico pedagogico il soggetto-persona appare, almeno a chi scrive, un atto di resistenza alla deriva postumanista. Il Novecento non è stato solo il secolo della svolta antropologia, ma il testimone del compiersi di quella antiteoretica25, ovvero dell’affermarsi di una Stimmung tendente a promuovere la coincidenza tra necessario e possibile su base ingegneristica. Il soggetto unitario dell’umanesimo diviene il bersaglio della filosofia post-umanista, si auspica il suo superamento e l’avvento di un soggetto complesso e relazionale, nomade. Il postumanesimo, infatti, non si limita a registrare il declino dell’umanesimo, ma ricerca modi alternativi per la concettualizzazione della soggettività postumana26. Seguendo Rosi Brai- 22 dotti l’umano dell’umanesimo è una «convenzione normativa […] con elevato potere regolamentare e dunque strumentale alle pratiche di esclusione e discriminazione. Lo standard umano rappresenta la normalità, la normazione, la normatività. Esso funziona trasponendo un particolare modo di essere umano in un modello generalizzato, che è categorica- 14. Cfr. F. D’Agostino, La bioetica, le biotecnologie e il problema dell’identità della persona, in A. Pavan (a cura di), Dire persona, il Mulino, Bologna 2003. 15. Cfr. R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, cit. 16. Cfr. M. Horkheimer, Eclissi della ragione, Einaudi, Torino 1969. 17. Cfr. M. Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976; Id., L’abbandono, Il melangolo, Genova 1983. 18. «Le biotecnologie ci obbligano a riformulare rapidamente, anche a livello di senso comune, molti parametri grazie ai quali la vita quotidiana si è orientata nel succedersi delle generazioni. In particolare: la nozione di persona e di identità personale, le norme etiche e giuridiche che regolano i diritti dei singoli e delle famiglie, i cicli vitali, la grana, la varietà e l’intensità di determinate passioni. Sta cambiando, in quest’ultimo caso, il sistema dei sentimenti che scandiscono i momenti più solenni dell’esistenza umana: il concepimento, la nascita, il matrimonio, la paternità e la maternità, la malattia, la morte. Si modifica persino la configurazione dell’immaginario in quanto condizionato dai precedenti limiti biologici o mentali e dal complementare desiderio di eluderli. Quello che appariva imposto dalle dure leggi della necessità o dall’imperscrutabile volontà di Dio si trasforma in oggetto di scelta» (R. Bodei, La filosofia del Novecento, Donzelli, Roma 2006, p. 194. 19. Cfr. G. Acone, La paideia introvabile, cit. 20. Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1993. 21. Cfr. Id., Le parole e le cose, Rizzoli, Milano1978; D. Tarizzo, La vita, un’invenzione recente, Laterza, Bari 2010. 22. M. Heiddeger, L’abbandono, cit., p. 33. 23. Ibi, p. 42 24. «Stiamo entrando in un’altra identità umana, che può essere vista anche come un’ennesima variante dell’human, ma che, di fatto, è ben diversa dalle forme fin qui conosciute e che può anche aprire a un’avventura senza ritorno rispetto alla manipolazione genetica e all’integrazione bionica del corpo e della psiche umana. Ci ricordava Franca Pinto nel suo volume Pedagogia e post-umano che la condizione umana si struttura sull’ibridazione e si nutre di essa, anche con le “macchine”, e non deve fare paura. Sì, tutto vero, ma le “macchine” si sono fatte più sottili e condizionanti, sono penetrate negli organi, domani (anzi oggi stesso) nei circuiti cerebrali (e già lo fanno molti farmaci: dal Tavor al Prozac), alterando identità, strutture, processi e dando vita a un nuovissimo antrophos che surclassa non solo il soggetto tradizionale, ma anche quello ermeneutico e postmoderno, relegandoli negli archivi della storia, […] Sena essere catastrofici dobbiamo riconoscere di stare oltrepassando un confine, una tradizione e di entrare in un territorio sconosciuto e, proprio per questo, non controllabile e carico, in sé, di potenzialità che ci appaiono, appunto, post-umane» (F. Cambi, La questione del soggetto come problema pedagogico, in E. Colicchi (a cura di), Il soggetto nella pedagogia contemporanea, Carocci, Milano 2008, p. 37). 25. «Numerosi critici culturali hanno commentato l’ambivalente natura del malessere posteoretico che ha colpito le contemporanee scienze umane e sociali. Ad esempio, Tom Cohen, Claire Colebrook e J. Hillis Miller hanno evidenziato il lato positivo di questa fase posteoretica, soprattutto il fatto che essa registra effettivamente sia le nuove opportunità che i pericoli provenienti dalle scienze attuali. I lati negativi, sorprendentemente, consistono proprio nella carenza di schemi critici adatti ad analizzare il presente. Io ritengo che la svolta antiteoretica sia legata agli eventi che hanno scosso il contesto ideologico. Dopo la fine ufficiale della Guerra fredda, i movimenti politici della seconda metà del XX secolo sono stati marginalizzati e i loro sforzi teoretici sono stati banditi in quanto ritenuti esperimenti storici fallimentari. La nuova ideologia del libero mercato ha eliminato tutte le opposizioni, nonostante le massicce proteste di diversi settori della società, imponendo l’antintellettualismo come caratteristica saliente dei nostri tempi. Questo è un duro colpo soprattutto per le scienze umane, in quanto penalizza la sottigliezza dell’analisi, chiamata a prestare indebita fedeltà al senso comune − la tirannia dell’opinione − e al profitto economico − la banalità dell’interesse individuale. In questo contesto, la teoria ha perso valore ed è stata spesso screditata come una sorta di fantasma o di narcisistico autocompiacimento» (R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, cit., p. 10). 26. R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, cit., p. 45. © NS Ricerca n. 8, aprile 2014 NUOVA SECONDARIA RICERCA mente e qualitativamente distinto dagli altri sessualizzati, razializzati e naturalizzati in opposizione agli artefatti tecnologici»27. L’umanesimo, inoltre, avrebbe favorito, seguendo la linea interpretativa di Fuschetto, nel tentativo di “eliminare” l’elemento naturale per poter potenziare l’umanità, una stretta connessione tra antropotecnica e biopolitica. Il filosofo napoletano non esita a rintracciare la mano di un umanesimo autarchico dietro i serragli di Auschwitz, Treblinka, Belzec, Sobibòr28, a vedere nella ri-creazione nazista il riverbero del dispositivo dicotomico del pensiero metafisico e a fare di Darwin il nume tutelare, il teorico del postumano. Fuschetto tenta di mostrare come Darwin sia riuscito a spingersi oltre una visione fissista della specie, mediante un modello di selezione naturale pensato sulla base di un dispositivo di selezione artificiale. Attraverso una “rifondazione biologica del monismo” si spiegherebbe la non universalità delle culture e proprio questa chiave di lettura consentirebbe di superare l’aporia gehleniana. Il paradigma gehleniano dell’incompletezza, della carenza sarebbe, seguendo Fuschetto, vincolato ad una visione teleologica dell’evoluzione retta sul fondamento metafisico della discontinuità ontologica e del dualismo uomo/animale, il superamento dell’aspetto aporetico dell’antropologia filosofica di Gehlen sarebbe possibile attraverso l’assunzione del monismo ontologogico darwiniano29. È come se «in un certo senso Darwin nel teorizzare la selezione riconoscesse finalmente agli organismi la forza di infrangere gli invalicabili confini tipologici entro cui erano stati fin lì collocati»30. L’uomo così inteso, come ente sperimentale infinitamente modificabile e non mero ente naturale, finisce per legittimare un intervento ingegneristico su se stesso e per creare nuovi trascendentali: selezionabilità, sperimentabilità e fabbricabilità. La “nuova soglia di discontinuità”, seguendo Fuschetto, è di natura biotecnologica. L’episteme darwiniana, costruita nell’interstizio tra biologia e tecnologia, promuove una visione del vivente capace di interpretare «il dato naturale entro la dimensione biotecnologica della produzione, della manipolazione e, perché no, dell’invenzione». L’estremismo delle due posizioni fin qui tracciate, da una parte, il postumanesimo critico di Rosi Braidotti, che rifiuta ogni modello onnicomprensivo trascendentale31, e, dall’altra, il postumanesimo artefattuale di Fuschetto, che insiste sull’artificialità del processo evolutivo, finiscono per far apparire moderati filosofi come Esposito32 e Boniolo33. Il loro tentativo di bersagliare la persona auspicando, da una parte, © NS Ricerca n. 8, aprile 2014 l’affermazione dell’individuo umano, e, dall’altra, dell’impersonale, della terza persona, sembra percorrere fino a un certo punto la pericolosa china di alcuni integralismi postumanistici. Ovviamente, qui non si tratta di scegliere il male minore; pedagogicamente, infatti, non si può trascurare come tutte queste teorizzazioni non si siano misurate con l’esigenza di problematizzare quadri normativi capaci di contenere giuridicamente il negativo. La de-antropocentrizzazione dell’uomo rischia di non consentire più a quest’ultimo di «normativizzare il divenire nel quale egli viene ad […] ac-cadere» e, simultaneamente, «di ricadere nella posizione nazista – la quale dichiarava di non decidere (e dunque di non essere in tal senso “persona responsabile”) di migliorare la specie, ma di “aderire” impersonalmente alla Legge della Natura?»34. 27. Ibi, p. 34. 28. Cfr. C. Fuschetto, Darwin teorico del postumano, Mimesis, Milano 2010; P. Martino, Resistenza della persona e orizzonte culturale postumanista, «Topologik. Rivista internazionale di scienze filosofiche, pedagogiche e sociali», 11 (2012), Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, pp. 133-161. 29. «Darwin elabora una teoria della vita che non solo riconosce la medesima ontologia sia all’uomo sia all’animale, ma pone le premesse anche per una rivisitazione di distinzioni apparentemente autoevidenti, come quelle tra dato e prodotto o tra natura e artificio. Elaborata sul modello della selezione artificiale, la selezione naturale può infatti essere considerata come una sorta di commutatore di piani di conoscenza, in virtù di cui il dato naturale diventa interpretabile a partire da quello artificiale e viceversa. Con Darwin la natura stizza l’occhio al biotech e noi, che del biotech abbiamo fatto il sigillo della nostra epoca, stentiamo ancora a prenderne atto. In altre parole, Darwin legittima la commensurabilità tra due dimensioni dell’essere da sempre ritenute pressoché incommensurabili, quella della natura e quella dell’artificio, e lo fa grazie a una mossa da prestigiatore: dapprima naturalizza un processo meramente artificiale come la selezione e poi, proprio in virtù di questa inedita naturalizzazione, artificializza quel che di più naturale non si potrebbe. Nell’ottica darwiniana, infatti, ogni organismo , dall’infusore al sapiens, diventa interpretabile come l’esito di una specifica attività selettiva, ovvero come l’artefatto di un caratteristico processo senza soggetto. In un certo senso si può dire che Darwin è stato l’inventore di una grammatica biotecnologica del vivente. […] Lungi dall’essere la degenerazione di un tipo, nella biologia darwiniana il mostro appare come la possibile manifestazione di una ‘specie incipiente’, appare cioè come la manifestazione di qualcosa che non appartiene più alla specie di provenienza e che tuttavia non è ancora la specie di destinazione, di qualcosa che di conseguenza è inclassificabile e senza nome, di qualcosa che si presenta necessariamente come l’assoluta alterità ma che, non per questo, ha da essere emarginata. […] Ciò su cui cedo non si rifletterà mai abbastanza è che ad Auschwitz, Treblinka, Belzec, Sobibor e in qualunque altro luogo in cui si sia perseguito l’allucinato ideale di purificare l’umanità emendandola da forme ibride e bastarde si è, per molti versi, portate a conseguenze parossisitche la violenza essenzialistica della tipologia, la furia dicotomica di un’ontologia e di un umanesimo trivialmente autarchici» (C. Fuschetto, Darwin teorico del postumano, cit., pp. 12-15). 30. C. Fuschetto, Darwin teorico del postumano, cit., pp. 19-20. 31. «Mi impegno a iniziare da qui, non dalla restaurazione nostalgica di un modello onnicomprensivo trascendentale, non dall’elogio dei margini né da un ideale olistico. Desidero pensare a partire dal qui e ora, da mia sorella Dolly la pecora e dall’oncotopo, mia divinità totemica; dai semi dispersi alle specie in estinzione. E anche, simultaneamente e senza contraddizioni, dagli sconcertanti mezzi generativi, inaspettati e implacabili, grazie ai quali la vita – bios e zoe compresi – riprendono continuamente a lottare» (R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, cit., p. 203). 32. Cfr. R. Esposito, Terza persona, cit.; Id., Bios. Biopolitica e filosofia, cit. 33. Cfr. G. Boniolo, Dalla persona all’individuo: una soluzione filosofica a partire dal fondamento biologico, in AA.VV., Individuo e persona. Tre saggi su chi siamo, Bompiani, Milano 2007. 34. E. Lisciani Petrini, Per una filosofia dell’impersonale: in dialogo con Roberto Esposito, in L. Bazzicalupo (a cura di), Impersonale, Mimesis, Milano 2008, p. 52. 23 NUOVA SECONDARIA RICERCA In questa Stimmung, dove si celebra la desostanzializzazione del soggetto e il declino di ogni allignamento ontologico, la pedagogia è chiamata a ritessere i fili di una progettualità educativa che rischia di estroflettere il dover essere ed accogliere trionfalisticamente il poter essere tecnico. Il rifiuto dell’assunzione di un paradigma umanistico nella teorizzazione pedagogica e l’apertura ad una pedagogia del post-umano, costruita sull’abbattimento dei confini ontologici (uomo-animale-macchina), sul riconoscimento della parzialità ontologica e intenta a dar forma ad una «progettualità educativa in grado di rispondere alle esigenze di un raccordo paritario tra umano e non umano»35, sembra non solo non tener conto dei rischi che tiene in sé il riconoscimento dell’andersiano utopismo rovesciato e della necessità di fare appello ad un’euristica della paura36, capace di esprimere inquietudine e prudenza37, ma sembra anche determinare l’eclissi del vero referente ontologico di ogni processo educativo: l’uomo. La decostruzione biotecnologica dell’umanesimo, l’aggiramento dell’umano, il suo superamento, pongono con urgenza la postulazione di un dispositivo ontologico che possa dare legittimità almeno all’ipotesi di una progettualità neoumanistica possibile (Acone, Vico), in grado di riproporre il primato della persona e il suo essere condizione inaggirabile per il pensarsi/darsi della stessa pedagogia, che oggi si confronta con un compito ulteriore: porre il problema di ciò che resterebbe di specificamente umano. La pedagogia è chiamata a misurarsi con una tensione teorico-progettuale in grado riscommettere su un anthropos non meramente empirico/naturalizzato, non definito dalla sola ontologia tecnica e capace di promuovere un minimo di normatività di cui l’ipotesi di lavoro persona è l’unico elemento di specificità (Scheler). Questa rinnovata tensione teorico-progettuale, nel tempo del trionfo del darwinismo trascendentale38, non può perde di vista il mouneriano compito pedagogico del suscitare l’umanità, del promuovere il processo di personalizzazione, perché, come sostenuto dal filosofo francese, «si può partire dallo studio dell’universo oggettivo, e porre in luce come il modo personale di esistere sia la più alta manifestazione dell’esistenza, e come l’evoluzione della natura preumana converga nel momento creatore in cui sorge questa suprema realizzazione dell’universo. Si potrà dire che la realtà centrale dell’universo è un progredire verso la personalizzazione»39. Il concetto/costrutto persona non solo è capace di contenere una visione di uomo empirico/naturalizzato, ma tiene in sé una tensione capace di eccedere questa visione antropologica 24 innervandola normativamente e spingendola al di là dell’empiria. L’economia di queste note ci ha obbligato ad operare un necessario taglio teorico rispetto alla vastità della letteratura scientifica sull’argomento, pertanto, in questa sede si è tentato di raccontare il postumanesimo attraverso solo alcune voci. Muovendo da questa consapevolezza non possiamo non riconoscere il primato della domanda. Può la pedagogia pensarsi/progettarsi aggirando l’umano? Può non fare appello al soggetto-persona e rinunciare al suo mounieriano compito: suscitare l’umanità, promuovere il movimento di personalizzazione40? La pedagogia, laddove assume l’incompletezza/plasmabilità ontologica, non rischia, come denuncia profeticamente sin dal 1986 Giuseppe Acone, di dar forma ad un post-umanesimo igienico e terapeutico41? Può la pedagogia partire dal riconoscimento della parzialità ontologica, educare a formulare il futuro42, postulando una sorta di potere predittivo, e promuovere un inedito intreccio tra logica tecnologica e logica della vita trascurando che, come sottolineato da Fukujama, le biotecnologie hanno «evidenti benefici e svantaggi latenti»43? Rinunciare all’idea di persona, dimenticando che essa fonda l’idea di educazione44, non rischia di coincidere con il rinunciare all’idea di pedagogia? Queste domande si pongono come problematiche, in fondo heideggerianamente la risposta è solo l’ultimo passo del domandare. Paola Martino Università degli Studi di Salerno 35. Cfr. F. Pinto Minerva - R. Gallelli, Pedagogia e post-umano, Carocci, Milano 2004. 36. Cfr. G. Anders, L’uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2003. 37. Cfr. P. Martino, L’orfanotrofio tecnologico. Quale educazione nel tempo del postumano?, «Educare. Rassegna di pedagogia generale e di filosofia dell’educazione», Elio Sellino Editore, Avellino 2005, pp. 127-135; C. Resta, La provocazione tecnica e l’umanità dell’umano, in P. Barcellona (a cura di), Apocalisse e postumano, Dedalo, Bari 2007. 38. Cfr. AA.VV., La condizione postumana, «Aut Aut» 361 (2014), Il Saggiatore, Milano. 39. E. Mounier, Il personalismo, Editrice Ave, Roma 1964, p. 9. 40. Cfr. E. Mounier, Il personalismo, cit. 41. Cfr. G. Acone, L’ultima frontiera dell’educazione. La paideia occidentale di fine secolo tra umanesimo e nichilismo, cit. 42. Cfr. F. Pinto Minerva - R. Gallelli, Pedagogia e post-umano, cit. 43. Cfr. F. Fukujama, L’uomo oltre l’uomo, Mondadori, Milano 2002. 44. Cfr. G. Acone., Figure di teorizzazione pedagogica in un tempo di transizione difficile, in M. Attinà (a cura di), Figure teoriche della pedagogia contemporanea, Monduzzi, Milano 2012.; Id., La deriva decostruzionista e la persona come orizzonte di senso, in S. Angori - S. Bertolino - R. Cuccurullo - A. G. Devoti - G. Serafini (a cura di), Persona e educazione, Armando, Roma 2010, pp. 179-184; Id., Elaborazione pedagogica, educazione e speranza in un contesto di relativismo etico, cit. © NS Ricerca n. 8, aprile 2014 NUOVA SECONDARIA RICERCA BIBLIOGRAFIA AA.VV., La condizione postumana, «Aut Aut» 361 (2014), Il Saggiatore, Milano. AA.VV., Individuo e persona. Tre saggi su chi siamo, Bompiani, Milano 2007. G. Acone, Antropologia dell’educazione, La Scuola, Brescia 1997. G. Acone, Elaborazione pedagogica, educazione e speranza in un contesto di relativismo etico, «Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università», 2 (2006), CEI, Roma, pp. 35-36. G. Acone, Figure di teorizzazione pedagogica in un tempo di transizione difficile, in M. 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